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Hermès, artigiano contemporaneo dal 1837. - PambiancoNews

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LIFESTYLE<br />

Alcuni piatti creati dagli chef<br />

de Miramonti L’altro (1 e 2),<br />

I Portici (3,4,5, 7) e Joia (6)<br />

3<br />

2<br />

4<br />

“La cucina italiana<br />

genera una forte<br />

attrazione e gli chef<br />

stranieri ci mettono<br />

quell’interpretazione<br />

personale che la<br />

rende anche più<br />

originale”<br />

6<br />

7<br />

Luigi Cremona<br />

migliori della vostra cucina territoriale,<br />

senza dover dipendere da quell’orgoglio<br />

regionale che giustamente vi contraddistingue.<br />

Inoltre da me, che sono<br />

tedesco, nessuno si aspetta una cucina<br />

tipicamente bolognese. Così posso valutare<br />

sapori e differenze dei vostri piatti<br />

tradizionali e lavorarci sopra in piena<br />

libertà”. Del suo maestro dice: “Heinz<br />

Beck è il numero uno, ciò che ha fatto<br />

a La Pergola non ha paragoni in Italia.<br />

Tuttavia noi tedeschi ci stiamo moltiplicando<br />

perché ci piace lavorare in<br />

Italia. E poi oggi i clienti italiani sono<br />

più aperti e pronti a provare la loro<br />

cucina preparata da altri chef. I primi<br />

tempi, quando sapevano che a cucinare<br />

c’era un tedesco, al ristorante venivano<br />

meno volentieri”.<br />

Il gruppo dei teutonici può oggi vantare<br />

anche lo stellato Christoph Bob<br />

al Relais Blu di Nerano e il promettentissimo<br />

Oliver Glowig al ristorante<br />

dell’hotel Aldovrandi a Roma. Tra<br />

i francesi non possiamo dimenticare<br />

Annie Feolde, che ha espresso la<br />

sua filosofia nella cucina della “mitica”<br />

Enoteca Pinchiorri a Firenze, oggi<br />

coadiuvata da Italo Bassi e Riccardo<br />

Monco. E altre nazionalità si stanno<br />

facendo avanti.<br />

Luigi Cremona, curatore della guida<br />

del Touring Club e critico influentissimo<br />

della nostra ristorazione, ha parole<br />

di elogio per il colombiano Roy<br />

Caceres del ristorante Metamorfosi di<br />

Roma, ma anche l’inglese Christopher<br />

Murray de La Meridiana di Garlenda e<br />

il giapponese Nodaro Kota, già stellato<br />

al La Torre di Viterbo, ora in forze al<br />

ristorante del Grand Hotel a cinque<br />

stelle di via Veneto a Roma. “Il pubblico”,<br />

dice Cremona, “è pronto per lo<br />

chef straniero, così come ognuno di noi<br />

lo è oggi rispetto alle cucine straniere e<br />

all’utilizzo dei loro prodotti: basta fare<br />

un giro in uno dei tanti supermercati<br />

per averne la conferma. Poi c’è differenza<br />

tra gli stranieri che si occupano<br />

di cucina italiana, fenomeno ben più<br />

interessante rispetto a quelli che finiscono<br />

per seguire la cucina etnica del<br />

loro paese, la cui qualità media mi pare<br />

abbastanza limitata, fatto salvo alcuni<br />

ristoranti giapponesi e pochi cinesi o<br />

indiani. Sicuramente la cucina italiana<br />

genera una forte attrazione e gli chef<br />

stranieri ci mettono pure un pizzico di<br />

interpretazione personale che la rende<br />

più originale, senza intaccarne la sostanza.<br />

Anche perché la nostra cucina ha<br />

una forte identità”.<br />

Ne è convinto anche Leveille: “Mi chiedo<br />

semmai perché se ne parli così poco<br />

all’estero, quando il mondo vede due<br />

principali scuole di cucina, la francese e<br />

l’italiana. Si finisce invece per considerare<br />

quella spagnola che, a mio avviso,<br />

non possiede altrettanta tradizione”.<br />

Sul futuro dei ristoranti etnici scommette<br />

invece Pietro Leemann. “Già<br />

adesso ce ne sono alcuni di molto qualificati,<br />

penso per esempio al Finger’s<br />

dello chef nippo-brasiliano Roberto<br />

Okabe, a Milano. Se non gli hanno<br />

dato la stella è soltanto perché le guide<br />

giudicano lo stile di cucina più che la<br />

qualità in assoluto”. Provincialismo residuo?<br />

“Beh, se consideriamo che a New<br />

York ci sono etnici stellati e pluri-stellati...”.<br />

10 novembre 2011 PAMBIANCOWEEK 99

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