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Hermès, artigiano contemporaneo dal 1837. - PambiancoNews

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LIFESTYLE<br />

In alto la francese Annie<br />

Feolde dell’Enoteca Pinchiorri<br />

(con Giorgio Pinchiorri) e<br />

il tedesco Heinz Beck (La<br />

Pergola del Rome Cavalieri<br />

Hilton)<br />

In basso Roy Caceres<br />

(Metamorfosi, Roma) e<br />

Christopher Murray (La<br />

Meridiana, Garlenda)<br />

1988 dopo quattro anni passati tra Rio<br />

de Janeiro e in altri paradisi caraibici.<br />

“Pensai: non resisterò più di un giorno.<br />

Invece sono passati 23 anni” ricorda<br />

Leveille, convolato a nozze con la<br />

sorella del proprio titolare. Da potenziale<br />

globetrotter della cucina a bresciano<br />

d’adozione. “Oggi sono tempi<br />

più difficili, ma io non mi lamento”. È<br />

un percorso diverso quello effettuato<br />

<strong>dal</strong>lo svizzero Pietro Leemann, portabandiera<br />

della cosiddetta cucina naturale<br />

con il suo originalissimo ristorante<br />

Joia. Ticinese di nascita, più che l’Italia<br />

ha scelto una città, Milano. “L’alternativa<br />

vicina a casa sarebbe stata Ginevra”,<br />

racconta, “ma nel capoluogo lombardo<br />

avevo già lavorato per un anno nel<br />

1983, con Gualtiero Marchesi, poi<br />

avevo viaggiato a lungo per il mondo,<br />

toccando anche Cina e Giappone. Alla<br />

fine di quest’esperienza decisi che volevo<br />

aprire qualcosa di mio e non potevo<br />

farlo in Canton Ticino, troppo piccolo<br />

perché l’idea funzionasse”.<br />

Anche perché l’idea del Joia, fondato<br />

nel 1989, non è propriamente rassicurante:<br />

si tratta infatti di un ristorante<br />

d’alta cucina che non utilizza né carne<br />

né pesce.<br />

Qual è il contributo più significativo<br />

degli chef stranieri alla nostra offerta<br />

gastronomica? Leemann parla di due<br />

step successivi nella storia dei rapporti<br />

tra la nostra cucina e il mondo: il primo<br />

va ascritto a Marchesi che ha, per cosi<br />

dire, francesizzato la cucina italiana;<br />

il secondo arriva invece <strong>dal</strong>l’influenza<br />

della scuola orientale, a cominciare<br />

<strong>dal</strong> sushi che, assicura lo chef svizzero,<br />

è amato <strong>dal</strong>l’80% dei suoi colleghi.<br />

Francia e Giappone non sono però soltanto<br />

stili di cucina, ma anche modelli<br />

organizzativi. “Diciamo - sottolinea<br />

- che all’Italia, caratterizzata da una<br />

tradizione molto radicata di gusto,<br />

apparteneva una visione marcatamente<br />

casalinga della ristorazione. Il punto di<br />

riferimento era allora la classica trattoria<br />

emiliana, specializzata nei ravioli<br />

di carne. Oggi i gusti, vuoi per l’arrivo<br />

di tanti chef stranieri e vuoi soprattutto<br />

per le esperienze fatte dagli italiani<br />

all’estero, si sono internazionalizzati. Lo<br />

dimostra la presenza di un ingrediente<br />

che personalmente aborro, ma che<br />

ormai negli stellati si trova più o meno<br />

ovunque: il foie gras”.<br />

Al Joia la brigata di cucina è composta<br />

1<br />

5<br />

da 12 cuochi, di cui 4 sono stranieri.<br />

“Pochi però si fermano”, aggiunge<br />

Leemann, “perchè l’Italia <strong>dal</strong> punto<br />

di vista economico è poco appetibile.<br />

Meglio dunque imparare e poi tornare<br />

al proprio Paese di origine, dove<br />

in genere gli chef sono pagati di più,<br />

a meno che non ci sia qualche ragione<br />

personale per rimanervi”. Una di<br />

queste ragioni ha convinto il tedesco<br />

Guido Haverkock, già allievo di Beck<br />

(con cui passò da zero a due stelle) e<br />

con un’esperienza da stellato a Castello<br />

Banfi (Montalcino), a fermarsi in Italia,<br />

per occuparsi della cucina di uno dei<br />

migliori hotel di Bologna, I Portici,<br />

diventato il ristorante che ha rilanciato<br />

il percorso di ricerca in una città<br />

che sembrava aver perduto la voglia di<br />

osare. Anche lui ha sposato un’italiana.<br />

“E a voi, si sa, non vi si sposta facilmente<br />

<strong>dal</strong> vostro paese” ci scherza sopra lo<br />

chef, “però per un tedesco è abbastanza<br />

normale innamorarsi dell’Italia”.<br />

Secondo Haverkock, lo chef straniero<br />

da noi può disporre di un vantaggio.<br />

Quale? “Poter selezionare le cose<br />

98 PAMBIANCOWEEK 10 novembre 2011

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