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Le manifestazioni ematologiche della sindrome da ... - Salute per tutti

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Aprile - Anno 7 - n. 4 - 2004<br />

<strong>Le</strong> <strong>manifestazioni</strong> <strong>ematologiche</strong><br />

<strong>della</strong> <strong>sindrome</strong><br />

<strong>da</strong> immunodeficienza acquisita<br />

Dennis Quaglino, Massimo Stati<br />

PRIMO PIANO<br />

Orlistat: un futuro<br />

nella chemioprevenzione<br />

del carcinoma prostatico?<br />

Daniele Barbaro, Pietro Cazzola<br />

Spedizione in abbonamento postale - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Milano<br />

TESI<br />

Osservazioni<br />

clinico-s<strong>per</strong>imentali in pazienti<br />

con i<strong>per</strong>colesterolemia familiare<br />

ed elevati livelli<br />

di creatin-fosfo-kinasi:<br />

ricerca di possibili clusters<br />

Roberto Bernardi, Simona Linarello<br />

Roberto Brillante, Arrigo F.G. Cicero<br />

Antonio Gaddi<br />

AMBULATORIO<br />

Otite esterna:<br />

… e se il paziente si rivolge<br />

al Medico di Medicina Generale?<br />

Pietro Cazzola


Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

97<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Le</strong> <strong>manifestazioni</strong> <strong>ematologiche</strong><br />

<strong>della</strong> <strong>sindrome</strong> <strong>da</strong> immunodeficienza acquisita<br />

Dennis Quaglino, Massimo Stati<br />

pag.99<br />

Direttore Responsabile<br />

Pietro Cazzola<br />

Direzione Marketing<br />

Armando Mazzù<br />

Registrazione<br />

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del 28/05/1998<br />

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Cristina Brambilla<br />

Consulenza grafica<br />

Piero Merlini<br />

Impaginazione<br />

Felice Campo<br />

Stampa<br />

Parole Nuove s.r.l. Brugherio (MI)<br />

PRIMO PIANO<br />

Orlistat: un futuro nella chemioprevenzione<br />

del carcinoma prostatico?<br />

Daniele Barbaro, Pietro Cazzola pag. 117<br />

TESI<br />

Osservazioni clinico-s<strong>per</strong>imentali in pazienti<br />

con i<strong>per</strong>colesterolemia familiare<br />

ed elevati livelli di creatin-fosfo-kinasi:<br />

ricerca di possibili clusters.<br />

Roberto Bernardi, Simona Linarello, Roberto Brillante<br />

Arrigo F.G. Cicero, Antonio Gaddi pag. 121<br />

AMBULATORIO<br />

Otite esterna:… e se il paziente si rivolge<br />

al Medico di Medicina Generale?<br />

Pietro Cazzola pag. 127<br />

È vietata la riproduzione totale o parziale,<br />

con qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni<br />

e fotografie pubblicati su Scripta MEDICA<br />

senza autorizzazione scritta dell’Editore.<br />

L’Editore non risponde dell’opinione<br />

espressa <strong>da</strong>gli Autori degli articoli.<br />

Edizioni Scripta Manent pubblica inoltre:<br />

ARCHIVIO ITALIANO<br />

DI UROLOGIA E ANDROLOGIA<br />

RIVISTA ITALIANA DI MEDICINA<br />

DELL’ADOLESCENZA<br />

INFORMED, CADUCEUM, IATROS, EUREKA<br />

La raccolta dei fascicoli del 2003 di Scripta Medica<br />

è disponibile in CD (file PDF) versando 30 Euro<br />

sul c/c postale n. 20350682 intestato a Edizioni Scripta Manent s.n.c.<br />

Diffusione gratuita. Ai sensi <strong>della</strong> legge 675/96 è possibile in qualsiasi momento<br />

opporsi all’invio <strong>della</strong> rivista comunicando <strong>per</strong> iscritto la propria decisione a:<br />

Edizioni Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano


Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

99<br />

<strong>Le</strong> <strong>manifestazioni</strong> <strong>ematologiche</strong><br />

<strong>della</strong> <strong>sindrome</strong> <strong>da</strong> immunodeficienza acquisita<br />

Dennis Quaglino, Massimo Stati*<br />

Epidemiologica<br />

Nell’estate del1981 la Comunità medica venne<br />

informata <strong>da</strong>i “Centers for Disease Control” dell’esistenza<br />

di una Sindrome <strong>da</strong> Immunodeficienza<br />

Acquisita (AIDS) sulla base <strong>della</strong><br />

segnalazione a New York e in California di casi<br />

di giovani omosessuali precedentemente sani,<br />

i quali presentavano gravi e spesso fatali infezioni<br />

opportunistiche, come polmonite <strong>da</strong><br />

“Pneumocystis Carinii” e forme clinicamente<br />

aggressive extracutanee di Sarcoma di Kaposi<br />

(SK), del tutto simili alle forme linfoadenopatiche<br />

di SK, riscontrabili in Africa (1, 2).<br />

Il virus dell’Immunodeficienza umana (HIV)<br />

tipo -1 è stato identificato come l’agente<br />

eziologico dell’AIDS (3, 4).<br />

Questa infezione retrovirale viene trasmessa<br />

attraverso i rapporti sessuali, <strong>da</strong> inoculazione<br />

o infusione di sangue infetto o <strong>da</strong>lla madre<br />

infetta al feto, <strong>per</strong> via transplacentare, nelle<br />

ultime settimane di gravi<strong>da</strong>nza, a volte durante<br />

il parto o nel corso dell’allattamento.<br />

Epidemiologicamente, i maggiori gruppi a<br />

rischio di sviluppare l’AIDS variano in base<br />

alla diversa distribuzione geografica.<br />

In Africa il gruppo maggiormente colpito è<br />

rappresentato <strong>da</strong> individui eterosessuali, sessualmente<br />

attivi, con le femmine più frequentemente<br />

esposte all’azione del HIV<br />

rispetto agli uomini (5).<br />

Negli Stati Uniti i gruppi maggiormente<br />

esposti al rischio di infezione <strong>da</strong> HIV sono<br />

gli omosessuali ed i tossicodipendenti attraverso<br />

lo scambio di siringhe (Intravenous<br />

drug abusers: IVDA)<br />

Professore Emerito Clinica Medica, Università de L’Aquila<br />

* Dipartimento di Medicina Interna, Università de L’Aquila<br />

In maniera del tutto sovrapponibile agli Stati<br />

Uniti, nell’Europa Occidentale circa l’80%<br />

dei casi di AIDS sono stati riscontrati negli<br />

omosessuali e nei tossicodipendenti (6).<br />

Una <strong>per</strong>centuale spropozionatamente elevata<br />

di casi di AIDS è stata descritta fra i Negri e<br />

gli immigrati di origine ispanica nel Nord Est<br />

dell’America, dove il rischio di contrarre l’infezione<br />

<strong>da</strong>l virus HIV-1 è <strong>da</strong> due a dieci volte<br />

maggiore che nel resto del Paese (7).<br />

Struttura virale<br />

Come <strong>tutti</strong> i retrovirus, l’HIV si replica formando<br />

un provirus DNA, mediante un enzima<br />

virale, la trascrittasi inversa (Figura 1).<br />

I principali geni del HIV sono gag, pol, env:gag<br />

(group specific antigen) codifica <strong>per</strong> una proteina<br />

strutturale: pol codifica <strong>per</strong> una trascrittasi<br />

inversa che trasforma il RNA in DNA nella<br />

cellula ospite: env codifica <strong>per</strong> delle glicoproteine<br />

dell’involucro su<strong>per</strong>ficiale.<br />

Oltre ai tre geni principali, presenti in <strong>tutti</strong><br />

i retrovirus, il genoma del HIV contiene<br />

diversi altri geni: gli LTR (long terminal<br />

repeat) che sono probabilmente geni di<br />

regolazione <strong>della</strong> sintesi proteica.<br />

I geni vif e nef codificano <strong>per</strong> proteine a<br />

funzione non ancora del tutto chiara, ma<br />

probabilmente inibente la moltiplicazione<br />

del virus.<br />

I geni tat e rev hanno probabilmente anch’essi<br />

un ruolo di regolazione sulla replica del<br />

virus.<br />

Di particolare interesse il tat (trans-activator);<br />

la proteina codificata <strong>da</strong> questo gene<br />

potrebbe essere responsabile <strong>della</strong> moltiplicazione<br />

“esplosiva” del virus che si verifica<br />

quando la cellula ospite viene attivata


100<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

Figura 1.<br />

Rappresentazione schematica<br />

<strong>della</strong> struttura del virus HIV-1.<br />

Il genoma del virus, costituito<br />

<strong>da</strong> due coppie uguali di RNA<br />

a singola elica, è contenuto in un<br />

nucleocapside con le proteine p7,<br />

p9 e p24 e la trascrittasi inversa.<br />

La matrice proteica p17 circon<strong>da</strong><br />

il nucleocapside. L'”Envelope” o<br />

membrana esterna di natura<br />

lipoproteica contiene<br />

dei prolungamenti glicoproteici<br />

a forma di bacchette di tamburo,<br />

caratterizzata <strong>da</strong>lla presenza <strong>della</strong><br />

molecola gp120 che contiene il<br />

sito <strong>per</strong> il legame con la molecola<br />

CD4, e la molecola gp41, legata<br />

in modo non covalente alla<br />

gp120, che costituisce una sorta<br />

di ancoraggio rigido <strong>della</strong> gp120<br />

ai lipidi e serve <strong>per</strong> iniziare<br />

la fusione <strong>della</strong> membrana virale<br />

a quella <strong>della</strong> cellula che viene<br />

infettata <strong>da</strong>l virus.<br />

<strong>da</strong>l contatto con l’antigene verso cui ha<br />

specificità. I virus privi di tat si moltiplicano<br />

circa 1000 volte più lentamente di quelli<br />

che ne sono provvisti (8, 9).<br />

che sono direttamente o indirettamente implicati<br />

nella maggior parte delle funzioni immunologiche<br />

dell’organismo, a determinare la<br />

spiccata immunodeficienza tipica dell’AIDS.<br />

Patogenesi<br />

L’HIV è patogeno <strong>per</strong>ché colpisce selettivamente<br />

specifiche cellule del sistema immunitario<br />

e del sistema nervoso centrale, provocando<br />

immunodeficienza e deficit neuropsicologici<br />

(10).<br />

Il principale recettore utilizzato <strong>da</strong>l HIV <strong>per</strong><br />

penetrare nella cellula umana è la molecola<br />

CD4 (11), che nel sistema immunitario è<br />

espresso principalmente <strong>da</strong>i linfociti di tipo<br />

“hel<strong>per</strong>/inducer”, e <strong>da</strong>gli elementi cellulari del<br />

sistema fagocitico monocitico/macrofagico.<br />

I monociti e macrofagi infatti sono verosimilmente<br />

importanti “reservoir” o serbatoi del<br />

HIV ed un meccanismo importante di diffusione<br />

virale attraverso l’organismo, <strong>per</strong>ché<br />

non sembra che il virus eserciti un significativo<br />

effetto citopatico su queste cellule (12).<br />

È tuttavia l’infezione e citolisi dei linfociti CD4,<br />

Azione lesiva diretta del HIV sui linfociti<br />

CD4.<br />

Formazione di sincizi tra cellule sane ed<br />

infettate.<br />

Risposte immuni citotossiche cellulari<br />

e umorali verso il GP 120 adsorbito sui<br />

linfociti CD4 sani.<br />

Induzione <strong>della</strong> morte cellulare programmata<br />

(apoptosi) dovuta all’interazione<br />

del GP 120 con la molecola CD4.<br />

Difettosa maturazione dei linfociti CD4<br />

nel timo.<br />

Infezione e morte delle cellule linfoidi<br />

staminali o delle cellule accessorie<br />

necessarie <strong>per</strong> la proliferazione e/o<br />

differenziazione delle cellule staminali.<br />

Anticorpi antilinfocitari.<br />

Tabella 1.<br />

Possibili<br />

meccanismi<br />

all’origine<br />

<strong>della</strong> deplezione<br />

dei linfociti CD4<br />

in corso<br />

di infezione<br />

<strong>da</strong> HIV.


Scripta MEDICA<br />

<strong>Le</strong> <strong>manifestazioni</strong> <strong>ematologiche</strong> <strong>della</strong> <strong>sindrome</strong> <strong>da</strong> immunodeficienza acquisita<br />

101<br />

Tabella 2.<br />

Classificazione<br />

clinica<br />

dell’infezione<br />

<strong>da</strong> HIV<br />

(Center for<br />

Disease Control,<br />

1986).<br />

Gruppo 1: Infezione acuta.<br />

Gruppo 2: Infezione asintomatica.<br />

Gruppo 3: Linfoadenopatia generalizzata <strong>per</strong>sistente (P.G.L.).<br />

Gruppo 4: Altri quadri. - Sottogruppo A: Malattia costituzionale<br />

- Sottogruppo B: Malattia neurologica<br />

[AIDS Dementia Complex (ADC),<br />

mielopatia vacuolare]<br />

- Sottogruppo C: Malattie infettive<br />

secon<strong>da</strong>rie (vedi tab. III)<br />

- Sottogruppo D: Neoplasie secon<strong>da</strong>rie<br />

(Sarcoma di Kaposi,<br />

linfomi specie del sistema nervoso)<br />

- Sottogruppo E: Altre condizioni.<br />

(Wasting Syndrome,<br />

polmonite interstiziale, malattie infettive<br />

non elencate nel gruppo IV C,<br />

come <strong>Le</strong>ucoplachia villosa,<br />

candidosi orofaringea,<br />

Herpes zoster, nocardiosi)<br />

L’infezione <strong>da</strong> HIV è responsabile di diverse<br />

alterazioni funzionali dei linfociti CD4, una<br />

delle quali è l’inabilità di riconoscere e reagire<br />

in maniera efficace agli antigeni solubili (13).<br />

L’infezione e successiva citolisi dei linfociti<br />

CD4 causa una progressiva deplezione linfocitaria<br />

con conseguenti profonde alterazioni<br />

funzionali del sistema immunitario (10).<br />

La progressiva linfopenia potrebbe anche<br />

essere dovuta ad altri meccanismi, come ad<br />

esempio la formazione di sincizi. La costituzione<br />

dei sincizi è un meccanismo comune<br />

ad altri virus che si diffondono <strong>per</strong> ”budding”<br />

ed appare legata all’espressione <strong>della</strong> gp 120<br />

virale sulla su<strong>per</strong>ficie delle cellule infette.<br />

Tale molecola, venendo in contatto casualmente<br />

con il CD4 dei linfociti normali, consente<br />

il legame delle due cellule; la gp 41<br />

provoca quindi la fusione delle membrane<br />

<strong>della</strong> cellula infetta con quella normale, portandola<br />

a morte.<br />

La formazione di sincizi spiegherebbe la<br />

scarsa presenza di linfociti infetti in circolo: i<br />

sincizi infatti, <strong>da</strong>te le loro dimensioni, rimarrebbero<br />

localizzati negli organi linfoidi.<br />

Un altro meccanismo di morte cellulare, l’apoptosi,<br />

potrebbe giocare un ruolo rilevante<br />

nella distruzione dei CD4 ad o<strong>per</strong>a del HIV<br />

(14) (Tabella 1).<br />

Aspetti clinici<br />

Sono state descritte alcune<br />

fasi dell’infezione <strong>da</strong> HIV, fra<br />

cui la Sindrome acuta virale,<br />

uno stadio asintomatico,<br />

una varietà di condizioni<br />

sintomatiche, nelle quali il<br />

minimo comune denominatore<br />

è la linfoadenopatia <strong>per</strong>sistente<br />

generalizzata, e la<br />

condizione di AIDS conclamata<br />

(Tabella 2 e 3).<br />

La Sindrome virale acuta<br />

compare circa 2-6 settimane<br />

dopo l’esposizione al virus,<br />

con febbre, malessere, mialgie,<br />

<strong>manifestazioni</strong> cutanee<br />

maculo-papulari, diarrea,<br />

linfoadenomegalia e meningite<br />

asettica (15,16).<br />

Gli esami di laboratorio evidenziano<br />

la presenza di linfocitosi con linfociti<br />

plasmocitoidi atipici ed una lieve piastrinopenia.<br />

Nella Sindrome virale acuta i pazienti<br />

possono essere siero-negativi, ma presentare<br />

anticorpi anti-HIV uno o due mesi dopo l’esordio<br />

<strong>della</strong> malattia. In questa fase acuta l’antigene<br />

virale p24 può essere presente in circolo,<br />

in assenza di anticorpi anti-HIV (16, 17).<br />

La maggior parte dei pazienti infettati <strong>da</strong>l virus<br />

HIV sono tuttavia asintomatici (18), ma sono<br />

in grado di trasmettere il virus (19).<br />

Sebbene questi pazienti siano asintomatici,<br />

sono riscontrabili alcuni segni di disfunzione<br />

immunologica, come un abnorme produzione<br />

di immunoglobuline <strong>da</strong> parte dei<br />

linfociti B, prima e dopo stimolazione con<br />

“Pokeweed Mitogen”, una ridotta produzione<br />

di Interleukina 2 <strong>da</strong> parte dei linfociti T<br />

dopo attivazione con fitoemagglutinina ed<br />

un rapporto assai ridotto CD4/CD8. Si ritiene<br />

che il <strong>per</strong>iodo che intercorre fra la sieroconversione<br />

e lo sviluppo dell’AIDS sia<br />

approssimativamente di 7-8 anni.<br />

La linfoadenopatia <strong>per</strong>sistente generalizzata<br />

(LPG) fu descritta <strong>per</strong> la prima volta nel<br />

1982 (20), quando una inspiegabile <strong>per</strong>sistente<br />

diffusa linfoadenopatia, non imputabile<br />

a precedenti cause conosciute, fu<br />

osservata in soggetti omosessuali negli Stati


102<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

Uniti, specie a New York e San<br />

Francisco.<br />

Questa linfoadenopatia <strong>per</strong>sistente<br />

generalizzata è caratterizzata<br />

<strong>da</strong> un ingrossamento linfoghiandolare<br />

<strong>per</strong>sistente <strong>da</strong> almeno tre<br />

mesi e riscontrabile in due o più<br />

linfonodi, non contigui, extrainguinali,<br />

<strong>da</strong>lla mancanza di qualunque<br />

patologia o farmaco che<br />

possa essere stato responsabile<br />

<strong>della</strong> linfoadenopatia ed infine <strong>da</strong><br />

un quadro istologico di i<strong>per</strong>plasia<br />

reattiva.<br />

Qualunque stazione linfoghiandolare<br />

può essere interessata, ma<br />

spesso la linfoadenopatia interessa<br />

sedi atipiche, come i linfonodi<br />

epitrocleari e sottomandibolari.<br />

Se si procede ad una biopsia<br />

linfono<strong>da</strong>le, il quadro istologico è<br />

quello, come si è detto, o di una<br />

notevole i<strong>per</strong>plasia follicolare<br />

oppure di una i<strong>per</strong>plasia follicolare<br />

associata ad un processo di<br />

involuzione (21).<br />

Il rapporto dei linfociti <strong>per</strong>iferici CD4/CD8,<br />

che si aggira <strong>da</strong> 0,4 a 1.25 nei pazienti con<br />

Candidosi esofagea, tracheale, bronchiale o polmonare<br />

Criptococcosi extrapolmonare<br />

Criptosporidiosi con diarrea <strong>per</strong>sistente <strong>da</strong> oltre un mese<br />

Infezione <strong>da</strong> Citomegalovirus di un organo interno<br />

(a parte fegato, milza, linfonodi)<br />

Infezione <strong>da</strong> Herpes simplex con ulcerazioni <strong>per</strong>sistenti<br />

<strong>per</strong> più di un mese<br />

<strong>Le</strong>ucoencefalite multifocale progressiva<br />

Coccidiomicosi disseminata<br />

Polmonite <strong>da</strong> Pneumocystis Carinii<br />

Tubercolosi extrapolmonare, interessante almeno<br />

una localizzazione diversa <strong>da</strong> quella polmonare<br />

Infezioni disseminate <strong>da</strong> micobatteri diversi <strong>da</strong> quello<br />

<strong>della</strong> tubercolosi, con localizzazione diversa <strong>da</strong> quella<br />

polmonare o dei linfonodi ilari o laterocervicali<br />

Infezioni disseminate <strong>da</strong> Mycobacterium avii o Kansasii<br />

Isopsoriasi con diarrea <strong>per</strong>sistente <strong>da</strong> oltre un mese<br />

Setticemie ricorrenti <strong>da</strong> salmonella non tifoidi<br />

Toxoplasmosi cerebrale<br />

LPG è significativamente inferiore rispetto<br />

ai soggetti HIV negativi, nei quali il rapporto<br />

oscilla <strong>da</strong> 1.4 a 2.5 (22).<br />

Per soddisfare i criteri di definizione di questo sottogruppo IV A,<br />

un soggetto deve presentare due o più segni o sintomi,<br />

e due o più modificazioni nei parametri di laboratorio.<br />

SEGNI O SINTOMI CLINICI: (<strong>per</strong>sistenti <strong>da</strong> tre mesi o più senza causa plausibile)<br />

1) linfoadenopatia in più di due sedi non contigue<br />

2) <strong>per</strong>dita di peso ≥ 7 kg o ≥ 10% del peso normale<br />

3) febbre ≥ 38°C intermittente o continua<br />

4) diarrea<br />

5) astenia/malessere<br />

6) sudorazioni notturne<br />

Tabella 3.<br />

Malattie infettive<br />

diagnosticate<br />

con certezza che<br />

configurano una<br />

classificazione di<br />

sottogruppo IV C.<br />

Tabella 4.<br />

Criteri<br />

<strong>per</strong> la definizione<br />

di ARC (IV A).<br />

PARAMETRI DI LABORATORIO:<br />

1) diminuzione nel numero dei linfociti T-hel<strong>per</strong><br />

2) diminuito rapporto linfociti T-hel<strong>per</strong>/suppressor<br />

3) anemia o leucopenia o trombocitopenia o linfopenia<br />

4) aumentato livello globuline sieriche<br />

5) diminuita reattività blastica ai mitogeni<br />

6) anergia cutanea agli antigeni recall<br />

7) livelli aumentati di immunocomplessi circolanti


Scripta MEDICA<br />

<strong>Le</strong> <strong>manifestazioni</strong> <strong>ematologiche</strong> <strong>della</strong> <strong>sindrome</strong> <strong>da</strong> immunodeficienza acquisita<br />

103<br />

Figura 2.<br />

Sezione istologica a<br />

medio ingrandimento<br />

di un linfoma<br />

a grandi cellule B<br />

in un paziente<br />

con AIDS.<br />

Sono ben visibili le<br />

grandi cellule<br />

con aspetti<br />

morfologici<br />

che ricor<strong>da</strong>no sia<br />

i centroblasti che gli<br />

immunoblasti.<br />

Ematossilina Eosina.<br />

Per i pazienti con PGL l’incidenza di AIDS<br />

aumenta dopo circa tre anni <strong>da</strong>ll’inizio <strong>della</strong><br />

linfoadenopatia, <strong>per</strong> cui circa un 30% di<br />

pazienti entro cinque anni mostra una progressione<br />

verso l’AIDS (23).<br />

Osservazioni cliniche ed epidemiologiche<br />

hanno indicato come in alcuni pazienti l’insorgenza<br />

dell’AIDS è preceduta <strong>da</strong> un quadro<br />

morboso, caratterizzato <strong>da</strong> PGL, febbre,<br />

sudorazioni notturne, <strong>per</strong>dita di peso,<br />

malessere e diarrea, come pure una riduzione<br />

nel numero dei linfociti T CD4 positivi,<br />

anergia cutanea e aumentati livelli di immunoglobuline<br />

(Tabella 4).<br />

Questo quadro è denominato “AIDS related<br />

complex” (ARC) e rientra nel sottotipo IV A.<br />

Pazienti con ARC presentano un numero maggiore<br />

di sintomi rispetto a quelli con solo PGL.<br />

Circa il 50% dei pazienti, infettati <strong>da</strong>l virus<br />

HIV, manifestano la sintomatologia dell’ARC<br />

cinque anni dopo il contagio con il virus (24).<br />

L’intervallo di tempo che intercorre fra la diagnosi<br />

di ARC e la presenza conclamata di<br />

AIDS è inferiore rispetto a quello dei pazienti<br />

con solo PGL (21).<br />

Il quadro istologico dei linfonodi biopsiati in<br />

corso di ARC è simile a quello dei pazienti<br />

con PGL ed evidenzia una marcata i<strong>per</strong>plasia<br />

follicolare o una combinazione di i<strong>per</strong>plasia<br />

follicolare ed involuzione (circa 1/3 dei casi).<br />

Tuttavia circa il 40% dei casi mostra una<br />

involuzione follicolare (25).<br />

I “Centers for Disease Control” nel 1986 (26)<br />

hanno definito i criteri <strong>per</strong> la definizione<br />

<strong>della</strong> diagnosi di AIDS (Tabelle 2 e 3).<br />

Al momento <strong>della</strong> formulazione <strong>della</strong> diagnosi<br />

di AIDS, una <strong>per</strong>centuale variabile di pazienti,<br />

circa il 40%, mostra, secondo alcuni studi, una<br />

positività <strong>per</strong> il p24 sierico; circa il 70% sono<br />

positivi <strong>per</strong> l’antigene HIV (27).<br />

I pazienti con AIDS hanno un rapporto<br />

CD4/CD8 che varia <strong>da</strong> 0.1 a 0.4 e molti<br />

hanno un conteggio di linfociti T CD4 positivi<br />

inferiore a 200/mm 3 (28).<br />

Clinicamente la maggior parte dei pazienti<br />

presenta febbre, dimagramento, candidosi<br />

orale e anergia cutanea (29).<br />

L’esame istologico dei linfonodi biopsiati in<br />

pazienti con AIDS evidenzia una involuzione<br />

follicolare o una deplezione linfocitaria (39).<br />

Tra i processi di natura maligna, il Sarcoma di<br />

Kaposi è la neoplasia di più frequente riscontro<br />

in corso di infezione <strong>da</strong> HIV ed è una delle<br />

lesioni più significative <strong>da</strong>l punto di vista diagnostico<br />

(31), mentre i linfomi non-Hodgkin<br />

sono le seconde neoplasie più frequenti in<br />

corso di AIDS e appartengono alle varianti<br />

istologiche di tipo diffuso e con caratteri di<br />

maggiore aggressività (32) (Figura 2).<br />

Dal momento <strong>della</strong> diagnosi di AIDS, la durata<br />

di vita di un paziente è approssimativamente<br />

di un anno. La sopravvivenza può essere<br />

tuttavia maggiore <strong>per</strong> quei pazienti con AIDS,<br />

a cui è stato diagnosticato un Sarcoma di<br />

Kaposi, senza che si siano presentate, entro tre<br />

mesi, altre <strong>manifestazioni</strong> <strong>della</strong> malattia. I<br />

pazienti, che dopo tre mesi <strong>da</strong>lla diagnosi, presentano<br />

<strong>manifestazioni</strong> multiple dell’AIDS<br />

hanno la prognosi peggiore (33).<br />

<strong>Le</strong> alterazioni <strong>ematologiche</strong><br />

È verosimile che le alterazioni <strong>ematologiche</strong><br />

negli individui affetti <strong>da</strong> infezione <strong>da</strong> HIV<br />

siano riconducibili a vari fattori:<br />

1. L’azione nociva diretta del HIV sulle cellule<br />

midollari e altre cellule accessorie <strong>della</strong><br />

matrice midollare, necessarie <strong>per</strong> l’emopoiesi.<br />

2. La disregolazione del sistema immune<br />

dell’ospite che porta alla distruzione o inibizione<br />

delle cellule emopoietche.<br />

3. Gli effetti secon<strong>da</strong>ri sia delle infezioni


104<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

opportunistiche che delle neoplasie e/o la<br />

terapia di queste complicanze.<br />

Di conseguenza non sorprende che le principali<br />

alterazioni <strong>ematologiche</strong> nei pazienti<br />

con infezione <strong>da</strong> HIV compren<strong>da</strong>no citopenie<br />

a carico dei globuli rossi, dei neutrofili,<br />

dei linfociti e piastrine, come pure una serie<br />

di gammopatie mono- e policlonali.<br />

Emopoiesi<br />

Nella malattia <strong>da</strong> HIV è di frequente riscontro<br />

la presenza di citopenia, spesso associata<br />

ad alterazioni morfologiche nel sangue <strong>per</strong>iferico<br />

e a livello midollare, indicative di una<br />

condizione di mielodisplasia.<br />

Studi sui progenitori emopoietici purificati<br />

(CD34 + ), come pure su colonie emopoietiche<br />

non hanno fornito risultati consistenti circa<br />

la presenza del DNA del HIV in questi tipi e<br />

linee cellulari, mentre vi sono indicazioni<br />

più concrete che il virus potrebbe essere presente<br />

in certi tipi cellulari, come megacariociti,<br />

in linee cellulari derivati <strong>da</strong> fibroblasti,<br />

nei promonociti, nei monociti/macrofagi e in<br />

cellule stromali (34-39).<br />

Nella patogenesi dell’AIDS, oltre alla deplezione<br />

dei linfociti CD4, i monociti/macrofagi<br />

sembrano essere bersagli privilegiati dell’infezione<br />

<strong>da</strong> HIV e rappresentano una fonte<br />

importante <strong>per</strong> la riproduzione virale in vivo<br />

(40). Il meccanismo di crescita appare assai<br />

diverso tra gli HIV che si moltiplicano nei<br />

linfociti e quelli che si moltiplicano nei<br />

macrofagi: in questi ultimi il virus provoca<br />

meno <strong>da</strong>nni e non dà luogo a “budding” sulla<br />

membrana cellulare, ma rimane localizzato<br />

in vacuoli costituiti <strong>da</strong> frammenti di Golgi.<br />

In pratica il macrofago si comporta come un<br />

“reservoir” o magazzino del virus. Macrofagi<br />

infettati <strong>da</strong>l HIV si trovano in gran numero<br />

nel cervello, nei linfonodi e nel midollo<br />

osseo. In quest’ultima sede i macrofagi possono<br />

esplicare notevole attività fagocitica<br />

(Figura 3).<br />

Ricerche in vitro (41) hanno dimostrato che,<br />

a seguito dell’infezione <strong>da</strong> parte del HIV dei<br />

monociti/macrofagi, viene stimolata la produzione<br />

di TNF-alfa, IL-1 beta, IL-6, IL-8,<br />

mentre l’espressione di M, G e GM CSF viene<br />

inibita, evidenziando così una disregolazione<br />

delle citochine proinfiammatorie ed emopoietiche<br />

<strong>da</strong> parte di questi tipi cellulari.<br />

Fra le cellule stromali, le cellule endoteliali<br />

microvascolari (MVEC) del midollo osseo<br />

sono state riscontrate infettate <strong>da</strong>l HIV nei<br />

soggetti sieropositivi, indipendentemente<br />

<strong>da</strong>llo stadio <strong>della</strong> malattia. Mentre la produzione<br />

costitutiva dei fattori di crescita emopoietica<br />

di queste cellule è normale, la produzione<br />

indotta <strong>da</strong> IL-1 di G-CSF e IL-6 è<br />

significativamente ridotta (42), indicando<br />

che l’infezione delle cellule endoteliali<br />

microvascolari riduce la capacità delle cellule<br />

stromali di rispondere adeguatamente ai<br />

segnali regolatori che normalmente aumentano<br />

la produzione di elementi emopoietici<br />

in caso di aumentato fabbisogno.<br />

Sono stati ipotizzati vari altri meccanismi<br />

indiretti <strong>per</strong> spiegare l’inibizione HIV mediata<br />

dell’emopoiesi.<br />

Una attività inibitrice <strong>da</strong> parte dell’involucro<br />

virale gp120 sulle colonie emopoietiche è<br />

stata osservata in vitro in alcuni studi (43) ma<br />

non in altri (44).<br />

Sono state prospettate altre attività soppressive<br />

dell’emopoiesi, ad esempio <strong>da</strong> parte dei<br />

linfociti T (45), degli anticorpi anti gp120<br />

(46) e di una glicoproteina prodotta <strong>da</strong> cellule<br />

midollari in coltura (47).<br />

Anche il prodotto genico virale tat sembra<br />

essere in grado di inibire cellule midollari in<br />

coltura, stimolando i macrofagi a produrre<br />

Figura 3.<br />

Intensa attività<br />

emofagocitica<br />

<strong>da</strong> parte<br />

di un macrofago<br />

nel midollo osseo<br />

di un paziente<br />

affetto <strong>da</strong> AIDS.<br />

Colorazione May<br />

Grunwald Giemsa<br />

(MGG).


Scripta MEDICA<br />

<strong>Le</strong> <strong>manifestazioni</strong> <strong>ematologiche</strong> <strong>della</strong> <strong>sindrome</strong> <strong>da</strong> immunodeficienza acquisita<br />

105<br />

Figura 4.<br />

Macrocitosi<br />

nei precursori<br />

eritroidi nel<br />

midollo osseo<br />

di paziente affetto<br />

<strong>da</strong> AIDS in corso<br />

di trattamento<br />

con zidovudine.<br />

Colorazione May<br />

Grunwald Giemsa.<br />

Figura 5.<br />

Aumento<br />

dei precursori<br />

eritroidi, spesso<br />

riuniti a nidi,<br />

come è chiaramente<br />

visibile<br />

nel caso<br />

illustrato,<br />

nel midollo osseo<br />

di un paziente<br />

con AIDS.<br />

Colorazione May<br />

Grunwald Giemsa.<br />

“transforming growth factor” un potente inibitore<br />

dell’emopoiesi (48).<br />

Un possibile meccanismo autoimmune,<br />

responsabile <strong>della</strong> distruzione dei granulociti<br />

neutrofili nel sangue <strong>per</strong>iferico è stato suggerito<br />

<strong>da</strong>lla presenza di immunoglobuline<br />

anti-neutrofili in circa il 67% dei pazienti<br />

con AIDS e ARC (49).<br />

Comunque, qualunque sia il meccanismo<br />

<strong>della</strong> citopenia associata all’AIDS, un incremento<br />

notevole e significativo dei granulociti<br />

neutrofili può essere ottenuto nei pazienti<br />

affetti <strong>da</strong> AIDS, in seguito all’impiego del fattore<br />

ricombinante GM-CSF o G-CSF (50), suggerendo<br />

in tal modo che le cellule mieloidi<br />

progenitrici competenti con capacità di differenziazione<br />

<strong>per</strong>mangono anche nei pazienti<br />

con gradi avanzati di immunodeficienza.<br />

L’anemia e le alterazioni<br />

dei globuli rossi<br />

Anemia è presente nella stragrande maggioranza<br />

dei pazienti infettati <strong>da</strong> HIV in una<br />

qualsiasi fase <strong>della</strong> loro malattia. Sia l’incidenza<br />

che il grado di anemia sembrano essere<br />

direttamente rapportabili alla gravità <strong>della</strong><br />

<strong>sindrome</strong> clinica (51).<br />

Quando alla malattia <strong>da</strong> HIV si sovrappongono<br />

infezioni opportunistiche, l’anemia è<br />

riscontrabile nel 70-95% dei pazienti con<br />

livelli medi di emoglobina tra 9.7 e 11.7 g/dl,<br />

rispetto ad un 36% nei pazienti senza complicanze<br />

infettive concomitanti (52).<br />

Tuttavia anche nei pazienti asintomatici e in<br />

quelli che presentano sintomi minimi una<br />

lieve ma significativa riduzione nel livello<br />

dell’emoglobina è riscontrabile nel 15-20%<br />

dei pazienti (51). L’anemia e la granulocitopenia<br />

tendono ad avere un comportamento<br />

parallelo: pazienti con un ematocrito inferiore<br />

a 40, hanno livelli di globuli bianchi inferiori<br />

a 1.4 x 10 3 /µl (51).<br />

L’anemia nei pazienti infettati <strong>da</strong> HIV, non<br />

sottoposti a terapia antiretrovirale con zidovudine<br />

o altri farmaci è tipicamente nomocromica<br />

e normocitica, sebbene possa essere<br />

osservato un grado modesto di anisocitosi e<br />

poichilocitosi (53). Macrocitosi è invece<br />

riscontrabile in molti dei pazienti trattati con<br />

zidovudine (54) (Figura 4).<br />

Il riscontro a livello midollare di un aumento<br />

dei precursori eritroidi, in associazione<br />

con un grado variabile di diseritropoiesi,<br />

suggerisce che alla base dell’anemia nell’AIDS<br />

sia presente una eritropoiesi inefficace<br />

(51, 55) (Figura 5).<br />

I livelli sierici di eritropoietina nei pazienti<br />

con anemia <strong>da</strong> HIV possono essere aumentati<br />

(56) o diminuiti (57); in uno studio su 29<br />

pazienti con AIDS, 22 avevano livelli ridotti<br />

di eritropoietina (57).<br />

Pazienti, trattati con zidovudine, con livelli<br />

pretrattamento ridotti di eritropoietina<br />

(


106<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

rispondono meglio alla terapia con eritropoietina,<br />

come dimostrano gli aumenti dell’ematocrito<br />

ed il ridotto fabbisogno di trasfusioni<br />

(57).<br />

I depositi di ferro nei pazienti anemici con<br />

infezione <strong>da</strong> HIV sono normali o aumentati e<br />

gli indici del metabolismo del ferro sono<br />

simili a quelli riscontrabili nell’anemia delle<br />

malattie croniche, nelle quali la sideremia è<br />

ridotta, ma i livelli di trasferrina e ferritina<br />

sierica sono elevati (58).<br />

Livelli sierici ridotti di vitamina B 12 sono<br />

stati osservati in circa il 7-20% dei pazienti<br />

con AIDS, anche se ciò non comporta la<br />

comparsa di granulociti neutrofili i<strong>per</strong>segmentati,<br />

di macrocitosi dei globuli rossi e<br />

alterazioni megaloblastiche a livello del<br />

midollo osseo (59).<br />

Una <strong>per</strong>centuale lievemente maggiore di<br />

pazienti (>20%) con deficienza di vitamina<br />

B 12 è stata osservata in soggetti infettati <strong>da</strong><br />

HIV, ricoverati in ospe<strong>da</strong>le <strong>per</strong> il riscontro di<br />

neuropatia <strong>per</strong>iferica (60).<br />

Clinicamente, livelli ridotti di vitamina B 12<br />

potrebbero aumentare la tossicità ematologica,<br />

conseguente alla terapia con zidovudune (61).<br />

È improbabile che un’emolisi autoimmune<br />

possa contribuire in maniera significativa<br />

alla patogenesi dell’anemia nei pazienti con<br />

AIDS, sebbene una positività del test diretto<br />

dell’antiglobulina sia presente in circa il 20-<br />

43% dei pazienti ricoverati in ospe<strong>da</strong>le (62)<br />

e nel 8% dei soggetti asintomatici (63).<br />

Ciò può dipendere <strong>da</strong>lla presenza di IgG o<br />

complemento sulla su<strong>per</strong>ficie dei globuli<br />

rossi. Sebbene anticorpi specifici diretti<br />

contro un antigene fosfolipidico presente<br />

sui globuli rossi possa essere responsabile<br />

<strong>della</strong> positività del test dell’antiglobulina, è<br />

probabile che in molti pazienti la positività<br />

del test dell’antiglobulina dipen<strong>da</strong> <strong>da</strong>lla<br />

deposizione non specifica sulla su<strong>per</strong>ficie<br />

dei globuli rossi di immunocomplessi circolanti<br />

(64).<br />

Come già si è detto, la leucopenia è frequente<br />

nei soggetti infettati <strong>da</strong> HIV e la sua incidenza<br />

è rapportabile alla gravità <strong>della</strong> <strong>sindrome</strong><br />

clinica.<br />

Circa il 57-85% dei pazienti con AIDS (65) e<br />

circa il 10-21% dei pazienti con ARC (52)<br />

sono leucopenici, mentre solo il 5% dei soggetti<br />

asintomatici sieropositivi presentano<br />

livelli ridotti di leucociti (52). La leucopenia<br />

tipicamente interessa linfociti e granulociti<br />

neutrofili, sebbene una riduzione nel numero<br />

dei monociti è stata osservata nel 8-75%<br />

dei pazienti affetti <strong>da</strong> AIDS (53).<br />

Nei pazienti in stadi avanzati di immunodeficienza,<br />

tutte le sottopopolazioni linfocitarie<br />

sono ridotte, Tuttavia, come già ripetutamente<br />

accennato, una diminuzione nel numero<br />

Figura 6.<br />

Aspetti<br />

spiccatamente<br />

displastici<br />

a carico<br />

degli elementi<br />

<strong>della</strong> serie<br />

granulocitica<br />

nel midollo osseo<br />

in corso di AIDS.<br />

Colorazione May<br />

Grunwald Giemsa.<br />

Figura 7.<br />

Intensa reazione<br />

<strong>per</strong>ossi<strong>da</strong>sica<br />

nei granulociti<br />

neutrofili<br />

nel sangue<br />

<strong>per</strong>iferico<br />

di un paziente<br />

con AIDS.<br />

La leucopenia e le alterazioni<br />

dei globuli bianchi


Scripta MEDICA<br />

<strong>Le</strong> <strong>manifestazioni</strong> <strong>ematologiche</strong> <strong>della</strong> <strong>sindrome</strong> <strong>da</strong> immunodeficienza acquisita<br />

107<br />

Figura 8.<br />

Fenomeni<br />

di vacuolizzazione<br />

e fagocitosi<br />

nei monociti<br />

nel sangue<br />

<strong>per</strong>iferico di un<br />

paziente HIV-1<br />

positivo.<br />

Colorazione May<br />

Grunwald Giemsa.<br />

assoluto dei linfocti T CD4 + costituisce una<br />

delle più precoci anomalie immunologiche<br />

dell’infezione <strong>da</strong> HIV ed il numero di queste<br />

cellule tende a diminuire progressivamente<br />

nel tempo (66).<br />

Sono stare descritte alcune alterazioni morfologiche,<br />

a volte anche marcate, nei leucociti<br />

del sangue <strong>per</strong>iferico e del midollo osseo<br />

(Figura 6).<br />

I granulociti neutrofili possono mostrare iposegmentazione<br />

nucleare, con uno spostamento<br />

a sinistra <strong>della</strong> formula di Arneth, come<br />

pure possono essere presenti granulociti neutrofili<br />

con l’anomalia di Pelger-Huet (67).<br />

Inoltre i granulociti neutrofili possono essere<br />

aumentati di volume, presentare una maggiore<br />

ricchezza di granulazioni citoplasmatiche e<br />

un incremento dell’attività <strong>per</strong>ossi<strong>da</strong>sica (68)<br />

(Figura 7).<br />

Alterazioni morfologiche non specifiche dei<br />

leucociti comprendono fenomeni di vacuolizzazione<br />

dei monociti (Figura 8), e atipie<br />

nei linfociti, specialmente in pazienti linfopenici<br />

(53).<br />

Sebbene le alterazioni mielodisplastiche<br />

siano frequenti, non sembra che esse possano<br />

configurare una <strong>sindrome</strong> preleucemica<br />

(69) e infatti sono stati descritti solo rari casi<br />

di leucemia mieloide acuta, insorti <strong>da</strong> una<br />

pregressa situazione mielodisplastica in<br />

pazienti infettati <strong>da</strong> HIV (70).<br />

La trombocitopenia<br />

La trombocitopenia è una frequente complicazione<br />

dell’infezione <strong>da</strong> HIV (71).<br />

La trombocitopenia, definita come conteggio<br />

piastrinico inferiore a 100.000/mm 3 è stata<br />

osservata in circa il 3-8% degli individui sieropositivi<br />

(72) e nel 30-45% dei pazienti con<br />

AIDS (73).<br />

Una trombocitopenia è stata descritta occasionalmente<br />

anche in soggetti asintomatici,<br />

come manifestazione iniziale dell’infezione<br />

<strong>da</strong> HIV. Durante l’infezione acuta <strong>da</strong> HIV è<br />

stata riscontrata la presenza di trombocitopenia,<br />

come parte del quadro clinico <strong>della</strong> <strong>sindrome</strong><br />

acuta (74).<br />

Il grado di trombocitopenia nell’infezione <strong>da</strong><br />

HIV è in genere <strong>da</strong> lieve a moderato, con<br />

livelli di piastrine che variano <strong>da</strong> 43.000 a<br />

57.000/mm 3 , sebbene siano state segnalate<br />

anche piastrinopenie dell’ordine di <<br />

10.000/mm 3 (75).<br />

Complicanze emorragiche gravi, con elevato<br />

rischio di esito letale, si possono verificare a<br />

livello del sistema nervoso centrale in soggetti<br />

emofilici, affetti <strong>da</strong> infezione <strong>da</strong> HIV, in<br />

presenza di livelli di piastrine attorno ai<br />

50.000/mm 3 (76).<br />

In circa il 60% dei casi, a differenza di quanto<br />

è <strong>da</strong>to di osservare nella porpora trombocitopenica<br />

idiopatica (PTI), nei pazienti affetti <strong>da</strong><br />

infezione <strong>da</strong> HIV, la trombocitopenia è spesso<br />

associata ad altre alterazioni <strong>ematologiche</strong>,<br />

come neutropenia con o senza anemia (51).<br />

La presenza o l’assenza di trombocitopenia<br />

nei soggetti sieropositivi non sembra rivestire<br />

un significato prognostico particolare <strong>per</strong><br />

quanto riguar<strong>da</strong> la progressione verso la<br />

forma conclamata di AIDS; infatti in circa<br />

l’11-50% dei pazienti la trombocitopenia<br />

può regredire spontaneamente (77).<br />

Il meccanismo <strong>della</strong> trombocitopenia nell’infezione<br />

<strong>da</strong> HIV sembra dipendere sia <strong>da</strong> una<br />

aumentata distruzione, sia <strong>da</strong> una inefficace<br />

produzione di piastrine.<br />

Studi di cinetica piastrinica hanno evidenziato<br />

una durata di vita piastrinica ridotta<br />

rispetto ai controlli normali sia nei pazienti<br />

non trattati, sia in quelli sottoposti a terapia<br />

con zidovudine (78).<br />

Sebbene oggetto di controversie, l’elevata


108<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

risposta terapeutica alla splenectomia sembra<br />

suggerire che la milza sia una sede<br />

importante di sequestro e/o distruzione di<br />

piastrine (79).<br />

Recenti ricerche (80) hanno confermato l’efficacia<br />

<strong>della</strong> splenectomia nei pazienti trombocitopenici<br />

infettati <strong>da</strong> HIV e hanno dimostrato<br />

che la terapia antiretrovirale HAART<br />

(highly active antiretroviral therapy) può indurre<br />

un aumento dei livelli piastrinici.<br />

La diminuzione <strong>della</strong> durata di vita piastrinica<br />

è verosimilmente immunologicamente<br />

mediata.<br />

Nella trombocitopenia secon<strong>da</strong>ria all’infezione<br />

<strong>da</strong> HIV, vi è un notevole aumento dell’immunoglobulina<br />

e complemento associate alle<br />

piastrine e degli immunocomplessi circolanti<br />

fino a livelli <strong>da</strong> 2 a 4 volte su<strong>per</strong>iori a quelli<br />

rilevati nella PTI (81).<br />

Un’analisi degli immunocomplessi circolanti<br />

e di quelli legati alle piastrine ha evidenziato<br />

la presenza di anticorpi anti-idiotipici diretti<br />

nei confronti degli anticorpi anti-glicoproteina<br />

gp 120 del virus HIV (82).<br />

I megacariociti sono caratteristicamente<br />

displastici (83) (Figura 9) e le piastrine circolanti<br />

hanno un volume ridotto, in maniera<br />

analoga a quanto avviene <strong>per</strong> le piastrine<br />

nelle sindromi mielodisplastiche (84).<br />

Numerose ricerche sembrano suggerire che<br />

la displasia dei megacariociti sia la conseguenza<br />

di una diretta infezione di queste cellule<br />

<strong>da</strong> parte del HIV (85).<br />

È stato dimostrato che i megacariociti esprimono<br />

CD4 sulla su<strong>per</strong>ficie cellulare e sono<br />

<strong>per</strong>tanto in grado di legarsi con l’HIV (86).<br />

Studi su megacariociti prelevati direttamente<br />

<strong>da</strong> pazienti affetti <strong>da</strong> infezione <strong>da</strong> HIV hanno<br />

mostrato la presenza di RNA virale mediante<br />

la tecnica dell’ibridizzazione in situ e di proteine<br />

virali mediante immunofluorescenza,<br />

indicando quindi che queste cellule sono<br />

infettate in vivo (87, 88).<br />

Pertanto, contrariamente agli altri progenitori<br />

emopoietici, appare sempre più verosimile<br />

che il virus colpisca e infetti direttamente i<br />

megacariociti, contribuisca a <strong>da</strong>re luogo ad<br />

una trombopoiesi inefficace e, in associazione<br />

a risposte immuni antivirali, determini la<br />

comparsa di trombocitopenia in una <strong>per</strong>centuale<br />

variabile di pazienti.<br />

L’esame del midollo osseo<br />

Spesso si riscontra una certa difficoltà nell’ottenere<br />

materiale midollare mediante mieloaspirazione<br />

e gli strisci e le apposizioni sui<br />

vetrini appaiono poveri di cellule.<br />

La difficoltà nell’ottenere materiale midollare<br />

mediante aspirazione è dovuta ad un aumento<br />

<strong>della</strong> fibrosi reticolare a livello del midollo<br />

osseo (Figura 10).<br />

Pertanto la vera densità cellulare del midollo<br />

si apprezza in maniera molto più esatta e<br />

precisa, ricorrendo alla biopsia osteo-midollare<br />

secondo la tecnica “core biopsy” con ago<br />

di Jamshidi o similari. Mediante questa tecnica<br />

il midollo si dimostra i<strong>per</strong>cellulare nella<br />

maggior parte dei pazienti infettati <strong>da</strong> HIV.<br />

L’i<strong>per</strong>cellularità del midollo, in concomitanza<br />

con la citopenia <strong>per</strong>iferica, è caratteristicamente<br />

espressione di una emopoiesi inefficace.<br />

Infatti vi è una diretta correlazione<br />

fra la presenza di alterazioni displastiche a<br />

livello midollare e la presenza nel sangue<br />

<strong>per</strong>iferico di anemia e leucopenia (52, 53)<br />

(Tabella 5).<br />

Una ipoplasia <strong>della</strong> serie eritrocitaria è stata<br />

osservata in pazienti con infezione <strong>da</strong> HIV, in<br />

cui era contemporaneamente presente un’infezione<br />

con B19 parvovirus o infezione disseminata<br />

con Mycobacterium avium (89).<br />

Una grave ipoplasia eritroide è stata anche<br />

riscontrata in pazienti sottoposti a terapia<br />

con zidovudine.<br />

Figura 9.<br />

Aspetti displastici<br />

nei megacariociti<br />

presenti<br />

nel midollo osseo<br />

di un paziente<br />

con AIDS.<br />

Colorazione May<br />

Grunwald Giemsa.


Scripta MEDICA<br />

<strong>Le</strong> <strong>manifestazioni</strong> <strong>ematologiche</strong> <strong>della</strong> <strong>sindrome</strong> <strong>da</strong> immunodeficienza acquisita<br />

109<br />

Figura 10.<br />

Marcato aumento<br />

delle fibre<br />

reticolari<br />

nel midollo osseo<br />

di un paziente HIV<br />

positivo. Reazione<br />

di impregnazione<br />

argentica<br />

di Gomori.<br />

Studi di microscopia elettronica sulle cellule<br />

midollari di pazienti HIV positivi hanno evidenziato<br />

alterazioni strutturali e morfologiche<br />

negli eritrociti, nei granulociti, nelle plasmacellule<br />

e anche negli elementi cellulari<br />

stromali, attribuibili agli effetti lesivi diretti<br />

dell’infezione <strong>da</strong> HIV. Non sono state identificate<br />

particelle virali a livello ultrastrutturale,<br />

sebbene non si possa escludere la presenza<br />

di particelle virali incomplete.<br />

<strong>Le</strong> alterazioni delle cellule stromali confermano,<br />

anche in base agli studi di microscopia<br />

elettronica, come esse potrebbero condizionare<br />

alterazioni nella regolazione a livello<br />

microambientale dell’emopoiesi con conseguente<br />

citopenia. Lo studio morfologico del<br />

midollo osseo nella malattia <strong>da</strong> HIV mostra<br />

un aumento degli istiociti, con frequenti<br />

fenomeni di emofagocitosi (Figura 3).<br />

In molti pazienti l’aumento nel numero degli<br />

istiociti non è rapportabile ad alcuna causa<br />

infettiva aggiuntiva ed è <strong>per</strong>tanto probabile<br />

che sia l’HIV stesso responsabile <strong>della</strong> proliferazione<br />

istiocitaria e <strong>della</strong> fagocitosi, conseguente<br />

ad una produzione di citochine che<br />

stimolano specificamente i macrofagi. Anche<br />

le plasmacellule sono significativamente<br />

aumentate di numero nel midollo osseo di<br />

pazienti HIV positivi (Figura 11).<br />

Esse potrebbero rappresentare una risposta<br />

fisiologica ad una stimolazione antigenica<br />

indotta <strong>da</strong>ll’infezione <strong>da</strong> parte del virus o<br />

altri agenti batterici, oppure l’aumento delle<br />

plasmacellule potrebbe essere secon<strong>da</strong>rio ad<br />

una disregolazione nella proliferazione B-cellulare,<br />

dovuta al HIV. Spesso le plasmacellule<br />

sono morfologicamente atipiche e sono a<br />

volte riunite in nidi. Paraproteinemia è pre-<br />

Tabella 5.<br />

Re<strong>per</strong>ti midollari<br />

nella malattia<br />

<strong>da</strong> HIV.<br />

DISPLASIA:<br />

70% dei midolli mostrano alterazioni displastiche, displasia eritroide è presente nel 60% dei casi,<br />

displasia granulocitica è riscontrabile nel 20-30%, displasia dei megacariociti si osserva nel 30%;<br />

CELLULARITÀ:<br />

aumentata nel 50% dei casi, ipocellulare nel 15% dei casi;<br />

FIBROSI:<br />

presente nel 20-50% delle biopsie osteomidollari <strong>per</strong> cui spesso l’agoaspirazione è difficoltosa;<br />

BLOCCO RETICOLO ENDOTELIALE DEL FERRO:<br />

alterazioni simili a quelle riscontrabili nell’anemia delle malattie croniche;<br />

ISTIOCITI:<br />

aumentati di numero: possono presentare fenomeni di emofagocitosi;<br />

PLASMACELLULE:<br />

aumentate numericamente e spesso morfologicamente atipiche;<br />

INFEZIONI OPPORTUNISTICHE:<br />

colture del midollo o l’esame degli strisci di midollo possono evidenziare la presenza di bacilli acido resistenti<br />

di leishmania histoplasma, pneumocistis e criptococcus;<br />

GRANULOMI:<br />

presenti nelle infezioni con bacilli acido-resistenti;<br />

AGGREGATI LINFOIDI:<br />

noduli benigni;<br />

LINFOMI NON HODGKIN (LNH):<br />

20-30% dei pazienti con LNH mostrano interessamento midollare.


110<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

sente in circa il 9% de soggetti sieropositivi.<br />

Alcune delle paraproteine presentano una<br />

attività diretta contro i prodotti genici gap e<br />

pol del HIV e potrebbero quindi rappresentare<br />

una vigorosa risposta immune all’infezione<br />

<strong>da</strong> HIV (52, 53, 65, 90).<br />

Anomalie <strong>della</strong> coagulazione<br />

<strong>Le</strong> anomalie <strong>della</strong> coagulazione in pazienti<br />

infettati <strong>da</strong> HIV costituiscono solo un re<strong>per</strong>to<br />

di laboratorio, <strong>per</strong>chè non si associano<br />

quasi mai a <strong>manifestazioni</strong> emorragiche o a<br />

complicanze trombotiche (91).<br />

La presenza di un anticoagulante circolante<br />

(ACC) di tipo antiprotrombinasi (APT) o<br />

lipidico è stata riscontrata <strong>per</strong> la prima volta<br />

nel 1986 (92) e successivamente confermata<br />

in altri studi (93, 94). La presenza di questa<br />

anomalia è estremamente variabile, <strong>da</strong>l 20 al<br />

50% a secon<strong>da</strong> delle casistiche e delle metodiche<br />

di studio utilizzate.<br />

Anticorpi anticardiolipina sono pure stati<br />

riscontrati nella malattia <strong>da</strong> HIV con una frequenza<br />

molto elevata; tuttavia la loro presenza<br />

non è sempre correlata a quella degli anticoagulanti<br />

di tipo lipidico (95).<br />

Linfomi- AIDS associati<br />

Pazienti affetti <strong>da</strong> AIDS hanno una aumentata<br />

suscettibilità a sviluppare un Linfoma<br />

non-Hodgkin (LNH) a B-cellule, clinicamente<br />

molto aggressivo (96). Si ritiene comunemente<br />

che circa il 5-10% dei pazienti infettati<br />

<strong>da</strong> HIV è colpita <strong>da</strong> questa complicazione<br />

o trasformazione maligna.<br />

Salvo alcune eccezioni, la cellula B neoplastica<br />

non sembra sia direttamente infettata <strong>da</strong>l<br />

HIV, ma si ritiene più verosimile che il virus<br />

agisca attraverso meccanismi indiretti (97).<br />

La trasformazione maligna è il risultato finale<br />

di una sequenza di alterazioni genetiche<br />

che si verificano nel contesto di una popolazione<br />

proliferante<br />

Soggetti immunocompromessi non affetti <strong>da</strong><br />

infezione <strong>da</strong> HIV, sono maggiormente soggetti<br />

a sviluppare un LNH (98), indicando<br />

che l’immunodeficienza di <strong>per</strong> sé facilita la<br />

trasformazione neoplastica. Tuttavia i LNH<br />

che insorgono in pazienti trapiantati e sottoposti<br />

a terapia immunosopressiva sono in<br />

genere rappresentati <strong>da</strong> forme di tipo immunoblastico<br />

a grandi cellule, ma non <strong>da</strong>lla<br />

variante istologica tipo Burkitt (99).<br />

Questo fatto sta ad indicare che la terapia<br />

immunosopressiva <strong>da</strong> sola è insufficiente a<br />

determinare lo sviluppo di un LNH-AIDS<br />

associato tipo Burkitt (Figure 12 e 13).<br />

I linfomi AIDS associati hanno alcuni caratteri<br />

distintivi, come un decorso particolarmente<br />

aggressivo, un coinvolgimento extra-<br />

Figura 11.<br />

Numerose<br />

plasmacellule<br />

reattive<br />

nel midollo osseo<br />

in corso di AIDS.<br />

Colorazione May<br />

Grunwald Giemsa.<br />

Figura 12.<br />

Sezione istologica a<br />

piccolo ingrandimento<br />

di un linfonodo<br />

in un caso di linfoma<br />

di Burkitt AIDS<br />

associato.<br />

Caratteristico<br />

l'aspetto a cielo<br />

stellato macrofagico,<br />

dovuto alla<br />

presenza di cellule<br />

macrofagiche che<br />

hanno fagocitato<br />

i corpi apoptotici.<br />

Ematossilina Eosina.


Scripta MEDICA<br />

<strong>Le</strong> <strong>manifestazioni</strong> <strong>ematologiche</strong> <strong>della</strong> <strong>sindrome</strong> <strong>da</strong> immunodeficienza acquisita<br />

111<br />

Figura 13.<br />

Sezione<br />

a più forte<br />

ingrandimento<br />

del caso<br />

precedente.<br />

Ematossilina<br />

Eosina.<br />

no<strong>da</strong>le frequente, una elevata incidenza di<br />

negatività <strong>per</strong> il virus di Epstein-Barr (EBV) e<br />

una combinazione eterogenea di alterazioni<br />

genetiche che condizionano l’esistenza di<br />

meccanismi oncogenici peculiari all’infezione<br />

<strong>da</strong> HIV.<br />

<strong>Le</strong> sedi più comuni di coinvolgimento extrano<strong>da</strong>le<br />

sono il tratto gastro-intestinale, il<br />

fegato, il midollo osseo, le meningi <strong>per</strong> i<br />

LNH sistemici, ed i manicotti <strong>per</strong>ivascolari<br />

nel parenchima del cervello <strong>per</strong> quello che<br />

riguar<strong>da</strong> il LNH primitivo del cervello (100).<br />

Istologicamente (42), la maggior parte dei<br />

linfomi-AIDS associati sistemici consiste di<br />

tre principali sottotipi:<br />

a) I linfomi a piccole cellule non clivate<br />

(small noncleaved cell lymphomas: SNCCL),<br />

ad alto grado di malignità;<br />

b) I linfomi immunoblastici a grandi cellule<br />

(immunoblastic lymphomas: IBL);<br />

c) I linfomi a grandi cellule non clivate<br />

(large noncleaved cell lymphomas; LNCCL),<br />

a grado intermedio di malignità.<br />

A causa del loro decorso clinico aggressivo<br />

i LNCCL sono stati inclusi <strong>da</strong>l punto<br />

di vista funzionale insieme con i linfomi<br />

immunoblastici nella categoria dei linfomi<br />

diffusi a grandi cellule (diffuse large<br />

cell lymphomas; DLCL).<br />

Fra i linfomi di grado intermedio sono compresi<br />

anche i linfomi anaplastici CD30 + , i<br />

linfomi delle cavità o dei versamenti primitivi<br />

(body-cavity-based or primary effusion<br />

lymphomas: BCBL/PEL) ed i linfomi plasmoblastici<br />

(PBL).<br />

Mentre i linfomi che insorgono in soggetti<br />

immunocompromessi, a seguito di trapianto,<br />

sono invariabilmente associati alla presenza<br />

di EBV, solo la metà circa dei LNH-AIDS<br />

associati sono positivi <strong>per</strong> EBV (97, 101).<br />

Approssimativamente il 30% dei linfomi a piccole<br />

cellule non clivate (SNCCL), tipo Burkitt o<br />

Burkitt simili sono positivi <strong>per</strong> l’EBV mentre gli<br />

antigeni trasformanti EBNA-2 e LMP-1 non<br />

sono espressi (102).<br />

L’incidenza dell’EBV fra i linfomi a grandi cellule<br />

è di circa il 60-70% e di 100% <strong>per</strong> i linfomi<br />

immunoblastici, nei quali EBNA-2 e LMP-<br />

1 sono espressi.<br />

L’incidenza di EBV nei linfomi a grandi cellule<br />

non clivate (LNCCL), che hanno un <strong>per</strong>iodo<br />

di latenza simile a quello dei SNCCL è molto<br />

più basso. I linfomi primitivi del sistema nervoso<br />

centrale, che istologicamente sono del<br />

sottotipo immunoblastico ad alto grado di<br />

malignità sono sempre EBV infetti con un<br />

<strong>per</strong>iodo di latenza caratterizzato <strong>da</strong>ll’espressione<br />

di EBNA-2 e LMP-1 (103).<br />

È verosimile che l’EBV possa giocare un<br />

ruolo importante nella patogenesi dei LNH-<br />

AIDS associati EBV + , così come avviene nei<br />

LNH post-trapianto. Tuttavia l’elevata frequenza<br />

di LNH-AIDS associati EBV negativi<br />

sta ad indicare che fattori addizionali debbono<br />

entrare in gioco nello sviluppo di un<br />

LNH-AIDS associato. <strong>Le</strong> lesioni genetiche<br />

dei LNH-AIDS associati sono notevolmente<br />

eterogenee e tendono a diversificarsi a<br />

secon<strong>da</strong> del sottotipo istologico.<br />

Per esempio un riarrangiamento del gene c-<br />

myc è presente in <strong>tutti</strong> i linfomi a piccole cellule<br />

non clivate (SNCCL), tipo Burkitt o<br />

Burkitt simili, ma è presente solo in un quarto<br />

dei linfomi diffusi a grandi cellule (DLCL)<br />

ed è assente nei linfomi primitivi del sistema<br />

nervoso centrale (104).<br />

Inattivazione del “tumor suppressor gene“ p53<br />

è presente nel 60% dei SNCCL ma è riscontrabile<br />

solo in una piccola <strong>per</strong>centuale di<br />

DLCL (104), mentre riarrangiamento del<br />

gene BCL-6 è presente esclusivamente nei<br />

DLCL (105).


112<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

I “PEL” non presentano in genere nessuna<br />

delle alterazioni genetiche descritte, ma sono<br />

costantemente infettate <strong>da</strong> HHV-8 (Herpes<br />

virus) (106).<br />

L’elevato grado di eterogeneità clinica e molecolare<br />

osservato nei linfomi-AIDS associati<br />

presuppone l’esistenza di molteplici fattori<br />

che o<strong>per</strong>ano nel determinare l’insorgenza di<br />

uno dei vari sottotipi di linfomi.<br />

In particolare questi fattori si possono ricondurre<br />

a:<br />

1) una cronica stimolazione immunologica<br />

e attivazione policlonale B-cellulare;<br />

2) ad una disregolata produzione di citochine;<br />

3) ad una inadeguata sorveglianza<br />

immunologica <strong>per</strong> le neoplasie e<br />

4) a infezione con agenti potenzialmente<br />

oncogeni, come EBV e HHV (107).<br />

Nella patogenesi dei LNH-AIDS associati<br />

l’infezione delle cellule stromali (accessory<br />

cells) non maligne sembra abbia un ruolo<br />

determinante nell’indurre alterazioni del<br />

microambiente, che a loro volta favorirebbero<br />

lo sviluppo di un linfoma.<br />

Il concetto che l’infezione virale di una cellula<br />

stromale possa promuovere la proliferazione<br />

maligna di un certo tipo cellulare è stato<br />

proposto <strong>per</strong> spiegare la proliferazione delle<br />

plasmacellule nel mieloma multiplo (108).<br />

Questo studio ha stabilito l’esistenza di un<br />

diretto rapporto fra plasmocitoma e infezione<br />

delle cellule dendritiche <strong>da</strong> parte del<br />

HHV-8 Herpes virus.<br />

Poichè le cellule dendritiche hanno un ruolo<br />

importante nella proliferazione e differenziazione<br />

dei B-linfociti, è stato ipotizzato che<br />

l’infezione <strong>da</strong> parte del HHV-8 Herpes virus<br />

delle cellule dendritiche possa contribuire<br />

allo sviluppo del plasmocitoma attraverso<br />

l’espressione di geni virali che favoriscono la<br />

trasformazione e proliferazione delle plasmacellule<br />

maligne. L’infezione <strong>da</strong> parte del HIV,<br />

a livello delle localizzazioni extrano<strong>da</strong>li,<br />

delle cellule stromali, dotate <strong>della</strong> capacità di<br />

influenzare lo sviluppo e proliferazione B-<br />

cellulare potrebbe, in maniera analoga a<br />

quanto osservato nel plasmocitoma, contribuire<br />

alla trasformazione maligna B-cellulare<br />

nei linfomi-AIDS associati.<br />

Secondo alcuni studi (109) le cellule stromali<br />

del midollo osseo favoriscono la proliferazione<br />

e crescita dei B-linfociti normali e leucemici<br />

attraverso meccanismi che richiedono<br />

il legame delle popolazioni cellulari attraverso<br />

interazioni fra molecole di adesione e<br />

ligandi, come VCAM-1/VLA-4 e ICAM-1/<br />

LFA-1 (110).<br />

Mediante il loro legame con le cellule stromali,<br />

le cellule B inducono la fosforilazione<br />

<strong>della</strong> tirosina di numerose proteine nelle cellule<br />

stromali, e cosa ancora più importante,<br />

il rilascio di IL-6 (111).<br />

<strong>Le</strong> cellule endoteliali microvascolari (MVEC)<br />

dello stroma, come pure i fibroblasti, svolgono<br />

una funzione di supporto <strong>per</strong> la proliferazione<br />

B-cellulare (112).<br />

Alcune ricerche hanno dimostrato che la coltura<br />

di MVEC, derivate <strong>da</strong>l midollo osseo di<br />

pazienti affetti <strong>da</strong> AIDS e portatori di LNH a<br />

B-cellule favorisce la crescita e sopravvivenza<br />

di B-cellule maligne autologhe stroma dipendenti<br />

(113).<br />

Questi fenomeni, in base allo studio citato, si<br />

verificano nei LNH sia a grandi che a piccole<br />

cellule B non clivate e sono presenti nei<br />

linfomi sia EBV positivi che negativi.<br />

L’importanza del ruolo delle MVEC infettate<br />

<strong>da</strong>l virus HIV è stato dimostrato chiaramente<br />

in recenti studi (42), che hanno evidenziato<br />

come le MVEC normali del sistema<br />

nervoso centrale, coltivate in vitro,<br />

influenzino scarsamente l’adesione e proliferazione<br />

delle cellule B linfomatose, addizionate<br />

alla coltura.<br />

Per contro, l’infezione HIV indotta delle<br />

MVEC cerebrali aumenta drasticamente l’adesione<br />

e proliferazione delle cellule B linfomatose<br />

presenti nella coltura.<br />

Tutti questi studi starebbero a dimostrare che<br />

l’infezione <strong>da</strong> HIV altera le caratteristiche del<br />

microambiente stromale, che diventa così<br />

terreno favorevole <strong>per</strong> lo sviluppo e la proliferazione<br />

dei linfomi B-cellulari.<br />

Interazioni tra la molecola di adesione<br />

VCAM-1 e l’integrina B-cellulare VLA-4 sembrano<br />

esercitare una funzione importante<br />

nell’adesione delle cellule B alle MVEC e ad<br />

altre cellule stromali, con la conseguente<br />

implicazione che VCAM-1 è un potenziale<br />

mediatore dell’aumentata adesione delle cellule<br />

B linfomatose (114).


Scripta MEDICA<br />

<strong>Le</strong> <strong>manifestazioni</strong> <strong>ematologiche</strong> <strong>della</strong> <strong>sindrome</strong> <strong>da</strong> immunodeficienza acquisita<br />

113<br />

A questo proposito sembra che in vivo l’interazione<br />

delle MVEC, infettate <strong>da</strong>l HIV, con<br />

altre cellule stromali può indurre l’espressione<br />

<strong>della</strong> molecola di adesione VCAM-1 e<br />

creare quindi un microambiente che favorisce<br />

l’adesione e proliferazione delle cellule B<br />

maligne.<br />

In conclusione si ritiene che nel soggetto<br />

infettato <strong>da</strong>l virus HIV, a seguito di vari eventi<br />

combinati, come la immunodeficienza<br />

generalizzata, la stimolazione cronica B cellulare,<br />

la diminuita sorveglianza immunologica<br />

nei confronti delle neoplasie e la coinfezione<br />

con virus oncogeni, si instaura una<br />

condizione favorevole alla trasformazione<br />

maligna e proliferazione delle cellule B, che<br />

non sono direttamente infettate <strong>da</strong>l virus<br />

HIV, e che questo meccanismo multifattoriale<br />

sia responsabile dell’elevata incidenza dei<br />

LNH-AIDS associati nell’ambito di una<br />

popolazione HIV-1 infettata.<br />

Inoltre si prospetta la possibilità che l’infezione<br />

<strong>da</strong> HIV delle cellule stromali non maligne,<br />

in particolare delle celule endoteliali<br />

microvascolari (MEVC), abbia un ruolo<br />

determinante nel favorire lo sviluppo e proliferazione<br />

di questi linfomi non-Hodgkin<br />

nelle sedi extrano<strong>da</strong>li attraverso alterazioni<br />

del microambiente e una disregolazione di<br />

citochine.<br />

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Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

117<br />

Orlistat: un futuro nella chemioprevenzione<br />

del carcinoma prostatico?<br />

Daniele Barbaro 1 , Pietro Cazzola 2<br />

Introduzione<br />

La prevenzione di qualunque processo patologico<br />

può essere distinta in tre livelli:<br />

primario, che si applica al soggetto sano prima<br />

che sia comparso l’evento morboso;<br />

secon<strong>da</strong>rio, che si rivolge al soggetto già colpito<br />

<strong>da</strong>lla malattia, <strong>per</strong> individuare precocemente la<br />

patologia prima che questa diventi sintomatica;<br />

terziario, che è indirizzato al paziente già sintomatico<br />

al fine di prevenire le ricadute, le complicanze<br />

e di migliorarne la qualità di vita.<br />

Nel caso del carcinoma prostatico, il più diffuso tumore<br />

maschile<br />

nel mondo occidentale,<br />

la prevenzione<br />

primaria<br />

assume una<br />

notevole importanza<br />

in quanto<br />

questa neoplasia<br />

ha una storia<br />

naturale molto<br />

lunga (20-30 anni),<br />

potendo iniziare<br />

già nella<br />

quarta decade<br />

di vita sottoforma<br />

di neoplasia<br />

intraepiteliale<br />

1<br />

U.O. Endocrinologia, Diabetologia e Sezione Malattie Metaboliche,<br />

Spe<strong>da</strong>li Riuniti, ASL 6 Livorno<br />

2<br />

Specialista in Anatomia e Istologia Patologica<br />

e Tecniche di Laboratorio, Milano<br />

Tabella 1.<br />

Caratteristiche dei soggetti <strong>da</strong> sottoporre a<br />

chemioprevenzione del carcinoma prostatico (2).<br />

(20% degli uomini) o di microfoci di carcinoma<br />

(27% degli uomini) (1).<br />

È stato ipotizzato che la progressione del carcinoma<br />

prostatico <strong>da</strong>lla forma latente a quella clinicamente<br />

evidente possa coinvolgere l’espressione differenziale<br />

di svariate centinaia di geni che interagiscono<br />

con fattori ambientali (quali una dieta ad alto<br />

contenuto di grassi, l’obesità, la prostatite, lo<br />

stress ossi<strong>da</strong>tivo) (2).<br />

Chemioprevenzione<br />

del carcinoma prostatico<br />

Maschi >55 anni, PSA


118<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

La lunga storia naturale del carcinoma prostatico e<br />

la possibilità di monitorare <strong>per</strong>iodicamente i livelli<br />

sierici di PSA (Prostate-Specific Antigen) forniscono i<br />

presupposti <strong>per</strong> individuare le caratteristiche che<br />

devono avere i soggetti <strong>da</strong> sottoporre a chemioprevenzione<br />

(Tabella 1).<br />

Quest’ultima si dovrebbe basare sull’impiego agenti<br />

che posseggono un meccanismo chemiopreventivo<br />

razionale, che negli studi s<strong>per</strong>imentali si sono<br />

dimostrati efficaci e che sono sicuri quando somministrati<br />

cronicamente (3).<br />

Nella Tabella 2 sono riportati gli agenti naturali e<br />

sintetici in fase di sviluppo <strong>per</strong> la chemioprevenzione<br />

del carcinoma prostatico (2).<br />

Fatty Acid Synthase (FAS)<br />

La FAS è un enzima responsabile <strong>della</strong> conversione<br />

in grassi dei carboidrati assunti con la dieta; inoltre<br />

è il solo enzima eucariotico capace di sintetizzare il<br />

palmitato, il precursore <strong>della</strong> maggior parte degli<br />

acidi grassi non-essenziali (4).<br />

È noto che la FAS è up-regolata in molti tumori (5-<br />

7), tra cui il carcinoma prostatico (8, 9).<br />

A proposito di quest’ultimo, è stato evidenziato che<br />

gli androgeni sono in grado sia di aumentare l’espressione<br />

del gene <strong>per</strong> la FAS, sia la sua attivazione (10).<br />

Poiché la funzione <strong>della</strong> FAS è strettamente legata<br />

alla proliferazione delle cellule tumorali (11), ben si<br />

comprende come essa possa rappresentare un interessante<br />

obiettivo terapeutico (12).<br />

Orlistat inibisce la FAS<br />

del carcinoma prostatico<br />

Orlistat (tetraidrolipstatina) è un farmaco approvato<br />

ed ampiamente utilizzato <strong>per</strong> il controllo ponderale<br />

nei pazienti obesi (13).<br />

L’efficacia di orlistat nel trattamento dell’obesità è<br />

legato alla sua capacità di inibire la lipasi pancreatica<br />

presente nel tratta gastrointestinale, prevenendo<br />

così l’assunzione di grassi con la dieta<br />

Tabella 2.<br />

Agenti naturali e sintetici<br />

<strong>per</strong> la chemioprevenzione del carcinoma prostatico (2).<br />

Agenti<br />

Classe/meccanismo<br />

Finasteride e analoghi<br />

Flutamide, bicalutamide,<br />

nilutamide<br />

LHRH agonisti<br />

Tamoxifene/torernifene<br />

Selenio 1<br />

Vitamina E<br />

Licopene<br />

Genisteina/<strong>da</strong>idzeina<br />

Su-101/541 6<br />

Estratti dei tè 2<br />

Ditioletioni 3<br />

Difluorometilornitina<br />

Vitamina D e analoghi<br />

Acido 9-cis-retinoico<br />

Targretina<br />

Sulin<strong>da</strong>c sulfone<br />

Celecoxib, rofecoxib<br />

R-flurbiprofene<br />

SCH66336 4<br />

Perillil alcol<br />

Rezulin (glitazoni)<br />

Analoghi di DHEA<br />

4-HPR<br />

Analoghi <strong>della</strong> vitamina D<br />

Inibitori <strong>della</strong> S-alfa reduttasi<br />

Antiandrogeni<br />

Castrazione chimica<br />

SERM<br />

Antiossi<strong>da</strong>nte<br />

(componente dei GPX)<br />

Antiossi<strong>da</strong>nte<br />

Antiossi<strong>da</strong>nte<br />

Isoflavonoidi <strong>della</strong> soia/TKI<br />

TKI (angiogenesi, PDGF, VEGF)<br />

Polifenoli del tè verde<br />

(anti-iniziazione/promozione)<br />

Induttori enzimatici di fase Il<br />

(modulatori di GSH e GST)<br />

Antiproliferazione (inibitore<br />

<strong>della</strong> ornitina decarbossilasi)<br />

Induttore <strong>della</strong> differenziazione<br />

[recettore <strong>della</strong> vitamina D<br />

(RXRI)]<br />

RXR dell'acido<br />

retinoico/ligando dei RXR<br />

Ligando selettivo dei RXR<br />

Inibitore <strong>della</strong> fosfodiesterasi<br />

Inibitori selettivi <strong>della</strong> COX-2<br />

Isomero FANS (pro-apoptosi)<br />

Inibitori Ras (farnesil transferasi)<br />

Monoterpene (pro-apoptosi)<br />

Analoghi dei tiazolidinedione<br />

(PPAR)<br />

PPAR<br />

Fattore di crescita-1<br />

insulino-simile<br />

Fattori di crescita<br />

insulino-simili che legano<br />

la proteina-3<br />

TKI = inibitori <strong>della</strong> tirosina chinasi;<br />

SERM = modulatore selettivo del recettore <strong>per</strong> gli estrogeni;<br />

GPX = glutatione <strong>per</strong>ossi<strong>da</strong>si;<br />

COX-2 = ciclossigenasi-2;<br />

DHT = diidrotestosterone,<br />

GSH = glutatione;<br />

GST = glutatione-5-transferasi;<br />

4-HPR = N-(4-idrossifenil) retinamide;<br />

LHRH = fattore di rilascio dell'ormone luteinizzante;<br />

PDGF =fattore di crescita di origine piastrinica;<br />

RXR = recettore X dell'acido retinoico;<br />

VEGF = fattore di crescita dell'endotelio vascolare;<br />

DHEA = deidroepiandrosterone;<br />

PPAR = recettore dei <strong>per</strong>ossisomi attivato <strong>da</strong>l proliferatore.<br />

1<br />

Include 1-seleniometionina e lievito sclenizzato.<br />

2<br />

Include epigallocatechin-gallato.<br />

3<br />

Come sulforafane e N-acetil-cisteina.<br />

4<br />

Include FII-2 76 e L- 744832.


Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

119<br />

% proliferazione<br />

Morte cellulare (% di controllo)<br />

100<br />

90<br />

80<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

Cellule PrEC<br />

DU-145<br />

LNCap<br />

30<br />

PC-3<br />

20<br />

0 5 10 15 20 25<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

Figura 1. Orlistat inibisce la proliferazione di alcune<br />

linee cellulari di carcinoma prostatico ( PC-<br />

3, LNCap, DU-145), mentre ha effetto trascurabile<br />

sulle cellule prostatiche normali (PrEC) (14).<br />

HF<br />

PrEC<br />

DU-145<br />

LNCap<br />

PC-3<br />

riscontrata entro 30 minuti un’inibizione di circa il<br />

75% <strong>della</strong> sintesi di acidi grassi (14).<br />

Oltre a ciò orlistat si è dimostrato in grado di svolgere<br />

un’azione antiproliferativa nei confronti di alcune<br />

linee cellulari di carcinoma prostatico, mentre<br />

trascurabile è stato il suo effetto nei confronti delle<br />

cellule epiteliali prostatiche normali (14) (Figura 1).<br />

Questa attività è apparsa strettamente legata all’inibizione<br />

<strong>della</strong> FAS <strong>da</strong>l momento che veniva abolita<br />

<strong>da</strong>ll’aggiunta di palmitato, il prodotto finale dell’azione<br />

di questo enzima (14).<br />

Quanto testato <strong>per</strong> verificare la sua capacità di indurre<br />

apoptosi, orlistat ha fornito risultati particolarmente<br />

evidenti solo <strong>per</strong> alcune linee cellulari<br />

neoplastiche e meno <strong>per</strong> altre, mentre è apparso<br />

pressoché inerte nei confronti delle cellule normali<br />

(Figura 2) (14).<br />

Analogamente a quanto riferito <strong>per</strong> l’azione antiproliferativa,<br />

anche in questo caso l’aggiunta di palmitato<br />

determinava una conversione dell’effetto<br />

pro-apoptosi.<br />

Quando somministrato <strong>per</strong> via intra<strong>per</strong>itoneale a<br />

topi nudi trapiantati con cellule di carcinoma prostatico<br />

(PC-3) orlistat, rispetto ai controlli, ha inibito<br />

la crescita neoplastica (Figura 3) con <strong>per</strong>centuali<br />

variabili <strong>da</strong>l 63% al 16%, senza evidenziare segni<br />

di tossicità (14).<br />

Figura 3. Orlistat inibisce, in vivo, la crescita tumorale<br />

di cellule PC-3 (14).<br />

Figura 2. Orlistat induce apoptosi in alcune linee<br />

cellulari di carcinoma prostatico (PC-3, LNCap, DU-<br />

145), mentre è risultato inattivo nei confronti delle<br />

cellule prostatiche normali (PrEC) e dei fibroblasti<br />

cutanei (HF) (14).<br />

Una serie di recenti studi s<strong>per</strong>imentali condotti su<br />

diverse linee cellulari di carcinoma prostatico hanno<br />

evidenziato nuove ed importanti proprietà di<br />

orlistat che potrebbero essere utilizzate nel trattamento<br />

di questa e di altre neoplasie (14).<br />

Orlistat, infatti, ha mostrato innanzitutto una marcata<br />

selettività <strong>per</strong> la FAS presente nelle cellule tumorali<br />

in cui già a livelli di farmaco di 30 µM si è<br />

Volume neoplasia (mm 3 )<br />

520<br />

470<br />

420<br />

370<br />

320<br />

270<br />

220<br />

170<br />

120<br />

70<br />

Controlli<br />

0 5 10<br />

Giorni<br />

Orlistat<br />

15 20 25


120<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

Conclusioni<br />

Oltre all’azione farmacologica <strong>per</strong> cui viene utilizzata,<br />

una molecola può possedere non solo effetti<br />

collaterali, ma anche altre proprietà terapeutiche<br />

misconosciute.<br />

I <strong>da</strong>ti sopraesposti indicano che orlistat può essere<br />

a ragione considerato un nuovo inibitore <strong>della</strong> FAS,<br />

dotato di attività antitumorale.<br />

I risultati conseguiti negli studi s<strong>per</strong>imentali utilizzando<br />

linee cellulari di carcinoma prostatico pongono<br />

orlistat tra i farmaci promettenti <strong>per</strong> la chemioprevenzione<br />

di questa neoplasia.<br />

Occorre tuttavia ricor<strong>da</strong>re che l’attuale formulazione<br />

farmaceutica di orlistat consente solo la somministrazione<br />

orale, via attraverso la quale la sua biosponibilità<br />

è estremamente bassa e la sua azione costretta<br />

esclusivamente nel tratto gastroenterico.<br />

Ne consegue che l’utilizzo terapeutico di orlistat<br />

come farmaco chemiopreventivo di tumori di altre<br />

sedi corporee necessita dello sviluppo di nuove formulazioni<br />

farmaceutiche dotate di elevata biodisponibilità.<br />

8. Furuya Y, Akimoto S, Yasu<strong>da</strong> K, Ito H. Apoptosis of androgenindependent<br />

prostate cell line induced by inhibition of fatty acid<br />

synthesis. Anticancer Res 1997; 17 (6D):4589<br />

9. Bull JH, Ellison G, Patel A, et al. Identification of potential diagnostic<br />

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14.Kridel SJ, Axelrod F, Rozenkrantz N, Smith JW. Orlistat is a<br />

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Cancer Res 2004; 64:2070<br />

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5. Alo PL, Visca P, Trombetta G, et al. Fatty acid synthase (FAS)<br />

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acid synthase is a therapeutic target in mesothelioma. Clin Cancer<br />

Res 2001; 7:153<br />

7. Gansler TS, Hardman W 3rd, Hunt DA, et al. Increased expression<br />

of fatty acid synthase (OA-519) in ovarian neoplasms predicts<br />

shorter survival. Hum Pathol 1997; 28:686


Scripta MEDICA<br />

121<br />

Osservazioni clinico-s<strong>per</strong>imentali in pazienti con<br />

i<strong>per</strong>colesterolemia familiare ed elevati livelli di creatin-fosfo-kinasi:<br />

ricerca di possibili clusters.<br />

Roberto Bernardi, Simona Linarello, Roberto Brillante, Arrigo F.G. Cicero, Antonio Gaddi<br />

Introduzione<br />

Il riscontro di valori ematici di<br />

colesterolo su<strong>per</strong>iori alla norma è<br />

di frequente all’osservazione dei<br />

<strong>da</strong>ti laboratoristici <strong>della</strong> popolazione<br />

italiana adulto/anziana.<br />

Numerosi studi hanno mostrato<br />

come l’i<strong>per</strong>colesterolemia rivesta<br />

un ruolo fon<strong>da</strong>mentale nella<br />

genesi ed evoluzione di patologie<br />

frequenti ed importanti quali l’aterosclerosi<br />

e le sue temibili complicanze<br />

(stroke, infarto del miocardio,<br />

arteriopatia polidistrettuale<br />

<strong>per</strong>iferica ecc.) che costituiscono<br />

ad oggi le principali cause di<br />

morte in Italia, Europa e Stati<br />

Uniti nell’uomo al di sopra dei 45<br />

anni e nella donna al di sopra dei<br />

65 (1).<br />

Una riduzione e mantenimento<br />

<strong>della</strong> colesterolemia entro intervalli<br />

considerati normali costituisce<br />

quindi un obiettivo fon<strong>da</strong>mentale<br />

nella prevenzione primaria degli<br />

eventi cardiovascolari. Ciò è raggiungibile<br />

con adeguate correzioni<br />

dello stile di vita ed eventuali<br />

Centro <strong>per</strong> lo Studio delle Malattie<br />

Dismetaboliche e dell’Aterosclerosi<br />

“G Descovich”<br />

Policlinico S. Orsola-Malpighi<br />

Alma Mater Studiorum<br />

Università di Bologna<br />

interventi farmacologici, valutabili<br />

a secon<strong>da</strong> dei singoli casi clinici.<br />

Tuttavia, nelle forme di i<strong>per</strong>lipoproteinemia<br />

su base genetica<br />

(i<strong>per</strong>lipoproteinemie primitive), il<br />

successo <strong>della</strong> terapia non farmacologica<br />

viene vanificato, rendendosi<br />

necessario un’approccio terapeutico<br />

più aggressivo.<br />

Nella correzione delle i<strong>per</strong>colesterolemie<br />

i farmaci di prima scelta<br />

sono rappresentati attualmente<br />

<strong>da</strong>lle statine.<br />

Accanto all’effetto terapeutico, la<br />

terapia statinica può causare effetti<br />

indesiderati, generalmente poco<br />

frequenti (circa tra l’1 ed il 5% dei<br />

pazienti trattati), non gravi e che<br />

tendono a regredire col prosieguo<br />

<strong>della</strong> terapia o con la sospensione<br />

del trattamento. Uno di questi è<br />

rappresentato <strong>da</strong> miotossicità che,<br />

nella maggioranza dei casi è costituito<br />

<strong>da</strong> un’elevazione sierica asintomatica<br />

dell’enzima creatinfosfo-kinasi<br />

(isoforma muscolare:<br />

CPK MM). Tuttavia valori molto<br />

elevati di questo isoenzima (almeno<br />

10 volte maggiori il limite<br />

su<strong>per</strong>iore di norma) possono<br />

associarsi ad un rischio di rabdomiolisi<br />

e mioglobinemia/mioglobinuria<br />

con conseguenze cliniche<br />

anche molto gravi (fino a casi di<br />

insufficienza renale acuta con<br />

necessità di dialisi).<br />

Scopo <strong>della</strong> tesi<br />

Sono giunti alla nostra osservazione<br />

alcuni casi di pazienti<br />

adulti/anziani, affetti <strong>da</strong> i<strong>per</strong>colesterolemia<br />

familiare che presentano<br />

elevati livelli di creatin-fosfokinasi<br />

plasmatica, in totale assenza<br />

di terapia farmacologica.<br />

Ogni singolo caso clinico di questo<br />

tipo ha configurato nella pratica<br />

clinica un nuovo quesito terapeutico,<br />

<strong>da</strong>ta la particolare associazione<br />

dei <strong>da</strong>ti clinici-laboratoristici.<br />

<strong>Le</strong> osservazioni condotte si sono<br />

prefisse lo scopo di ricercare eventuali<br />

associazioni tra questi <strong>da</strong>ti<br />

primitivi (i<strong>per</strong>colesterolemia, i<strong>per</strong>-<br />

CPK-emia) e le possibili interazioni<br />

con il trattamento con statine.<br />

I<strong>per</strong>lipoproteinemie<br />

e i<strong>per</strong>colesterolemia<br />

familiare<br />

L’i<strong>per</strong>colesterolemia familiare appartiene<br />

alla categoria delle i<strong>per</strong>lipoproteinemie,<br />

ampio gruppo eterogeneo<br />

di malattie metaboliche molto<br />

gravi di frequentissimo riscontro<br />

nelle nostre popolazioni, ma spesso<br />

sottovalutate tanto a livello diagnostico<br />

quanto a livello terapeutico.<br />

Livelli di colesterolo largamente<br />

su<strong>per</strong>iori a quelli desiderabili sono


122<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

I<strong>per</strong>lipoproteinemie Corrispondenza Corrispondenza Prevalenza Prevalenza<br />

primitive con le classi con le classi nella popolazione* tra i malati<br />

di Fredrickson di rischio con infarto<br />

cardiovascolare<br />

precoce<br />

I<strong>per</strong>colesterolemia familiare IIa Eccezionalmente elevato 1/300-1/500 5-10%<br />

I<strong>per</strong>colesterolemia multigenica IIa Variabile 1/25-1/50 20%<br />

I<strong>per</strong>lipoproteinemia Normale, IIa, IIb, IV Eccezionalmente 1/100-1/50 10-20%<br />

familiare combinata<br />

elevato<br />

I<strong>per</strong>lipidemia di tipo III III Eccezionalmente elevato 1/105


Scripta MEDICA<br />

Osservazioni clinico-s<strong>per</strong>imentali in pazienti con i<strong>per</strong>colesterolemia familiare ed elevati livelli di creatin-fosfo-kinasi<br />

123<br />

La rabdomiolisi è definita in numerosi<br />

studi come dolore muscolare<br />

associato a elevazione di CPK oltre<br />

10 volte il limite su<strong>per</strong>iore <strong>della</strong><br />

norma.<br />

La reale incidenza di casi fatali <strong>da</strong><br />

rabdomiolisi statina-dipendente si<br />

attesta intorno ad un globale 0,15<br />

<strong>per</strong> milione di prescrizioni e <strong>per</strong>tanto<br />

deve essere considerato una condizione<br />

eccezionale, mentre <strong>da</strong><br />

studi randomizzati sembra che la<br />

frequenza di seria tossicità muscolare<br />

sia di circa 1 caso su 10.000 <strong>per</strong>sone<br />

che assumono statine/anno.<br />

Materiali, metodi<br />

e risultati<br />

1600<br />

1400<br />

1200<br />

1000<br />

250<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

800<br />

600<br />

400<br />

CPK<br />

200<br />

100 200 300 400 500<br />

LDL<br />

Figura 1. Regressione lineare tra CPK e colesterolo LDL.<br />

0<br />

200<br />

<strong>Le</strong>gen<strong>da</strong>: si = terapia con statine; no = sospensione terapia;<br />

nd = <strong>da</strong>to non disponibile<br />

Figura 2. Variazioni <strong>per</strong>centuali di CPK e colesterolo LDL.<br />

Osservati<br />

Lineare<br />

VarLDL%<br />

VarCPK%<br />

si si si nd si si nd si si si nd si nd<br />

<strong>Le</strong> nostre osservazioni si basano su<br />

5 pazienti (3 maschi e 2 femmine)<br />

con età compresa tra 46 e 79 anni,<br />

<strong>tutti</strong> presentanti le seguenti caratteristiche:<br />

• elevati livelli ematici di colesterolo<br />

totale e LDL;<br />

• elevati livelli ematici di CPK;<br />

• asintomatici;<br />

• non in terapia farmacologica<br />

Una prima valutazione è stata eseguita<br />

ricercando correlazioni statisticamente<br />

significative tra alcuni<br />

parametri di laboratorio calcolando<br />

la regressione lineare (con limiti<br />

di confidenza al 95%).<br />

<strong>Le</strong> osservazioni eseguite hanno<br />

mostrato non esistere correlazione<br />

statisticamente significativa tra le<br />

variabili considerate (Figura 1).<br />

Una secon<strong>da</strong> valutazione è stata<br />

eseguita confrontando le variabili<br />

di partenza, CPK e colesterolemia<br />

LDL, in funzione del tempo e <strong>della</strong><br />

terapia farmacologia (Figura 2).<br />

Da quest’analisi si evince che:<br />

1. le variazioni <strong>per</strong>centuali di CPK e<br />

colesterolo LDL non sembrano<br />

avere un an<strong>da</strong>mento comune.<br />

2. la somministrazione di terapia<br />

farmacologica con statine (o la<br />

sospensione) non appare influenzare<br />

l’an<strong>da</strong>mento di queste <strong>per</strong>centuali.<br />

Conclusioni<br />

Attualmente la W.H.O afferma<br />

chiaramente che l 'elevazione sierica<br />

di CPK in corso di terapia con<br />

statine, deve portare a una sospensione<br />

del farmaco, solo <strong>per</strong> valori


124<br />

Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

su<strong>per</strong>iori a 10 volte il limite su<strong>per</strong>iore<br />

<strong>della</strong> norma, Questo non<br />

implica che elevazioni sieriche,<br />

anche contenute di creatin-fosfokinasi,<br />

debbano essere adeguatamente<br />

monitorate <strong>da</strong> parte del<br />

medico <strong>per</strong> valutare la prosecuzione<br />

del trattamento farmacologico,<br />

soprattutto a seguito di un recente<br />

decreto ministeriale italiano che ha<br />

fissato il limite massimo tollerabile<br />

di elevazione di CPK in corso di<br />

terapia con statine a 5 volte il limite<br />

su<strong>per</strong>iore <strong>della</strong> norma.<br />

<strong>Le</strong> 5 famiglie di pazienti seguiti<br />

presso l'ambulatorio Dislipidemie<br />

genetiche del Centro <strong>per</strong> lo Studio<br />

delle Malattie Dismetaboliche e<br />

dell’Aterosclerosi “G. Descovich”<br />

dell’Università di Bologna, hanno<br />

posto dei problemi di inquadramento<br />

eziologico e di gestione<br />

terapeutica.<br />

<strong>Le</strong> osservazioni eseguite sui parametri<br />

laboratoristici dei pazienti in<br />

studio hanno evidenziato come<br />

non esista correlazione tra gli<br />

an<strong>da</strong>menti delle variabili considerate,<br />

e come queste appaiano essere<br />

influenzate in modo non sistematico<br />

<strong>da</strong>lla somministrazione di<br />

farmaci e/o <strong>da</strong>ll’esercizio fisico.<br />

In relazione alla peculiarità dell’albero<br />

genealogico di alcuni soggetti<br />

ed all’an<strong>da</strong>mento del parametro<br />

CPK, si può supporre l’esistenza di<br />

una componente eredo-familiare<br />

degna di approfondimento genetico-molecolare.<br />

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Scripta MEDICA<br />

Volume 7, n. 4, 2004<br />

127<br />

Otite esterna:<br />

… e se il paziente si rivolge al Medico di Medicina Generale?<br />

Introduzione<br />

Con otite esterna si definisce un<br />

processo infiammatorio che interessa<br />

il condotto uditivo esterno.<br />

A causa <strong>della</strong> sua più elevata frequenza<br />

nei nuotatori e nei subacquei<br />

essa è anche conosciuta<br />

con il termine di<br />

“orecchio del nuotatore”.<br />

L’infezione batterica<br />

o fungina<br />

che nella maggior<br />

parte dei<br />

casi è responsabile<br />

dell’otite<br />

esterna è<br />

facilmente<br />

curabile, tuttavia<br />

in alcuni<br />

pazienti,<br />

in particolare<br />

i diabetici e<br />

gli immunocompromessi,<br />

il processo infettivo<br />

può propagarsi<br />

ai tessuti<br />

vicini (otite<br />

esterna maligna)<br />

con grave compromissione<br />

locale e<br />

generale.<br />

Eziopatogenesi<br />

Il condotto uditivo esterno a<br />

causa <strong>della</strong> sua struttura anatomica<br />

(Figura 1) è un cul de sac rivestito<br />

<strong>da</strong> cute che determina la formazione<br />

di un ambiente scuro,<br />

caldo e umido favorente la crescita<br />

batterica e fungina.<br />

In condizioni fisiologiche sono<br />

tuttavia presenti alcune difese<br />

naturali che impediscono l’attecchimento<br />

dei microorganismi;<br />

quest’ultime sono rappresentate<br />

<strong>da</strong>l cerume (idrofobico), <strong>da</strong> un<br />

rivestimento su<strong>per</strong>ficiale acido<br />

contenente lisozima e <strong>da</strong><br />

un sistema di trasporto<br />

dei detriti cellulari<br />

che agisce<br />

<strong>da</strong>lla membrana<br />

timpanica<br />

verso l’esterno.<br />

Quando questi meccanismi<br />

di difesa sono insufficienti, o<br />

quando l’epitelio viene <strong>da</strong>nneggiato,<br />

si realizzano le condizioni<br />

ottimali <strong>per</strong>ché alcuni fattori precipitanti<br />

favoriscano lo stabilirsi<br />

dell’otite esterna (Tabella 1).<br />

I patogeni più frequentemente in<br />

causa sono rappresentati <strong>da</strong>llo<br />

Pseudomonas spp (67% dei casi),<br />

<strong>da</strong>llo Staphylococcus spp, <strong>da</strong>llo<br />

Streptococcus spp e, più raramente,<br />

<strong>da</strong> specie fungine.<br />

Quadro clinico<br />

Dal punto di vista anamnestico<br />

in genere si rileva una storia di<br />

esposizione all’acqua (piscina,<br />

bagni di mare, docce) nei giorni<br />

precedenti l’insorgenza di prurito<br />

del condotto uditivo e dell’otalgia.<br />

Quest’ultima, che viene riferita<br />

<strong>per</strong>durante <strong>da</strong> 1 o 2 giorni e<br />

ingravescente, è peggiorata <strong>da</strong>l<br />

movimento masticatorio e <strong>da</strong>lla<br />

trazione del orecchio esterno.<br />

Possono essere presenti otorrea<br />

(le cui caratteristiche variano<br />

in rapporto all’agente<br />

infettante)<br />

e linfadenite <strong>per</strong>iauricolare.<br />

L’esame del<br />

condotto<br />

uditivo con<br />

lo speculum<br />

mette in evidenza<br />

un epitelio<br />

eritematoso<br />

ed edematoso,<br />

il cui gonfiore<br />

può essere talmente<br />

marcato<br />

<strong>da</strong> occludere<br />

completamente il<br />

lume e celare alla vista la membrana<br />

timpanica.<br />

Trattamento<br />

Se è presente otorrea è necessario<br />

rimuovere l’essu<strong>da</strong>to e i detriti<br />

cellulari: questa intervento deve<br />

essere effettuato mediante aspirazione<br />

sotto controllo microscopico<br />

(alternativamente è possibile<br />

utilizzare un cotton fioc sotto con-


128<br />

Scripta MEDICA Volume 7, n. 4, 2004<br />

trollo visivo diretto), tenendo<br />

presente che il processo infiammatorio<br />

rende il condotto uditivo<br />

esterno ancora più vulnerabile<br />

nei confronti dei traumi.<br />

Per mantenere il condotto uditivo<br />

esterno pulito sono utili<br />

lavaggi ripetuti con una miscela<br />

in parti uguali di acqua e acqua<br />

ossigenata, avendo cura di asciugarlo<br />

attentamente ogni volta.<br />

In caso di stenosi del condotto<br />

uditivo, particolarmente utili<br />

sono i tamponcini in materiale<br />

espandibile <strong>da</strong> mantenere <strong>per</strong><br />

uno-due giorni.<br />

Il trattamento farmacologico si<br />

avvale dell’uso topico di anestetici<br />

ed antimicrobici, sovente<br />

associati in un unico preparato.<br />

Molti specialisti usano gocce<br />

otologiche contenenti aminoglicosidi<br />

(es. neomicina) e/o polimixine.<br />

La neomicina è attiva<br />

sulla maggior parte dei Grampositivi<br />

e sugli aerobi Gramnegativi,<br />

mentre la polimixina B<br />

è particolarmente efficace nei<br />

confronti dello Psedomonas spp.<br />

La posologia è in genere di 2-4<br />

gocce <strong>per</strong> 4 volte al giorno in<br />

funzione dell’età; il <strong>per</strong>iodo di<br />

trattamento dipende <strong>da</strong>lla rapidità<br />

<strong>della</strong> risposta terapeutica.<br />

La maggior parte dei pazienti con<br />

otite esterna fa registrare un evidente<br />

miglioramento <strong>della</strong> sintomatologia<br />

già dopo 48-72 ore di<br />

terapia e la completa guarigione<br />

si realizza in una settimana.<br />

La terapia antibiotica sistemica<br />

dovrebbe essere riservata solo ai<br />

seguenti casi:<br />

<strong>per</strong>sistenza <strong>della</strong><br />

sintomatologia locale;<br />

contemporanea presenza<br />

di otite media;<br />

diffusione del processo<br />

infettivo ai tessuti contigui.<br />

Tabella 1.<br />

Fattori precipitanti l’otite esterna.<br />

Elevata umidità<br />

– nuoto<br />

– eccessiva sudorazione<br />

Acque infette<br />

Elevata tem<strong>per</strong>atura ambientale<br />

Rimozione meccanica del cerume<br />

Traumi <strong>da</strong> corpi estranei:<br />

– cotton fioc<br />

– unghie<br />

Dermatiti croniche<br />

– eczema<br />

– psoriasi<br />

– dermatite seborroica<br />

– acne<br />

In caso di infezione <strong>da</strong> funghi<br />

(otomicosi) nel condotto uditivo<br />

esterno deve essere instillata una<br />

soluzione antimicotica anzichè<br />

antibiotica.<br />

I pazienti con otite esterna<br />

dovrebbero astenersi <strong>da</strong>gli sport<br />

acquatici <strong>per</strong> almeno 7-10 giorni.<br />

Prevenzione<br />

La prevenzione delle recidive<br />

consiste primariamente nell’evitare<br />

i fattori precipitanti indicati<br />

nella Tabella 1.<br />

In particolare dopo la doccia o il<br />

nuoto il condotto uditivo esterno<br />

dovrebbe essere asciugato accuratamente<br />

con aria cal<strong>da</strong> (asciugacapelli).<br />

Per proteggere l’orecchio<br />

<strong>da</strong>ll’acqua sono utili le cuffie<br />

<strong>da</strong> bagno aderenti ai padiglioni<br />

auricolari, mentre è <strong>da</strong> sconsigliare<br />

l’uso di tappi im<strong>per</strong>meabili<br />

che al contrario favoriscono la<br />

comparsa dell’otite esterna.<br />

<strong>Le</strong>tture consigliate<br />

Sander R. Otitis externa: a practical Guide<br />

to treatment and prevention. Am Fam<br />

Physician 2001; 63:927<br />

Pietro Cazzola

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