Il caso Lombardia: le ecomafie del nord - Legambiente Lombardia

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12.04.2014 Views

sequestrato somme di denaro per un totale di 10 milioni di euro. Le indagini hanno potuto accertare che questa costola della ‘ndrangheta, legata alle famiglie Nicoscia e Arena, era riuscita a inserirsi anche nella gestione degli appalti legati alla Tav. Al boss e a sua figlia sono riconducibili una serie di società specializzate nella movimentazione terra. Cooperative che mirano a espandersi e nel farlo, spiegano gli inquirenti, “adottano modalità mafiose”. Per esempio, la banda è sospettata di aver gambizzato, a Milano, il vicepresidente di una cooperativa che non avrebbe accettato di farsi da parte nelle trattative per la realizzazione di un polo commerciale. Il gruppo Paparo era riuscito a infiltrarsi nella tratta Pioltello-Pozzuolo Martesana per la realizzazione dell’alta velocità: una presenza che ha messo in allarme gli inquirenti. I controlli all’interno dei cantieri hanno permesso, spiegano gli investigatori, di “accertare la presenza illegale dei Paparo”. Le indagini sono partite dopo che, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre scorso, alcuni colpi di arma da fuoco sono stati esplosi a Cologno Monzese contro l’abitazione e l’auto di Marcello Paparo. Al consorzio che ha al proprio vertice Paparo si riconducono sei cooperative, attive nel settore della logistica (piccoli trasporti, facchinaggio, pulizie) in cui esercitava con la violenza la sua pressione al fine di acquisire lavori e nel tentativo di assorbire altre cooperative (ne sono esempi eclatanti la spedizione punitiva nei confronti di un sindacalista a Segrate e il tentato omicidio nei confronti del vice presidente di una cooperativa chiamata a lavorare per Esselunga e colpevole di non aver ceduto alle pressioni di acquisizione esercitate dal consorzio). Ma il consorzio, come le indagini hanno dimostrato grazie a intercettazioni telefoniche e riprese video durate per mesi, era attivo soprattutto nel movimento terra dei cantieri della Tav nella tratta Pioltello-Pozzuolo Martesana. Le Ferrovie dello Stato vietano di subappaltare più del 2% dei lavori, pretendendo il rispetto delle norme antimafia, ma non è stato sufficiente. Le imprese sono libere da certificazioni antimafia per i subappalti di valore inferiore alla soglia di legge e, quando questo veniva superato, bastava fare ricorso a prestanome o fabbricare falsi contratti retrodatati per nascondere l'esistenza stessa del subappalto. Questo è quanto accaduto nei lavori della Tav nella tratta Milano-Venezia. Come emerge dalle intercattazioni, un manager lombardo ha suggerito ai clan come evitare i controlli delle Ferrovie: “Sui camion schiaffaci due targhette XXXXX, così le ferrovie non dicono niente”. In soccorso delle imprese legate ai clan che non potevano ufficialmente comparire negli appalti, sono quindi venute in soccorso, in questo come in altri casi, imprenditori del nord che hanno affidato loro subappalti totalmente in nero. Gli elementi raccolti hanno confermato la presenza nel territorio di Cologno Monzese di clan collegati alle famiglie Nicoscia e Arena della ‘ndrangheta calabrese, attive in attività finalizzate al riciclaggio di denaro sporco, favoreggiamento di latitanti e sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Già da più di due anni, inoltre, la Compagnia dei carabinieri di Sesto San Giovanni indagava nei confronti di una presunta associazione di tipo ‘ndranghestico radicata a Cologno Monzese. Le indagini hanno portato al sequestro di numerose armi e all’arresto in flagranza di reato di 9 persone. Sono stati eseguiti 18 decreti di perquisizione a carico di altri indagati a vario titolo coinvolti nell’indagine, in domicili e sedi di imprese in provincia di Milano, Como, La Spezia, Bergamo e Alessandria. Le ordinanze sono state emesse dal gip di Milano su richiesta del pm della Direzione distrettuale antimafia. Come ha spiegato il Procuratore della Repubblica di Milano Manlio Minale, se la prima generazione dei clan calabresi era dedita alle estorsioni dirette e al traffico di stupefacenti e la seconda partecipava agli utili delle aziende imponendo la propria presenza in qualità di soci occulti, la terza, “presente nel tessuto socioeconomico lombardo e forte dei capitali accumulati dai nonni e dai padri”, va oltre “l’intermediazione parassitaria tipicamente mafiosa” e mostra anche il “tentativo di 42

svincolarsi dalle case madri per poter fare affari e tenersi fuori dai contrasti e dalle faide che caratterizzano i territori di origine in Calabria”. Gli arrestati, affiliati alle famiglie degli Arena e dei Nicoscia, fanno parte di due ‘ndrine al centro di una sanguinosa faida che ha per teatro Isola Capo Rizzuto (Crotone). Però, mentre in Calabria si sparano addosso, nel milanese le due famiglie sono alleate dal 2006 per spartirsi gli affari prevalentemente incentrati sugli appalti nel settore edile, accanto agli investimenti ormai “tradizionali” nel mercato immobiliare e finanziario, nelle attività commerciali, nei locali pubblici e nel mercato ortofrutticolo. In Lombardia c’è posto per tutti. Ultimamente in Lombardia l'omertà diventa sempre più spesso interesse, specialmente in un momento in cui le banche frenano il credito e le imprese mafiose diventano più competitive. Lo dimostrano gli imprenditori che affidano ai clan lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, che mettono a disposizione siti da destinare a discariche abusive, lo dimostra il manager dell'azienda bergamsca che ha in mano 160 cantieri tra Bergamo e Milano e che ha aiutato i clan ad eludere le norme antimafia, lo dimostra il fatto che il contabile di tutte le imprese dei clan Paparo è un trentenne nato a Vimercate, lombardo “d.o.c.”, ma arrestato come associato alla 'ndrangheta. Gli ultimi inquietanti fatti di cronaca legati alla 'ndrangheta: i segnali di una presenza forte Appalti edilizi, finanza, centri commerciali, ristorazione, bar, discoteche, qualcuno potrebbe parlare di una 'ndrangheta ormai ripulita, di un'azienda perfettamente integrata nel tessuto economico legale, una 'ndrangheta di figli che non hanno più niente a che fare con i metodi dei padri (spesso in galera), ma la cronaca recente ci dice, al contrario, che il passato ritorna, anzi, è più moderno che mai. I vecchi metodi sono la sovra-struttura necessaria per delimitare e “ricordare” sempre la forza dell'impresa malavitosa. Inoltre le attività tradizionali quali le estorsioni, il traffico di droga e di armi continuano a rappresentare quella fonte di accumulazione primaria di risorse economiche necessarie per foraggiare le ingenti attività nell'economia legale. “Facciamo saltare il tuo capannone”, è una frase ricorrente nelle intercattazioni della DIA in Lombardia, così come sono più ricorrenti di quanto si possa immaginare, minacce e pestaggi ad imprenditori e agenti immobiliari, alcune volte altri imprenditori lombardi diventano persino i mandanti di atti in cui la 'ndrangheta è mero esecutore. La 'ndrangheta minaccia, intimidisce, ruba, estorce, mette in ginocchia le aziende lecite in difficoltà, ancora, oggi come sempre, in Lombardia come in Calabria; e , infine, uccide ancora quando le sue regole vengono trasgredite e mettono in discussione la sua forza basata sulla paura. La sorella di un'imprenditrice che si rifiutava di pagare il pizzo è stata gambizzata tra le province di Varese e Milano nel mese di aprile. A seguito delle denunce anti-racket 39 affiliati alla 'ndrangheta sono stati arrestati, avevano fondato una 'ndrina locale, ma di fatto organismo autonomo, come confermato dal Sostituto Procuratore Antimafia Vincenzo Macrì, nel territorio compreso tra Varese, Busto Arsizio, Legnano, Lonate Pozzolo. Le denunce sono state lo sfogo coraggioso di chi ha subito intimidazioni, attentati incendiari nei propri cantieri e nelle proprie attività, di chi ha pagato il pizzo. I Carabinieri del Comando di Varese hanno ricostruito la struttura dell'organizzazione: ricalca esattamente la struttura delle 'ndrine di trent'anni fa (un contabile, un contatto con la casa madre). Tra gli arrestati figura anche il cassiere della 'ndrangheta. Immobiliarista, residente da anni a Bertonico nel lodigiano, riciclava i proventi delle cosche di tutta la Lombardia, derivanti 43

sequestrato somme di denaro per un tota<strong>le</strong> di 10 milioni di euro. Le indagini hanno potuto<br />

accertare che questa costola <strong>del</strong>la ‘ndrangheta, <strong>le</strong>gata al<strong>le</strong> famiglie Nicoscia e Arena, era<br />

riuscita a inserirsi anche nella gestione degli appalti <strong>le</strong>gati alla Tav. Al boss e a sua figlia<br />

sono riconducibili una serie di società specializzate nella movimentazione terra.<br />

Cooperative che mirano a espandersi e nel farlo, spiegano gli inquirenti, “adottano<br />

modalità mafiose”. Per esempio, la banda è sospettata di aver gambizzato, a Milano, il<br />

vicepresidente di una cooperativa che non avrebbe accettato di farsi da parte nel<strong>le</strong><br />

trattative per la realizzazione di un polo commercia<strong>le</strong>. <strong>Il</strong> gruppo Paparo era riuscito a<br />

infiltrarsi nella tratta Pioltello-Pozzuolo Martesana per la realizzazione <strong>del</strong>l’alta velocità:<br />

una presenza che ha messo in allarme gli inquirenti. I controlli all’interno dei cantieri hanno<br />

permesso, spiegano gli investigatori, di “accertare la presenza il<strong>le</strong>ga<strong>le</strong> dei Paparo”. Le<br />

indagini sono partite dopo che, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre scorso, alcuni colpi di arma<br />

da fuoco sono stati esplosi a Cologno Monzese contro l’abitazione e l’auto di Marcello<br />

Paparo.<br />

Al consorzio che ha al proprio vertice Paparo si riconducono sei cooperative, attive nel<br />

settore <strong>del</strong>la logistica (piccoli trasporti, facchinaggio, pulizie) in cui esercitava con la<br />

vio<strong>le</strong>nza la sua pressione al fine di acquisire lavori e nel tentativo di assorbire altre<br />

cooperative (ne sono esempi eclatanti la spedizione punitiva nei confronti di un<br />

sindacalista a Segrate e il tentato omicidio nei confronti <strong>del</strong> vice presidente di una<br />

cooperativa chiamata a lavorare per Esselunga e colpevo<strong>le</strong> di non aver ceduto al<strong>le</strong><br />

pressioni di acquisizione esercitate dal consorzio). Ma il consorzio, come <strong>le</strong> indagini hanno<br />

dimostrato grazie a intercettazioni te<strong>le</strong>foniche e riprese video durate per mesi, era attivo<br />

soprattutto nel movimento terra dei cantieri <strong>del</strong>la Tav nella tratta Pioltello-Pozzuolo<br />

Martesana. Le Ferrovie <strong>del</strong>lo Stato vietano di subappaltare più <strong>del</strong> 2% dei lavori,<br />

pretendendo il rispetto <strong>del</strong><strong>le</strong> norme antimafia, ma non è stato sufficiente. Le imprese sono<br />

libere da certificazioni antimafia per i subappalti di valore inferiore alla soglia di <strong>le</strong>gge e,<br />

quando questo veniva superato, bastava fare ricorso a prestanome o fabbricare falsi<br />

contratti retrodatati per nascondere l'esistenza stessa <strong>del</strong> subappalto. Questo è quanto<br />

accaduto nei lavori <strong>del</strong>la Tav nella tratta Milano-Venezia. Come emerge dal<strong>le</strong><br />

intercattazioni, un manager lombardo ha suggerito ai clan come evitare i controlli <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

Ferrovie: “Sui camion schiaffaci due targhette XXXXX, così <strong>le</strong> ferrovie non dicono niente”.<br />

In soccorso <strong>del</strong><strong>le</strong> imprese <strong>le</strong>gate ai clan che non potevano ufficialmente comparire negli<br />

appalti, sono quindi venute in soccorso, in questo come in altri casi, imprenditori <strong>del</strong> <strong>nord</strong><br />

che hanno affidato loro subappalti totalmente in nero.<br />

Gli e<strong>le</strong>menti raccolti hanno confermato la presenza nel territorio di Cologno Monzese di<br />

clan col<strong>le</strong>gati al<strong>le</strong> famiglie Nicoscia e Arena <strong>del</strong>la ‘ndrangheta calabrese, attive in attività<br />

finalizzate al riciclaggio di denaro sporco, favoreggiamento di latitanti e sfruttamento<br />

<strong>del</strong>l’immigrazione clandestina. Già da più di due anni, inoltre, la Compagnia dei carabinieri<br />

di Sesto San Giovanni indagava nei confronti di una presunta associazione di tipo<br />

‘ndranghestico radicata a Cologno Monzese. Le indagini hanno portato al sequestro di<br />

numerose armi e all’arresto in flagranza di reato di 9 persone. Sono stati eseguiti 18<br />

decreti di perquisizione a carico di altri indagati a vario titolo coinvolti nell’indagine, in<br />

domicili e sedi di imprese in provincia di Milano, Como, La Spezia, Bergamo e<br />

A<strong>le</strong>ssandria. Le ordinanze sono state emesse dal gip di Milano su richiesta <strong>del</strong> pm <strong>del</strong>la<br />

Direzione distrettua<strong>le</strong> antimafia. Come ha spiegato il Procuratore <strong>del</strong>la Repubblica di<br />

Milano Manlio Mina<strong>le</strong>, se la prima generazione dei clan calabresi era dedita al<strong>le</strong> estorsioni<br />

dirette e al traffico di stupefacenti e la seconda partecipava agli utili <strong>del</strong><strong>le</strong> aziende<br />

imponendo la propria presenza in qualità di soci occulti, la terza, “presente nel tessuto<br />

socioeconomico lombardo e forte dei capitali accumulati dai nonni e dai padri”, va oltre<br />

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