Il caso Lombardia: le ecomafie del nord - Legambiente Lombardia

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12.04.2014 Views

Dalla prefazione al Rapporto Ecomafia 2009 Pietro Grasso, procuratore nazionale Antimafia La rilevanza che il fenomeno dell’ecomafia ha assunto nel panorama criminale, nazionale e non solo, ha giustificato l’attenzione dell’ufficio che dirigo nel creare una specifica materia d’interesse e una attività di raccolta di informazioni e dati provenienti dalle numerose indagini pendenti sul territorio. Interesse parimenti documentato dalla presenza di un capitolo appositamente dedicato nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, anche quest’anno curato dal consigliere Roberto Pennisi, dove si analizza, soprattutto, la criticità della situazione Campania, emblema dell’ecomafia. (…) In Sicilia e Calabria, Cosa nostra e ‘ndrangheta hanno una duplice strategia: cioè il classico sistema dell’utilizzazione di imprese di diretta espressione delle cosche, ovvero ad esse collegate, per la partecipazione alle gare, con la conseguente estromissione delle altre ditte; oppure lo sfruttamento dei canali che legano le cosche alle amministrazioni locali e/o agli enti che gestiscono particolari aree del nostro paese: in modo da pervenire alla creazione di società a capitale misto pubblico-privato per poter confezionare procedure di aggiudicazione del servizio con esito assicurato. Va segnalato che il 2008 si è contraddistinto per l’imponente numero di inchieste contro l’ecomafia e la criminalità ambientale da parte delle Dda, a testimonianza di una popolazione criminale sempre più numerosa e agguerrita. A ragione della convenienza ad aggredire l’ambiente, la salute dei cittadini e la stessa bellezza delle nostre città al solo fine di guadagnare soldi facili. Basti pensare a quanto fruttano i traffici illeciti di rifiuti, dove con la sistematica falsificazione dei documenti di identificazione, cioè solo cambiando un codice o una certificazione di laboratorio di analisi si abbattono i costi del 50/60 per cento. In alcuni casi il risparmio dei costi può essere anche maggiore. Anche se i danni sono enormi e difficilmente stimabili. Scaricare sostanze velenose nei terreni agricoli, contaminando i cibi che arrivano sulle nostre tavole e le falde acquifere, significa commettere degli omicidi differiti nel tempo: niente spargimenti di sangue ma lenti e inesorabili avvelenamenti. I motivi della convenienza stanno nell’alto profitto e i pochi rischi. Nel nostro ordinamento giuridico i reati ambientali sono essenzialmente di tipo contravvenzionale, assolutamente inidonei a garantire la giusta tutela. Da anni si discute di introdurre i delitti ambientali nel Codice penale ed estendere le competenze delle varie Dda per questo genere di delitti, ma niente è stato fatto. Lo dicono gli stessi collaboratori di giustizia che i rischi per chi si occupa di rifiuti e cemento sono praticamente nulli. Fruttano quanto la droga e danno migliori garanzie di impunità. Per fortuna l’Unione Europea lo scorso dicembre è intervenuta in questa materia approvando una direttiva sulla tutela penale dell’ambiente, che dovrà essere approvata dai paesi membri entro 18 mesi. Ora si spera che l’Italia la recepisca con il massimo rigore possibile, cioè applicando con la massima severità possibile le norme che colpiscano i colpevoli e introducendo quelle previsioni del disegno di legge presentato nella scorsa legislatura con gli apporti di questa Direzione antimafia. Il business dell’ecomafia stimato da Legambiente oscilla ogni anno intorno ai 20 miliardi di euro. Cifra approssimata sicuramente per difetto: un quarto del fatturato delle mafie. (…) Ascoltare le intercettazioni dei criminali è il modo migliore per capire l’interesse dei protagonisti verso il business ambientale e la totale assenza di scrupoli nel portare avanti le loro pericolose scorribande. Anche quando c’è a rischio la salute pubblica. Come è capitato – solo per 2

fare un esempio – a quei carabinieri che hanno seguito le conversazioni tra due indagati nella vicenda del termovalorizzatore di Colleferro, in cui alla preoccupazione di un dipendente di incenerire materiale vietato (“ma questa è roba tossica”), la replica del direttore dello stabilimento era perentoria e senza via di scampo: “non devi rompere, lo vuoi fare? Altrimenti lasci perdere e lo faccio fare a qualcun altro”. Evidentemente a fare questo genere di cose si trova sempre qualcuno pronto. E non ci sono remore di nessun tipo. In quella inchiesta gli inquirenti hanno accertato che dentro l’inceneritore ci finivano illegalmente ogni genere di rifiuto tossico, venivano truccati i sistemi di sicurezza, falsificati i documenti, intascati impropriamente i contributi Cip6, e non mancavano nemmeno le minacce personali. Difficile stimare i danni all’ambiente circostante e alla salute delle popolazioni della zona. Questa inchiesta, come tantissime altre (circa la metà delle 123 portate avanti dal 2002 ad oggi), ha pure dimostrato che l’ecomafia non c’è solo in Campania ma anche in tutta Italia. Ci sono rifiuti che da Nord vanno al Sud e viceversa. Anzi, sono le aziende del Nord Italia, principali produttrici di rifiuti industriali, che cercano nell’illegalità il modo per risparmiare sullo smaltimento. (…) Va pure ribadito ancora una volta che nei traffici illeciti di rifiuti le organizzazioni mafiose si avvalgono del decisivo apporto di altri soggetti – colletti bianchi, funzionari pubblici, politici – creando una vera e propria holding criminale, una filiera illegale composta da soggetti incensurati ed estranei (esterni) alla criminalità organizzata. Soggetti fondamentali per gestire il ciclo illegale, poiché per portare avanti i traffici servono tecnici che falsificano i risultati delle analisi, servono trasportatori, occorrono dipendenti comunali corrotti ecc. È dunque chiaro che per contrastare reati odiosi come questi servono gli strumenti idonei, quindi anche le intercettazioni, senza le quali nel caso di Colleferro non si sarebbe potuti arrivare ad accertare tutte le responsabilità. Speriamo che il disegno di legge Alfano tenga conto di questa esigenza nazionale. (…) Anche in specifici contesti di altre regioni del Centro-Nord, la criminalità organizzata sottopone ad asfissiante pressione intimidatoria ed esasperato controllo le imprese edili, le forniture, le maestranze, l’aggiudicazione degli appalti pubblici, l’affidamento dei subappalti, l' imposizione di ditte per i noli a freddo, e così via. Si costruisce abusivamente soprattutto nel Sud, dove sorgono interi quartieri del tutto abusivi. In Campania lo scorso anno un giudice ha dovuto mandare al confino un pregiudicato per continue violazioni di sigilli di opere abusive. Lo sforzo delle forze dell’ordine è immane in alcune aree dove la legalità appare più una conquista che un’esigenza della collettività e lo Stato e le sue istituzioni fanno fatica a riprenderne il controllo. Purtroppo nel ciclo del cemento le mafie soprattutto al Sud – anche se non mancano infiltrazioni pesanti in regioni del Centro e del Nord – si muovono direttamente nelle istituzioni locali, intervenendo nei momenti e nei luoghi dove si redigono i piani urbanistici e si assumono le scelte delle comunità locali. (…) Si auspicano quegli interventi legislativi volti, attraverso un più capillare coordinamento, a riempire i vuoti che si constatano nella attività di repressione del fenomeno. L’ecomafia avvelena con i traffici di rifiuti, soffoca con il cemento abusivo, distrugge l’economia sana e rispettosa delle regole. Ma mette le mani anche negli incendi (per fini speculativi, per quelli legati al rimboschimento e alle altre attività lavorative), nei furti d’acqua, nel settore agricolo, nel racket degli animali. Hanno tentato pure di inserirsi nel settore delle fonti rinnovabili: come in Sicilia per un parco eolico e in Calabria per il ripristino di vecchie e piccole centrali idroelettriche. È ora che la smettano questi ladri del futuro del mondo. 3

Dalla prefazione al Rapporto Ecomafia 2009<br />

Pietro Grasso, procuratore naziona<strong>le</strong> Antimafia<br />

La ri<strong>le</strong>vanza che il fenomeno <strong>del</strong>l’ecomafia ha assunto nel panorama crimina<strong>le</strong>, naziona<strong>le</strong><br />

e non solo, ha giustificato l’attenzione <strong>del</strong>l’ufficio che dirigo nel creare una specifica<br />

materia d’interesse e una attività di raccolta di informazioni e dati provenienti dal<strong>le</strong><br />

numerose indagini pendenti sul territorio. Interesse parimenti documentato dalla presenza<br />

di un capitolo appositamente dedicato nella relazione annua<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Direzione naziona<strong>le</strong><br />

antimafia, anche quest’anno curato dal consigliere Roberto Pennisi, dove si analizza,<br />

soprattutto, la criticità <strong>del</strong>la situazione Campania, emb<strong>le</strong>ma <strong>del</strong>l’ecomafia.<br />

(…) In Sicilia e Calabria, Cosa nostra e ‘ndrangheta hanno una duplice strategia: cioè il<br />

classico sistema <strong>del</strong>l’utilizzazione di imprese di diretta espressione <strong>del</strong><strong>le</strong> cosche, ovvero<br />

ad esse col<strong>le</strong>gate, per la partecipazione al<strong>le</strong> gare, con la conseguente estromissione <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

altre ditte; oppure lo sfruttamento dei canali che <strong>le</strong>gano <strong>le</strong> cosche al<strong>le</strong> amministrazioni<br />

locali e/o agli enti che gestiscono particolari aree <strong>del</strong> nostro paese: in modo da pervenire<br />

alla creazione di società a capita<strong>le</strong> misto pubblico-privato per poter confezionare<br />

procedure di aggiudicazione <strong>del</strong> servizio con esito assicurato. Va segnalato che il 2008 si<br />

è contraddistinto per l’imponente numero di inchieste contro l’ecomafia e la criminalità<br />

ambienta<strong>le</strong> da parte <strong>del</strong><strong>le</strong> Dda, a testimonianza di una popolazione crimina<strong>le</strong> sempre più<br />

numerosa e agguerrita. A ragione <strong>del</strong>la convenienza ad aggredire l’ambiente, la salute dei<br />

cittadini e la stessa bel<strong>le</strong>zza <strong>del</strong><strong>le</strong> nostre città al solo fine di guadagnare soldi facili. Basti<br />

pensare a quanto fruttano i traffici il<strong>le</strong>citi di rifiuti, dove con la sistematica falsificazione dei<br />

documenti di identificazione, cioè solo cambiando un codice o una certificazione di<br />

laboratorio di analisi si abbattono i costi <strong>del</strong> 50/60 per cento. In alcuni casi il risparmio dei<br />

costi può essere anche maggiore. Anche se i danni sono enormi e difficilmente stimabili.<br />

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niente spargimenti di sangue ma <strong>le</strong>nti e inesorabili avve<strong>le</strong>namenti. I motivi <strong>del</strong>la<br />

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garantire la giusta tutela. Da anni si discute di introdurre i <strong>del</strong>itti ambientali nel Codice<br />

pena<strong>le</strong> ed estendere <strong>le</strong> competenze <strong>del</strong><strong>le</strong> varie Dda per questo genere di <strong>del</strong>itti, ma niente<br />

è stato fatto. Lo dicono gli stessi collaboratori di giustizia che i rischi per chi si occupa di<br />

rifiuti e cemento sono praticamente nulli. Fruttano quanto la droga e danno migliori<br />

garanzie di impunità. Per fortuna l’Unione Europea lo scorso dicembre è intervenuta in<br />

questa materia approvando una direttiva sulla tutela pena<strong>le</strong> <strong>del</strong>l’ambiente, che dovrà<br />

essere approvata dai paesi membri entro 18 mesi. Ora si spera che l’Italia la recepisca<br />

con il massimo rigore possibi<strong>le</strong>, cioè applicando con la massima severità possibi<strong>le</strong> <strong>le</strong><br />

norme che colpiscano i colpevoli e introducendo quel<strong>le</strong> previsioni <strong>del</strong> disegno di <strong>le</strong>gge<br />

presentato nella scorsa <strong>le</strong>gislatura con gli apporti di questa Direzione antimafia. <strong>Il</strong> business<br />

<strong>del</strong>l’ecomafia stimato da <strong>Legambiente</strong> oscilla ogni anno intorno ai 20 miliardi di euro. Cifra<br />

approssimata sicuramente per difetto: un quarto <strong>del</strong> fatturato <strong>del</strong><strong>le</strong> mafie. (…) Ascoltare <strong>le</strong><br />

intercettazioni dei criminali è il modo migliore per capire l’interesse dei protagonisti verso il<br />

business ambienta<strong>le</strong> e la tota<strong>le</strong> assenza di scrupoli nel portare avanti <strong>le</strong> loro pericolose<br />

scorribande. Anche quando c’è a rischio la salute pubblica. Come è capitato – solo per<br />

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