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SPECIALE PITTI BIMBO Interviste, analisi e anteprime della - Italpyme

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Inchiesta<br />

Unificare brand e ragione sociale?<br />

Utile in un mercato sempre più<br />

affollato<br />

In un contesto competitivo che, a dispetto <strong>della</strong> crisi, è sempre più affollato di marchi e nuove iniziative comunicate<br />

sui diversi media, si fa strada una tendenza a semplificare l’approccio dell’azienda al mercato: l’unificazione di ragione<br />

sociale e brand principale con l’obiettivo di ottenere una comunicazione più semplice, chiara ed efficace.<br />

In principio era la ragione sociale. Consisteva in un<br />

nome di fantasia, nell’acronimo delle iniziali di mogli,<br />

figlie, figli del fondatore o più semplicemente ne<br />

riproduceva il cognome. Così è sorta la piccola media<br />

impresa italiana, crescendo a piccoli passi e mantenendo<br />

quella immediata riconoscibilità <strong>della</strong> proprietà<br />

che l’ha contraddistinta per quasi mezzo secolo.<br />

Poi sono cambiati i tempi ed è giunta l’ora dei brand:<br />

nomi carichi di significato e di valori immateriali.<br />

Molti gruppi, i più strutturati, ne hanno tratto le<br />

conseguenze: via la vecchia ragione sociale e spazio al<br />

marchio.<br />

Luca Peyrano, responsabile dei mercati azionari primari<br />

di Borsa Italiana, osserva: “Per una società che<br />

decide di quotarsi in borsa è abbastanza normale<br />

trasformare il brand in ragione sociale. Lo fa per una<br />

questione di identificabilità. Gli operatori finanziari<br />

tendono ad investire su brand a loro noti. E se da un<br />

lato è vero che l’investitore dovrebbe essere in grado<br />

di associare brand e ragione sociale in maniera immediata,<br />

dall’altro bisogna considerare investitori stranieri,<br />

advisor e banche internazionali a cui conviene<br />

semplificare la vita”.<br />

Gli esempi non mancano nel comparto lusso e moda.<br />

Il gruppo Della Valle si è trasformato in Tod’s Group<br />

già prima <strong>della</strong> quotazione in Piazza Affari e Mario<br />

Moretti Polegato non si sognerebbe mai di porsi sul<br />

mercato come Nottinghton Italia, la vecchia ragione<br />

sociale: oggi è per tutti mr. Geox. E che dire di<br />

Swatch? Fino al 1998 il marchio che ha fatto la storia<br />

degli orologi “pop” era controllato dalla multinazionale<br />

Smh, Société Suisse de Michroélectronique et<br />

d’Horlogerie, frutto a sua volta di una fusione tra<br />

Asuag e Sshi. Quell’anno Smh “per ovviare ai problemi<br />

di traduzione e comprensione di tale denominazione”<br />

decise di cambiare nome e nacque Swatch<br />

Group, il resto è storia nota. Oggi è il più grande produttore<br />

mondiale di orologi e ha in portafoglio brand<br />

come Omega, Breguet, Tissot e altri ancora, ma la<br />

ragione sociale resta identificata con il nome del suo<br />

Luca Peyrano e<br />

il modello G Bag<br />

di Tod’s<br />

50 21 gennaio 2010

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