08.03.2014 Views

Versione PDF - Ispesl

Versione PDF - Ispesl

Versione PDF - Ispesl

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

L’esame della tabella 3.2.2 apparentemente non sembrerebbe fornire significative informazioni<br />

aggiuntive rispetto a quanto già noto e il suo contenuto appare abbastanza ripetitivo<br />

rispetto alle conoscenze derivanti dall’esame dell’attività svolta dall’azienda cui appartiene<br />

il lavoratore infortunato. In realtà non è così perché il “tipo di lavoro” cui qui si allude non<br />

coincide né con la qualifica, né con la mansione, né con l’attività dell’impresa. Si tratta della<br />

temporanea incombenza cui il lavoratore era dedito nel momento dell’infortunio: un edile,<br />

un muratore, un manovale che, in quel frangente si stesse occupando di porre in bell’ordine<br />

un carico di mattoni nell’angolo di spazio a ciò destinato non verrà codificato come edile<br />

ma come addetto al magazzinaggio. È chiaro quindi il senso dei dati che vengono così ottenuti:<br />

si tratta di vedere che cosa il lavoratore stesse facendo al momento dell’evento lesivo,<br />

visto con una sorta di cannocchiale capovolto mentre la stessa situazione verrà vista con<br />

il cannocchiale posto nella sua posizione corretta attraverso la coppia di variabili “attività fisica<br />

specifica” e suo “agente materiale”. Questa osservazione perciò spiega la meraviglia che<br />

più d’un lettore può provare nel riscontrare nella tabella 3.2.2 che ben il 9.5% di infortuni<br />

mortali sia avvenuto nel corso di attività di manutenzione, riparazione e simili. Questa è una<br />

conseguenza della scomposizione di compagini apparentemente unitarie in frange che,<br />

all’atto pratico, effettuano attività molto diverse e spesso di puro supporto a quelle di produzione.<br />

Nel volume metodologico ESAW/3 c’è un esempio di grande efficacia: quasi tutti coloro<br />

che lavorano alla costruzione di un aeroporto sono edili ma c’è chi porta nell’area destinata i<br />

pezzi di macchinario nella fase iniziale, chi si occupa del montaggio, chi di attività edile in<br />

senso stretto (realizzazione nuova aerostazione), chi di opere di genio civile (costruzione delle<br />

piste), chi di trasformare la vecchia aerostazione in un museo dell’aviazione e, a fine lavori,<br />

c’è chi si occuperà di smontaggio, di trasporto, di attività di pulizia, di gestione rifiuti e altro<br />

ancora: un’attività unitaria si può perciò articolare in decine di incombenze specifiche.<br />

Più articolato deve essere il commento alla tabella 3.2.3, dedicata all’esame dell’attività<br />

fisica specifica svolta dall’infortunato, perché è necessario svolgere sia pur sommariamente<br />

una riflessione sul senso della variabile “attività fisica specifica” prima di esaminare<br />

i risultati empirici evidenziati dalla tabella stessa. Indagare su questa variabile rappresenta<br />

un interessante tentativo di andare oltre la tradizionale raccolta di dati “di contorno”<br />

(quali le caratteristiche dell’infortunato, dell’infortunio, dell’azienda in cui è avvenuto l’infortunio,<br />

ecc., come da sempre si fa) ed affrontare invece di petto il cuore della questione,<br />

cioè un possibile elemento della dinamica infortunistica: che cosa stava esattamente<br />

facendo l’infortunato un attimo prima che l’infortunio accadesse. Va però osservato come,<br />

così facendo, gli studiosi che hanno messo a punto ESAW/3 hanno implicitamente assunto<br />

(si ricorda come essi abbiano lavorato a costruire nomenclature e codifiche all’interno di<br />

una scatola precostituita coincidente con l’architettura danese di cui si è detto) che l’attività<br />

fisica specifica dell’infortunato è sempre meritevole di essere descritta mentre non lo<br />

è, invece, quella di altri lavoratori. Il rischio è naturalmente quello di non riuscire adeguatamente<br />

a approfondire, con il solo ESAW, i ruoli dei vari soggetti, “altri” oltre a quello dell’infortunato.<br />

Il cosiddetto “fattore umano”, a proposito degli infortuni lavorativi e non, rischia spesso<br />

di divenire di fatto sinonimo di “responsabilità dell’infortunato”, ma tutto ciò va contro ogni<br />

evidenza empirica, dal momento che nell’analisi degli infortuni che effettivamente avvengono<br />

non sempre si riscontrano responsabilità dei lavoratori; inoltre, anche quando le si riscontra,<br />

non sempre sono dell’infortunato ma possono essere ricondotte, non di rado, al comportamento<br />

attivo o omissivo di altri lavoratori, dei dirigenti e dei preposti, del datore di lavoro,<br />

di soggetti esterni all’azienda quali i progettisti, gli installatori ed i manutentori di macchine<br />

e impianti, i consulenti organizzativi, ecc. Il rischio che si corre analizzando superficialmente<br />

i risultati della tabella 3.2.3 è allora quello di enfatizzare il ruolo dell’infortunato nella<br />

genesi degli infortuni o, all’opposto, di restare delusi dalla scarsa esplicatività di molte delle<br />

voci che vi si riscontrano.<br />

31

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!