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IL BENE CHE NON SI ACCETTA<br />
Cosa succede ogni giorno alla comunità per tossicodipendenti “L’imprevisto” di Pesaro? Com’è strutturata?<br />
Come è nata? Abbiamo incontrato la comunità e il fondatore Silvio Cattarina con queste ed altre domande e<br />
siamo tornati a Rimini con negli occhi la bellezza di quelle facce. Quest’anno saranno presenti al Meeting con<br />
una mostra, un’occasione per incontrarli ed ascoltare le loro testimonianze.<br />
di Erika Elleri e Valentina Gravaghi<br />
In una giornata di sole splendente partiamo dal Meeting di Rimini alla volta della comunità maschile de<br />
“L’Imprevisto”, situata alle porte di Pesaro, a ridosso della spiaggia e della ferrovia. Volevamo incontrarli,<br />
guardare le loro facce e ascoltare i loro racconti. Infatti, proprio quest’anno saranno al Meeting con una mostra<br />
per parlare di quello che sta accadendo ogni giorno in quella comunità nata ben 23 anni fa dall’intuizione<br />
di Silvio Cattarina. Una mostra che racconterà, attraverso testimonianze e immagini, le tappe di un incontro<br />
fatto nella Comunità, scegliendo l’esperienza di Amleto come punto di osservazione. I cinque atti dell’opera<br />
Shakespeariana, grazie all’apporto di Gilberto Santini, diventano spazi di riflessione sul percorso terapeutico<br />
ed educativo della Comunità.<br />
Un interesse, quello di Silvio per la tossicodipendenza, nato da giovane e che è maturato grazie all’incontro<br />
con due sacerdoti, Don Gianfranco Gaudiano di Pesaro e don Luigi Giussani e poi con alcuni amici che lo<br />
hanno in qualche modo indirizzato verso quel percorso, che lo avrebbe portato a fondare quest’opera.<br />
Ci si spalanca un mondo<br />
Entrati nel suo ufficio ci si spalanca un mondo, che ha a che fare con lui e la sua storia: pareti colorate, farfalle<br />
e uccellini e decine di foto di amici e personaggi, che sono passati di lì o che semplicemente lui ha incontrato.<br />
È con la stessa semplicità e trasparenza, senza alcun distacco, che lui si propone ai ragazzi che arrivano in<br />
comunità. «Non c’è separazione – ha affermato – tra noi e i ragazzi. Non forniamo loro un servizio, ma gli<br />
proponiamo un’amicizia che dura per sempre». Il contrario delle tecniche pedagogiche insegnate in Università.<br />
«Per noi responsabili – ha continuato - ogni ragazzo è sempre un imprevisto, un incontro, un’avventura<br />
che dura tutta la vita». Ed è proprio dagli ultimi versi della poesia di Montale “Prima del viaggio” che prende<br />
il nome la comunità, esemplificando l’attesa del cuore di ogni uomo: “Un imprevisto è la sola speranza”. «Se<br />
chiedi ai ragazzi l’origine di quel nome – ci ha raccontato con un sorriso - ti rispondono che è una bella poesia<br />
di don Giussani. E questo mostra come loro siano in grado di andare subito alla fonte delle cose».<br />
La comunità<br />
Il notiziario meeting con questo articolo lancia la notizia della Mostra alla<br />
manifestazione riminese di fine agosto<br />
La comunità accoglie ragazzi di età compresa tra i 15 e i 21 anni e il tentativo degli educatori è quello di andare<br />
all’origine di tutto. «Vogliamo comprendere, capire e giudicare assieme quello che è la vita e la persona. È un<br />
lavoro di giudizio che implica due incontri al giorno (uno al mattino e l’altro al pomeriggio) e i ragazzi sono<br />
chiamati a giudicare e a raccontare verbalmente e per iscritto la loro vita». Perché per loro la parola è importante.<br />
È un modo per far venir fuori la persona. «Vogliamo scavare nel cuore delle persone per capire sempre<br />
di più il mistero della vita. Desideriamo che accada una grande cosa tra noi e i ragazzi, fare un’esperienza<br />
forte di vita insieme, di novità e scoperta. Non ci basta uscire dal male della droga. Vogliamo incontrare tutto,<br />
desideriamo il miracolo». Questo è il modo in cui Silvio si pone davanti ai ragazzi, è la sfida che lancia loro<br />
fin dall’inizio. Il percorso di recupero dura circa due anni, anche se va valutato caso per caso, e all’inizio si<br />
toglie loro tutto: dal piercing al telefonino, al contatto con le morose, perfino la scuola. Gli orari sono rigidi,<br />
scanditi da assemblee, dalle mansioni quotidiane. «Tutto serve perché la vita dei nostri centri sia un continuo,<br />
grande struggimento».<br />
Il metodo<br />
Nel tempo il metodo di Silvio è cambiato. All’inizio rimaneva molto colpito dalle storie drammatiche dei ragazzi<br />
e delle famiglie e cercava di trovare una soluzione per aiutarli. Pian, piano ha smesso di essere colpito<br />
da loro, ha smesso di studiarli e ha cominciato a pensare a sé, a parlare con loro apertamente e a dire loro:<br />
«Pensiamo ad un’avventura che sia per sempre e che ci prenda totalmente». Infatti, la sfida è che attraverso<br />
tutte le cose che devono fare - il lavoro, le attività, il teatro, lo sport - possano scoprire se c’è qualcosa che<br />
va loro incontro e che li solleva. Il contrario della logica della droga, che si esprime emblematicamente con<br />
il termine “mi faccio”, come se la soluzione fosse dentro di sé e quindi come se bastasse immettere una sostanza.<br />
La grande scoperta, invece, è che la soluzione sta al di fuori di noi. «Quello che vi distrugge – dice<br />
Silvio ai ragazzi - e che vi ha fatto soffrire non è il male, ma il bene che non si accetta». Poi aggiunge: «E qui<br />
cerchiamo di mostrargli come il bene non sia solo in questo luogo, ma che c’è sempre stato nella loro vita,<br />
semplicemente non l’hanno saputo accettare». Molti ragazzi se la prendono con i genitori, perché non sono<br />
mai stati guardati, considerati da loro. Silvio li sprona dicendo loro: «smettetela di andare contro voi stessi e i<br />
vostri genitori, tutto il combattimento vivetelo contro Dio». In modo che possano esprimere al meglio il grido<br />
che c’è al fondo di loro.<br />
All’altezza del grido del cuore<br />
«Desidero – ha continuato - che siano all’altezza del grido che agita il loro cuore. Invitandoli a parlare è come<br />
se dicessi loro: impara a gridare, non temere di tirare fuori quello che hai nel cuore, tutte le domande di verità,<br />
di senso religioso, gli interrogativi che riguardano il senso della vita, il valore dello studio e del lavoro, il<br />
perché della droga, della malattia, della morte». Qui si comprende bene il loro bisogno di avere qualcuno da<br />
guardare, qualcuno che sia per loro una presenza. «Tuttavia, diciamo loro di non guardare noi, ma dove noi<br />
guardiamo, così da imparare a gridare come facciamo noi».<br />
Cosa troveranno dopo?<br />
“E quelli che escono cosa troveranno?” è la domanda di molti genitori. E la risposta di Silvio è sempre la<br />
stessa: «Qui imparano che la realtà viene loro incontro e quindi verranno trovati e non devono trovare niente.<br />
Tutto accade nell’istante e si impara a scoprire di essere trovati, chiamati». Da qui sono passati circa 900 ragazzi<br />
e la maggior parte ce l’ha fatta ad uscire dal tunnel. Alcuni di essi hanno deciso di rimanere. C’è perfino<br />
un appartamento che accoglie i ragazzi che dopo il percorso hanno deciso di restare e per l’occasione ci hanno<br />
invitato a pranzo per offrirci un piatto di pasta preparata da loro. Facce solari e sorridenti di chi ha vissuto un<br />
dramma, ma che ora è pronto ad affrontare tutto.<br />
Eugenio, ad esempio, ci ha confidato «Ho sempre avuto questo pensiero, se ci potesse essere veramente un<br />
posto dove poter essere libero, me stesso. Qui ho imparato ad accettare i limiti miei e degli altri, ad avere fiducia<br />
in me stesso e negli altri, nel gruppo». Oppure Stefano ha parlato dell’”emozione sana” che emerge nel<br />
recitare: «La positività di quell’esperienza ci ha tirato fuori il bello che ciascuno di noi ha dentro di sé. Oltre<br />
la fatica, l’impegno».<br />
Questi ragazzi saranno al Meeting, per raccontarci di loro, dei loro drammi e di quello che vivono ora, dal<br />
teatro all’esperienza nella comunità. E lo fanno con quel sorriso sulle labbra di chi ora sa chi guardare.<br />
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