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del metaforico e intertestualità folkloriche. Un ... - Università di Pisa

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‘DOMINIO’ DEL METAFORICO E INTERTESTUALITÀ<br />

FOLKLORICHE. UN ESEMPIO PIEMONTESE (*)<br />

ALBERTO BORGHINI<br />

Fra le <strong>di</strong>verse caratteristiche-e-capacità attibuite in area piemontese<br />

alle c.d. masche (streghe cioè), si racconta <strong>del</strong>la loro prerogativa <strong>di</strong> –<br />

poniamo – “far vedere una capra” o ad<strong>di</strong>rittura “dei mucchi <strong>di</strong> capre”.<br />

L’attestazione che segue riguarda la zona <strong>di</strong> Albaretto <strong>del</strong>la Torre, in<br />

provincia <strong>di</strong> Cuneo: (1)<br />

“(…) Quelle lì (le masche cioè) comunque hanno dei “libri” (2), le<br />

fanno vedere… e adesso non ce n’è più nessuno in giro… o che li<br />

hanno bruciati o che qualcuno ce l’ha ancora ma non fanno più ‘ste<br />

stupidaggini lì, come andare a far vedere una capra ad uno che va a<br />

casa… Che mio suocero <strong>di</strong>ceva: “Lì qualcuno mi ha fatto vedere ‘sta<br />

capra… mi ha accompagnato (la capra cioè) lassù dal “bricco” (3) fino<br />

a casa”… C’è qualcosa con cui loro ti fanno vedere…”.<br />

In effetti il suocero <strong>del</strong>l’informatrice (4) aveva a suo tempo – e più<br />

volte - raccontato <strong>di</strong> una misteriosa capra che una notte (anzi, più<br />

esattamente, proprio verso mezzanotte) gli era comparsa e gli era stata<br />

“sempre appresso”, fino a casa per l’appunto; poi “non l’ha più vista”.<br />

Così, ancora, la medesima informatrice: (5)


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“Mio suocero… lui <strong>di</strong>ceva che era andato a Lequio (Lequio Berria<br />

cioè), e dopo era andato a fare la partita… è andato all’osteria… dopo<br />

<strong>di</strong>ceva che veniva a casa che era mezzanotte, è passato lassù dal<br />

“bricco”… dal “bricco” a venire avanti… <strong>di</strong>ceva che aveva una capra<br />

sempre appresso… sono le masche… sempre una capra appresso… le<br />

volte che l’ha raccontato… <strong>di</strong>ceva: “Ma sai… le facevo così (cenno <strong>di</strong><br />

avvicinarsi cioè)… e lei era sempre solo lì <strong>di</strong>etro”. E poi <strong>di</strong>ceva:<br />

“Bene, se viene a casa la chiudo nella stalla”… ha detto che l’ha<br />

accompagnato (la capra cioè) fino a casa… quando è arrivato a casa<br />

non l’ha più vista… Eh, una volta le raccontavano ‘ste cose lì”.<br />

Di un consimile ‘effetto operazionale’ da parte <strong>del</strong>le masche ci <strong>di</strong>ce<br />

un’altra informatrice, anch’essa cuneese, <strong>di</strong> Cerretto Langhe: (6)<br />

“(…) Dopo ne so un’altra, ma questa… questa io non so… <strong>di</strong><br />

Fortunata qui <strong>del</strong> paese… ne hai già sentito parlare?… <strong>del</strong>la<br />

Fortunata… stava ai “Duecento”… stava qui a Cerretto… Ebbene,<br />

mio papà è andato a caricare la legna con il bue, c’era mio fratello<br />

davanti… e sono venuti su tranquilli con ‘sto carico <strong>di</strong> legna fino a…<br />

fino a quando c’era solo più due metri o un “trabucco”… una volta<br />

<strong>di</strong>cevano un “trabucco”… un “trabucco” per arrivare alla strada… e<br />

‘sto bue si è messo… per terra… e a raspare, a fare dei versi… e poi<br />

non andava più su… per un po’… dopo mio padre era forte, mio<br />

fratello era davanti, ma era ancora piccolo, aveva paura che ‘sto bue lo<br />

tirasse per terra… Ha preso il bastone mio padre, ha dato due o tre<br />

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botte a ‘sto bue… niente da fare… ‘sto bue tirava dei soffi e non<br />

andava più avanti… allora mio padre è stato un po’ ed un po’, dopo ha<br />

detto: “Lo stacco… lo stacco ‘sto bue, per vedere quello che fa”. Solo<br />

che per staccarlo… c’era ancora la salita… non andava mica su… E<br />

allora hanno… c’era una che <strong>di</strong>cevano la Fortunata… a mio padre è<br />

venuta in mente… raccontava che ha detto… si è messo a <strong>di</strong>re:<br />

“Cristu, se prendo ‘sta Fortunata… se ti prendo ti strangolo!”… Dopo<br />

sono ancora stati un bel po’ lì… dopo si vede che lei è scappata… si<br />

era nascosta, si era nascosta nella cunetta… mio papà <strong>di</strong>ceva che si era<br />

nascosta nella cunetta… lei si era nascosta… mio padre ha fatto ‘ste<br />

due urla così e il bue ha fatto che alzarsi e andare via come niente<br />

fosse… E lì era la masca… perché ‘sta Fortunata era una masca… per<br />

me è verità, poi non so se… ‘sta Fortunata lì… la chiamavano la<br />

Fortunata… stava alla Cerretta… sempre Cerretto, ma alla Cerretta…<br />

era una vecchia che stava alla Cerretta… e faceva anche vedere le<br />

capre… e lei pure aveva sempre una capretta assieme… sì sì, ti faceva<br />

vedere dei mucchi <strong>di</strong> capre attraversare la strada…Buon’anima <strong>di</strong> mio<br />

papà <strong>di</strong>ceva che stava alla Cerretta… e quando tornavano da là <strong>di</strong>etro<br />

con ‘sta legna, stavano per arrivare proprio alla Cerretta, e lei si era<br />

nascosta in ‘sta cunetta… si era nascosta in ‘sta cunetta e non lasciava<br />

più andare su ‘sto bue… sono stati un bel po’ lì fermi… quando gli è<br />

venuto in mente <strong>di</strong> ‘sta Fortunata, allora si è messo a litigare: “Se ti<br />

prendo ti ammazzo”, e così ‘sto bue si è incamminato per andare”.<br />

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Da sottolineare, in questa attestazione, il particolare per cui la masca<br />

che “faceva vedere” le capre – e a “mucchi” – aveva “lei pure (…)<br />

sempre una capretta assieme”.<br />

Sulla base <strong>di</strong> una serie piuttosto ricca ed articolata <strong>di</strong> dati, ritengo <strong>di</strong><br />

poter interpretare la combinazione ‘vecchia con la capretta’, in quanto<br />

(sul piano immaginario) masca con la capretta, alla stregua <strong>di</strong> una<br />

proiezione sintattica (complemento <strong>di</strong> compagnia, si potrebbe <strong>di</strong>re), a<br />

partire da una correlazione forte (nucleare) che il sèma ‘capra’ risulta<br />

folkloricamente suscettibile <strong>di</strong> intrattenere - lo si sa – con la sfera <strong>del</strong><br />

negativo (piano simbolico). (7)<br />

Sebbene si tratti – come accennavo – <strong>di</strong> cosa assai nota, riporto un<br />

paio <strong>di</strong> attestazioni, ‘selezionate’ (anche) secondo una certa coerenza e<br />

contestualità, nonché costruibilità, <strong>del</strong> senso. La prima proviene –<br />

ancora una volta – dal Cuneese (Alberghetti <strong>di</strong> Mombasiglio):<br />

“C’è una fontana, no, e vedevano sempre una capra, <strong>di</strong>cevano quello,<br />

che era una masca. C’era una fontana laggiù, c’è ancora adesso, eh,<br />

quella fontana, e c’era sempre una capra lì dentro; era una masca. Per<br />

quello io, quando ero giovane, avevo otto o nove anni, andavo al<br />

paese a far la spesa, quando passavo <strong>di</strong> lì avevo sempre paura <strong>di</strong> quella<br />

capra, <strong>di</strong> vederla”. (8)<br />

La seconda attestazione, raccolta in provincia <strong>di</strong> Torino (Balangero (9)<br />

), prospetta – fra l’altro – un decorso ‘evenemenziale’ per certi versi<br />

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piuttosto simile – ma la conclusione sarà <strong>di</strong>fferente - rispetto a quello<br />

configurato nel racconto <strong>del</strong>l’uomo <strong>di</strong> Albaretto <strong>del</strong>la Torre;<br />

<strong>del</strong>l’uomo cioè (il suocero <strong>del</strong>l’anziana informatrice) che una<br />

misteriosa capra – comparsa attorno alla mezzanotte – aveva seguito<br />

sino a casa (poi non si era più vista).<br />

Riferisce l’informatore <strong>di</strong> Balangero Torinese: (10)<br />

“Questa storia è una storia <strong>del</strong>la zona <strong>di</strong> Locana, e si <strong>di</strong>ceva che fuori<br />

dal paese <strong>di</strong> Locana c’era una fontana, ma una fontana… una<br />

sorgente… praticamente non proprio una fontana <strong>di</strong> quelle che si<br />

intendono adesso, e un giorno un pastore che abitava sugli alpeggi si è<br />

fermato per bere a quella fontana e a un certo punto, dopo aver<br />

bevuto, si volta e vede che <strong>di</strong>etro c’erano due capre, fa finta <strong>di</strong> niente,<br />

continua, e queste capre lo seguono, lo seguono, lo seguono sempre,<br />

ad un certo punto lui arriva a casa sua sull’alpeggio. E allora cosa fa?<br />

Prende queste due capre e le chiude nella stalla e poi va a dormire. Al<br />

mattino dopo, quando scende, sente <strong>del</strong>le risate nella stalla, apre la<br />

stalla e scappano fuori due masche… Praticamente queste facevano<br />

questi scherzi alla gente, si trasformavano in animali e poi facevano<br />

questi scherzi. Quin<strong>di</strong> sono scappate via urlando e ridendo. E ha preso<br />

(l’uomo cioè) un grosso spavento”. (11)<br />

Se l’uomo <strong>di</strong> Albaretto <strong>del</strong>la Torre non era riuscito a rinchiudere nella<br />

stalla la misteriosa capra che l’aveva nottetempo seguito, il pastore <strong>di</strong><br />

Locana effettivamente chiude nella stalla <strong>del</strong>l’alpeggio le due capre<br />

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che – allo stesso modo – l’avevano seguito fino a casa; ed in<br />

quest’ultimo caso le due capre risulteranno essere – lo abbiamo<br />

constatato – nient’altro che due masche così trasformate.<br />

Il raffronto fra i due racconti suggerirà alcune considerazioni.<br />

Anzitutto, la constatazione che all’interpretazione – <strong>di</strong>ciamo –<br />

illusionistica o allucinatoria (Albaretto <strong>del</strong>la Torre, Cerretto Langhe)<br />

può corrispondere quella che si propone come lettura metamorfica. In<br />

altre parole, alla capra e alle capre ‘fatte vedere’ dalla masca (effetto<br />

illusionistico o allucinatorio che <strong>di</strong>r si voglia) non sarà estraneo il<br />

tema – ampiamente e contestualmente riscontrabile – <strong>del</strong>la ‘capra’ in<br />

quanto forma metamorfica degli esseri <strong>del</strong> negativo (e, nello specifico,<br />

<strong>del</strong>le masche piemontesi).<br />

Gli effetti illusionistici, o allucinatori che <strong>di</strong>r si voglia, trovano o<br />

possono talora trovare – cioè – riscontri ben precisi sul terreno <strong>del</strong>le<br />

‘interpretazioni’ e <strong>del</strong>le ‘esperienze’ metamorfiche (capra/capre che<br />

è/sono masche). E’ quel che i racconti <strong>di</strong> folklore ci pongono <strong>di</strong>nanzi<br />

con sufficiente chiarezza.<br />

Torniamo, comunque, per un attimo in<strong>di</strong>etro. Di contro al tema <strong>del</strong>la<br />

capra/capre in quanto forma metamorfica <strong>del</strong>la masca (degli esseri <strong>del</strong><br />

negativo più in generale), un motivo qual è quello <strong>del</strong>la vecchia masca<br />

che “aveva sempre una capretta assieme” – in certo modo funzionante,<br />

parrebbe <strong>di</strong> capire, come tratto <strong>di</strong> riconoscibilità o, ad ogni buon<br />

conto, come tratto caratterizzante <strong>del</strong>la strega stessa – verrà a<br />

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configurarsi alla stregua <strong>di</strong> un effetto <strong>di</strong> ricaduta metonimica<br />

(complemento <strong>di</strong> compagnia, contiguità strega-e-capra) (12), alla<br />

stregua <strong>di</strong> un effetto <strong>di</strong> ‘slacciamento’ (capra <strong>di</strong>stinta dalla masca,<br />

seppur sempre assieme) rispetto ad un polo (‘polo <strong>di</strong> amalgama’ <strong>di</strong>rei)<br />

che è quello <strong>del</strong>la identità/identificabilità (capra che è senz’altro la<br />

masca stessa). (13)<br />

Saremmo <strong>di</strong> fronte, insomma, ad un momento <strong>di</strong> ‘derivazione’<br />

(metonimica) rispetto ad un nucleo logicamente e semioticamente<br />

primario (‘generante’) costituito dall’effetto <strong>di</strong> identificazione<br />

metamorfica (masca sotto forma <strong>di</strong> capra, capra in quanto forma <strong>del</strong>la<br />

masca).<br />

In altri termini, il nesso sintattico rappresentato – nel caso in questione<br />

- dal complemento <strong>di</strong> compagnia (un soggetto ‘vecchia masca’ cui è<br />

associato un attributo caratterizzante o comunque un attributo ‘capra’)<br />

risulterà leggibile sullo sfondo intertestuale, <strong>di</strong> ‘contesto non<br />

imme<strong>di</strong>ato’, in cui il momento car<strong>di</strong>ne è dato dall’elemento attributivo<br />

corrispondente (sèma ‘capra’) in quanto suscettibile <strong>di</strong> occupare<br />

senz’altro la posizione <strong>del</strong> soggetto (soggetto <strong>del</strong> negativo, nel caso in<br />

questione ‘masca’).<br />

Dunque, e riassumendo, il sèma-attributo ‘capra’ (giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong><br />

attribuzione) può occupare la posizione sintattica <strong>del</strong>lo stesso soggetto<br />

‘masca’ (giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> esistenza), identificandosi con esso (capra che è<br />

una /la masca); oppure il sèma-attributo ‘capra’ (giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong><br />

attribuzione) può occupare, rispetto al medesimo soggetto, o rispetto<br />

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al medesimo tipo <strong>di</strong> soggetto (giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> esistenza), la posizione<br />

sintattica <strong>del</strong> complemento (<strong>di</strong> più complementi); nell’esempio qui<br />

prospettato, <strong>del</strong> complemento <strong>di</strong> compagnia (masca con la capra). Le<br />

valenze e il valore caratterizzanti <strong>di</strong> tali complementi potranno<br />

acquisire evidenza soprattutto se considerati nel gioco <strong>del</strong>le<br />

intertestualità: per il fatto che si presentano come costante ma non<br />

solo per questo; anche, intendo, per il fatto che si presentano,<br />

‘<strong>di</strong>fferenzialmente’, come volta a volta variazione sintattica nel<br />

quadro <strong>di</strong> una rete, appunto, <strong>di</strong> variazioni sintattico-posizionali <strong>di</strong> (a<br />

partire da) un medesimo elemento semantico, <strong>di</strong> (a partire da) un<br />

medesimo sèma-attributo. Vale a <strong>di</strong>re, in fin dei conti, a partire dal<br />

significante: dal sèma come significante nell’accezione attiva,<br />

<strong>di</strong>namicamente attiva, <strong>di</strong> ‘in grado <strong>di</strong> significare’ (e <strong>di</strong> significare<br />

<strong>di</strong>fferenzialmente).<br />

Sarà opportuno tener presente che, sul terreno <strong>del</strong>le intertestualità<br />

<strong>folkloriche</strong>, ciò si verifica per <strong>di</strong>versi sèmi-attributo, ciascuno dei<br />

quali va – effettivamente – ad occupare, in <strong>di</strong>fferenti racconti (per lo<br />

più in <strong>di</strong>fferenti racconti), posizioni sintattiche <strong>di</strong>fferenziate.<br />

Si tratta <strong>di</strong> racconti che su tali basi – <strong>di</strong> unità/unificazione semantica,<br />

semantico-attributiva – appariranno analogicamente coor<strong>di</strong>nabili; e il<br />

tipo <strong>di</strong> analogia(/<strong>di</strong>fferenzialità) che ne risulta sarà – da questo punto<br />

<strong>di</strong> vista - <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne sintattico.<br />

La descrizione <strong>del</strong> singolo racconto passa attraverso (gli) altri racconti<br />

analogicamente coor<strong>di</strong>nabili; è il ‘racconto attraverso il racconto’,<br />

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lungo le orizzontalità – per così esprimermi – <strong>di</strong> ogni singolo e<br />

concreto racconto. (14)<br />

Ancora. Assumendo il <strong>metaforico</strong> come sfera <strong>del</strong>le<br />

identificazioni/identificabilità, la metamorfosi verrà ad essere il<br />

corrispettivo mitologico e folklorico <strong>del</strong>la metafora stessa. Ed è in<br />

rapporto ad un siffatto nucleo che è <strong>di</strong> identità/identificazione<br />

metamorfica (ovverosia metaforica) che la connessione ‘masca-concapra’<br />

(complemento <strong>di</strong> compagnia) assumerà la configurazione<br />

propriamente intertestuale <strong>di</strong> una risultante per contiguità (15)<br />

(derivazione metonimica per ‘slacciamento’ <strong>del</strong> <strong>metaforico</strong>, per<br />

‘spostamento’ dal <strong>metaforico</strong>; ovverosia, realizzazione sintatticamente<br />

metonimica <strong>del</strong> sèma o attributo significante).<br />

In una prospettiva <strong>del</strong> genere si inscriverà altresì l’effetto che<br />

chiamerei causativo, rappresentato dalla masca che ‘fa vedere’ una<br />

capra o “dei mucchi <strong>di</strong> capre (attraversare la strada)”: l’effetto<br />

causativo rappresentato cioè dalla masca che ‘fa vedere’ secondo –<br />

tale la mia proposta <strong>di</strong> lettura interpretativa - quella che è una forma<br />

metamorfica – e metaforica – <strong>del</strong>la sua stessa identità; che ‘fa<br />

vedere’, aggiungerei, secondo quella che è la(/una) forma attributiva,<br />

o semantico-attributiva se si preferisce, <strong>del</strong>la sua stessa identità (<strong>del</strong>la<br />

sua stessa identità sul piano <strong>del</strong> giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> attribuzione). (16) Forma<br />

<strong>del</strong>l’identità a sua volta narratologicamente (e folkloricamente)<br />

‘ricostruibile’, in un modo non <strong>di</strong> rado piuttosto consistente anche dal<br />

punto <strong>di</strong> vista documentario, qualora si adotti per l’appunto una<br />

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prospettiva intertestuale, sulla lunghezza d’onda – fondamentalmente<br />

– <strong>di</strong> quel che chiamerei contesto non imme<strong>di</strong>ato.<br />

Sarebbe - per concludere - la metaforicità potenziale <strong>di</strong> un<br />

sèma/attributo significante (‘capra’ in quanto forma metamorfica,<br />

effettivamente attestata, <strong>del</strong>la masca) che è in grado <strong>di</strong> ‘generare’ altri<br />

possibili <strong>di</strong>spiegamenti sintattici (per metonimie <strong>di</strong>fferentemente<br />

‘derivate’, e l’una in rapporto all’altra <strong>di</strong>fferenzialmente ‘derivata’).<br />

Le <strong>di</strong>fferenti risultanze metonimiche, per contiguità ‘reale’ o ‘logica’<br />

con il ‘soggetto <strong>del</strong> negativo’ (nel caso in questione ‘masca con la<br />

capra’ nonchè ‘masca che fa vedere le capre’) (17), appariranno, da<br />

parte loro, riconducibili al sèma-attributo significante (‘capra’) che ne<br />

costituisce il ‘significante <strong>di</strong> sostrato’.<br />

Il coor<strong>di</strong>namento intertestuale dei racconti non è in sostanza<br />

separabile dal rinvio ad una unità semantico-attributiva (pros hen).<br />

Analogia sintattica (<strong>di</strong>fferenziazione sintattico-posizionale) e unità<br />

semantica sono nozioni solidali: la prima configura un(/il) campo<br />

<strong>di</strong>(/dei) <strong>di</strong>spiegamenti metonimici ‘orientati’ e ‘congruenti’; la<br />

seconda trova il suo momento più marcato proponendosi senz’altro<br />

come soggetto, nella posizione sintattica <strong>del</strong> soggetto (forma<br />

metamorfica, forma metaforica). Si tratta, allora, <strong>di</strong> una ‘totale’<br />

convergenza <strong>di</strong> attributo e soggetto; <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> attribuzione e<br />

giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> esistenza.<br />

Alberto Borghini<br />

Note<br />

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(*)Le ricerche nonché le tesi <strong>di</strong> laurea da me progettate e <strong>di</strong>rette, cui si<br />

fa riferimento nel presente intervento, sono <strong>di</strong>sponbibili presso il<br />

Centro <strong>di</strong> documentazione <strong>del</strong>la tra<strong>di</strong>zione orale <strong>di</strong> Piazza al Serchio<br />

(LU), impegnato alla costruzione <strong>di</strong> un archivio folklorico nazionale.<br />

L’età (approssimativa) degli informatori - quando non in<strong>di</strong>cato, più<br />

precisamente, l’anno <strong>di</strong> nascita – si riferisce al momento<br />

<strong>del</strong>l’intervista.<br />

(1)Informatrice Palmina Pressenda, nata nel 1915, intervistata in data<br />

16 febbraio 2007 da Alessandro Fenocchio nell’ambito <strong>di</strong> un lavoro <strong>di</strong><br />

tesi, da me progettato e <strong>di</strong>retto, sul folklore <strong>di</strong> alcune località <strong>del</strong><br />

Piemonte.<br />

(2)Si tratta <strong>del</strong> c.d. “libro <strong>del</strong> comando”.<br />

Circa il “libro”, mi limito qui a proporre – solo proporre – alcune<br />

attestazioni, accennando comunque al fatto che in esse appaiono<br />

riconoscibili nuclei <strong>di</strong> svolgibilità tematico-narratologiche piuttosto<br />

ricchi e complessi (<strong>di</strong> cui mi sono almeno in parte già occupato o <strong>di</strong><br />

cui mi occuperò in altre se<strong>di</strong>): “(…) Da piccola, quando abitavamo<br />

ancora tutti nel casolare dei miei nonni, si sentiva molto parlare <strong>di</strong><br />

queste masche, sì, mi ricordo… che avevano dei poteri particolari, e<br />

usavano questi libri dove avevano scritte le loro formule magiche che<br />

poi passavano agli ere<strong>di</strong>… e non morivano in pace se non avevano<br />

nessuno a cui passarli (…)” (informatrice Marisa Ortalda, 78 anni<br />

circa, <strong>di</strong> Aramengo, in provincia <strong>di</strong> Asti, intervistata verso gli inizi<br />

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2007 da Elena Scripelliti, mia allieva presso il Politecnico <strong>di</strong> Torino,<br />

nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca, da me organizzata e <strong>di</strong>retta, sul folklore <strong>di</strong><br />

alcune località <strong>del</strong> Piemonte); “La nonna <strong>di</strong> una persona che conosco<br />

<strong>di</strong>cevano che era una masca… questa aveva il “libro <strong>del</strong> comando”…<br />

quando è morta lo ha nascosto in un camino, e <strong>di</strong>cevano che la prima<br />

persona a trovarlo e a leggerlo avrebbe avuto sfortuna per tutta la vita”<br />

(informatrice Caterina Rossano, 58 anni circa, <strong>di</strong> Canale, in provincia<br />

<strong>di</strong> Cuneo, intervistata durante l’ottobre 2005 da Paolo Sibona, mio<br />

allievo presso il Politecnico <strong>di</strong> Torino, nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca, da<br />

me organizzata e <strong>di</strong>retta, sul folklore <strong>di</strong> alcune località <strong>del</strong> Piemonte);<br />

“Dice che per avere il potere avevano un libro… e loro attingevano a<br />

questo libro, facevano quel che facevano con ‘sto libro. Poi, quando<br />

dovevano morire, che poi magari si sentivano… dovevano lasciare il<br />

potere a un’altra persona… a volte l’altra persona poteva essere sua<br />

figlia… più che altro le donne… la figlia… se la figlia non accettava<br />

dovevano <strong>di</strong>sfarsene… <strong>di</strong>ce che altrimenti la loro paura… la loro<br />

leggenda era che morivano male, insomma soffrivano molto, e allora<br />

se non riuscivano a darlo a nessuno <strong>di</strong>ce che lo buttavano via… <strong>di</strong>ce<br />

che… raccontava appunto quella… <strong>di</strong>ce che l’ha buttato su una pianta,<br />

questa pianta è seccata all’istante” (informatrice Giuseppina<br />

Bongiovanni, 79 anni circa, <strong>di</strong> Caselle Torinese, intervistata verso gli<br />

inizi 2006 da Silvia Petrosino, mia allieva presso il Politecnico <strong>di</strong><br />

Torino, nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca, da me organizzata e <strong>di</strong>retta, sul<br />

folklore <strong>di</strong> alcune località <strong>del</strong> Piemonte); “In questo paesino abitavano<br />

i Giacoletto “Papèss”, e si <strong>di</strong>ce che uno <strong>di</strong> loro aveva il libro <strong>del</strong><br />

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potere, da dove usciva il fuoco o la testa <strong>del</strong> <strong>di</strong>avolo… ora non so<br />

più… non mi ricordo… e quando questo signore qui è morto, il prete è<br />

andato dalla moglie a farselo dare” (informatore anonimo, 80 anni<br />

circa, <strong>di</strong> Castelnuovo Nigra, in provincia <strong>di</strong> Torino, intervistato verso<br />

gli inizi 2007 da Chiara Pisci nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca, da me<br />

organizzata e <strong>di</strong>retta, sul folklore <strong>di</strong> alcune località <strong>del</strong> Piemonte);<br />

“C’era lì mia zia che lo contava, magari <strong>di</strong> inverno, così, che ci<br />

radunavamo in casa… magari si mangiava le castagne… così… e<br />

contavano <strong>del</strong>le cose… che avevano trovato il “libro <strong>di</strong> comando”… il<br />

“libro <strong>di</strong> comando”… che trovavano dei fogli… adesso magari… non<br />

so… come <strong>del</strong>le volte si sente quelli che fanno <strong>del</strong>le magie nere… che<br />

ne so… Hanno… <strong>del</strong>le volte lì dove c’erano quei casotti… magari<br />

nelle vigne… <strong>di</strong>ceva che trovavano dei fogli <strong>di</strong> quelle cose lì… un<br />

libro magari può darsi che qualcuno ce l’avesse perché sentivo lei che<br />

lo <strong>di</strong>ceva che qualcuno… che qualche persona ce l’aveva quel libro…<br />

però hanno trovato anche dei fogli magari nelle campagne, così… sai,<br />

una volta andavano tanto nelle viti… sparpagliati… così…”<br />

(informatrice Silvia, 72 anni circa, <strong>di</strong> Calosso, in provincia <strong>di</strong> Asti,<br />

intervistata in data 13 novembre 2005 da Mario Scagliola, mio allievo<br />

presso il Politecnico <strong>di</strong> Torino, nell’ambito <strong>di</strong> un lavoro <strong>di</strong> tesi, da me<br />

progettato e <strong>di</strong>retto, sul folklore <strong>di</strong> alcune località <strong>del</strong>l’Italia); “<strong>Un</strong><br />

gruppo <strong>di</strong> ragazzi che, andando a passeggio per il bosco un giorno,<br />

nella rocca sotto al Castello hanno trovato un libro, in un buco, in una<br />

specie <strong>di</strong> piccola grotta. L’hanno sfogliato ma era scritto in un modo<br />

poco leggibile per loro, ma l’unica cosa che si leggeva bene era<br />

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“Michelina”. Allora <strong>di</strong> lì si presumeva che fosse stato il suo “libro <strong>del</strong><br />

comando”. / Questi ragazzi lo hanno poi preso e portato al parroco,<br />

che poi lo ha portato in curia. / Si <strong>di</strong>ce oggi che portandolo avrebbero<br />

letto, avrebbero capito due o tre cose che rimandavano in un altro<br />

posto, anche quello misterioso, il Bricco Milleocchi, che si <strong>di</strong>ce che<br />

sia tra le due rocche verso l’America dei Boschi, dove ci sono dei<br />

buchi, e se butti giù qualcosa non lo senti atterrare. Molti <strong>di</strong>cono che<br />

qui sia sotterrato un famoso carro d’oro… nella rocca… questi ragazzi<br />

ci sono andati e hanno trovato nella cavità <strong>di</strong> una grossa pianta un<br />

affare avvolto… aprendolo c’era scritto sopra qualche cosa ma non<br />

più comprensibile, poteva essere qualche pozione che probabilmente<br />

serviva per il sabba o per qualche cosa <strong>del</strong> genere… si capiva che<br />

sopra c’era scritto <strong>di</strong> non portare via, sennò succedevano <strong>del</strong>le<br />

<strong>di</strong>sgrazie, a chi lo portava via… che dovevano lasciarlo lì… / Loro<br />

sono ritornati, hanno detto tutto al parroco… quando sono andati <strong>di</strong><br />

nuovo in<strong>di</strong>etro non hanno più trovato il posto… non c’era più questa<br />

grossa quercia… c’erano solo più dei rovi ed un castagno enorme…<br />

ma non riconoscevano più il posto… / Adesso ancora ce ne sono <strong>di</strong><br />

quelle donne lì, perché sappiamo tutti che questo dono si tramanda…”<br />

(informatore Giusto Dallorto, 45 anni circa, <strong>di</strong> Pocapaglia, in<br />

provincia <strong>di</strong> Cuneo, intervistato durante l’agosto 2005 da Franca<br />

Miretti, mia allieva presso il Politecnico <strong>di</strong> Torino, nell’ambito <strong>di</strong> una<br />

ricerca, da me organizzata e <strong>di</strong>retta, sul folklore <strong>di</strong> alcune località <strong>del</strong><br />

Piemonte; “Michelina” fa <strong>di</strong> tutta evidenza riferimento ad una assai<br />

nota strega <strong>del</strong>la tra<strong>di</strong>zione locale, la “masca Micilina”); “Mio fratello,<br />

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no, era andato a servo da un signore, e allora quello lì è andato al<br />

mercato, no, e ha lasciato un libro là… Lui ha aperto ‘sto libro e<br />

legge: “Comanda, comanda…”. Comanda <strong>di</strong> pulire la stalla, <strong>di</strong><br />

togliere il letame… lui ha detto… e “batà”, gli è arrivata una bella<br />

sberla!… Eh, sì, perché una volta c’erano i libri che leggevano, ma<br />

non tutti erano in grado <strong>di</strong> leggerli… se uno li sa leggere, eh… bene…<br />

ma chi è che non sa leggerli gli fa <strong>del</strong> male, via…” (informatrice<br />

Teresina Can<strong>del</strong>a, 81 anni circa, <strong>di</strong> Bal<strong>di</strong>ssero Torinese, intervistata<br />

durante il luglio 2005 da Elena Capone, mia allieva presso il<br />

Politecnico <strong>di</strong> Torino, nell’ambito <strong>di</strong> un lavoro <strong>di</strong> tesi, da me<br />

progettato e <strong>di</strong>retto, sul folklore <strong>di</strong> alcune località <strong>del</strong> Piemonte); “Qui<br />

a Villanova le masche non c’erano perché eravamo vicini… siamo<br />

vicini a Ferrere, e Ferrere è terra <strong>di</strong> masche. C’è proprio la “valle <strong>del</strong>le<br />

masche” a Ferrere, ed è quella che parte da Ferrere per arrivare a<br />

Cisterna. / Mentre alla Martinetta, che è una borgata <strong>di</strong> Ferrere, ci<br />

sono tanti piloni votivi ad uguale <strong>di</strong>stanza e rappresentavano<br />

nell’antichità la “via crucis”. / Ora, molti si sono rovinati nel tempo,<br />

ma narrano le persone anziane che essendo stato nascosto un “libro<br />

<strong>del</strong> comando” <strong>del</strong>le masche in uno <strong>di</strong> quei piloni, l’allora vicario <strong>del</strong><br />

posto li fece abbattere per trovarlo. / Che poi sia stato trovato e<br />

nascosto attualmente nella Curia <strong>di</strong> Cuneo è ancora tutto da verificare.<br />

/ La leggenda narra questo" (informatrice Margherita Amerio, 50 anni<br />

circa, <strong>di</strong> Dusino San Michele, in provincia <strong>di</strong> Asti, intervistata durante<br />

il giugno 2005 da Valeria Tralli nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca, da me<br />

organizzata e <strong>di</strong>retta, sul folklore <strong>di</strong> alcune località <strong>del</strong> Piemonte). Per<br />

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quanto concerne la ‘vigna’ come luogo <strong>del</strong> negativo (“fogli <strong>di</strong> quelle<br />

cose lì” nelle vigne) cfr. A. Borghini – Fr. de Carlo, Esseri <strong>del</strong><br />

negativo e sfera <strong>del</strong> vino nelle Valli Ossolane e altrove. Alcuni<br />

esempi, in “Le Apuane”, XXIII, 44, 2002. Riguardo al “libro” che<br />

càpita nelle mani <strong>di</strong> un ‘inesperto’ rinvio ai miei: Don Gaspare e gli<br />

spiriti maligni: simbolica e strategia <strong>di</strong> un racconto popolare, in<br />

“Annuario <strong>del</strong>la Biblioteca Civica “Stefano Giampaoli” <strong>di</strong> Massa”<br />

1987-88 (tra<strong>di</strong>zione massese); Due note <strong>di</strong> folklore, in<br />

“L’EcoApuano”, 11, 4-5, 2000, p. 31 (prima parte: <strong>Un</strong>a leggenda <strong>di</strong><br />

Gorfigliano e una <strong>di</strong> Massa); nonché il mio Il gomitolo e l’ere<strong>di</strong>tà<br />

<strong>del</strong>la strega in una tra<strong>di</strong>zione biellese, in Borghini, Semiosi nel<br />

folklore III. Prospettive tipologiche e analisi ‘locali’, Piazza al<br />

Serchio (LU), Centro <strong>di</strong> documentazione <strong>del</strong>la tra<strong>di</strong>zione orale 2003,<br />

pp. 187 sgg., in part. nota 32, pp. 209 sgg.. Relativamente al pilone<br />

votivo - ma non solo - come ‘punto <strong>del</strong>la paura’ (<strong>di</strong>ciamo così) si veda<br />

il mio Le mappe <strong>del</strong> simbolico-immaginario fra località esistenziale e<br />

globalità pre<strong>di</strong>cativa. Il luogo-icona: specificità deittica e funzione<br />

deittica; specificità locale e funzione locale, in Centro <strong>di</strong><br />

documentazione <strong>del</strong>la tra<strong>di</strong>zione orale <strong>di</strong> Piazza al Serchio (LU), a<br />

cura <strong>di</strong>, Rappresentazioni e mappe <strong>del</strong> simbolico-immaginario:<br />

Minucciano in Garfagnana, Lucca, Pacini Fazzi 2007.<br />

Sempre per il “libro <strong>del</strong> comando” <strong>di</strong> area piemontese si consulti D.<br />

Bosca – Br. Murialdo, Masche. Voci, luoghi e personaggi <strong>di</strong> un<br />

“Piemonte altro” attraverso ricerche, racconti e testimonianze<br />

autentiche, Pavone Canavese (TO), Priuli e Verlucca 1999; già D.<br />

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Bosca – Br. Murialdo – L. Carbone, Racconti <strong>di</strong> masche (incontri<br />

ritrovati nel tempo), Alba (CN), Famija Albeisa 1979, in part. cap.<br />

XIV, pp. 155 sgg.. Si veda altresì G. L. Bravo, Feste, masche,<br />

conta<strong>di</strong>ni. Racconto storico-etnografico sul Basso Piemonte, Roma,<br />

Carocci 2005, Racconti <strong>di</strong> masche (6.5), pp. 127 sgg..<br />

Anche, più in basso, nota 13.<br />

(3)Con questo termine si designa un’altura, una collinetta, o simili.<br />

(4)Cfr. nota 1.<br />

(5)Cfr. nota 1.<br />

(6)Secon<strong>di</strong>na Bor<strong>di</strong>zzo, nata nel 1926, intervistata in data 3 febbraio<br />

2007 da A. Fenocchio, tesi <strong>di</strong> laurea, cit.; cfr. nota 1.<br />

(7)Allo stesso modo – poniamo – la strega viene talora descritta<br />

mentre tiene <strong>del</strong> fieno sotto il braccio (tratto caratterizzante); e, in<br />

termini corrispondenti, la strega può assumere la forma metamorfica<br />

<strong>di</strong> un mucchio <strong>di</strong> fieno. Cfr. il mio Il “primo nodo <strong>del</strong> mattino”: la<br />

scopa, la paglia. La “sposa <strong>di</strong> fieno” e l’astuta “servetta” <strong>di</strong> Quart.<br />

Verso il mo<strong>del</strong>lo analogico, negli Atti <strong>del</strong> convegno “Immaginario,<br />

territorio, Paesaggio”, tenuto in data 9 <strong>di</strong>cembre 2000 presso il Centro<br />

<strong>di</strong> documentazione <strong>del</strong>la tra<strong>di</strong>zione orale <strong>di</strong> Piazza al Serchio (LU), in<br />

“Tra<strong>di</strong>zioni popolari”, I, 1, giugno 2002 (Experiences Verlag <strong>di</strong> Koeln<br />

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e Tipolito <strong>di</strong> Lucca), pp. 35 sgg.; nonché il mio La strega e il mucchio<br />

<strong>di</strong> fieno. <strong>Un</strong>a identificazione, in “L’EcoApuano”, 13, 1, 2002, p. 30.<br />

Né si tratta degli unici casi.<br />

Per un analogo meccanismo si tenga anche presente, più in basso, nota<br />

15 (gatto e prete, gatto-prete).<br />

(8)Informatrice anonima, 88 anni circa, intervistata durante il<br />

settembre 2004 da Rochi Luigi Venezia ed Elisa Zuppichini<br />

nell’ambito <strong>di</strong> un lavoro <strong>di</strong> tesi, <strong>di</strong> cui ho <strong>di</strong>retto il versante <strong>di</strong> ricerca<br />

folklorica, relativa ad alcune località <strong>del</strong>l’Italia.<br />

Per un’altra <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> lettura si consulti il mio La fontana e la<br />

capra. Alcune estensioni, in Borghini, Varia Historia. Narrazione,<br />

territorio, paesaggio: il folklore come mitologia, Roma, Aracne 2005,<br />

pp. 205 sgg..<br />

(9)Testimonianza che riguarda la zona <strong>di</strong> Locana: cfr. qui sotto.<br />

(10)Fulvio Ferrari, 56 anni circa, intervistato durante l’ottobre 2004 da<br />

Giulia Maria Facchetti nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca, da me organizzata e<br />

<strong>di</strong>retta, sul folklore <strong>di</strong> alcune località <strong>del</strong> Piemonte.<br />

Cfr. anche nota 8.<br />

(11)Di una ‘sostituzione <strong>del</strong>la capra’ (per così esprimermi) ci racconta<br />

un informatore <strong>di</strong> Castelnuovo Nigra (prov. Torino): “<strong>Un</strong>a signora che<br />

abitava in quella cascina che si vede prima <strong>di</strong> entrare in paese… avete<br />

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presente no?… Quella era la signora Maddalena, <strong>di</strong> novantacinque<br />

anni, aveva le capre, e l’estate, come si faceva, le portavano su… un<br />

giorno le porta al pascolo e la sera tornando a casa vede che gliene<br />

manca una… che non c’è più una capra… così la chiama e la chiama,<br />

ma niente… la chiama ancora, ma ancora niente…Alla fine la sente, la<br />

capra, che viene verso casa, ma quando la vede arrivare si accorge che<br />

è un po’ <strong>di</strong>versa dalla sua, che non è la sua capra, e le viene un po’ <strong>di</strong><br />

paura… perché vede che quella cercava <strong>di</strong> salire su per la scala, no…<br />

voleva entrare in casa, e si capisce che razza <strong>di</strong> capra era quella lì…<br />

una masca!… Allora lei fa per <strong>di</strong>fendersi e prende da terra un ramo<br />

d’ulivo, così quella scappa e il giorno dopo ritrova la sua capra”<br />

(anonimo, 65 anni circa, intervistato verso gli inizi 2007 da Ch. Pisci,<br />

cit.; cfr. nota 2). Il tema <strong>del</strong>la ‘capra-sostituto’ fa in qualche modo da<br />

pendant a quello, ben conosciuto ed assai <strong>di</strong>ffuso, <strong>del</strong> ‘bambinosostituto’.<br />

Si tenga altresì conto <strong>di</strong> una realizzazione <strong>del</strong> tipo ‘masca vestita da<br />

capra’. E si consideri questa attestazione - al proposito <strong>del</strong> tutto<br />

esplicita - <strong>di</strong> un informatore <strong>di</strong> Alice Castello, in provincia <strong>di</strong> Vercelli:<br />

“(…) E perché allora avevano fame e vedevano tutte quelle cose lì…<br />

Questa “crava bianca” era… era una capra bianca… che quando<br />

andavano in giro per il paese <strong>di</strong> notte… d’inverno che c’era la<br />

nebbia… tutti vedevano ‘sta capra bianca… e tutti avevano paura <strong>di</strong><br />

‘sta capra bianca… era… una cosa… che non sapevano che cos’era,<br />

no… era una capra… con le corna… una capra… finchè un uomo <strong>di</strong><br />

Alice… che lui non aveva paura… ha aspettato ‘sta capra bianca, e<br />

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quando l’ha vista che quella lì è andata nella strada per fargli paura…<br />

lui l’ha presa per le corna… gli ha spezzato le corna, e sotto la capra<br />

bianca c’era una donna… vestita da capra… bianca… le ha ficcato tre<br />

calci nel culo e la storia <strong>del</strong>la capra bianca è finita lì… quella là… si è<br />

presa talmente paura… che non è mai più andata a spaventare<br />

nessuno… spaventava la gente, perché avevano fame… erano<br />

denutriti… e vedevano i maghi… vedevano quelle cose lì… avevano<br />

paura… e quello lì che ha detto: “Che io paura <strong>del</strong>la capra bianca<br />

proprio non ne ho”… è andato finchè è riuscito a incontrarla…”<br />

(Pietro Savio, 53 anni circa, intervistato in data 30 gennaio 2005 da<br />

Elisa Brunero, mia allieva presso il Politecnico <strong>di</strong> Torino, nell’ambito<br />

<strong>di</strong> una ricerca, da me organizzata e <strong>di</strong>retta, sul folklore <strong>di</strong> alcune<br />

località <strong>del</strong> Piemonte). Il motivo <strong>del</strong> ‘travestimento animalesco’<br />

sembrerebbe risultare, in realtà, non troppo <strong>di</strong>stante dalla<br />

‘realizzazione metamorfica’ (è un argomento sul quale varrà la pena<br />

tornare). Su streghe che, per es., indossano un vello ovino – e ballano<br />

– si tramanda in Valle Intrasca (prov. Verbania): cfr. P. Chiaberta,<br />

Non è vera ma è così. Racconti e favole <strong>del</strong>la Valle Intrasca,<br />

Verbania, Tararà Ed. 2000, La danza <strong>del</strong>le quattro pecore, p. 71.<br />

Sempre sul tema <strong>del</strong> ‘travestimento’, si riferisce alle “basure” liguri<br />

l’attestazione che segue, proveniente – presumibilmente – dalla zona<br />

<strong>di</strong> Albenga-Colle San Bernardo: “(…) Poi nei boschi le “basure”<br />

(streghe cioè) <strong>di</strong>ventavano maiali, <strong>di</strong>ventavano pecore. Si mettevano<br />

‘ste pelli e <strong>di</strong>ventavano animali, però uno con un bastone ne ha date ad<br />

una <strong>di</strong> queste” (informatrice Rina, intervistata ad Isola Perosa in data<br />

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17 marzo 2007 da Roberto Maggi nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca, da me<br />

organizzata e <strong>di</strong>retta, sul folklore <strong>di</strong> alcune località <strong>del</strong>l’Italia).<br />

Mettersi le pelli animalesche e ‘<strong>di</strong>ventare’ animali si fa in certo modo<br />

equipollente; o, meglio, il ‘<strong>di</strong>ventare animale’ tende a configurarsi<br />

come la ‘conseguenza’ <strong>del</strong> ‘mettersi le pelli’.<br />

(12)Si tratta <strong>di</strong> una contiguità che possiamo chiamare ‘fissa’<br />

(caratterizzante).<br />

(13)Su “libro dei coman<strong>di</strong>” e ‘capra’ (‘capra che balla’) –<br />

sembrerebbe anche qui trattarsi, tout court, <strong>di</strong> una masca così<br />

trasformata – presento altresì questa testimonianza, raccolta a Lequio<br />

Berria, in provincia <strong>di</strong> Cuneo: “Sì, si raccontava <strong>di</strong> un uomo che aveva<br />

il “libro dei coman<strong>di</strong>”, che faceva vedere cose fantastiche alla gente.<br />

<strong>Un</strong> altro uomo stava andando al mulino in Belbo, con un sacco <strong>di</strong><br />

meliga in spalle, e vedeva sempre una capra che gli ballava davanti, in<br />

qua e in là, e lui non poteva liberarsene perché era svelta, e non<br />

riusciva a darle dei calci… Ad un certo punto, stufo, ha posato il sacco<br />

in terra e gli ha gridato <strong>di</strong> andarsene e le ha dato il nome <strong>del</strong>la persona<br />

che si <strong>di</strong>ceva che avesse il “libro dei coman<strong>di</strong>”…” (informatrice Rosa<br />

Sibona, nata nel 1925, intervistata durante il 2004 da Enea Travaglio<br />

nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca coor<strong>di</strong>nata e <strong>di</strong>retta da A. Borghini e M. L.<br />

De Bernar<strong>di</strong>; il fascicolo relativo è <strong>di</strong>sponibile presso il Centro <strong>di</strong><br />

documentazione <strong>del</strong>la tra<strong>di</strong>zione orale <strong>di</strong> Piazza al Serchio). Riguardo<br />

al ‘mulino’ si consulti il mio A proposito <strong>di</strong> una strega piemontese:<br />

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“(…) grossa come la ruota <strong>di</strong> un mulino”, in Borghini, Semiosi nel<br />

folklore II. Prospettive tipologiche e analisi ‘locali’, Piazza al Serchio<br />

(LU), Centro <strong>di</strong> documentazione <strong>del</strong>la tra<strong>di</strong>zione orale 2001, pp. 165<br />

sgg..<br />

(14)Si vedano i miei: Semiosi nel folklore II…, cit. ; Zonodrakontis.<br />

Momenti <strong>di</strong> una mitologia, Roma, Meltemi 2003; Semiosi nel folklore<br />

III…, cit.; Varia Historia…, cit..<br />

(15)In una attestazione raccolta ad Agliè (prov. Torino), un prete, che<br />

ha dei gatti, “tra cui uno nero” etc., si trasforma lui stesso in un (nel)<br />

gatto nero. Realizzazione per contiguità e forma metamorfica attorno<br />

ad uno stesso sèma-attributo significante (‘gatto’) intervengono e si<br />

condensano, nel quadro – in questo caso - <strong>di</strong> una medesima<br />

testimonianza, nel quadro <strong>di</strong> una medesima ‘situazione’ (con le<br />

’vicende’ che ne conseguono): “(…) Poi c’era la storia <strong>del</strong> gatto<br />

parlante <strong>del</strong> prete… allora, c’era il prete <strong>di</strong>… questo ai tempi <strong>di</strong> mio<br />

nonno… che era uno un po’ strano (il prete cioè), che faceva la<br />

“fisica”… insomma dovevi stare molto attento con lui, perché se<br />

voleva te ne combinava <strong>di</strong> tutti i colori… <strong>Un</strong> amico <strong>di</strong> mio nonno, che<br />

non lo sopportava tanto, una sera tar<strong>di</strong> stava passando lungo la<br />

stra<strong>di</strong>na che c'era a fianco <strong>del</strong>l'abitazione <strong>del</strong> prete, che aveva un cane<br />

e aveva anche dei gatti, tra cui uno nero, bruttissimo, spelacchiato…<br />

comunque era tar<strong>di</strong> e stava tornando (l’amico <strong>del</strong> nonno cioè) a casa<br />

dopo una partita a carte con gli amici… e sopra il muretto che <strong>di</strong>vide<br />

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la strada dall’abitazione ha incominciato a vedere questo gatto nero, e<br />

sapeva che era <strong>del</strong> prete, che ha iniziato a seguirlo, per tutto il<br />

muretto… a un certo punto il gatto piomba in strada e gli impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong><br />

andare avanti… e poi si è messo a parlare… l’amico <strong>di</strong> mio nonno non<br />

ci credeva… è impossibile che un gatto parlasse… e gli ha detto<br />

qualcosa <strong>del</strong> tipo: “Tu non passi <strong>di</strong> qua perché tu non mi sopporti”…<br />

era il prete che parlava e si era trasformato in un gatto!… Poi un’altra<br />

volta ancora questo gatto si era intrufolato a casa <strong>di</strong> questo suo amico<br />

una volta che lui non c’era e c’era solo la moglie, allora la moglie ha<br />

cercato <strong>di</strong> buttarlo fuori perché non lo voleva in casa, visto che c’era<br />

questo sospetto, e quando è arrivato a casa il marito l’ha colpito con<br />

un bastone per farlo uscire, e qualche giorno dopo il prete non ha<br />

potuto <strong>di</strong>re la messa perché, guarda caso, era nel letto che si <strong>di</strong>ceva<br />

fosse ammalato… eh sì, ma questa gente qui aveva davvero dei<br />

poteri… chissà come facevano… bisognava stare attenti…”<br />

(informatore Mario Rua, 80 anni circa, intervistato verso gli inizi 2007<br />

da E. Scripelliti, cit.; cfr. nota 2). Effetto <strong>di</strong> metafora (metamorfosi<br />

prete-gatto) e connessione metonimica (prete che ha dei gatti, “tra cui<br />

uno nero, bruttissimo, spelacchiato”) vanno <strong>di</strong> pari passo: si<br />

‘amalgamano’ e si ‘con-fondono’.<br />

La raccordabilità fra complemento (<strong>di</strong> compagnia) e forma<br />

metamorfica (sèma-attributo nel posto <strong>del</strong> soggetto) non potrebbe<br />

risultare più esplicita ed eloquente. L’effetto che chiamerei ‘<strong>di</strong><br />

sintassi’ (complemento <strong>di</strong> compagnia) è logicamente e<br />

semioticamente un ‘derivato’ <strong>del</strong>l’effetto <strong>di</strong> metafora (forma<br />

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metamorfica): si consulti in part. il mio A mo’ <strong>di</strong> introduzione:<br />

metafora, metamorfosi e il posto <strong>del</strong> soggetto, in Borghini, Varia<br />

Historia…, cit., cap. 1, pp. 11 sgg..<br />

Per un analogo meccanismo si tenga anche presente, più in alto, nota 7<br />

(sèma ‘fieno’ e strega).<br />

(16)Per analoghi effetti – sintatticamente analogici – <strong>di</strong> quel che ho<br />

definito ‘causativo d’identità’ rinvio al mio Causativo d’identità. Il<br />

‘dominio semantico’ nei racconti <strong>di</strong> folklore: a proposito <strong>di</strong> alcune<br />

risultanze sintattiche, in “Quaderni <strong>del</strong>la Sezione <strong>di</strong> Glottologia e<br />

Linguistica <strong>del</strong> Dipartimento <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Me<strong>di</strong>evali e Moderni<br />

<strong>del</strong>l’<strong>Un</strong>iversità degli Stu<strong>di</strong> “G. D’Annunzio” <strong>di</strong> Chieti”, 15-16, 2003-<br />

4, a cura <strong>di</strong> L. Mucciante, pp. 17 sgg..<br />

(17)Ho parlato <strong>di</strong> contiguità ‘logica’ nel senso che la responsabilità<br />

<strong>del</strong> fatto che qualcuno ‘vede le capre’ viene riferita ad un soggettomasca.<br />

Alberto Borghini<br />

Via SS. Grato e Lazzaro, 21/A<br />

14040 Vigliano d’Asti (AT)<br />

tel 0141/953745<br />

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