0000_pagine editoriali corette - Università di Pisa

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Diachronica et Synchronica
Studi in onore di Anna Giacalone Ramat
a cura di
Romano Lazzeroni, Emanuele Banfi
Giuliano Bernini, Marina Chini
Giovanna Marotta
Edizioni ETS

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www.edizioniets.com
Stampato con il contributo di:
Dipartimento di Scienze dei Linguaggi, della Comunicazione e degli Studi Culturali
(Università di Bergamo)
Dipartimento di Linguistica Teorica e Applicata
(Università di Pavia)
© Copyright 2008
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com
Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]
ISBN 978-884672059-7

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INDICE
Presentazione
ROMANO LAZZERONI 13
Elenco delle pubblicazioni
di ANNA GIACALONE RAMAT 15
Ancora su anche, anche su ancora. Per uno studio comparativo
dell’apprendimento e della gestione di strategie coesive in L2
CECILIA ANDORNO - Pavia 29
Sul suffisso i.e. *-(V)nt-: tra dati storico-linguistici
e fatti di proto-grammaticalizzazione
EMANUELE BANFI - Milano Bicocca 53
Osservazioni tipologiche sugli avverbi in L2
GIULIANO BERNINI - Bergamo 71
Ai margini delle interlingue: di
GAETANO BERRUTO - Torino 87
On implicit knowledge of aspect: Evidence from German speakers
(or: Is “more” really “better”?)
PIER MARCO BERTINETTO - Scuola Normale Superiore di Pisa 111
Nuovi spunti sull’acquisizione del genere. Tra forma e funzione
MARINA CHINI - Pavia 131
La tipologia tra sincronia e diacronia: sulle implicazioni teoriche
delle mappe semantiche
SONIA CRISTOFARO - Pavia 159

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10 DIACHRONICA ET SYNCHRONICA. STUDI IN ONORE DI ANNA GIACALONE RAMAT
Sulla pronuncia della parola luego in castigliano contemporaneo
e qualche riflessione sul mutamento linguistico
PIERLUIGI CUZZOLIN - Bergamo 173
Onomastica trace e gotica: un caso di tipologia areale nei Balcani?
PAOLO DI GIOVINE - Roma “La Sapienza” 187
Denominazione e collocazione di oggetti nella descrizione
GIACOMO FERRARI - Vercelli 203
Proprietà formali e distribuzionali dei clitici in italiano L2
STEFANIA GIANNINI - Perugia Stranieri 231
Nomi d’agente e rezione sintattica nell’indiano antico
ROMANO LAZZERONI - Pisa 255
Il programma minimalista e la linguistica parametrica
GIUSEPPE LONGOBARDI - Trieste 267
Appunti sulla circolazione del latino nella Palestina
del I secolo d.C.
MARCO MANCINI - Viterbo 277
Gli italianismi di mediazione turca nel curdo della Turchia e dell’Iraq
GIANGUIDO MANZELLI - Pavia 301
Sulla percezione dell’accento straniero
GIOVANNA MAROTTA - Pisa 327
Italiani emigrati in Germania scrivono alla radio
GIOVANNA MASSARIELLO - Verona 349
Tra oralità e scrittura: rogo nelle lettere private in latino
PIERA MOLINELLI - Bergamo 365
Tu e io nel doppiaggio
MARIA PAVESI - Pavia 379

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INDICE 11
Per uno studio dell’accusativo preposizionale in sardo antico:
emergenze dallo spoglio del Condaghe di San Pietro di Silki
IGNAZIO PUTZU - Cagliari 397
“Soggettivizzazione” e diacronia degli avverbi in -mente:
gli avverbi epistemici ed evidenziali
DAVIDE RICCA - Torino 429
Le mutazioni iniziali delle lingue celtiche:
implicazioni teoriche di un unicum
ELISA ROMA - Pavia 453
Morfologia essenziale e semantica minima. Due tesi e un’ipotesi
DOMENICO SILVESTRI - Napoli “L’Orientale” 479
Language: a Computational System or a Natural Tool?
RAFFAELE SIMONE - EDOARDO LOMBARDI VALLAURI - Roma Tre 511
Sul problema dei resti di ipse nella Romània
ROSANNA SORNICOLA - Napoli “Federico II” 537
Un approccio per categorie lessicali alle varietà iniziali
di apprendimento
ADA VALENTINI - Bergamo 563
Nuove posizioni e nuove identità dell’italiano
nel mercato planetario delle lingue
MASSIMO VEDOVELLI - Siena Stranieri 585

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SULLA PERCEZIONE DELL’ACCENTO STRANIERO
GIOVANNA MAROTTA
(Pisa)
E
-
-
1. INTRODUZIONE
Dal quadro complessivo degli studi fonologici dedicati all’italiano come
lingua seconda (L2), emergono due aspetti che meritano di essere
adeguatamente sottolineati.
In primo luogo, va rilevato il fatto che gli studi esistenti, sia pure non
copiosi 1 , si sono concentrati sugli aspetti segmentali del parlato, alla ricerca
delle discordanze fonetiche tra la lingua target e la resa da parte dei
parlanti non nativi. Scarsissime sono infatti le indagini a carattere sperimentale
mirate allo studio della prosodia degli apprendenti una lingua
straniera 2 . Il ritardo della prosodia in quest’ambito di studi non stupisce,
visto che anche in altri campi della ricerca linguistica l’interesse nei confronti
della fenomenologia soprasegmentale è relativamente recente 3 .
In secondo luogo, va osservato che gli studi finora prodotti sull’italiano
come L2 riguardano esclusivamente il versante della produzione, mentre
il versante della percezione è rimasto finora inesplorato, o perché incon-
1
Il primo intervento in materia si deve a Bernini (1988), il quale indicò per tempo una serie di
questioni teoriche e metodologiche nell’agenda dell’ideale ricerca sull’apprendimento dell’italiano
come lingua seconda. In seguito, si vedano in merito gli interventi di Giannini (1997); Giannini e Costamagna
(1998); De Rosa e Schmid (2000); Costamagna (2003); Celata (2004); Celata e Cancilia
(2008); Mori e Barkat-Defradas (2005); Mori (2006); Sorianello (in stampa).
Le indagini, sia di tipo uditivo che acustico, si sono finora concentrate sulla produzione delle
consonanti, soprattutto sui segmenti ostruenti (occlusive e affricate, semplici o geminate).
2
Tra i non numerosi studi che hanno indagato il ruolo della prosodia nell’apprendimento di
una lingua straniera vanno ricordati Munro (1995); Magen (1998); Marcus e Bond (1999); Kondo
(1999); Jilka (2000); Piske, MacKay e Flege (2001). Da segnalare con interesse la recentissima pubblicazione
di un intero volume dedicato alla prosodia non nativa (cfr. Trouvain e Gut 2007).
Per quanto riguarda in particolare l’italiano come lingua seconda, alcune indagini pionieristiche
sembrano indicare che gli elementi soprasegmentali giochino un ruolo non secondario nella percezione
dell’accento straniero; cfr. Gamal (2006; 2007); Missaglia (2007), Sardelli (2006).
3
Sulle difficoltà che tuttora gravano sullo studio dei fenomeni soprasegmentali, segnatamente
intonativi, si veda quanto osservato da Vaissière (2005), anche in rapporto alla persistenza di diversi
approcci teorici e metodologici tra quanti operano nel settore.

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328 DIACHRONICA ET SYNCHRONICA. STUDI IN ONORE DI ANNA GIACALONE RAMAT
sapevolmente ignorato o in quanto ritenuto, seppur rilevante, non ancora
attingibile. Anche in questo caso, non si tratta di un’anomalia, dal momento
che le analisi percettive sono state e sono tuttora marginali nella
letteratura fonologica, sia all’estero che, soprattutto, in Italia.
Coniugando i due aspetti sopra citati, emerge un quadro di pressoché
totale assenza di indagini sul ruolo dei fenomeni soprasegmentali nella
percezione dell’accento straniero; in particolare, sono carenti gli studi dedicati
alla percezione dell’italiano prodotto da stranieri. A questo tema
chi scrive vorrebbe dedicare una serie di studi, di cui questo intervento
dovrebbe costituire una sorta di premessa.
In riferimento al primo punto (scarsità di attenzione alla prosodia negli
studi sull’apprendimento di L2), andrà osservato come finora il ruolo dei
fenomeni soprasegmentali nella percezione di un accento straniero sia
stato trattato soltanto superficialmente, e non in riferimento all’italiano
come L2. Ad esempio, il modello sviluppato da Flege (1995, 1997, 2003),
noto in letteratura come Speech Learning Model, ha cercato di misurare le
abilità fonologiche degli apprendenti implicate in una fase di interlingua,
riconoscendo la stretta relazione tra percezione e produzione, ma in riferimento
fondamentale all’acquisizione dei fonemi da parte di parlanti di
una seconda lingua, senza considerazione esplicita e costante alla prosodia
4 . Parimenti, nel modello elaborato da Best (1995), ancorato crucialmente
sulla percezione (Perceptual Assimilation Model), non è contemplato
il trattamento sistematico dei fenomeni prosodici nell’analisi dei
complessi rapporti tra L1 e L2 che stanno alla base del processo di apprendimento
di una lingua straniera. Anche la teoria proposta da Major
(1990, 1998, 2001), basata sulle interazioni tra i sistemi di L1 e L2, da un
lato, e la Grammatica Universale dall’altro, con originale considerazione
parallela delle due dimensioni ontogenetica e filogenetica, non riserva
spazio specifico alla prosodia. Analoghe riserve si possono riconoscere alle
proposte più generativisticamente orientate di Archibald (1993; 2003).
A conferma della marginalità della fenomenologia prosodica in questo
settore, ricordiamo che un’indagine condotta sulle principali riviste internazionali
specializzate sull’apprendimento di lingue seconde (cfr. Gut
2007) ha messo in luce come nell’ultimo ventennio, che pure ha visto il
rapido ed espansivo sviluppo degli studi acquisizionali, si possano contare
soltanto una decina di articoli dedicati all’intonazione.
Eppure, i tratti prosodici, in quanto più precoci, dovrebbero fissarsi
4
Per completezza, dovremo però segnalare che alcune applicazioni di SLM al livello prosodico
sono state comunque proposte; ad es. McAllister, Flege e Piske (1999); Mennen (1999).

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SULLA PERCEZIONE DELL’ACCENTO STRANIERO 329
prima, meglio e in misura più rigida nella competenza dei parlanti. La
plasticità degli andamenti melodici (sottolineata ad es. da Ladd 1996) è
suggerita dal comportamento duttile dei bambini già nelle prime fasi dell’acquisizione
di L1; recenti ricerche sperimentali hanno inoltre dimostrato
che le caratteristiche prosodiche della lingua materna sono riconosciute
dal bambino molto precocemente, addirittura prima del lessico (cfr.
Crystal 1986; Ramus, Nespor e Mehler 1999).
In parallelo, ed in riferimento a L1, sembra ragionevole ipotizzare che
l’intonazione sia un tratto fortemente rappresentativo di varietà linguistiche
distinte sul piano diatopico, dal momento che gli andamenti melodici
tipici di un’area regionale rappresentano uno dei tratti più resistenti e
meno sottoposti al controllo consapevole da parte del parlante. Ad es., le
varietà italiane sono sensibilmente diverse non solo sul piano segmentale,
ma anche su quello prosodico. Sembra pertanto ragionevole chiedersi se
tale resistenza si manifesta anche nel caso di acquisizione di una lingua
seconda con la stessa forza e con le stesse modalità. È noto che parlanti
anche in possesso di un ottimo livello di competenza su L2, presentano
spesso tratti fonetici e prosodici che li denunciano come non nativi. Ricerche
volte a definire l’importanza dei tratti soprasegmentali nella percezione
del cosiddetto accento straniero presentano dunque carattere di
marcata novità, potendo contribuire a valutare se i soli indici prosodici
possano essere “spia sufficiente” di forestierismo.
In riferimento al secondo punto (scarsità di studi di carattere percettivo),
andrà osservato che questa lacuna specifica nell’ambito dell’apprendimento
di L2 si inserisce in un quadro di persistente e diffusa carenza di
studi sulla percezione, sia sul fronte segmentale che su quello soprasegmentale.
Se è vero infatti che nella serie di manuali dedicati dalla casa
editrice Blackwell alle principali branche della disciplina linguistica non
manca il manuale dedicato a Speech Perception (Pisoni e Remez 2005),
basterà ricordare che la sua data di pubblicazione risale soltanto a pochi
anni fa, quindi appare piuttosto tardiva, come tardivo risulta l’interesse
dei linguisti, e dei fonetisti in particolare, nei riguardi di questo argomento.
Ulteriore testimonianza in tal senso deriva del resto dalla presa in esame
del volume Handbook of Phonetic Sciences (Hardcastle e Laver 1997):
pochi sono i saggi che trattano argomenti e metodologie latamente percettive;
in campo prosodico, ci si limita alla discussione di problematiche
inerenti il solo accento lessicale. Non sembrerà pertanto velleitario riconoscere
ancora una volta come gli studi mirati alla percezione fonologica,
più specificamente acustica, siano ancora oggi scarsi, marginali, e cursori.
Un aspetto che colpisce il linguista, specialmente europeo, che si acco-

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330 DIACHRONICA ET SYNCHRONICA. STUDI IN ONORE DI ANNA GIACALONE RAMAT
sti a questa letteratura fonetica altamente specializzata è l’elevato grado di
sofisticazione tecnica, accompagnato tuttavia da una diffusa assenza di attenzione
nei confronti degli aspetti sociolinguistici del processo percettivo,
in particolare verso la percezione della variazione linguistica (cfr. Thomas
2002): al generale ritardo nel ricorso ai metodi ed agli strumenti della
moderna fonetica sperimentale si aggiunge dunque un ulteriore elemento
di trascuratezza sul piano metodologico.
2. SULLA MARGINALITÀ DELLA PERCEZIONE
Se ci interrogassimo sulle cause di questo ritardo degli studi percettivi,
in Italia come pure all’estero, non credo che sarebbe semplice reperire
un’unica risposta. Perché la percezione è stata finora poco studiata? Perché
è stata da sempre relegata in secondo piano rispetto alla produzione?
Come ha osservato Albano Leoni (2001), una prima ragione della marginalità
di cui ha sofferto ed in parte ancora soffre l’analisi percettiva è da
rinvenire nella differenza sostanziale che sussiste tra parlare e ascoltare.
L’atto di produzione è esterno e visibile, mentre l’atto di percezione è interno
e invisibile: si può vedere una persona che parla (anche in condizioni
di rumore), ma non una persona che ascolta. Anche l’autopercezione è
diversa: mentre parliamo, abbiamo percezione e coscienza di alcuni organi
fonatori (bocca, labbra, lingua), ma quando ascoltiamo, non abbiamo
né visione né percezione delle dinamiche dell’apparato uditivo. Non è
dunque un caso che la tradizione grammaticale, non solo quella occidentale,
includa da sempre una sezione di fonetica articolatoria, centrata sulla
produzione dei suoni, mentre solo di rado offre spunti di riflessione sul
fronte percettivo.
Anche nello studio scientifico della lingua, il primato della codifica sulla
decodifica si è imposto ben presto ed è rimasto stabile: nella Sprachwissenschaft
di marca tedesca, la fonetica era essenzialmente lo studio di Buchstaben,
dove il termine Buchstabe valeva come prodotto della lingua
parlata prima ancora che scritta. Complice lo sviluppo tecnologico, nel
corso del Novecento alla fonetica articolatoria si è gradatamente affiancata
la fonetica acustica, centrata tuttavia sulla trasmissione, e non sic simpliciter
sulla percezione. L’analisi acustica consente di rendere visibile il
suono, mostrando corrispondenze tra elementi fonetici prodotti e rappresentazioni
fisiche riproducibili, ma non trasmette informazione sugli
eventi rilevanti a livello percettivo. L’acustica diventa utilizzabile sul piano
percettivo soltanto mediante il ricorso alla sintesi, che consente di mo-

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SULLA PERCEZIONE DELL’ACCENTO STRANIERO 331
dificare i parametri fisici pertinenti (frequenza, durata e intensità) di un
enunciato e di sottoporlo all’ascolto e al giudizio conseguente dei parlanti.
Gli studi sperimentali che utilizzano la sintesi come metodo di indagine
linguistica sono ancora minoritari nel nostro paese, soprattutto per
quanto riguarda l’acquisizione dell’italiano come L2. Anche nel terzo millennio,
all’interno delle discipline linguistiche che si occupano dei suoni
persiste quindi una forte asimmetria tra parlare e ascoltare, con la netta
prevalenza del primo sul secondo.
Se ora volgiamo lo sguardo agli studi di psicoacustica, altro settore virtualmente
centrato sulla percezione, dobbiamo rilevare da un lato la loro
scarsa frequentazione in ambito italiano, dall’altro il fatto che buona parte
è quasi esclusivamente volta a individuare le soglie di percettibilità dei
parametri fisici. Tuttavia, gli stimoli impiegati in questo filone di ricerca
di norma non sono linguistici; ad es., per quanto concerne il parametro
della frequenza, spesso si tratta di toni puri. Poiché è ormai accertato che
il nostro orecchio si sintonizza in modo linguistico, cioè altamente specifico,
quando ascolta il parlato, l’analogia con l’ascolto di toni puri o altri
stimoli non linguistici potrebbe non funzionare in maniera perfetta, o
quanto meno adeguata.
Un caso esemplare: la capacità discriminatoria del valore fisico della
frequenza fondamentale, corrispondente alla tonalità sul versante percettivo,
diminuisce nel caso di suoni linguistici rispetto ai toni puri (Moore
1997); inoltre, stimoli dinamici sono discriminati con maggiori difficoltà
rispetto a stimoli stabili (House 1990), per cui nella percezione di una
qualsiasi lingua parlata, che si svolge dinamicamente lungo l’asse del tempo,
le capacità di identificazione, discriminazione e categorizzazione sono
assai diverse da quelle artificialmente riprodotte in laboratorio con toni
puri o analoghi succedanei delle stringhe fonetiche, quali il Reiterant
Speech o i logotomi: in entrambi i casi, il “senso” viene comunque aggiunto
dal parlante.
Oltre ai problemi connessi con l’uso di materiali non linguistici, nelle
analisi percettive massima attenzione va posta sulle modalità di presentazione
delle richieste formulate ai soggetti: le risposte devono essere interpretate
in modo non ambiguo. Altre questioni di carattere metodologico
concernono il controllo sulla risposta del soggetto e l’esclusione delle risposte
casuali o comunque non affidabili.
Nel complesso, si deve quindi riconoscere che lo studio della percezione
linguistica presenta numerosi aspetti problematici ed insidiosi, che
possono motivare almeno in parte la sua persistente marginalità, senza
tuttavia giustificarla.

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332 DIACHRONICA ET SYNCHRONICA. STUDI IN ONORE DI ANNA GIACALONE RAMAT
3. PERCEZIONE E PROSODIA
Per quanto concerne la prosodia delle lingue naturali, a lungo la ricerca
si è limitata all’accento lessicale, riservando poca o nulla attenzione alla
melodia degli enunciati. Questo atteggiamento è ad esempio riflesso nella
posizione espressa da McQueen e Cutler (1997), che sembrano limitare la
prosodia alla struttura metrico-accentuale della parola 5 . Solo recentemente
la percezione dell’intonazione e dei suoi diversi correlati acustici ha cominciato
ad essere affrontata con sistematicità e determinazione. Le analisi
compiute finora indicano del resto che la semplice descrizione dei contorni
melodici, anche acusticamente fondata, non è sufficiente per individuare
gli elementi che rivestono un ruolo pertinente per i parlanti-ascoltatori;
la verifica di tipo percettivo si impone dunque quale tappa imprescindibile
della ricerca.
L’intonazione è parte integrante del processo di comunicazione e il
suo valore è dato dall’insieme di informazioni, linguistiche e paralinguistiche,
che riesce a trasmettere all’ascoltatore. Contrariamente a quanto
potremmo aspettarci, spesso variazioni minime della curva intonativa risultano
distintive a livello percettivo, mentre cambiamenti di un certo rilievo
non sembrano essere avvertiti dagli ascoltatori. Il carattere relativo,
nel senso di un confronto costante ed ineludibile, è intrinseco nei fenomeni
prosodici, per cui certe variazioni di pitch sono decodificate solo in
contesti di una certa ampiezza. Osserva ad esempio C. Gussenhoven
(2003: 759) che «listeners are more inclined to hear unaccented words
before the first pitch accent as accented as this pre-accentual stretch of
speech is higher». In altri termini, rispetto a frequenze medie o basse, livelli
elevati di F0 associati alla prima porzione di un enunciato favoriscono
il percetto di prominenza anche in assenza di tono alto associato a vocale
accentata.
In parallelo, è essenziale tener conto dell’interazione tra parametri fisici
e percettivi diversi. Da questo punto di vista, riveste particolare rilevanza
sul piano percettivo il rapporto tra durata e modulazione di F0, anche
e soprattutto rispetto alla prominenza accentuale: i parlanti tendono
5
In ogni caso, ai tratti prosodici, segnatamente metrici, viene attribuito un ruolo sussidiario e
non centrale nei processi percettivi che guidano l’accesso lessicale, mentre gli indici segmentali sono
invece ritenuti tradizionalmente più rilevanti; ad esempio, il timbro vocalico sembra essere determinante
per l’individuazione di un lessema molto più di quanto possa esserlo la posizione dell’accento
(cfr. McQueen e Cutler 1997).
In merito alla percezione interlingustica, si veda anche la rassegna di Sebastián-Gallés (2005), in
cui l’attenzione agli aspetti soprasegmentali è maggiore e più documentata.

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SULLA PERCEZIONE DELL’ACCENTO STRANIERO 333
a percepire come più lunghi gli elementi vocalici modulati; in parallelo,
vocali più lunghe sono più facilmente percepite come prominenti (cfr. ancora
Gussenhoven 2003, 2004).
Sull’interazione tra lunghezza vocalica e modulazione di frequenza alcuni
risultati sono stati ottenuti sia sul versante acustico che su quello
percettivo anche per l’italiano, in particolare per le varietà toscane. Indici
prosodici quali la durata segmentale e lo scaling si sono dimostrati pertinenti
per discriminare tra parlanti toscani di diversa area; in particolare,
si riscontra un aumento significativo della durata vocalica accompagnata
da una più marcata escursione in frequenza nella varietà pisano-livornese
rispetto a quella fiorentina (Marotta e Sardelli 2003; Marotta, Calamai e
Sardelli 2004): in parallelo, sul versante percettivo, maggiore lunghezza e
modulazione sono indici di parlato pisano-livornese (Calamai e Ricci
2005).
I tratti prosodici possono pertanto caricarsi di valenza sociofonetica,
specialmente in rapporto alla variazione diafasica. Anche in altre varietà
italiane, non toscane, i parametri prosodici di modulazione di frequenza e
durata sembrano essere rilevanti per la caratterizzazione geografica del
parlante; molte varietà meridionali (per es. catanzarese o palermitano)
presentano vistosi allungamenti, con frequente dittongazione delle vocali
accentate (cfr. Marotta e Sardelli in stampa).
In questo ambito di studi, si segnala l’indagine svolta sulla varietà torinese
da Interlandi (2004), che ha esplicitamente considerato l’intonazione
come indice di variazione geoprosodica. Nelle frasi interrogative polari a
focalizzazione larga, l’andamento melodico tipico del torinese si concentra,
come spesso accade nelle varietà italiane, sulle ultime due sillabe dell’enunciato:
da un lato, allungamento dell’ultima vocale accentata con sua
dittongazione e bitonalità (andamento discendente-ascendente), dall’altro
allungamento e profilo ascendente dell’ultima vocale atona. I test percettivi
condotti da Interlandi prevedevano la valutazione come torinese o
non torinese di una serie di stimoli acustici, costituiti da enunciati interrogativi
in cui variava il solo profilo melodico finale. I risultati hanno dimostrato
che i soggetti sono in grado di discriminare tra cadenze torinesi
e non, con scarti ampiamente significativi sul piano statistico.
Più problematici i risultati delle indagini percettive condotte da Gili
Fivela (2005) su soggetti italiani di diversa provenienza regionale (per la
precisione, pisani e torinesi): nel compito relativo all’identificazione di accenti
tonali con diversa funzione modale e pragmatica, alcuni parlanti sono
guidati dalle caratteristiche di allineamento, mentre altri soggetti sembrano
prestare maggiore attenzione alle caratteristiche di scaling. La forte

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334 DIACHRONICA ET SYNCHRONICA. STUDI IN ONORE DI ANNA GIACALONE RAMAT
variabilità inter-soggettiva è confermata dal fatto che, indipendentemente
dalla varietà, i soggetti utilizzano indici differenti per identificare la funzione
dell’enunciato.
In una prospettiva teorica di carattere generale non si potrà infine trascurare
il rapporto tra percezione e produzione. Le recenti ricerche sui
neuroni-specchio in ambito neuro-fisiologico hanno infatti dato nuova
linfa alla teoria motoria proposta ormai diversi decenni or sono: le interconnessioni
tra parlare e fare risultano sempre più strette, sia in contesto
filogenetico che in ambito ontogenetico e funzionale. E tuttavia, come
non mancano di notare Fowler e Galantucci (2005), le implicazioni di
questa scoperta sia per la fonetica che per la linguistica non sono ancora
state valutate compiutamente.
Un’altra questione teorica di rilievo riguarda lo statuto stesso del componente
prosodico nella grammatica. In particolare, l’intonazione va considerata
come fenomeno analogico e continuo oppure discreto e categoriale?
Nella prima ipotesi, la percezione della fenomenologia melodica in
lingue non tonali sarà tendenzialmente o esclusivamente di tipo olistico.
Nella seconda ipotesi, invece, la percezione sarà tendenzialmente o esclusivamente
lineare e scomponibile pertanto in tratti distintivi. In parallelo,
sul versante dell’interpretazione, sarà favorito un modello per movimenti,
nel primo caso, mentre nel secondo caso, un modello per livelli.
4. LA PROSODIA IN L2
Come abbiamo già avuto modo di osservare nell’introduzione di questo
lavoro, nonostante gli ultimi anni abbiano rilevato un incremento notevole
degli studi sperimentali dedicati alla prosodia, un aspetto ancora
poco indagato concerne il contributo degli indici prosodici alla percezione
dell’accento straniero. Con l’espressione “accento straniero” intendiamo
qui riferirci alla produzione fonetica deviante, per uno o più tratti, rispetto
alla pronuncia non sempre normativa, generalmente accettata per
una lingua; tali deviazioni dalla norma rinviano di solito ad altra lingua o
ad altro sistema dialettale all’interno di una lingua nazionale.
Anche in questo ambito, è l’inglese la lingua seconda più studiata. Le
analisi che sono state condotte con parlanti di diversa lingua materna
hanno consentito di mostrare alcuni tratti prosodici comuni, indipendenti
dalla L1, che segnalano l’accento straniero; tra questi, una minore
escursione in frequenza, una diversa distribuzione dei Pitch Accents, una
pendenza minore nel profilo della declination line, diverse modalità di re-

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SULLA PERCEZIONE DELL’ACCENTO STRANIERO 335
set tonale 6 . Ma fino a che punto questi tratti sono estendibili ad altre lingue
seconde diverse dall’inglese?
Sembra piuttosto ragionevole ipotizzare che le similarità di “errore
prosodico” da parte degli apprendenti di diversa L1 siano almeno in parte
dovute alle idiosincrasie della prosodia inglese non ancora dominata.
Parallelamente, andranno tenute presenti le categorie prosodiche della
lingua materna, che consentono di interpretare il possibile transfer prosodico
da L1 su L2. D’altra parte, è assodato che un parlante di L2, specialmente
a livelli di competenza non elevati, presta più attenzione ai livelli
lessicale, in primis, e morfosintattico, in secundis, rispetto al livello fonetico
7 ; il che sembra implicare che, tranne alcune eccezioni, il percorso di
apprendimento collochi gli aspetti prosodici in posizione relativamente
tardiva.
Ma tornando ora al versante percettivo, qual è dunque l’influenza dei
tratti soprasegmentali nella percezione di una lingua straniera? È forse un
caso che proprio il termine accento sia stato scelto per indicare un modo
di parlare diverso da quello nativo? La questione può ovviamente essere
estesa anche agli “accenti” regionali all’interno di una stessa lingua, in un
duplice senso: da un lato, sono ad es. rilevabili differenze non solo genericamente
fonetiche, ma anche specificamente di tipo prosodico nella pronuncia
dell’inglese come L2 da parte di un parlante napoletano rispetto
ad un parlante milanese; dall’altro, la prosodia può essere un elemento di
identificazione della regione di provenienza di un parlante italiano da
parte di parlanti italiani appartenenti ad altra area geografica.
Sappiamo da tempo che, nel processo di acquisizione di L1, la prosodia
viene estratta e processata dai bambini molto precocemente, assai prima
di quanto accada per il lessico o per la stessa fonologia segmentale (cfr. supra,
§ 1). Potremmo pertanto chiederci se vi sono differenze tra fonemi e
fenomeni prosodici anche in riferimento alle cosiddette “età critiche”. Alla
luce dei recenti esprimenti condotti da Mehler e dalla sua équipe, la soglia
critica potrebbe essere anticipata per la prosodia a prima dei cinque anni,
età canonicamente assunta in letteratura come critica per l’acquisizione di
L1. In maniera analoga, per L2, si potrebbe ritenere che la “sordità” verso
gli aspetti prosodici di una lingua straniera preceda quella relativa ai foni,
quindi che avvenga prima della pubertà 8 . Una volta fissati i parametri rit-
6
Si veda in merito Mennen (2007: 55) e le referenze ivi citate.
7
Per l’italiano L2, basterà citare i volumi miscellanei curati da A. Giacalone Ramat (1988,
2003), la nostra festeggiata.
8
Cfr. Dupoux et al. (1997); Dupoux e Peperkamp (2002); Peperkamp e Dupoux (2002).

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336 DIACHRONICA ET SYNCHRONICA. STUDI IN ONORE DI ANNA GIACALONE RAMAT
mico-tonali di L1, il parlante non sarebbe più in grado di percepire, distinguere
e classificare i dettagli fonetici di una stringa sonora appartenente
ad un sistema linguistico diverso dal proprio in modo semplice e naturale,
perché sull’ascolto opera quel vaglio percettivo dipendente da L1 di
cui era già consapevole Trubeckoj (1958 = [1971: 65-66]).
D’altro canto, agli aspetti melodici del parlato si riconosce tradizionalmente
una maggiore plasticità, anche nelle produzioni dei parlanti adulti.
Tuttavia, come intendere questa maggiore plasticità? È forse indice di
massima variabilità e dunque di ampia o quasi totale tolleranza a livello
percettivo, oppure va collegata ad una maggiore flessibilità delle categorie
prosodiche rispetto a quelle segmentali nell’apprendimento di un sistema
linguistico diverso da quello nativo? Flessibilità che potrebbe essere
connessa con la mancata distintività delle categorie prosodiche stesse.
Sul fronte parallelo della variazione in L1, le analisi sperimentali condotte
recentemente su diverse lingue, sia europee che non, hanno mostrato
che vi sono modelli intonativi specifici a seconda della varietà regionale
considerata. A questo proposito, corre l’obbligo di citare la vasta indagine
svolta in Gran Bretagna nell’ultimo decennio del secolo scorso all’interno
del progetto IViE (Intonational Varieties of English; cfr. Grabe e Post
2002). Studi simili, sebbene di ampiezza minore, sono reperibili anche per
il tedesco (cfr. Atterer e Ladd 2004) e lo spagnolo (Sosa 1991, Prieto et al.
1995). Anche per l’italiano disponiamo ormai di numerosi studi empirici
che illustrano l’adozione di modelli intonativi diversi a seconda della regione
di provenienza del parlante 9 . Talvolta le differenze sono significative
anche all’interno della stessa regione: ad es., il movimento tonale ascendente
finale tipico della domanda polare si situa sull’ultima sillaba atona
dell’enunciato nella Toscana centrale, mentre viene anticipato sulla sillaba
accentata precedente nelle varietà della Toscana nord-occidentale.
Le domande rilevanti sono riassumibili nei termini seguenti:
a. una volta che la prosodia di una particolare varietà di lingua si sia precocemente
fissata nella mente di un parlante da bambino, l’apprendimento
di tratti prosodici nuovi e diversi da quelli materni (sia in riferimento
a varietà di L1 che a L2) è più o meno difficile da parte di un
apprendente adulto rispetto ai tratti fonetici segmentali?
b. un parlante-ascoltatore esposto ad un accento straniero mostra una sensibilità
verso le caratteristiche prosodiche uguale, inferiore o superiore a
quella che applica nei confronti dei tratti fonetici segmentali?
9
Per una panoramica dei profili intonativi delle varietà italiane, rinviamo alla rassegna presentata
nella monografia di Sorianello (2006: 118 sgg.).

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SULLA PERCEZIONE DELL’ACCENTO STRANIERO 337
Si tratta di due aspetti diversi, ma strettamente interrelati, di una stessa
questione: da una parte, sul versante della produzione, dobbiamo interrogarci
sulla possibilità e sul grado di successo che accompagnano l’apprendimento
di una prosodia non nativa; dall’altro, sul versante della percezione,
ci chiediamo se il nostro giudizio di “forestierismo” sia ancorato al
solo livello segmentale o anche, e in che misura, a quello prosodico.
Nel complesso, la questione relativa al ruolo della prosodia nella percezione
dell’accento straniero è stata finora affrontata solo marginalmente.
Come abbiamo già avuto modo di osservare, gli aspetti presi in esame più
frequentemente riguardano infatti l’accento lessicale e la fenomenologia
connessa con la durata dei fonemi, sia vocalici che consonantici.
Se la prosodia è stata per molto tempo trascurata anche a causa delle
difficoltà sperimentali connesse ai problemi tecnici di controllo dei parametri
prosodici, i moderni sistemi di sintesi vocale consentono ormai di
tenere distinti i piani segmentale e prosodico, così da rendere possibile
valutare il contributo dei tratti soprasegmentali nella percezione dell’accento
straniero. Attraverso la manipolazione sintetica del segnale, risultati
interessanti sono stati raggiunti, in particolare per la valutazione delle caratteristiche
isocrone delle lingue naturali: da una parte, è possibile ottenere
un segnale vocale sintetico in cui sia azzerata la differenza interfonemica
(con conseguente delessicalizzazione), ma con conservazione della
struttura ritmico-prosodica; dall’altra si può riprodurre un enunciato in
maniera assolutamente monotona (cioè priva di melodia), ma con conservazione
della stringa fonetica originaria. Si pensi a questo proposito alle
procedure messe a punto da Ramus e Mehler (1999).
Individuare il contributo della prosodia nella percezione di un accento
straniero costituisce un obiettivo molto ambizioso e difficile da raggiungere.
In primo luogo, va ricordato il fatto che la variazione dipendente
dal contesto è molto più ampia e più frequente nella prosodia che non
nella fonetica segmentale. In secondo luogo, ancor oggi continua a risultare
complesso stabilire il peso dei singoli parametri prosodici, a causa
della loro stretta interrelazione. Come scrive Jilka (2007: 90), «several intonational
features together would conspire towards a specific overall intonation
characteristic». Nonostante l’effetto di “cospirazione”, è nostra
convinzione che valga la pena tentare di sciogliere il nodo gordiano prosodico.

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338 DIACHRONICA ET SYNCHRONICA. STUDI IN ONORE DI ANNA GIACALONE RAMAT
5. DATI SPERIMENTALI SULLA PERCEZIONE DELLA PROSODIA
Negli ultimi anni, lo sviluppo di una diversa sensibilità nei confronti
della possibile rilevanza degli aspetti prosodici nell’apprendimento di una
lingua straniera ha prodotto alcuni contributi di rilievo. Sul tema dell’interferenza
prosodica tra L1 e L2, allo studio pioneristico di Willems
(1983), dettato da esigenze più glottodidattiche che squisitamente linguistiche,
andrà senz’altro riconosciuto il merito di aver per così dire anticipato
i tempi: i risultati raccolti più di vent’anni or sono non soltanto mostravano
sistematiche deviazioni melodiche tra l’inglese di parlanti nativi
e l’inglese prodotto da soggetti olandesi, ma mettevano in luce la maggiore
escursione tonale nel parlato dei nativi rispetto a quello dei non nativi,
indicando una differente pertinenza del pitch anche a livello percettivo.
La specifica valenza dei parametri prosodici (soprattutto della frequenza)
nella percezione dell’accento straniero è stata recentemente confermata
dal lavoro di ampio respiro ad opera di Jilka (2000), il quale ha cercato
di identificare i tratti intonazionali che contribuiscono alla percezione di
accento straniero nel parlato tedesco prodotto da anglo-americani e, in
parallelo, nel parlato inglese prodotto da tedeschi. Mediante una serie di
esperimenti percettivi in cui i profili di F0 sono stati modificati sinteticamente
e quindi sottoposti al giudizio di parlanti nativi, Jilka ha mostrato
che gli ascoltatori tedeschi tendono ad associare l’accento anglo-americano
con una maggiore escursione in frequenza nella melodia degli enunciati,
confermando quanto già osservato da Willems (1983) a proposito di
parlanti inglesi europei. In particolare, i soggetti anglo-americani che parlano
in tedesco tendono a trasferire il loro contorno melodico nativo associato
ai contesti continuativi. Il movimento rise-fall-rise, tipico di questi
contesti, si realizza in anglo-americano come L+H* L-H% (in termini
ToBI), mentre in tedesco, come H*+L L-H%: l’aggiunta di una risalita
sulla penultima sillaba tonica dell’unità prosodica contribuisce in maniera
determinante alla percezione dell’accento inglese da parte di parlantiascoltatori
tedeschi.
Particolarmente stimolante risulta la lettura del lavoro di Queen
(2001), che discute dati relativi alla prosodia di bambini bilingui turco-tedesco.
Lo studio ha mostrato l’emergere di profili intonativi che non possono
essere spiegati con il semplice ricorso all’interferenza (in quanto assenti
in entrambe le lingue di riferimento), e che ciò nonostante rappresentano
comunque un risultato di contatto linguistico. Mentre nel caso
degli enunciati interrogativi, i bambini bilingui mostrano infatti di mantenere
distinte le strutture intonative specifiche dei due sistemi, nel caso

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SULLA PERCEZIONE DELL’ACCENTO STRANIERO 339
delle costruzioni focalizzate, si assiste da un lato a fenomeni di interferenza
(prevalentemente dal turco al tedesco), dall’altro a produzioni ibride,
nel senso di profili tonali che non appartengono né ai parlanti tedeschi né
a quelli turchi monolingui, ma che sembrano mostrare una certa qual fusione
di tratti prosodici appartenenti ora all’uno ora all’altro sistema.
Dedicato esplicitamente al transfer prosodico in L2 è l’ampio lavoro di
Ueyama (2000), anche se più centrato sul versante ritmico che su quello
tonale. In un’ottica contrastiva inglese-giapponese, gli esperimenti percettivi
messi a punto dall’autrice mirano a valutare l’interferenza della prosodia
di L1 nella produzione di L2, in particolare, il peso dei vincoli prosodici
imposti dalla diversa organizzazione ritmica delle due lingue (stress
timing in inglese vs. mora timing in giapponese). Gli anglo-americani che
parlano in giapponese tendono a inserire elementi prominenti in una sequenza
di more atone, mentre producono allungamenti eccessivi sulle
more in sillaba tonica e abbreviamenti sulle more in sillaba atona. D’altro
canto, i soggetti giapponesi che parlano in inglese presentano evidenti
difficoltà verso la cliticizzazione delle parole funzionali monosillabiche:
l’indebolimento che caratterizza questi elementi non è infatti sostanzialmente
diverso da quello presente in sillaba atona di lessemi polisillabici e
non presenta quindi quella riduzione marcata, sia in termini timbrici che
temporali, che è tipica degli anglofoni nativi, suggerendo la mancata categorizzazione
di queste parole come elementi clitici.
6. NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA
In riferimento a quanto sopra auspicato per il progresso degli studi
sulla percezione degli indici prosodici, il ricorso alla manipolazione sintetica
del segnale sembra imporsi quale strumento d’elezione. In un nostro
studio sperimentale, dedicato alla percezione dell’accento straniero, abbiamo
pertanto scorporato gli indici prosodici da quelli segmentali, mediante
la tecnica della sintesi per difoni (Boula de Mareuil, Marotta e Adda-Decker
2004). Il corpus di stimoli percettivi era costituito da 14 frasi
italiane e spagnole, di una quindicina di sillabe ciascuna, aventi in comune
molti segmenti 10 . Le variabili segmentali considerate e sottoposte a
modifica via sintesi sono il timbro vocalico di /e/ e la realizzazione delle
consonanti /r, s, d/, diversamente articolate nelle due lingue. A livello
10
Una frase usata è per es. ha visto la casa del presidente americano, che contiene grosso modo
gli stessi fonemi nelle due lingue in oggetto.

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340 DIACHRONICA ET SYNCHRONICA. STUDI IN ONORE DI ANNA GIACALONE RAMAT
prosodico, sono state considerate la durata segmentale, i Pitch Accents e i
Toni di Confine.
Gli stimoli sottoposti a verifica percettiva comprendevano una modifica
dei parametri di durata e F0, nonché un incrocio dei parametri segmentali
e prosodici su entrambe le lingue. Abbiamo pertanto creato quattro
classi differenti di stimoli:
• stimoli originali italiani, con segmenti italiani e prosodia italiana
• stimoli originali spagnoli, con segmenti spagnoli e prosodia spagnola
• stimoli sintetici, con segmenti originali italiani, ma prosodia spagnola
• stimoli sintetici, con segmenti originali spagnoli, ma prosodia italiana.
La batteria di stimoli è stata sottoposta al giudizio di 20 studenti italiani
e di 20 studenti spagnoli, aventi rispettivamente una discreta familiarità
con lo spagnolo e l’italiano 11 .
Trattandosi di un test di identificazione a scelta multipla, a ciascun
ascoltatore è stato chiesto di valutare se l’enunciato ascoltato era di volta
in volta:
• italiano con accento italiano
• italiano con accento spagnolo
• spagnolo con accento spagnolo
• spagnolo con accento italiano
I risultati raccolti confermano innanzitutto che – com’era prevedibile -
per entrambe le classi di soggetti, cioè sia per gli italiani che per gli spagnoli,
la solidarietà tra parametri facilita la discriminazione, nel senso che
quando gli elementi prosodici e quelli segmentali concordano, l’identificazione
è massima e relativamente semplice per tutti i soggetti. Tuttavia,
l’incrocio delle variabili mostra una maggiore rilevanza della prosodia sulle
caratteristiche segmentali con percentuali statisticamente significative
(p < 0.01). Infatti, gli stimoli con segmenti italiani, ma prosodia di tipo
spagnolo sono stati percepiti a maggioranza, indipendentemente dalla lingua
materna dei parlanti, come spagnoli; in parallelo, gli stimoli con segmenti
spagnoli, ma prosodia di tipo italiano, sono stati percepiti come italiani.
Questi risultati, per quanto parziali e bisognosi di ulteriore verifica
sperimentale, sembrano indicare che, nel compito di valutazione di un ac-
11
Per ulteriori dettagli sui soggetti, sulle modalità di presentazione del test, nonché sulle modifiche
acustiche effettuate sugli stimoli, si rinvia alla lettura di Boula de Mareuil, Marotta e Adda-
Decker (2004).

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SULLA PERCEZIONE DELL’ACCENTO STRANIERO 341
cento straniero, l’informazione che il parlante-ascoltatore trae dagli indici
prosodici è non solo pertinente, ma forse anche superiore a quella che
trae dai segmenti.
Non si tratta di negare l’importanza dei fattori segmentali nell’identificazione
di un parlante come straniero, quanto piuttosto di riconoscere
parimenti la rilevanza degli indici prosodici, nella loro varia natura di modelli
ritmici e profili tonali. Il dato che emerge da questo studio è particolarmente
significativo in quanto le due lingue poste a confronto presentano
una fonetica ed una prosodia relativamente simili, per cui, in linea di
principio, anche sulla scorta di quanto previsto dal modello di Flege,
avremmo potuto aspettarci che lingue come l’italiano e lo spagnolo, entrambe
syllable-timed, non potessero essere tenute distinte con facilità e
con un buon indice di successo; viceversa, gli indici prosodici emergono
come elementi sufficienti a discriminare tra i due sistemi linguistici.
Un’ulteriore questione che abbiamo messo in agenda riguarda il peso
che, ai fini della percezione di un accento straniero, può avere la persistenza
di tratti fonetici – segmentali o soprasegmentali – tipici di L1 in
soggetti con ottima competenza di una lingua seconda.
A tale scopo, abbiamo messo a punto un primo test pilota, che prevede
l’ascolto di una serie di stimoli naturali brevi 12 prodotti in italiano da alcuni
parlanti con diversa lingua materna (francese, spagnola, tedesca ed
anglo-americana), ma con pluriennale permanenza in Italia ed ottime
competenze linguistiche in italiano 13 . Un gruppo di ascoltatori italiani nativi
è stato chiamato a valutare se ciascuno stimolo è stato prodotto da un
parlante nativo italiano oppure da uno straniero; se lo stimolo è valutato
come straniero, viene altresì chiesto di indicare la provenienza del parlante
tra le quattro sopra menzionate.
A ciascun ascoltatore è stato preliminarmente chiesto di autovalutare
la propria conoscenza delle quattro lingue straniere sopra menzionate e la
propria capacità di riconoscere l’accento relativo alle stesse lingue 14 .
Il campione di ascoltatori che abbiamo preso in esame finora comprende
80 soggetti italiani, perlopiù studenti dell’Università di Pisa, di età
12
Abbiamo volutamente selezionato degli stimoli uditivi brevi, per evitare che l’ascoltatore avesse
a disposizione una stringa fonetica in cui i tratti “forestieri” potessero essere plurimi o rinforzati per
iterazione. La percezione di accento straniero si rinforza in misura direttamente proporzionale alla
lunghezza della sequenza fonica che viene ascoltata dal parlante nativo (cfr. Jilka 2007: 92).
13
Per ulteriori dettagli, si rinvia a Marotta (2008).
14
In effetti, identificare un accento straniero è altra cosa dal comprendere o parlare una lingua
straniera. Ad esempio, molti italiani sono attualmente in grado di riconoscere un accento straniero
slavo, magari classificandolo erratamente come polacco o russo, pur senza avere la minima competenza,
né passiva né attiva, di russo o polacco.

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342 DIACHRONICA ET SYNCHRONICA. STUDI IN ONORE DI ANNA GIACALONE RAMAT
compresa tra i venti e i trent’anni. L’analisi statistica dei dati raccolti è ancora
in corso. Tuttavia, possiamo fin d’ora affermare che la percezione di
non natività è saldamente confermata dal nostro campione. I risultati
mostrano infatti che gli italiani nativi sono capaci di riconoscere un accento
straniero in più della metà degli stimoli presentati, nonostante siano
stati prodotti da parlanti con un’ottima competenza dell’italiano. Più
difficile si è rilevato il compito di identificazione richiesto ai nostri soggetti,
dal momento che non sempre viene correttamente individuata la
provenienza dei parlanti stranieri. Soltanto gli stimoli inglesi presentano
in media percentuali di riconoscimento discrete, superiori al 50%, mentre
i valori più bassi si riscontrano in riferimento agli stimoli prodotti da
soggetti di madrelingua spagnola, che abbastanza di frequente vengono
classificati come italiani. In parallelo, gli stimoli dei parlanti tedeschi sono
spesso confusi con quelli inglesi o, talora, sorprendentemente, con
quelli francesi.
D’altra parte, l’autovalutazione della propria capacità di riconoscere
l’accento relativo alle quattro lingue straniere in esame non sempre trova
un buon grado di corrispondenza con i risultati ottenuti dai singoli soggetti
nel compito di riconoscimento del parlante straniero. L’accento inglese
è quello che mostra indici comparabili di autovalutazione e di percezione
15 , mentre per le altre lingue si assiste ad una più o meno marcata
discrasia tra presunto livello di confidenza con un accento straniero ed
effettivo riconoscimento di quell’accento nel test sperimentale. In altri
termini, la percezione di accento straniero prescinde dall’identificazione
della lingua parlata dal “forestiero”; soltanto in seguito, cioè dopo aver
percepito il diverso da sé, il parlante-ascoltatore formula le sue ipotesi
sulla provenienza linguistica di colui che sta ascoltando.
Lo studio percettivo condotto ci consente pertanto di giungere alle seguenti,
per quanto parziali, conclusioni, distinte in rapporto al piano di
analisi:
• in produzione di L2, è assai difficile perdere completamente l’imprinting
fonetico-prosodico della prima lingua;
• sul piano percettivo, la sensibilità dei parlanti nativi nei confronti della
propria lingua è talmente fine che è sufficiente la persistenza anche di
un solo tratto – segmentale o soprasegmentale – percepito come non
15
E certo questo dato non ci stupisce, visto che l’inglese non solo è la lingua con cui lo studente
medio italiano si confronta nel suo pluriennale percorso scolastico, ma anche è l’unica lingua straniera
cui viene costantemente esposto attraverso i mass-media.

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SULLA PERCEZIONE DELL’ACCENTO STRANIERO 343
appartenente alla propria lingua per trasmettere il percetto di “accento
straniero”.
Resta ancora da capire se esista una gerarchia tra segmenti e soprasegmenti
nel processo che guida la percezione. A questo interrogativo come
pure ad altri connessi intendiamo rispondere mediante il ricorso ad ulteriori
verifiche sperimentali. Per il momento, ci limitiamo a constatare che
definire il contributo della prosodia nella percezione di un accento straniero
è una mèta ancora lontana da raggiungere. La consapevolezza delle
difficoltà, lungi dal costituire un freno agli studi in questa direzione, dovrà
divenire piuttosto un ulteriore stimolo per la ricerca futura.
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