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Luigi Pizzamiglio - Fondazione Santa Lucia

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D – NEUROPSICOLOGIA<br />

LUIGI PIZZIMIGLIO<br />

Università di Roma La Sapienza – IRCCS S. <strong>Lucia</strong>


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

RAZIONALE ED OBIETTIVI<br />

La linea di ricerca in “ Neuropsicologia ” si articola in cinque filoni che<br />

affrontano diverse tematiche di neuroscienze cognitive. Ogni filone, poi, si sviluppa<br />

in diversi progetti.<br />

D.1 – RUOLO DELLA CORTECCIA CEREBRALE NELLA COGNIZIONE DEL CORPO<br />

Recenti studi hanno evidenziato l’attivazione di una specifica porzione<br />

della corteccia occipito-temporale indotta dalla visione di immagini del corpo<br />

o di parti del corpo non facciali. In altri studi verranno messe a fuoco modificazioni<br />

delle funzionalità corticali in risposta a cambiamenti corporei conseguenti<br />

ad interventi chirurgici. La dinamica delle diverse aree deputate alla<br />

elaborazione di percezioni corporee rappresenta il comune denominatore di<br />

quattro ricerche presentate.<br />

Articolazione<br />

D.1.1 – Il ruolo dell’Extrastriate Body Area (EBA) e della corteccia Premotoria<br />

Ventrale (vPMc) nella codifica della forma del corpo e delle azioni<br />

del corpo: uno studio di Stimolazione Magnetica Transcranica<br />

Ripetitiva (rTMS) evento-correlata (Salvatore Maria Aglioti)<br />

D.1.2 – “ La melodia ” dell’azione in pazienti con lesioni cerebrali focali<br />

(Salvatore Maria Aglioti, <strong>Luigi</strong> <strong>Pizzamiglio</strong>)<br />

D.1.3 – Modificazioni dello schema corporeo e della funzionalità motoria<br />

in pazienti con amputazione dell’arto inferiore (Daniele Nico)<br />

D.1.4 – Studio sui processi di riorganizzazione funzionale in seguito<br />

all’allungamento dell’arto superiore in pazienti acondroplasici<br />

(Daniele Nico)<br />

D.2 – STRUMENTI DI VALUTAZIONE DEI DISTURBI NEUROPSICOLOGICI<br />

Verranno messi a punto strumenti per la valutazione dei comportamenti<br />

cognitivi che si ritiene siano alla base del comportamento esecutivo. In modo<br />

analogo verrà eseguita una standardizzazione per la popolazione italiana di<br />

uno strumento che misura i disturbi neuropsichiatrici in una popolazione di<br />

traumatizzati cranici.<br />

Articolazione<br />

D.2.1 – Sistemi di elaborazione delle informazioni coinvolte nel<br />

comportamento esecutivo; evoluzione, declino e alterazioni<br />

patologiche delle funzioni esecutive (Gabriella Antonucci)<br />

D.2.2 – Studio dei disturbi neuropsichiatrici in una popolazione di pazienti<br />

traumatizzati cranici (Paola Ciurli)<br />

490 2006


Neuropsicologia<br />

D.3 – PERCEZIONE E ATTENZIONE SPAZIALE E TEMPORALE<br />

Queste ricerche prevedono lo studio dell’attenzione e della rappresentazione<br />

dello spazio mediante la misurazione dei movimenti oculari e verranno condotte<br />

su soggetti normali e cerebrolesi con eminegligenza spaziale unilaterale.<br />

Articolazione<br />

D.3.1 – Combinazione di tecniche elettrofisiologiche e di neuroimmagine<br />

nello studio delle basi neurali della percezione visiva dello spazio<br />

e dell’attenzione spaziale: sviluppo di strumenti per l’applicazione<br />

in pazienti con lesioni cerebrali (Francesco Di Russo)<br />

D.3.2 – Correlati neurali delle componenti spaziali e di novelty nell’operazione<br />

di disingaggiamento e riorientamento dell’attenzione (Fabrizio Doricchi)<br />

D.3.3 – Basi neurali dell’attività oculomotoria durante il sonno REM e<br />

relazione di tale attività con l’organizzazione spaziale della scena<br />

onirica (Fabrizio Doricchi)<br />

D.3.4 – Orientamento dell’attenzione durante movimenti attivi e passivi<br />

dell’asse testa corpo (i.e. influenze cross-modali vestibolooptocinetiche<br />

sull’orientamento della attenzione implicita)<br />

(Fabrizio Doricchi)<br />

D.3.5 – Influenze retinotopiche e multimodali sulla codifica<br />

della rappresentazione delle distanze spaziali<br />

e numerico-quantitative (Fabrizio Doricchi)<br />

D.3.6 – Studio clinico sperimentale finalizzato ad indagare se ed in che modo<br />

le aspettative nelle due maggiori dimensioni percettive (lo spazio e il<br />

tempo) possono essere compromesse in pazienti con lesioni cerebrali<br />

focali (<strong>Luigi</strong> <strong>Pizzamiglio</strong>)<br />

D.4 – DISTURBI DELLA MEMORIA TOPOGRAFICA<br />

Si prevede la costruzione di metodi per valutare la memoria topografica<br />

nel macro e nel micro spazio da utilizzare in soggetti con lesioni focali unilaterali<br />

e in pazienti con ablazione chirurgica delle strutture temporali profonde<br />

(ippocampo e paraippocampo).<br />

Articolazione<br />

D.4.1 – Ruolo dell’ippocampo nei disturbi di memoria topografica<br />

(Cecilia Guariglia)<br />

D.4.2 – Memoria visuo-spaziale nel micro-spazio e nel macro-spazio<br />

(Cecilia Guariglia)<br />

D.4.3 – Costruzione e standardizzazione di test per la valutazione della<br />

capacità immaginativa in pazienti cerebrolesi (Cecilia Guariglia)<br />

D.4.4 – Trattamento riabilitativo dei disturbi dell’orientamento spaziale<br />

(Chiara Incoccia)<br />

2006 491


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

D.5 – DISTURBI DEL LINGUAGGIO IN CEREBROLESI ADULTI E IN ETÀ EVOLUTIVA<br />

Verranno studiati i correlati anatomici responsabili del recupero del linguaggio<br />

in pazienti afasici bilingui. Verrà inoltre studiato il substrato neurale<br />

dei disturbi afasici mediante l’impiego di un nuovo metodo (VLSM). In soggetti<br />

di età evolutiva verrà studiato lo sviluppo e l’efficienza della lettura lessicale.<br />

Articolazione<br />

D.5.1 – Organizzazione cerebrale del linguaggio nei soggetti afasici bilingui<br />

(Paola Marangolo)<br />

D.5.2 – Voxel-based Lesion Symptom Mapping (VLSM): studio dei disturbi<br />

linguistici e dei correlati anatomici in pazienti afasici<br />

(Paola Marangolo, Gaspare Galati)<br />

D.5.3 – Sviluppo ed efficienza della lettura lessicale: fattori linguistici<br />

e cognitivi (Pierluigi Zoccolotti)<br />

D.1.1 – Il ruolo dell’Extrastriate Body Area (EBA) e della corteccia<br />

Premotoria Ventrale (vPMc) nella codifica della forma del corpo<br />

e delle azioni del corpo: uno studio di Stimolazione Magnetica<br />

Transcranica Ripetitiva (rTMS) evento-correlata<br />

(Salvatore Maria Aglioti)<br />

Attività previste<br />

Nell’ambito delle neuroscienze una concezione largamente condivisa relativa<br />

all’organizzazione ed al funzionamento del cervello è che diversi aspetti<br />

della realtà siano rappresentati in aree corticali diverse (Gainotti, 2004). Questa<br />

evidenza si riscontra nella rappresentazione semantica verbale del mondo<br />

(Warrington et al., 1984). La rappresentazione categoriale semantica non è un<br />

fenomeno solo verbale. Anche nell’ambito della percezione visiva si ritrovano<br />

evidenze sperimentali che fanno pensare ad una organizzazione modulare<br />

delle categorie semantiche nella corteccia (Kanwisher et al., 2000). Nella scia<br />

della scoperta di un’area visiva specializzata per la percezione di facce, l’interesse<br />

scientifico si è indirizzato verso la ricerca di altre aree specializzate nella<br />

percezione visiva di stimoli appartenenti a categorie importanti da un punto<br />

di vista adattivo.<br />

Negli ultimi 5 anni diversi studi di imaging funzionale hanno evidenziato<br />

l’attivazione di una specifica porzione della corteccia occipito-temporale<br />

indotta dalla visione di immagini del corpo o di parti del corpo non facciali.<br />

Quest’area è stata chiamata Extrastriate Body Area (EBA) (Downing et al.,<br />

2001). Uno studio di rTMS ha inoltre dimostrato che l’attività di EBA è essenziale<br />

unicamente nella discriminazione di parti corporee non facciali e non<br />

nella discriminazione di oggetti non corporei (motociclette) o di facce (Urgesi<br />

et al., 2004). D’altro canto, la scoperta di una classe di neuroni nella corteccia<br />

premotoria della scimmia (F5), detti “ neuroni mirror ”, attivati sia durante la<br />

programmazione del movimento che durante la semplice osservazione del<br />

492 2006


movimento eseguito da un altro individuo, ha dato luogo alla nascita ed allo<br />

sviluppo di una robusta linea di ricerca relativa all’osservazione di azioni (di<br />

Pellegrino et al., 1992).<br />

Studi di imaging funzionale hanno successivamente dimostrato la presenza<br />

di questo tipo di neuroni anche nell’uomo. La presenza di questo tipo di<br />

neuroni nell’uomo è stata riscontrata nella corteccia premotoria ventrale<br />

(vPMc), omologa della F5 delle scimmie da un punto di vista morfologico-funzionale<br />

(Petrides et al., 1997). La funzione di questa classe di neuroni è stata<br />

posta alla base della capacità degli uomini di comprendere ed imitare le azioni<br />

osservate nei cospecifici (Rizzolatti et al., 2001). Sebbene esistano ampie prove<br />

dell’attività di questi neuroni ottenute con metodi correlazionali (fMRI) ed<br />

interferenziali (TMS), nessuno di questi ultimi è mai stato utilizzato per provare<br />

che l’attività delle cortecce premotorie ventrali sia cruciale nella percezione<br />

di azioni. Il corpo dunque convoglia sia informazioni relative alle sue<br />

caratteristiche morfologiche, sia informazioni relative al movimento che sta<br />

eseguendo, le quali potrebbero essere codificate in aree corticali distinte.<br />

La finalità del presente progetto di ricerca è quella di evidenziare una possibile<br />

doppia dissociazione funzionale tra vPMc ed EBA bilaterali. A tal fine si propone<br />

l’utilizzo della Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva (rTMS), tecnica<br />

capace di interferire selettivamente con l’attività della struttura corticale stimolata.<br />

Si prevede di poter temporaneamente inibire, in soggetti sani, la capacità<br />

di discriminare due diverse azioni (discriminazione di azione) rilasciando gli<br />

impulsi magnetici sulla vPMc, o la capacità di discriminare due parti corporee<br />

non facciali diverse per morfologia (discriminazione di forma) rilasciando gli<br />

impulsi su EBA. L’interferenza durante un compito percettivo relativo alla discriminazione<br />

di azioni e della forma del corpo è un dato mancante nella letteratura<br />

attuale e fornirebbe una prova dell’essenzialità del funzionamento delle due aree<br />

di studio nella percezione appunto dell’azione e della forma del corpo.<br />

Descrizione<br />

Neuropsicologia<br />

Il compito sperimentale utilizzato nella ricerca sarà un “ matchingto-sample-task<br />

”. I soggetti dovranno riconoscere uno stimolo presentato tachistoscopicamente<br />

per 150 msec tra due immagini di confronto presentate successivamente<br />

in visione libera. Le immagini usate rappresenteranno parti del<br />

corpo umano implicanti un’azione. 4 immagini riguarderanno arti superiori ed<br />

altre 4 arti inferiori. La metà delle azioni raffigurate avranno uno scopo ecologico<br />

(grasping fine e grossolano, passo avanti e passo indietro), l’altra metà no.<br />

Il set completo di stimoli rappresenteranno due diversi modelli maschili che<br />

eseguono tutte e 8 le azioni. Le fotografie inoltre saranno duplicate per generare<br />

il lato sinistro e quello destro di ogni arto. Le immagini di confronto differiranno<br />

fra di loro o per l’azione raffigurata (discriminazione di azione) o per<br />

le caratteristiche morfologiche dell’arto che esegue l’azione; per esempio la<br />

mano che esegue il grasping apparterrà a due individui diversi (discriminazione<br />

di forma). Tra la presentazione dell’immagine stimolo e quelle di confronto<br />

al soggetto verrà presentata, per 500 msec, una figura rettangolare con<br />

funzione di maschera in coincidenza della quale verrà applicata la stimola-<br />

2006 493


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

zione magnetica transcranica ripetitiva (ritardo: 150 msec; frequenza:10Hz;<br />

durata: 200 msec; intensità: 120% della soglia motoria).<br />

In blocchi sperimentali diversi verrà stimolata EBA e vPMc bilaterale<br />

durante l’esecuzione del compito di discriminazione di azione o di forma.<br />

Nella fase preliminare di preparazione elettrofisiologica, si individuerà la<br />

“ posizione ottimale ” (OSP), definita come il sito dello scalpo dal quale la<br />

TMS può indurre dei MEPs di massima ampiezza in entrambi i muscoli target.<br />

Mediante un sistema di neuronavigazione a campo magnetico (Polhemus<br />

spatial digitizer) sarà possibile localizzare la OSP nello spazio stereotassico<br />

standard di Talairach (Talairach et al., 1988). Ponendo lo stimolatore sulla<br />

OSP si passerà a determinare la soglia motoria (SM) del soggetto, definita, in<br />

accordo allo standard internazionale, come la minima intensità di stimolazione<br />

in grado di indurre un’ampiezza dei MEPs maggiore di 50 µV in almeno<br />

5 stimolazioni su 10 (Rossini et al., 1994).<br />

Per la localizzazione dei siti di stimolazione verrà usato il sistema di neuronavigazione<br />

Softaxic Navigator system (EMS, Bologna, Italy). Questo<br />

sistema accoppia allo scalpo la porzione di corteccia cerebrale sottostante<br />

usando un modello anatomico standard. La mappatura dello scalpo dei soggetti<br />

verrà effettuata tramite un Fastrak Polhemus digitizer (Polhemus, Colchester,<br />

VT). La ricostruzione dello scalpo si effettua sulla base dei tradizionali<br />

riferimenti craniometrici (punti preauricolari sinistro e destro, nasion ed<br />

inion) e 60 punti fiduciari presi su tutto lo scalpo. Il sistema di neuronavigazione<br />

a campo magnetico Polhemus crea uno spazio tridimensionale descritto<br />

dalle coordinate assiali x, y e z che ordinano lo spazio in direzione rispettivamente<br />

sinistra-destra, rostro-caudale e ventro-dorsale. Le coordinate dei punti<br />

dello scalpo vengono associate allo spazio stereotassico di Talairach attraverso<br />

la correlazione tra le prime e un modello cerebrale standard. Le coordinate di<br />

Talairach (Talairach et al., 1988) saranno automaticamente calcolate dal programma<br />

Softaxic. In questo esperimento i siti presi in considerazione saranno<br />

quattro: EBA destra, EBA sinistra, vPMc destra e vPMc sinistra. Per EBA<br />

destra saranno usate le coordinate: x=52, y=-72, z=4 (Downing et al., 2001;<br />

Urgesi et al., 2004), per la vPMc destra invece: x=57, y=12, z=24 (Costantini et<br />

al., 2005). Per EBA sinistra saranno scelti i valori: x=-52, y=-68, z=4 e per vPMc<br />

sinistra: x=-58, y=12, z=24 secondo le indicazioni di Costantini (Costantini et<br />

al., 2005). Le misure che verranno considerate saranno i tempi di reazione<br />

(RT) e l’accuratezza di risposta (ACC). Inoltre per controllare che la stimolazione<br />

delle vPMc non determini un’interferenza nell’esecuzione della risposta<br />

manuale, l’elettromiografia dei muscoli First Dorsal Interossus (FDI) e dell’Abductor<br />

Digiti Minimi (ADM) della mano di risposta sarà monitorata in presa<br />

diretta durante la fase sperimentale. Come controllo ulteriore metà dei soggetti<br />

eseguirà la risposta con la mano destra mentre l’altra metà con la sinistra.<br />

Soggetti<br />

Lo studio sarà condotto utilizzando 20 soggetti normali. Per tutti verranno<br />

esclusi fattori di rischio o controindicazioni a partecipare ad espe-rimenti di<br />

TMS sulla base degli attuali protocolli per la sicurezza (Wasserman, 2001).<br />

494 2006


Neuropsicologia<br />

– Costantini M., Galati G., Ferretti A., Caulo M., Tartaro A., Romani G. L., Aglioti S.M.<br />

(2005) Cereb Cortex 15(11): 1761-1767.<br />

– di Pellegrino G., Fadiga L., Fogassi L., Gallese V., Rizzolatti G. (1992) Exp Brain<br />

Res 91(1): 176-180.<br />

– Downing P.E., Jiang Y., Shulman M., Kanwisher N. (2001) Science 293(5539):<br />

2470-2473.<br />

– Gainotti G. (2004) Neuropsychologia 42(3): 299-319. Review.<br />

– Kanwisher N. (2000) Nat Neurosci 3(8): 759-763.<br />

– Petrides M., Pandya D.N. (1997) In Boller F., Grafman J. (ed) Handbook of Neuropsychology<br />

New York: Elsevier IX, 17-58.<br />

– Rizzolatti G., Fogassi L., Gallese V. (2001) Nat Rev Neurosci 2: 661-670.<br />

– Rossini P.M., Barker A.T., Caramia M.D., Caruso G., Cracco R.Q., Dimitrijevic<br />

M.R., Hallet M., Katayama Y., Lücking C.H., Maertens de Noordhout A.L., Mardsen<br />

C.D., Murray N.M.F., Rothwell J., Swash M., Tomberg C. (1994) Electroenceph<br />

Clin Neurophysiol 91: 70-92.<br />

– Talairach J., Tournoux P. (1988) Co-planar stereotaxic atlas of the human brain:<br />

3-dimension proportional system: an approach to cerebral imaging. New York, Thieme.<br />

– Urgesi C., Berlucchi G., Aglioti S.M. (2004) Curr Biol 14(23): 2130-2134.<br />

– Warrington E.K., Shallice T. (1984) Brain 107(Pt 3): 829-854.<br />

– Wassermann E.M., Lisanby S.H. (2001) Clin Neurophysiol 112: 1367-1377.<br />

D.1.2. “ La melodia ” dell’azione in pazienti con lesioni cerebrali focali<br />

(Salvatore Maria Aglioti, <strong>Luigi</strong> <strong>Pizzamiglio</strong>)<br />

L’aprassia è un disturbo neuropsicologico che comporta un deficit nell’esecuzione<br />

intenzionale di gesti non riconducibili a dei disturbi sensorimotori<br />

(quali – ad esempio – deficit di sensibilità, emiparesi, atassia, sintomi extrapiramidali),<br />

a dei deficit intellettivi o ad una ridotta capacità di comprensione<br />

del linguaggio. Pur conseguendo a disturbi uniemisferici, i sintomi sono tipicamente<br />

bilaterali. Già dalla prima descrizione fatta da Liepmann (1905) ci si<br />

chiese se l’aprassia fosse unicamente un disturbo della produzione del gesto o<br />

piuttosto rappresentasse anche un’alterazione del riconoscimento e della<br />

comprensione del suo significato. Ancora oggi, in accordo con l’interpretazione<br />

originale di Liepmann, l’aprassia può essere vista come un deficit d’esecuzione<br />

di gesti di cui si ha consapevolezza oppure come una perdita della<br />

capacità di rappresentare i movimenti che costituiscono il gesto.<br />

La distinzione fra le aree corticali che servono alla rappresentazione dei<br />

gesti e quelle che servono alla produzione dei gesti è attualmente oggetto di<br />

numerose ricerche. Numerosi studi nelle scimmie e nell’uomo hanno suggerito<br />

che i substrati neurali per la comprensione e per l’esecuzione dei gesti<br />

sono in gran parte sovrapposti e riguardano sia strutture frontali (area di<br />

Broca: Rizzolatti et al., 1999) che parietali (Fogassi et al., 2005; Buccino et al.,<br />

2001). L’importanza relativa delle due aree, frontale e parietale, nel riconoscimento<br />

e nella comprensione dei gesti è stata esaminata in pazienti che avessero<br />

subito delle lesioni limitate all’una o all’altra di queste aree (Heilman et<br />

al., 1973, 1979, 1982; Rothi et al., 1985, 1991).<br />

2006 495


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

Lo studio è volto ad esaminare la capacità di pazienti aprassici di eseguire<br />

gesti o atti complessi della vita quotidiana sulla base degli indizi acustici non<br />

linguistici legati a quei gesti (ad esempio il rumore dei passi, lo schioccare<br />

delle dita) e a valutare se esista una dissociazione fra le basi nervose per la<br />

comprensione e per la produzione di un gesto in pazienti aprassici con lesioni<br />

cerebrali anteriori (frontali) e posteriori (parietali).<br />

La ricerca verrà condotta su 50 pazienti con lesioni cerebrovascolari<br />

destre o sinistre la cui sede è stata accertata tramite esami clinici e radiologici<br />

(Tomografia Assiale Computerizzata o Risonanza Magnetica Nucleare). Ogni<br />

paziente sarà sottoposto a diverse sessioni sperimentali in giorni diversi, in<br />

relazione al grado di affaticabilità e disponibilità del paziente. Ogni sessione<br />

non durerà, in ogni caso, più di 60 minuti. I paradigmi sperimentali prevedono<br />

due gruppi: uno di studio e uno di controllo. I criteri di ammissione al<br />

gruppo di studio sono:<br />

– presenza di aprassia degli arti (AI, AIM) e bucco-facciale (ABF);<br />

– possesso del linguaggio che permetta di rispondere correttamente con<br />

un sì od un no nel compito di riconoscimento.<br />

Per l’ammissione al gruppo di controllo sono sufficienti la presenza di<br />

una lesione cerebrale e l’assenza d’aprassia.<br />

Principali misure di valutazione<br />

Prima delle specifiche prove sperimentali tutti i soggetti saranno sottoposti<br />

ad una batteria di test neuropsicologici:<br />

– test per la produzione e comprensione linguistica (test dei gettoni, ripetizione,<br />

linguaggio scritto, denominazione e comprensione);<br />

– test d’intelligenza non verbale (Matrici Progessive di Raven);<br />

– test di aprassia ideativa (esame sull’uso di oggetti comuni);<br />

– test di aprassia ideomotoria (De Renzi e coll., 1980);<br />

– test di aprassia bucco-facciale.<br />

Valutazione della capacità di riconoscere gesti<br />

sulla base di indizi acustici non linguistici associati ai gesti stessi<br />

Il test per valutare le capacità di riconoscimento di gesti sulla base di<br />

indizi acustici non linguistici associati ai gesti stessi consiste in un test originale<br />

nel quale si presentano tramite un microfono suoni evocanti gesti degli<br />

arti intransitivi (e.g. schioccare le dita) o transitivi; gesti del distretto orofacciale<br />

intransitivi (e.g. starnutire) o transitivi (soffiare in un fischietto). Suoni<br />

ambientali (ad esempio la sirena di un’ambulanza) verranno usati come controlli.<br />

Dopo l’ascolto di ogni suono, il paziente dovrà scegliere tra 4 figure presentate<br />

sullo schermo di un computer quella corrispondente al rumore udito<br />

in precedenza. Le diverse categorie di suoni si alterneranno in una sequenza<br />

pseudo-casuale. Tutte le prove si svolgeranno in una stanza isolata nel laboratorio<br />

di Neuropsicologia della <strong>Fondazione</strong> <strong>Santa</strong> <strong>Lucia</strong>. Il paziente siederà ad<br />

una distanza di 57 cm dallo schermo di un computer. Lo sperimentatore regi-<br />

496 2006


Neuropsicologia<br />

strerà le risposte del paziente su moduli predisposti all’uopo. La prestazione<br />

d’ogni singolo paziente verrà valutata considerando il numero totale di errori.<br />

Il grado di difficoltà del test sarà determinato somministrandolo ad un campione<br />

di 10 soggetti non cerebrolesi di età compresa fra 50 e 80 anni.<br />

– Buccino G., Binkofski F., Fink G.R. et al. (2001) Eur J Neurosci 13: 400-404.<br />

– De Renzi E., Motti F., Nichelli P. (1980) Arch Neurol 37: 6-10.<br />

– Fogassi L., Ferrari P.F., Gesierich B., Rozzi S., Chersi F., Rizzolatti G. (2005)<br />

Science 308(5722): 662-667.<br />

– Heilman K.M. (1973) Brain 96: 861-864.<br />

– Heilman K.M. (1979) In Heilman K.M., Valenstein E. (eds) Clinical Neuropsychology.<br />

New York: Oxford University Press.<br />

– Heilman K.M., Rothi L.J., Valenstein E. (1982) Neurology 32: 342-346.<br />

– Liepmann H. (1905) Das linke Hemisphaere und das Handeln. Muencher medizinische<br />

Wochenschrift, 49: 2322-2326, 2375-2378.<br />

– Rizzolatti G., Fadiga L., Fogassi L., Gallese V. (1999) Arch Ital Biol 137(2-3): 85-100.<br />

– Rothi L.J.G., Ochipa C., Heilman K.M. (1991) Cognitive Neuropsychology 8: 443-458.<br />

– Rothi L.J., Heilman K.M., Watson R.T. (1985) J Neurol Neurosur Ps 48(3): 207-210.<br />

D.1.3 – Modificazioni dello schema corporeo e della funzionalità motoria<br />

in pazienti con amputazione dell’arto inferiore (Daniele Nico)<br />

Una serie di studi effettuati negli ultimi anni ha permesso di dimostrare<br />

che la capacità di eseguire determinati movimenti è strettamente connessa<br />

con l’abilità di pianificarli e programmarli. Diversi studi condotti sulla motor<br />

imagery hanno infatti dimostrato che esiste una marcata corrispondenza,<br />

anatomica e funzionale, tra esecuzione e simulazione mentale del movimento.<br />

Questa correlazione è stata dimostrata anche grazie a studi condotti su<br />

pazienti che hanno subito l’amputazione dell’arto superiore. Uno studio<br />

recente (Nico D., Daprati E., Rigal F., Parsons L., Sirigu A. (2004) Brain 127:<br />

1-13) ha infatti messo in evidenza che l’abilità di simulare mentalmente il<br />

movimento della mano è influenzata dalla sua disponibilità fisica, anche se<br />

nella realtà nessun movimento deve essere effettivamente compiuto.<br />

Nel progetto presente si è tentato di mettere in evidenza gli effetti della<br />

perdita dell’arto inferiore sulla capacità di pianificare ed eseguire mentalmente<br />

un movimento del piede. È stato chiesto a pazienti amputati dell’arto<br />

inferiore di giudicare più velocemente possibile se l’immagine di un piede<br />

(mostrato in due diverse prospettive laterali, dal lato dell’alluce e dell’ultimo<br />

dito, ed anche nelle prospettive plantare e dorsale, ognuna in dodici diversi<br />

orientamenti ad intervalli di 30°) fosse quella di un piede destro oppure un<br />

sinistro.<br />

I risultati preliminari avevano già suggerito che la perdita di un piede dal<br />

punto di vista cognitivo non produce lo stesso effetto di quello prodotto dalla<br />

perdita della mano: il giudizio di lateralità infatti non è sembrato dipendere<br />

dal fatto che il piede mostrato corrispondesse o meno a quello mancante. Il<br />

2006 497


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

campione di soggetti è stato ulteriormente incrementato. Al momento sono<br />

stati inseriti nella presente ricerca 21 pazienti. Di questi, 10 hanno subito<br />

l’amputazione della gamba destra, 3 della coscia destra, 2 l’amputazione del<br />

piede sinistro, 3 della coscia sinistra e 3 della gamba sinistra. Contrariamente<br />

a quanto emerso in precedenza, le nuove analisi dei dati sembrano evidenziare<br />

un aumento nei tempi di risposta e un peggioramento dell’accuratezza<br />

nel caso in cui le immagini presentate raffigurino un piede visto in una posizione<br />

non naturale. Tuttavia l’eterogeneità del campione ancora non consente<br />

delle valutazioni conclusive. I pazienti infatti differiscono per il diverso livello<br />

a cui hanno subito l’amputazione. Le prestazioni dei pazienti quindi potrebbero<br />

dipendere dal numero di articolazioni disponibili per le operazioni mentali<br />

di simulazione delle rotazioni necessarie per ‘copiare’ l’orientamento dello<br />

stimolo da riconoscere.<br />

Il protocollo sperimentale comprendeva inoltre delle prove finalizzate a<br />

verificare se le abilità di rappresentazione spaziale fossero o meno influenzate<br />

dall’uso della protesi. Si è partiti dal presupposto che l’amputazione dell’arto<br />

inferiore abbia delle implicazioni cognitive anche per ciò che concerne la<br />

capacità di riorganizzare funzionalmente gli spostamenti nell’ambiente. A<br />

questo scopo i pazienti sono stati impegnati in prove di navigazione sia attiva<br />

che passiva in due diversi momenti: quando cominciano ad usare la protesi<br />

provvisoria e quando il recupero funzionale è ormai completato e deambulano<br />

con la protesi in modo indipendente da qualsiasi ausilio. L’ipotesi è che i<br />

pazienti amputati debbano necessariamente operare una riorganizzazione<br />

funzionale dello spazio in base alle nuove competenze motorie che sono<br />

costretti ad apprendere, dato che la protesi li obbliga ad imparare di nuovo a<br />

camminare. Le loro abilità di rappresentazione spaziale dovrebbero, allora,<br />

modificarsi di pari passo con l’aumento della dimestichezza nell’uso della protesi.<br />

Per tentare di verificare questa ipotesi è stata valutata la capacità di stimare<br />

delle distanze nonché la precisione nel valutare l’entità di diversi spostamenti,<br />

attivi e passivi, effettuati sia a piedi che con un robot.<br />

Il progetto prevedeva quindi un re-test alla fine del periodo riabilitativo<br />

per l’utilizzo della protesi, con l’ulteriore obiettivo di valutare la presenza di<br />

miglioramenti nella capacità di pianificazione e programmazione del movimento.<br />

Dato che, come già sottolineato dalla letteratura, la capacità di motor<br />

imagery e l’esecuzione di un movimento reale vanno di pari passo e se, come<br />

con questo progetto si tenta di evidenziare, l’utilizzo della protesi può migliorare<br />

l’abilità di motor imagery del paziente amputato, allora il risultato<br />

diventa ancora più rilevante in funzione della possibilità di utilizzare la simulazione<br />

mentale del movimento per facilitare l’apprendimento dell’utilizzazione<br />

della protesi. Al momento sono stati sottoposti alle batterie di valutazione<br />

8 pazienti amputati di arto inferiore valutati nel periodo in cui avevano<br />

appena cominciato ad usare la protesi; tra questi solo 2 hanno terminato il<br />

trattamento riabilitativo e sono stati richiamati per effettuare le valutazioni di<br />

re-test a diversi mesi di distanza. Non è stato ancora possibile sottoporre<br />

anche gli altri pazienti alle successive valutazioni poiché ancora non sono<br />

arrivati alla fine del lungo percorso riabilitativo e non hanno quindi stabilizzato<br />

definitivamente le loro competenze motorie con la protesi. Allo stato<br />

498 2006


Neuropsicologia<br />

attuale non è quindi ancora possibile fornire dei risultati esaurienti che diano<br />

indicazioni chiare in merito alle modificazioni nella capacità di rappresentazione<br />

dello spazio ed a proposito della plasticità delle competenze di motor<br />

imagery in seguito alla protesizzazione dell’amputato di arto inferiore.<br />

Nel corso del 2006 pertanto verrà eseguita la valutazione post-riabilitativa<br />

dei pazienti inseriti nel protocollo sperimentale.<br />

D.1.4 – Studio sui processi di riorganizzazione funzionale in seguito<br />

all’allungamento dell’arto superiore in pazienti acondroplasici<br />

(Daniele Nico)<br />

Il presente progetto ha come obiettivo quello di valutare i meccanismi di<br />

riorganizzazione cognitiva nei pazienti acondroplasici. Il cervello contiene<br />

infatti una rappresentazione topografica del corpo costruita sulla base delle<br />

afferenze sensoriali ed elaborata dal sistema cognitivo che ci permette il<br />

costante aggiornamento della nostra posizione nello spazio, un pre-requisito<br />

funzionale essenziale per qualsiasi movimento nell’ambiente e per la sua rappresentazione<br />

spaziale in coordinate egocentriche. Sono stati scelti come soggetti<br />

sperimentali dei bambini acondroplasici in cui si interviene chirurgicamente<br />

nel tentativo di favorire una sviluppo armonico della struttura corporea.<br />

Questi pazienti subiscono infatti degli interventi di allungamento degli arti che<br />

modificano sostanzialmente il loro schema corporeo nel volgere di alcune settimane.<br />

In seguito all’intervento avvengono precisi cambiamenti fisiologici di<br />

riorganizzazione della corteccia somatosensoriale che sono stati documentati<br />

recentemente (Di Russo F., Committeri G. et al. (2006) Neuroimage 30 (1): 172-<br />

183). Ci si attende anche una riorganizzazione delle competenze cognitive in<br />

una serie di operazioni in cui è necessario tener conto delle nuove dimensioni<br />

corporee. A questo scopo sono state pianificate alcune prove specifiche volte a<br />

valutare la modalità con cui questi soggetti riorganizzano la loro rappresentazione<br />

corporea ed alcuni aspetti funzionali legati ad essa: quando ad esempio<br />

una determinata posizione nello spazio viene codificata attraverso il ‘senso di<br />

posizione’. Al momento sono state valutate le prestazioni di due soggetti prima<br />

dell’intervento chirurgico di allungamento dell’arto superiore.<br />

La batteria di valutazione utilizzata comprende un test di rappresentazione<br />

dello schema corporeo (Daurat-Hmeljiak C., Stambak M., Berges J.<br />

(1978) Il test dello schema corporeo. Organizzazioni Speciali, Firenze) per valutare<br />

la percezione soggettiva che questi pazienti hanno delle disarmonie di<br />

sviluppo del proprio corpo, come questa percezione si modifichi in funzione<br />

delle aspettative che derivano dall’intervento di correzione e la valutazione<br />

soggettiva della reale modificazione corporea ottenuta a seguito dell’allungamento.<br />

Oltre a questo sono state effettuate prove di valutazione della stima<br />

soggettiva della posizione di diversi punti di repere anatomico sul proprio<br />

braccio (gomito, polso e punta delle dita), con lo scopo di mettere in evidenza<br />

se e come, nel tempo, i pazienti modifichino la propria consapevolezza somatosensoriale.<br />

Per questa prova è stato costruito uno speciale apparato costituito<br />

da un banchetto di legno con una linea formata da 40 LED equispaziati<br />

di 1 cm. l’uno dall’altro. Al soggetto, con il braccio posto sotto al banchetto e<br />

2006 499


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

quindi non visibile direttamente, viene chiesto di giudicare se il singolo LED<br />

acceso dallo sperimentatore si trovi ‘al di sopra’ oppure ‘al di sotto’ del punto<br />

di repere anatomico oggetto della valutazione in corso. La procedura di stimolazione<br />

utilizzata è stata adattata seguendo la tecnica proposta in Vallar et<br />

al. (Vallar G., Guariglia C., Nico D., Bisiach E. (1995) Brain 118: 467-472). È<br />

stata quindi effettuata una prova più specifica in cui al soggetto viene chiesto<br />

di memorizzare una determinata posizione del dito indice su di un piano, raggiunta<br />

tramite uno spostamento passivo del braccio imposto dallo sperimentatore.<br />

Al soggetto è stato chiesto di indicare col dito il punto esatto raggiunto<br />

in precedenza, dopo che il braccio è stato ricollocato in posizione di riposo<br />

(completamente addotto al tronco con la mano poggiata sul petto, in asse con<br />

il piano mediano sagittale del corpo) sempre con un movimento imposto. Le<br />

prove sono state effettuate su di uno sfondo millimetrato e riprese con una<br />

telecamera digitale dall’alto. Sono state effettuati 60 movimenti di raggiungimento<br />

di diverse posizioni collocate entro ed al limite dello spazio di reaching.<br />

Le prove sono state effettuate tutte con l’arto dominante (il destro).<br />

Al momento la valutazione è stata effettuata su due soli soggetti maschi<br />

che hanno subito l’intervento chirurgico di allungamento. La valutazione<br />

effettuata è quella preliminare all’intervento, quella cioè che fornisce i parametri<br />

comportamentali di riferimento, su cui poi analizzare i risultati ottenuti<br />

nelle due successive rilevazioni. Al momento devono ancora essere effettuate<br />

la valutazione da compiere immediatamente dopo che sono stati tolti i cestelli<br />

che guidano la ricrescita ossea ed un re-test a diversi mesi di distanza dall’eliminazione<br />

dei cestelli, quando si presume che il soggetto abbia acquisito ed<br />

integrato la modificazione corporea in una rappresentazione stabile del proprio<br />

corpo. Dal punto di vista anatomico e funzionale, anche le misure elettrofisiologiche<br />

e di neuroimmagine dovranno essere ripetute nei tempi summenzionati<br />

per osservare in dettaglio l’esatta identificazione delle aree cerebrali<br />

deputate alla rappresentazione della mano e le loro eventuali modifiche in<br />

seguito all’operazione chirurgica.<br />

Pertanto, nel corso del 2006 verrà proseguito l’inserimento nel protocollo<br />

sperimentale di nuovi soggetti che verranno in seguito sottoposti ad interventi<br />

di allungamento degli arti superiori e verranno sottoposti all’esame post-chirurgico<br />

i pazienti già inseriti nel protocollo nel corso del 2005.<br />

D.2.1 – Sistemi di elaborazione delle informazioni coinvolte<br />

nel comportamento esecutivo; evoluzione, declino e alterazioni<br />

patologiche delle funzioni esecutive (Gabriella Antonucci)<br />

Descrizione<br />

Negli ultimi anni, numerosi studi neuropsicologici e neurofisiologici sui<br />

primati e sull’uomo, hanno dimostrato quanto la corteccia prefrontale possa<br />

essere definita come la struttura neurale più “ alta ” incaricata dell’organizzazione<br />

e pianificazione di comportamenti nuovi e complessi, inclusi linguaggio<br />

e ragionamento logico. Il ruolo della corteccia prefrontale, si<br />

esplica attraverso quelle che sono state definite Funzioni Esecutive (FE) un<br />

500 2006


Neuropsicologia<br />

set di funzioni cognitive di ordine superiore deputate ad una serie di diverse<br />

operazioni quali il controllo motorio e la programmazione di comportamenti<br />

articolati (soppressione dei riflessi e degli impulsi motori, lo switch<br />

tra un movimento e l’altro, la programmazione e la messa in atto di comportamenti<br />

complessi); il controllo “ meta-cognitivo ” (flessibilità cognitiva e<br />

resistenza alle interferenze esterne); la personalità e le emozioni (l’iniziativa,<br />

l’automonitoraggio, controllo degli impulsi affettivi ed emotivi) la fluenza<br />

verbale e la pianificazione.<br />

L’eterogeneità di tali funzioni ha portato alla formulazione di ipotesi<br />

sull’esistenza di network neurali diversi che sottostanno a comportamenti<br />

esecutivi differenti. Ad esempio uno studio PET condotto da Smith & Jonides<br />

(1999) ha portato all’evidenza di una selettiva attivazione del cingolo<br />

anteriore in un compito di inibizione della risposta su paradigma Stroop ed<br />

una attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale con un classico<br />

compito di pianificazione. Più in generale il frazionamento di comportamenti<br />

esecutivi è stato supportato dalle evidenze sull’esistenza di tre diversi<br />

circuiti neurali circoscritti dai lobi frontali (Burruss et al., 2000). Il comportamento<br />

di organizzazione e pianificazione è stato correlato con il circuito<br />

dorsolaterale mentre il comportamento di inibizione e modulazione dell’arousal<br />

è stato associato ad attivazioni del circuito del cingolo anteriore.<br />

Infine il terzo circuito quello “ orbitofrontale ” è stato associato ai comportamenti<br />

di gestione e controllo dei comportamenti sociale e delle emozioni<br />

(Duffy & Campbell, 1994).<br />

Tutti questi studi però riguardano essenzialmente la messa in atto dei<br />

comportamenti esecutivi in ambienti artificiali (studi di attivazione PET e<br />

fMRI). Un approccio diverso nello studio delle funzioni esecutive è valutare i<br />

deficit cognitivi presentati da pazienti affetti da patologie diverse. È noto<br />

infatti che disturbi di tipo esecutivo sono stati osservati sia in pazienti cerebrolesi,<br />

sia in pazienti affetti da patologie psichiatriche quali la schizofrenia,<br />

la depressione ed il disturbo ossessivo-compulsivo. Analogamente, deficit esecutivi<br />

sono stati rilevati anche in soggetti anziani sani; quest’ultima evidenza è<br />

stata interpretata come un fisiologico irrigidimento delle funzioni cognitive di<br />

ordine superiore dovuto all’invecchiamento normale.<br />

Nonostante la manifestazione comportamentale del disturbo disesecutivo<br />

appaia diversificata a seconda della patologia riportata, ciò che accomuna<br />

tutte le manifestazioni disesecutive sembra essere una specifica disfunzione<br />

del sistema esecutivo centrale correlato ad una alterata funzionalità della corteccia<br />

prefrontale.<br />

Da un punto di vista descrittivo i deficit neuropsicologici osservati nei<br />

pazienti affetti da problemi esecutivi possono essere riassunti come perseverazione<br />

cognitiva, rigidità nel ragionamento astratto, apragmatismo della comunicazione,<br />

anosognosia e labilità emotiva. A causa di tali problemi il paziente<br />

disesecutivo incontra notevoli difficoltà nell’adeguare il proprio comportamento<br />

nelle situazioni di vita quotidiana. Questi stessi problemi sono stati<br />

descritti anche nella popolazione anziana sana anche se non è presente in letteratura<br />

alcuno studio sistematico che monitorizzi l’evoluzione e l’eventuale<br />

decadimento delle diverse componenti nell’arco di vita.<br />

2006 501


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

La presente linea di ricerca si propone di approfondire le conoscenze sui<br />

sistemi di elaborazione delle informazioni coinvolte nel comportamento esecutivo<br />

tramite lo studio dell’evoluzione di tali comportamenti in un’ampia<br />

popolazione di soggetti sani.<br />

Evoluzione dei comportamenti esecutivi<br />

Il definitivo sviluppo della corteccia prefrontale si conclude molto tardi,<br />

non prima dei 14-16 anni (Fuster, 1999). Questo lungo processo di sviluppo<br />

sembra essere in parte dovuto alla lenta maturazione delle funzioni cognitive<br />

supportate dalla corteccia prefrontale, ovvero le Funzioni Esecutive. Questo<br />

set di funzioni cognitive è stato dimostrato subire una continua evoluzione<br />

nell’arco di vita dell’individuo raggiungendo un picco di massima efficienza<br />

nell’età adulta per poi regredire con l’avanzare dell’età. Un piccolo studio<br />

pilota condotto presso il nostro laboratorio ha messo in luce che le prestazioni<br />

dei soggetti in diversi compiti esecutivi si differenziano a seconda della<br />

funzione esecutiva osservata. Più in dettaglio ciò che è stato osservato è che lo<br />

stesso individuo è in grado di fornire prestazioni selettivamente migliori a<br />

seconda della funzione esecutiva misurata. Analogamente si è rilevato un<br />

selettivo e significativo peggioramento delle prestazioni dei soggetti più<br />

anziani (età media 65 anni ds = 3.7) rispetto a quelli adulti (età media 42 anni<br />

ds = 2.5) e più giovani (età media 24 anni ds = 2.8). Considerati questi risultati<br />

preliminari e le recenti evidenze di circuiti neurali differenti coinvolti in<br />

diversi compiti esecutivi, appare ipotizzabile che il funzionamento esecutivo<br />

possa essere frazionabile in diverse componenti. Ciò che rimane da chiarire è<br />

se le varie componenti evolvono in modo omogeneo o se ciascuna componente<br />

matura in modo diversificato.<br />

Per indagare tale ipotesi, una cornice teorica di riferimento particolarmente<br />

suggestiva è quella di Fuster secondo il quale qualsiasi comportamento<br />

esecutivo non può prescindere da un’organizzazione ed integrazione temporale<br />

del piano di azione; la formazione di questa “ struttura temporale ” necessita<br />

soprattutto delle abilità di un organismo di saper mediare operazioni logiche<br />

del tipo “ se ora questo, allora dopo quest’altro ” – oppure – “ se prima<br />

quello, allora adesso quest’altro ” (Fuster, 1997). Per l’autore qualsiasi comportamento<br />

disesecutivo può essere interpretato come un “ errore ” intercorso<br />

nel normale sequencing temporale delle azioni necessarie per portare a termine<br />

un determinato obiettivo e ritiene che la velocità di elaborazione della<br />

soluzione di diversi compiti esecutivi, possa essere un valido indicatore del<br />

tipo di strategia cognitiva messa in atto.<br />

Scopo di questo primo studio è di indagare in modo sistematico le diverse<br />

competenze cognitive che si ritiene siano alla base del comportamento esecutivo<br />

e se queste si sviluppano e si modificano nell’intero ciclo di vita in modo<br />

compatto od in maniera selettiva.<br />

Soggetti<br />

L’uso di un’ampia popolazione di 1000 soggetti di controllo consentirebbe<br />

l’applicazione di una serie di tecniche di analisi con l’ulteriore obiettivo di<br />

502 2006


Neuropsicologia<br />

definire quali prove sono effettivamente in grado di misurare le diverse abilità<br />

che costituiscono il comportamento esecutivo. A tal fine verranno selezionati<br />

1000 soggetti normali di età compresa tra i 16 e gli 80 anni. La scelta di un<br />

intervallo così ampio è suggerita dalla possibilità di valutare in modo sistematico<br />

se ed in che modo le diverse componenti esecutive subiscono modificazioni<br />

fisiologiche durante lo sviluppo e l’invecchiamento.<br />

Metodo<br />

Si intende effettuare una serie di valutazioni utilizzando sia strumenti di<br />

uso comune nella pratica psicologico-cognitiva (WAIS-R) sia strumenti appositamente<br />

ideati per valutare i diversi aspetti comportamentali che caratterizzano<br />

le funzioni esecutive (il Behavioural Assessment of the Dysexecutive<br />

Syndrome (BADS), di Wilson et al., 1996). Tale batteria si compone di sei test<br />

(Il cambio di regola delle carte; Il programma di azione; La ricerca delle<br />

chiavi; Le stime temporali; La mappa dello zoo; I sei elementi – modificato),<br />

ognuno dei quali volto alla valutazione di una specifica abilità esecutiva. La<br />

scelta di questa batteria è stata effettuata perché valida ed attendibile nella<br />

valutazione di tutte le componenti esecutive (Antonucci et al., in press) e perché<br />

particolarmente sensibile all’aspetto della mediazione temporale che<br />

caratterizza il controllo esecutivo secondo il modello interpretativo proposto<br />

da Fuster (1997).<br />

Risultati attesi<br />

Il confronto tra prestazioni nei diversi test esecutivi del BADS permetterà<br />

di valutare l’ipotesi secondo la quale il controllo esecutivo potrebbe essere<br />

descritto come risultante di un insieme non omogeneo di diverse componenti<br />

cognitive. A tal fine i dati raccolti verranno elaborati attraverso un pool di<br />

analisi correlazionali e fattoriali. Se l’ipotesi sul frazionamento esecutivo<br />

risultasse confermata, allora dall’analisi fattoriale finale dovrebbero emergere<br />

almeno due dimensioni latenti compatibili con la presenza di due diverse abilità<br />

esecutive di conseguenza frazionate. Questo dato sarebbe supportato dalle<br />

evidenze neuroanatomiche sulla presenza di diversi network adibiti alle<br />

diverse funzioni esecutive.<br />

Ci si attende inoltre una totale assenza di correlazione tra i test della<br />

WAIS-R e quelli del BADS, a conferma di una netta dissociazione tra intelligenza<br />

(e G) e FE.<br />

Infine il confronto tra le soluzioni fattoriali emerse nelle diverse fasce di<br />

età dovrebbe confermare la presenza di dimensioni latenti diverse tra giovani,<br />

adulti ed anziani confermando l’ipotesi di partenza secondo la quale le diverse<br />

componenti esecutive subiscono selettive modificazioni fisiologiche durante<br />

lo sviluppo e l’invecchiamento.<br />

– Barruss R.P., Glowinski J., Chi D. (2003) Society of Neuroscience Abstracts, 21, 239<br />

In Miller L.B. & Cummings L.J. (2004) The Human Frontal Lobe. Guillford Press.<br />

– Burruss J.W., Hurley R.A., Taber K.H., Rauch R.A., Norton R.E., Hayman L.A.<br />

(2000) Radiology 214: 227-230.<br />

2006 503


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

– Duffy J.D., Campbell J.J. (1994) J Neuropsych Clin Neurosci 6: 379-387.<br />

– Fuster J.M. (1997) The prefrontal cortex: anatomy, phisiology and neuropsychology<br />

of the frontal lobe. Philadelphia: Lippincot-Raven (3 rd Ed).<br />

– Fuster J.M. (1999) In Miller B.L., Cummings J.L. The human frontal lobes: functions<br />

and disorders. Guillford Press New York London.<br />

– Smith E.E., Jonides J. (1999) Science 283: 1657-1660.<br />

– Wilson B.A., Alderman N., Burgess P.W., Emslie H., Evans J.J. (1996) Behavioural<br />

Assessment of the Dysexecutive Sindrome (BADS). Bury St. Edmunds, England: Thames<br />

Valley Test Company.<br />

D.2.2 – Studio dei disturbi neuropsichiatrici in una popolazione<br />

di pazienti traumatizzati cranici (Paola Ciurli)<br />

Descrizione<br />

I disturbi neuropsichiatrici in pazienti con trauma cranico sono frequentemente<br />

osservabili nella pratica clinica e ben documentati in letteratura<br />

(Rao V., 2000).<br />

Lo studio vuole valutare la tipologia, frequenza e gravità di diversi<br />

disturbi neuropsichiatrici che insorgono in una vasta popolazione (100) di<br />

pazienti con trauma cranio-encefalico (TCE), nelle diverse fasi di recupero<br />

con esiti di differente gravità neurologica e neuropsicologica, ricoverati consecutivamente<br />

in regime di ricovero ordinario o Day Hospital presso l’Unità<br />

post-coma dell’Ospedale di riabilitazione <strong>Santa</strong> <strong>Lucia</strong> di Roma.<br />

A tal scopo verrà utilizzato uno strumento diagnostico, il Neuropsychiatric<br />

Inventory (Cummings, 1994), già validato in pazienti dementi (Cummings et<br />

al., 1994; Binetti et al.,1998) e recentemente in pazienti post-stroke (Angelelli et<br />

al., 2004). Tale strumento consiste in un’intervista strutturata da somministrare<br />

al familiare (caregiver) del paziente, in grado di registrare la frequenza e<br />

gravità dei diversi disturbi neuropsichiatrici attesi.<br />

Verranno inclusi nello studio 100 pazienti con trauma cranico grave (Glasgow<br />

Coma Scale ≤ 8, Teasdale, 1974), in un range d’età dai 15 ai 65 anni, che<br />

abbiano raggiunto un contatto con l’ambiente, con LCF ≥ 4 (Levels of Cognitive<br />

Functioning, Hagen, 1979).<br />

Verranno esclusi i pazienti con pregressi disturbi neurologici e psichiatrici,<br />

abuso di sostanze stupefacenti o alcool.<br />

Obiettivi<br />

Lo scopo del lavoro è validare l’uso di tale scala, appositamente proposta<br />

per pazienti neurologici, per la valutazione dei disordini psicopatologici su<br />

vasta scala, emergenti dalla fase post-acuta a quella cronica in pazienti affetti<br />

da TCE grave, con età compresa tra i 15 e i 65 anni. Le aree indagate saranno:<br />

deliri, allucinazioni, agitazione, depressione, ansia, euforia, apatia, disinibizione,<br />

irritabilità, comportamento motorio aberrante, disturbi del comportamento<br />

notturno, disturbi del comportamento alimentare.<br />

Al fine della validazione della scala, è in programma anche la somministrazione<br />

della stessa ad un campione di controllo (soggetti normali di pari<br />

504 2006


Neuropsicologia<br />

età e scolarità). È inoltre previsto di studiare le relazioni tra i diversi disturbi<br />

neuropsichiatrici emersi e le variabili demografiche (sesso, età, scolarità) e cliniche<br />

(distanza dall’evento traumatico, durata e gravità del coma, grado di<br />

disabilità del paziente, al momento della valutazione, misurata attraverso la<br />

Glasgow outcome Scale (Jennett B., 1975).<br />

– Angelelli P., Paolucci S., Bivona U., Piccardi L., Ciurli P., Cantagallo A., Antonucci G.,<br />

Fasotti L., Di <strong>Santa</strong>ntonio A., <strong>Pizzamiglio</strong> L. (2004) Acta Psichiat Scand 110: 55-63.<br />

– Binetti G., Mega M.S., Magni E. et al. (1998) Arch of Neurol 55: 539-544.<br />

– Cummings J.L., Mega M., Gray K., Rosemberg-Thompson S., Gornbein J. (1994)<br />

Neurology 44: 2308-2314.<br />

– Hagen C., Malkmus D., Durham P. (1979) In Downey C.A. Rehabilitation of the<br />

head injured adult Comprehensive physical management. Professional Staff Association<br />

of Rancho Los Amigos Hospital.<br />

– Jennett B., Bond M. (1975) Lancet 1: 480-484.<br />

– Rao V., Lyketsos C. (2000) Psychosomatics 41(2): 95-103.<br />

– Teasdale G., Jennett B. (1974) Lancet 2: 81-84.<br />

D.3.1 – Combinazione di tecniche elettrofisiologiche e di neuroimmagine<br />

nello studio delle basi neurali della percezione visiva dello spazio<br />

e dell’attenzione spaziale: sviluppo di strumenti per l’applicazione<br />

in pazienti con lesioni cerebrali (Francesco Di Russo)<br />

Descrizione<br />

Molto di ciò che sappiamo sul funzionamento del cervello dell’uomo<br />

deriva da studi effettuati negli ultimi cinquanta anni sull’animale. Solo di<br />

recente il notevole perfezionamento della tecnica elettrofisiologica dei<br />

potenziali evento correlati (ERP) ha consentito di localizzare i generatori<br />

delle diverse componenti del tracciato elettroencefalografico grazie all’uso<br />

di un denso campionamento spaziale e di metodi di analisi del dipolo elettrico.<br />

Un altro importante contributo allo studio del cervello umano deriva<br />

dalle tecniche di neuroimmagine che consentono la visualizzazione in vivo.<br />

In particolare, la tecnica di risonanza magnetica funzionale (fMRI) consente<br />

di vedere quali sono le aree attive della corteccia e, nel caso delle aree<br />

visive, ove gli studi sono più avanzati, è perfezionata al punto di consentire<br />

l’osservazione della mappa del cervello individuale (retinotopia), analizzando<br />

con grande precisione il contributo delle singole aree visive, giungendo<br />

a distinguere fra V1, V2, V3/VP, V3a, V4. Il limite di questa tecnica è<br />

che basandosi sull’ossigenazione del sangue nel tessuto neurale, ha una bassissima<br />

risoluzione temporale dovuta ai lenti tempi di risposta ematici (dell’ordine<br />

del secondo). Il grande vantaggio degli ERP nello studio dei fenomeni<br />

corticali risiede nel fatto che misura direttamente le dinamiche elettriche<br />

neurali con la precisione dell’ordine dei millisecondi. Il limite degli ERP<br />

è invece la scarsa risoluzione spaziale. Integrate insieme, le due tecniche<br />

possono fornire un quadro estremamente preciso nel tempo e nello spazio<br />

dell’attività cerebrale correlata ai processi sensoriali e cognitivi. Il nostro<br />

2006 505


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

gruppo di ricerca è all’avanguardia nello sviluppo di quest’integrazione per<br />

quanto riguarda la funzione visiva.<br />

In questo progetto ci si propone di sviluppare questo strumento, che integra<br />

l’alta risoluzione temporale degli ERP con l’alta risoluzione anatomica<br />

della fMRI per approfondire lo studio della funzione visiva in condizioni di<br />

osservazione prolungata e di attenzione spaziale con l’obiettivo finale dell’applicazione<br />

al paziente con lesioni cerebrali e disturbi dell’attenzione.<br />

Una volta messo a punto lo strumento nel soggetto normale, giunti cioè<br />

ad associare le componenti del potenziale evento correlato con i rispettivi<br />

generatori corticali, lo strumento potrà essere utilmente applicato in studi clinici,<br />

in forma semplificata, limitata alla sola registrazione elettrofisiologica,<br />

più adeguata per il paziente.<br />

Metodo<br />

Si acquisiranno dati elettrofisiologici da un gruppo di almeno 21 soggetti<br />

sani ed in un sottogruppo di questi (almeno 7) si eseguirà la parte di fMRI. Il<br />

sistema di registrazioni è basato su 64 elettrodi. Le sorgenti dell’attività elettrica,<br />

identificate mediante il metodo del dipolo basato su un modello realistico<br />

della testa (BESA), saranno confrontate con i loci di attivazione corticale<br />

rivelati dalla fMRI in risposta agli stessi stimoli. I generatori saranno inoltre<br />

localizzati rispetto alle mappe corticali individuali misurate mediante mapping<br />

retinotopico.<br />

Il compito percettivo sarà costituito da una stimolazione visiva somministrata<br />

nei quattro quadranti, il compito attenzionale sarà controllato dall’apparizione<br />

di suggerimenti spaziali (cue) che indicano al soggetto il quadrante<br />

cui prestare attenzione e dall’apparizione di rari stimoli target a cui in soggetto<br />

dovrà rispondere comprovando l’effettiva allocazione dell’attenzione.<br />

D.3.2 – Correlati neurali delle componenti spaziali e di novelty<br />

nell’operazione di disingaggiamento e riorientamento<br />

dell’attenzione (Fabrizio Doricchi)<br />

Attività previste<br />

– Valutazione psicofisica di soggetti normali e di pazienti affetti da<br />

lesioni cerebrali unilaterali.<br />

– Studi fMRI in soggetti normali.<br />

Descrizione<br />

L’obiettivo di tal progetto è quello di riuscire a distinguere, all’interno dei<br />

circuiti neurali attivati dalla comparsa di stimuli rari in posizioni spazialmente<br />

disattese, le strutture che mediano la componente di sorpresa (novelty)<br />

da quelle che mediano il riorientamento delle risorse attentive spaziali verso<br />

la posizione di comparsa dello stimolo inatteso. Queste due componenti, che<br />

normalmente concorrono alla reazione di riorientamento attentivo, non sono<br />

state ancora sperimentalmente e neurofisiologicamente distinte. Lo studio<br />

prevede l’analisi di 12 soggetti sperimentali.<br />

506 2006


Risultati acquisiti<br />

Sono stati eseguiti 4 esperimenti psicofisici, ciascuno su un campione di<br />

20 soggetti normali. Questi esperimenti hanno consentito la validazione del<br />

compito che ora verrà utilizzato in uno studio fMRI.<br />

D.3.3 – Basi neurali della attività oculomotoria durante il sonno REM<br />

e relazione di tale attività con l’organizzazione spaziale<br />

della scena onirica (Fabrizio Doricchi)<br />

Attività previste<br />

Registrazione poligrafica ed elettroculografica del sonno in soggetti normali<br />

e soggetti con lesioni cerebrali unilaterali affetti da eminattenzione.<br />

Descrizione<br />

Abbiamo in precedenza documentato la sparizione dei movimenti oculari<br />

rapidi del sonno REM (rems) diretti verso sinistra nei pazienti cerebrolesi destri<br />

affetti da eminegligenza per lo spazio controlesionale sinistro. È nostra intenzione<br />

approfondire tale osservazione al fine di studiare più in dettaglio le caratteristiche<br />

metriche e dinamiche dei rems, paragonandole a quelle dei movimenti<br />

saccadici della veglia, e stabilire se nei soggetti eminattenti la sparizione patologica<br />

dei rems diretti verso sinistra induca una alterazione spazialmente congrua<br />

nell’organizzazione spaziale della attività onirica riportata da tali pazienti.<br />

Numero di soggetti: 10 pazienti cerebrolesi con eminegligenza spaziale.<br />

D.3.4 – Orientamento della attenzione durante movimenti attivi<br />

e passivi dell’asse testa corpo (i.e. influenze cross-modali<br />

vestibolo-optocinetiche sull’orientamento<br />

della attenzione implicita) (Fabrizio Doricchi)<br />

Attività previste<br />

Neuropsicologia<br />

Valutazione riflessi oculovestibolari ed optocinetici, esperimenti psicofisici<br />

in soggetti normali e cerebrolesi unilaterali.<br />

Descrizione<br />

Non sono attualmente disponibili dati sull’influenza dell’informazione<br />

vestibolare a carico dell’orientamento implicito dell’attenzione nelle diverse<br />

modalità sensoriali. Tale lacuna è rilevante viste le significative relazioni funzionali<br />

che intercorrono tra sistema vestibolare e codifica multimodale dello<br />

spazio. Le informazioni vestibolari contribuiscono, ad esempio, ad interpretare<br />

correttamente i cambiamenti di flusso ottico causati da movimenti dello<br />

sguardo durante la locomozione o ad aggiornare la codifica della posizione<br />

del corpo nell’ambiente dopo rotazioni o traslazioni eseguite in assenza di<br />

input visivi. Lo scopo di tale linea di ricerca è chiarire, tramite studi su sog-<br />

2006 507


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

getti normali e cerebrolesi, le caratteristiche psicofisiche dell’interazione<br />

cross-modale dell’informazione vestibolare e, tramite studi di brain imaging,<br />

le basi neurali che sottendono tale integrazione.<br />

Numero soggetti: 10 soggetti normali e 10 pazienti cerebrolesi unilaterali.<br />

D.3.5 – Influenze retinotopiche e multimodali sulla codifica<br />

della rappresentazione delle distanze spaziali<br />

e numerico-quantitative (Fabrizio Doricchi)<br />

Attività previste<br />

Somministrazione di test visuospaziali e contemporanea registrazione dei<br />

movimenti oculari in 10 pazienti con lesioni cerebrali unilaterali ed in 10 soggetti<br />

di controllo.<br />

Descrizione<br />

Abbiamo eseguito un vasto numero di ricerche che hanno dimostrato<br />

come la contemporanea presenza di deficit di codifica retinotopica (emianopsia)<br />

e multimodale dello spazio (eminegligenza) possano creare dei deficit di<br />

valutazione spaziale specificamente legati a tale combinazione patologica ed<br />

assenti, invece, nel caso di disturbi selettivamente retinotopici o multimodali.<br />

Abbiamo intenzione di estendere le nostre indagini allo studio delle influenze<br />

retinotopiche e multimodali alla rappresentazione mentale di distanze fisiche<br />

ed alla rappresentazione mentale di quantità numerico-spaziali. Saranno inoltre<br />

esplorate a fondo le implicazioni riabilitative delle osservazioni cliniche fin<br />

qui effettuate, allo scopo di elaborare protocolli riabilitativi specifici per<br />

pazienti affetti da contemporanei disturbi retinotopici e multimodali.<br />

D.3.6 – Studio clinico sperimentale finalizzato ad indagare se<br />

ed in che modo le aspettative nelle due maggiori dimensioni<br />

percettive (lo spazio e il tempo) possono essere compromesse<br />

in pazienti con lesioni cerebrali focali (<strong>Luigi</strong> <strong>Pizzamiglio</strong>)<br />

Descrizione<br />

Il cervello riceve continuamente una enorme quantità di informazioni<br />

sensoriali ma ha delle risorse limitate con cui trattarle. L’attenzione selettiva<br />

assegna delle priorità nell’allocazione di queste risorse basandosi sulle variazioni<br />

di motivazione, volizione, ed aspettativa. Il tipo di attenzione selettiva<br />

più comunemente studiato è l’orientamento spaziale (Posner,1980), ma è<br />

anche possibile orientare l’attenzione su attributi non spaziali, come oggetti<br />

(Duncan,1984) o istanti nel tempo (Coull & Nobre,1998; Griffin & Nobre,<br />

2005). L’opinione prevalente è che l’attenzione selettiva sia controllata da una<br />

rete comune di regioni cerebrali multimodali parietali e frontali, che devia l’analisi<br />

percettiva attraverso collegamenti neurali top-down (Heilman and Watson,<br />

1977; Mesulam, 1981; Kastner and Ungerleider, 2000).<br />

508 2006


Neuropsicologia<br />

Recenti studi di orientamento temporale hanno suggerito che il controllo<br />

e la modulazione attenzionale possano essere governati da meccanismi<br />

diversi. Studi di neuroimmagini hanno mostrato come il controllo dell’attenzione<br />

spaziale e temporale coinvolga solamente in parte sistemi sovrapposti<br />

(Coull and Nobre, 1998; Coull et al., 2000). Ulteriori studi effettuati utilizzando<br />

potenziali evento-relati (ERPs) hanno rivelato delle importanti differenze<br />

nella modulazione dell’elaborazione di un obiettivo da parte dell’attenzione<br />

spaziale e temporale. L’orientamento spaziale e temporale è stato<br />

studiato tipicamente in prove che utilizzano cues simbolici che predicono,<br />

rispettivamente, l’ubicazione spaziale o l’istante temporale, di un stimolo<br />

imminente.<br />

Questo paradigma tradizionale, anche se estesamente usato, non è particolarmente<br />

rappresentativo dell’esperienza di ogni giorno. Nella vera vita, le<br />

aspettative riguardanti degli eventi percettivi si sviluppano attraverso l’osservazione<br />

dei loro attributi spaziali o temporali, come nel caso dell’occlusione<br />

transitoria di oggetti in movimento. Inoltre, diversi tipi di aspettativa non si<br />

verificano in modo isolato. L’aspettativa temporale normalmente è accompagnata<br />

da aspettative sull’ubicazione e l’identità dello stimolo.<br />

Un obiettivo degli studi in questo campo è di indagare la capacità<br />

di diversi tipi di aspettativa di interagire tra loro per acuire le funzioni<br />

attentive.<br />

Abbiamo sviluppato una serie di prove per indagare se ed in che modo le<br />

aspettative nelle due maggiori dimensioni percettive (lo spazio e il tempo)<br />

interagiscono nelle prestazioni attenzionali di pazienti.<br />

Soggetti<br />

La ricerca verrà condotta su 20 pazienti con lesioni cerebrovascolari<br />

destre o sinistre la cui sede verrà accertata tramite esami clinici e radiologici.<br />

Saranno prevalentemente esaminati pazienti con lesioni unifocali localizzate<br />

nella rete frontoparietale dorsale bilaterale costituita dalla regione supplementare<br />

motoria e dal solco parietale, e la frontoparietale ventrale costituita<br />

dal giro frontale inferiore e dalla giunzione temporo-parietale.<br />

Primo esperimento<br />

Compito di attenzione spaziale – Una croce appare al centro del monitor e<br />

si muove dal centro verso la periferia dello schermo con una angolazione<br />

casuale con incrementi di 30°. Tra il centro e la periferia dello schermo è<br />

posta una fascia circolare avente funzione di occlusione visiva di un stimolo<br />

target in movimento.<br />

Dopo aver raggiunto l’occlusione, la croce scompare e la sua direzione<br />

cambia. Alla sua ricomparsa, al paziente viene chiesto di rispondere se la croce<br />

sia riapparsa più in alto o più in basso rispetto alla traiettoria originaria.<br />

Compito di attenzione temporale – Nella versione temporale dell’esperimento<br />

al paziente viene chiesto di rispondere se la croce sia ricomparsa più<br />

presto o più tardi rispetto alla sua velocità originaria.<br />

2006 509


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

Secondo esperimento<br />

Compito di percezione spaziale – Al soggetto viene mostrata una coppia<br />

di barre bianche in una posizione casuale sulla linea mediana verticale del<br />

monitor (per evitare le distorsioni causate da eminegligenza in pazienti<br />

parietali).<br />

Lo stimolo viene presentato quattro volte ad intervalli di 1000 ms, ogni<br />

volta in una diversa posizione casuale sulla linea mediana verticale, mantenendo<br />

costante la separazione spaziale. Per evitare che i partecipanti non possano<br />

semplicemente giudicare se una delle barre abbia cambiato posizione<br />

nello stimolo target.<br />

Al soggetto vengono mostrate una coppia di barre verdi che possono<br />

essere più vicine o più lontane rispetto alla coppia di barre standard.<br />

Il soggetto viene invitato a rispondere se le barre verdi siano più vicine o<br />

più lontane rispetto alla coppia di barre standard.<br />

Compito di percezione temporale – Al soggetto viene mostrato un<br />

quadrato bianco, al centro dello schermo, che viene presentato quattro volte<br />

ad intervalli continui che variano tra 400-600 ms o 800-1200 ms per set<br />

di quattro.<br />

Poi al soggetto viene mostrato un quadrato verde che appare dopo<br />

un intervallo più corto o più lungo rispetto all’intervallo tra i quadrati<br />

standard.<br />

Il soggetto viene invitato a rispondere “ più presto ” o “ più tardi ”.<br />

– Coull J.T., Frith C.D., Buchel C., Nobre A.C. (2000) Neuropsychologia 38: 808-819.<br />

– Coull J.T., Nobre A.C. (1998) J Neurosc 18: 7426-7435.<br />

– Duncan J. (1984) J Exp Psychol Gen 113: 501-517.<br />

– Griffin I.C., Nobre A.C. (2005) In Itti L., Rees G., Tsotsos J. (eds) Neurobiology of<br />

attention San Diego. Elsevier 257-263.<br />

– Heilman K.M., Watson R.T. (1977) Adv Neurol 18: 93-106.<br />

– Kastner S., Ungerleider L.G. (2000) Ann Rev Neurosci 23: 315-341.<br />

– Mesulam M.M. (1981) Ann Neurol 10: 309-325.<br />

– Posner M.I. (1980) Q J Exp Psychol 32: 3-25.<br />

D.4.1 – Ruolo dell’ippocampo nei disturbi di memoria topografica<br />

(Cecilia Guariglia)<br />

Descrizione<br />

Numero totale di soggetti: 40<br />

L’ippocampo è considerato una delle strutture fondamentali nei processi<br />

di apprendimento di luoghi e percorsi. L’evidenza di un ruolo fondamentale<br />

giocato dal sistema ippocampale deriva da studi sugli animali e da studi di<br />

neuroimmagine funzionale (vedi le recenti revisioni di O’Mara, 2005 e di<br />

Moscovitch et al., 2005). Tuttavia nei disturbi di memoria topografica conseguenti<br />

lesioni cerebrali raramente è osservato un coinvolgimento dell’ipo-<br />

510 2006


Neuropsicologia<br />

campo e recenti tassonomie di questo tipo di disturbo falliscono nell’identificare<br />

l’eventuale ruolo svolto da lesioni ippocampali nel generare disorientamento<br />

topografico (Aguirre e D’Esposito, 1999).<br />

Scopo del presente studio è valutare l’effetto di lesioni dell’ippocampo sui<br />

processi di orientamento, memoria e navigazione ambientale. A tale scopo<br />

saranno reclutati 10 pazienti epilettici che a causa di un epilessia farmacoresistente<br />

vengono sottoposti a resezione chirurgica dell’ippocampo (gruppo<br />

EI+). Poiché tali pazienti possono presentare una varietà di disturbi neuropsicologici<br />

prima ancora dell’intervento chirurgico i pazienti reclutati verranno<br />

esaminati prima dell’intervento e sei mesi dopo l’intervento. Dato che l’assunzione<br />

di farmaci antiepilettici può influire sulle prestazioni sperimentali le<br />

prestazioni dei pazienti verranno confrontate, oltre che con quelle di un<br />

gruppo di controllo formato da soggetti non epilettici e non neurolesi di<br />

uguale sesso, età e scolarità (gruppo C), con quelle di un gruppo di pazienti<br />

epilettici affetti da una forma farmaco-resistente di epilessia, con focolaio in<br />

aree diverse da quelle ippocampali (gruppo EI-). Quest’ultimo gruppo verrà<br />

sottoposto all’esperimento 2 volte, prima dell’intervento chirurgico mirato a<br />

ridurre l’epilessia e 6 mesi dopo l’intervento. Tutti i soggetti saranno sottoposti<br />

ad una batteria di test neuropsicologici che valuti livello cognitivo generale,<br />

attenzione, memoria, problem solving, linguaggio.<br />

L’ambiente che verrà utilizzato per la procedura sperimentale consiste in<br />

una versione adattata per l’uomo del labirinto acquatico di Morris (1981). Si<br />

tratta di una stanza rettangolare (5 × 6 metri) le cui pareti sono ricoperte da<br />

tende di colore blu che nascondono gli indizi ambientali (ad es., la porta, il<br />

termosifone, le prese elettriche, etc). Il pavimento è verniciato di un colore blu<br />

brillante per coprire eventuali segni sulle piastrelle. Quattro scatole nere sono<br />

posizionate sul soffitto ai quattro angoli della stanza: in una delle scatole è<br />

nascosta una telecamera con obiettivo grandangolare che consente la ripresa<br />

dell’intera prova. Nella stanza è presente un target nascosto: un sensore ad<br />

infrarossi, che entra in azione (producendo un suono) quando il soggetto si<br />

sposta nel campo del sensore.<br />

Per studiare le eventuali alterazioni di processi specifici di memoria<br />

topografica e navigazione vengono utilizzate due condizioni. Nella prima<br />

condizione (senza landmark: SL) la stanza sperimentale è completamente<br />

vuota: in questa condizione le informazioni da memorizzare per una<br />

corretta navigazione sono informazioni idiotetiche (informazioni vestibolari<br />

e propriocettive relativa agli spostamenti dell’individuo nell’ambiente) e<br />

informazioni visive sulla forma geometrica dell’ambiente. Nella seconda<br />

condizione (con landmark: CL), verranno posti nella stanza sperimentale<br />

due oggetti (un attaccapanni rosso e una lampada nera): in questa condizione<br />

è possibile memorizzare la posizione del punto target in riferimento<br />

alla posizione dei landmark. La posizione del target verrà modificata nelle<br />

due condizioni.<br />

I soggetti eseguiranno le due condizioni (SL e CL) in sessioni diverse. Si<br />

muoveranno nell’ambiente su una sedia a rotelle motorizzata, che può essere<br />

guidata attraverso l’uso di un joystick. Verranno bendati prima di essere trasportati<br />

all’interno della stanza sperimentale e dopo aver trovato il target. Il<br />

2006 511


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

loro compito sarà quello di trovare il target, spostandosi all’interno della<br />

stanza e mettendo in atto una strategia di ricerca. Dopo aver trovato la posizione<br />

del target, i soggetti dovranno effettuare una rievocazione immediata e<br />

per 6 volte consecutive ritrovare il target, utilizzando una scorciatoia. Ogni<br />

volta che il soggetto raggiungerà il target verrà bendato, disorientato e riposizionato<br />

al punto di partenza. Il punto di partenza in cui il soggetto verrà posizionato<br />

potrà essere sia lo stesso della prova di ricerca che diverso, in modo<br />

da consentire lo studio dei processi di ri-orientamento. Dopo un intervallo di<br />

30 minuti, trascorsi al di fuori della stanza sperimentale, il soggetto dovrà<br />

nuovamente raggiungere la posizione target. La video-registrazione consentirà<br />

sia la visualizzazione del percorso che la registrazione dei tempi di raggiungimento<br />

del target. Il confronto tra le prestazioni dei pazienti EI+ dopo la<br />

resezione chirurgica dell’ippocampo e quelle degli stessi pazienti prima dell’intervento<br />

e dei soggetti degli altri due gruppi permetterà di individuare il<br />

ruolo giocato dall’ippocampo in diversi processi di memorizzazione topografica<br />

e di navigazione.<br />

– O’Mara S. (2006) Behav Brain Res 174: 304-312.<br />

– Moscovitch M., Rosenbaum R.S., Gilboa A., Addis D.R., Westmacott R., Grady C.,<br />

McAndrews M.P., Levine B., Black S., Winocur G., Nadel L. (2005) J Anat 207: 35-66.<br />

– Aguirre G.K., D’Esposito M. (1984) J Neurosci Methods 11: 47-60.<br />

D.4.2 – Memoria visuo-spaziale nel micro-spazio e nel macro-spazio<br />

(Cecilia Guariglia)<br />

Descrizione<br />

Numero totale di soggetti: 60<br />

Viene di solito postulato che le capacità di percezione, rappresentazione e<br />

memorizzazione di stimoli visuo-spaziali e di loro configurazioni misurate in<br />

test carta e matita, utilizzando quindi una scala spaziale ridotta (o microspazio),<br />

corrispondano o siano predittive delle capacità percettive, rappresentative<br />

e mnestiche di stimoli ambientali (landmark) e di configurazioni<br />

ambientali complesse (stanze, piazze, percorsi) su larga scala (o macro-spazio).<br />

Tuttavia alcune osservazioni sembrano indicare la possibilità che,<br />

almeno in alcuni casi, capacità di elaborazioni visuo-spaziali nel micro e nel<br />

macro spazio non siano coincidenti (Grossi et al., 1989; Guariglia et al., 1993;<br />

<strong>Pizzamiglio</strong> et al., 2002).<br />

Lo scopo di questo studio è quello di indagare la memoria spaziale per i<br />

luoghi facendo uso di una versione su larga scala del testi di Corsi (Orsini et<br />

al., 1987), comparando questa capacità con quella misurata al test di Corsi.<br />

Test che valuta la memoria visuo-spaziale a breve e lungo termine utilizzando<br />

un piano rettangolare (30 × 25 cm) sul quale sono dislocati in posizioni<br />

diverse 9 cubi. Lo sperimentatore tocca una sequenza di cubi ed al soggetto<br />

viene successivamente richiesto di eseguire la stessa sequenza. Lo sperimentatore<br />

inizia il test utilizzando una sequenza di due cubi, aumentando progressivamente<br />

il numero di cubi (uno per volta) ogni volta che il soggetto esegue<br />

512 2006


Neuropsicologia<br />

correttamente due sequenze di una data lunghezza. Il test finisce quando il<br />

soggetto sbaglia nel replicare due sequenze su tre. Al soggetto verrà quindi<br />

somministrata una prova supra-span in cui gli verrà chiesto di apprendere<br />

una sequenza di 8 cubi in un massimo di 18 ripetizioni e di ripeterla dopo un<br />

intervallo di 5 minuti (Spinnler e Rognoni, 1989). La versione su larga scala di<br />

questo test, in cui al soggetto viene chiesto di camminare in diversi punti dell’ambiente<br />

invece che toccare diversi cubi, ci permetterà di valutare span e<br />

apprendimento supra-span di memoria spaziale riguardante gli spostamenti<br />

del proprio corpo nello spazio.<br />

Poiché sono descritti casi di amnesia topografica in assenza di deficit di<br />

memoria visuo-spaziale (vedi Farrell,1996, per una revisione della letteratura)<br />

ci aspettiamo di trovare differenze di esecuzione tra le due versioni del compito<br />

somministrato (“ larga scala ” o classico test di Corsi). Per la versione su<br />

larga scala verrà utilizzato un tappeto 5 × 4 in una stanza completamente<br />

vuota. Sul tappeto verranno dislocati 9 quadrati, di colore diverso da quello<br />

del tappeto, le cui posizioni relative saranno le stesse dei cubi nel test di Corsi.<br />

Per la somministrazione del test su “ larga scala ” verrà seguita la stessa procedura<br />

utilizzata per il test di Corsi. Lo sperimentatore camminerà sul tappeto<br />

fermandosi per 1 secondo ed alzando il braccio su ogni posizione (quadrato)<br />

della sequenza che sta eseguendo.<br />

Per la valutazione della memoria a breve termine (span), come per il test di<br />

Corsi, lo sperimentatore inizierà il test usando una sequenza di due posizioni<br />

che aumenterà gradualmente ogni volta che il soggetto replicherà correttamente<br />

due sequenze con lo stesso numero di posizioni. Il test terminerà non appena il<br />

soggetto sbaglierà nel replicare 2 sequenze su 3 di una data lunghezza. Lo span<br />

equivarrà quindi al numero di posizioni correttamente ricordate.<br />

Per la valutazione della memoria a lungo termine ai soggetti verrà richiesto<br />

di apprendere una nuova sequenza di 8 posizioni. Analogamente a quanto<br />

avviene nel test di Corsi, la sequenza verrà presentata per un massimo di 18<br />

volte consecutive o finché il soggetto non dimostrerà di averla appresa, replicandola<br />

per tre volte consecutive senza errori. Al soggetto verrà chiesto di<br />

ripetere la sequenza in una prova differita, dopo un intervallo di 5 minuti trascorsi<br />

in una stanza diversa.<br />

Parteciperanno allo studio 10 pazienti con lesioni unilaterali destre, 10<br />

pazienti con lesioni unilaterali sinistre, 10 pazienti epilettici con resezione<br />

chirurgica dell’ippocampo, 10 pazienti epilettici sottoposti ad interventi chirurgici<br />

per la riduzione dell’epilessia in aree diverse dall’ippocampo e 40 soggetti<br />

di controllo della stessa età e scolarità dei pazienti. Tutti i pazienti<br />

saranno sottoposti ad una valutazione neuropsicologica, che includerà anche<br />

prove di memoria verbale a breve e a lungo termine, ed ad un esame neuroradiologico<br />

per la valutazione della sede e dell’entità della lesione.<br />

Il confronto tra le prestazioni nei due test permetterà di evidenziare eventuali<br />

dissociazioni tra sistemi di memoria a breve e a lungo termine nei due<br />

tipi di spazio (micro-spazio e macro-spazio). La correlazione tra sede lesione<br />

e tipo di deficit di memoria visuo-spaziale (nel test di Corsi e nella sua versione<br />

a larga scala) permetterà di individuare le aree cerebrali coinvolte in tipi<br />

diversi di memoria visuo-spaziale.<br />

2006 513


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

– Grossi D., Modafferi A., Pelosi L., Trojano L. (1989) Brain Cogn 10: 18-27.<br />

– Guariglia C., Padovani A., Pantano P., <strong>Pizzamiglio</strong> L. (1993) Nature 364: 235-237.<br />

– <strong>Pizzamiglio</strong> L., Iaria G., Berthoz A., Galati G., Guariglia C. (2003) J Clin Exper Neuropsychology<br />

25: 769-782.<br />

– Orsini A., Grossi D., Capitani E., Laiacona M., Papagno C., Vallar G. (1987) Ital J<br />

Neurol Sci 8: 539-548.<br />

– Spinnler H., Tognoni G. (1987) Ital J Neurol Sci 8(suppl.): 1-120.<br />

– Farrell M.J. (1996) Neurocase 2: 509-520.<br />

D.4.3 – Costruzione e standardizzazione di test per la valutazione della<br />

capacità immaginativa in pazienti cerebrolesi (Cecilia Guariglia)<br />

Descrizione<br />

Nella pratica clinica sono noti fenomeni di alterazione delle immagini<br />

mentali e della rappresentazione mentale di luoghi precedentemente familiari.<br />

Pazienti con neglect rappresentazionale, ad esempio, quando viene chiesto<br />

di descrivere da una prospettiva ben precisa una piazza nota della loro<br />

città tenderanno a riportare soltanto gli elementi che si trovano nell’emispazio<br />

immaginativo ipsilesionale omettendo quelli controlesionali, e dalla prospettiva<br />

opposta riporteranno quegli elementi che prima avevano omesso, omettendo<br />

quelli precedentemente riportati. Questo esempio dimostra chiaramente<br />

che il loro problema non è di natura mnesica, ma che coinvolge più<br />

profondamente la rappresentazione mentale di un luogo.<br />

Uno studio di Guariglia e collaboratori (Guariglia C., Piccardi L. et al.<br />

(2005) Neuropsychologia 43: 1138-1143) ha messo in evidenza che le capacità<br />

navigazionali dei pazienti con neglect rappresentazionale risentono del loro<br />

disturbo immaginativo: infatti, solo questi pazienti, e non quelli con neglect<br />

visuo-spaziale, sono incapaci di costruire una rappresentazione mentale di un<br />

ambiente nuovo. Questo risultato suggerisce che il disturbo rappresentativo<br />

nel neglect non si limita alla rievocazione di luoghi familiari.<br />

Il fatto che la presenza di un disturbo immaginativo unilaterale, come il<br />

neglect rappresentazionale, interferisca con la capacità di costruire mappe<br />

cognitive dell’ambiente e con le capacità navigazionali porta a domandarsi<br />

quali siano gli effetti di altri disturbi immaginativi (come l’incapacità di generare<br />

o manipolare immagini mentali descritta in seguito a lesioni cerebrali<br />

sinistre) sulla rappresentazione e navigazione ambientale. Da ciò deriva l’esigenza<br />

di approfondire e di studiare in maniera sistematica le immagini mentali,<br />

la loro generazione e il loro utilizzo in pazienti cerebrolesi. Per questa<br />

ragione nel corso del 2005 è stata costruita e standardizzata una batteria di<br />

test che valuti diversi aspetti dei processi immaginativi.<br />

La batteria di test prevede prove di tipo egocentrico (centrate sulla rappresentazione<br />

dell’ambiente rispetto alla posizione dell’individuo) e allocentriche<br />

(centrate sull’ambiente a prescindere dalla posizione dell’individuo) e<br />

comprende i seguenti test:<br />

– test di vividezza delle immagini mentali;<br />

– test di generazione di immagini mentali categoriali e topografiche;<br />

514 2006


Neuropsicologia<br />

– test di assemblaggio;<br />

– test di rotazione mentale;<br />

– test di ricostruzione mentale;<br />

– test di rievocazione di immagini su coordinate egocentriche;<br />

– test di rievocazione di immagini su coordinate allocentriche;<br />

– test di imagery di landmark;<br />

– test di descrizione dalla memoria di luoghi familiari;<br />

– O’Clock test.<br />

La batteria sulle immagini mentali verrà somministrata a 20 pazienti cerebrolesi<br />

con lesioni unilaterali dell’emisfero destro, 20 pazienti cerebrolesi con<br />

lesioni unilaterali dell’emisfero sinistro ed ad un gruppo di 20 soggetti di controllo<br />

di età e scolarità comparabile a quello dei pazienti. Tutti i pazienti<br />

saranno sottoposti ad un esame neurologico, un esame opotmetrico del campo<br />

visivo, un esame neuroradiologico ed ad una valutazione neuropsicologica per<br />

la descrizione dei deficit cognitivi e l’esclusione dallo studio di pazienti affetti<br />

da deterioramento mentale o da deficit linguistici la cui gravità impedisca l’esecuzione<br />

dei test sperimentali. I soggetti di controllo saranno sottoposti al<br />

M.O.D.A. (Brazzelli M., Capitani E., et al. (1994) MODA – Milan Overall<br />

Dementia Assessment. Organizzazioni Speciali, Firenze) per l’esclusione di possibile<br />

deterioramento cognitivo in fase iniziale. Nel corso dello scorso sono già<br />

stati inclusi nello studio 10 pazienti cerebrolesi destri e 10 controlli. Nel corso<br />

del 2006 lo studio verrà proseguito aumentando il gruppo di cerebrolesi destri<br />

e il gruppo di controllo ed iniziando ad esaminare pazienti cerebrolesi sinistri.<br />

L’analisi dei risultati e la comparazione tra i diversi gruppi permetterà da<br />

una parte di meglio descrivere i deficit immaginativi nel neglect immaginativo<br />

e dall’altra di evidenziare altri tipi di disturbo immaginativo (es. deficit di<br />

generazione, di rotazione di assemblaggio, ecc. delle immagini mentali<br />

visive), che passano inosservati alle comuni valutazioni neuropsicologiche. La<br />

presenza di disturbi specifici verrà correlata alla sede della lesione (valutata<br />

tramite l’esame neuroradiologico). I risultati del presente studio, inoltre, permetteranno<br />

di verificare l’ipotesi della parziale indipendenza dei diversi processi<br />

immaginativi tramite l’osservazione delle possibili dissociazioni nelle<br />

prestazioni a compiti diversi.<br />

D.4.4 – Trattamento riabilitativo dei disturbi dell’orientamento spaziale<br />

(Chiara Incoccia)<br />

I deficit dell’orientamento spaziale e topografico costituiscono uno dei<br />

disturbi cognitivi maggiormente invalidanti per i soggetti che ne sono affetti,<br />

non permettendo una reale autonomia negli spostamenti e, di conseguenza,<br />

limitando fortemente le attività di vita quotidiana.<br />

L’eziologia di tali deficit è inoltre molto varia: oltre agli esiti di diverse<br />

patologie cerebrali acquisite (cerebropatie vascolari, traumatiche, emorragiche,<br />

ecc.), un disturbo dell’orientamento spaziale si può riscontrare in malformazioni<br />

cerebrali congenite (vedi caso clinico studiato nel precedente pro-<br />

2006 515


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

getto e pubblicato in Iaria G., Incoccia C., Piccardi L., Nicò D., Sabatini U.,<br />

Guariglia C. (2005) Neurocase 11(6): 463-474) e non è infrequente la sua presenza<br />

anche in soggetti senza patologie cerebrali conclamate.<br />

Nel corso di questo studio è stata messa a punto un’ampia batteria di test<br />

neuropsicologici, prove sperimentali e di tipo ecologico, che ci permette di indagare<br />

in particolare quali processi specifici siano danneggiati nei diversi pazienti,<br />

per poter poi strutturare un adeguato trattamento riabilitativo. Per ogni paziente<br />

è necessario, infatti, poter individuare quali differenti abilità cognitive implicate<br />

nella capacità di orientarsi e muoversi nell’ambiente siano compromesse e stabilire<br />

al contempo su quali processi integri si possa fare affidamento per addestrare<br />

il paziente ad utilizzare delle efficaci strategie di compenso.<br />

Nel corso della ricerca sono stati sottoposti alla valutazione dei disturbi<br />

topografici 10 pazienti con patologie cerebrali di varia origine; all’interno di<br />

questo gruppo, sono stati individuati 2 pazienti che presentavano un marcato<br />

deficit di orientamento topografico, sia in ambienti sconosciuti che in<br />

ambienti per loro familiari.<br />

Una volta indagate nel dettaglio le caratteristiche dei loro deficit, è stato<br />

messo a punto un trattamento che, basandosi sulle capacità residue, potesse permettere<br />

loro di utilizzare strategie di compenso del disturbo e di sviluppare capacità<br />

autonome di orientamento. Al termine del trattamento, entrambi i pazienti<br />

hanno mostrato un notevole miglioramento delle capacità navigazionali, ma,<br />

soprattutto, hanno raggiunto un soddisfacente grado di autonomia negli spostamenti.<br />

Lo studio ci ha quindi permesso di mettere a punto alcune linee-guida per<br />

la diagnosi e il trattamento dei deficit di orientamento topografico.<br />

Nel presente studio ci poniamo l’obiettivo di selezionare, tramite la batteria<br />

di test neuropsicologici e di prove ecologiche che è stata precedentemente messa<br />

a punto, 5 pazienti con disturbo selettivo dell’orientamento spaziale. La valutazione<br />

iniziale verrà condotta allo scopo di indagare in dettaglio gli specifici deficit<br />

di ciascun paziente e le capacità cognitive residue e programmare, per<br />

ognuno di essi, il piano di trattamento riabilitativo più idoneo. Nel corso del<br />

trattamento e alla fine di esso, i pazienti verranno sottoposti a prove parallele<br />

per verificare i miglioramenti ottenuti e calibrare, a seconda dei risultati, il tipo<br />

di esercizi proposti. I pazienti, quindi, eseguiranno dei percorsi diversi da quelli<br />

utilizzati durante la terapia, per verificare il grado di generalizzazione delle strategie<br />

apprese e la loro capacità di estenderle ad ambienti differenti.<br />

Dopo la fine del trattamento riabilitativo, verrà effettuata un’ulteriore<br />

valutazione di follow up a distanza di almeno 6 mesi, per verificare la stabilità<br />

dei risultati raggiunti e l’effettiva validità funzionale delle strategie di<br />

compenso.<br />

D.5.1 – Organizzazione cerebrale del linguaggio nei soggetti afasici bilingui<br />

(Paola Marangolo)<br />

Descrizione<br />

Ad oggi, l’assunto sull’organizzazione cerebrale del linguaggio nei soggetti<br />

bilingui è oggetto di ipotesi contrastanti. Alcuni studi recenti condotti<br />

516 2006


su soggetti normali sostengono che l’età in cui le due lingue sono state<br />

apprese e il loro livello di acquisizione sono due variabili che giocano un<br />

ruolo fondamentale per stabilire se le due lingue possono o meno essere<br />

rappresentate nelle stesse aree cerebrali. Gli studi concordano nel sostenere<br />

che la sovrapposizione anatomica è maggiore se entrambe le lingue vengono<br />

apprese in epoca precoce e se per entrambe il soggetto ha acquisito un alto<br />

livello di padronanza.<br />

Scopo di questa ricerca è quello di controllare il ruolo di tali variabili in<br />

soggetti afasici bilingui. L’assunto sull’organizzazione cerebrale del linguaggio<br />

nei soggetti bilingui essenzialmente concerne la questione se le lingue conosciute<br />

sono rappresentate nella stesse aree cerebrali o in aree cerebrali<br />

distinte. L’ipotesi avanzata nel passato era che tutte le lingue apprese fossero<br />

localizzate nella stesse aree cerebrali. Tale ipotesi si basava sull’osservazione<br />

che nei soggetti afasici bilingui il recupero di entrambe le lingue avveniva in<br />

modo parallelo (1) . L’ipotesi opposta, di aree cerebrali distinte e separate per i<br />

differenti linguaggi, era invece supportata dalla descrizione di profili di afasia<br />

distinti nelle due lingue, pazienti classificati come afasici di Broca in una lingua<br />

ed afasici di Wernicke nell’altra (2) .<br />

In un lavoro recente, è stata descritta una dissociazione, a seguito di una<br />

lesione sottocorticale, tra la capacità di produzione della lingua madre, gravemente<br />

compromessa, e la produzione della seconda lingua, significativamente<br />

meglio conservata (3) . Secondo gli autori, la selettiva compromissione per la<br />

lingua madre a seguito di una lesione alle strutture sottocorticali potrebbe<br />

essere stata determinata dal ruolo che tali strutture svolgono in sistemi di<br />

memoria implicita ed automatica, strutture essenziali per il mantenimento<br />

della prima lingua appresa (4) .<br />

Diversi lavori di neuroimmagine funzionale sui soggetti normali, hanno<br />

recentemente fornito informazioni più dettagliate sul modo con cui le diverse<br />

lingue sono o meno rappresentate nello stesso substrato neuronale. L’età in<br />

cui le due lingue sono state apprese e il loro livello di acquisizione sono due<br />

variabili che giocano un ruolo fondamentale per stabilire il livello di sovrapposizione<br />

anatomica. La sovrapposizione è maggiore se entrambe le lingue<br />

sono state apprese in epoca precoce e se per entrambe il soggetto ha acquisito<br />

un alto livello di padronanza (5-8) .<br />

Obiettivi<br />

Neuropsicologia<br />

Lo scopo della presente ricerca è quello di valutare se, nei soggetti afasici<br />

bilingui, il pattern di compromissione e di recupero nelle lingue apprese si<br />

manifesta in modo simile o se segue andamenti diversi. Si valuterà inoltre se<br />

l’età e/o il livello di acquisizione delle lingue apprese rappresentano variabili<br />

predittive di un maggiore o minore coinvolgimento degli stessi substrati neuronali.<br />

Al fine di ottenere un confronto chiaro del livello di compromissione<br />

nelle lingue apprese, ai soggetti verrà somministrato lo stesso test “ Aachener<br />

Afasia test ”, tradotto e standardizzato in diverse lingue (9) . Ai soggetti verrà<br />

inoltre richiesto di eseguire una RMN strutturale per stabilire i correlati anatomici<br />

responsabili del comportamento osservato.<br />

2006 517


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

1. Fabbro F. (1999) The neurolinguistics of bilingualism. An introduction. Hove, UK:<br />

Psychology Press Ltd.<br />

2. Paradis M. (1998) In Stemmer B., Whitaker H. A. (eds) Handbook of neurolinguistics.<br />

San Diego Academic Press, 418-431.<br />

3. Aglioti S., Beltramell A., Girardi F., Fabbro F. (1996) Brain 119: 1551-1564.<br />

4. Perani D., Bressi S., Cappa S.F., Vallar G., Alberoni M., Grassi F. et al. (1993) Brain<br />

116: 903-919.<br />

5. Kim K.H., Relkin N.R., Lee K.M., Hirsch J. (1997) Nature 388: 171-174.<br />

6. Evans J., Workman L., Mayer P., Crawley K. (2002) Brain and Language 83: 291-299.<br />

7. Perani D., Paulesu E., Galles N.S., Dupoux E., Dehaene S., Bettinardi V. et al.<br />

(1998) Brain 121: 1841-1852.<br />

8. Klein D., Milner B., Zatorre R.J., Zhao V., Nikelski J. (1999) NeuroReport 10:<br />

2841-2846.<br />

9. Luzzatti C., Willmes K., De Bleser R. (1991) Aachener Aphasia Test (AAT). Versione<br />

italiana. Organizzazioni Speciali.<br />

D.5.2 – Voxel-based Lesion Symptom Mapping (VLSM):<br />

studio dei disturbi linguistici e dei correlati anatomici<br />

in pazienti afasici (Paola Marangolo, Gaspare Galati)<br />

Introduzione<br />

Sin dalla loro nascita, le Neuroscienze Cognitive hanno avuto come scopo<br />

principale quello di indagare la relazione tra aree cerebrali e funzioni cognitive<br />

e sensoriali. Storicamente questa relazione è stata studiata tramite analisi<br />

autoptiche di soggetti che presentavano specifici deficit. Tuttavia, negli ultimi<br />

vent’anni, l’avvento di tecniche di indagine strutturale non invasive (TAC,<br />

RMN etc.) ha permesso di acquisire una maggior mole di dati. È stato quindi<br />

necessario sviluppare metodi di ricerca grazie ai quali fosse possibile fare<br />

inferenze precise sulle relazioni tra le lesioni cerebrali e i sintomi che esse<br />

possono produrre.<br />

A questo scopo tradizionalmente sono stati utilizzati due approcci basati<br />

su gruppi di pazienti con lesioni cerebrali acquisite:<br />

Gruppi definiti su base comportamentale – I pazienti vengono divisi in<br />

gruppi a secondo che essi manifestino o meno un determinato deficit comportamentale<br />

(e.g. le sindromi afasiche, Kertesz, 1979). Le lesioni cerebrali dei<br />

pazienti con il deficit vengono quindi sovrapposte per identificare una sede<br />

lesionale comune. È anche possibile sovrapporre le lesioni dei pazienti senza<br />

il deficit per determinare l’assenza di lesione in quella specifica area. Il limite<br />

di tale approccio consiste nella necessità di distinguere tra prestazione patologica<br />

e normale in modo binario, stabilendo un cut-off arbitrario che possa<br />

discriminare la presenza o l’assenza di un determinato deficit. Così facendo,<br />

quindi, non vengono considerate le variazioni di performance dei pazienti.<br />

Gruppi definiti su base lesionale – I pazienti vengono suddivisi in gruppi in<br />

base alla localizzazione delle loro lesioni cerebrali (e.g. la corteccia prefrontale<br />

dorso-laterale in Chao e Knight, 1998) e i dati comportamentali dei diversi<br />

518 2006


Neuropsicologia<br />

gruppi di pazienti vengono confrontati. In questo modo viene valutato il ruolo di<br />

una specifica area cerebrale di interesse (ROI) nell’elaborazione della funzione<br />

cognitiva indagata. Tuttavia, tale metodologia non considera l’importanza di sottoaree<br />

all’interno della ROI o di aree esterne a quelle di interesse.<br />

La Voxel-based Lesion – Sympthom Mapping (VLSM, Bates e coll., 2003;<br />

Saygin e coll., 2003) è una nuova metodologia che permette di stabilire relazioni<br />

tra funzioni cognitive e aree cerebrali su una base voxel-by-voxel senza i<br />

limiti precedentemente descritti delle metodologie tradizionali.<br />

Tramite la VLSM infatti, vengono utilizzati dati comportamentali e lesionali<br />

continui, senza la necessità di dividere a priori i pazienti in gruppi sulla<br />

base di informazioni lesionali o di cut-off stabiliti in modo arbitrario. Per ogni<br />

singolo voxel, i pazienti vengono suddivisi in due gruppi a seconda che esista<br />

o meno una lesione in quel voxel. I risultati comportamentali dei due gruppi<br />

vengono quindi confrontati e i risultati statistici di questo confronto vengono<br />

riportati in mappe colorate che rappresentano il grado di coinvolgimento di<br />

ogni singolo voxel nella funzione cognitiva indagata.<br />

Scopi<br />

• Individuare le “ sedi lesionali tipiche ” in 30 pazienti con diversi disturbi<br />

di linguaggio.<br />

• Evidenziare l’esistenza di aree e circuiti specifici che sottendono le<br />

diverse funzioni linguistiche, utilizzando sia la risonanza magnetica che dati<br />

ottenuti tramite la somministrazione di specifiche prove di linguaggio.<br />

Soggetti<br />

Parteciperanno alla ricerca 30 pazienti con afasia in fase cronica aventi<br />

lesioni vascolari unilaterali sinistre. Prima di essere inclusi nella ricerca i<br />

pazienti saranno preliminarmente sottoposti ad un’attenta valutazione clinica<br />

e neuropsicologica allo scopo di escludere quelli con lesioni bilaterali, eziologia<br />

tumorale o traumatica, tutti fattori che introdurrebbero nella ricerca una<br />

fonte intrinseca di variabilità dei dati. La presenza di afasia verrà valutata<br />

sulla base test standardizzati (Esame del Linguaggio II, Ciurli e coll., 1996;<br />

Western Aphasia Battery, Kertesz, 1979) e prove ad hoc che comprendono<br />

compiti in grado di valutare le diverse sottofunzioni linguistiche (linguaggio<br />

spontaneo, comprensione e produzione orale e scritta di parole semplici,<br />

parole composte, parole numero e numeri). Inoltre verrà somministrata una<br />

batteria computerizzata (della durata di circa 1 ora) composta da tre trials in<br />

cui verrà chiesto ai pazienti di leggere e ripetere delle parole e denominare<br />

oralmente delle figure.<br />

Metodo<br />

Il progetto prevede l’utilizzo della risonanza magnetica per ottenere delle<br />

immagini strutturali ad alta definizione dell’anatomia cerebrale. Le lesioni<br />

verranno visualizzate e localizzate sia su mappe corticali bidimensionali che<br />

su uno spazio stereotassico standard, in modo da permettere confronti con<br />

2006 519


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

studi precedenti che hanno finora rappresentato la sede lesionale tipica di afasia<br />

nello spazio 3-D di tipo Talairach.<br />

L’area di sovrapposizione delle lesioni di più pazienti con analoga sintomatologia<br />

verrà considerata come sede lesionale “ tipica ”. Si tenterà quindi di<br />

correlare specifici tipi di sintomatologia, evidenziabili tramite le prove presentate,<br />

con specifiche sedi lesionali tramite l’utilizzo di un software specifico<br />

(VLSM, Bates e coll., 2003).<br />

– Bates E., Wilson S.M., Saygin A.P., Dick F., Sereno M.I., Knight R.T., Dronkers N.F.<br />

(2003) Nat Neurosci 6: 448-450.<br />

– Chao L.L. & Knight R.T. (1998) J Cogn Neurosci 10: 167-177.<br />

– Ciurli P., Marangolo P., Basso A. (1996) Esame del Linguaggio-II. Organizzazioni<br />

speciali, Firenze.<br />

– Kertesz A. (1979) Aphasia and associated disorders: Taxonomy, localization, and<br />

recovery. New York: Grune & Stratton.<br />

– Rorden C., Brett M. (2000) Behav Neurol 12: 191-200.<br />

– Saygin A.P., Dick F., Wilson S.W., Dronkers N.F., Bates E. (2003) Brain 126:<br />

928-945.<br />

D.5.3 – Sviluppo ed efficienza della lettura lessicale: fattori linguistici<br />

e cognitivi (Pierluigi Zoccolotti)<br />

Attività previste<br />

Si intende valutare l’evoluzione della lettura lessicale attraverso:<br />

– Uno studio longitudinale che chiarisca in che misura lo sviluppo della lettura<br />

lessicale sia facilitato dalla presentazione ripetuta di una stessa parola e sia<br />

influenzato da abilità linguistiche di tipo non-fonologico (lessicali, semantiche,<br />

morfologiche, grammaticali), oltre che da fattori cognitivi non verbali.<br />

– Uno studio trasversale che consenta di osservare l’emergere di alcuni<br />

effetti della lettura lessicale (lessicalità, frequenza e immaginabilità/età di<br />

acquisizione) nelle prime fasi di sviluppo della lettura.<br />

Inoltre, si vuole esaminare la lettura patologica valutando l’efficienza<br />

della via lessicale e sublessicale in ragazzi italiani con e senza deficit specifico<br />

di lettura, sfruttando alcuni degli effetti (lessicali e non lessicali) che saggiano<br />

in modo specifico il funzionamento delle due vie di lettura.<br />

Descrizione<br />

Per valutare i fattori sottostanti lo sviluppo della lettura lessicale, si effettuerà<br />

uno studio longitudinale seguendo lo sviluppo della lettura in 50 bambini<br />

di prima elementare. La prestazione di lettura sarà valutata con categorie<br />

di analisi che sono state messe a punto in precedenti ricerche e che individuano<br />

il passaggio da una lettura pre-alfabetica, ad una lettura fonologica e<br />

l’emergere di una lettura lessicale. Saranno analizzati: le abilità di fusione<br />

fonemica e di memoria ortografica che sostengono la prestazione di lettura in<br />

520 2006


Neuropsicologia<br />

ognuna delle fasi di sviluppo della lettura; l’effetto dell’incontro ripetuto con<br />

una stessa parola.<br />

I bambini saranno riosservati alla fine della prima e all’inizio della<br />

seconda elementare, momento in cui si useranno prove di lettura che valutano<br />

diversi indicatori della lettura lessicale (lessicalità e frequenza), e gli<br />

effetti semantico-lessicali di immaginabilità ed età di acquisizione.<br />

Identificate le prestazioni caratterizzate da un alto o basso sviluppo<br />

della lettura lessicale, si valuterà in che misura uno sviluppo più o meno<br />

avanzato della lettura lessicale sia spiegato dalle abilità fonologiche (fusione<br />

fonemica) e dalle conoscenze ortografiche (identificazione corretta di lettere)<br />

osservate nel corso della prima elementare, e si studierà in che misura<br />

abilità linguistiche non-fonologiche (lessico, morfologia, grammatica,<br />

semantica), oltre che abilità cognitive non verbali, contribuiscano allo sviluppo<br />

della lettura lessicale. Il contributo di questi fattori nello spiegare un<br />

alto o basso livello di lettura lessicale sarà valutato attraverso tecniche statistiche<br />

multivariate.<br />

Per scoprire in che momento evolutivo si riscontri nei bambini l’effetto<br />

di lessicalità, e quanto questo sia in relazione alla frequenza della parola, 50<br />

bambini all’inizio della seconda elementare saranno sottoposti ad una prova<br />

che valuta gli effetti semantici (per es., immaginabilità della parola) sulla<br />

lettura. I lettori esperti di una lingua trasparente non sono influenzati da<br />

caratteristiche semantiche né dall’età alla quale la parola è stata acquisita.<br />

Lettori meno esperti fanno però maggiore ricorso a queste proprietà per<br />

facilitare il recupero della forma. Si ipotizza che i bambini all’inizio della<br />

seconda elementare, in fase di strutturazione delle abilità di lettura, siano<br />

più influenzabili da immaginabilità ed età di acquisizione delle parole<br />

rispetto a bambini di terza o quinta elementare in cui la presenza di questi<br />

effetti è già nota.<br />

Infine, sarà valutata l’efficienza della via lessicale e sublessicale in<br />

ragazzi italiani con e senza deficit specifico di lettura. Si sfrutteranno alcuni<br />

degli effetti (come l’effetto frequenza e l’effetto di contestualità dei grafemi)<br />

che testano in modo specifico il funzionamento delle due vie di lettura. La<br />

superiorità per la lettura di parole ad alta frequenza rispetto a quelle di<br />

bassa frequenza indica il contributo dell’analisi lessicale alla lettura. L’effetto,<br />

trovato in lettori italiani di diversa età, non è stato mai verificato su<br />

ragazzi con deficit di lettura. Se il disturbo di lettura dei ragazzi italiani è<br />

dovuto ad un deficit della via lessicale, ci aspettiamo un effetto di frequenza<br />

assente o comunque ridotto nei ragazzi con dislessia. L’effetto di contestualità<br />

dei grafemi (prestazione migliore nel leggere parole con grafemi semplici<br />

che parole con grafemi sensibili al contesto) permette di valutare la<br />

procedura di lettura sublessicale. L’effetto di contestualità influenza i tempi<br />

di lettura delle parole a bassa ma non ad alta frequenza sia negli adulti che<br />

nei bambini, coerentemente con l’idea che la lettura attraverso la via lessicale<br />

non è sensibile all’effetto di contestualità dei grafemi e che il locus dell’effetto<br />

è nella via sublessicale. A causa del loro sovra-utilizzo della procedura<br />

sublessicale di lettura, ci aspettiamo effetti di contestualità più forti<br />

per i dislessici che per i lettori esperti.<br />

2006 521


Sezione III: Linea di ricerca corrente D<br />

In un primo esperimento, mediante il paradigma dei tempi di reazione<br />

vocale all’onset, si esaminerà in modo congiunto l’effetto di frequenza d’uso e<br />

quello di contestualità dei grafemi. Saranno esaminati 40 ragazzi di prima<br />

media, metà con dislessia e metà con normali capacità di lettura.<br />

In un secondo esperimento si esaminerà il locus dell’ipotizzato disturbo<br />

lessicale nei ragazzi con dislessia utilizzando il paradigma del “ delayed<br />

naming ”, una variante del paradigma dei tempi di reazione vocale che si basa<br />

sul rinvio della produzione della risposta. Con questa tecnica sarà possibile<br />

valutare se l’aumentato effetto della lunghezza presentato da questi ragazzi si<br />

mantiene in una situazione che isola una componente di tipo produttivo.<br />

522 2006

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