Intervento Avv. Luca Pastrolli - Gruppo ITAS
Intervento Avv. Luca Pastrolli - Gruppo ITAS Intervento Avv. Luca Pastrolli - Gruppo ITAS
LA REPSONSABILITA’ DELLE IMPRESE NEL D.LGS. 231/01 Avv. Luca Pastorelli Premessa La materia del d. legisl. 231/2001 costituisce un microcosmo normativo che va a collocarsi a cavaliere tra le discipline del diritto penale sostanziale, del diritto penale processuale e del diritto amministrativo. L’adozione delle regole del processo penale per l’accertamento della responsabilità, ed i momenti di deviazione dal paradigma codicistico rituale costituiscono, assieme, i profili processuali della materia in analisi.
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LA REPSONSABILITA’ DELLE IMPRESE NEL D.LGS. 231/01<br />
<strong>Avv</strong>. <strong>Luca</strong> Pastorelli<br />
Premessa<br />
La materia del d. legisl. 231/2001 costituisce un microcosmo<br />
normativo che va a collocarsi a cavaliere tra le discipline del<br />
diritto penale sostanziale, del diritto penale processuale e<br />
del diritto amministrativo.<br />
L’adozione delle regole del processo penale per<br />
l’accertamento della responsabilità, ed i momenti di<br />
deviazione dal paradigma codicistico rituale costituiscono,<br />
assieme, i profili processuali della materia in analisi.
Elementi introduttivi alla disciplina della responsabilità<br />
degli enti<br />
Societas delinquere potest? Accenni al dibattito che ha<br />
caratterizzato la nascita di una forma diretta di responsabilità ex<br />
crimine delle persone giuridiche.<br />
Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, intitolato<br />
«[d]isciplina della responsabilità amministrativa delle<br />
persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche<br />
prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della<br />
legge 29 settembre 2000, n. 300», ha istituito, per la prima<br />
volta nel nostro sistema, una responsabilità diretta delle<br />
persone giuridiche per i fatti costituenti reato commessi da<br />
propri dipendenti, amministratori o rappresentanti.<br />
La portata dirompente dell’entrata in vigore del decreto in<br />
parola appare ictu oculi evidente se si considera che detta<br />
fonte normativa ha avuto l’effetto di «relegare d’un colpo il<br />
risalente e consolidato principio societas delinquere non<br />
potest nella soffitta delle categorie concettuali ormai<br />
abbandonate o messe in disuso»1.<br />
Prima dell’entrata in vigore della norma in esame, infatti, a<br />
carico delle persone giuridiche esistevano forme di<br />
responsabilità indiretta, sussidiaria e parametrata a schemi<br />
civilistici2.<br />
1Così, testualmente, A. CADOPPI-G. GARUTI-P. VENEZIANI<br />
Introduzione, in AA. VV., Enti e responsabilità da reato, a cura di<br />
Cadoppi-Garuti-Veneziani, Torino, 2010, p. XXIII.<br />
2 Il riferimento è qui, a titolo esemplificativo, agli artt. 197 c.p. e 6,<br />
comma 3 l. 689/1981. Tali norme erano indirizzate alla creazione di una<br />
forma di responsabilità solidale, identificata in un’obbligazione solidale,
La prassi applicativa e giurisprudenziale ha evidenziato la<br />
scarsa efficacia sul piano general-preventivo, e su quello<br />
della repressione della criminalità di impresa, di una<br />
responsabilità così modellata.<br />
Da un lato, la sussidiarietà (che si rinviene nel testo<br />
dell’articolo 197 c.p., laddove si prevede il pagamento di una<br />
somma da parte della persona giuridica, solamente «in caso<br />
di insolvibilità del condannato») comporta che l’ente si<br />
troverà a rispondere del fatto di reato solo in ultima ratio.<br />
D’altro canto, poi, non si può non sottolineare come, per<br />
avere efficacia deterrente, una sanzione debba colpire la<br />
persona giuridica laddove la sanzione stessa avrà maggior<br />
effetto. E se non è seriamente revocabile in dubbio che la<br />
criminalità di impresa sia mirata a realizzare una<br />
massimizzazione del profitto, attraverso la creazione di<br />
condizioni di distorsione criminosa del mercato, allora si<br />
deve concludere che la sola misura afflittiva capace di avere<br />
effetto deterrente rispetto a tali atti sia quella che annulli gli<br />
effetti conseguenti alla gestione criminosa.<br />
tra le persone giuridiche ed i loro dipendenti, amministratori e<br />
rappresentanti al pagamento di pene e sanzioni amministrative e<br />
pecuniarie. L’art. 197 comma 1 c.p, in particolare (come sostituito ad<br />
opera dell’art. 116 l. 689/1981), dispone che «gli enti forniti di<br />
personalità giuridica, eccettuati lo Stato, le Regioni, le Province e i<br />
comuni, qualora sia pronunciata condanna per reato contro chi ne aveva<br />
la rappresentanza o l’amministrazione, o sia con essi in rapporto di<br />
dipendenza, e si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi<br />
inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia commesso<br />
nell’interesse della persona giuridica, sono obbligati al pagamento, in<br />
caso di insolvibilità del condannato, di una somma pari all’ammontare<br />
della multa o dell’ammenda inflitta».
La sanzione deve essere tale da rendere svantaggioso, per<br />
l’impresa, in un’ottica economica basata sul binomio costibenefici<br />
(cfr. intervento Roberto), il porre in essere una<br />
gestione imprenditoriale che porti alla commissione di reati.<br />
La responsabilità configurata dall’articolo 197 c.p. e della<br />
legge 689/1981, ossia quella che è stata sopra definita in<br />
termini di sussidiarietà, non pareva essere in grado di avere<br />
questo tipo di efficacia, andando a colpire in primis l’autore<br />
materiale del reato, e solo in secundis la persona giuridica a<br />
cui il colpevole facesse capo.<br />
Sulla scorta di ciò che già era accaduto in altri Paesi con<br />
sistemi di common law, è stata quindi istituita, anche in<br />
Italia, una responsabilità diretta delle persone giuridiche per<br />
fatti di reato ascrivibili a loro dipendenti.<br />
Si può dire, senza tema di smentite, che è stata la stessa<br />
prassi a domandare – e demandare – risposte al legislatore,<br />
in un processo di poiesi del rito processuale generato non da<br />
costruzioni teoriche e dogmatiche, ma da istanze empiriche.<br />
A tale proposito è interessante sottolineare come la parte<br />
speciale del diritto penale, indicata già mezzo secolo fa<br />
come «l’unico vero (e proprio) diritto penale»3, abbia<br />
contribuito in maniera determinante a «formare» e<br />
connotare in modo del tutto peculiare la parte generale dello<br />
stesso diritto penale, nonché gli istituti processuali. Se poi si<br />
riporta questo discorso alla materia in esame, quella della<br />
responsabilità ex crimine delle persone giuridiche, si deve<br />
3PISAPIA, Introduzione alla parte speciale del diritto penale, Milano,<br />
1948, p. 14.
ammettere che essa è l’esempio più fulgido di questa<br />
«trasfigurazione del volto del rito penale»4 derivante dal<br />
genere di criminalità con cui il rito stesso va ad interagire e<br />
dal correlato milieu di prassi forensi5. Il sistema di<br />
responsabilità delle società per la commissione di reati<br />
assurge, appunto, ad archetipo esemplare di tale fenomeno.<br />
In un siffatto contesto, appare evidente come «le peculiarità<br />
soggettive ed oggettive dei fatti da accertare modellano il<br />
rito secondo modelli originali»6.<br />
La responsabilità delle persone giuridiche prefigurata dal d.<br />
legisl. 8 giugno 2001, n. 231, è dunque il risultato di forze<br />
endogene al diritto penale sostanziale e di spinte esterne<br />
che non potevano non portare al superamento del brocardo<br />
secondo cui societas delinquere non potest.<br />
Tacendo sul fatto che alcuni autori ritengano che l’aver il<br />
legislatore qualificato come «amministrativa» la<br />
responsabilità degli enti, sia sintomo di un distacco dal<br />
brocardo di cui sopra che, in realtà, non ci<br />
4L. LUPARIA, Introduzione, in AA. VV., Diritto penale delle società, a<br />
cura di L. D. Cerqua, Padova, 2009, p. 1121.<br />
5Prassi che rivestono importanza tanto maggiore in quei casi di nuove<br />
realtà fenomeniche a cui il legislatore non abbia ancora fornito risposta.<br />
Cfr., L. LUPARIA, Processo penale e tecnologia informatica, in Diritto<br />
dell’internet, 2008, p. 221.<br />
6E. AMODIO, I reati economici nel prisma dell’accertamento<br />
processuale, in Riv. it. dir. proc. pen, 2008, p. 1499.
sarebbe mai stato7, dobbiamo dire che il principio teorico<br />
soccombe alla prassi delle aule di tribunale ed il modello<br />
canonico del processo, così come prospettato dal codice di<br />
rito, viene plasmato e modellato per renderlo coerente con<br />
quelle che sono le dinamiche economiche e le ragioni di<br />
impresa8.<br />
Il principio teorico nasceva sulla scorta di quelli che sono<br />
argomenti di diritto penale generale, e, in particolare, la<br />
responsabilità delle persone giuridiche per fatti costituenti<br />
reato veniva ad essere esclusa in relazione al disposto<br />
dell’articolo 27 Cost. Si sa che il principio costituzionale<br />
stabilisce che «la responsabilità penale è personale»9, ma a<br />
fronte di una così netta posizione teorica era, altresì, ben<br />
percepita l’incidenza preponderante che le attività<br />
7G. PAOLOZZI, Promiscuità pericolose, in Vademecum per gli enti sotto<br />
processo, Torino, 2006, p. 5., che, a sua volta, richiama G. MARINUCCI,<br />
Relazione di sintesi, in AA. VV., Societas puniri potest. La<br />
responsabilità da reato degli enti collettivi, Atti del convegno di Firenze,<br />
15-16 marzo 2002, Padova, 2003, p. 305.<br />
8Se si vuole un esempio di questa trasfigurazione del rito, basterà<br />
pensare al cosiddetto «contraddittorio anticipato» in tema di misure<br />
cautelari. Il contraccolpo economico e occupazionale dell’applicazione<br />
cautelare di una misura interdittiva, come può essere, in ultima istanza,<br />
l’interdizione dall’esercizio dell’attività di impresa, è risultato da<br />
scongiurare. Ecco che quindi il rito si modifica e il legislatore dispone<br />
che l’adozione della misura possa essere decisa solo dopo l’instaurazione<br />
del contraddittorio tra le parti, e, conseguentemente, l’impresa abbia<br />
avuto modo di fare valere le proprie ragioni. Solo in questa maniera<br />
viene garantito il bilanciamento tra le esigenze di legalità e sicurezza e<br />
le istanze dell’impresa e dei suoi dipendenti al lavoro ed al ritorno<br />
economico.<br />
9Art. 27, comma 1, Cost.
imprenditoriali, svolte con modalità criminose, stavano<br />
assumendo; accompagnata dalla consapevolezza<br />
dell’inadeguatezza degli strumenti predisposti<br />
dall’ordinamento per colpire la criminalità di impresa.<br />
Diverse dottrine tentarono di giustificare una responsabilità<br />
penale d’impresa, per riuscire a renderla coerente (o,<br />
almeno, non in contrasto) con l’articolo 27 della Carta<br />
fondamentale.<br />
In particolare l’ostacolo consisteva nel poter configurare una<br />
responsabilità della società, soggetto giuridico autonomo,<br />
per il reato del dipendente, e quindi per fatto altrui.<br />
Nemmeno la teoria organicistica, secondo cui vi sarebbe una<br />
sorta di immedesimazione (organica, per l’appunto) tra la<br />
società ed il suo amministratore era in grado, da sola, di<br />
definire i confini di una responsabilità penale delle persone<br />
giuridiche ex crimine del dipendente.<br />
A fronte di queste perplessità teoriche, l’importanza<br />
crescente della criminalità economica ha spinto il legislatore<br />
a ripensare i modelli sanzionatori, tradizionalmente<br />
strutturati per punire esclusivamente le persone fisiche, per<br />
fare in modo che essi potessero attagliarsi agli enti.<br />
Si è giunti infine, con il decreto 231/2001, ad ammettere<br />
che non solo le persone fisiche, ma pure le societates,<br />
possano delinquere. Forse si poteva fare di più in questo<br />
senso, atteso che la responsabilità a cui sono sottoposte le<br />
persone giuridiche è, ancora, formalmente, definita<br />
«amministrativa», ma non si può negare che, utilizzando il<br />
modello del processo penale per punire gli illeciti degli enti,
si sia posto rimedio a quella che era una carenza quasi<br />
strutturale del nostro sistema giuridico.<br />
Natura giuridica della responsabilità.<br />
La responsabilità, formalmente dichiarata dal legislatore<br />
delegato, non senza una certa dose di prudenza,<br />
amministrativa, si innesta su quelle che sono le norme del<br />
diritto processuale penale. È lo stesso d. legisl. 231/2001,<br />
all’art. 34, a prevedere che l’accertamento della<br />
responsabilità delle persone giuridiche per illeciti<br />
amministrativi dipendenti da reato debba avvenire<br />
nell’osservanza delle norme del capo III dello stesso<br />
decreto, nonché «secondo le disposizioni del codice di<br />
procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989 n.<br />
271».<br />
E quindi, se il modello processuale è improntato agli schemi<br />
ed alle norme del codice di procedura penale (con tutte le<br />
differenze e tutti gli istituti peculiari di cui necessita un<br />
modello processuale i cui soggetti non sono persone fisiche,<br />
ma giuridiche);<br />
se le sanzioni sono quelle proprie del diritto penale (le<br />
sanzioni interdittive, previste dalla lettera b) dell’art. 9 d.<br />
legisl. 8 giugno 2001, n. 231, non sono altro che le sanzioni<br />
accessorie previste nel codice penale);<br />
se la fonte normativa di riferimento (il d. legisl. 8 giugno<br />
2001, n. 231) presenta norme di coordinamento che<br />
rendono applicabili alle societates le disposizioni relative
all’imputato10 e lasciano che il processo sia regolato dalle<br />
norme del codice di rito;<br />
se vi è uno specifico articolo del d. legisl. 231/2001, il 38,<br />
che, disponendo che «[i]l procedimento per illecito<br />
amministrativo dell’ente è riunito al procedimento penale<br />
instaurato nei confronti dell’autore del reato da cui l’illecito<br />
dipende» sancisce, quale regola generale, quella del<br />
simultaneus processus;<br />
se il giudice che deciderà sull’accertamento delle<br />
responsabilità dell’ente è un giudice penale11;<br />
ed infine, se la stessa Relazione al decreto legislativo 8<br />
giugno 2001, n. 231, si premura di chiarire che, nonostante<br />
si tratti di una responsabilità amministrativa, «occorre<br />
disporre di tutti i necessari strumenti di accertamento di cui<br />
è provvisto il procedimento penale, nettamente più incisivi e<br />
penetranti rispetto all’arsenale di poteri istruttori<br />
contemplato nella legge 698/1981» e che è «necessario<br />
prefigurare un sistema di garanzie molto più efficace rispetto<br />
a quello, per vero scarno, della legge 689», possiamo<br />
ancora parlare di una responsabilità «amministrativa» delle<br />
persone giuridiche per illeciti dipendenti da reato?<br />
La questione è dibattuta ed è di non poco momento,<br />
considerato che una risposta netta costituirebbe una chiave<br />
di lettura non solo degli istituti che verranno analizzati nel<br />
10Art. 35 d. legisl. 8 giugno 2001, n. 231.<br />
11Art. 36 d. legisl. 8 giugno 2001, n. 231 che così recita, al primo comma:<br />
«[l]a competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente<br />
appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi<br />
dipendono».
prosieguo di questo elaborato, e che ne costituiranno il<br />
fulcro, ma anche di tutto l’impianto normativo prefigurato<br />
dal decreto.<br />
Invero, dapprincipio, qualcuno aveva sostenuto l’irrilevanza<br />
del dibattito sulla questione, dato che il decreto ambisce ad<br />
essere un microsistema totalmente autosufficiente, dotato di<br />
una parte generale che «avrebbe dovuto, in linea di<br />
massima, assicurarne la tenuta»12.<br />
Basti però pensare alle problematiche che si presentano al<br />
momento di applicazione della legge (come quella della<br />
possibilità per la parte civile di costituirsi), o ai principi su<br />
cui dovrà basarsi la Corte Costituzionale per decidere su<br />
eventuali questioni di legittimità, per rendersi conto che<br />
occorre fornire un’interpretazione della responsabilità delle<br />
persone giuridiche che non trascuri una definizione in<br />
12Così O. DI GIOVINE, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito<br />
punitivo, in AA. VV., Reati e responsabilità degli enti, a cura di Giorgio<br />
Lattanzi, II edizione, Milano, 2010, p. 10. Tra gli autori che hanno<br />
sostenuto l’irrilevanza di un dibattito sulla natura della responsabilità<br />
si ricorda A. ALESSANDRI, Riflessioni penalistiche sulla nuova<br />
disciplina, in AA. VV., Alessandri-Belluta-Bricchetti, ed altri, La<br />
responsabilità amministrativa degli enti, Milano, 2002, p. 45 ss. L’A.<br />
liquida la «discussione sulle etichette» affermando che, non essendo<br />
pienamente giustificabile una definizione della responsabilità nell’uno o<br />
nell’altro senso a causa dei forti «elementi devianti» rispetto a qualsiasi<br />
paradigma penale o amministrativo, e non volendosi fornire una<br />
soluzione in termini di tertium genus, «si potrebbe allora concludere che<br />
[ … ] la responsabilità degli enti non ha bisogno né reclama<br />
qualificazioni, come rilevano i componenti della Commissione Grosso: si<br />
tratta di una responsabilità punitiva, che sorge in ambiente penalistico,<br />
per esigenze di miglior tutela dei beni giuridici, ma non assume lo<br />
schema penalistico».
termini penali o amministrativi, (ma, comunque sia, netti)<br />
della stessa.<br />
Quali sono le soluzioni prospettate dalla dottrina che si è<br />
occupata della questione? Vi è chi, naturalmente, propende<br />
per la natura amministrativa della responsabilità, come vi è<br />
chi la definisce in termini di responsabilità penale e chi vi<br />
identifica un tertium genus di responsabilità.<br />
Si faccia riferimento, in primis, alla littera legislatoris. Nella<br />
Relazione al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, al<br />
secondo paragrafo dell’introduzione, intitolato La natura<br />
giuridica della responsabilità, viene affermata, in senso<br />
chiaro e preciso, la nascita di un tertium genus di<br />
responsabilità, che «coniuga i tratti essenziali del sistema<br />
penale e di quello amministrativo nel tentativo di<br />
contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle,<br />
ancor più ineludibili, della massima garanzia». Una soluzione<br />
che ha sicuramente il merito di rispettare il dettato<br />
costituzionale, ma pone numerose incertezze interpretative.<br />
Vi è però un punto da chiarire. La Relazione qualifica in<br />
questo modo la responsabilità delle persone giuridiche solo<br />
dopo aver affermato che «non si sarebbero incontrate<br />
insuperabili controindicazioni alla creazione di un sistema di<br />
vera e propria responsabilità penale degli enti», e che sul<br />
punto può dirsi superata l’antica obiezione legata al
presunto sbarramento dell’art. 27 Cost. Inoltre, la scelta del<br />
legislatore di qualificare in termini amministrativi la nuova<br />
forma di responsabilità viene definita «prudente» con ciò a<br />
significare che, nonostante gli elementi «devianti» di cui<br />
sopra, la responsabilità delle persone giuridiche è<br />
fortemente connotata da lineamenti penalistici.<br />
Se la Relazione, stando alle conclusioni che trae, si pone per<br />
la tesi di una nuova ed inedita forma di responsabilità, ed<br />
anche autori di primissimo piano mostrano di condividere la<br />
soluzione adottata13, non vanno sottovalutate le altre due<br />
opzioni che si sono considerate, ossia che possa trattarsi di<br />
una responsabilità prevalentemente amministrativa o<br />
prevalentemente penale.<br />
A sostegno della tesi che sceglie di definire la responsabilità<br />
in termini amministrativi vi sono ragioni non secondarie.<br />
Basti considerare il nomen assegnatole dal provvedimento<br />
ed il titolo del capo primo dello stesso, che fanno richiamo<br />
alla responsabilità degli enti espressamente qualificandola<br />
come amministrativa.<br />
Quanto poi alla disciplina processuale, non si può non<br />
evidenziare quanto essa si ponga, a volte, in termini<br />
fortemente distonici rispetto al canonico rito del codice di<br />
procedura penale. In materia di archiviazione, ad esempio,<br />
13Per tutti, F. CORDERO, Processo penale amministrativo, in<br />
Procedura penale, VIII edizione, Milano, 2006, p. 1347. L’A. apre la<br />
trattazione sull’argomento con le parole «sta nascendo un ibrido»,<br />
mostrando, se non di condividere la tesi della nascita di un tertium<br />
genus, quantomeno di non poter aderire a nessuna delle altre due<br />
soluzioni possibili.
la decisione sulla stessa viene lasciata nella più completa<br />
potestà del Pubblico Ministero.<br />
Detto questo non si può tacere che l’illecito amministrativo è<br />
modellato su quello penale, e che le discrasie tra i due riti,<br />
ordinario e penale-amministrativo, non giustificano una<br />
diversità sul piano ontologico.<br />
Ciò che per lo più stride con una seria aspirazione garantista<br />
è la disciplina delle vicende modificative dell’ente, pervasa<br />
da logiche di stampo civilistico. Ad esempio, in caso di<br />
fusione, è previsto che «l’ente che ne risulta risponde dei<br />
reati dei quali erano responsabili gli<br />
enti partecipanti alla fusione»14. È evidente la lontananza di<br />
questa disposizione rispetto alla personalità della<br />
responsabilità penale.<br />
La tesi che ravvisa nel d. legisl. 231/2001 l’istituzione di una<br />
vera e propria forma di responsabilità penale delle persone<br />
giuridiche possiede un ben maggior numero di frecce nella<br />
sua faretra.<br />
Si consideri in primis che per contestare l’asserzione che la<br />
legge parli di responsabilità «amministrativa» per dare una<br />
definizione sul piano ontologico della stessa, basta<br />
evidenziare che, se il legislatore si fosse espresso in termini<br />
penali, sarebbe sicuramente finito in contrasto col disposto<br />
dell’articolo 27 Cost. (pur, in ultima istanza, superato, come<br />
abbiamo avuto modo di capire più sopra). La scelta, in<br />
questo caso, è quindi probabilmente solo lessicale, nonché<br />
14Art. 29 d. legisl. 231/2001.
d’opportunità15, e non prefigura una dichiarazione di intenti<br />
o una qualsiasi presa di posizione dogmatica.<br />
In secundis, si ricorda che a favore della natura penale della<br />
responsabilità militano argomenti stringenti di carattere<br />
logico e sistematico.<br />
Dal primo punto di vista ci si chiede quale altra<br />
responsabilità possa essere quella «dipendente da reato».<br />
Sembra coerente ritenere che da un fatto costituente reato<br />
discenda una responsabilità penale.<br />
Dal secondo punto di vista vi sono evidenti scelte del<br />
legislatore che mal si concilierebbero con una responsabilità<br />
del tutto amministrativa. Stiamo parlando della competenza,<br />
devoluta al giudice penale, del provvedimento finale del<br />
processo, che assume la forma della<br />
sentenza, del sistema sanzionatorio, per citare alcune tra le<br />
principali aderenze al modello penale16.<br />
15R. RODORF, Prime e sparse riflessioni sulla responsabilità<br />
amministrativa degli enti collettivi per reati commessi nel loro interesse<br />
o a loro vantaggio, in Alessandri-Belluta-Bricchetti, cit., p. 10, parla di<br />
un «tributo alla tradizionale concezione secondo cui la responsabilità<br />
penale non potrebbe che essere individualmente imputabile […], tributo<br />
certo assai più formale che sostanziale».<br />
16«Poiché la responsabilità dipende da un reato, soggiace allo stigma<br />
tipico di un giudizio penale, sfocia in una sanzione punitiva di contenuto<br />
omologo a quello di una sanzione penale, è difficile non attribuirle una<br />
natura sostanzialmente penale». T. PADOVANI, Il reato in generale, in<br />
Diritto penale, Milano, 2002, p. 86. Non confuta l’argomento neppure<br />
l’osservazione che dal reato possono derivare conseguenze non solo<br />
penali ma anche, ad esempio, civili, atteso che qui non si tratta di<br />
qualificare in due modi diversi lo stesso fatto, ma di una vera e propria<br />
responsabilità autonoma delle persona giuridiche.
Naturalmente molti altri aspetti della disciplina sono<br />
riconducibili all’ambito penale, ma non staremo qui ad<br />
enumerarli, per esigenze di speditezza.<br />
Quello che preme a chi scrive, in questo frangente, è di<br />
effettuare una scelta rispetto alle tre posizioni prospettate.<br />
Una scelta in un senso o nell’altro andrà a condizionare<br />
l’intera trattazione degli argomenti dell’elaborato,<br />
riverberandosi (come detto in apertura di paragrafo)<br />
sull’analisi degli istituti che entreranno via via in gioco.<br />
L’optare per la posizione che ravvisa, nella responsabilità<br />
delineata dal d. legisl. 231/2001, una responsabilità penale<br />
mi pare soluzione corretta.<br />
Le ragioni a favore di questa scelta sono riassumibili nella<br />
considerazione che, al di là del dato testuale (che, pur non<br />
essendo l’ultimo dei criteri di interpretazione, può comunque<br />
essere fuorviato a proprio piacere da un legislatore che,<br />
«nell’universo deontico […] è onnipotente»17), la procedura<br />
prospettata dal decreto è modellata su quella del processo<br />
penale, la responsabilità è direttamente «dipendente da<br />
reato» e i principi caratterizzanti la nuova responsabilità<br />
sono quelli vigenti in materia penale.<br />
La disciplina è intrisa di concetti e paradigmi di chiara<br />
derivazione penalistica e processual-penalistica. Basti<br />
pensare al carattere particolarmente afflittivo del sistema<br />
sanzionatorio, alla volontà di enfatizzare il carattere generalpreventivo<br />
della nuova forma di responsabilità, ed alla<br />
17F. CORDERO, Processo penale amministrativo, in Procedura penale,<br />
cit., p. 1347.
funzione (si potrebbe dire) rieducativa della pena, laddove si<br />
incentiva l’adozione di canoni di legalità per la «ridefinizione<br />
dell’assetto organizzativo», che consentano, in radice, il<br />
superamento del rischio-reato, nonché alla predisposizione<br />
di norme di coordinamento che demandano l’integrazione al<br />
dettato del codice di procedura penale, «con l’obiettivo<br />
evidente di saldare due espressioni della giurisdizione<br />
penale ordinaria, le cui uniche differenze dovrebbero<br />
derivare dalla peculiare realtà dell’ente-imputato»18 (artt.<br />
34 e 35 del decreto).<br />
Questi sono i punti cardine su cui si basa la responsabilità<br />
delle persone giuridiche per illeciti amministrativi dipendenti<br />
da reato.<br />
Infine (o, come si sarebbe tentati di dire, dulcis in fundo),<br />
particolare attenzione merita la circostanza che tutta la<br />
disciplina del decreto si sviluppi sotto l’egida di quelli che<br />
sono i principi generali inderogabili accordati alla materia<br />
penale, il principio di legalità e di successione di leggi nel<br />
tempo, riaffermati dagli articoli 2 e 3 del d. legisl. 231/2001.<br />
Non pare dunque seriamente escludibile, anche a voler<br />
evocare le numerose, e per il vero ampie, discrasie dal<br />
modello penale ordinario, che la responsabilità a cui ci si<br />
trova davanti sia di carattere penale a tutti gli effetti. La<br />
stessa Relazione al decreto afferma la sua natura di tertium<br />
genus solo dopo aver premesso che «non si sarebbero<br />
incontrate insuperabili contraddizioni alla creazione di un<br />
sistema di vera e propria responsabilità penale degli enti». Il<br />
18G. PAOLOZZI, Promiscuità pericolose, in Vademecum, cit., p. 8.
legislatore pare rendersi conto della potenza innovatrice del<br />
proprio disegno normativo e si premura di saldare i conti<br />
con la tradizione19 offrendo, in cambio dell’aver stabilito che<br />
societas delinquere (et puniri) potest, un contraltare, il<br />
quale sta tutto nell’aver definito la responsabilità degli enti<br />
come amministrativa.<br />
Nei fatti, per concludere, le spinte endogene e quel milieu di<br />
prassi forensi che hanno portato all’adozione di questa<br />
regolamentazione, hanno anche provveduto a fare in modo<br />
che la responsabilità delle persone giuridiche fosse di<br />
stampo penale. E se lo stesso legislatore ha ritenuto che si<br />
dovesse approntare un sistema che presentasse un forte<br />
garantismo per le societates sotto processo, assieme ad una<br />
spiccata matrice punitiva (quando si parla di sanzioni per<br />
quota, ancorché esse non siano sanzioni tipicamente penali,<br />
è ovvio che, de facto, possono portare alla chiusura<br />
dell’attività, afflizione paragonabile ad una sorta di «pena<br />
capitale» per l’ente collettivo), ebbene, tale sistema non può<br />
che essere quello penale.<br />
Un substrato normativo peculiare: pochi accenni ai principi<br />
generali in materia e alle norme di coordinamento con il<br />
codice di procedura penale.<br />
Credo possa essere utile fare un breve riepilogo di quella che è la<br />
disciplina della responsabilità degli enti, almeno per ciò che<br />
concerne le norme di portata generale.<br />
19Ancora R. RODORF, Prime e sparse riflessioni, in Alessandri-Belluta-<br />
Bricchetti, cit., p. 10.
Sarà infatti utile, nel proseguo della trattazione, avere ben<br />
presenti le differenze e le analogie con quanto previsto dalle<br />
disposizioni codicistiche. Si cercherà quindi di riassumere<br />
brevemente il contenuto delle norme «portanti» del decreto<br />
legislativo 231/2001, con particolare attenzione a quelle che sono<br />
le maggiori discrasie rispetto all’impianto del codice di procedura<br />
penale, in modo da delineare per sommi capi il modello di<br />
responsabilità delle persone giuridiche.<br />
Appare evidente, al primo contatto con la normativa sulla<br />
responsabilità delle persone giuridiche, che tutta la disciplina<br />
contenuta<br />
nel decreto deve fare i conti con peculiarità del tutto marcate. A<br />
tal proposito va evidenziato subito come detta disciplina si<br />
applichi agli «enti forniti di personalità giuridica, e alle società e<br />
associazioni anche prive di personalità giuridica» (art. 1, comma<br />
2, d. legisl. 231/2001) e come, affinché sia possibile attribuire<br />
l’illecito all’ente, lo stesso debba essere stato commesso nel suo<br />
interesse o nel suo vantaggio. Quest’ultimo requisito oggettivo,<br />
richiamato dall’art. 5, comma 1, d. legisl. 231/2001, assumerà<br />
particolare rilevanza nel momento in cui il Pubblico Ministero<br />
dovrà operare la contestazione dell’illecito. Essa infatti, come<br />
vedremo, deve contenere l’indicazione del fatto che può<br />
comportare l’applicazione delle sanzioni «in forma chiara e<br />
precisa» (art. 59, comma 1,), ossia con l’enunciazione dei criteri<br />
di imputazione previsti agli articoli 5, 6 e 7 d. legisl. 231/2001.<br />
Essi sono, appunto, l’essere stato commesso il reato presupposto<br />
nell’interesse o per il vantaggio della società, e l’essere stato<br />
commesso il reato da persone che, al momento della<br />
commissione del fatto, fossero dipendenti dell’ente (criterio<br />
soggettivo).
A seconda, poi, che a commettere il fatto sia stato un dipendente<br />
in posizione apicale o in posizione subordinata, i criteri di<br />
imputazione differiscono ulteriormente. Nel primo caso, infatti,<br />
l’art. 6 stabilisce una presunzione di colpa nei confronti dell’ente,<br />
che non risponderà solo se proverà che, prima della commissione<br />
del reato, erano stati adottati, ed efficacemente attuati, modelli<br />
organizzativi e di gestione idonei a prevenire reati della stessa<br />
specie, che era stato creato un organismo di vigilanza<br />
sull’osservanza di tali modelli e che gli autori materiali del reato<br />
hanno eluso fraudolentemente i modelli di cui sopra senza che<br />
fosse carente la vigilanza dell’organo di controllo.<br />
Se, invece, il reato presupposto è commesso da soggetti in<br />
posizione subordinata, pur non prevedendosi nessuna<br />
presunzione di colpevolezza, l’ente risponderà se sia<br />
«responsabile dell’inosservanza degli obblighi di direzione o<br />
vigilanza» (art. 7, comma 1, d. legisl. 231/2001). Anche in questo<br />
caso, l’adozione e l’attuazione di un<br />
modello di gestione organizzativa esonera l’ente dalla<br />
responsabilità per il reato presupposto.<br />
Questi criteri di imputazione sono estremamente rilevanti, non<br />
solo perché costituiscono un unicum nel panorama processualpenalistico,<br />
ma anche perché, in sede di contestazione dell’illecito,<br />
saranno proprio essi a dare sostanza e corpo all’imputazione. La<br />
concretezza della contestazione del Pubblico Ministero si rinviene<br />
nel momento in cui, attraverso l’indicazione «in forma chiara e<br />
precisa» del fatto, l’organo requirente esponga i motivi per cui<br />
ritiene sussistenti i criteri di imputazione.<br />
In questo modo all’ente è data la possibilità di esercitare in<br />
maniera completa il proprio diritto di difesa.<br />
Se il Pubblico Ministero non introducesse nella contestazione, che,<br />
come si premura di spiegare la Relazione al decreto, svolge la
stessa funzione dell’imputazione («addebitare ad un soggetto<br />
collettivo un illecito amministrativo a struttura complessa con lo<br />
scopo di definire l’oggetto del processo, delimitando i confini<br />
dell’accertamento del giudice, e di mettere in grado l’ente di<br />
esercitare il diritto di difesa»20), i criteri di imputazione regolati<br />
dagli artt. 5, 6 e 7 d. legisl 231/2001, verrebbe a crollare come<br />
un castello di sabbia tutta la costruzione teorica che sta alla base<br />
del decreto e di cui abbiamo parlato in apertura dell’elaborato.<br />
Come sarebbe infatti possibile prefigurare un sistema che<br />
presentasse non solo i profili sanzionatori del processo penale, ma<br />
anche tutte le sue maggiori garanzie, se non si ammettesse l’ente<br />
ad esercitare il proprio diritto di difesa?<br />
Questo è un profilo di grande interesse, che merita di essere<br />
analizzato in sede di esame dell’istituto della contestazione<br />
dell’illecito all’ente.<br />
Ritornando al d. legisl. 231/2001, particolare attenzione merita<br />
anche la disposizione dell’articolo 8, che prevede l’autonomia<br />
della responsabilità dell’ente. La commissione di un reato<br />
presupposto è<br />
«tipica pregiudiziale»21, ma non è richiesta una condanna penale<br />
come presupposto indefettibile in ordine all’accertamento della<br />
responsabilità della persona giuridica. Il cumulo processuale, che<br />
si realizza attraverso la regola del simultaneus processus<br />
(previsto dall’art. 38, comma 1, d. legisl. 231/2001), non è<br />
cumulo necessario nei casi in cui il reo sia ignoto o non<br />
20Relazione al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, § 18, Indagini<br />
preliminari e udienza preliminare, in Cadoppi-Garuti-Veneziani, cit., p.<br />
49.<br />
21F. CORDERO, Processo penale amministrativo, in Procedura penale,<br />
cit., p. 1348.
imputabile, o il reato fosse estinto per causa diversa dall’amnistia<br />
(salvo che l’ente non vi abbia rinunciato).<br />
Per quanto poi riguarda le disposizioni più spiccatamente<br />
processuali, tacendo sulle sezioni II e III del capo I del decreto,<br />
riguardanti le sanzioni (materia amministrativa) e il diritto penale<br />
sostanziale speciale applicabile alle persone giuridiche, che<br />
svelano profili di grande interesse ma che poco hanno a che fare<br />
con l’oggetto di questo lavoro, veniamo subito all’esame degli<br />
articoli 34, 35 e 36 d. legisl. 231/2001.<br />
Sono disposizioni di estrema importanza per la loro portata<br />
generale e per il fatto che stabiliscono il coordinamento con la<br />
disciplina codicistica.<br />
L’art. 34 d. legisl. 231/2001 stabilisce che, nel procedimento nei<br />
confronti degli enti, si applicano, oltre alle disposizioni del capo III<br />
del decreto stesso, le norme del codice di procedura penale, in<br />
quanto compatibili. Questa previsione è una diretta emanazione<br />
dell’art. 11 primo comma, lett. q) della legge delega22, che<br />
richiedeva al legislatore l’adozione di una tale norma di<br />
coordinamento al fine di assicurare «l’effettiva partecipazione e<br />
difesa degli enti nelle diverse fasi del processo penale»23.<br />
L’articolo 34 spiega una duplice funzione: contribuire ad una<br />
corretta qualificazione della responsabilità delle persone giuridiche<br />
22H. BELLUTA, sub art. 34, in AA. VV. La responsabilità degli enti.<br />
Commento articolo per articolo al d.lgs. 8 giugno 2001, n.231, a cura di<br />
A. Presutti, A. Bernasconi e C. Fiorio, Padova, 2008, p. 349.<br />
23Testualmente, l’art. 11 comma 1 lett. q) l. 300/2000 recita: «prevedere<br />
che le sanzioni amministrative a carico degli enti sono applicate dal<br />
giudice competente a conoscere del reato e che per il procedimento di<br />
accertamento della responsabilità si applicano, in quanto compatibili, le<br />
disposizioni del codice di procedura penale, assicurando l’effettiva<br />
partecipazione e difesa degli enti nelle diverse fasi del procedimento<br />
penale».
e stabilire una gerarchia di fonti normative per la disciplina del<br />
processo de societate.<br />
Se si è visto che sotto il primo profilo non vi è convergenza<br />
all’interno della dottrina, ma è comunque innegabile che una<br />
previsione di coordinamento sistematico come l’articolo 34<br />
trasfonda tutto quel complesso di principi e regole cardine del<br />
processo penale all’interno del processo alle persone giuridiche.<br />
Sotto il secondo profilo, ossia in tema di gerarchia delle fonti,<br />
ancorché la legge delega individuasse nel codice di procedura<br />
penale la fonte normativa di riferimento, il legislatore delegato ha<br />
ribaltato le priorità, assegnando la prevalenza alle norme del<br />
decreto stesso. Anche a tacere delle perplessità che suscita tale<br />
operazione sul versante della legittimità costituzionale24 (sarebbe<br />
forse ipotizzabile un contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost. per<br />
violazione di delega), tesi da alcuni - ed a ragione, a parere di chi<br />
scrive - ritenuta «eccessivamente drammatica»25, non possiamo<br />
esimerci dall’osservare come, in ultima istanza, il legislatore<br />
delegato abbia optato per la creazione di un vero e proprio<br />
«microsistema sostanziale» e processuale, che, solo in maniera<br />
sussidiaria, si avvale delle norme che regolano il rito ordinario.<br />
24Lo rileva A. GIARDA, Aspetti problematici del provvedimento di<br />
accertamento delle sanzioni amministrative, in Responsabilità degli enti<br />
per reati commessi nel loro interesse, in Cass. Pen. 03, supplemento al<br />
fascicolo VI, 2003, p. 113, il quale parla di «rovesciamento delle fonti<br />
normative».<br />
25G. PAOLOZZI, La sagomatura del processo agli enti: scelte di sistema,<br />
in Vademecum, cit., p. 99. L’A. afferma che una simile conclusione in<br />
termini di incostituzionalità appare «eccessivamente drammatica,<br />
specie considerando che l’ente non subisce pregiudizi in conseguenza<br />
della riscontrata inversione di fonti normative. Alla persona giuridica<br />
infatti, vengono accordate garanzie pienamente idonee a fronteggiare<br />
l’accertamento svolto nei suoi confronti da un giudice che, a tal fine, si<br />
avvale dei poteri conferitigli dal codice di procedura penale»
peraltro tenuto presente che risulta preclusa qualsiasi forma di<br />
«antropomorfizzazione» dell’ente, applicandosi ad esso solo le<br />
norme che riguardano l’imputato come «soggetto» del processo,<br />
dotato di doveri, diritti, poteri e oneri, ma non quelle concernenti<br />
l’imputato come persona fisica.<br />
La cognizione, ex art. 36 d. legisl. 231/2001, spetta al giudice che<br />
procede per il reato presupposto. Ciò anche qualora manchi un<br />
imputato: «caso anomalo ma possibile; ad esempio, se l’autore<br />
del fatto fosse ignoto»27. Come si è avuto modo di vedere,<br />
l’attribuzione della competenza al giudice penale della questione<br />
inerente la responsabilità dell’ente, è scelta coerente con<br />
l’impostazione del nuovo rito, che sposta l’attenzione su quelli che<br />
sono gli stilemi e le pratiche tipiche del processo penale.<br />
L’attribuzione della competenza al giudice penale è stata anche<br />
indicata come uno degli indici che portano a ritenere che il nuovo<br />
modello di responsabilità delle societates sia di carattere penale.<br />
E ciò è ancor più vero se si pensa che l’art. 38 del decreto, nel<br />
disporre che il procedimento per l’illecito amministrativo dell’ente<br />
«è riunito al procedimento penale instaurato nei confronti<br />
dell’autore del reato da cui l’illecito dipende» sancisce, quale<br />
regola generale quella del simultaneus processus. Sono previsti<br />
tre casi28, da<br />
27F. CORDERO, Processo penale amministrativo, in Procedura penale,<br />
cit., p. 1350.<br />
28L’art. 38 comma 2 d. legisl. 231/2001 così recita: «[s]i procede<br />
separatamente per l’illecito amministrativo dell’ente solo quando:<br />
a) è stata ordinata la sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo<br />
71 del codice di procedura penale;<br />
b) il procedimento è stato definito con giudizio abbreviato o con<br />
l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura<br />
penale, ovvero è stato emesso il decreto penale di condanna;<br />
c) l’osservanza delle disposizioni processuali lo rende necessario».
non considerarsi tassativi (grazie alla clausola di chiusura29 che<br />
prevede che le due vicende non siano riunite quando<br />
«l’osservanza delle disposizioni processuali lo rende<br />
necessario»30) in cui il cumulo giuridico non è necessario. In<br />
questi frangenti il giudice che decide sulla responsabilità dell’ente<br />
risolve incidenter tantum la questione penalistica.<br />
È da notare come la riunione di procedimenti sia disposta anche<br />
in assenza delle condizioni di cui all’art. 17 c.p.p., e che il giudice<br />
non debba verificare che la riunione non determini un ritardo nella<br />
definizione degli stessi procedimenti31. L’aver disposto che si<br />
abbia simultaneus processus anche se questo può ostacolare la<br />
rapida<br />
29Clausola che rischia di «diventare rifugio per tutte quelle situazioni<br />
processuali che, per qualsiasi motive tendono a sganciare il<br />
procedimento di accertamento dell’illecito amministrativo dal<br />
procedimento penale». Così G. GARUTI, voce Responsabilità delle<br />
persone giuridiche giuridiche (profili processuali) in Enc. Giur. Treccani,<br />
Agg., XI, Roma, 2003, p. 2.. Ed in effetti non si può negare che la regola<br />
aurea della riunione dei procedimenti sia alquanto temperata da una<br />
previsione di tal fatta, che rischierebbe di andare a coprire spazi di<br />
«autentica discrezionalità circa la decisione di separare i processi»<br />
(espressione di S. CASSIBBA, sub art. 18 c.p.p., in AA. VV., Codice di<br />
procedura penale commentato, III edizione, a cura di A. Giarda-G.<br />
Spangher, Milano, 2007, p. 141) tali e quali quelli prospettati dall’art.<br />
18 c.p.p. La soluzione ragionevole e probabilmente migliore è quella di<br />
intendere applicabile la clausola in questione solo a quelle situazioni che<br />
presentino caratteri di eccezionalità, e che siano caratterizzate dalla<br />
necessità di non violare disposizioni processuali (ancora una volta G.<br />
GARUTI, voce Responsabilità delle persone giuridiche, cit., p. 2).<br />
30Art. 38 comma 2 lett. c) d. legisl. 231/2001.<br />
31L’art. 17 comma 1 c.p.p. prevede che la riunione sia disposta «quando<br />
non determini un ritardo nella definizione degli stessi» procedimenti, in<br />
alcune ipotesi. Precisamente si avrà riunione nei casi previsti dall’art.<br />
12 c.p.p. e nei casi previsti dall’art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p.
definizione dei processi, è ritenuto, da alcuni Autori32, indice del<br />
fatto che il legislatore, più che ad esigenze di economia<br />
processuale, abbia dato peso alle istanze di completezza e<br />
correttezza dell’accertamento.<br />
Il cumulo giuridico rimane necessario nei casi di improcedibilità<br />
dell’azione penale (art. 37 d. legisl. 231/2001), dove anche<br />
l’azione nei confronti dell’ente non può essere proseguita. Sono le<br />
situazioni in cui, nei confronti della persona fisica autrice del reato<br />
presupposto, manca una condizione di procedibilità. Anche se è<br />
lecito dire che sono poche le fattispecie delittuose contemplate<br />
nella parte penale speciale del decreto 231/2001 che richiedano<br />
una condizione di procedibilità33, va segnalato che in questi casi<br />
si assiste ad un forte temperamento del principio di autonomia<br />
della responsabilità dell’ente, sancito all’art. 8 d. legisl. 231/2001,<br />
di cui si è accennato più sopra.<br />
Evoluzione e prospettive del rischio penale di impresa – la<br />
recente giurisprudenza dei Giudici di merito<br />
A tacere della clamorosa sentenza ThyssenKrupp, che ha definito<br />
nuovi standard di imputazione per i soggetti responsabili del reato<br />
di omicidio commesso con violazione della normativa sulla salute<br />
e la sicurezza nei luoghi di lavoro (e se ne tace perchè il delitto di<br />
omicidio volontario non è – ancora – previsto come reato<br />
presupposto della responsabilità di impresa), può ben dirsi che, in<br />
particolar modo per ciò che concerne i delitti colposi p.e p.<br />
dall'art. 25 septies d. legisl. 231/2001, si è assistito, negli ultimi<br />
32E’ di tale avviso G. GARUTI, voce Responsabilità delle persone giuridiche,<br />
cit., p. 2.<br />
33Oltre al reato di frode informatica non aggravata (art. 640 ter comma<br />
1 e 3 c.p.) solamente alcune fattispecie in materia societaria.
anni, ad una evoluzione dell'elaborazione dottrinale e<br />
giurisprudenziale concernente l'imputazione alla società di un<br />
reato commesso con violazione delle norme sulla salute e sulla<br />
sicurezza nei luoghi di lavoro.<br />
Perché considerare questo nucleo di fattispecie così<br />
specificatamente?<br />
Per il semplice motivo che l'introduzione di reati colposi in un<br />
sistema legislativo improntato alla sanzione dei reati tipicamente<br />
dolosi (vedansi le fattispecie di corruzione e concussione, reati<br />
presupposto dell'originario impianto normativo) ha comportato<br />
numerosi problemi interpretativi e applicativi.<br />
Senza, peraltro, contare che le fattispecie di omicidio e lesioni<br />
gravi e gravissime commesse con violazione delle norme sulla<br />
sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro sono, in particolar<br />
modo nell'ambito del tessuto manifatturiero modenese,<br />
statisticamente alcune tra le fattispecie di reato maggiormente<br />
contestate.<br />
La questione giurisprudenziale è stata quella di capire in cosa<br />
individuare i requisiti del vantaggio e dell'interesse dell'ente.<br />
Il problema dell'introduzione di reati colposi tra i reati<br />
presupposto, risulta essere stato affrontato in giurisprudenza,<br />
solamente dal Tribunale di Trani (sez. dist. di Molfetta) nella<br />
sentenza dell'11.1.2010, in relazione al tragico caso “Truck Center<br />
s.a.s.”, nonché, recentemente, da una sentenza del Tribunale di<br />
Pinerolo (Trib. Pinerolo, 23.09.2010).<br />
Il Tribunale di Trani, in particolare, si era allora espresso<br />
considerando compatibile il criterio dell'interesse o vantaggio con<br />
il reato di omicidio colposo commesso con violazione della<br />
normativa antinfortunistica, ritenendo che la sussistenza<br />
dell'interesse o vantaggio dell'ente si debba accertare in relazione<br />
alla condotta colposa, e non all'evento verificatosi, argomentando
essenzialmente sulla base del c.d. “principio di conservazione”,<br />
secondo il quale, ove possibile, ogni disposizione normativa deve<br />
essere interpretata nel senso in cui abbia una possibilità<br />
applicativa piuttosto che in quello in cui non ne abbia alcuna.<br />
Una recente e determinante pronuncia del tribunale di Novara,<br />
datata 1.10.2010 riprende tale impostazione, giungendo ad<br />
analoghe conclusioni. Il Gup di Novara, infatti, osserva che<br />
“l'interesse o vantaggio può essere correlato anche [ai] reati<br />
colposi [d'evento], rapportando i due criteri non all'evento<br />
delittuoso, bensì alla condotta violativa di regole cautelari che ha<br />
reso possibile la consumazione del delitto”. L'evento, aggiunge il<br />
giudice, deve essere ascritto all'ente “per il fatto stesso di<br />
derivare dalla violazione di regole cautelari”.<br />
Il ragionamento seguito in motivazione prende avvio<br />
dall'osservazione per cui “non c'è dubbio che solo la violazione<br />
delle regole cautelari poste a tutela della salute del lavoratore può<br />
essere commessa nell'interesse o a vantaggio dell'ente” – allo<br />
scopo di ottenere un risparmio dei costi di gestione – e che<br />
l'evento lesivo “in sé considerato [è] semmai controproducente<br />
per l'ente”. Da ciò il giudice trae la conclusione per cui “il<br />
collegamento finalistico che fonda la responsabilità dell'ente [...]<br />
non deve necessariamente coinvolgere anche l'evento, quale<br />
elemento costitutivo del reato, giacchè l'essenza del reato colposo<br />
è proprio il risultato non voluto”.<br />
Ulteriormente precisando, si afferma che i criteri di interesse o<br />
vantaggio debbano essere riferiti “non già al reato (e quindi<br />
all'evento di morte o lesione della vittima), bensì alle condotte<br />
costitutive di esso”.<br />
Il ragionamento che porta a concludere per l'applicabilità ai reati<br />
colposi d'evento del criterio ex art. 5 d.lgs. 231 sembra piuttosto<br />
trovare sostanziale fondamento, come nella citata sentenza del
Tribunale di Trani, nel “principio di conservazione”; ossia<br />
nell'osservazione per cui, se si riferisse l'interesse o il vantaggio<br />
solamente all'evento lesivo, la disposizione legislativa di cui<br />
all'art. 25 septies sarebbe priva di ogni applicazione pratica, dato<br />
che l'evento in sé considerato è “semmai controproducente” per<br />
l'ente, e data la strutturale non volontarietà dell'evento nei reati<br />
colposi.<br />
Il giudice, inoltre, osserva che “il finalismo della condotta può<br />
armonizzarsi con la non volontarietà dell'evento” perché nel<br />
concetto di colpa “rientra anche il caso della previsione<br />
dell'evento, ancorchè escluso e non voluto”. Tale osservazione<br />
appare tuttavia superflua ed, in parte, fuorviante: infatti, una<br />
volta chiarito che il criterio dell'interesse deve essere accertato in<br />
relazione alla condotta e non all'evento, appare indifferente – ai<br />
fini dell'applicabilità del criterio – che il verificarsi dell'evento sia<br />
stato o meno previsto dall'agente. Nei reati colposi l'evento lesivo,<br />
seppur previsto, non è infatti, appunto, mai voluto, né può<br />
dunque – nonostante la previsione – essere perseguito<br />
nell'interesse o a vantaggio di alcuno. La condotta può invece<br />
essere sempre finalisticamente volta al raggiungimento di un<br />
obiettivo: indipendentemente dalla previsione o meno dell'evento<br />
da parte del soggetto agente.<br />
Per quanto riguarda l'accertamento, in concreto, del compimento<br />
della condotta colposa nell'interesse o a vantaggio dell'ente, il<br />
giudice ritiene necessario verificare che questa non sia stata<br />
indotta da “esclusive finalità estranee alla società”, ma che anzi<br />
sia stata determinata “da scelte afferenti alla sfera di interessi<br />
dell'ente”, ovvero “ispirate a strategie finalizzate ad ottenere<br />
benefici e vantaggi – anche solo mediati – per l'ente medesimo”.
Il “vantaggio” è dal giudice considerato “criterio naturalmente più<br />
idoneo – in caso di reati colposi – a fungere da indice di<br />
collegamento tra ente e illecito”, ai fini dell'accertamento della<br />
responsabilità amministrativa da reato. In concreto, per accertare<br />
la sussistenza di tale indice in relazione ai reati in oggetto, è<br />
necessario che la condotta dell'agente sia espressione di una<br />
politica d'impresa volta alla “svalutazione della gestione in<br />
materia di sicurezza”;<br />
il soggetto deve agire per conto dell'ente attraverso “sistematiche<br />
violazioni di norme cautelari”, con conseguente ottimizzazione dei<br />
profitti ed abbattimento di costi e spese per l'adozione ed<br />
attuazione dei presidi antinfortunistici.<br />
Il giudice sottolinea dunque la necessità di operare un<br />
accertamento caso per caso, evitando di ravvisare l'interesse o<br />
vantaggio in re ipsa, ossia nel mero avvenimento del fatto lesivo<br />
nello svolgimento di un'attività di impresa.<br />
Nel caso di specie, il reato commesso dai datori di lavoro di X e W<br />
“trova fondamento induttivo nell'interesse o vantaggio di<br />
quest'ultime che, non adottando le indispensabili iniziative volte<br />
a prevenire il rischio di investimento ferroviario, riducevano ed<br />
evitavano i costi degli interventi strumentali necessari [...],<br />
velocizzavano i tempi e ritmi del ciclo produttivo, evitavano i<br />
disagi organizzativi e l'utilizzo del tempo per lo svolgimento<br />
dell'attività di coordinamento e cooperazione, riducevano i costi<br />
per la formazione e l'informazione del personale”. Che si trattasse<br />
di “intenzionale e meditata elusione della questione organizzativa<br />
e prevenzionale, deliberatamente sacrificata in favore di un<br />
sistema imprenditoriale che fosse il più economico ed attento ai
isultati in termini di profitto”, emerge chiaramente dalla “perfetta<br />
consapevolezza del problema (rischi per l'incolumità dei lavoratori<br />
dovuti al transito imprevisto di treni), ripetutamente denunciato e<br />
comprensibile sul piano delle prevedibili implicazioni”.<br />
Recentemente, con una sentenza del 4 luglio 2011, il Tribunale di<br />
Cagliari ha determinato con ancora maggior precisione, l'ambito<br />
della responsabilità dell'ente per i delitti colposi di cui all'art. 25<br />
septies d. legisl. 231/01.<br />
Nella citata pronuncia il Giudice ribadisce che il criterio di<br />
imputazione dell'interesse e del vantaggio deve essere rapportato<br />
alla condotta, più che all'evento del reato.<br />
Ma non solo: i due requisiti possono anche non coesistere. Basta,<br />
infatti,. La sussistenza dell'interesse, inteso come elemento<br />
caratterizzante una condotta finalisticamente determinata. Si<br />
precisa, ulteriormente, che l'ambito delle condotte colpose<br />
rilevanti deve essere limitato, perchè l'interesse delle persona<br />
giuridica si deve sostanziare in una condotta consapevole e<br />
volontaria: con ciò escludendo, ad esempio, tutte le ipotesi di<br />
semplice imperizia.<br />
Ed ancora: la volontarietà della condotta non deve derivare da<br />
una semplice sottovalutazione dei rischi o da una cattiva<br />
considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma deve –<br />
oggettivamente – rivelare una tensione finalistica verso un<br />
obiettivo di risparmio di costi aziendali.
Cenni all'applicazione della normativa ex d. legisl. 231/01<br />
nei confronti delle P.M.I.<br />
Per concludere questo intervento, sembra ora necessario chiarire<br />
quale sia la posizione delle P.M.I. in relazione al sistema<br />
normativo di riferimento.<br />
Perchè prendere in considerazione le P.M.I. in sé e per sé<br />
considerate?<br />
Il discorso ha un senso se si pone mente al fatto che, negli ultimi<br />
lustri, si è assistito ad un trend di progressivo intervento, nelle<br />
imprese di grandi dimensioni, al fine di attuare, nei vari ambiti<br />
produttivi o di servizi, un sempre più incisivo controllo interno.<br />
Si pensi, ad esempio, ai controlli interni “spontanei” (non indotti<br />
dalla normativa 231/01) che numerose società hanno dovuto<br />
adottare in materia di salute e sicurezza sul lavoro a seguito<br />
dell'introduzione, nel nostro sistema legislativo del T.U. 81/08,<br />
con particolare riferimento all'art. 30 dello stesso T.U., che<br />
prevede una vera e propria<br />
presunzione di conformità dei sistemi gestionali della sicurezza, se<br />
redatti secondo le linee guida BS OHSAS o UNI INAIL.<br />
Si pensi, inoltre, alle tematiche delle frodi in commercio di<br />
prodotti alimentari, ed alla necessità, per le imprese, di dotarsi di<br />
un valido HACCP.<br />
Si pensi, infine, a tutto quel florilegio di reati di possibile<br />
commissione all'interno di Banche ed organizzazioni finanziarie.<br />
Insomma, una cosa appare evidente: al di là dell'introduzione del<br />
d. legisl. 231/01, si è assistito, nei precedenti anni, alla<br />
predisposizione di controlli interni per scongiurare una gestione<br />
societaria fallace.
Da questo panorama, le P.M.I. sono, effettivamente, rimaste a<br />
lungo escluse. Vuoi perché si tratta di aziende per la maggior<br />
parte familiari, vuoi perché si pensa che i sistemi di protezione<br />
costituirebbero costi sproporzionati rispetto ai ricavi.<br />
Oggi, con la normativa di cui al d. legisl. 231/01, la situazione<br />
pare essere cambiata per alcuni ordini di ragioni.<br />
1. In primo luogo, il rapporto di immedesimazione organica che<br />
sussiste tra il vertice aziendale e l'impresa, nelle P.M.I. Si<br />
caratterizza per essere particolarmente stringente. Ciò comporta<br />
che, per l'impresa, sia molto difficile uscire dal processo grazie<br />
alla clausola di cui all'art. 5 del decreto (che prevede: “L'ente non<br />
risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito<br />
nell'interesse esclusivo proprio o di terzi. “ - e le “persona indicate<br />
nel comma 1” sono i soggetti in posizione apicale), e che, quindi,<br />
si renda assolutamente necessario provare l'adozione e l'efficace<br />
attuazione di un Modello organizzativo.<br />
2. In secondo luogo, si può dire che un unico soggetto (OdV), con<br />
competenze specifiche relative al settore di esercizio dell'impresa,<br />
possa costituire un notevole risparmio di costi rispetto<br />
all'attribuzione a diversi soggetti (responsabile qualità, rspp,<br />
reaponsabile area finanziaria etc...) di diverse responsabilità, con<br />
conseguente, cospicuo alleggerimento della struttura di controllo.
3. Si consideri, poi che, in ossequio ad una recente sentenza della<br />
Corte di Cassazione (Cass. Pen. Sez. 6, 9 luglio 2009, n. 36083),<br />
in presenza dei presupposti richiesti dalla legge (l'essere stato<br />
commesso un reato presupposto, l'esserlo stato dai soggetti di cui<br />
all'art. 5 del decreto, l'interesse, o il vantaggio, della società) si<br />
può individuare la rimproverabilità dell'ente nella sola mancata<br />
predisposizione del modello organizzativo.<br />
4. Lo spettro dei c.d. “reati presupposto”, a seguito delle<br />
modifiche apportate al “catalogo” nel 2007, in tema di sicurezza,<br />
e nel 2011, in tema ambientale, si è progressivamente ampliato,<br />
fino a comprendere fattispecie che vanno ad interessare<br />
profondamente l'attività di numerose P.M.I. del tessuto industriale<br />
emiliano.<br />
5.<br />
Qualche esempio: il reato presupposto di frode in commercio può<br />
essere commesso, e facilmente, sia in tutte le imprese, siano<br />
piccole, medie, o grandi, che producono maglieria, che in quelle<br />
che producono aceto.
Per non parlare, evidentemente, delle fattispecie di omicidio<br />
colposo e lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle<br />
norme sulla salute e sulla sicurezza negli ambienti di lavoro.<br />
Per concludere, appare chiaro che, anche con riferimento alle<br />
P.M.I., la redazione di un sistema di protezione ex d. legisl.<br />
231/01, si deve considerare come un investimento, atto a<br />
prevenire le pesantissime sanzioni pecuniarie ed interdittive che il<br />
d. legisl. 231/01 prevede. A ciò si aggiunga che, il modello<br />
efficacemente attuato, con l'ausilio di un OdV professionale, può<br />
costituire un risparmio cospicuo di costi per l'impresa.