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identità ed economia della presenza

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Draga Rocchi<br />

Identità <strong>ed</strong> <strong>economia</strong> <strong>della</strong> <strong>presenza</strong> in Martin Heidegger<br />

Premessa<br />

Fino a che punto il “paradigma economico” opera all’interno dei<br />

principi <strong>della</strong> metafisica – in primis il principio di <strong>identità</strong> – intesa,<br />

secondo la celebre definizione heideggeriana, come onto-teo-logia?<br />

Il nesso ontologia/metafisica <strong>ed</strong> <strong>economia</strong> non appare in modo<br />

esplicito nel pensiero di Heidegger, eppure sembra operare, in<br />

maniera infaticabile, dall’interno del suo tentativo di cogliere<br />

l’essenza <strong>della</strong> metafisica e di oltrepassarla. Sulla base di questo<br />

assunto iniziale è possibile rintracciare, proprio in Heidegger, la<br />

radice di una nuova interrogazione del tema dell’economico.<br />

Se, infatti, l’economico va, innanzitutto, cercato nell’ontologico e<br />

quest’ultimo non è altro che il risultato del pensare metafisico, la<br />

ricerca heideggeriana, volta a cogliere l’essenza di questa tradizione,<br />

si offre come terreno fertile sul quale poter lavorare, dal momento<br />

che la messa in luce di ciò che è e di come è metafisica, potrà permettere<br />

di determinare anche l’essenza dell’economico.<br />

Più in particolare, l’approfondimento <strong>della</strong> nozione<br />

heideggeriana di <strong>identità</strong> appare offrire all’idea di “<strong>economia</strong>” una<br />

delle possibilità più radicali di riquestionamento <strong>della</strong> propria<br />

origine.<br />

La coappartenenza celata nell’<strong>identità</strong><br />

Del concetto di <strong>identità</strong> si danno tre accezioni fondamentali: 1)<br />

l’<strong>identità</strong> come l’unità <strong>della</strong> sostanza, (Aristotele); 2) l’<strong>identità</strong> come<br />

sostituibilità (Leibniz); 3) l’<strong>identità</strong> come convenzione (Waismann).<br />

322


HEIDEGGER<br />

La prima definizione è di matrice aristotelica. Nella Metafisica,<br />

Aristotele afferma:<br />

«In senso essenziale, le cose sono identiche nello stesso senso in<br />

cui sono uno, giacché sono identiche quando è una sola la loro<br />

materia o quando è una la loro sostanza. È quindi evidente che<br />

l’<strong>identità</strong> è in qualche modo un’unità, sia che l’unità si riferisca a più<br />

cose sia che si riferisca a un’unica cosa, assunta come due: come<br />

avviene quando si dice che la cosa è identica con se stessa» 1 .<br />

L’unità <strong>della</strong> sostanza e <strong>della</strong> definizione che la esprime è, per<br />

Aristotele, il significato dell’«<strong>identità</strong>».<br />

La seconda definizione è quella di Leibniz che avvicina l’<strong>identità</strong><br />

al concetto di uguaglianza: identiche sono le cose che possono<br />

sostituirsi l’una all’altra salva veritate. La terza definizione è quella<br />

per cui l’<strong>identità</strong> può essere stabilita e riconosciuta sulla base di un<br />

qualsiasi criterio convenzionale.<br />

Il riconoscimento esplicito dell’<strong>identità</strong> come principio logico e<br />

ontologico fondamentale, accanto a quello di contraddizione e del<br />

terzo escluso, risale storicamente al pensiero di Wolff, il quale<br />

parlava di un “principio di certezza”, derivandolo dal principio di<br />

contraddizione. Nella sua Ontologia (1729), Wolff scrisse che è<br />

impossibile che una stessa cosa insieme sia e non sia e che, dunque,<br />

ogni cosa, mentre è, è.<br />

La m<strong>ed</strong>itazione heideggeriana sulla questione dell’<strong>identità</strong> sembra<br />

prendere le mosse da tutta la tradizione metafisica, per arrivare dal<br />

“principio” (Satz), come asserzione sull’<strong>identità</strong>, al salto nella<br />

“provenienza essenziale” (Wesensherkunft) dell’<strong>identità</strong> stessa. Sotto<br />

questa luce va letta la frase conclusiva <strong>della</strong> conferenza del giugno<br />

del 1957, Il principio di <strong>identità</strong>: «Solo se ci rivolgiamo pensando<br />

verso ciò che è già stato pensato, ci troviamo ad esser volti al<br />

servizio di ciò che ancora è da pensare» 2 . L’<strong>identità</strong>, raccolta dal<br />

pensiero metafisico nella formula A = A, indica una legge suprema<br />

del pensiero. Con essa non è chiamato in causa alcun tipo di<br />

uguaglianza – del genere A è uguale a un’altra A – altrimenti ci<br />

troveremmo di fronte a una mera tautologia.<br />

Con l’identico il pensiero non allude all’“uguale” (das Gleiche),<br />

323


PARTE SECONDA<br />

ma allo “stesso” (das Selbe): confondere questi due termini significa<br />

perdere di vista l’essenziale, ossia il fatto che nell’uguale scompare la<br />

diversità e che, invece, nello stesso, la diversità appare e si rende<br />

manifesta. La formula A = A non afferma soltanto che ogni A è se<br />

stessa, ma che, con se stessa, ogni A è essa stessa se stessa.<br />

Nell’“<strong>identità</strong>” (Selbigkeit) emerge un “con”, una m<strong>ed</strong>iazione, un<br />

collegamento, una tendenza all’unità, in base ai quali ogni cosa è<br />

restituita a se stessa, è con sé. Questo “con” mette in luce un tendere<br />

verso l’unità, una relazione all’interno dello “stesso”. La metafisica<br />

non ha visto il carattere m<strong>ed</strong>iato dell’<strong>identità</strong>, obliando la relazione<br />

originaria dell’identico con sé. Ascoltando col pensiero la formula A<br />

è A è possibile cogliere, in questo “è”, un’indicazione circa il modo in<br />

cui l’ente è, ossia una determinazione <strong>della</strong> sua essenza. La questione<br />

dell’<strong>identità</strong>, a ben v<strong>ed</strong>ere, parla a partire dall’essere dell’ente.<br />

Nel frammento 3 di Parmenide, per la prima volta nel pensiero<br />

occidentale, l’essere dell’ente perviene al linguaggio: «lo stesso è il<br />

pensare e l’essere». Cose differenti – il pensare e l’essere – sono<br />

dette “lo stesso” (das Selbe). Qui ancora, l’<strong>identità</strong> non appartiene<br />

all’essere, come vorrebbe il resto <strong>della</strong> tradizione metafisica:<br />

dunque, questa sentenza si offre come luogo originario dell’emergere<br />

stesso del problema dell’<strong>identità</strong>, come un “enigma” (Rätsel),<br />

nel quale è detto l’apparire dell’<strong>identità</strong>, senza essere spiegato, al<br />

conoscere, il suo significato.<br />

Molto prima che un principio di <strong>identità</strong> venga formulato,<br />

l’<strong>identità</strong> stessa parla di sé, dall’interno del coappartenersi di essere e<br />

pensare. Questo coappartenersi è reso possibile, a sua volta,<br />

dall’appartenere dell’essere e del pensare a uno stesso. Mentre la<br />

metafisica, più tardi, pensa l’<strong>identità</strong>, rappresentandosela come un<br />

“tratto fondamentale” (Grundzug) dell’essere dell’ente, il frammento<br />

di Parmenide sembra far riferimento a un essere da intendere,<br />

assieme al pensare, come un “tratto” (Zug) dell’<strong>identità</strong>. La<br />

Zusammengehörigkeit indica la “appartenenza” (Gehörigkeit) di cose<br />

diverse a uno stesso ambito che le fa essere “insieme” (zusammen).<br />

L’accezione corrente che si dà a questo tema dell’appartenenza e<br />

che deriva dalla considerazione del gehören a partire dallo<br />

Zusammen, è quella dell’essere pr<strong>ed</strong>isposto per l’ordine di un<br />

insieme, dell’avere in esso un posto, in vista dell’unità del sistema:<br />

324


HEIDEGGER<br />

unità che è regolata da un tratto principale, capace di fornire la<br />

misura sintetica <strong>della</strong> molteplicità chiamata in causa. Così inteso, il<br />

problema dell’appartenenza è risolto nella partecipazione a un<br />

ordine sistematico, economicamente rivolto all’unità, sotto l’egida di<br />

un principio pr<strong>ed</strong>ominante.<br />

La “possibilità” (Möglichkeit) prospettata da Heidegger è, invece,<br />

quella di cercare di fare esperienza dello Zusammen a partire dal<br />

gehören.<br />

Più che un “coordinamento”, lo Zusammengehören mette in<br />

gioco un reciproco appartenersi di essere e pensare e, se è vero che<br />

il pensare è un tratto distintivo dell’uomo, l’<strong>identità</strong> evoca una<br />

relazione speciale tra uomo <strong>ed</strong> essere. Questa appartenenza<br />

originaria non può essere rappresentata attraverso l’immagine di un<br />

annodamento tra due elementi che in prec<strong>ed</strong>enza sono ritenuti<br />

distinti e che vengono individuati rispettivamente come animal<br />

rationale e come Grund, fondamento.<br />

Il salto del pensiero è l’ingresso nell’“ambito” (Bereich) entro il<br />

quale uomo <strong>ed</strong> essere si sono già da sempre raggiunti e consegnati<br />

alla “costellazione” (Konstellation) che li comprende. Si tratta di<br />

riuscire a cogliere questo “fare-proprio” (eignen).<br />

«L’Er-eignis è l’ambito – ambito dotato di oscillazioni sue proprie<br />

– attraverso il quale uomo <strong>ed</strong> essere si raggiungono a vicenda nella<br />

loro essenza, ottengono ciò che per loro è essenziale e perdono,<br />

intanto, quelle determinazioni che la metafisica ha loro conferito.<br />

Pensare l’evento (Ereignis) come Er-eignis significa lavorare presso il<br />

cantiere in cui questo ambito dotato di oscillazioni sue proprie viene<br />

costruito». 3<br />

Questo “ambito” (Bereich) è l’impensato <strong>della</strong> metafisica e il da<br />

pensare nell’emergere del problema dell’<strong>identità</strong>. Mentre l’Ereignis<br />

non ha nulla a che fare con l’<strong>identità</strong>, l’<strong>identità</strong> è una “proprietà”<br />

(Eigentum) dell’Er-eignis, dal momento che essa trae origine da quel<br />

lasciar essere la coappartenenza di essere e pensiero, che fa<br />

dell’essere un tratto dell’<strong>identità</strong>. L’<strong>identità</strong>, riletta alla luce<br />

dell’Ereignis, perde la possibilità di venire rappresentata come un<br />

tratto fondamentale dell’essere e, di conseguenza, dismette anche le<br />

325


PARTE SECONDA<br />

vesti di principio fondamentale del conoscere.<br />

Il salto dal principio di <strong>identità</strong>, all’essenza dell’<strong>identità</strong>, lo<br />

(Zusammengehören), fino alla “provenienza essenziale”<br />

(Wesensherkunft) dell’<strong>identità</strong>, aperta dall’Er-eignis, sembra provocare<br />

una trasformazione radicale del pensare. Cogliendo la m<strong>ed</strong>iazione<br />

all’interno dell’<strong>identità</strong>, liberata dalla sua avventizia natura<br />

principiale, il pensare, tentando l’ingresso nel provenire essenziale, si<br />

pone al servizio di ciò che, nel già stato pensato, appare ancora<br />

degno di pensiero.<br />

Rinunciando a ogni tendenza alla rappresentazione dell’essenza<br />

dell’<strong>identità</strong>, il pensare sembra, radicalmente, aver aperto, con<br />

l’Ereignis, il “cantiere” <strong>della</strong> costruzione del suo stesso sorgere.<br />

L’onto-teo-logia come duplice oblio <strong>della</strong> differenza<br />

Nel lavoro intitolato La costituzione onto-teo-logica <strong>della</strong><br />

metafisica 4 , Heidegger instaura un “colloquio” (Gespräch) con<br />

Hegel, individuando, come “questione” (Sache) fondamentale del<br />

suo pensiero, il pensiero in quanto tale, «nella dispiegata pienezza<br />

dell’esser-pensato (G<strong>ed</strong>achtheit) del pensato (des G<strong>ed</strong>achten)» 5 .<br />

Tentare un colloquio con Hegel significa parlare <strong>della</strong> stessa<br />

questione che è viva nel suo pensiero, non appiattendo il discorso su<br />

un’uguaglianza di contenuto, ma lasciando emergere, proprio a<br />

partire dalla considerazione dello “stesso” (Selbe), una diversità radicale,<br />

relativa a tre aspetti fondamentali di confronto:<br />

1. La questione del pensiero (Sache des Denkens): per Hegel, è<br />

l’essere visto in rapporto all’esser-pensato dell’ente nel pensiero<br />

assoluto. Per Heidegger, è l’essere visto in rapporto alla sua<br />

“differenza” (Differenz) dall’ente.<br />

2. La misura per il colloquio con la storia del pensiero: per Hegel,<br />

è determinata dalla possibilità di cogliere l’energia, ancora valida<br />

nelle filosofie prec<strong>ed</strong>enti. Per Heidegger, si tratta di entrare in<br />

colloquio con i pr<strong>ed</strong>ecessori, cercando di ricavare nuova vitalità da<br />

tutto quello che, rimasto inquestionato, si offre ancora, con forza, da<br />

pensare. In questo senso il pensiero tramandato, più che venir<br />

326


HEIDEGGER<br />

inserito all’interno di un processo di continuo superamento di sé,<br />

deve essere messo in libertà nel suo “già-stato” (Ge-wesenes), ossia<br />

nel venire a raccolta (Ge-) di ciò che, in esso, vi è di essenziale<br />

(Wesen).<br />

3. Il carattere del colloquio con la storia <strong>della</strong> filosofia prec<strong>ed</strong>ente:<br />

per Hegel ha la forma di un “superamento” (Aufhebung), per<br />

Heidegger, si determina come il “passo indietro” (Schritt zurück).<br />

Compiere il “passo indietro” significa andare in direzione<br />

dell’impensato dalla metafisica, ossia verso quell’ “ambito” (Bereich),<br />

a partire dal quale l’essenza <strong>della</strong> verità diventa “degna di essere<br />

pensata” (denkwürdig): dall’“impensato” (Ung<strong>ed</strong>achten) a ciò che è<br />

“da-pensare” (das zu-Denkende). La differenza tra essere <strong>ed</strong> ente,<br />

<strong>della</strong> quale la verità, intesa come aletheia, ossia come gioco di<br />

velamento e disvelamento, sembra attestare l’esperienza, non è mai<br />

stata pensata dalla tradizione metafisica, pur venendo da essa<br />

esperita. Meno che mai è stata pensata la differenza come tale,<br />

ovvero l’ambito stesso dell’accadere del disvelamento.<br />

La vicenda di questo doppio oblio non deriva da una dimenticanza<br />

del pensiero umano, ma è un tratto necessario <strong>della</strong> storia<br />

dell’essere. Dal momento che questa storia ha coinciso, nel pensiero<br />

occidentale, con lo sviluppo del pensiero metafisico che, su di essa,<br />

ha eretto le proprie fondamenta, allora compiere il passo indietro<br />

significa, prima di tutto, partire dalla metafisica per incamminarsi a<br />

ritroso in direzione <strong>della</strong> sua “essenza” (Wesen) e <strong>della</strong> sua “provenienza<br />

essenziale” (Wesensherkunft): dalla differenza tra essere <strong>ed</strong><br />

ente, come “ambito” (Bezirk) di sviluppo <strong>della</strong> metafisica, all’ “ambito”<br />

(Bereich) stesso <strong>della</strong> differenza, come suo originario provenire<br />

essenziale.<br />

Se la storia <strong>della</strong> metafisica ha dispiegato il suo corso come<br />

“storia dell’illuminazione” (Lichtungsgeschichte) dell’essere, ossia<br />

come succ<strong>ed</strong>ersi delle epoche del suo venire alla <strong>presenza</strong>, all’interno<br />

del gioco del differimento tra essere <strong>ed</strong> ente, l’apertura dell’ambito<br />

di questo gioco, tentata dal passo indietro, non può avere un’unica<br />

dimensione epocale, né storica, dal momento che deve offrirsi come<br />

provenienza essenziale – a-storica – alla radice di qualsiasi epoca<br />

dell’essere. Il passo indietro indica un cammino dalla metafisica<br />

327


PARTE SECONDA<br />

all’essenza <strong>della</strong> metafisica, fino alla astoricità del suo provenire.<br />

L’essenza <strong>della</strong> metafisica presenta un duplice carattere: da un lato,<br />

essa si offre come ontologia, dall’altro come teologia. Questa doppia<br />

natura scaturisce da un’unica fonte essenziale. Agli occhi di<br />

Heidegger è possibile, proprio in virtù del compimento del passo<br />

indietro, connotare l’intera tradizione metafisica come<br />

“onto-teo-logia”.<br />

Perché la tradizione metafisica si è strutturata come onto-logia e,<br />

fin dalle sue origini, è finita per identificarsi con la teo-logia?<br />

L’approfondimento di tale questione, più che insistere su una<br />

accezione specifica del termine teologia, ha di mira il provenire <strong>della</strong><br />

costituzione onto-teo-logica <strong>della</strong> metafisica.<br />

«La metafisica pensa l’essente in quanto tale, ossia in generale. La<br />

metafisica pensa l’essente in quanto tale, ossia nella sua totalità. La<br />

metafisica pensa l’essere dell’essente tanto nell’unità di ciò che è più<br />

generale, ossia di ciò che è ovunque valido, unità che è ricerca del<br />

fondo, quanto nell’unità <strong>della</strong> totalità, ossia di ciò che sta al di sopra<br />

di tutto, unità che è fondazione giustificante» 6 .<br />

Heidegger mostra l’unica radice che dà vita alla scomposizione<br />

<strong>della</strong> metafisica in due ramificazioni principali, in realtà connesse:<br />

come pensiero dell’ente in quanto tale, ossia “in generale” (im<br />

Allgemeinen), la metafisica è ontologia; come pensiero dell’ente<br />

“nella sua totalità” (im Ganzen), la metafisica è teologia. In entrambi i<br />

casi è sotteso un problema di “unità” (Einheit): nel primo senso,<br />

come unità di ciò che, essendo più generale, è ovunque valido, nel<br />

secondo senso, come unità di ciò che sta al di sopra di tutto e che,<br />

come tale, di questo tutto può offrire giustificazione. Il problema<br />

dell’“unità” (Einheit) maschera, alla base (invece che alla radice) di<br />

entrambe queste ramificazioni, un’esigenza e una ricerca di<br />

“fondamento” (Grund): ora, sulla base di una validità generale, ora a<br />

partire da una superiorità rispetto al resto. Tutta la metafisica,<br />

considerata nella complessità <strong>della</strong> sua duplice articolazione, è un<br />

“fondare” (gründen) che rende conto del proprio fondamento e che,<br />

alla fine, chi<strong>ed</strong>e che il suo stesso fondamento si giustifichi. Rispetto<br />

alla doppia denominazione di ontologia e teologia, i prefissi<br />

328


HEIDEGGER<br />

“onto-” e “teo-”, quali principi e referenti ultimi, fanno riferimento<br />

a questa duplice esigenza di fondazione, ora nel senso dell’esistenza<br />

di un ente sommo, ora attraverso l’identificazione di questo ente<br />

sommo con un dio. Il suffisso “-logia”, comune a entrambe queste<br />

forme di fondazione, non indica tanto la logica – nel senso <strong>della</strong><br />

scienza delle regole del discorso – quanto «l’insieme di un<br />

complesso di rapporti di fondazione-giustificazione in cui gli oggetti<br />

delle scienze sono rappresentati, ossia afferrati concettualmente, in<br />

riferimento al loro fondamento» 7 . In questo modo ontologia e<br />

teologia e, dunque, la metafisica nel suo insieme, rendono conto<br />

dell’essere come fondamento dell’ente. Il suffisso “-logia” allude a<br />

quel sistema ordinato, retto da un principio, al quale Heidegger dà il<br />

nome di “costellazione” determinata del venire alla <strong>presenza</strong> e che<br />

con efficacia, Reiner Schürmann ha ribattezzato “<strong>economia</strong> <strong>della</strong><br />

<strong>presenza</strong>”, in relazione al gioco essenziale di deferimento tra essere<br />

<strong>ed</strong> ente, suggerito dall’idea <strong>della</strong> differenza ontologica, operante<br />

all’interno di tutta la storia <strong>della</strong> metafisica.<br />

La questione centrale del pensiero metafisico coincide con la<br />

ricerca del fondamento, fino a trasformarsi nella esigenza di un<br />

“fondamento primo”, presentato come causa sui, ovvero<br />

identificato come Dio. Ciò vuol dire che la metafisica non è teologia<br />

e, poi, anche ontologia, ma che essa è teo-logica proprio perché<br />

essenzialmente onto-logica e ontologica in quanto, alla radice,<br />

teologica. Dal momento che ontologia e teologia non operano<br />

all’interno <strong>della</strong> metafisica come due discipline a sé stanti, la<br />

difficoltà più grande per il pensiero risi<strong>ed</strong>e nel mettere in luce la loro<br />

“unità”. Il passo indietro si compie come possibilità di “collocare”<br />

(erörtern) la domanda sull’essenza <strong>della</strong> metafisica in direzione <strong>della</strong><br />

sua provenienza: ciò significa ripensare la differenza ontologica, a<br />

partire dall’ambito del suo darsi.<br />

Pensata fino in fondo, la differenza ontologica permette di<br />

pensare l’essere solo nella sua differenza dall’ente e, a sua volta,<br />

l’ente solo nel suo differire dall’essere. Non scindere mai essere <strong>ed</strong><br />

ente significa evitare di rappresentare la differenza come una<br />

relazione tra elementi separati, imp<strong>ed</strong>endo così di ridurre il loro<br />

originario coappartenersi a un artificio prodotto dall’intelletto. La<br />

differenza ontologica non è il risultato dell’azione del pensiero.<br />

329


PARTE SECONDA<br />

Pensare la differenza significa lasciar libera la questione del pensiero<br />

– l’essere come differenza – riaprire il pensiero a un nuovo<br />

confronto con ciò che, proprio a causa <strong>della</strong> sua così stretta<br />

vicinanza, risulta, in realtà, come il più difficile da pensare. Questo<br />

confronto con ciò che è più vicino e che, come tale, necessita di un<br />

distanziamento e di una nuova collocazione si compie nella forma di<br />

un pensare “privo di oggetto” (gegenstandslos), al di là di qualsiasi<br />

“rappresentare” (vor-stellen) e di qualsiasi “fondare” (begründen).<br />

“L’essere che è l’ente” indica un “passaggio” (Übergang) in<br />

direzione dell’ente. Questo passaggio non implica l’abbandono di un<br />

posto che, in prec<strong>ed</strong>enza, l’essere occupava per il raggiungimento di<br />

un’altra posizione. Non è in gioco una traslazione, ossia un<br />

movimento da intendersi come cambiamento di luogo, ma<br />

un’azione di disvelamento dell’ente. L’essere e l’ente sussistono<br />

differenziati a partire dallo “stesso” (Selbe): in questo “tra”<br />

(Zwischen) sono trattenuti l’uno di fronte all’altro, nel loro svelantevelante<br />

“deferimento” (Austrag). L’Austrag è il punto di trapasso<br />

dell’essere nell’ente e dell’ente nell’essere. Austragen è uno spingere,<br />

fino all’estremo dell’esaurimento, la tensione tra due termini, uniti,<br />

proprio nella convergenza <strong>della</strong> loro separazione. Nel loro differire,<br />

essere <strong>ed</strong> ente sono portati nell’ “illuminazione” (Lichtung) dell’originario<br />

rivolgersi dell’uno verso l’altro.<br />

Il modo in cui l’essere si dà è determinato dal modo in cui esso si<br />

illumina, cioè viene alla <strong>presenza</strong>. Questa modalità <strong>della</strong> <strong>presenza</strong> ha<br />

assunto nella storia <strong>della</strong> metafisica ogni volta una specifica e<br />

irripetibile “impronta destinale” (geschickliche Prägung), a cui ha<br />

corrisposto sempre una determinata interpretazione – economica –<br />

dell’ente.<br />

Il passo indietro permette di pensare la differenza ontologica,<br />

non più soltanto a partire dal gioco velamento-disvelamento, ma di<br />

pensarla in quanto tale, nella “collocazione” (Erörterung) del suo<br />

“deferimento” (Austrag): dal doppio oblio, fino al risalimento<br />

all’“ambito” (Bereich) del suo provenire essenziale. Il “deferimento”<br />

(Austrag) dà inizio alla storia <strong>della</strong> metafisica e ne domina le diverse<br />

epoche, permanendo in una dimenticanza che a sua volta si sottrae.<br />

Ripensata in termini di deferimento, la differenza tra essere <strong>ed</strong> ente<br />

evoca un rapporto di fondazione, in base al quale il fondante –<br />

330


HEIDEGGER<br />

l’essere – e il fondato – l’ente – entrano in una tensione tale per cui<br />

non solo l’essere fonda l’ente, ma l’ente stesso fonda l’essere,<br />

presentandosi al pensiero come l’“essere più essente” (das Seiendste)<br />

di tutti, in grado di raccogliere e giustificare tutto ciò che è, sotto<br />

l’egida dell’unità.<br />

«Nella misura in cui la metafisica pensa l’essente come tale nella<br />

sua totalità, essa si rappresenta l’essente guardando al differente <strong>della</strong><br />

differenza, senza prestare attenzione alla differenza come<br />

differenza» 8 .<br />

Sia che il differente si mostri come ciò che vi è di più generale –<br />

ontologia –, sia che esso si mostri come ciò che vi è di supremo –<br />

teologia – il pensiero metafisico fa scaturire la propria esigenza<br />

prioritaria di fondazione dall’incapacità di soffermarsi sulla<br />

differenza come tale e sull’ambito (Bereich) stesso del suo provenire.<br />

Identità <strong>ed</strong> <strong>economia</strong><br />

Il principio di <strong>identità</strong>, quale “legge suprema del pensiero”,<br />

fornisce il modello più importante che è all’origine dei diversi<br />

processi di fondazione, in atto in quelle che Heidegger definisce<br />

come “epoche <strong>della</strong> metafisica”. Il concetto di epoca, fin da subito,<br />

richiama su di sé il problema dell’economico. Se, da un lato,<br />

l’<strong>identità</strong>, nella veste di principio fondamentale del pensiero, si<br />

presenta come il paradigma di qualsiasi forma di potere,<br />

determinante l’ordinamento di un’epoca, dall’altro, il configurarsi di<br />

una tale unità epocale appare rispondere a criteri decisamente<br />

economici. È merito del pensiero heideggeriano aver messo in luce<br />

il «nerbo» 9 <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> metafisica, facendola coincidere con il<br />

succ<strong>ed</strong>ersi di una serie di rappresentazioni di un principio,<br />

determinante ogni singola costellazione epocale, nella forma di un<br />

“primo”, arché, a partire dal quale il mondo diventa, di volta in<br />

volta, intelligibile e governabile. È proprio Heidegger, con il suo<br />

“oltrepassamento” (Überwindung) <strong>della</strong> metafisica, a mettere in luce<br />

il meccanismo di istituzione di una certa epoca <strong>della</strong> storia<br />

331


PARTE SECONDA<br />

dell’essere, a partire da un potere razionale – principium – in grado<br />

di configurarne il senso e, allo stesso tempo, a decostruire una tale<br />

struttura, offerta dal succ<strong>ed</strong>ersi dei diversi domini principiali,<br />

rendendo impossibile, con l’Ereignis, l’ennesima produzione<br />

razionale di un ancoraggio del pensiero a un ordine determinato di<br />

fondazione.<br />

Il pensiero metafisico, sotto la maschera <strong>della</strong> razionalità, sembra<br />

aver costruito, agli occhi di Heidegger, dei sistemi di tutela. Ma, la<br />

stessa scoperta <strong>della</strong> successione dei domini metafisici viene a<br />

coincidere proprio con l’esaurirsi del loro dispiego. È come se il<br />

venire in luce dei principi primi, imperanti nelle diverse economie<br />

epocali, conducesse, con il problema dell’Ereignis, all’impossibilità<br />

dell’istituzione di una nuova epoca.<br />

La questione dell’<strong>identità</strong>, così come è riformulata da Heidegger<br />

non più, o meglio non ancora, nei termini di un principio del<br />

pensiero, si offre proprio come l’attestarsi dell’implosione di ogni<br />

forma di ordine economico. L’alba del venire alla <strong>presenza</strong>, evocata<br />

dall’Ereignis, è descrivibile come la cessazione dei principi, ordinanti<br />

le diverse costellazioni epocali, come la perdita <strong>della</strong> loro efficacia e<br />

autorità, come il venir meno del nomos e il conseguente sgretolarsi<br />

dell’oikos, propri di qualsiasi epoca.<br />

La detronizzazione del principio stesso dei principi epocali,<br />

chiamata in causa dall’Ereignis, si offre come l’inizio di un’<strong>economia</strong><br />

di passaggio, come una fase anarchica di transizione, non più e non<br />

ancora inquadrabile entro un’epoca del venire alla <strong>presenza</strong><br />

dell’essere. Qualsiasi garanzia di sistematicità, solitamente propria<br />

dell’operare metafisico, perde la sua efficacia, restituendo il problema<br />

dell’economico all’origine stessa del suo istituirsi; origine che<br />

è raccoglibile nel sintagma paradossale di “<strong>economia</strong> di transizione”,<br />

o di “principio d’anarchia” e che implica sempre il venir meno di un<br />

elemento unificante e l’idea del sussistere di una teleocrazia, ossia di<br />

una forma di “potere”, kratos, rivolta alla realizzazione di un “fine”,<br />

telos, determinato.<br />

La fenomenologia heideggeriana, decostruendo le epoche, rivela<br />

il deperimento di questi principi d’autorità e ne mette in luce tutto il<br />

carattere assicurativo. Secondo Heidegger il venire alla <strong>presenza</strong><br />

dell’essere si è sempre collocato in luoghi specifici: le diverse<br />

332


HEIDEGGER<br />

economie storiche, intese come una molteplicità di epoche (quella<br />

greca, quella latina, quella moderna e quella contemporanea <strong>della</strong><br />

tecnica). Al fine di chiarire lo stretto nesso esistente tra l’ontologico<br />

e l’economico, vale la pena di soffermarsi sulla concezione<br />

heideggeriana <strong>della</strong> storia, decisiva per la comprensione <strong>della</strong> natura<br />

essenziale del pensiero metafisico. Heidegger ritorna in più occasioni<br />

su una distinzione fondamentale: quella tra Historie e Geschichte,<br />

indicando col primo termine la storiografia e con il secondo la storia<br />

vera e propria.<br />

«La considerazione storiografica non esaurisce il rapporto<br />

possibile con la storia (Geschichte); tanto poco lo esaurisce che essa<br />

addirittura lo ostacola e lo sradica. Qualcosa di essenzialmente<br />

diverso dalla considerazione storiografica è quella che noi chiamiamo<br />

m<strong>ed</strong>itazione storica (geschichtiche Besinnung). […] La parola<br />

geschichtlich (storico) si riferisce all’accadere (Geschehen). […] La<br />

parola historisch (storiografico) si riferisce a un modo del<br />

conoscere» 10 .<br />

Mentre la storiografia appare vincolata ai fatti del passato, la<br />

m<strong>ed</strong>itazione storica sembra vincolata a quell’accadere sul cui solo<br />

fondamento i fatti divengono e sono possibili.<br />

La storiografia è la scienza che trasforma la storia in un oggetto<br />

di indagine. La storia, intesa come ciò che effettivamente accade, è<br />

legata da Heidegger alla nozione di “destino” (Geschick) inteso,<br />

soprattutto, più che come destino individuale, come destino<br />

comune, o epocale, come l’accadere dell’Esserci nell’essere assieme<br />

agli altri. Geschick è da intendere nel senso di Ge-schick, ossia<br />

dell’insieme (Ge-) di ciò che è inviato (schicken vuol dire sp<strong>ed</strong>ire,<br />

inviare). La storia essenziale <strong>della</strong> metafisica è, in questo senso, la<br />

storia degli invii dell’essere, ovvero il succ<strong>ed</strong>ersi delle diverse forme<br />

dell’accadere – economie – <strong>della</strong> <strong>presenza</strong>. Esiste, dunque, uno<br />

stretto vincolo tra l’idea di storia e il concetto di destino:<br />

«Di solito intendiamo per “destino” (Geschick) ciò che è stato<br />

determinato e decretato dalla “sorte” (Schicksal): un triste destino,<br />

un cattivo destino, un buon destino. Ma questo è un significato<br />

333


PARTE SECONDA<br />

derivato. La parola t<strong>ed</strong>esca schicken, infatti, significa originariamente<br />

preparare, ordinare, mettere qualcosa al suo posto, quindi anche<br />

disporre (einräumen), assegnare, indirizzare (einweisen); sistemare<br />

(beschicken) una casa, o una camera, significa metterla nel giusto<br />

ordine, tenerla ordinata e ben disposta. […] Nell’ambito del destino<br />

dell’essere la storia dell’essere non è pensata dalla prospettiva di un<br />

accadere caratterizzato da un decorso e da un processo. L’essenza<br />

<strong>della</strong> storia si determina piuttosto in base al destino dell’essere,<br />

all’essere in quanto destino, in base, cioè, a ciò che si destina a noi<br />

nel momento stesso in cui si sottrae. Il destinarsi e sottrarsi non<br />

sono due cose distinte, ma una stessa e unica cosa» 11 .<br />

Heidegger usa “accadere” (geschehen) per sottolineare un senso<br />

<strong>della</strong> “storia” (Geschichte) che il pensiero occidentale ha trascurato a<br />

favore dell’atteggiamento rappresentativo di fronte agli accadimenti<br />

storici, la cui realtà è data per la Historie, la storiografia. Con<br />

l’Ereignis, un ulteriore passo indietro è compiuto: non è più in gioco<br />

neppure un problema di epoche <strong>della</strong> <strong>presenza</strong>, ma l’evento stesso<br />

del venire alla <strong>presenza</strong>, la sua instaurazione originaria. L’evento non<br />

presenta più il carattere dell’accadere storico.<br />

Le costellazioni storiche degli enti appaiono come ordini situati<br />

sempre al di sotto di un principio primo ordinatore. Ma le istanze di<br />

un Primo epocale sorgono dall’oblio dell’evento del venire alla<br />

<strong>presenza</strong> e dall’incapacità di sostenere il suo carattere molteplice,<br />

irriducibile a qualsiasi ordinamento, costruito sotto l’egida dell’unità,<br />

in quanto incapace, per costituzione, di ricadere nelle coordinate<br />

dell’arché e del telos, ovvero <strong>della</strong> causalità. L’<strong>economia</strong> anarchica<br />

dell’Ereignis non può venire intesa come una nuova epoca <strong>della</strong><br />

storia dell’essere. L’Ereignis, in quanto evento dell’appropriazione,<br />

non rientra nella serie dei contrassegni, o “stampi” (Prägungen)<br />

metafisici e, dunque, elude la dipendenza economica dal controllo<br />

dei principi che governano i diversi disvelamenti epocali. L’Ereignis<br />

priva il venire alla <strong>presenza</strong> di qualunque principio.<br />

Il principio di un’epoca è ciò che le dà coesione e coerenza: è<br />

tanto il principium, ossia il fondamento che rende ragione, quanto il<br />

princeps, ovvero l’autorità che rende giustizia. L’arché è princepsprincipium,<br />

è fondamento e autorità, e, dunque, anche “origine”<br />

334


HEIDEGGER<br />

(Ursprung). Il principio instaura una determinata «<strong>economia</strong> <strong>della</strong><br />

<strong>presenza</strong>» 12 , sulla base di un codice che assicura e regola lo stabilirsi<br />

di un ordine epocale, come suo referente assoluto.<br />

In particolare con queste parole Reiner Schürmann spiega il<br />

sintagma, da lui stesso coniato, di <strong>economia</strong> <strong>della</strong> <strong>presenza</strong>:<br />

«“<strong>economia</strong>” si riferisce a ciò che Heidegger chiama costellazioni<br />

del velare-disvelare, si riferisce cioè alle costellazioni aletheiologiche,<br />

mentre “<strong>presenza</strong>” (Anwesenheit) si riferisce all’essere quale esso<br />

appare in un contesto dato, vale a dire a ciò che Heidegger chiama<br />

anche modo di essere dell’ente, onticità. La <strong>presenza</strong> è un modo<br />

storico del “venire alla <strong>presenza</strong>” (anwesen) […]. Ci sono allora<br />

molteplici economie <strong>della</strong> <strong>presenza</strong>. In quanto metafisiche, esse<br />

sono governate da un principio epocale; in quanto post-metafisiche,<br />

esse sono invece an-archiche» 13 .<br />

Il principio offusca l’evento stesso del venire alla <strong>presenza</strong>,<br />

evocato, invece con l’Ereignis, quale interregnum, ossia quale<br />

momento di vacanza di ogni forma di autorità. Infatti, occorre<br />

distinguere, da un lato, ciò che Heidegger intende come “epoca”,<br />

ossia una modalità attraverso la quale la totalità degli enti dispone se<br />

stessa, una forma determinata di <strong>presenza</strong>, in quanto ordine economico<br />

manifesto, e, dall’altro, invece, il venire alla <strong>presenza</strong> stesso,<br />

evocato dal problema dell’Ereignis. Tutta la difficoltà di cui la questione<br />

dell’economico sembra farsi carico, risi<strong>ed</strong>e nel coappartenersi<br />

di <strong>presenza</strong> e venire alla <strong>presenza</strong>, nell’Ereignis, come gioco<br />

an-archico di ap-propriazione. Tale tensione tra la <strong>presenza</strong> e il<br />

venire alla <strong>presenza</strong> è raccolta dal sintagma paradossale di<br />

“<strong>economia</strong> anarchica”, nel quale il problema dell’economico sembra<br />

implodere dall’interno, aprendo in modo radicale la possibilità di un<br />

suo ripensamento originario. Se l’origine non è il principio e, anzi,<br />

viene offuscata da esso, allora il concetto di Ursprung diviene significativamente<br />

plurale. Al pensare, opposto, in Heidegger, al conoscere,<br />

l’origine non si offre come un principium e recupera,<br />

piuttosto, il suo significato sorgivo: oriri .<br />

Questo discostarsi dell’origine dal principio permette di<br />

evidenziare la differenza tra due sintagmi, coniati da Schürmann,<br />

335


PARTE SECONDA<br />

interprete di Heidegger: uno è quello di “<strong>economia</strong> <strong>della</strong> <strong>presenza</strong>”,<br />

riferibile alle costellazioni sistematiche che compongono un’epoca,<br />

l’altro è quello di “<strong>economia</strong> del venire alla <strong>presenza</strong>” indicante<br />

l’evento. È come se l’esistenza di due economie, una epocale, legata<br />

ai principi, e un’altra anarchica, legata all’evento, come origine<br />

forzasse dall’interno il concetto stesso dell’economico fino a<br />

esaurirne il senso. È paradossalmente possibile parlare di unità<br />

economica sia in senso epocale – ovvero come unico modo <strong>della</strong><br />

<strong>presenza</strong>, valido per tutti i fenomeni possibili – sia, nel caso<br />

dell’evento, come processo unitario dello stesso venire alla <strong>presenza</strong>.<br />

È proprio quanto Schürmann sostiene nella sua definizione più<br />

generale del termine <strong>economia</strong>:<br />

«Un’<strong>economia</strong> è un sistema. In essa, talune variabili si raggruppano<br />

e funzionano, per un certo periodo, secondo una legge, un<br />

nomos. Poiché questa legge è una legge di interazione, tutte le<br />

variabili epocali sono essenzialmente pubbliche» 14 .<br />

In quanto venire alla <strong>presenza</strong>, l’origine non è un fondamento.<br />

Dire Ur-sprung, primo salto, anziché principium, significa abolire lo<br />

schema del comando e del dominio che accompagna le diverse<br />

rappresentazioni metafisiche dell’origine. La nozione di Ursprung<br />

congiunge il concetto di “esordio” (Beginn) con quello di “inizio”<br />

(Anfang). Esistono numerosi casi di nuovi esordi e di nuovi inizi, ma<br />

una sola origine.<br />

La distinzione heideggeriana tra <strong>presenza</strong> e venire alla <strong>presenza</strong> è<br />

riletta da Schürmann m<strong>ed</strong>iante la dicotomia tra l’ “originale” (das<br />

Anfängliche) e l’“originario” (das Ursprüngliche). L’“originale” (das<br />

Anfängliche) è alla base di una nuova epoca: con essa, il punto di<br />

partenza del pensiero muta in maniera tale da rinnovare la<br />

comprensione non tematizzata <strong>della</strong> <strong>presenza</strong>. In questo modo è<br />

reinterpretabile, agli occhi di Heidegger, il frammento 3 di<br />

Parmenide: «pensare <strong>ed</strong> essere sono lo stesso». Con queste parole,<br />

Schürmann mette in relazione la questione dell’<strong>identità</strong>, emersa dal<br />

frammento di Parmenide, al problema dell’<strong>economia</strong>, sotteso nella<br />

scansione epocale, data da Heidegger alla storia dell’essere:<br />

«Nei rovesciamenti <strong>della</strong> storia, diviene chiaro, fin nella vertigine che<br />

336


HEIDEGGER<br />

afferra le civiltà, che l’originale “economico”, il legein del mondo, e<br />

l’originale “esistenziale”, il legein noetico, condividono un unico e<br />

m<strong>ed</strong>esimo punto di partenza. Questa dipendenza essenziale del<br />

pensiero dalle economie resta celata finché il pensare viene descritto<br />

semplicemente come un pr<strong>ed</strong>icato di un soggetto “uomo” oppure<br />

come la facoltà che produce asserzioni su di lui. Dal punto di vista<br />

dei campi storici del passato, l’incipit di un’epoca <strong>della</strong> <strong>presenza</strong> e<br />

l’incipit <strong>della</strong> sua noesi sono un’unica e m<strong>ed</strong>esima nascita. Questa<br />

<strong>identità</strong> costituisce il fenomeno dell’“originale” nella sua completezza»<br />

15 .<br />

In questo senso l’<strong>identità</strong> tra pensare <strong>ed</strong> essere assume un volto<br />

epocale. La misura di tutte le cose non è l’uomo, bensì l’<strong>identità</strong> tra<br />

la nascita di un’epoca e la nascita di un modo di pensare. L’ “originale”<br />

è il sorgere identico di una lex delle cose e del suo logos nel<br />

pensiero. L’inizio di una lex epocale sorge da sé e il pensiero che lo<br />

raccoglie è l’automanifestazione di questa legge. Schürmann insiste<br />

molto sul senso anti-umanistico del concetto heideggeriano di<br />

nomos:<br />

«Solo in quanto l’uomo esistendo nella verità dell’essere, all’essere<br />

appartiene, dall’essere può giungere l’assegnazione di quelle consegne<br />

che devono divenire legge e regola per l’uomo. Assegnare<br />

(zuweisen) in greco si dice nemein. Il nomos non è solo la legge, ma<br />

più originariamente è l’assegnazione nascosta nella destinazione<br />

dell’essere. Solo questa destinazione può disporre l’uomo nell’essere.<br />

Solo tale disposizione è in grado di reggere e di legare. Altrimenti<br />

ogni legge resta soltanto un prodotto <strong>della</strong> ragione umana» 16 .<br />

Le leggi, in un’accezione più circoscritta, sono le risposte umane<br />

all’<strong>economia</strong> dell’essere. L’“originale” (das Anfängliche) è l’“accadimento”<br />

(Geschehen) che fonda la “storia” (Geschichte): esso,<br />

attraverso le ere, dischiude i fenomeni, mentre si occulta come fenomenicità.<br />

Si trattiene nel mentre si conc<strong>ed</strong>e, si ritrae, nel momento in<br />

cui si dona.<br />

La distinzione tra originale e originario permette di risalire nel<br />

Denkweg heideggeriano dagli “enti” (das Seiende) all’“enticità”<br />

337


PARTE SECONDA<br />

(Seiendheit) e, da qui, all’essere; o, in termini temporali, dal<br />

“presente” (das Anwesende) al suo “modo di <strong>presenza</strong>”<br />

(Anwesenheit), al “venire alla <strong>presenza</strong>” (anwesen).<br />

L’<strong>identità</strong> evenemenziale, chiamata in causa con l’Ereignis, ha un<br />

carattere “astorico o, meglio, senza destino” (ungeschichtlich, besser<br />

geschicklos). Mentre l’originale indica sempre un cominciamento<br />

epocale, l’originario allude all’emergere stesso del venire alla <strong>presenza</strong>,<br />

non implicante gli enti e assolutamente anonimo.<br />

Ciò che, per Heidegger, è veramente in gioco, con il cosiddetto<br />

“oltrepassamento” (Überwindung) <strong>della</strong> metafisica, è il tentativo di<br />

prevenire la ricaduta da una comprensione dell’origine come evento<br />

a una sua comprensione principiale.<br />

Il discorso sull’originario non produrrà mai una genealogia dei<br />

principia, capace di giustificare il governo di un qualche princeps.<br />

L’annullamento <strong>della</strong> funzione legittimante e giustificatrice <strong>della</strong> filosofia<br />

discende dal legame che Heidegger stabilisce tra l’originale e<br />

l’originario. Se la storia, contrassegnata dagli “stampi dell’essere”<br />

(Seinsprägungen), giunge a termine, l’unica posta in gioco per la filosofia<br />

sarà l’evento del venire alla <strong>presenza</strong> in quanto tale. L’originale<br />

è allora opposto all’originario come l’ultimo principio epocale: la<br />

“tecnica” (Gestell). Questa ha un carattere ambiguo: da un lato indica<br />

l’ultimo dei principi epocali e, in questo senso, non permette di<br />

pensare l’essere senza gli enti; dall’altro è il fenomeno che anticipa<br />

l’evento di appropriazione. Dalla fine degli anni Trenta, Heidegger<br />

cerca di pensare il venire alla <strong>presenza</strong> senza ricorrere più a ordini<br />

<strong>della</strong> <strong>presenza</strong>, ovvero tenta di pensare l’originario senza l’originale,<br />

l’Ereignis senza il Geschehen.<br />

La sequenza delle epoche <strong>della</strong> metafisica non è una mera<br />

successione di fatti, ma una successione di economie di fatti. Il venire<br />

alla <strong>presenza</strong> originario è tutta altra cosa rispetto ai mutamenti<br />

originali nella <strong>presenza</strong>. Heidegger, infatti, distingue l’“accadimento”<br />

(Geschehen), fondatore di “storia” (Geschichte), dall’“evento di<br />

appropriazione” (Ereignis), chiamato anche geschicklos, ovvero<br />

“senza destino”. Con l’Ereignis viene così radicalizzata anche la<br />

questione <strong>della</strong> differenza ontologica – l’essere non è un ente –,<br />

centrale nel primo Heidegger:<br />

«La difficoltà fondamentale consiste in questo, che è necessario che,<br />

338


HEIDEGGER<br />

a partire dall’Ereignis, la differenza (Differenz) ontologica sia rimessa<br />

al pensiero. Ora, però, visto dall’Ereignis, questo rapporto si mostra<br />

come il rapporto di mondo e cosa, un rapporto che dapprima<br />

potrebbe essere ancora concepito in certo modo come il rapporto di<br />

essere <strong>ed</strong> essente – ma in questo caso va perduto ciò che gli è peculiare.<br />

[…] L’Ereignis non è una nuova configurazione (Prägung)<br />

dell’essere nel quadro <strong>della</strong> storia dell’essere, ma al contrario è<br />

l’essere che appartiene all’Ereignis. […] Allora per il pensiero che<br />

prende dimora nell’Ereignis la storia dell’essere è finita» 17 .<br />

L’essenza <strong>della</strong> differenza ontologica non è mai stata capace di<br />

apparire fintanto che l’essere ha continuato a funzionare come un<br />

principio di spiegazione causale, ossia come un principio di<br />

archi-teleocrazia epocale. Rispetto a tutto l’arsenale delle rappresentazioni<br />

archi-teleocratiche, nell’Ereignis, la differenza è afferrata<br />

come uno scambio e non più come trascendenza.<br />

La dissoluzione dei referenti ultimi, prospettata dall’Ereignis, sta<br />

a significare che si è esaurito il ciclo degli enti supremamente veri e<br />

reali 18 . A questo esaurimento corrisponde la negazione pratica <strong>della</strong><br />

finalità, ossia fa eco il venir meno <strong>della</strong> f<strong>ed</strong>e nella teleologia, tipica<br />

<strong>della</strong> tradizione metafisica 19 .<br />

La negazione pratica degli scopi, sulla soglia di un’<strong>economia</strong> non<br />

fondata sui principi, non significa l’abolizione pura e semplice di<br />

qualunque rappresentazione teleologica, ma la limitazione di essa al<br />

dominio peculiare <strong>della</strong> produzione. L’evento del venire alla<br />

<strong>presenza</strong>, invece, non è riconducibile a nessun paradigma teleocratico.<br />

Con questo collasso di ogni referente regolativo, la metafisica,<br />

come storia degli invii dell’essere, si chiude e l’ingresso nell’ “evento”<br />

(Ereignis), in quanto movimento originario verso ciò che è<br />

“proprio” (eigen), oikeion, familiare, appare configurarsi come il<br />

nostos, ossia il ritorno a casa, dopo il lungo errare nel corso delle<br />

epoche.<br />

339


PARTE SECONDA<br />

1A(Met., V, 9, 1018 a 7).<br />

2AM. Heidegger, Il principio di <strong>identità</strong>, in Identità e differenza [Identität und<br />

Differenz (1955-1957), Gesamtausgabe Bd. 11, hrsg. von F-W. von<br />

Herrmann, V. Klostermann, Frankfurt a. M. 1991], tr. it. di U. M. Ugazio,<br />

«Aut Aut», n. 187-188, gennaio-aprile 1982, pp. 1-38.<br />

«Aut-Aut» (1982), n. 187-188, pp. 4-16.<br />

3AIbidem.<br />

4AM. Heidegger, La costituzione onto-teo-logica <strong>della</strong> metafisica, in Identità<br />

e differenza, cit., pp. 17-37.<br />

5AIvi, p. 17.<br />

6AIvi, pp. 2-37.<br />

7AIvi, p. 27.<br />

8AM. Heidegger, La costituzione onto-teo-logica <strong>della</strong> metafisica, cit., pp.<br />

17-37.<br />

9AL’espressione è contenuta in un testo che ha giocato un ruolo<br />

decisivo nelle presenti analisi, in particolare in merito al nesso <strong>economia</strong><br />

e ontologia, rintracciabile, anche se mai esplicitato, al fondo del<br />

pensiero heideggeriano: mi riferisco al lavoro di R. Schürman, Dai<br />

principi all’anarchia. Essere e agire in Heidegger, Il Mulino, Bologna 1995,<br />

p. 30.<br />

10AM. Heidegger, Domande fondamentali <strong>della</strong> filosofia. Selezione di<br />

«problemi» <strong>della</strong> «logica» [Grundfragen der Philosophie. Ausgewählte<br />

«Probleme» der «Logik»(1937-38), Gesaumtausgabe Bd. 45, hrsg. von F-W.<br />

von Herrmann, V. Klostermann, Frankfurt a. M. 1984], <strong>ed</strong>. it. a cura di<br />

U. M. Ugazio, Mursia, Milano 1988, p. 34.<br />

11AM. Heidegger, Il principio di ragione, [Der Satz vom Grund (1955-56),<br />

Gesamtausgabe Bd. 10, hrsg. von P. Jaeger, V. Klostermann, Frankfurt a.<br />

M. 1997], <strong>ed</strong>. it. a cura di E. Volpi, Adelphi, Milano 1991.pp. 110-111.<br />

12AL’espressione si trova nel testo già citato di R. Schürmann, Dai<br />

principi all’anarchia. Essere e agire in Heidegger, Il Mulino, Bologna 1995.<br />

In particolare a questo tema è d<strong>ed</strong>icata tutta la Parte Seconda, dal titolo:<br />

La “cosa stessa” <strong>della</strong> fenomenologia: le economie del venire alla <strong>presenza</strong>,<br />

pp. 131-189.<br />

13AIvi, p. 98.<br />

340


HEIDEGGER<br />

14AIvi, p. 167.<br />

15AIvi, pag. 265.<br />

16AM. Heidegger, Lettera sull’«umanismo», in Segnavia [ Wegmarken (1919-<br />

61), Gesamtausgabe Bd.9, hrsg. von F. von Herrmann, V. Klostermann,<br />

Frankfurt a. M. 1976], a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1994, pp.<br />

311-312.<br />

17AM. Heidegger, Tempo <strong>ed</strong> essere [Zur Sache des Denkens (1962-64), Bd.<br />

14, hrsg. Von F-W. von Herrmann, V. Klostermann, Frankfurt a. M.<br />

2007], <strong>ed</strong>. it. a cura di E. Mazzarella, Guida, Napoli 1987, pp. 147-150.<br />

18AQuesto senso di “esaurimento” dell’essere sembra già echeggiare,<br />

dall’interno <strong>della</strong> tradizione metafisica, nell’approfondirsi <strong>della</strong><br />

domanda sulla morte di Dio, operato da Nietzsche, nella Gaia Scienza,<br />

m<strong>ed</strong>iante tre immagini, commentate da Heidegger in La sentenza di<br />

Nietzsche «Dio è morto»: «“Come potemmo bere il mare? Chi ci di<strong>ed</strong>e la<br />

spugna per cancellare l’intero orizzonte? Che facemmo sciogliendo la<br />

Terra dal suo Sole?”» M. Heidegger, Sentieri interrotti [Holzwege (1935-<br />

19466), Gesamtausgabe Bd. 5, hrsg. von F-W. von Herrmann, V.<br />

Klostermann, Frankfurt a. M. 1977], a cura di P. Chiodi, La Nuova Italia,<br />

Firenze 1997, pag. 239.<br />

19A«Ogni arte <strong>ed</strong> ogni indagine, e parimenti ogni azione e ogni scelta<br />

tendono ad un qualche bene» (Aristotele, Ethica Nicomachea, I, 1, 1094 a<br />

1 ss.).<br />

341

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