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Crescita dimensionale e qualitativa delle imprese venete - Sito Siav

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PARTE I<br />

Altri contributi teorici si sono soffermati, invece, sulle capacità produttive intrinseche<br />

alle <strong>imprese</strong>. Ad esempio, Jovanovic (1982) ha teorizzato che esse sarebbero un<br />

fattore esogeno, che le <strong>imprese</strong> stesse scoprono gradualmente durante la loro vita e<br />

da cui dipenderebbero le dimensioni <strong>delle</strong> singole <strong>imprese</strong> e la loro distribuzione.<br />

Hopenhayn (1992), invece, ha costruito un modello secondo cui le capacità produttive<br />

<strong>delle</strong> <strong>imprese</strong> sono loro note, ma sono soggette a shock stocastici nel corso del tempo.<br />

Infine Ericson e Pakes (1995) e Pakes e McGuire (1994) hanno endogenizzato le<br />

capacità produttive <strong>delle</strong> <strong>imprese</strong>, considerate come determinate stocasticamente dalle<br />

scelte d’investimento <strong>delle</strong> <strong>imprese</strong>. D’altro canto Lucas (1978) ha elaborato<br />

un’intuizione di Manne (1965) secondo cui la distribuzione della dimensione <strong>delle</strong><br />

<strong>imprese</strong> sarebbe il risultato di quella dell’abilità dei loro manager, che sarebbe<br />

connessa positivamente con l’intensità di capitale dell’economia e con la sua<br />

ricchezza. Di conseguenza, primo, a manager di abilità superiore corrisponderebbero<br />

<strong>imprese</strong> di dimensioni più grandi e viceversa; secondo, alla maggiore abilità dei<br />

manager corrisponderebbe una maggiore rapporto capitale/lavoro e un più alto<br />

prodotto pro capite.<br />

Al di là <strong>delle</strong> specifiche formalizzazioni analitiche, è chiaro che questi contributi hanno<br />

in comune l’idea per cui ciascuna impresa avrebbe un proprio motore interno di<br />

crescita e che sarebbero le differenze tra le varie caratteristiche interne all’impresa a<br />

determinarne la futura crescita o assenza di crescita.<br />

L’attenzione alle economie interne all’impresa è condivisa anche da Steindl (1952),<br />

secondo il quale: “Se certe economie di costo sono disponibili per impianti di una certa<br />

dimensione, solo quelle <strong>imprese</strong> che sono abbastanza grandi da potersi consentire<br />

l’investimento di capitale richiesto per tale impianto si potranno appropriare di quelle<br />

economie […]. D’altro canto, se ci sono economie accessibili ad impianti piccoli […]<br />

ogni impresa più grande può avvalersene”. Di conseguenza, le grandi <strong>imprese</strong><br />

guadagnerebbero saggi di profitto più alti <strong>delle</strong> piccole.<br />

4. Dalla piccola impresa alla grande corporation: un’evoluzione necessaria?<br />

Il punto di vista interno all’impresa è condiviso in parte anche da Braverman (1974),<br />

quando sostiene che “la dimensione dell’impresa capitalistica, prima dello sviluppo<br />

della moderna società per azioni, era limitata sia dalla disponibilità di capitale che dalle<br />

capacità organizzative del capitalista o del gruppo di soci, padroni dell’impresa”.<br />

Riallacciandosi alla distinzione marxiana tra centralizzazione e concentrazione del<br />

capitale, Braverman (1974) distingue tre casi di crescita <strong>dimensionale</strong> dell’impresa: un<br />

IRES VENETO – CRESCITA DIMENSIONALE E QUALITATIVA DELLE IMPRESE VENETE 26

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