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le scienze fisiche nel settecento - fisica/mente

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FISICA/<br />

MENTE<br />

LE SCIENZE FISICHE<br />

NEL SETTECENTO<br />

di Roberto Renzetti<br />

SECONDA PARTE: BOSCOVICH,<br />

D'ALEMBERT, LAGRANGE, LAPLACE<br />

8 - RUGGERO GIUSEPPE BOSCOVICH (1711<br />

- 1787)<br />

Nei paragrafi precedenti abbiamo accennato alla ce<strong>le</strong>bre<br />

argomentazione di Laplace:<br />

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Un'Intelligenza che, per un dato istante,<br />

conoscesse tutte <strong>le</strong> forze da cui è animata la


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natura e la situazione rispettiva di tutti gli esseri<br />

che la compongono, se per di più fosse abbastanza<br />

profonda per sottomettere questi dati all'analisi,<br />

abbraccerebbe <strong>nel</strong>la stessa formula i movimenti<br />

dei più grandi corpi dell'universo e dell'atomo più<br />

<strong>le</strong>ggero: nulla sarebbe incerto per essa e<br />

l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai<br />

suoi occhi.<br />

E' questo il manifesto del meccanicismo a cavallo dei<br />

secoli XVIII e XIX che illustra bene il substrato cultura<strong>le</strong> su<br />

cui lavoravano i fisici-matematici francesi di quel periodo. Su<br />

quanto ipotizzato da Newton, soprattutto <strong>nel</strong>l'Optics, la<br />

spiegazione del mondo consisteva <strong>nel</strong> ridurre tutti i fenomeni<br />

naturali al<strong>le</strong> interazioni meccaniche di particel<strong>le</strong> considerate<br />

come parti ultime della materia. Bastava, come abbiamo visto<br />

or ora per Laplace, conoscere <strong>le</strong> condizioni iniziali (posizioni e<br />

velocità) di un dato sistema di particel<strong>le</strong> per calcolarsi, con la<br />

meccanica, la sua successiva evoluzione a stati diversi in<br />

fenomeni diversi. Ed è importante notare che, con la<br />

meccanica, non era soltanto possibi<strong>le</strong> calcolarsi l'evoluzione in<br />

avanti, ma anche l'evoluzione all'indietro. Niente infatti, a<br />

partire dalla formulazione newtoniana, impediva la<br />

reversibilità dei fenomeni naturali proprio perché <strong>le</strong> equazioni<br />

della meccanica risultano simmetriche rispetto al tempo.<br />

In questo contesto particellare si inseriscono i lavori del<br />

gesuita Giuseppe Ruggero Boscovich che risultò un grande<br />

«mediatore» tra la <strong>fisica</strong> di Newton e la critica di Leibniz.<br />

Egli, il primo scienziato che dopo 100 anni fa riemergere<br />

il nome dell'Italia, nacque a Ragusa (oggi Dubrovnik), in<br />

Dalmazia, <strong>nel</strong> 1711. Nel 1726 entrò <strong>nel</strong>l’ordine dei gesuiti ed<br />

alcuni anni più tardi fu ordinato sacerdote a Roma. Iniziò i suoi<br />

studi al Col<strong>le</strong>gium Ragusinum e li proseguì al Col<strong>le</strong>gium<br />

Romanum a Roma. La sua carriera iniziò come docente al<strong>le</strong><br />

classi inferiori del Col<strong>le</strong>gium Romanum e successiva<strong>mente</strong><br />

(1740) come docente di matematica al medesimo Col<strong>le</strong>gio.<br />

Egli fu scienziato poliedrico che studiò astronomia,<br />

matematica, <strong>fisica</strong>, geodesia. Gli furono assegnati importanti<br />

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incarichi tecnici che assolse con grande perizia: la verifica<br />

della stabilità della cupola di San Pietro dopo la comparsa di<br />

alcune crepe e quella della guglia del Duomo di Milano; la<br />

consu<strong>le</strong>nza relativa alla bonifica del<strong>le</strong> pianure pontine; i<br />

prob<strong>le</strong>mi dei porti di Rimini e Savona. Partecipò, insieme a<br />

Cristoforo Maire e sotto il papato di Benedetto XIV, alla<br />

misura dell'arco di meridiano (due gradi) da Roma a Rimini al<br />

fine di definire al meglio la configurazione e <strong>le</strong> carte degli Stati<br />

pontifici. Si occupò anche di questioni diplomatiche per <strong>le</strong> sue<br />

capacità dia<strong>le</strong>ttiche, per la sua serietà ed i modi e<strong>le</strong>ganti e<br />

brillanti che a volte sapevano anche essere duri e spigolosi.<br />

Viaggiò, tra l'altro, a Vienna dove si recò e per studiare la<br />

stabilità della Biblioteca Cesarea e per dirimere del<strong>le</strong> questioni<br />

di confine tra Repubblica di Lucca e Granducato di Toscana e<br />

dove (1758) pubblicò una del<strong>le</strong> sue opere più importanti,<br />

Theoria Philosophiae Naturalis redacta ad unicam <strong>le</strong>gem<br />

virium in natura existentium (altre opere degne di nota sono:<br />

De viribus vivis -1745; De lumine - 1748; De centro gravitatis<br />

- 1751). Anch'egli passò per l'intol<strong>le</strong>ranza del<strong>le</strong> idee. Fu<br />

costretto<br />

ad abbandonare il suo insegnamento a Roma perché non erano<br />

condivise <strong>le</strong> sue idee di newtoniano in genera<strong>le</strong> e sulla<br />

costituzione della materia in particolare. Nel 1759 viaggiò in<br />

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Francia ed in Inghilterra dove fu fatto membro della Royal<br />

Society. Si recò a Costantinopoli per osservare il passaggio di<br />

Venere davanti al So<strong>le</strong> ma arrivò in ritardo. Al ritorno visitò<br />

vari Paesi dell'Est europeo e <strong>nel</strong> 1763 fu chiamato ad insegnare<br />

matematica all'Università di Pavia. Negli anni che vanno dal<br />

1763 al 1768 insegnò tra Pavia e <strong>le</strong> Scuo<strong>le</strong> Palatine di Milano.<br />

In questa città fondò l'Osservatorio astronomico di Brera, la<br />

Specola, <strong>nel</strong> qua<strong>le</strong> si occupò di<br />

Specola di Boscovich<br />

strumentazione e degli errori dovuti alla medesima<br />

(eliminazione del<strong>le</strong> aberrazioni cromatica e sferica). Venuto in<br />

contrasto con altri astronomi, lasciò Brera e, in simultanea con<br />

l'abolizione dell'ordine dei gesuiti del 1773 da parte di Papa<br />

C<strong>le</strong><strong>mente</strong> XIV, accettò di andare a lavorare a Parigi come<br />

direttore dell'Ottica della Marina. Qui ebbe molti scienziati<br />

amici che lo stimavano moltissimo ma ebbe anche scontri<br />

continui con Laplace sul metodo di determinazione del<strong>le</strong> orbite<br />

del<strong>le</strong> comete. Nel 1782 ottenne licenza di rimettere piede in<br />

Italia e, dopo un soggiorno a Bassano del Grappa dedicato alla<br />

pubblicazione della sua opera in 5 volumi Opera pertinentia ad<br />

opticam et astronomiam (1785), morì a Milano <strong>nel</strong> 1787.<br />

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Oltre a quanto detto e a quanto dirò oltre, Boscovich<br />

studiò <strong>le</strong> perturbazioni del<strong>le</strong> orbite di Giove e Saturno e della<br />

determinazione dell'orbita di Urano e si occupò di geometria<br />

sferica indagando la possibilità di geometrie non euclidee. Tra i<br />

suoi grandi meriti c'è quello di essere stato uno tra i primi<br />

grandi divulgatori dell'opera di Newton <strong>nel</strong> continente.<br />

La ricerca di Boscovich, che presenta un approccio del<br />

tutto diverso da quanto fino ad ora visto alla meccanica, partì<br />

dal proposito di determinare il centro di oscillazione dei corpi<br />

solidi. Per far questo passò attraverso lo studio dei fenomeni<br />

d'urto tra due corpi. Da alcune osservazioni empiriche (tutte di<br />

carattere qualitativo) egli iniziò a costruirsi un modello<br />

microscopico dei fenomeni in oggetto. Se l'urto tra <strong>le</strong> particel<strong>le</strong><br />

ultime che costituiscono la materia è pensato come urto tra<br />

corpuscoli duri ed estesi, allora bisogna ammettere che<br />

<strong>nel</strong>l'urto si crei una discontinuità <strong>nel</strong>la velocità e quindi <strong>nel</strong>la<br />

quantità di moto del<strong>le</strong> particel<strong>le</strong>. Detto con linguaggio moderno<br />

e supponendo l'urto unidimensiona<strong>le</strong>, all'istante in cui i due<br />

corpuscoli si urtano, il vettore velocità dovrebbe assumere, in<br />

quell'istante, due valori (se non altro due versi opposti).<br />

L'ammissione di ciò viola la <strong>le</strong>gge di continuità che impedisce<br />

si possa andare da un valore ad un altro, di una data grandezza,<br />

senza passare attraverso valori intermedi. La prima assunzione<br />

di Boscovich è quindi quella <strong>le</strong>gge di continuità, di sapore<br />

preva<strong>le</strong>nte<strong>mente</strong> euristico, che spesso era stata utilizzata da<br />

Leibniz. Per risolvere il prob<strong>le</strong>ma occorre, secondo Boscovich,<br />

sbarazzarsi dei corpuscoli estesi e duri ed ammettere una sorta<br />

di parzia<strong>le</strong> «penetrabilità» della materia. Dal<strong>le</strong> sue osservazioni<br />

risultava che "immediata<strong>mente</strong> prima del contatto [<strong>nel</strong>l'urto tra<br />

corpi solidi] <strong>le</strong> stesse velocità [di questi corpi] cominciano a<br />

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cambiare." (Da: Theoria philosophiae naturalis ...). Quindi, a<br />

distanze piccolissime, non vi deve più essere attrazione<br />

(gravitaziona<strong>le</strong>) tra corpi, ma repulsione che aumenta al<br />

diminuire della distanza tra gli stessi. Riportando ciò a livello<br />

microscopico è impossibi<strong>le</strong> pensare <strong>le</strong> ultime particel<strong>le</strong> della<br />

materia come dure ed estese. Esse, secondo Boscovich, devono<br />

essere punti (matematici), indivisibili, inestesi, dotati di inerzia<br />

ma non di massa, disseminati <strong>nel</strong> vuoto immenso. Intorno a<br />

questi punti vi è poi una sorta di atmosfera di forza, più densa<br />

man mano che ci si avvicina al punto. In questo modo<br />

Boscovich supera la difficoltà che sullo stesso prob<strong>le</strong>ma si era<br />

presentata a Leibniz (1) , sviluppando, come osserva Bertrand<br />

Russel, la monadologia in modo più logico e conseguente dello<br />

stesso Leibniz. Le azioni che poi si esercitano tra punti di<br />

Boscovich sono a distanza, di tipo cioè newtoniano, ma anche<br />

se qui c'è un esplicito richiamo a Newton, quando si dovesse<br />

formalizzare il prob<strong>le</strong>ma, non potremmo introdurre la massa e<br />

quindi in alcun modo potremmo parlare di forze alla Newton.<br />

Eppure per Boscovich non c'è materia ma forze <strong>le</strong> quali sono<br />

responsabili di quel<strong>le</strong> variazioni di velocità <strong>nel</strong>l'urto tra due<br />

corpi o tra punti inestesi, cui si accennava prima (per la verità<br />

Boscovich sostiene che "l'universo non consiste di vuoto<br />

disseminato tra la materia, ma di materia disseminata <strong>nel</strong><br />

vuoto e fluttuante in esso" ma, portando al<strong>le</strong> naturali<br />

conseguenze la sua concezione atomica, si vede bene qual fine<br />

faccia la materia).<br />

E lo stesso urto sparisce <strong>nel</strong>la meccanica di Boscovich;<br />

esso è sostituito da azioni che, avvenendo tra punti inestesi,<br />

sono sempre a distanza (tra <strong>le</strong> atmosfere di forza che si<br />

lasciano penetrare per un poco e poi, gradata<strong>mente</strong>, originano<br />

la repulsione che diventa sempre più intensa). La curva di forza<br />

(meglio sarebbe il dire: di variazione di velocità) in funzione<br />

della distanza tra punti è data dal nostro in modo da prevedere<br />

attrazioni di tipo gravitaziona<strong>le</strong> a grande distanza, che vanno<br />

con l'inverso del quadrato, e repulsioni molto intense<br />

(impenetrabilità della materia) a brevissima distanza. A<br />

distanze intermedie si hanno del<strong>le</strong> altre intersezioni della curva<br />

con l'asse del<strong>le</strong> ascisse che, <strong>nel</strong><strong>le</strong> ipotesi di Boscovich,<br />

debbono rendere conto di tutti gli altri fenomeni conosciuti<br />

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come, ad esempio: l'evaporazione di un liquido, la coesione, il<br />

gas prodotto da fermentazione di sostanze, ....<br />

Questa concezione di Boscovich, che prende <strong>le</strong> mosse da<br />

Leibniz, che si sviluppa con Newton, che è in contrasto con il<br />

meccanicismo cartesiano (che si serviva di particel<strong>le</strong> estese e<br />

dure <strong>nel</strong> tutto pieno), è in realtà un' elaborazione assoluta<strong>mente</strong><br />

origina<strong>le</strong> che Boscovich definiva un sistema che è a mezza<br />

strada tra quello di Leibniz e quello di Newton; (2) e ad essa,<br />

poiché si fonda sul concetto di forza, è stato dato il nome di<br />

«dinamismo».<br />

Il dinamismo, modello meccanicistico che si presterà bene<br />

ad una elaborazione matematica, sta a metà strada tra<br />

concezioni corpuscolari e fluidistiche; esso in qualche modo<br />

concilia il punto di vista della continuità (forze presenti<br />

dovunque) con quello della discontinuità (punti inestesi).<br />

Questa teoria dinamica di Boscovich (dinamismo fisico)<br />

fu molto ammirata ma non compresa <strong>nel</strong>la sua grandezza tanto<br />

che, per molto tempo, non fu ripresa da nessuno: anche essa<br />

aveva il difetto di essere intera<strong>mente</strong> qualitativa senza nessuna<br />

base sperimenta<strong>le</strong>. Saranno prima Schelling, quindi Faraday a<br />

riprenderla con successo: il primo inserendola in un sistema<br />

filosofico che ebbe grande influenza tra i fisici romantici ed il<br />

secondo fornendo al dinamismo una gran mo<strong>le</strong> di risultati<br />

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sperimentali che intersecarono il dinamismo con l'azione a<br />

contatto e quindi con la teoria di campo.<br />

E' interessante osservare che un altro sostenitore del<br />

dinamismo fu proprio Kant, che molto contribuì alla sua<br />

affermazione per la grande influenza più genera<strong>le</strong> che egli<br />

ebbe sul pensiero filosofico e scientifico dell' '800.<br />

Nonostante quindi i grandi successi dei fisici - matematici<br />

francesi, <strong>le</strong> prime istanze critiche, che erano state di Leibniz e<br />

di Berke<strong>le</strong>y, si facevano avanti ed andavano a mettere in<br />

discussione proprio i fondamenti della meccanica stessa.<br />

Questo bisogno di critica dei fondamenti era stato tra l'altro<br />

esplicita<strong>mente</strong> manifestato da Kant nei suoi Primi principi<br />

metafisici della scienza della natura (1786). Secondo Kant<br />

occorre far avanzare la discussione sui principi della meccanica<br />

ben oltre la loro accettazione acritica a priori. Bisogna arrivare<br />

fino ai concetti base su cui l'intera meccanica poggia. (3)<br />

Osservo a margine che siamo alla fine del XVIII secolo. La<br />

formulazione di queste istanze critiche coincide, da una parte,<br />

con la decadenza dell'Illuminismo (4) e, dall'altra, con<br />

l'emergere della Germania che va, via via, a collocarsi al<br />

centro del pensiero filosofico europeo. Il primo movimento di<br />

rottura con il pur evanescente Illuminismo tedesco è quello<br />

dello Sturm und Drang. Gli appartenenti ad esso (gli sturmer)<br />

ebbero molto in comune con gli illuministi, soprattutto divisero<br />

con loro la dura condanna per l'ancien regime, l'interesse per la<br />

natura e lo spirito laico; <strong>nel</strong> contempo, però, si distaccarono<br />

radical<strong>mente</strong> da essi <strong>nel</strong> sostituire la categoria del 'genio' a<br />

quella della 'razionalità'. Ma l'autentico superamento<br />

dell'Illuminismo tedesco sarà rappresentato dal criticismo<br />

kantiano. Kant, che si muoveva all'interno dell'Illuminismo<br />

(essendone un appassionato difensore), si impadronì del<strong>le</strong><br />

esigenze di razionalità di esso, studiò i fondamenti di tali<br />

esigenze ed arrivò a scoprirne i limiti.<br />

9 - JEAN LE ROND D'ALEMBERT (1717 -<br />

1783)<br />

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D'A<strong>le</strong>mbert nacque <strong>nel</strong> 1717 a Parigi da una relazione<br />

il<strong>le</strong>gittima tra la famosa donna di <strong>le</strong>ttere madame Claudine<br />

Guérin de Tencin ed il cavaliere Louis-Camus Destouches,<br />

genera<strong>le</strong> d'artiglieria. Per ordine della madre fu abbandonato da<br />

un servo sui gradini di una cappella contigua ad una del<strong>le</strong> torri<br />

di Notre Dame, quella di Saint Jean Le Rond, da cui il suo<br />

nome. Fu portato in un orfanatrofio ma suo padre riuscì a<br />

trovarlo e, pur non riconoscendolo, lo fece adottare, in cambio<br />

di una rendita, alla moglie di un vetraio, Madame Rousseau,<br />

con la qua<strong>le</strong> Jean vivrà fino ai 50 anni e che riconoscerà<br />

sempre come sua vera madre. Con la piccola pensione che il<br />

padre dette a Jean, egli iniziò i suoi studi prima in forma<br />

privata e poi, a partire dai 12 anni, al giansenista Collège des<br />

Quatre Nations, fondato da Mazzarino. Fu uno studente<br />

brillante che, dopo aver preso il diploma di scuola superiore<br />

(baccalauréat en arts) <strong>nel</strong> 1735, proseguì gli studi alla Scuola<br />

di Diritto, iscrivendosi con il cognome che aveva, Daremberg,<br />

che fece cambiare in D'A<strong>le</strong>mbert, divenendo avvocato <strong>nel</strong> 1738<br />

ma rinunciando all'avvocatura. Si iscrisse poi a medicina ma<br />

anche qui abbandonò. Il suo interesse era per <strong>le</strong> <strong>scienze</strong> e la<br />

matematica. Nel 1739, infatti, presentò un primo lavoro di<br />

matematica all'Académie des Sciences e <strong>nel</strong> 1742 fu assunto<br />

come collaboratore <strong>nel</strong>la sezione astronomica. Appena un anno<br />

dopo pubblicò uno dei suoi lavori più importanti, il Traité de<br />

dynamique dans <strong>le</strong>quel <strong>le</strong>s lois de l'équilibre et du mouvement<br />

des corps sont réduites au plus petits nombre possib<strong>le</strong> ... e ad<br />

esso seguirono altre opere di gran rilievo: Traité de l’équilibre<br />

et du mouvement des fluides (1744);<br />

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Théorie généra<strong>le</strong> des vents (1745); Réf<strong>le</strong>xions sur la cause<br />

généra<strong>le</strong> des vents (1746); Recherches sur <strong>le</strong>s cordes vibrantes<br />

(1747); Recherches sur la précession des équinoxes (1749)<br />

oltre ad opere di carattere eminente<strong>mente</strong> filosofico. Tra queste<br />

merita particolare rilievo il Discours préliminaire<br />

all'Encyclopédie (alla qua<strong>le</strong> D'A<strong>le</strong>mbert contribuì anche<br />

scrivendo molte voci), la monumenta<strong>le</strong> opera che D'A<strong>le</strong>mbert<br />

intraprese insieme a Diderot a partire dal 1746 e che vide il suo<br />

primo tomo uscire <strong>nel</strong> 1751 (tomo <strong>nel</strong> qua<strong>le</strong> compariva il<br />

suddetto Discours préliminaire). D'A<strong>le</strong>mbert lasciò<br />

l'Encyclopédie <strong>nel</strong> 1759 per divergenze con Diderot.<br />

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Ancora <strong>nel</strong> 1746 egli fu e<strong>le</strong>tto associato di geometria<br />

all'Académie ma la sua carriera da quel<strong>le</strong> parti non fu brillante<br />

a seguito della sua comp<strong>le</strong>ta adesione al progetto<br />

dell'Encyclopédie che gli creò vari nemici, tra cui l'accademico<br />

Clairaut. In compenso, <strong>nel</strong> 1745, fu associato all'Accademia di<br />

Berlino (declinò l'invito di Federico di Prussia a dirigere<br />

l'Accademia perché: non vo<strong>le</strong>va avere un grado accademico<br />

superiore a colui che stimava come più grande matematico del<br />

tempo, Eu<strong>le</strong>r; e perché sapeva che la cosa avrebbe creato<br />

prob<strong>le</strong>mi politici in Francia) e, <strong>nel</strong> 1754, venne e<strong>le</strong>tto membro<br />

dell' Académie française della qua<strong>le</strong> dal 1772 assunse la carica<br />

di segretario a vita. Fu amico di Voltaire e Lagrange e grande<br />

ispiratore dell'Illuminismo. Anche se non arrivò a vederla, fu<br />

uno dei padri della Rivoluzione Francese. Si spense <strong>nel</strong> 1787<br />

per una malattia alla vescica, sopravvivendo di 11 anni ad una<br />

scrittrice, Julie de Lespinasse, che aveva conosciuto <strong>nel</strong> 1754 e<br />

con la qua<strong>le</strong> aveva diviso molti anni di tenera ed affettuosa<br />

compagnia. Da ateo convinto qual era la sua sepoltura fu in una<br />

fossa comune senza lapide.<br />

Quando D'ando D'A<strong>le</strong>mbert iniziò a lavorare, vi erano<br />

varie incongruenze e contraddizioni <strong>nel</strong><strong>le</strong> questioni di<br />

meccanica. D'Agostino ricorda che <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi meccaniche note a<br />

quell'epoca (1743) contenevano alcune <strong>le</strong>ggi del moto e<br />

dell'urto elaborate da Descartes, <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi di Gali<strong>le</strong>o sulla caduta<br />

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dei gravi, <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi di Huygens sulla forza centrifuga e sul<br />

pendolo composto, la conservazione della forza viva di Leibniz<br />

e la gran mo<strong>le</strong> di concetti e <strong>le</strong>ggi dei Principia di Newton. Noi<br />

oggi siamo portati a vedere solo Newton come il<br />

sistematizzatore di tutto ma non doveva essere così in un'epoca<br />

in cui tutti i contributi erano relativa<strong>mente</strong> recenti e qualche<br />

confusione poteva nascere. Pertanto doveva esservi e<br />

certa<strong>mente</strong> vi era in D'A<strong>le</strong>mbert una esigenza di ordine tra <strong>le</strong><br />

varie cose che erano state elaborate, anche su medesimi<br />

argomenti e che potevano sembrare trattazioni differenti. Nel<br />

Traité de dynamique egli inizia a fare ordine spiegandolo <strong>nel</strong>la<br />

Premessa:<br />

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Si è avuta fortuna <strong>nel</strong>l'applicare l'algebra alla<br />

geometria, la geometria alla meccanica e ciascuna<br />

di queste <strong>scienze</strong> a tutte <strong>le</strong> altre, del<strong>le</strong> quali ultime<br />

esse sono la base e il fondamento. Ma non si è mai<br />

prestata altrettanta cura <strong>nel</strong>l'opera di ridurre i<br />

principi di tali <strong>scienze</strong> al minor numero possibi<strong>le</strong> o<br />

in quella di fornir loro tutta quella chiarezza che<br />

si può desiderare. A questo proposito, la<br />

meccanica soprattutto è quella che sembra esser<br />

stata maggior<strong>mente</strong> trascurata: e così la maggior<br />

parte dei suoi principi ha dato luogo a molte<br />

questioni spinose, vuoi perché tali principi sono<br />

oscuri di per se stessi, vuoi perché essi sono<br />

enunciati e dimostrati in modo oscuro. In<br />

genera<strong>le</strong>, sino ad oggi ci si è preoccupati più di<br />

far crescere l'edificio che di far luce al suo<br />

ingresso; si è pensato maggior<strong>mente</strong> all'ampiezza<br />

dell'edificazione che a dare ai suoi fondamenti<br />

tutta la solidità che ad essi converrebbe.<br />

Io mi sono proposto, con quest'opera, di<br />

soddisfare due istanze: far retrocedere i limiti<br />

della meccanica e appianare l'accesso di<br />

quest'ultima; e il mio fine principa<strong>le</strong> è stato quello<br />

di colmare ciascuna di tali istanze, in qualche<br />

modo, per mezzo dell'altra, e cioè, non sola- .<br />

<strong>mente</strong> di dedurre i principi della meccanica da


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nozioni che siano <strong>le</strong> più chiare, ma anche di<br />

applicarli a nuovi usi; di mostrare sia l'inutilità di<br />

molti principi che sino ad oggi sono stati impiegati<br />

in meccanica, sia i vantaggi che si possono<br />

ricavare, per il progresso di questa scienza, dalla<br />

combinazione di altri; in una parola, di estendere i<br />

principi riducendoli di numero [Da Bellone,<br />

bibliografia 63].<br />

Il programma di D'A<strong>le</strong>mbert è dunque chiaro: è inuti<strong>le</strong><br />

utilizzare tanti principi dove ne occorrono pochi. Vediamone<br />

una qualche articolazione <strong>nel</strong> seguito della Premessa:<br />

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Il tempo per sua natura scorre uniforme<strong>mente</strong>, e la<br />

meccanica suppone una ta<strong>le</strong> uniformità. D'altra<br />

parte, senza conoscere il tempo in se stesso e<br />

senza averne una misura precisa, non possiamo<br />

con maggior chiarezza rappresentare il rapporto<br />

fra <strong>le</strong> sue parti se non ricorrendo al rapporto fra<br />

<strong>le</strong> porzioni di una linea retta indefinita. Orbene,<br />

l'analogia che si ha tra il rapporto fra <strong>le</strong> parti di<br />

una tal linea e il rapporto fra <strong>le</strong> parti dello spazio<br />

percorso da un corpo che si muove in modo<br />

qualsiasi può sempre essere espressa per mezzo di<br />

un'equazione: si può dunque immaginare una<br />

curva <strong>le</strong> cui ascisse rappresentano <strong>le</strong> porzioni di<br />

tempo che sono trascorse dopo l'inizio del<br />

movimento, mentre <strong>le</strong> ordinate corrispondenti<br />

designano gli spazi percorsi durante quel<strong>le</strong><br />

porzioni di tempo. [...]<br />

È allora evidente che, mediante la sola<br />

applicazione della geometria e del calcolo, diventa<br />

possibi<strong>le</strong>, senza ricorrere ad alcun altro principio,<br />

trovare <strong>le</strong> proprietà generali del movimento,<br />

essendo quest'ultimo variabi<strong>le</strong> secondo una <strong>le</strong>gge<br />

qualsiasi. Ma come accade che il movimento di un<br />

corpo segue questa o quella <strong>le</strong>gge particolare? La<br />

sola geometria nulla ci può insegnare in<br />

proposito: qui si può pensare che stia il primo


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prob<strong>le</strong>ma che appartiene immediata<strong>mente</strong> alla<br />

meccanica [Da Bellone, bibliografia 63].<br />

Da dove iniziare a cambiare, allora ? Vi è qualcosa che non<br />

torna <strong>nel</strong>la meccanica che comune<strong>mente</strong> utilizziamo ?<br />

[...] questo unico assioma, vago e oscuro, secondo<br />

cui l'effetto è proporziona<strong>le</strong> alla causa. Non<br />

esamineremo affatto se questo principio sia di<br />

verità necessaria; confesseremo soltanto che <strong>le</strong><br />

prove che sino ad ora sono state portate in suo<br />

favore non ci sembrano affatto libere da critiche:<br />

e non lo adotteremo, come qualche geometra, in<br />

veste di verità pura<strong>mente</strong> contingente, poiché ciò<br />

getterebbe in rovina la certezza della meccanica e<br />

ridurrebbe quest'ultima a non esser altro che una<br />

scienza sperimenta<strong>le</strong>; ci contenteremo di<br />

osservare che, vero o centro di dubbi, chiaro<br />

oppure oscuro, esso è inuti<strong>le</strong> per la meccanica e<br />

ne deve, di conseguenza, essere bandito [Da<br />

Bellone, bibliografia 63].<br />

E qui siamo al nocciolo del prob<strong>le</strong>ma da cui D'A<strong>le</strong>mbert<br />

prende <strong>le</strong> mosse. Su questa questione di causa ed effetto egli<br />

specificherà ancora <strong>nel</strong>la voce causa dell'Encyclopédie:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (14 of 59)23/02/2009 10.10.05<br />

Sarebbe final<strong>mente</strong> auspicabi<strong>le</strong> che i Meccanici<br />

riconoscessero che noi non conosciamo altro sul<br />

moto se non il moto stesso [...] e che <strong>le</strong> cause<br />

meta<strong>fisiche</strong> di questo moto ci sono ignote e che ciò<br />

che chiamiamo causa, anche quella [...] dell'urto,<br />

sono chiamate così solo impropria<strong>mente</strong>; ma essi<br />

sono effetti da cui derivano altri effetti.<br />

In un urto un corpo in moto ne muove un altro e di<br />

conseguenza il corpo che urta viene considerato<br />

come causa del movimento del corpo urtato. Ma è<br />

un modo improprio di esprimersi. La causa


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

meta<strong>fisica</strong>, la vera causa c'è ignota [citato da<br />

D'Agostino].<br />

E' una critica decisa al secondo principio della dinamica di<br />

Newton e, come si vede, egli accettò <strong>le</strong> definizioni newtoniane<br />

di spazio e tempo ma non accettò il fatto che la forza sia<br />

proporziona<strong>le</strong> all'acce<strong>le</strong>razione come Eu<strong>le</strong>r aveva esplicitato.<br />

Dietro questo principio vi è un qualcosa di vago, di metafisico<br />

e di oscuro (che estendono tenebre sopra una Scienza che è<br />

invece chiara di per sé), il fatto cioè che la causa deve essere<br />

proporziona<strong>le</strong> all'effetto.<br />

Natural<strong>mente</strong>, per fare critiche così pesanti, D'A<strong>le</strong>mbert<br />

ha una visione diversa della meccanica che egli basa su tre<br />

principi o <strong>le</strong>ggi del movimento. Egli dice che possiamo ridurre<br />

i Principi della Meccanica a tre, la forza d'inerzia, il moto<br />

compostoi e l'equilibrio. Seguiamo l'impostazione di<br />

D'A<strong>le</strong>mbert, aiutandoci con D'Agostino.<br />

PRIMA LEGGE DEL MOTO. E' la <strong>le</strong>gge del moto<br />

inerzia<strong>le</strong> o principio della forza d'inerzia che D'A<strong>le</strong>mbert<br />

ritiene evidente di per sé in base al principio di ragion<br />

sufficiente:<br />

Un corpo non si può mettere in moto da solo [...]<br />

ma una volta data l'esistenza del moto, la <strong>le</strong>gge<br />

più semplice che un corpo possa osservare [...] è<br />

la <strong>le</strong>gge dell'uniformità ed è per conseguenza<br />

questa la <strong>le</strong>gge che esso deve osservare [...]. Il<br />

moto è dunque uniforme per natura.<br />

Per alterare il moto di un corpo, secondo D'A<strong>le</strong>mbert, è<br />

necessario agisca o un peso o un urto. Le forze altrove invocate<br />

sono ritenute entità occulte di origine meta<strong>fisica</strong>. Da ciò<br />

discende il fatto che D'A<strong>le</strong>mbert non prenderà posizione <strong>nel</strong>la<br />

po<strong>le</strong>mica del<strong>le</strong> forze vive.<br />

Ed in termini di soli effetti (per noi è una sola ipotesi<br />

mentre per tutti i geometri è eretta a principio) egli definisce la<br />

forza acce<strong>le</strong>ratrice:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (15 of 59)23/02/2009 10.10.05


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

ϕ dt = du<br />

dove <strong>le</strong> quantità du e dt sono gli incrementi infinitesimi del<strong>le</strong><br />

velocità e dei tempi. E dopo questa prima definizione egli ce ne<br />

offre un'altra, quella della forza motrice che risulta essere il<br />

prodotto della forza acce<strong>le</strong>ratrice per la massa, senza però darci<br />

alcuna definizione origina<strong>le</strong> per quest'ultima che sembrerebbe<br />

essere un dato a priori. In tal modo, <strong>nel</strong>la Meccanica di<br />

D'A<strong>le</strong>mbert, la forza diventa una nozione derivata. In<br />

definitiva: se si conosce il moto, quel<strong>le</strong> che chiamiamo forze<br />

non sono che mere manifestazioni del medesimo moto che si<br />

possono calcolare a partire da esso.<br />

SECONDA LEGGE DEL MOTO. E' la <strong>le</strong>gge del moto<br />

composto che si ha quando un corpo in moto cambia direzione<br />

a causa di un urto contro un ostacolo fisso (in tal caso il moto è<br />

composto dal moto inizia<strong>le</strong> e da quello ricevuto dall'urto). E'<br />

anche vero il viceversa quando il moto inizia<strong>le</strong> può essere<br />

considerato come risultante dal moto assunto e da quello<br />

perduto (termine usato per indicare l'opposto di ricevuto).<br />

Nell'urto vi è un moto perduto ed uno mantenuto (si deve<br />

osservare che D'A<strong>le</strong>mbert considera i corpi come<br />

comp<strong>le</strong>ta<strong>mente</strong> rigidi e quindi esenti da rimbalzi che solo<br />

l'elasticità permette; conseguenza di questa posizione è<br />

l'assenza di conservazione dell'energia meccanica).<br />

Poiché il moto del corpo prima della collisione<br />

può essere considerato come composto del nuovo<br />

moto che egli assume o di un altro che è perduto<br />

[...] ne segue che la <strong>le</strong>gge del moto, cambiato da<br />

un qualsiasi ostacolo, dipende unica<strong>mente</strong> dalla<br />

<strong>le</strong>gge del moto distrutto da quegli stessi ostacoli.<br />

Ed osserva D'A<strong>le</strong>mbert:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (16 of 59)23/02/2009 10.10.05<br />

Alcuni <strong>le</strong>ttori potrebbero restare sorpresi dal fatto<br />

che io faccia la dimostrazione di una<br />

proposizione, così semplice in apparenza, che è<br />

parte di un caso genera<strong>le</strong> molto più comp<strong>le</strong>sso ma<br />

non si può, mi sembra, dimostrare altrimenti la


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

proposizione in oggetto che <strong>nel</strong> considerarla come<br />

un assioma incontestabi<strong>le</strong>, che l'effetto di due<br />

cause congiunte è ugua<strong>le</strong> alla somma dei loro<br />

effetti presi separata<strong>mente</strong> o che due cause<br />

agiscono congiunta<strong>mente</strong> come agirebbero<br />

separata<strong>mente</strong>, principio che non mi sembra molto<br />

evidente né molto semplice e che d'altra parte ha<br />

molto a che vedere con la questione del<strong>le</strong> forze<br />

vive e con il principio della forze acce<strong>le</strong>ratrici<br />

[...]. E' la ragione che mi ha obbligato ad evitare<br />

di farne uso, in accordo con quanto mi sono<br />

proposto all'inizio di questo Trattato e cioè di<br />

ridurre la Meccanica al più piccolo numero<br />

possibi<strong>le</strong> di principi, e di occuparmi solo di tutti<br />

quei principi che hanno a che fare con il<br />

movimento, cioè dello spazio percorso e del tempo<br />

impiegato a percorrerlo, senza farci entrare in<br />

alcun modo <strong>le</strong> forze e <strong>le</strong> cause motrici.<br />

Il secondo principio di Newton, considerato una<br />

tautologia, viene quindi enunciato da D'A<strong>le</strong>mbert in altro modo<br />

(principio di D'A<strong>le</strong>mbert), che era stato anche di Jacob II<br />

Bernouilli ma solo <strong>nel</strong> caso particolare del pendolo composto.<br />

Secondo D'A<strong>le</strong>mbert, in un sistema meccanico vincolato, deve<br />

esservi una equiva<strong>le</strong>nza tra <strong>le</strong> forze reali applicate al sistema e<br />

<strong>le</strong> forze che sarebbero necessarie se non esistessero i vincoli<br />

per dare al sistema il moto che esso ha. In tal modo <strong>le</strong> forze<br />

vincolari vengono eliminate ed i prob<strong>le</strong>mi dinamici vengono<br />

ridotti a prob<strong>le</strong>mi statici (stessi calcoli erano stati sviluppati,<br />

senza ricorso al principio D'A<strong>le</strong>mbert, anche da Eu<strong>le</strong>r).<br />

TERZA LEGGE DEL MOTO. E' la <strong>le</strong>gge che riguarda<br />

gli urti tra due masse rigide quando si muovono con velocità<br />

opposte. In caso di uguaglianza del<strong>le</strong> masse, dopo l'urto, si ha<br />

equilibrio. L'equilibrio si ha anche quando <strong>le</strong> masse dei due<br />

corpi, in moto in versi opposti, sono in ragione inversa al<strong>le</strong> loro<br />

velocità. La giustificazione di ciò risiede, per D'A<strong>le</strong>mbert su<br />

ragioni di simmetria. Ogni altro caso, per D'A<strong>le</strong>mbert può<br />

essere ricondotto a questo come pretende dimostrare studiando<br />

4 possibili casi. Ma la cosa è, in genera<strong>le</strong>, del tutto errata.<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (17 of 59)23/02/2009 10.10.05


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

Questa terza <strong>le</strong>gge serviva comunque a D'A<strong>le</strong>mbert proprio per<br />

non utilizzare il concetto di forza. Per far ciò introdusse un<br />

moto virtua<strong>le</strong> che egli considerava una tendenza al moto. In tal<br />

modo la statica diventava un caso particolare della sua<br />

meccanica dell'urto <strong>nel</strong> caso di equilibrio che si ha quando<br />

masse uguali tenderebbero a muoversi con velocità uguali ed<br />

opposte, con l'integrazione (errata) già fatta secondo la qua<strong>le</strong> è<br />

possibi<strong>le</strong> ridurre a questo tutti gli altri casi.<br />

Dal<strong>le</strong> seconda e terza <strong>le</strong>gge D'A<strong>le</strong>mbert ricava il<br />

principio che porta il suo nome e che riguarda gli urti sia che<br />

essi avvengano diretta<strong>mente</strong> sia che gli urti siano trasmessi da<br />

un corpo intermedio (ad esempio un'asta rigida o una corda<br />

non elastica). Il principio afferma che durante il moto di un<br />

qualsiasi sistema di corpi, la risultante del<strong>le</strong> forze attive è<br />

ugua<strong>le</strong> alla risultante del<strong>le</strong> reazioni cinetiche, definite come il<br />

prodotto della massa di ciascun punto per la sua acce<strong>le</strong>razione.<br />

Esso può anche essere enunciato <strong>nel</strong> modo seguente: <strong>le</strong> azioni e<br />

reazioni interne a un sistema di corpi rigidi in moto si fanno<br />

equilibrio. O anche: in ogni istante, ogni stato del moto può<br />

essere considerato come uno stato di equilibrio, qualora siano<br />

introdotte del<strong>le</strong> appropriate forze d'inerzia. O ancora: Se si<br />

considera un sistema di punti materiali <strong>le</strong>gati tra loro in modo<br />

che <strong>le</strong> loro masse acquisiscano velocità rispettive differenti a<br />

seconda se esse si muovano libera<strong>mente</strong> o solidal<strong>mente</strong>, <strong>le</strong><br />

quantità di moto acquisite o perse <strong>nel</strong> sistema sono uguali.Ed<br />

in definitiva, <strong>nel</strong> caso di un corpo vincolato (pendolo<br />

oscillante, sfera che rotola su un piano inclinato, ...) vi deve<br />

essere equiva<strong>le</strong>nza fra <strong>le</strong> forze applicate al sistema e quel<strong>le</strong> che<br />

occorrerebbero per dare al corpo vincolato il moto che ha<br />

effettiva<strong>mente</strong>, qualora non esistessero vincoli. In tal modo <strong>le</strong><br />

coordinate spaziali non risultano più indipendenti con la<br />

conseguenza che la stessa cosa accade per <strong>le</strong> equazioni<br />

differenziali che descrivono il prob<strong>le</strong>ma; <strong>le</strong> forze vincolari non<br />

producono moto ma sono effetti del moto. Egli dice:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (18 of 59)23/02/2009 10.10.05<br />

Sia dato un sistema di corpi disposti gli uni in<br />

rapporto agli altri in un modo qualsiasi;<br />

supponiamo d'imprimere a ciascuno di questi<br />

corpi un movimento particolare, che egli non


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

possa seguire a causa dell'azione degli altri corpi:<br />

trovare il movimento che ciascun corpo deve<br />

prendere.<br />

Si può sempre considerare, dice D'A<strong>le</strong>mbert,<br />

ciascuno dei movimenti a. b, c ..., impressi<br />

rispettiva<strong>mente</strong> ai differenti corpi A, B, C ...,<br />

costituenti il sistema dato, come costituito di due<br />

movimenti: a ed α, b e β, c e γ ... , in cui a, b, c ...<br />

sono i movimenti real<strong>mente</strong> seguiti, cioè i<br />

movimenti cercati e α, β, γ ... movimenti che<br />

devono distruggersi mutua<strong>mente</strong> per il fatto dei<br />

<strong>le</strong>gamenti.<br />

Ta<strong>le</strong> è la scomposizione che d'A<strong>le</strong>mbert e<strong>le</strong>va a principio:<br />

Scomporre i movimenti a, b, c ... impressi a<br />

ciascun corpo. ciascuno in altri due a, α; b, β; c,<br />

γ ... che siano tali che se si fossero impressi ai<br />

corpi soltanto i movimenti a, b, c ... essi avrebbero<br />

potuto conservare questi movimenti senza nuocersi<br />

reciproca<strong>mente</strong>; e che se non si fosse loro<br />

impresso che i movimenti α, β, γ .... il sistema<br />

sarebbe rimasto in riposo; è chiaro che a, b, c ....<br />

saranno i movimenti che questi corpi prenderanno<br />

in virtù della loro azione. Ciò che bisognava<br />

trovare.<br />

Se il principio di d'A<strong>le</strong>mbert è chiarissimo, <strong>le</strong><br />

scomposizioni al<strong>le</strong> quali egli obbliga sono spesso laboriose. Ci<br />

troviamo di fronte al<strong>le</strong> stesse difficoltà di Descartes e Leibniz<br />

perché abbiamo ancora a che fare con il sistema <strong>nel</strong>la sua<br />

totalità e non con <strong>le</strong> parti che lo compongono; perciò esso<br />

risulta insufficiente per risolvere i prob<strong>le</strong>mi generali della<br />

dinamica. Comunque il principio di D'A<strong>le</strong>mbert creò qualche<br />

illusione come realizzazione del sogno di Descartes di scrivere<br />

una meccanica basata solo su materia e moto, ed espresse la<br />

sua potenza solo <strong>nel</strong><strong>le</strong> mani di Lagrange, quando fu combinato<br />

con il principio dei lavori virtuali per dar luogo al<strong>le</strong> equazioni<br />

di Lagrange, come vedremo.<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (19 of 59)23/02/2009 10.10.05


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

Molti altri furono i contributi di D'A<strong>le</strong>mbert ed almeno ad<br />

un altro devo far riferimento. Nel<strong>le</strong> Recherches sur <strong>le</strong>s cordes<br />

vibrantes (1747) egli studiò il prob<strong>le</strong>ma del<strong>le</strong> corde vibranti<br />

riuscendo a ricondurre il fenomeno ad una equazione<br />

differenzia<strong>le</strong> che descrive la propagazione del<strong>le</strong> onde sonore<br />

per la qua<strong>le</strong> fornì anche la soluzione<br />

u = (x + t) + (x - t).<br />

dove e sono funzioni arbitrarie. Vediamo il ragionamento<br />

che D'A<strong>le</strong>mbert seguì per arrivare a ta<strong>le</strong> soluzione, pubblicato<br />

negli Atti dell'Accademia di Berlino del 1747.<br />

Egli inizia affermando che se indichiamo con p e<br />

con q, si ha:<br />

du = p dx + q dt.<br />

Ma, poiché va<strong>le</strong> l'equazione , allora p dt + q dx è<br />

ancora un differenzia<strong>le</strong> esatto che possiamo denotare con dv.<br />

Da cui<br />

E facendo i conti si ha<br />

e<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (20 of 59)23/02/2009 10.10.05<br />

dv = p dt + q dx.<br />

du + dv = (p dx + q dt) + (p dt + q dx) = (p + q)(dx<br />

+ dt),<br />

du - dv = (p dx + q dt) - (p dt + q dx) = (p - q)(dx -<br />

dt).


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

Così u + v deve essere una funzione di x + t e u - v deve essere<br />

una funzione di x - t. Possiamo quindi scrivere<br />

e<br />

Da cui<br />

u + v = 2 (x + t)<br />

u - v = 2 (x - t)<br />

u = (x + t) + (x - t).<br />

D'A<strong>le</strong>mbert osserva qui che <strong>le</strong> condizioni del prob<strong>le</strong>ma<br />

fisico di di una corda vibrante richiede che, quando x = 0, u<br />

deve annullarsi per ogni valore di t. Deve quindi risultare,<br />

identica<strong>mente</strong>:<br />

(t) + (-t) = 0.<br />

Assumendo che ambedue <strong>le</strong> funzioni possono essere sviluppate<br />

in serie di potenze di t, ciò richiede che essi devono contenere<br />

solo potenze dispari. Allora<br />

Quindi<br />

(-t) = - (t) = (-t)<br />

u = (x + t) + (x - t).<br />

Eu<strong>le</strong>r fece avanzare ulterior<strong>mente</strong> questo campo del<br />

calcolo differenzia<strong>le</strong> trovando, per l'equazione più genera<strong>le</strong><br />

che l'integra<strong>le</strong> genera<strong>le</strong> è<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (21 of 59)23/02/2009 10.10.05


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

u = (x + at) + (x - at).<br />

dove e sono funzioni arbitrarie.<br />

Posso ora passare a concludere con D'A<strong>le</strong>mbert ritornando<br />

al suo lavoro <strong>nel</strong>l'Encyclopédie ed in particolare al suo<br />

Discorso preliminare. In esso tracciò, tra l'altro, un quadro<br />

organico dei rapporti tra <strong>le</strong> varie branche della conoscenza<br />

guidato dal suo criterio di ricerca sistematica di principi<br />

sempre più generali sotto i quali riunire i risultati parziali del<strong>le</strong><br />

singo<strong>le</strong> <strong>scienze</strong>.<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (22 of 59)23/02/2009 10.10.05<br />

Per poco che si rif<strong>le</strong>tta sulla connessione che <strong>le</strong>ga<br />

fra loro <strong>le</strong> varie scoperte, è faci<strong>le</strong> accorgersi del<br />

mutuo aiuto che <strong>le</strong> <strong>scienze</strong> e <strong>le</strong> arti si prestano, e<br />

quindi della catena che <strong>le</strong> unisce. Ma se spesso è<br />

dffici<strong>le</strong> ridurre a un esiguo numero di rego<strong>le</strong> o di<br />

nozioni generali ogni singola scienza e ogni<br />

singola arte, non lo è di meno rinchiudere in un<br />

unico sistema <strong>le</strong> articolazioni infinita<strong>mente</strong> diverse<br />

della scienza umana.<br />

Il primo passo che dobbiamo fare in questa<br />

ricerca è quello di esaminare, ci si permetta una<br />

simi<strong>le</strong> espressione, la genealogia e la filiazione<br />

del<strong>le</strong> nostre conoscenze, <strong>le</strong> cause a cui si deve la<br />

loro nascita e i caratteri che <strong>le</strong> distinguono; in<br />

breve di risalire fino all'origine e alla generazione<br />

stessa del<strong>le</strong> nostre idee. [ ... ] Tutte <strong>le</strong> nostre<br />

conoscenze possiamo divider<strong>le</strong> in dirette e in<br />

rif<strong>le</strong>sse. Le conoscenze dirette sono quel<strong>le</strong> che noi,<br />

senza alcun intervento attivo della nostra volontà,<br />

riceviamo immediata<strong>mente</strong>; trovando aperte, se<br />

così ci si può esprimere, tutte <strong>le</strong> porte della nostra<br />

anima, esse vi penetrano senza trovare resistenza<br />

e senza compiere sforzo alcuno. Le conoscenze<br />

rif<strong>le</strong>sse sono invece quel<strong>le</strong> che lo spirito acquista<br />

operando sul<strong>le</strong> dirette, unendo<strong>le</strong> e combinando<strong>le</strong><br />

insieme.<br />

Tutte <strong>le</strong> nostre conoscenze dirette si riducono a


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

quel<strong>le</strong> che riceviamo attraverso i sensi; ne segue<br />

che noi dobbiamo tutte <strong>le</strong> nostre idee al<strong>le</strong><br />

sensazioni [...] la prima cosa che <strong>le</strong> nostre<br />

sensazioni ci fanno conoscere, e che neppure si<br />

distingue da esse, è la nostra esistenza. Ne<br />

consegue che <strong>le</strong> nostre prime idee rif<strong>le</strong>sse devono<br />

avere come oggetto noi stessi, cioè quel principio<br />

pensante che costituisce la nostra natura e che<br />

non è affatto differente da noi. La seconda<br />

conoscenza che noi dobbiamo al<strong>le</strong> nostre<br />

sensazioni, è l'esistenza degli oggetti esterni, fra i<br />

quali deve essere compreso il nostro stesso corpo.<br />

[...]. L'effetto che questi innumerevoli oggetti<br />

producono su di noi è così forte, così continuo e ci<br />

unisce tal<strong>mente</strong> ad essi che, passato il primo<br />

momento in cui <strong>le</strong> nostre idee rif<strong>le</strong>sse ci<br />

richiamano dentro noi stessi, <strong>le</strong> sensazioni, che ci<br />

assediano da ogni lato, ci costringono ad uscirne,<br />

strappandoci alla solitudine in cui resteremmo<br />

senza il loro intervento.<br />

E, più oltre, D'A<strong>le</strong>mbert indica la <strong>fisica</strong> come uno dei modi per<br />

avvicinarci a conoscere il mondo esterno:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (23 of 59)23/02/2009 10.10.05<br />

I primi uomini, aiutandosi l'un l'altro con <strong>le</strong> loro<br />

conoscenze, ossia con i loro sforzi separati o<br />

congiunti, sono pervenuti, forse in breve tempo, a<br />

scoprire, almeno in parte, gli usi cui potevano<br />

prestarsi i vari corpi. Avidi di conoscenze utili,<br />

dovettero in un primo tempo rifuggire da qualsiasi<br />

genere di speculazione oziosa e considerare<br />

invece rapida<strong>mente</strong>, uno dopo l'altro, i vari esseri<br />

che la natura presentava, combinandoli, per così<br />

dire, material<strong>mente</strong>, secondo <strong>le</strong> loro proprietà più<br />

evidenti e sensibili. [...]. Ma per quanto lungo<br />

possa essere stato il cammino che i primi uomini e<br />

i loro successori seppero compiere, incalzati da<br />

uno stimolo stringente quanto può esserlo quello<br />

della propria conservazione, l'esperienza e<br />

l'osservazione di questo vasto universo dovettero


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

ben presto metterli davanti a difficoltà che con<br />

tutti i loro sforzi non riuscirono a superare. La<br />

<strong>mente</strong> umana, abituata alla meditazione e avida di<br />

ricavarne qualche frutto, trovò allora una certa<br />

qual risorsa <strong>nel</strong>la pura curiosità di scoprire <strong>le</strong><br />

proprietà dei corpi: un campo di scoperte che non<br />

conosce limiti. [...] Se l'utilità non costituisce il<br />

diretto oggetto della nostra azione, essa può<br />

esserne almeno il pretesto. Ci basta di aver<br />

talvolta scoperto un rea<strong>le</strong> vantaggio in certe<br />

conoscenze che inizial<strong>mente</strong> non lo facevano<br />

supporre, per ritenere che tutte <strong>le</strong> ricerche<br />

compiute per pura curiosità potranno un giorno<br />

esserci utili. Ecco l'origine e la causa dei<br />

progressi di questa vasta scienza chiamata<br />

general<strong>mente</strong> <strong>fisica</strong> o studio della natura, che si<br />

divide in tanti settori differenti.<br />

Ma, a fianco di queste considerazioni d'interesse sullo sviluppo<br />

del<strong>le</strong> <strong>scienze</strong> che si intersecarono con quel<strong>le</strong> del<strong>le</strong> religioni e<br />

del<strong>le</strong> superstizioni (sia Diderot che D'A<strong>le</strong>mbert non spinsero<br />

troppo nei loro attacchi alla religione perché erano in regime di<br />

monarchia assoluta con la Chiesa che condivideva il potere con<br />

il sovrano), vi è anche il riconoscimento del lavoro manua<strong>le</strong>,<br />

del lavoro artigiano della classe emergente borghese, che, dai<br />

tempi di Gali<strong>le</strong>o, era sparito dal<strong>le</strong> elaborazioni degli scienziati:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (24 of 59)23/02/2009 10.10.05<br />

Il disprezzo per <strong>le</strong> arti meccaniche sembra avere<br />

colpito fino a un certo punto anche i rispettivi<br />

inventori. I nomi di questi benefattori del genere<br />

umano sono pressoché sconosciuti, mentre la<br />

storia dei suoi distruttori - va<strong>le</strong> a dire dei politici e<br />

dei conquistatori - non è ignota a nessuno.<br />

Eppure, forse, bisogna andare a cercare presso gli<br />

artigiani <strong>le</strong> più ammirevoli prove di sagacia, di<br />

pazienza, di ingegnosità. Ammetto che quasi tutte<br />

<strong>le</strong> arti sono state inventate poco a poco, e che ci<br />

sono voluti secoli perché gli orologi, ad esempio,<br />

raggiungessero l'attua<strong>le</strong> perfezione. Ma non<br />

accade lo stesso anche <strong>nel</strong><strong>le</strong> <strong>scienze</strong>? Quante


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

scoperte, che hanno reso immortali i loro autori,<br />

non erano state preparate dal<strong>le</strong> fatiche dei secoli<br />

precedenti, e spesso persino recate a un tal punto<br />

di maturità, che restava un solo passo da fare?<br />

Per restare <strong>nel</strong> campo dell'orologeria, perché mai<br />

coloro a cui dobbiamo la piramide degli orologi,<br />

lo scappamento e la ripetizione, non sono famosi<br />

quanto coloro che nei secoli hanno recato a<br />

perfezione l'algebra? D'altra parte, se debbo<br />

credere ad alcuni filosofi che non si sono<br />

vergognati di studiare <strong>le</strong> arti [meccaniche] perché<br />

la moltitudine <strong>le</strong> disprezzava, esistono macchine<br />

così complicate, fornite di parti tal<strong>mente</strong><br />

interdipendenti, che difficil<strong>mente</strong> l'invenzione è da<br />

attribuirsi a più persone. Quel genio raro, il cui<br />

nome è sepolto <strong>nel</strong>l'oblio, non sarebbe stato degno<br />

di essere accolto <strong>nel</strong> ristretto novero degli spiriti<br />

creativi, che hanno aperto strade nuove al<strong>le</strong><br />

<strong>scienze</strong>?<br />

10 - GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE (1736 -<br />

1813)<br />

Altro gigante del secolo è il piemontese Giuseppe Luigi<br />

Lagrange (in origine la Grangia poi la Grange). Il suo<br />

bisnonno era francese ma lasciò il servizio di Luigi XIV per<br />

passare al<strong>le</strong> dipendenze di Carlo Emanue<strong>le</strong> II a Torino. Sua<br />

madre era Maria Teresa Gros, figlia di un medico, e suo padre,<br />

Giuseppe Francesco Ludovico, lavorava come tesoriere<br />

dell'artiglieria del re e che portò alla rovina la famiglia per <strong>le</strong><br />

sue improvvide operazioni finanziarie (dirà più tardi il giovane<br />

Lagrange: Se fossi stato ricco non mi sarei dato al<strong>le</strong><br />

matematiche). Fu primogenito di 11 figli dei quali solo due<br />

raggiunsero la maggiore età. A soli 14 anni fu avviato a<br />

studiare da avvocato <strong>nel</strong>l'Università di Torino e divenne subito<br />

un appassionato della lingua latina. I suoi interessi si<br />

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spostarono verso la matematica dopo aver <strong>le</strong>tto un libro del<br />

famoso astronomo Hal<strong>le</strong>y. Studiò matematica e <strong>scienze</strong> sotto la<br />

guida del fisico G. B. Beccaria (occorrerebbe una grande opera<br />

di rivalutazione di questo fisico dimenticato che fece cose<br />

eccel<strong>le</strong>nti soprattutto in campo e<strong>le</strong>ttromagnetico). A soli 17<br />

anni <strong>le</strong>ggeva tranquilla<strong>mente</strong> <strong>le</strong> opere di Newton, Eu<strong>le</strong>r,<br />

Leibniz e dei Bernoulli. A 19 anni, <strong>nel</strong> 1755, iniziò a<br />

corrispondere con Eu<strong>le</strong>r al qua<strong>le</strong> comunicò alcuni suoi lavori<br />

sul calcolo del<strong>le</strong> variazioni. Nello stesso fu chiamato ad<br />

insegnare geometria <strong>nel</strong>la regia scuola di artiglieria di Torino.<br />

Due anni dopo prese parte alla costituzione della Società<br />

privata torinese, nuc<strong>le</strong>o della futura Accademia Rea<strong>le</strong> del<strong>le</strong><br />

Scienze di Torino. Stabilì una relazione epistolare con<br />

D'A<strong>le</strong>mbert del qua<strong>le</strong> divenne in seguito grande amico. Si recò<br />

a Parigi a cavallo degli anni 1763-1764, dove fu vo<strong>le</strong>ntieri<br />

ospitato da vari studiosi. L'Académie di Parigi lo premiò per i<br />

suoi studi sull'irregolarità <strong>nel</strong> moto della Luna. Quando Eu<strong>le</strong>r<br />

lasciò Berlino, raccomandò Lagrange per sostituirlo. Carlo<br />

Emanue<strong>le</strong> fu dispiaciuto ma accettò che questo grande si<br />

recasse presso la corte di Federico II di Prussia, dove ottenne la<br />

carica di direttore della classe di <strong>scienze</strong> <strong>nel</strong>l'Accademia di<br />

Berlino, che mantenne dal 1766 al 1787 quando, alla morte di<br />

Federico II, decise di accettare l'invito a Parigi di Luigi XVI<br />

dove, già in periodo rivoluzionario, divenne presidente della<br />

Commission des Poids et Mesures (1790). Fu comunque a<br />

Berlino dove Lagrange scrisse una del<strong>le</strong> sue opere più<br />

importanti, la Méchanique analytique, pubblicata <strong>nel</strong> 1788.<br />

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A Parigi, anche per la perdita recente della prima moglie<br />

(1783), sua cugina Vittoria Conti, sposata <strong>nel</strong> 1766, fu preso da<br />

profondo abbattimento: tutto lo annoiava, la vita e la<br />

matematica. Si risol<strong>le</strong>vò quando conobbe una giovinetta,<br />

Adelaide Le Monnier figlia di un suo col<strong>le</strong>ga astronomo<br />

dell'Académie, di circa 40 anni più giovane che <strong>nel</strong> 1792<br />

divenne la sua nuova compagna. Riprese a scrivere opere<br />

principal<strong>mente</strong> di matematica, ricercando formulazioni sempre<br />

più rigorose (5) . Tra queste notevoli sono <strong>le</strong> Leçons<br />

élémentaires sur <strong>le</strong>s mathématiques, données à l'Éco<strong>le</strong><br />

Norma<strong>le</strong> del 1795 (che ebbero un grandissimo successo e<br />

furono subito importate dagli Stati Uniti d'America con il titolo<br />

Lectures on E<strong>le</strong>mentary Mathematics) (6) , la Théorie des<br />

fonctions analytiques (1797) e <strong>le</strong> Leçons sur <strong>le</strong> calcul des<br />

fonctions (1806). Dal 1797, a seguito della chiusura dell' Éco<strong>le</strong><br />

Norma<strong>le</strong>, passò ad insegnare all'Éco<strong>le</strong> polytechnique che <strong>nel</strong><br />

1794 era stata fondata dal geometra Monge e dall'ingegnere<br />

idraulico Lazare Carnot come emanazione dei governi<br />

rivoluzionari.<br />

Si sarà notato che ci troviamo negli anni della<br />

Rivoluzione Francese e Lagrange arrivò a Parigi proprio un<br />

anno prima che scoppiasse. Furono anni molto difficili per<br />

Lagrange per il fatto che egli era uno straniero e proveniva<br />

dalla Prussia, uno Stato nemico della Francia. E, proprio <strong>nel</strong><br />

1793, sembrò imminente un decreto della Convenzione che<br />

avrebbe fatto arrestare tutti gli stranieri di Stati nemici. Su<br />

fortissime pressioni di Lavoisier, Lagrange fu risparmiato<br />

anche se fu lo stesso Lavoisier a perdere la testa sotto la<br />

ghigliottina <strong>nel</strong> 1794 (era un agente del<strong>le</strong> tasse, oltre che<br />

chimico eccelso) e, in questa occasione, Lagrange fece del<br />

tutto per ricambiare ma senza successo.<br />

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L'esecuzione di Lavoisier<br />

Morì <strong>nel</strong> 1813, dopo aver raccolto la grande ammirazione<br />

dello stesso Napo<strong>le</strong>one che gli conferì la Legion d'onore, lo<br />

fece Senatore e lo nominò conte dell'Impero.<br />

Come Eu<strong>le</strong>r, fu estrema<strong>mente</strong> prolifico e scrisse<br />

pratica<strong>mente</strong> su tutto e sempre in francese: astronomia,<br />

aritmetica, analisi, <strong>fisica</strong>-matematica, algebra, meccanica,<br />

calcolo del<strong>le</strong> probabilità, geometria e trigonometria. Non è il<br />

caso, <strong>nel</strong>l'economia di ciò che racconto, di trattare i suoi<br />

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elaboratissimi contributi alla meccanica analitica (chi è del<br />

mestiere sa bene in cosa consiste la lagrangiana) ma alcune<br />

cose meritano molta attenzione a partire da una sua frase della<br />

sua Méchanique analytique <strong>le</strong> cui conseguenze in alcuni<br />

matematici dei miei studi universitari mi fecero molto soffrire.<br />

Dice Lagrange:<br />

Non si troveranno figure in quest'opera: I metodi<br />

che io espongo non richiedono né costruzioni né<br />

ragionamenti geometrici o meccanici, ma<br />

sola<strong>mente</strong> operazioni algebriche soggette ad un<br />

andamento regolare e uniforme. Quelli che amano<br />

l'analisi vedranno con piacere la meccanica<br />

divenirne una nuova branca e mi saranno grati<br />

d'averne esteso così il dominio.<br />

A questo proposito osserva Forti:<br />

Se io risolvo un prob<strong>le</strong>ma con metodo geometrico<br />

non perderò mai di vista <strong>le</strong> figure date e <strong>le</strong><br />

operazioni su di esse, fino alla soluzione. Così ta<strong>le</strong><br />

soluzione si col<strong>le</strong>ga con continuità ai dati stessi,<br />

attraverso una visione chiara, spesso semplice ed<br />

e<strong>le</strong>gante.<br />

Se procedo invece analitica<strong>mente</strong><br />

(algebrica<strong>mente</strong>) dovrò indicare con simboli <strong>le</strong><br />

incognite, <strong>le</strong>gar<strong>le</strong> ad altri simboli che sprimono i<br />

dati del prob<strong>le</strong>ma, ed infine operare<br />

meccanica<strong>mente</strong> su tali simboli, tenendo conto di<br />

proprietà del<strong>le</strong> operazioni universal<strong>mente</strong><br />

riconosciute, ma dimenticando ogni significato<br />

concreto della questione, ogni possibi<strong>le</strong><br />

interpretazione dei passaggi (7) .<br />

Ed il Settecento rappresenta proprio il passaggio deciso ad<br />

una trattazione analitica dei prob<strong>le</strong>mi, trattazione che viene<br />

aperta<strong>mente</strong> rivendicata da Lagrange. Si tratta di far vivere il<br />

calcolo differenzia<strong>le</strong> di vita propria non solo<br />

indipendente<strong>mente</strong> dal<strong>le</strong> figure ma anche dall'esperimento che<br />

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verrà dopo con un tota<strong>le</strong> ribaltamento dell'impostazione<br />

gali<strong>le</strong>iana. Si osservi che siamo agli inizi della rivoluzione<br />

industria<strong>le</strong> e della specializzazione del lavoro che vede via via<br />

la separazione del fisico teorico dallo sperimenta<strong>le</strong>. La cosa si<br />

affermerà definitiva<strong>mente</strong> con i lavori di Maxwell.<br />

Entriamo ora in qualche dettaglio sull'opera di Lagrange,<br />

che divide con Eu<strong>le</strong>r il titolo di massimo matematico del<br />

Settecento, con particolare riferimento alla Méchanique<br />

analytique.<br />

Questo trattato ha una struttura genera<strong>le</strong> del tutto<br />

differente da altre opere su argomenti analoghi redatte in<br />

quegli anni. La meccanica è ora del tutto trasformata in un<br />

capitolo della matematica (e ciò era quanto si faceva all'epoca)<br />

con una particolare idea del medesimo Lagrange che intendeva<br />

la meccanica come una geometria a quattro dimensioni e<br />

l'analisi meccanica come un'estensione della geometria<br />

analitica. Da qui il nome di meccanica analitica che richiama<br />

<strong>nel</strong> nome la geometria analitica di Descartes. E come<br />

quest'ultimo <strong>nel</strong> caso del<strong>le</strong> proprietà geometriche, così<br />

Lagrange per quel<strong>le</strong> meccaniche, si propone di trovare una<br />

calzante traduzione simbolica, e quindi analitica, che accresca<br />

il rigore logico. L'opera è divisa in due parti. La prima parte è<br />

dedicata alla statica (o teoria dell'equilibrio) e la dinamica (o<br />

teoria del movimento). E ciascuna di queste parti tratterà<br />

separata<strong>mente</strong> dei corpi solidi e dei liquidi. Lo stesso<br />

Lagrange, <strong>nel</strong><strong>le</strong> Avvertenze alla prima edizione dice:<br />

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Esistono già diversi trattati di meccanica, ma lo<br />

schema del presente trattato è comp<strong>le</strong>ta<strong>mente</strong><br />

nuovo. lo mi sono proposto di ridurre la teoria di<br />

questa scienza, e l'arte di risolvere i prob<strong>le</strong>mi ad<br />

essa relativi, a del<strong>le</strong> formu<strong>le</strong> generali il cui<br />

semplice sviluppo fornisce tutte <strong>le</strong> equazioni che<br />

sono necessarie per la soluzione di ogni prob<strong>le</strong>ma.<br />

Spero che il modo in cui ho cercato di assolvere<br />

piena<strong>mente</strong> il mio proposito non lasci alcunché a<br />

desiderare.


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La presente opera avrà inoltre un ulteriore aspetto<br />

d'utilità: essa riunirà e presenterà sotto un<br />

medesimo punto di vista i diversi principi che sino<br />

ad oggi sono stati trovati per facilitare la<br />

soluzione del<strong>le</strong> questioni di meccanica, ne<br />

mostrerà il <strong>le</strong>game e la dipendenza reciproca, e<br />

porrà in condizione di poter giudicare della loro<br />

giustezza e della loro estensione.<br />

Ho diviso l'opera in due parti: la statica, ovvero la<br />

teoria dell'equilibrio, e la dinamica, ovvero la<br />

teoria del movimento; e ciascuna di queste parti<br />

tratterà separata<strong>mente</strong> dei corpi solidi e di quelli<br />

liquidi.<br />

Più oltre, <strong>nel</strong> testo, spiega qua<strong>le</strong> ruolo egli assegni alla forza<br />

<strong>nel</strong>la statica. La statica è basata sulla distruzione e<br />

l'annientamento reciproco di diverse forze [...]. Lo scopo della<br />

statica è quello di dare <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi secondo cui si produce ta<strong>le</strong><br />

distruzione. Esse sono basate su principi generali che si<br />

possono ridurre a tre: quello del<strong>le</strong> <strong>le</strong>ve, della composizione<br />

del<strong>le</strong> forze e quello del<strong>le</strong> velocità virtuali (8) . Più in dettaglio,<br />

Lagrange ci descrive come debba essere considerata la forza<br />

<strong>nel</strong>la statica:<br />

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La statica è la scienza dell'equilibrio del<strong>le</strong> forze.<br />

In genera<strong>le</strong>, per forza o potenza si intende la<br />

causa, qua<strong>le</strong> essa sia, che imprime o tende a<br />

imprimere del movimento al corpo al qua<strong>le</strong> la si<br />

suppone applicata; ed è sulla base del movimento<br />

impresso, o imprimibi<strong>le</strong>, che si deve valutare la<br />

forza, o la potenza. Nello stato di equilibrio la<br />

forza non compie un esercizio rea<strong>le</strong>; essa non<br />

produce altro che una semplice tendenza al<br />

movimento; ma la si deve pur sempre misurare in<br />

base all'effetto che essa produrrebbe qualora non<br />

fosse arrestata. Assumendo per unità una forza<br />

qualsiasi oppure il suo effetto, l'espressione di<br />

ogni altra forza non è altro che un rapporto, una<br />

quantità matematica, che può essere


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rappresentata per mezzo di numeri o di linee: ed è<br />

sotto questo punto di vista che, in meccanica, si<br />

debbono considerare <strong>le</strong> forze.<br />

e come, oltre alla statica, anche la dinamica possa essere<br />

comp<strong>le</strong>ta<strong>mente</strong> ridotta all'analisi matematica:<br />

Nella prima parte di quest'opera abbiamo ridotto<br />

tutta la statica a una sola formula genera<strong>le</strong> che<br />

fornisce <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi dell'equilibrio di un sistema<br />

qualsiasi di corpi sottoposti all'azione di tutte <strong>le</strong><br />

forze che si vogliono. Si potrà dunque ridurre a<br />

una formula genera<strong>le</strong> anche tutta la dinamica; in<br />

effetti, per applicare al movimento di un sistema di<br />

corpi la formula del suo equilibrio, sarà<br />

sufficiente in essa introdurre <strong>le</strong> forze che<br />

provengono dal<strong>le</strong> variazioni del moto di ciascun<br />

corpo e che debbono essere annullate. Lo sviluppo<br />

di ta<strong>le</strong> formula, tenendo conto del<strong>le</strong> condizioni che<br />

diipendono dalla natura del sistema, fornirà tutte<br />

<strong>le</strong> equazioni necessarie per la determinazione del<br />

movimento di ciascun corpo, e non resterà altro<br />

da fare che integrare queste equazioni, il che<br />

spetta all'analisi. [ ... ] In questo modo, <strong>le</strong> forze,<br />

gli spazi, i tempi e <strong>le</strong> velocità non saranno altro<br />

che dei semplici rapporti, del<strong>le</strong> quantità<br />

matematiche ordinarie.<br />

Si tratta quindi di una meccanica basata sul Principio di<br />

D'A<strong>le</strong>mbert coniugato con il principio dei lavori virtuali e del<strong>le</strong><br />

coordinate generalizzate. Alla fine del processo di riscrittura<br />

della meccanica si arriva al<strong>le</strong> ben note equazioni dinamiche di<br />

Lagrange. Scrive De Maria:<br />

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Lagrange derivò <strong>le</strong> sue equazioni partendo dal<strong>le</strong><br />

<strong>le</strong>ggi di Newton (<strong>nel</strong>la formulazione di Eu<strong>le</strong>r)<br />

attraverso il passaggio da una formulazione<br />

vettoria<strong>le</strong> ad una formulazione scalare. Nel<br />

trattamento analitico lagrangiano è sufficiente<br />

conoscere una singola funzione scalare


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(comp<strong>le</strong>ta<strong>mente</strong> determinata in ogni punto dello<br />

spazio da un numero relativo) dipendente dal<strong>le</strong><br />

posizioni dei punti materiali in movimento; questa<br />

"funzione lavoro" contiene implicita<strong>mente</strong> tutte <strong>le</strong><br />

forze agenti sui punti materiali del sistema. Un<br />

altro vantaggio è quello di non richiedere la<br />

conoscenza di forze come quel<strong>le</strong> che producono la<br />

rigidità di un corpo o quel<strong>le</strong> che agiscono fra <strong>le</strong><br />

particel<strong>le</strong> di un fluido. Tali forze vengono<br />

sostituite da una condizione cinematica: durante il<br />

moto la distanza tra due punti del corpo non può<br />

variare e, analoga<strong>mente</strong>, il volume di ogni parte<br />

del fluido deve conservarsi. Le n equazioni<br />

differenziali del secondo ordine che descrivono il<br />

moto di sistemi a n gradi di libertà in funzione<br />

della loro energia cinetica T e del<strong>le</strong> forze<br />

lagrangiane dovute a sol<strong>le</strong>citazioni attive Q h in<br />

assenza di vincoli addizionali oltre quelli olonomi,<br />

hanno la forma genera<strong>le</strong>:<br />

dove <strong>le</strong> q h sono <strong>le</strong> coordinate lagrangiane scelte<br />

per descrivere il sistema, mentre <strong>le</strong> p h si dicono<br />

velocità generalizzate. Se <strong>le</strong> forze in gioco sono<br />

conservative, esprimibili cioè come derivate di un<br />

potenzia<strong>le</strong>, una funzione U(q h ) ta<strong>le</strong> che, istante per<br />

istante, dipenda dal<strong>le</strong> so<strong>le</strong> posizioni occupate <strong>nel</strong>lo<br />

spazio dal sistema meccanico al<strong>le</strong> quali si<br />

applicano <strong>le</strong> Q h , per queste ultime va<strong>le</strong> appunto che<br />

In tal caso, introdotta una funzione L = T - U, detta


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lagrangiana del sistema, <strong>le</strong> equazioni precedenti si<br />

riscrivono:<br />

Tali equazioni permettono appunto di confrontare<br />

la dinamica di sistemi comp<strong>le</strong>ta<strong>mente</strong> diversi tra<br />

loro dal punto di vista geometrico e materia<strong>le</strong>, pur<br />

di scegliere un opportuno insieme di coordinate<br />

lagrangiane: la loro invarianza rispetto ad<br />

un'arbitraria trasformazione di coordinate implica<br />

un'assoluta libertà <strong>nel</strong>la scelta del sistema di<br />

coordinate più adatto alla natura del prob<strong>le</strong>ma.<br />

Lagrange fu il primo ad esprimere in forma<br />

matematica genera<strong>le</strong> del<strong>le</strong> proposizioni espresse<br />

fino ad allora in forma particolare, come la <strong>le</strong>gge<br />

del<strong>le</strong> forze vive, il moto del baricentro e il<br />

principio di minima azione, applicando questi<br />

risultati a prob<strong>le</strong>mi diversi come la meccanica<br />

ce<strong>le</strong>ste, <strong>le</strong> corde vibranti e l'idrodinamica. La<br />

meccanica analitica di Lagrange, pur essendo una<br />

formulazione del tutto genera<strong>le</strong> della <strong>le</strong>gge del<br />

moto, è tuttavia limitata al<strong>le</strong> so<strong>le</strong> forze<br />

conservative, per <strong>le</strong> quali il lavoro compiuto<br />

dipende unica<strong>mente</strong> dallo stato inizia<strong>le</strong> e dallo<br />

stato fina<strong>le</strong> e non dal modo in cui viene prodotto.<br />

Ta<strong>le</strong> denominazione deriva dal fatto che l'energia<br />

tota<strong>le</strong> di un corpo soggetto al<strong>le</strong> azioni del campo, e<br />

in moto <strong>nel</strong> campo stesso, in assenza di cause<br />

dissipative di energia si conserva, durante il moto,<br />

invariata. Tutte <strong>le</strong> forze dissipative che<br />

trasformano l'energia meccanica in calore, e che<br />

rendono il moto irreversibi<strong>le</strong> sono quindi<br />

comp<strong>le</strong>ta<strong>mente</strong> escluse. Contraria<strong>mente</strong> alla<br />

meccanica di Newton <strong>nel</strong>la sua forma più<br />

genera<strong>le</strong>, quella di Lagrange è reversibi<strong>le</strong> e non<br />

contiene una freccia del tempo, il qua<strong>le</strong> assume il<br />

ruolo di semplice parametro.


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Come conseguenza del<strong>le</strong> equazioni di Lagrange si<br />

ottiene, in una formulazione matematica, il<br />

principio di minima azione (9) . Lagrange aveva<br />

dimostrato, per un sistema di punti sottoposti a<br />

forze conservative (tutte <strong>le</strong> volte cioè che <strong>le</strong> forze<br />

derivano da un potenzia<strong>le</strong>), che l'azione minima è<br />

una conseguenza del<strong>le</strong> equazioni di Lagrange che<br />

governano il moto e, viceversa, si ottengono <strong>le</strong><br />

equazioni imponendo il principio di minima<br />

azione. Ta<strong>le</strong> principio è indipendente da qualsiasi<br />

sistema particolare di coordinate, perché il minimo<br />

di una quantità scalare non dipende dal<strong>le</strong><br />

coordinate rispetto al<strong>le</strong> quali una certa quantità<br />

viene misurata,di conseguenza anche <strong>le</strong> equazioni<br />

del moto sono appunto invarianti rispetto a una<br />

qualsiasi trasformazione di coordinate.<br />

Una osservazione di Truesdell è di grande importanza.<br />

Egli dice che l'astrattezza del formalismo di Lagrange tende ad<br />

occultare i principali prob<strong>le</strong>mi concettuali della meccanica:<br />

l'idea di sistemi inerziali di riferimento e la nozione di<br />

rigidezza, ambedue essenziali all'immagine classica di<br />

osservatore, restano oscurate dall'invarianza dell'algebra (10) .<br />

Con Lagrange si chiude un periodo molto importante della<br />

storia della <strong>fisica</strong>, diventata matematica. Si trattava di<br />

giustificare quanto aveva fatto Newton <strong>nel</strong> modo più comp<strong>le</strong>to<br />

possibi<strong>le</strong>, di razionalizzare la meccanica. Da questo momento<br />

l'interesse principa<strong>le</strong> si sposterà sul rendere operativa la<br />

meccanica proprio in connessione con quanto ho già<br />

adombrato e cioè con <strong>le</strong> esigenze produttive.<br />

11 - PIERRE SIMON LAPLACE (1749 - 1827)<br />

Questo grandissimo matematico, astronomo e fisico<br />

francese, nacque figlio di contadini poveri a Beaumont en<br />

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Auge (Normandia). Per <strong>le</strong> sue capacità subito mostrate e per il<br />

bell'aspetto, poté studiare grazie alla beneficenza di alcuni<br />

vicini. E' questo il poco che si conosce della sua giovinezza dai<br />

suoi primi studi in un convitto benedettino <strong>nel</strong> suo paese fino a<br />

che arrivò ad insegnare <strong>nel</strong>la medesima scuola. Passò quindi a<br />

studiare teologia all'Università di Caen (tra i 16 ed i 18 anni)<br />

perché quello era il destino dei poveri (o prete o soldato). Qui<br />

scoprì il fascino della matematica grazie agli insegnamenti che<br />

ricevette (Le Canu e Gadb<strong>le</strong>d). Lasciò allora l'Università e si<br />

recò a Parigi con una <strong>le</strong>ttera di presentazione di Le Canu a<br />

D'A<strong>le</strong>mbert che colse subito il grande ta<strong>le</strong>nto del giovane. E<br />

D'A<strong>le</strong>mbert non solo si prestò a fargli da insegnante ma lo<br />

raccomandò anche per un posto di docente all' Éco<strong>le</strong> militaire<br />

(1768) che gli lasciava il tempo per approfondire i suoi studi.<br />

Già <strong>nel</strong> 1770 presentò sue memorie di matematica<br />

all'Académie del Sciences. Nel 1771 pubblicò il suo primo<br />

lavoro, in latino, nei Nova Acta Eruditorum di Berlino. In ta<strong>le</strong><br />

rivista continuò a pubblicare come pure pubblicò nei Mélanges<br />

de Turin, rivista dell'Accademia del<strong>le</strong> Scienze di Torino,<br />

fondata anche da Lagrange un importante lavoro, Recherches<br />

sur <strong>le</strong> calcul intégral aux différences infiniment petites, et aux<br />

différences finies (1771), che contiene equazioni importanti sia<br />

per la meccanica che per l'astronomia. In questo anno Laplace<br />

tentò di essere ammesso all'Académie ma non vi riuscì perché<br />

gli fu preferito il matematico Vandermonde. L'anno successivo<br />

fu ancora rifiutato per un tal Cousin che era molto più indietro<br />

di lui <strong>nel</strong>la graduatoria. Sia Laplace che D'A<strong>le</strong>mbert restarono<br />

molto amareggiati per queste decisioni e D'A<strong>le</strong>mbert scrisse a<br />

Lagrange, che dirigeva l'Accademia di Berlino, per trovare un<br />

posto a Laplace in quella città. Ma prima che Lagrange<br />

rispondesse si trovò un posto di associato presso l'Académie<br />

<strong>nel</strong> 1773.<br />

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In quei tre anni Laplace aveva scritto molto ed in<br />

particolare aveva dato contributi allo studio del<strong>le</strong> equazioni<br />

differenziali, alla teoria del<strong>le</strong> probabilità e all'astronomia<br />

matematica con memorie che studiavano l'inclinazioni del<strong>le</strong><br />

orbite planetarie, <strong>le</strong> perturbazioni che i satelliti originavano <strong>nel</strong><br />

moto dei pianeti e, in genera<strong>le</strong>, il moto dei pianeti e la stabilità<br />

del sistema solare. Ma è tutto il suo lavoro sviluppato negli<br />

anni Ottanta che gli darà fama di massimo scienziato mondia<strong>le</strong>,<br />

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anche se non riuscì mai ad avere buoni rapporti con i suoi<br />

col<strong>le</strong>ghi, compreso D'A<strong>le</strong>mbert, per la sua tota<strong>le</strong> mancanza di<br />

modestia. Egli diceva di sé di essere il migliore in campo<br />

scientifico e metteva bocca pratica<strong>mente</strong> su ogni argomento.<br />

Nel 1780 fece un lavoro con Lavoisier, mostrando che la<br />

respirazione è una forma di combustione, per la realizzazione<br />

del qua<strong>le</strong> costruirono un calorimetro a ghiaccio. Questo<br />

episodio aprì un altro campo ai suoi studi, quello del calore al<br />

qua<strong>le</strong> si dedicò verso la fine della sua carriera.<br />

Nel 1784 diventò esaminatore della scuola del Corps<br />

Royal d’Artil<strong>le</strong>rie in sostituzione del matematico Bezout. Ebbe<br />

occasione, l'anno successivo, di esaminare il sedicenne<br />

Napo<strong>le</strong>one. Questo suo incarico da una parte gli toglieva molto<br />

tempo ma dall'altra lo metteva a contatto con personaggi<br />

influenti di governo. E, final<strong>mente</strong>, <strong>nel</strong> 1785, riuscì ad essere<br />

ammesso come membro dell'Académie alla qua<strong>le</strong>, <strong>nel</strong> 1787, si<br />

aggregò anche Lagrange (proveniente da Berlino) che<br />

comportò una gran rivalità tra i due.<br />

Nel 1788 Laplace, a 39 anni, si sposò con una giovane di<br />

19 anni, Marie-Charlotte de Courty de Romanges e <strong>nel</strong> 1790,<br />

già in periodo rivoluzionario, divenne membro della<br />

Commission des Poids et Mesures, presieduta da Lagrange.<br />

Quando <strong>nel</strong> 1793 iniziò il periodo del terrore, l'Académie fu<br />

chiusa e Laplace si ritirò in campagna con la moglie ed i due<br />

figli. Ritornò a Parigi <strong>nel</strong> 1794, dopo che il suo amico<br />

Lavoisier era stato ghigliottinato, per prendere parte ai lavori<br />

della nuova Commission des Poids et Mesures (che portò a<br />

termine la grande impresa dell'introduzione del Sistema<br />

Metrico Decima<strong>le</strong>). L'anno successivo fu chiamato ad<br />

insegnare teoria della probabilità all'Éco<strong>le</strong> Norma<strong>le</strong>, appena<br />

fondata. Analoga<strong>mente</strong> a quanto abbiamo visto per Lagrange,<br />

anche Laplace fu costretto a trascrivere <strong>le</strong> sue <strong>le</strong>zioni per<br />

pubblicar<strong>le</strong>. Si tratta della famosa Théorie analytique des<br />

probabilités, con una introduzione dal titolo Essai<br />

philosophique sur <strong>le</strong>s probabilités, che vedrà la luce <strong>nel</strong> 1812.<br />

In questo periodo cumu<strong>le</strong>rà una gran quantità di incarichi di<br />

prestigio (11) e pubblicherà alcune tra <strong>le</strong><br />

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sue opere piùimportanti. Nel 1796, quando diventò presidente<br />

dell'Académie, pubblicò l'Exposition du système du monde e<br />

<strong>nel</strong> 1799 i primi due volumi (dei 5 in tota<strong>le</strong>) del suo Traité de<br />

Mécanique cé<strong>le</strong>ste (in cui, indipendente<strong>mente</strong> da Kant che lo<br />

aveva fatto <strong>nel</strong>la sua Storia genera<strong>le</strong> della natura e teoria del<br />

cielo del 1755, formulò l'ipotesi della nebulosa secondo la<br />

qua<strong>le</strong> il sistema solare deriverebbe dalla rotazione di una<br />

nebulosa di gas incandescente) (12) .<br />

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Finiti i momenti più duri della Rivoluzione si passò al<br />

Consolato di Napo<strong>le</strong>one. Laplace fu nominato senatore ed ebbe<br />

(1805) la Legion d'onore. Vi fu qui un episodio spiacevo<strong>le</strong> che<br />

ricorda i giudizi di Delambre ai quali ho accennato. Sembra per<br />

insistenza dello stesso Laplace che Napo<strong>le</strong>one nominò il<br />

medesimo come Ministro degli interni ma solo per sei<br />

settimane e poi lo licenziò per manifesta incapacità avendo<br />

portato lo spirito dell'infinita<strong>mente</strong> piccolo <strong>nel</strong> governo. Nel<br />

1806 fu fatto Conte da Napo<strong>le</strong>one e <strong>nel</strong> 1817, in piena<br />

Restaurazione, fu nominato Marchese da Luigi XVIII Borbone.<br />

Nei suoi ultimi anni di vita si ritirò in campagna dove curò una<br />

società, la Société d'Arcueil, per il sostegno dei giovani<br />

scienziati tra i quali Claude Berthol<strong>le</strong>t, Louis Joseph Gay-<br />

Lussac, ... . Fu qui che scrisse <strong>le</strong> sue memorie ed ordinò i suoi<br />

scritti ancora non pubblicati. Si spense <strong>nel</strong> 1827.<br />

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Passiamo ora a vedere quali sono i principali contributi<br />

scientifici, ma anche filosofici, di Laplace a partire dalla sua<br />

concezione della natura e del ruolo che in essa svolgono <strong>le</strong><br />

forze. Abbiamo già detto che una del<strong>le</strong> sue opere più<br />

importanti è l'Exposition du système du monde. Aggiungo ora<br />

che questa è un'opera divulgativa, scritta in modo discorsivo e<br />

senza formu<strong>le</strong> che doveva costituire una sorta di premessa<br />

all'opera tecnica successiva, la Mécanique Cé<strong>le</strong>ste. Sulla strada<br />

aperta da Kant e rinunciando ad una del<strong>le</strong> sue ipotesi (quella<br />

del caos originario), Laplace perfezionò e precisò l'idea di<br />

nebulosa con i dati dell'astronomia disponibili che mostravano<br />

che tutti i pianeti ed i satelliti noti ruotavano tutti <strong>nel</strong>lo stesso<br />

verso e tutti si trovavano sullo stesso piano (qualche imbarazzo<br />

si ebbe alla ristampa dell'opera <strong>nel</strong> 1808 quando Herschel<br />

aveva mostrato già dal 1798 che alcuni satelliti di Nettuno e di<br />

Urano hanno moto retrogrado). L'idea di Laplace era che tutto<br />

il sistema planetario discendesse dalla rotazione e progressiva<br />

condensazione di una massa gassosa incandescente la cui<br />

temperatura andava in continua diminuzione. La forza<br />

centrifuga avrebbe permesso il distacco dei pianeti dalla massa<br />

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principa<strong>le</strong> costituente il So<strong>le</strong>, così come la stessa forza avrebbe<br />

permesso il distacco dei satelliti dai pianeti. Nella descrizione<br />

particolareggiata della dinamica della sua nebulosa, Laplace ci<br />

offre appunto la sua concezione del<strong>le</strong> forze e di alcune <strong>le</strong>ggi di<br />

natura che coincidono con <strong>le</strong> idee di D'A<strong>le</strong>mbert: <strong>le</strong> forze non<br />

<strong>le</strong> conosciamo che dai loro effetti e sono questi che dobbiamo<br />

studiare e tra questi vi è il moto che ha, come prima <strong>le</strong>gge,<br />

quella d'inerzia e come seconda la forza proporziona<strong>le</strong> alla<br />

velocità. Lo studio della meccanica è più semplice <strong>nel</strong> cielo<br />

che non sulla Terra perché in cielo esse si osservano con la<br />

massima precisione mentre sulla Terra vi sono molte<br />

circostanze che complicano lo studio di ta<strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi, circostanze<br />

dal<strong>le</strong> quali è diffici<strong>le</strong> districarsi e che rendono diffici<strong>le</strong><br />

sottomettere tali <strong>le</strong>ggi al calcolo. Ma piano piano si riesce a<br />

fare dei passi in avanti che ci aprono orizzonti inaspettati. Una<br />

<strong>le</strong>gge, ad esempio che ci ha aperto la conoscenza del cielo è la<br />

gravitazione universa<strong>le</strong> che è un vero ed immutabi<strong>le</strong> principio<br />

di natura. Più in genera<strong>le</strong> la conoscenza del<strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi della<br />

meccanica libera gli uomini dalla superstizione perché<br />

razionalizza fenomeni che precedente<strong>mente</strong> non potevano che<br />

essere misteriosi quando non terrorifici (eclissi, comete, ...).<br />

Gli errori, <strong>le</strong> superstizioni, i vani terrori e tutti i mali che<br />

l'ignoranza porta con sé si riprodurrebbero pronta<strong>mente</strong> se la<br />

luce della scienza venisse a spegnersi.<br />

La centralità della gravità viene messa in grande risalto<br />

<strong>nel</strong> Traité de Mécanique cé<strong>le</strong>ste (13) . Qui vi è il dispiegarsi di<br />

tutto l'apparato del calcolo differenzia<strong>le</strong> che era stato elaborato<br />

negli ultimi anni e Laplace interpreta la gravità mediante il<br />

concetto di potenzia<strong>le</strong> che Lagrange aveva introdotto <strong>nel</strong> 1777<br />

e che egli sviluppa qui inserendolo in una ce<strong>le</strong>bre equazione<br />

differenzia<strong>le</strong> che porta il suo nome. Laplace si pone quello che<br />

era uno dei massimi prob<strong>le</strong>mi di tutti gli studiosi da molti anni:<br />

determinare la grandezza dell'attrazione gravitaziona<strong>le</strong> che una<br />

massa esercita su di un'altra in casi più comp<strong>le</strong>ssi di quando,<br />

date grandi distanze, è possibi<strong>le</strong> considerare <strong>le</strong> masse come<br />

puntiformi. Se si considera ad esempio la Terra che attrae un<br />

qualunque oggetto (ad esempio: una particella P), diventa<br />

importante la dimensione della Terra e la sua massa distribuita.<br />

In tal caso la forza di attrazione non può essere calcolata come<br />

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se la massa della Terra fosse concentrata <strong>nel</strong> suo centro. Per<br />

calcolare ta<strong>le</strong> forza si tratta di considerare la somma del<strong>le</strong> forze<br />

che ogni piccola unità di massa della Terra esercita sull'unità di<br />

massa P. Ciò comporta una mo<strong>le</strong> considerevo<strong>le</strong> di calcoli che<br />

debbono essere estesi al<strong>le</strong> tre componenti spaziali. E' a questo<br />

punto che subentra la funzione potenzia<strong>le</strong>: invece di trattare<br />

separata<strong>mente</strong> ogni componente della forza è possibi<strong>le</strong><br />

introdurre la funzione V(x,y,z) <strong>le</strong> cui derivate parziali rispetto<br />

ad x, ad y ed a z, siano rispettiva<strong>mente</strong> <strong>le</strong> tre componenti della<br />

forza e cioè, a meno di considerare la costante della <strong>le</strong>gge di<br />

Newton:<br />

In tal caso il vantaggio consiste <strong>nel</strong> lavorare con la sola<br />

funzione V invece che con <strong>le</strong> tre componenti della forza. Ma<br />

anche qui <strong>le</strong> cose non risulterebbero semplici se Laplace non<br />

avesse scoperto una proprietà del potenzia<strong>le</strong> (per punti esterni<br />

al corpo che attrae) e cioè che questa funzione ubbidisce alla<br />

seguente equazione differenzia<strong>le</strong> del secondo ordine al<strong>le</strong><br />

derivate parziali:<br />

che è nota appunto come equazione del potenzia<strong>le</strong> o equazione<br />

di Laplace (misura la differenza tra il valore della funzione in<br />

un punto e la sua media intorno a questo punto). Qualunque<br />

funzione f che soddisfi l'equazione di Laplace è chiamata<br />

armonica. E' d'interesse notare che una forza è originata da<br />

una funzione potenzia<strong>le</strong> ma la forza si perde nei simbolismi<br />

dell'analisi matematica. Questa genesi di forza da potenzia<strong>le</strong><br />

era già comparsa <strong>nel</strong>l'Hydrodinamica (1738) di Daniel<br />

Bernoulli. Era stata ripresa da Eu<strong>le</strong>r in un lavoro sui fluidi <strong>nel</strong><br />

1752 ma erano sorte difficoltà che egli non era stato in grado di<br />

risolvere. Era stato poi Lagrange <strong>nel</strong> 1762 a riprendere e<br />

chiarire <strong>le</strong> questioni (come abbiamo visto in modo analitico,<br />

trattando di Lagrange). Infine il contributo di Laplace che<br />

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riuscì anche a risolvere l'equazione del potenzia<strong>le</strong> (dopo<br />

importanti contributi di Legendre).<br />

L'equazione di Laplace (14) si usa scrivere più agevol<strong>mente</strong><br />

in forma vettoria<strong>le</strong>:<br />

dove il simbolo è un operatore chiamato di Laplace o<br />

laplaciano o nabla che ha per componenti:<br />

Con un apparato matematico che si serviva di ogni<br />

avanzamento del calcolo, Laplace dedusse tutti i fenomeni dei<br />

pianeti e dei satelliti dalla <strong>le</strong>gge di gravità espressa in termini<br />

di potenzia<strong>le</strong>. E' appena il caso di osservare che questa<br />

gigantesca operazione matematica, che lasciava solo qualche<br />

piccola discrepanza, ha resistito fino alla relatività einsteniana.<br />

Ed Einstein ha mostrato che non sempre <strong>le</strong> picco<strong>le</strong> discrepanze<br />

sono sistemabili con il calcolo e che partendo da esse si può<br />

arrivare ad una revisione comp<strong>le</strong>ta dei concetti che sono stati<br />

ritenuti alla base di precedenti formulazioni.<br />

Si può dire a questo punto che una del<strong>le</strong> caratteristiche del<br />

metodo di Laplace è l'accettare alcune indicazioni<br />

dall'esperienza per costruirvi sopra, con il calcolo, una teoria<br />

definita da Laplace come il <strong>le</strong>game analitico dei fatti<br />

particolari con un fatto genera<strong>le</strong>. Ed il calcolo, l'analisi<br />

matematica, gioca un ruolo fondamenta<strong>le</strong> <strong>nel</strong>la conoscenza<br />

della natura, perché, come dice Laplace, l'analisi matematica è<br />

uno strumento dell'intelligenza umana che ha una grande<br />

capacità di permettere la conoscenza della natura.<br />

Vediamo ora i contributi di Laplace alla teoria del<strong>le</strong><br />

probabilità. Anche in questo campo egli seguì un procedimento<br />

analogo a quello seguito per <strong>le</strong> questioni astronomiche: prima<br />

un libro divulgativo, privo di formu<strong>le</strong>, fatto per far<br />

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comprendere quali sono i prob<strong>le</strong>mi, l'Essai philosophique sur<br />

<strong>le</strong>s probabilités, seguito subito dopo dalla Théorie analytique<br />

des probabilités, che è invece un'opera rigorosa in cui si<br />

sviluppa la matematica corrispondente con l'introduzione,<br />

anche qui, dell'analisi per la trattazione del principio dei<br />

minimi quadrati. Non è negli scopi di questo lavoro andare a<br />

studiare i contributi di Laplace in questo campo, basti dire che<br />

egli si inserisce <strong>nel</strong> filone aperto da Jacob Bernoulli,<br />

proseguito da De Moivre ed altri. Suo merito è l'aver<br />

ricondotto la probabilità a solidi fondamenti matematici,<br />

riallacciandosi al concetto di probabilità a priori,<br />

indipendente<strong>mente</strong> dal<strong>le</strong> aspettative individuali. Ciò permise<br />

l'uso di questo calcolo <strong>nel</strong>la <strong>fisica</strong> oltre che nei campi dove fino<br />

ad allora si era fatto (economia, sociologia, gioco). All'interno<br />

del Traité vi è il calcolo di diversi integrali tra i quali due sono<br />

di particolare importanza. Il primo riguarda il calcolo dell'area<br />

della curva di probabilità:<br />

ed il secondo la funzione nota come trasformata di Laplace:<br />

dove f(x) è la trasformata di Laplace della funzione g(x).<br />

La parte comunque più nota, anche ai non cultori del<strong>le</strong><br />

matematiche, del<strong>le</strong> cose che Laplace scrisse sulla probabilità,<br />

la si trova <strong>nel</strong> saggio introduttivo, che è in qualche modo il<br />

manifesto del determinismo. Dice Laplace che se ci fosse dato<br />

conoscere, ad un dato istante, <strong>le</strong> posizioni e <strong>le</strong> velocità di tute<br />

<strong>le</strong> mo<strong>le</strong>co<strong>le</strong> costituenti l'Universo noi potremmo conoscere gli<br />

eventi futuri e risalire a quelli passati. E' solo per mancanza di<br />

dati noi non possiamo essere comp<strong>le</strong>ta<strong>mente</strong> deterministi:<br />

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Possiamo considerare lo stato attua<strong>le</strong><br />

dell'universo come l'effetto del suo passato e la


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causa del suo futuro. Un'Intelligenza che ad un<br />

dato istante conoscesse tutte <strong>le</strong> forze che mettono<br />

in moto la natura, e tutte <strong>le</strong> posizioni di tutti gli<br />

oggetti di cui la natura è composta, se questa<br />

Intelligenza fosse inoltre sufficiente<strong>mente</strong> ampia<br />

da sottoporre questi dati ad analisi, essa<br />

racchiuderebbe in un'unica formula i movimenti<br />

dei corpi più grandi dell'universo e quelli degli<br />

atomi più piccoli; per una ta<strong>le</strong> Intelligenza nulla<br />

sarebbe incerto ed il futuro proprio come il<br />

passato sarebbe evidente davanti ai suoi occhi.<br />

E' evidente che queste concezioni derivano a Laplace dai suoi<br />

studi astronomici e da lì egli ricava la fiducia che la<br />

conoscenza del sistema del mondo, con <strong>le</strong> sue <strong>le</strong>ggi, con<br />

l'analisi che ce <strong>le</strong> fa scoprire,possa dissipare <strong>le</strong> paure<br />

dell'uomo, paure che discendono dalla sua ignoranza. Le<br />

regolarità astronomiche funzionano come <strong>le</strong> previsioni del<br />

moto di una mo<strong>le</strong>cola d'aria ed è per questo possibi<strong>le</strong> trattare<br />

questi fenomeni con il calcolo del<strong>le</strong> probabilità. Il<br />

determinismo meccanicista esclude quindi l'imprevedibi<strong>le</strong> e la<br />

meta<strong>fisica</strong> garantendoci la razionalità del decorso dei fenomeni<br />

naturali. Ma questo determinismo deve rispondere a due<br />

precise condizioni. Innanzitutto occorre conoscere con<br />

esattezza la posizione e velocità di tutti i corpi. Quindi occorre<br />

saper trattare tali condizioni iniziali con gli strumenti<br />

matematici. L'insieme di queste due condizioni ci fa capire che<br />

Laplace aveva posto un limite alla conoscenza della natura che<br />

era lo stesso limite del<strong>le</strong> capacità ora note dell'uomo. E' a<br />

questo punto che occorre mettere insieme i troppi dati con il<br />

calcolo del<strong>le</strong> probabilità che è il massimo strumento di<br />

conoscenza del qua<strong>le</strong> ora disponiamo.<br />

12 - QUALCHE CONSIDERAZIONE<br />

Soffermandoci su alcuni grandi pensatori del Settecento,<br />

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siamo arrivati agli inizi dell'Ottocento. Se si fa un breve<br />

excursus a marcia indietro si individuano alcuni punti fermi:<br />

- la scienza, in particolare <strong>fisica</strong> e matematica, è<br />

diventata adulta<br />

- abbiamo visto pian piano emergere scienziati che<br />

non appartengono a ceti benestanti<br />

- abbiamo visto pian piano sparire la meta<strong>fisica</strong><br />

dalla spiegazione scientifica<br />

- l'impresa scientifica si estende sempre più come<br />

portato dell'emergere della borghesia<br />

- la compressione di questo ceto porterà al<strong>le</strong><br />

estreme conseguenze rivoluzionarie in Francia,<br />

con l'inizio della fine dei privi<strong>le</strong>gi di nobiltà e<br />

c<strong>le</strong>ro.<br />

Questi e<strong>le</strong>menti saranno di grande importanza<br />

<strong>nel</strong>l'Ottocento, <strong>nel</strong> secolo del Romanticismo che si affermerà<br />

come reazione irraziona<strong>le</strong> all'Illuminismo e che produrrà molta<br />

più scienza di quanta si sia mai potuta pensare <strong>nel</strong> Settecento,<br />

il secolo in cui ta<strong>le</strong> scienza veniva esaltata. Natural<strong>mente</strong><br />

questo processo si accompagna ad un'enorme espansione della<br />

borghesia, alla rivoluzione industria<strong>le</strong>, alla creazione di un<br />

grande ceto salariato, all'esplosione della tecnica, alla ricerca<br />

dei mercati di sbocco, all'avviarsi del<strong>le</strong> grandi imprese<br />

coloniali che daranno l'impronta che conosciamo al mondo<br />

intero. Di questo discuterò in lavori successivi.<br />

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NOTE


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(1) Leibniz rifiuta l'azione a distanza ed allo stesso modo <strong>le</strong><br />

qualità occulte connesse alla gravitazione (in questo d'accordo<br />

con i cartesiani). Se è vero che l'ammissione di inesistenza di<br />

vuoto suggerisce a Leibniz il rifiuto dell'azione a distanza,<br />

rimane il prob<strong>le</strong>ma di stabilire come si possa trasmettere un'<br />

azione da una parte all'altra dello spazio. E qui Leibniz si<br />

schiera aperta<strong>mente</strong> con i cartesiani affermando che <strong>le</strong> azioni si<br />

trasmettono per contatto da 'materia' a 'materia'. Ma l'unico<br />

modo per poter ammettere ciò era la conseguente ammissione<br />

dell'urto tra particel<strong>le</strong> estese e dure (come faceva Descartes) e<br />

ciò portava Leibniz in un vicolo cieco poiché richiedeva<br />

l'ammissione di atomi (e quindi di vuoto) e comunque, in<br />

accordo col meccanicismo di Huygens, di entità non<br />

compatibili con la teoria del<strong>le</strong> monadi altrove sviluppata dallo<br />

stesso Leibniz .<br />

(2) Si osservi che Boscovich criticherà anche i concetti di<br />

spazio e tempo assoluti oltre al principio d'inerzia, in base al<br />

fatto che questi non sono sperimental<strong>mente</strong> osservabili.<br />

(3) Anche l' «osservatore», per Kant, comincia a diventare<br />

importante <strong>nel</strong>la indagine <strong>fisica</strong>. Come dice Popper, riportando<br />

il pensiero di Kant:<br />

Dobbiamo abbandonare l'opinione secondo cui<br />

siamo degli osservatori passivi, sui quali la natura<br />

imprime la propria regolarità. E' bene invece<br />

adottare l'opinione secondo cui, <strong>nel</strong>l'assimilare i<br />

dati sensibili, imprimiamo attiva<strong>mente</strong> ad essi<br />

l'ordine e <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi del nostro intel<strong>le</strong>tto. Il cosmo<br />

reca l'impronta della nostra <strong>mente</strong> ... Lo<br />

sperimentatore non deve attendere che alla natura<br />

piaccia rivelargli i propri segreti, ma deve<br />

interrogarla. Egli deve fare ciò ripetuta<strong>mente</strong> alla<br />

luce dei propri dubbi, congetture, teorie, idee ed<br />

ispirazioni.<br />

In questo modo la scienza risulta una creazione umana come<br />

l'arte e la <strong>le</strong>tteratura.<br />

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(4) Si osservi che, ispirate dalla grande atmosfera cultura<strong>le</strong><br />

illuministica, si erano realizzate due grandi rivoluzioni che<br />

avevano affermato gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità.<br />

Nel contempo però i sovrani 'illuminati' di Russia, Prussia ed<br />

Austria, con la prima spartizione della Polonia (1772),<br />

mostrano come la politica di potenza possa più dei lumi della<br />

ragione e come <strong>le</strong> aspirazioni progressiste non possano<br />

coesistere con l'assolutismo monarchico. Sul finire del secolo,<br />

poi, è proprio un "figlio della Rivoluzione", Napo<strong>le</strong>one, ad<br />

interpretare fino in fondo gli ideali borghesi con <strong>le</strong> sue armate<br />

dilaganti per tutta l'Europa. E certa<strong>mente</strong> l'Illuminismo,<br />

propagandato non dai Voltaire, dai Diderot, dai D'A<strong>le</strong>mbert,<br />

ma dal<strong>le</strong> armate napo<strong>le</strong>oniche, apre la strada ai nazionalismi<br />

dei popoli che, per difendersi dall'invasore, ricercano una unità<br />

(anche se fittizia) nei loro regnanti.<br />

(5) E' certo che la struttura del calcolo a partire da Leibniz era<br />

molto carente, soprattutto se confrontata con <strong>le</strong> elaborazioni<br />

successive dei Bernouilli, degli Eu<strong>le</strong>ro, dei Lagrange, dei<br />

Cauchy (1789 - 1857). Ci vorranno circa 100 anni per<br />

conquistare il rigore in matematica: esso si può datare con <strong>le</strong><br />

Réf<strong>le</strong>xions sur la métaphysique du calcul infinitésimal di<br />

Lazare Carnot e la Théorie des fonctions analytiques di<br />

Lagrange ambedue del 1797. La comp<strong>le</strong>ta sistemazione<br />

dell'analisi, all'incirca di come la conosciamo oggi fu invece<br />

dovuta a Cauchy (con successivi contributi di Weierstrass),<br />

anch'egli docente all'Éco<strong>le</strong> Norma<strong>le</strong>, che per questo stesso<br />

fatto, scrisse tre fondamentali trattati di Analisi: Cours<br />

d'analyse de l'Éco<strong>le</strong> Polytechnique (1821), Resumé des <strong>le</strong>çons<br />

sur <strong>le</strong> calcul infinitesimal (1823), Leçons sur <strong>le</strong> calcul<br />

différentiel (1829). In queste opere vi è la caratteristica saliente<br />

del rifiuto del metodo analitico di Lagrange, intera<strong>mente</strong><br />

basato sullo sviluppo in serie di Taylor, e l'accettazione del<br />

metodo indicato da D'A<strong>le</strong>mbert basato sul concetto di limite<br />

definito <strong>nel</strong> modo seguente:<br />

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Quando i valori successivi attribuiti ad una<br />

variabi<strong>le</strong> si avvicinano indefinita<strong>mente</strong> ad un<br />

valore fissato così che finiscono con il differire da<br />

questo per una differenza piccola quanto si vuo<strong>le</strong>,


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quest'ultimo viene detto il limite di tutti gli altri (...)<br />

Si dice che una quantità variabi<strong>le</strong> diventa<br />

infinita<strong>mente</strong> piccola quando il suo valore<br />

numerico decresce indefinita<strong>mente</strong> in maniera da<br />

convergere verso il limite zero<br />

e con ciò ci si sbarazzava di quanti avevano inteso<br />

l'infinitesimo come numero finito molto piccolo.<br />

Altri matematici, non altrove citati, amplieranno di molto lo<br />

studio del calcolo infinitesima<strong>le</strong> <strong>nel</strong> Settecento, <strong>nel</strong>l'Ottocento<br />

e nei primi anni del Novecento. Si avranno i contributi di<br />

grandi matematici tra cui: Rol<strong>le</strong> (1652 - 1719), J. Riccati (1676<br />

- 1754), Clairaut (1713 - 1765), De Moivre (1667 - 1754), L.<br />

Carnot (1753 - 1823), Legendre (1752 - 1833), Fourier (1768 -<br />

1830), Bolzano (1781 - 1848), Abel (1802 - 1829), Gauss<br />

(1777 - 1855), Cauchy, Hamilton (1805 - 1865), Dirich<strong>le</strong>t<br />

(1805 - 1859), Jacobi (1804 - 1851), Hesse (1811 - 1874),<br />

Cantor (1845 - 1918), Volterra (1860 -1940) che fondò il<br />

calcolo funziona<strong>le</strong>, Ricci-Curbastro (1853 - 1925) che, insieme<br />

a Levi-Civita, creò il calcolo differenzia<strong>le</strong> assoluto, alla base<br />

della Relatività Genera<strong>le</strong> di Einstein, Weierstrass (1815 -<br />

1897), Peano (1858 - 1932), Levi-Civita (1873 - 1941), Hilbert<br />

(1862 - 1943).<br />

(6) Fu la Rivoluzione Francese ad obbligare i professori<br />

universitari a scrivere il contenuto del<strong>le</strong> loro <strong>le</strong>zioni e la cosa<br />

fu e resta di enorme importanza. Ancora oggi solo pochi si<br />

dedicano a questo compito fondamenta<strong>le</strong>.<br />

(7) Dal punto di vista del giovane che apprende un ta<strong>le</strong><br />

passaggio può diventare traumatico. Dipende dal livello di<br />

capacità astrattive che si è conquistato al momento in cui si<br />

affronta un ta<strong>le</strong> studio senza sostegni materiali. Io affrontai lo<br />

studio dell'analisi matematica ai 18 anni e della meccanica<br />

analitica a 19 anni e non avevo ancora sviluppate<br />

comp<strong>le</strong>ta<strong>mente</strong> <strong>le</strong> mie facoltà astrattive. Credo che questo<br />

abbia iniziato a rappresentare un chiaro momento di rottura con<br />

chi vo<strong>le</strong>va capire ed iniziava a muoversi nei comp<strong>le</strong>ssi campi<br />

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del<strong>le</strong> <strong>scienze</strong> teoriche ed applicate. La riduzione della<br />

meccanica alla matematica, per di più senza disegni, rese<br />

particolar<strong>mente</strong> comp<strong>le</strong>ssa la disciplina ad un certo tipo di<br />

approccio alla conoscenza, come ad esempio il mio.<br />

(8) Lagrange definisce velocità virtua<strong>le</strong> quella che un corpo in<br />

equilibrio è disposto a ricevere, quando l'equilibrio viene<br />

interrotto, cioè la velocità che il corpo assumerebbe real<strong>mente</strong><br />

<strong>nel</strong> primo istante del suo movimento; ed il principio [dei lavori<br />

virtuali] consiste in ciò che del<strong>le</strong> potenze sono in equilibrio<br />

quando stanno in ragione inversa del<strong>le</strong> loro velocità virtuali,<br />

stimate <strong>nel</strong>la direzione di queste potenze.<br />

(9) Per Lagrange questo principio, visto analitica<strong>mente</strong>,<br />

consiste <strong>nel</strong> fatto che, <strong>nel</strong> moto dei corpi che agiscono l'uno<br />

sull'altro, la somma dei prodotti del<strong>le</strong> masse per <strong>le</strong> velocità e<br />

per gli spazi percorsi è un minimo. Il principio fu ricavato da<br />

Maupertuis <strong>nel</strong> caso particolare di rif<strong>le</strong>ssione e rifrazione della<br />

luce e quindi non poteva essere generalizzabi<strong>le</strong> finché Eu<strong>le</strong>r<br />

non ha fatto vedere che <strong>nel</strong><strong>le</strong> traiettorie descritte a causa di<br />

forze centrali, l'integra<strong>le</strong> della velocità moltiplicato per<br />

l'e<strong>le</strong>mento della curva origina sempre un massimo o un<br />

minimo. Lagrange estese questa proprietà, mediante il teorema<br />

del<strong>le</strong> forze vive, al moto di di ogni sistema di corpi che<br />

agiscano l'uno sull'altro in un modo qualsiasi.<br />

(10) Truesdell così prosegue:<br />

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E' vero che <strong>le</strong> equazioni di Lagrange conservano la<br />

stessa forma per tutti gli osservatori, ma non è<br />

vero che un sistema di equazioni differenziali <strong>nel</strong>la<br />

forma di Lagrange debba corrispondere<br />

necessaria<strong>mente</strong> ad un sistema dinamico che<br />

soddisfaccia <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi di Eu<strong>le</strong>r in un dato sistema di<br />

riferimento, ed ancor meno in un sistema di<br />

riferimento inerzia<strong>le</strong>. Con l'oscurare <strong>le</strong> forze, <strong>le</strong><br />

equazioni di Lagrange nascondono il gruppo<br />

invariante della meccanica classica, che invece<br />

risulta immediata<strong>mente</strong> dal<strong>le</strong> equazioni di Eu<strong>le</strong>r.<br />

Inoltre <strong>le</strong> equazioni di Lagrange non rif<strong>le</strong>ttono la


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geometria spazio-tempora<strong>le</strong> della meccanica<br />

classica, la cui proprietà fondamenta<strong>le</strong> è la<br />

possibilità di sommare tra sé vettori localizzati in<br />

punti differenti. Senza questo lontano paral<strong>le</strong>lismo<br />

possiamo parlare di energia ma ci risulta<br />

impossibi<strong>le</strong> costruire <strong>le</strong> rimanenti grandezze alla<br />

base della meccanica classica: quantità di moto,<br />

centro di massa e momento della quantità di moto.<br />

Vedendo <strong>le</strong> equazioni di Lagrange non si capisce<br />

se un sistema possiede quantità di moto o no; in<br />

cambio <strong>le</strong> equazioni di Eu<strong>le</strong>r mostrano<br />

immediata<strong>mente</strong> questa proprietà, risultando più<br />

generali.<br />

(11) In tali posti dove fu nominato presidente non sempre<br />

riscosse l'approvazione dei col<strong>le</strong>ghi come ad esempio<br />

Delambre che affermò che mai un geometra dovrebbe essere<br />

messo alla testa di un osservatorio perché egli si disinteresserà<br />

sempre di tutto meno che di ciò che lo riguarda diretta<strong>mente</strong>.<br />

(12) Vi è un aneddoto che merita di essere raccontato. Quando<br />

Laplace presentò a Napo<strong>le</strong>one la sua Mécanique cé<strong>le</strong>ste,<br />

Napo<strong>le</strong>one osservò a Laplace che <strong>nel</strong>la sua opera non<br />

compariva mai Dio. E Laplace rispose che: Sire non ho avuto<br />

bisogno di ta<strong>le</strong> ipotesi. L'imperatore si rivolse allora a<br />

Lagrange per sentire anche il suo parere su questa vicenda<br />

dell'assenza di Dio. Lagrange, sorridendo disse: E' una bella<br />

ipotesi, che spiega molte cose.<br />

(13) Questo libro è di difficilissima <strong>le</strong>ttura e la cosa fu fatta<br />

notare a Laplace da Biot che lo aiutava <strong>nel</strong>la correzione per la<br />

pubblicazione. Biot racconta che spesso lo stesso Laplace non<br />

si ritrovava. Spesso compare <strong>nel</strong> libro l'espressione "E' lasciata<br />

al <strong>le</strong>ttore la dimostrazione ..." o cose simili. Ricordo (si veda<br />

nota 7) che il mio professore di analisi matematica, Giuseppe<br />

Scorza Dragoni, che aveva il suo testo il<strong>le</strong>ggibi<strong>le</strong>, usava<br />

regolar<strong>mente</strong> ta<strong>le</strong> espressione in ogni teorema che dimostrava.<br />

Ebbene, ad ogni espressione che Scorza usava "donde la<br />

conclusione", dovevo riempire una decina di pagine di conti<br />

per arrivare a quella bana<strong>le</strong> conclusione. Dico questo come<br />

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quello che ho già detto in nota 7 perché i professori non<br />

abusino della loro posizione vessando in questo modo del<strong>le</strong><br />

persone che accedono all'università per apprendere e non per<br />

essere torturati.<br />

(14) L'equazione di Laplace è una equazione omogenea in<br />

quanto eguagliata a zero. Nel caso e<strong>le</strong>ttrico è possibi<strong>le</strong> definire<br />

una funzione potenzia<strong>le</strong> V che però non soddisfa l'equazione<br />

omogenea di Laplace ma l'equazione che l'altro grande<br />

matematico francese, Poisson, stabilì <strong>nel</strong> 1812. Ta<strong>le</strong> equazione,<br />

valida per lo spazio libero da materia attraente, è:<br />

dove al secondo membro figura la densità ρ della materia <strong>nel</strong><br />

dato punto P preso in considerazione.<br />

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