la nascita della scienza in grecia - fisica/mente

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http://www.fisicamente.net/ FISICA/ MENTE LA NASCITA DELLA SCIENZA NEL PERIODO ELLENISTICO (La rivoluzione scientifica dimenticata) PARTE I: LA MATEMATICA Roberto Renzetti LA TRASFORMAZIONE DEL MONDO ANTICO http://www.fisicamente.net/ (1 of 106)24/02/2009 12.11.21

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FISICA/<br />

MENTE<br />

LA NASCITA DELLA SCIENZA NEL<br />

PERIODO ELLENISTICO<br />

(La rivoluzione scientifica dimenticata)<br />

PARTE I: LA MATEMATICA<br />

Roberto Renzetti<br />

LA TRASFORMAZIONE DEL MONDO ANTICO<br />

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E' utile ricapito<strong>la</strong>re un poco di storia greca. Eravamo arrivati, nel precedente articolo, al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del<strong>la</strong><br />

democrazia <strong>in</strong> Grecia con <strong>la</strong> morte di Pericle (429) ed il quasi simultaneo <strong>in</strong>izio delle guerre del<br />

Peloponneso (431) tra Atene e Sparta. Sparta sconfiggerà def<strong>in</strong>itiva<strong>mente</strong> Atene nel 404 ed imporrà<br />

suoi governi al<strong>la</strong> città. Seguiranno 70 anni di lotte tra varie città (Sparta, Atene, Tebe) per l'egemonia<br />

sul territorio greco che si concluderanno nel 362 con <strong>la</strong> sconfitta di Tebe. Nel frattempo, nel 359, era<br />

salito al trono di Macedonia Filippo II che, con mire verso <strong>la</strong> Persia, prima tentò di allearsi con Atene e<br />

poi passò al<strong>la</strong> conquista dell'<strong>in</strong>tera Grecia che avverrà nel 338 quando una lega di tutte le città greche<br />

(meno Sparta), organizzata da Demostene, fu sconfitta a Cheronea. Solo due anni dopo (336) Filippo fu<br />

ucciso <strong>in</strong> un complotto: di questo momento di sbandamento tentarono di approfittare le città greche per<br />

ribel<strong>la</strong>rsi al dom<strong>in</strong>io macedone. Il regno era passato al giovane ventenne Alessandro, figlio di Filippo,<br />

che <strong>in</strong>tervenne con durezza contro Tebe radendo<strong>la</strong> al suolo. E questo fatto conv<strong>in</strong>se subito Atene al<strong>la</strong><br />

resa (335). Ancora un solo anno dopo Alessandro <strong>in</strong>iziò <strong>la</strong> campagna contro i <strong>la</strong> Persia. In breve tempo<br />

occupò <strong>la</strong> Fenicia distruggendo Tiro. Nel 332 a.C completò l'occupazione dell'Egitto e fondò una città<br />

sul<strong>la</strong> foce del Nilo, Alessandria. Nel 331 a.C. chiuse <strong>la</strong> campagna contro i persiani con <strong>la</strong> confitta di<br />

Dario III a Gaugame<strong>la</strong> (vil<strong>la</strong>ggio vic<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> mesopotamica N<strong>in</strong>ive, sulle rive del Tigri). In un altro anno<br />

si impadronì di tutte le pr<strong>in</strong>cipali città dell'antichità tra cui Babilonia, Ecbatana, Susa e Persepoli. Egli<br />

(dal 327 al 325) sp<strong>in</strong>se poi le sue conquiste f<strong>in</strong>o al fiume Indo dove, per <strong>la</strong> stanchezza dei suoi sodati,<br />

dovette<br />

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La massima estensione dell'impero di Alessandro (323 a.C.)<br />

fermarsi. Tornato a Babilonia morì nel 323, a soli 33 anni. Al<strong>la</strong> sua morte, <strong>in</strong> mancanza di eredi e di un<br />

capo riconosciuto, <strong>in</strong>iziarono guerre <strong>in</strong>crociate tra i generali di Alessandro che rec<strong>la</strong>mavano <strong>la</strong><br />

successione, i cosiddetti diadochi. Solo nel 301, con <strong>la</strong> battaglia di Ipso <strong>in</strong> Frigia, si ebbe una<br />

sistemazione def<strong>in</strong>itiva del<strong>la</strong> divisione dell'impero: Tolomeo I divenne re d'Egitto e Libia, Seleuco I di<br />

Siria e Babilonia, Cassandro re di Macedonia e Grecia, Lisimaco di Tracia ed Asia M<strong>in</strong>ore. Da lì poi <strong>la</strong><br />

situazione ebbe cont<strong>in</strong>ui cambiamenti per cont<strong>in</strong>ue lotte, guerre, congiure, ... ma, per ciò che ci riguarda<br />

vi era una re<strong>la</strong>tiva calma nell'Egitto <strong>in</strong> cui si mantenne per circa 300 anni <strong>la</strong> d<strong>in</strong>astia dei Tolomei (f<strong>in</strong>o a<br />

Cleopatra).<br />

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La suddivisione dell'impero di Alessandro tra i diadochi dopo <strong>la</strong> battaglia di Ipso (301 a.C.)


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Ulteriori divisioni dell'impero macedone <strong>in</strong>torno al 200 a.C. <strong>in</strong> corrispondenza delle conquiste di Roma.<br />

Per quel che riguarda <strong>la</strong> Magna Grecia occorre solo fissare un paio di date. L'Italia meridionale fu<br />

<strong>in</strong>tera<strong>mente</strong> conquistata da Roma nel 272 con <strong>la</strong> def<strong>in</strong>itiva ritirata di Pirro <strong>in</strong> Grecia. La Sicilia che<br />

aveva mantenuto una sua autonomia sotto il dom<strong>in</strong>io di Siracusa, cadde def<strong>in</strong>itiva<strong>mente</strong>, a marg<strong>in</strong>e delle<br />

Guerre Puniche, sotto il dom<strong>in</strong>io di Roma nel 212 con <strong>la</strong> conquista del<strong>la</strong> medesima città.<br />

L'<strong>in</strong>sieme di queste vicende comporta cont<strong>in</strong>ui ed a volte repent<strong>in</strong>i cambiamenti ai quali si associano<br />

sempre rivolgimenti economici, sociali e culturali. Nonostante ciò si può affermare che l'attività<br />

scientifica mantiene suoi caratteri peculiari che le assicurano cont<strong>in</strong>uità e coerenza anche perché <strong>in</strong><br />

nessuno dei tre regni <strong>in</strong> cui si dissolse l'impero di Alessandro vi fu il ripudio dell'eredità culturale e del<strong>la</strong><br />

tradizione ellenica e perché tale attività scientifica si svolge pr<strong>in</strong>cipal<strong>mente</strong> <strong>in</strong> un Paese, l'Egitto, ed <strong>in</strong><br />

una città, Alessandria d'Egitto, molto marg<strong>in</strong>al<strong>mente</strong> toccati dalle violente perturbazioni alle quali ho<br />

accennato. Tale città fu costruita a partire dal 332 presso le foci del Nilo su una terra fertile al centro di<br />

tutti i traffici. Essa, che nelle <strong>in</strong>tenzioni poi realizzate doveva essere un ponte tra oriente ed occidente,<br />

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diventerà <strong>la</strong> cul<strong>la</strong> del<strong>la</strong> civiltà ellenistica arrivando a contare, al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del III secolo, oltre mezzo<br />

milione di abitanti.<br />

CITTA', COMMERCI, TECNICA.<br />

C'è da notare che <strong>la</strong> fondazione di nuove città, già praticata <strong>in</strong> precedenza, divenne una costante del<strong>la</strong><br />

politica di Alessandro Magno (1) . Lo scopo era triplice: da una parte si costruivano dei presidi avanzati <strong>in</strong><br />

cui sistemare i veterani, con grandi riconoscimenti terrieri e di diritti dist<strong>in</strong>guendoli dal<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione<br />

locale; dall'altra si costituivano entità con il f<strong>in</strong>e di penetrazione economica e culturale; da ultimo queste<br />

città erano dei presidi tributari, una garanzia per il pagamento di imposte per le <strong>in</strong>tere regioni che<br />

amm<strong>in</strong>istravano. E le imposte erano un elemento fondamentale per i regni ellenisti poiché con esse si<br />

mantenevano gli eserciti mercenari, il lusso delle corti e <strong>la</strong> burocrazia di pa<strong>la</strong>zzo. Una conseguenza non<br />

secondaria di ciò fu una ricaduta importante nel tessuto produttivo preesistente. Una nuova città con <strong>la</strong><br />

tecnica architettonica ed urbanistica ellenistica, molto avanzata (che prevedeva una serie di edifici e<br />

monumenti che davano organizzazione e carattere al<strong>la</strong> città: teatri, palestre, terme, ippodromi,<br />

biblioteche, templi e altari, strade rettil<strong>in</strong>ee che <strong>in</strong>crociavano ad angolo retto altre strade; e che,<br />

<strong>in</strong>contrando <strong>la</strong> cultura orientale, <strong>in</strong>trodusse archi, volte, cupole, case a più piani divise <strong>in</strong> appartamenti e,<br />

dal secolo II a.C., i colonnati nei cortili <strong>in</strong>terni delle case), che si <strong>in</strong>seriva <strong>in</strong> tessuti sostanzial<strong>mente</strong><br />

agricoli, comportava il cambiamento del<strong>la</strong> vita materiale di <strong>in</strong>tere regioni per <strong>la</strong> mole di <strong>la</strong>voro che si<br />

orig<strong>in</strong>ava (al quale erano chiamati anche degli operai sa<strong>la</strong>riati, non più necessaria<strong>mente</strong> schiavi), per il<br />

maggior numero di beni circo<strong>la</strong>nti, per l'ulteriore sviluppo tecnico che ne derivava. Ben pochi furono<br />

però i benefici che arrivarono ai ceti più poveri. L'accumulo di ricchezza era per pochi con un solo<br />

evidente cambiamento. Mentre negli Stati del vic<strong>in</strong>o oriente e dell'Egitto gran parte del territorio statale<br />

era spesso proprietà del sovrano che lo concedeva a vari coltivatori <strong>in</strong> cambio di prodotti ora, con i<br />

sovrani ellenistici, si estende <strong>la</strong> rete dei proprietari privati che era stata una delle caratteristiche del<strong>la</strong><br />

Grecia f<strong>in</strong>o all'età di Pericle <strong>in</strong> cui vigeva il diritto di libera appropriazione delle terre (che aveva<br />

permesso il formarsi di patrimoni privati). Per altri versi, <strong>la</strong> pianificazione urbana a cui accennavo<br />

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comportava problemi non <strong>in</strong>differenti di approvvigionamento idrico e di fognature che sollecitavano<br />

soluzioni tecniche <strong>in</strong>differibili. Inoltre i ceppi che si <strong>in</strong>nestavano <strong>in</strong> queste città erano di persone colte<br />

con al seguito architetti ed <strong>in</strong>gegneri che conoscevano tecniche avanzate.<br />

Tra queste città merita attenzione, per quanto vedremo, <strong>la</strong> già citata Alessandria d'Egitto. L'architetto<br />

D<strong>in</strong>ocrate di Rodi propose ad Alessandro Magno un'opera fantastica ma irrealizzabile: scolpire il monte<br />

Athos <strong>in</strong> modo da rappresentare una figura umana avente <strong>in</strong> una mano una città e nell'altra un <strong>la</strong>go.<br />

Questa follia non si fece ma Alessandro fu colpito dal<strong>la</strong> fantasia di questo architetto tanto da metterlo a<br />

capo del<strong>la</strong> progettazione di Alessandria. Secondo Pseudo-Cesare vi erano due strade pr<strong>in</strong>cipali <strong>la</strong>rghe 30<br />

metri che si <strong>in</strong>crociavano al centro del<strong>la</strong> città. Ai <strong>la</strong>ti delle due strade vi erano portici imponenti tanto<br />

che <strong>la</strong> <strong>la</strong>rghezza complessiva di<br />

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ciascuna strada <strong>in</strong>cludendo il portico era di 60 metri. Queste strade erano illum<strong>in</strong>ate per l'<strong>in</strong>tera notte. La<br />

terraferma era unita all'Iso<strong>la</strong> dove era situato il faro con una gigantesca diga lunga 7 stadi (Diga<br />

Eptastadio) sul<strong>la</strong> quale si poteva transitare. Ad una estremità dell'iso<strong>la</strong>, dove si accedeva al Grande<br />

Porto, vi era il famoso faro (è l'iso<strong>la</strong> che ha dato il nome al faro e i fari odierni si chiamano così<br />

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Ricostruzione del faro di Alessandria<br />

da questo antenato) alto oltre 135 metri e visibile da oltre 50 km di distanza (una delle sette meraviglie<br />

del mondo antico (2) ). L'altra estremità dell'iso<strong>la</strong> chiudeva l'altro porto, quello rettango<strong>la</strong>re (kibotos).<br />

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L'architetto aveva provveduto a realizzare delle coll<strong>in</strong>e artificiali per rendere più mosso il paesaggio e,<br />

da tali coll<strong>in</strong>e, era possibile avere panoramiche sul<strong>la</strong> città e sul mare. Dei canali portavano acqua da<br />

Nilo, potabilizzata mediante vasche a sedimentazione, per case e fontane. Secondo vari studiosi ed<br />

urbanisti si tratta del<strong>la</strong> prima città <strong>in</strong> senso moderno, non più un agglomerato di case <strong>in</strong>torno al<strong>la</strong> reggia<br />

ma una struttura polifunzionale da poter essere utilizzata di per sé. Alessandria fu una vera città<br />

cosmopolita con un nucleo pr<strong>in</strong>cipale di greci, egiziani ed ebrei a cui successiva<strong>mente</strong> si aggiunsero<br />

siriani, persiani, romani, libici, cilici, etiopi, arabi, battriani, sciti, <strong>in</strong>diani.<br />

La circo<strong>la</strong>zione di ricchezza, unita a conoscenze avanzate ed all'abbondanza di mano d'opera (schiavi<br />

o no) fu al<strong>la</strong> base di una grande rivoluzione economica. Con le conquiste di Alessandro, pur gestite dai<br />

suoi successori <strong>in</strong> regni frantumati (ma non come le antecedenti città-stato), si riuscì a diffondere,<br />

attraverso i mercanti greci, una l<strong>in</strong>gua comune , il greco (dialetto attico con <strong>in</strong>fluenze ioniche: <strong>la</strong> ko<strong>in</strong>é),<br />

<strong>in</strong>izial<strong>mente</strong> per esigenze economico commerciali, qu<strong>in</strong>di per quelle del<strong>la</strong> cultura e del<strong>la</strong> tecnica. Nel<br />

circuito dei commerci, che poi ha profonde <strong>in</strong>fluenze politiche (ad esempio, di fronte all'affermarsi delle<br />

potenti monarchie assolute e prepotenti, il dibattito sul buon governo e sul<strong>la</strong> democrazia perse di<br />

significato (3) ), entrarono molte nuove entità e gli scambi <strong>in</strong>teressarono luoghi (dal Danubio all'Etiopia e<br />

dall'India e perf<strong>in</strong>o dal<strong>la</strong> C<strong>in</strong>a f<strong>in</strong>o alle coste at<strong>la</strong>ntiche) e genti precedente<strong>mente</strong> esclusi: le popo<strong>la</strong>zioni<br />

dell'Europa sud orientale (gli Sciti ed i Sarmati) e del<strong>la</strong> costa settentrionale del Mar Nero (il Ponto<br />

Eus<strong>in</strong>o), quelle dei Balcani meridionali e dei Carpazi (i Traci, i Daci, i Geti) , i regni e i territori al sud<br />

dell'Egitto, gli arabici ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e gli <strong>in</strong>diani che a loro volta erano collegati con i loro opposti: le coste<br />

galliche ed ispaniche a nord e quelle di Cartag<strong>in</strong>e, del<strong>la</strong> Numidia e del<strong>la</strong> Mauritania a sud del<br />

Mediterraneo. L'apertura all'Asia del circuito mediterraneo ebbe allora <strong>la</strong> stessa valenza che 1800 anni<br />

dopo ebbe <strong>la</strong> scoperta dell'America. Vi fu una <strong>in</strong>terre<strong>la</strong>zione biunivoca tra accresciuti scambi e<br />

provvedimenti che li favorivano: da una parte fu <strong>in</strong>trodotto un peso unico per le monete sia d'oro che<br />

d'argento, dall'altra fu <strong>in</strong>crementato un sistema bancario-creditizio per agevo<strong>la</strong>re i commerci. Aumentò<br />

<strong>la</strong> rete di strade per le carovane sempre più numerose e con prodotti sempre più preziosi (<strong>in</strong>censo per<br />

profumare e dis<strong>in</strong>fettare, perle, oro, seta), si estesero le vie navigabili lungo i fiumi e si ampliarono di<br />

molto le conoscenze geografiche.<br />

Le navi che veico<strong>la</strong>vano questi traffici, general<strong>mente</strong> di 100 tonnel<strong>la</strong>te, raggiunsero anche le 5000<br />

tonnel<strong>la</strong>te. Navi di tale stazza richiedevano porti adeguati che furono realizzati <strong>in</strong>sieme a grandi fari,<br />

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come quelli citati di Alessandria; a canali di comunicazione più rapida come quello che unì il<br />

Mediterraneo con il Mar Rosso; poi servivano <strong>in</strong>frastrutture di trasporto e furono costruiti edifici e<br />

ponti. Ogni genere di attività ricevette un forte impulso: <strong>la</strong> metallurgia, il tessile, i coloranti, l'artigianato<br />

artistico, <strong>la</strong> vetreria, l'oreficeria, i cosmetici, i mobili, l'abbigliamento di lusso. Questo fermento di<br />

attività produsse come conseguenza un primo sviluppo <strong>in</strong>dustriale del<strong>la</strong> produzione dei beni. Sempre<br />

più <strong>la</strong>voratori vengono occupati per produrre oggetti dal carattere sempre più specialistico. A questo<br />

proposito dice Lilley:<br />

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La suddivisione del <strong>la</strong>voro si accentuò: per esempio non era più il muratore ad arrotare i<br />

propri utensili, né il tagliapietra a spazzare i detriti. L'impiego di schiavi nell'<strong>in</strong>dustria<br />

dim<strong>in</strong>uì, sia pure solo per un certo tempo; e nelle fabbriche si impiegarono <strong>la</strong>voratori sia<br />

liberi e sa<strong>la</strong>riati, sia egual<strong>mente</strong> liberi ma <strong>in</strong>gaggiati per un periodo di <strong>la</strong>voro obbligatorio<br />

(sistema adottato dall'età del bronzo). Queste condizioni ebbero per effetto di stimo<strong>la</strong>re<br />

l'<strong>in</strong>ventiva meccanica, e nei tre secoli che seguirono il 330 a.C. il numero e l'importanza<br />

delle <strong>in</strong>venzioni furono <strong>in</strong>comparabil<strong>mente</strong> maggiori che <strong>in</strong> qualsiasi altro periodo<br />

compreso fra il 3000 a.C. e il tardo Medioevo.<br />

Per <strong>la</strong> prima volta <strong>in</strong>com<strong>in</strong>ciamo a trovare descrizioni scritte abbastanza comprensibili di<br />

certi elementi meccanici, descrizioni che si aggiungono alle testimonianze archeologiche e<br />

a quelle letterarie occasionali, su cui si è basata <strong>la</strong> nostra storia delle epoche precedenti. Le<br />

c<strong>la</strong>ssi colte, le sole che potessero <strong>la</strong>sciare queste testimonianze scritte, com<strong>in</strong>ciarono<br />

f<strong>in</strong>al<strong>mente</strong> a prendere qualche <strong>in</strong>teresse alle questioni meccaniche. In teoria esse<br />

disprezzavano ancora tutto quanto riguardasse il <strong>la</strong>voro manuale, ma <strong>in</strong> pratica era già così<br />

evidente l'importante posizione assunta dall'<strong>in</strong>dustria nell'economia generale, che qualcuno<br />

<strong>in</strong>com<strong>in</strong>ciò a rivolgere le proprie capacità specu<strong>la</strong>tive alle applicazioni <strong>in</strong>dustriali.<br />

Alcuni mestieri o professioni vennero così ad acquistare rispettabilità e considerazione: per<br />

esempio quel<strong>la</strong> dell'agrimensura. La dist<strong>in</strong>zione fra il <strong>la</strong>voratore e l'uomo del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse<br />

agiata, che aveva a sua disposizione tempo ed educazione, dist<strong>in</strong>zione che aveva frustrato il<br />

progresso nell'età del bronzo e anche <strong>in</strong> quel<strong>la</strong> del ferro, <strong>in</strong>torno al 450 a.C. era divenuta<br />

meno netta di prima. Essa rimase, tuttavia, ed ebbe anzi tendenza ad accentuarsi


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nuova<strong>mente</strong> quando l'<strong>in</strong>teresse delle persone istruite per le questioni meccaniche andò<br />

gradata<strong>mente</strong> orientandosi, dall'<strong>in</strong>venzione e dal perfezionamento delle macch<strong>in</strong>e utili,<br />

verso <strong>la</strong> costruzione di <strong>in</strong>gegnose curiosità e giocattoli meccanici. E, difatti, le più<br />

importanti <strong>in</strong>venzioni di questo periodo furono ancora opera di artigiani sconosciuti.<br />

Anche qui, come sempre e dovunque, grandi avanzamenti tecnici si ebbero con le tecniche di guerra.<br />

L’<strong>in</strong>izio di una produzione su vasta sca<strong>la</strong> di materiali da costruzione e manufatti per attività <strong>la</strong>vorative e<br />

domestiche permise lo sviluppo di ceti artigianali sempre più specializzati nell’applicazione di varie<br />

tecnologie, dai quali furono reclutati i corpi militari impiegati nell’uso delle macch<strong>in</strong>e da guerra, come<br />

<strong>in</strong>gegneri e architetti e, più <strong>in</strong> generale, tutti gli <strong>in</strong>dividui disposti a trasformarsi <strong>in</strong> professionisti<br />

specializzati nell’arte militare. Si svilupparono, a fianco delle balestre, grandi artiglierie a torsione<br />

(catapulte) e macch<strong>in</strong>e da guerra dal<strong>la</strong> straord<strong>in</strong>aria complicazione o dimensione. Grandi balestre<br />

riuscivano a <strong>la</strong>nciare frecce di circa 2 metri di lunghezza. Le catapulte furono perfezionate al punto che<br />

riuscivano a <strong>la</strong>nciare palle di pietra di circa 80 Kg ad una distanza di circa 300 metri. L'uso delle<br />

catapulte per <strong>la</strong>nci di pietre o fuoco era noto ma fu <strong>in</strong> età ellenistica che furono realizzate miscele<br />

<strong>in</strong>cendiarie, prodotte con pece, zolfo, stoppa, segatura di p<strong>in</strong>o e nafta, provenienti dall’Oriente. Fu<br />

realizzato anche un fuoco automatico che s'<strong>in</strong>cendiava spontanea<strong>mente</strong> al<strong>la</strong> luce del sole. Furono<br />

costruite grandi torri d'assalto di dimensioni gigantesche (alcune avevano f<strong>in</strong>o a 9 piani). Venivano<br />

messe <strong>in</strong> moto con ruote a gabbia di scoiattolo collegate a c<strong>in</strong>ghie di trasmissione, mosse da soldati.<br />

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Da Klemm. Un sistema di ruote a gabbia di scoiattolo del tipo utilizzato dagli eserciti dei regni<br />

ellenisti per muovere le grandi torri d'assalto. Nel disegno, tratto da un bassorilievo ritrovato a<br />

Capua, il meccanismo è utilizzato dai romani per sollevare colonne.<br />

LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA<br />

Ad Alessandria, per <strong>in</strong>iziativa di Tolomeo I Soter (il salvatore), uno dei sovrani <strong>in</strong> cerca di gloria e<br />

per questo ben disposti verso le arti e i mestieri (come disse Filone nel 200 a.C.), nel 290 si <strong>in</strong>iziò a<br />

costruire <strong>la</strong> famosa Biblioteca all'<strong>in</strong>terno di uno spazio chiamato Mousaion (Museo, così chiamato <strong>in</strong><br />

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onore delle Muse, come facevano i Pitagorici), centro di cultura greca per le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i mediche,<br />

astronomiche e biologiche (disponeva <strong>in</strong>fatti di sale anatomiche, di un osservatorio, uno zoo, un orto<br />

botanico). Esso disponeva di alloggi per gli studiosi che vi risiedevano, di sale di lettura, di una mensa<br />

comune ed era f<strong>in</strong>anziato, prima volta nel<strong>la</strong> storia, dallo Stato che provvedeva anche ad un sa<strong>la</strong>rio senza<br />

obbligo, sembra, di fare lezione <strong>in</strong> corsi rego<strong>la</strong>ri al f<strong>in</strong>e di poter disporre di tempo per <strong>la</strong> ricerca e per<br />

<strong>in</strong>trattenere i visitatori che, <strong>in</strong> alcuni momenti, erano oltre cento. L'ambizione di Tolomeo era che questa<br />

biblioteca diventasse un centro di raccolta di tutto lo scibile umano. Vari studiosi del Liceo vennero<br />

chiamati al<strong>la</strong> Biblioteca di Alessandria da Tolomeo, tra essi Stratone di Lampsaco, ed altri via via ne<br />

furono attratti (il medico Erofilo, gli astronomi Aristillo e Timocaride, il geometra Euclide). La<br />

supervisione dei <strong>la</strong>vori fu di Demetrio di Falero che proveniva dal Liceo di Aristotele di Atene e<br />

conosceva i metodi di raccolta e catalogazione dei libri, rotoli, papiri, ecc. Egli per realizzare l'opera si<br />

circondò di un gran numero di persone preparate allo scopo, scribi, dotti, filologi. Riuscì anche a far<br />

trasferire gran parte del<strong>la</strong> stessa biblioteca del Liceo ad Alessandria. L'opera fu proseguita da Tolomeo<br />

II a cui si devono due importanti <strong>in</strong>iziative: <strong>la</strong> copiatura di ogni scritto che arrivasse su qualsiasi nave al<br />

porto di Alessandria (gli orig<strong>in</strong>ali venivano poi restituiti) e l'appello a tutti i sovrani del mondo perché<br />

<strong>in</strong>viassero libri al<strong>la</strong> biblioteca. La biblioteca arrivò ad avere approssimativa<strong>mente</strong> 700.000 rotoli, tra<br />

opere orig<strong>in</strong>ali e copie, provenienti da tutto il mondo, tutte tradotte <strong>in</strong> greco e divenne un centro di<br />

cultura che attrasse le migliori menti e persone colte dell'epoca portando <strong>la</strong> città di Alessandria a<br />

rivaleggiare con gli splendori di Atene (4) . Alcuni nomi di scienziati che <strong>la</strong>vorarono nel Museo e<br />

Biblioteca e che si aggiunsero ai primi già citati, furono: l'astronomo Conone di Samo, il medico<br />

Erasistrato, l'<strong>in</strong>gegnere Ctesibio, il matematico-geografo Eratostene, il matematico Apollonio di Perge,<br />

l'astronomo Ipparco, l'astronomo Sosigene, il fisico Erone, il matematico Mene<strong>la</strong>o, il medico Sorano,<br />

l'astronomo Tolomeo, i matematici Diofanto, Pappo e Teone (padre di Ipazia). Anche Archimede, come<br />

racconta Diodoro, avrebbe studiato ad Alessandria per poi tornare a Siracusa per l'ottimo ambiente di<br />

studio che regnava <strong>in</strong> questa città. Egli comunque ebbe re<strong>la</strong>zioni episto<strong>la</strong>ri con gli scienziati di<br />

Alessandria.<br />

L'esempio del<strong>la</strong> biblioteca si estese non solo a città dove permaneva una tradizione di studio e<br />

pensiero, come Siracusa e Cos, ma anche a nuovi centri (Antiochia, Pergamo (5) , Rodi, Smirne,<br />

Efeso, ...) che cercarono di attirare alle loro corti gli studiosi noti. L'effetto fu, per l'epoca, di una<br />

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diffusione enorme del<strong>la</strong> cultura. Questa diffusione, unita ai progressi materiali di cui dicevo poco fa, il<br />

miglioramento delle condizioni di <strong>la</strong>voro ed il perfezionamento degli strumenti, produsse l'effetto<br />

dell'accantonamento delle filosofie p<strong>la</strong>toniche ed aristoteliche. La dottr<strong>in</strong>a delle cause f<strong>in</strong>ali (teleologia)<br />

fu soppiantata <strong>in</strong>sieme al<strong>la</strong> teoria aristotelica del moto e <strong>la</strong> sua negazione del vuoto. Ma questa fu anche<br />

<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> successiva perdita di gran parte di quelle opere fantastiche. Non erano scritte da filosofi (6)<br />

e restarono qu<strong>in</strong>di fuori dagli <strong>in</strong>teressi del<strong>la</strong> società <strong>in</strong> decadenza che, come sempre, si rifugia nelle<br />

religioni, negli esoterismi, nell'astrologia (7) e nel<strong>la</strong> magia (<strong>in</strong> quest'epoca <strong>in</strong>izia l'alchimia). Andarono<br />

perse o distrutte, essendo dimenticate per secoli. Ritornarono <strong>in</strong>vece <strong>in</strong> auge gli Aristotele ed i P<strong>la</strong>tone.<br />

Nel seguito dell'articolo, andrò a ricercare alcuni contributi che ritengo più significativi del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong><br />

ellenistica. Piuttosto che seguire gli scienziati e <strong>la</strong> cronologia cercherò di affrontare le problematiche<br />

che si sono poste e le e<strong>la</strong>borazioni che ne sono scaturite negli ambiti di matematica, astronomia,<br />

geodesia e <strong>fisica</strong>.<br />

LA MATEMATICA ELLENISTICA<br />

La prima em<strong>in</strong>ente personalità che si presenta al<strong>la</strong> nostra attenzione è quel<strong>la</strong> di Euclide del<strong>la</strong> cui<br />

biografia purtroppo sappiamo molto poco. Conviene riportare l'unica fonte di cui disponiamo che è un<br />

commento di Proclo (V secolo d.C.):<br />

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Euclide, l'autore degli Elementi, non è molto più giovane (di Ermotimo da Colofone e<br />

Filippo da Medma); egli ha messo <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e vari <strong>la</strong>vori di Eudosso, migliorati quelli di<br />

Teeteto ed <strong>in</strong>oltre date dimostrazioni <strong>in</strong>discutibili di quanto i suoi predecessori non avevano<br />

provato con sufficiente rigore. Euclide fiorì sotto Tolomeo I, perchè è citato da Archimede,<br />

il quale nacque verso il term<strong>in</strong>e del regno di questo sovrano ed <strong>in</strong>oltre si narra come


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Tolomeo chiedesse un giorno ad Euclide se per apprendere <strong>la</strong> geometria non esistesse una<br />

via più breve degli Elementi e ne ricevesse per risposta: In geometria non esistono camm<strong>in</strong>i<br />

fatti pei re. Euclide è adunque posteriore ai discepoli di P<strong>la</strong>tone, ma anteriore ad Eratostene<br />

ed Archimede, i quali erano contemporanei, come afferma Eratostene <strong>in</strong> qualche luogo.<br />

Euclide era di op<strong>in</strong>ioni p<strong>la</strong>tonico e molto famigliare con <strong>la</strong> filosofia del Maestro tanto che<br />

pose per iscopo f<strong>in</strong>ale de' suoi Elementi <strong>la</strong> costruzione delle figure p<strong>la</strong>toniche (corpi<br />

rego<strong>la</strong>ri).<br />

Si hanno di lui molte altre opere matematiche scritte con s<strong>in</strong>go<strong>la</strong>re precisione e piene di<br />

<strong>scienza</strong> teorica. Tali sono l'Ottica, <strong>la</strong> Catottrica, gli Elementi di musica ed anche i libri<br />

Sulle divisioni. Ma si ammirano special<strong>mente</strong> i suoi Elementi di geometria per l'ord<strong>in</strong>e che<br />

vi regna, per <strong>la</strong> scelta dei teoremi e problemi assunti come fondamentali giacchè egli non ha<br />

<strong>in</strong>seriti tutti quelli che era <strong>in</strong> grado di dare, ma bensì quelli soltanto che sono capaci di<br />

fungere da elementi, e anche per varietà dei ragionamenti i quali sono condotti <strong>in</strong> tutti i<br />

modi possibili e conv<strong>in</strong>cono ora partendo dalle cause, ora risalendo dai fatti, ma sono<br />

sempre <strong>in</strong>confutabili, esatti e dotati del carattere più scientifico. Si aggiunga che egli<br />

adopera tutti i procedimenti del<strong>la</strong> dialettica: il metodo di divisione per determ<strong>in</strong>are le<br />

specie, quello di def<strong>in</strong>izione per i ragionamenti essenziali, l'apodittico nel procedere dai<br />

pr<strong>in</strong>cipi alle cose ignote, l'analitico nel procedere <strong>in</strong>versa<strong>mente</strong> dall'ignoto ai pr<strong>in</strong>cipi. Lo<br />

stesso trattato ci presenta anche esatta<strong>mente</strong> dist<strong>in</strong>te le varie sorte di proposizioni<br />

reciproche, ora più semplici ed ora più complicate, potendo le reciprocità aver luogo o fra<br />

i1tutto ed il tutto, o fra il tutto e una parte, o fra questa e quello, o <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e fra una parte ed<br />

una parte. Che diremo poi del metodo di ricerca, dell'economia e dell'ord<strong>in</strong>e da quello che<br />

precede a ciò che segue, del<strong>la</strong> forza con cui è assodato ogni punto? Se tu vuoi aggiungervi o<br />

togliervi alcuna cosa, riconoscerai che ti allontani dal<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> e ti <strong>la</strong>sci trasc<strong>in</strong>are verso<br />

l'errore e l'ignoranza. - In realtà molte cose hanno l'apparenze di essere verità e scaturire dai<br />

pr<strong>in</strong>cipi del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, mentre <strong>in</strong> fatto si scostano da questi pr<strong>in</strong>cipi ed <strong>in</strong>gannano gli spiriti<br />

superficiali. Perciò Euclide ha esposti anche i metodi adoperati dal<strong>la</strong> <strong>mente</strong> chiaroveggente<br />

e coi quali devono famigliarizzarsi coloro che <strong>in</strong>traprendono lo studio del<strong>la</strong> geometria, per<br />

ravvisare i paralogismi ed evitare gli errori. È nello scritto <strong>in</strong>tito<strong>la</strong>to Ψευδαρια (Sofismi)<br />

che egli ha fatto questo <strong>la</strong>voro, enumerando partita<strong>mente</strong> e con ord<strong>in</strong>e i varii generi di


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ragionamenti erronei, esercitando su ciascuno <strong>la</strong> nostra <strong>in</strong>telligenza col mezzo di teoremi di<br />

ogni specie, ove oppone il vero al falso e fa concordare <strong>la</strong> dimostrazione del<strong>la</strong> verità con <strong>la</strong><br />

confutazione dell'errore. Questo libro ha pertanto siccome scopo di purificare ed esercitare<br />

l'<strong>in</strong>telligenza, mentre gli Elementi sono una guida sicura e completa per <strong>la</strong> contemp<strong>la</strong>zione<br />

scientifica delle figure geometriche (Citato da Loria).<br />

In def<strong>in</strong>itiva possiamo dire, <strong>in</strong>tersecando queste notizie con qualche altra, che Euclide visse all'<strong>in</strong>circa<br />

tra il 330 ed il 260 e che gli Elementi furono scritti <strong>in</strong>torno al 300 a.C. Sembra anche chiaro che Euclide<br />

abbia realizzato una stupenda s<strong>in</strong>tesi del<strong>la</strong> geometria costruita nei secoli precedenti ma non pervenutaci<br />

se non per testimonianze <strong>in</strong>dirette. Anche <strong>la</strong> costruzione di un libro di Elementi non è <strong>in</strong>venzione di<br />

Euclide. Se si tiene conto di quanto afferma Aristotele, che cioè <strong>in</strong> matematica con <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> elementi si<br />

<strong>in</strong>tende l'<strong>in</strong>sieme delle proposizioni <strong>in</strong>iziali dalle quali possano discenderne delle altre, l'<strong>in</strong>tento di<br />

realizzare degli Elementi base del<strong>la</strong> geometria deve essere stato di molti matematici. Noi abbiamo<br />

notizia ancora da Proclo di un testo di Elementi realizzato al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del V secolo a.C. da Ippocrate di<br />

Chio, di altri matematici come Archita di Taranto e Teeteto (IV secolo) che, come dice Proclo,<br />

aumentarono il numero dei teoremi e <strong>la</strong>vorarono per una presentazione più scientifica degli stessi. Da<br />

quanto abbiamo letto più su e da queste considerazioni discende che probabil<strong>mente</strong> molti teoremi e<br />

dimostrazioni degli Elementi non fossero stati scoperti da Euclide e che il suo pr<strong>in</strong>cipale contributo, e<br />

non è poco, sia stato quello di ord<strong>in</strong>are sistematica<strong>mente</strong> ciò di cui disponeva realizzando delle<br />

dimostrazioni def<strong>in</strong>itive di alcuni teoremi qui riportati. Qu<strong>in</strong>di, anche se altri tentarono <strong>la</strong> strada degli<br />

Elementi, fu Euclide che riuscì a darne una versione soddisfacente per l'organizzazione, le dimostrazioni<br />

e le costruzioni geometriche <strong>in</strong> casi di crescente difficoltà. Il risultato è una mostra metodica, coerente<br />

di un <strong>in</strong>sieme considerevole di teoremi estrema<strong>mente</strong> significativi. Fu proprio questa struttura completa<br />

e compatta dell'opera di Euclide, l'esposizione degli elementi del<strong>la</strong> geometria elementare, che le garantì<br />

una enorme diffusione che <strong>la</strong> fece sopravvivere alle altre, agli altri Elementi. Ed è anche il motivo per<br />

cui, <strong>in</strong>sieme alle altre opere, abbiamo perso anche i dibattiti filosofici che le accompagnavano.<br />

Qualcosa lo sappiamo solo da qualche citazione di P<strong>la</strong>tone ed Aristotele. Sappiamo ad esempio che si<br />

richiedevano dimostrazioni str<strong>in</strong>genti per ogni affermazione che si faceva. E qui viene fuori quanto più<br />

volte annunciato: ora le proposizioni devono essere generali e ciascuna deve avere delle giustificazioni<br />

precise, delle dimostrazioni str<strong>in</strong>genti ed irrefutabili (come osserva Elkana, il pensiero assume a proprio<br />

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oggetto il pensiero stesso e diventa pensiero di secondo livello). Tali dimostrazioni nel V e IV secolo<br />

coprirono gran parte dei teoremi noti e scoperti. E, da quell'epoca, si <strong>in</strong>iziò via via a sistematizzare e ad<br />

ad organizzare con ord<strong>in</strong>e logico tutto ciò che si andava accumu<strong>la</strong>ndo. Chi ha fatto questo o quel<br />

teorema ? Abbiamo idee vaghe. Non sappiamo ad esempio chi ha dato <strong>la</strong> prima dimostrazione del<br />

teorema di Pitagora e non sappiamo quale è stata <strong>la</strong> prima dimostrazione. Sappiamo <strong>in</strong>vece da<br />

Archimede che alcuni teoremi che mettono <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione volumi di cono e cil<strong>in</strong>dro o di piramide e<br />

prisma sono di Democrito e che le prime dimostrazioni di essi sono di Eudosso. Sappiamo che Eudosso<br />

usò il metodo di esaustione, fondato sulle proposizioni X, 1 degli Elementi, che sarà di Archimede, ma<br />

non sappiamo se fu lui ad <strong>in</strong>ventarlo. Sappiamo che una delle parti più eleganti e profonde degli<br />

Elementi, quel<strong>la</strong> che si occupa di proporzioni e che compare nel libro V degli Elementi di Eudosso, ma<br />

sappiamo anche che di proposizioni si discuteva da tempi remoti, anche se sembra <strong>in</strong>discutibil<strong>mente</strong> di<br />

Eudosso l'applicabilità del<strong>la</strong> teoria delle proporzioni di Eudosso sia a grandezze commensurabili che<br />

<strong>in</strong>commensurabili. E f<strong>in</strong> qui per ciò che sappiamo. Altri autori eventuali sono completa<strong>mente</strong> scomparsi<br />

al<strong>la</strong> nostra conoscenza.<br />

Resta da discutere questa opera superba che porta dentro di sé l'enorme sapienza se non del solo<br />

Euclide, di tutti i geometri greci. E' un'opera che ha avuto una diffusione paragonabile al<strong>la</strong> so<strong>la</strong> Bibbia e<br />

che, pratica<strong>mente</strong> come è nata, è ancora studiata <strong>in</strong> tutte le scuole del mondo. Va sottol<strong>in</strong>eato ciò che ho<br />

<strong>in</strong> vari modi anticipato. Per <strong>la</strong> prima volta siamo di fronte ad un'opera che rende <strong>la</strong> matematica una<br />

teoria scientifica che prende le mosse da alcune def<strong>in</strong>izioni di base di alcuni enti geometrici che non<br />

necessitano di alcuna dimostrazione (postu<strong>la</strong>ti). Se si vogliono aggiungere altre affermazioni alle<br />

fondamentali occorrerà farlo con str<strong>in</strong>genti dimostrazioni, attraverso cioè una catena di implicazioni<br />

logiche che, a partire dai postu<strong>la</strong>ti, ci porti a ciò che si deve dimostrare. Gli enti fondamentali su cui<br />

Euclide <strong>la</strong>vora sono quelli che comune<strong>mente</strong> si disegnano con riga e compasso, cioè rette e<br />

circonferenze; tali enti entrano così <strong>in</strong> una teoria scientifica.<br />

Gli Elementi si compongono di 13 libri (i libri XIV e XV sono aggiunte postume). I primi quattro<br />

libri raccolgono le proposizioni fondamentali, i fondamenti del<strong>la</strong> geometria piana: il libro I (di<br />

derivazione pitagorica) tratta del<strong>la</strong> teoria dell'uguaglianza e dell'equivalenza tra figure piane e si chiude<br />

con una dimostrazione del teorema di Pitagora; il libro II (di derivazione pitagorica)contiene una parte<br />

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oggi non più studiata, l'algebra chiamata geometrica che , appunto, è stata sostituita dall'algebra<br />

simbolica e trigonometrica; il libro III (di derivazione probabile da Ippocrate di Chio) discute delle<br />

proprietà del cerchio; il libro IV (di derivazione probabile da Ippocrate di Chio) tratta delle proprietà dei<br />

poligoni rego<strong>la</strong>ri. Il libro V si occupa del<strong>la</strong> teoria generale delle proporzioni tra grandezze (è quello che<br />

avrebbe sviluppato Eudosso) mentre il libro VI applica le precedenti teorie al<strong>la</strong> geometria piana.<br />

Seguono tre libri aritmetici <strong>in</strong> cui si trattano i numeri naturali (<strong>in</strong>teri positivi) e le loro proprietà. Il libro<br />

X c<strong>la</strong>ssifica gli irrazionali che discendono dai radicali quadratici. Gli ultimi tre libri trattano di<br />

geometria solida ed <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re il XII <strong>in</strong>troduce il metodo di esaustione (dovuto, sembra, ad Eudosso<br />

e che vedremo <strong>in</strong> Archimede) ed il XIII tratta dei c<strong>in</strong>que solidi rego<strong>la</strong>ri con una dimostrazione di<br />

enorme impatto, quel<strong>la</strong> che non è possibile avere più dei 5 solidi rego<strong>la</strong>ri noti.<br />

Natural<strong>mente</strong> non entrerò nel<strong>la</strong> discussione dell'<strong>in</strong>tera opera limitandomi a qualche def<strong>in</strong>izione,<br />

postu<strong>la</strong>to e dimostrazione, così come le si possono leggere nell'opera orig<strong>in</strong>ale. Ed <strong>in</strong>izio proprio dal<strong>la</strong><br />

prima def<strong>in</strong>izione per capire se e come vengono superate le difficoltà di Zenone-Democrito alle quali<br />

avevo accennato nell'articolo precedente:<br />

I. Punto è ciò che non ha parti.<br />

Come osserva Frajese nelle note agli Elementi, questa def<strong>in</strong>izione è ambigua e soggetta ad<br />

<strong>in</strong>terpretazioni. I più ritengono che il punto, non avendo parti, non ha dimensioni e qu<strong>in</strong>di siamo di<br />

fronte al punto idealizzato del<strong>la</strong> geometria di precisione. Il fatto è che <strong>la</strong> stessa def<strong>in</strong>izione viene usata<br />

(ad esempio da P<strong>la</strong>tone nel Sofista ed <strong>in</strong> Repubblica) anche per l'unità. Su questo ente, nel Libro VII,<br />

Euclide dice:<br />

I. Unità è ciò secondo cui ciascun ente è detto uno.<br />

e qui Euclide sembra dire che l'uno non è <strong>in</strong> se stesso divisibile (P<strong>la</strong>tone diceva che certi matematici si<br />

negano ad ammettere che l'uno possa essere divisibile per <strong>la</strong> paura che poi si possa pensare che l'uno<br />

non è uno ma composto di parti). Se si ammette che l'uno è divisibile esso diventa simultanea<strong>mente</strong> un<br />

multiplo. Qui nasce una possibile contraddizione che obbliga ad una def<strong>in</strong>izione di <strong>in</strong>divisibilità per<br />

l'uno di modo che <strong>la</strong> serie dei numeri si immag<strong>in</strong>a costituita da unità <strong>in</strong>dividuali piuttosto che da una<br />

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cont<strong>in</strong>uità <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita<strong>mente</strong> divisibile.<br />

Sul<strong>la</strong> quantità egli dice poi che è una serie di unità e che l'uno non deve essere <strong>in</strong>teso come una<br />

quantità. Proclo dist<strong>in</strong>guerà le due cose (punto ed unità), dopo aver sottol<strong>in</strong>eato che sono identiche,<br />

affermando che il punto è l'unità che ha posizione. Queste def<strong>in</strong>izioni sono pitagoriche e, se lo sono, il<br />

punto unità una diventa esteso e con dimensioni unitarie. In ogni caso questa def<strong>in</strong>izione non viene mai<br />

usata nel seguito e sembra quasi un omaggio a Pitagora <strong>in</strong> apertura dell'opera. Infatti è <strong>la</strong> def<strong>in</strong>izione III<br />

che ridef<strong>in</strong>isce il punto:<br />

III. Estremi di una l<strong>in</strong>ea sono punti.<br />

ed il punto, come estremo di una l<strong>in</strong>ea (è, dal<strong>la</strong> def<strong>in</strong>izione II, una lunghezza senza <strong>la</strong>rghezza), non ha<br />

dimensioni. Ma qui già Aristotele aveva avuto da ridire perché non si può spiegare ciò che è prima<br />

mediante ciò che viene dopo.<br />

Come si vede vi è ampio materiale di discussione già <strong>in</strong> queste prime parole. E tale discussioni<br />

potrebbero proseguire proficua<strong>mente</strong> per tutte le Def<strong>in</strong>izioni e proseguire per i Postu<strong>la</strong>ti e le Nozioni<br />

comuni che vengono subito dopo. Preferisco però passare alle Proposizioni, cioè ai teoremi ed alle loro<br />

dimostrazioni. Quasi tutti tali teoremi sono quelli studiati <strong>in</strong> un qualunque corso di studi ma vi è il<br />

Teorema di Pitagora del quale Euclide presenta una dimostrazione non usuale nei testi sco<strong>la</strong>stici <strong>in</strong> uso<br />

(proposizioni 47 il teorema diretto e 48 il teorema <strong>in</strong>verso) (8) . In tali testi si usano semplici proporzioni<br />

tra <strong>la</strong>ti di triangoli simili ricavati da altrettanto semplici costruzioni. Probabil<strong>mente</strong> Euclide non ha usato<br />

questo metodo di dimostrazione per <strong>la</strong> sistematicità che ha dato al<strong>la</strong> sua opera, opera nel<strong>la</strong> quale le<br />

proporzioni, come accennato, vengono studiate nel Libro V. E' d'<strong>in</strong>teresse riportare <strong>la</strong> dimostrazione <strong>in</strong><br />

oggetto che sembra sia dovuta allo stesso Euclide (si potrà osservare che questa dimostrazione contiene<br />

<strong>in</strong> sé quelli che sono noti oggi come i due teoremi di Euclide). Aggiungo che nel<strong>la</strong> dimostrazione di<br />

Euclide vi sono, per ogni costruzione che fa, i rimandi ad ogni cosa che precede e che giustifica<br />

l'operazione. Tali rimandi li ho omessi.<br />

Proposizione 47.<br />

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Nei triangoli rettangoli il quadrato dell'angolo opposto all'angolo retto è uguale al<strong>la</strong><br />

somma dei quadrati dei <strong>la</strong>ti che comprendono l'angolo retto.<br />

Sia ABC un triangolo rettangolo avente l'angolo BAC retto; dico che il quadrato di BC è<br />

uguale al<strong>la</strong> somma dei quadrati di BA, AC.


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La figura degli Elementi di Euclide per <strong>la</strong> dimostrazione del Teorema di Pitagora<br />

Infatti, si descrivano il quadrato BDEC su BC, e su BA, AC i quadrati GB, HC, per A si<br />

conduca AL paralle<strong>la</strong> all'una o all'altra <strong>in</strong>differente<strong>mente</strong> delle rette BD, CE, e si tracc<strong>in</strong>o<br />

le congiungenti AD, FC. Ora, poiché ciascuno dei due angoli BAC, BAG è retto, le due<br />

rette AC, AG, che giacciono da parti opposte rispetto al<strong>la</strong> retta BA, formano con essa, e coi<br />

vertici nel punto A, angoli adiacenti <strong>la</strong> cui somma è uguale a due retti; qu<strong>in</strong>di CA è <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea<br />

retta con AG. Per <strong>la</strong> stessa ragione, pure BA è <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea retta con AH. E poiché l'angolo<br />

DBC è uguale all'angolo FBA - difatti ciascuno dei due è retto -, si aggiunga <strong>in</strong> comune ad<br />

essi l'angolo ABC; tutto quanto l'angolo DBA è qu<strong>in</strong>di uguale a tutto quanto l'angolo FBC.<br />

Ora, poiché DB è uguale a BC, e FB a BA, i due <strong>la</strong>ti DB, BA sono uguali rispettiva<strong>mente</strong> ai<br />

due <strong>la</strong>ti FB, BC; e l'angolo DBA è uguale all'angolo FBC, per cui <strong>la</strong> base AD è uguale al<strong>la</strong><br />

base FC, ed il triangolo ABD è uguale al triangolo FBC (I, 4). Ma il parallelogrammo BL a<br />

è il doppio del triangolo ABD essi hanno difatti <strong>la</strong> stessa base BD e sono compresi fra le<br />

stesse parallele BD, AL -, mentre il quadrato GB è il doppio del triangolo FBC: difatti essi<br />

hanno, di nuovo, <strong>la</strong> stessa base F B e sono compresi fra le stesse parallele F B, GC. [Ma<br />

doppi di cose uguali sono uguali fra loro]; è qu<strong>in</strong>di uguale anche il parallelogrammo BL al<br />

quadrato CB. Simil<strong>mente</strong>, tracciate le congiungenti AE, BK, si potrà dimostrare che pure il<br />

parallelogrammo CL è uguale al quadrato HC; tutto quanto il quadrato BDEC è perciò<br />

uguale al<strong>la</strong> somma dei due quadrati CB, HC. Ed il quadrato BDEC è descritto su BC,<br />

mentre i quadrati CB, HC sono descritti su BA, AC. Qu<strong>in</strong>di il quadrato del <strong>la</strong>to BC è<br />

uguale al<strong>la</strong> somma dei quadrati dei <strong>la</strong>ti BA, AC.<br />

Dunque, nei triangoli rettangoli ... (secondo l'enunciato). - C.D.D.<br />

Si può dire <strong>in</strong> modo più semplice quanto scritto da Euclide. La dimostrazione viene fatta mostrando<br />

che il quadrato costruito su AB è uguale al doppio del triangolo FBC o al doppio del triangolo ABD o al<br />

rettangolo che ha per <strong>la</strong>ti BD e DL, e che il quadrato costruito su AC è uguale al doppio del triangolo<br />

BCK o al doppio del triangolo ACE o al rettangolo che ha per <strong>la</strong>ti CE ed EL. Se ne ricava che <strong>la</strong> somma<br />

dei due quadrati è uguale al<strong>la</strong> somma dei due rettangoli e cioè al quadrato costruito su BC.<br />

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Da questo teorema, con una operazione fatta successiva<strong>mente</strong> ad Euclide, è facile tirare fuori quello<br />

che è noto come I Teorema di Euclide. Da questo risaliremo poi di nuovo al<strong>la</strong> dimostrazione del<br />

Teorema di Pitagora.<br />

I Teorema di Euclide.<br />

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Il quadrato costruito sopra un cateto di un triangolo rettangolo equivale al rettangolo che<br />

ha per <strong>la</strong>ti l'ipotenusa e <strong>la</strong> proiezione del cateto sull'ipotenusa.


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Dal<strong>la</strong> figura si vede che<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (24 of 106)24/02/2009 12.11.21<br />

- Q equivale al doppio del triangolo DCB (perché hanno ugual base DC ed uguale altezza<br />

CA)<br />

- R equivale al doppio del triangolo ACG (perché hanno ugual base CG ed uguale altezza


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CH)<br />

Ma risulta che<br />

- ACG = DCB (per il primo criterio di uguaglianza tra triangoli)<br />

Da cui segue subito <strong>la</strong> conclusione:<br />

Q equivale ad R.<br />

Passiamo ora di nuovo al Teorema di Pitagora servendoci del<strong>la</strong> figura seguente e fornendone un altro<br />

enunciato:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (25 of 106)24/02/2009 12.11.21


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Teorema di Pitagora.<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (26 of 106)24/02/2009 12.11.22<br />

Il quadrato costruito sull'ipotenusa di un triangolo rettangolo, equivale al<strong>la</strong> somma dei<br />

quadrati costruiti sui cateti.<br />

Riferendoci al<strong>la</strong> figura, prolunghiamo l'altezza re<strong>la</strong>tiva all'ipotenusa (l<strong>in</strong>ea tratteggiata). Il


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quadrato costruito sull'ipotenusa risulta diviso <strong>in</strong> due rettangoli R ed R'.<br />

Applicando ora il I Teorema di Euclide ora visto, si ha:<br />

Q equivale ad R<br />

Q' equivale ad R'<br />

da cui si ricava (poiché somme di poligoni equivalenti sono equivalenti):<br />

da cui si ricava ciò che volevamo dimostrare:<br />

Q + Q' = R + R'<br />

Q + Q' equivale a BCDE.<br />

Questa dimostrazione sembra sia dell'arabo Nassir el D<strong>in</strong> e <strong>la</strong> provenienza araba di tale dimostrazione<br />

dovrebbe risultare dalle figure che troviamo <strong>in</strong> manoscritti arabi che sono del tutto simili all'ultima da<br />

me riportata:<br />

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http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (28 of 106)24/02/2009 12.11.22


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http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (29 of 106)24/02/2009 12.11.22


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Vi è un'altra argomento che merita una breve discussione, quello re<strong>la</strong>tivo al V postu<strong>la</strong>to, quello sulle<br />

rette parallele.<br />

V. Risulti postu<strong>la</strong>to che, se una retta venendo a cadere su due rette, forma gli angoli <strong>in</strong>terni<br />

e dal<strong>la</strong> stessa parte m<strong>in</strong>ori di due retti, le due rette prolungate illimitata<strong>mente</strong> verranno ad<br />

<strong>in</strong>contrarsi da quel<strong>la</strong> parte <strong>in</strong> cui sono gli angoli m<strong>in</strong>ori di due retti.<br />

e, per non frastornare qualche lettore, dico subito che questo postu<strong>la</strong>to (si mostra facil<strong>mente</strong> utilizzando<br />

<strong>la</strong> proprietà transitiva del parallelismo mostrata da Euclide nel<strong>la</strong> Proposizione 30 del Libro I) è<br />

equivalente a quello che noi usual<strong>mente</strong> conosciamo:<br />

V. Per un punto fuori di una retta passa una so<strong>la</strong> paralle<strong>la</strong> al<strong>la</strong> retta stessa.<br />

Qui vi è un richiamo tacito ad Aristotele quando affermava che vi sono certi matematici che credono<br />

che possano tracciare parallele senza rendersi conto che <strong>in</strong> tal modo danno per scontate affermazioni<br />

che non si possono dimostrare se le parallele non esistono. Il problema qu<strong>in</strong>di del<strong>la</strong> dimostrabilità di<br />

affermazioni sulle parallele era già presente addirittura <strong>in</strong> Aristotele. E vari matematici (ad esempio<br />

Tolomeo e Proclo) tentarono di dimostrare questo qu<strong>in</strong>to postu<strong>la</strong>to di Euclide f<strong>in</strong>o a quando (2100 anni<br />

dopo) fu dimostrata da Gauss (ma anche da Bólyai e Lobacevskij) l'impossibilità di dimostrarlo.<br />

Contraria<strong>mente</strong> a ciò che comune<strong>mente</strong> si crede, gli Elementi non sono esclusiva<strong>mente</strong> un'opera<br />

geometrica e lo abbiamo già visto nel descriverli. E' <strong>in</strong>teressante vedere <strong>la</strong> dimostrazione che Euclide<br />

presenta dell'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ità dei numeri primi (attenzione ciò è utile per sbarazzarci di quanti ritengono che non<br />

era chiaro il concetto d'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito nell'antichità e per capire cosa s'<strong>in</strong>tende per <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito potenziale).<br />

PROPOSIZIONE 20.<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (30 of 106)24/02/2009 12.11.22<br />

Esistono [sempre] numeri primi <strong>in</strong> numero maggiore di quanti numeri primi si voglia<br />

proporre [- cioè: La serie dei numeri primi è illimitata].<br />

Siano A, B, C i numeri primi proposti; dico che esistono numeri primi <strong>in</strong> maggior numero


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che A, B, C [cioè che ne esiste almeno un altro, oltre ad A, B, C].<br />

Infatti, si prenda il m<strong>in</strong>imo comune multiplo di A, B, C, e sia esso K; si aggiunga a K l'unità<br />

U. Ora, il numero K + U o è primo o non lo è. Dapprima, sia un numero primo; si sono<br />

dunque trovati i numeri primi A, B, C, K + U che sono <strong>in</strong> maggior numero che A, B, C.<br />

Ma sia adesso il caso <strong>in</strong> cui, per ipotesi, K + U non primo, per cui esso è diviso da un<br />

numero primo. Sia diviso dal numero primo D; dico che D non è uguale a nessuno dei<br />

numeri A, B, C. Infatti, se possibile, sia uguale [a qualcuno di essi]. Ma A, B, C dividono<br />

K; perciò anche D dividerebbe K. Ma D divide pure K + U; ossia D dividerebbe, pur<br />

essendo un numero, anche l'unità U che rimane di K + U [ossia dividerebbe anche <strong>la</strong><br />

differenza fra i due numeri consecutivi K + U e K, vale a dire, pur essendo un numero,<br />

dividerebbe l'unità U]: il che è assurdo. Qu<strong>in</strong>di D non è uguale a nessuno dei numeri A, B,<br />

C. Ed è, per ipotesi, primo.<br />

Dunque, si sono trovati numeri primi, cioè A, B, C, D, più numerosi di quanti numeri primi<br />

si siano proposti, cioè A, B, C. - C.D.D.<br />

Si può osservare che <strong>in</strong> questa dimostrazione non compare il term<strong>in</strong>e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito ma si afferma che i<br />

numeri primi sono sempre di più di qualunque quantità prefissata di essi. Ciò vuol dire che si ha chiara<br />

<strong>la</strong> def<strong>in</strong>izione di una quantità non f<strong>in</strong>ita attraverso questa def<strong>in</strong>izione rigorosa dell'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ità di un <strong>in</strong>sieme.<br />

Contraria<strong>mente</strong>, come fa notare Russo, a quanto afferma Morris Kl<strong>in</strong>e nel suo famoso Matematical<br />

thought from ancient to modern times. Dice Kl<strong>in</strong>e:<br />

Nel<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> greca il concetto di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ità è poco capito e aperta<strong>mente</strong> evitato. [...] Il<br />

concetto di un processo senza f<strong>in</strong>e atterriva [i greci] ed essi si ritraevano d<strong>in</strong>anzi "al<br />

silenzio degli spazi <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti".<br />

Se il problema risiede nel non uso del term<strong>in</strong>e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, allora non si è capito che l'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito greco era<br />

quell'apeiron del quale abbiamo diffusa<strong>mente</strong> par<strong>la</strong>to (usato nel senso di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito matematico già nel<br />

Teeteto di P<strong>la</strong>tone e nelle Coniche di Apollonio di Perge) e che, all'epoca di Euclide, si avevano ben<br />

presenti tutte le questioni sollevate da Zenone tanto che si arriva all'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito attraverso quantità f<strong>in</strong>ite. Ed<br />

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Euclide non è l'unico a trattare con rigore l'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. Ritroveremo argomentazioni di estremo <strong>in</strong>teresse <strong>in</strong><br />

Archimede.<br />

E Kl<strong>in</strong>e, nel complesso, non è tenero con Euclide. Lo considera un mero compi<strong>la</strong>tore di quanto fatto da<br />

altri senza apporti personali. Inoltre gli assegna svariati errori concettuali, nelle def<strong>in</strong>izioni (vaghe<br />

alcune ed imprecise altre), <strong>in</strong> alcune ipotesi non ben esplicitate ed <strong>in</strong> alcune dimostrazioni errate. Non<br />

mi pare di aver letto <strong>in</strong> Kl<strong>in</strong>e il riconoscimento dei meriti di Euclide che <strong>in</strong>vece trovo chiara<strong>mente</strong><br />

spiegati <strong>in</strong> Russo che sa cogliere l'essenza del <strong>la</strong>voro di Euclide:<br />

Dal nostro punto di vista <strong>la</strong> pr<strong>in</strong>cipale caratteristica dell'opera di Euclide non consiste però<br />

nell'<strong>in</strong>sieme dei risultati esposti, ma nel modo <strong>in</strong> cui essi sono connessi tra loro, formando<br />

"reti" <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ita<strong>mente</strong> estendibili di teoremi, ricavabili da un piccolo numero di<br />

affermazioni ben <strong>in</strong>dividuate. Per giudicare l'orig<strong>in</strong>alità degli Elementi occorre qu<strong>in</strong>di<br />

chiedersi se una simile struttura (senza <strong>la</strong> quale, ripetiamolo, non è possibile estendere <strong>la</strong><br />

teoria facendo "esercizi"; è questo il punto essenziale!) fosse stata ottenuta prima di<br />

Euclide.<br />

Nei frammenti rimastici sul<strong>la</strong> matematica pre-euclidea non sono documentati <strong>in</strong>siemi di<br />

postu<strong>la</strong>ti analoghi a quelli di Euclide. [...]<br />

Non vi è motivo per supporre che l'unità logica degli Elementi (o quanto meno di <strong>la</strong>rghe<br />

sezioni dell'opera), che evidente<strong>mente</strong> non è dovuta al caso ma è il frutto del <strong>la</strong>voro<br />

consapevole dello stesso matematico cui dobbiamo <strong>la</strong> scelta dei postu<strong>la</strong>ti, non sia una<br />

novità, di grande importanza, <strong>in</strong>trodotta da Euclide.<br />

Questo libro, vera<strong>mente</strong> splendido, ebbe con il tempo un impatto duplice. Da una parte fu il libro di<br />

testo di tutti i giovani che <strong>in</strong>iziavano ad <strong>in</strong>teressarsi al<strong>la</strong> matematica, dall'altra fu un modello del metodo<br />

che conosciamo come assiomatico-deduttivo. Ma, per ciò che abbiamo detto a proposito del V<br />

postu<strong>la</strong>to, anche ipotetico <strong>in</strong> quanto Euclide era al corrente che alcune delle affermazioni di base del<strong>la</strong><br />

sua geometria erano già state messe <strong>in</strong> discussione o rifiutate da importanti filosofi greci. E' un poco il<br />

coronamento di quanto i filosofi, come P<strong>la</strong>tone ed Aristotele <strong>in</strong> modi diversi, avevano richiesto nei<br />

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secoli precedenti. La prova, <strong>la</strong> dimostrazione, con Aristotele che diceva, con qualche ragione, che non<br />

tutte le affermazioni possono essere provate perché il punto di partenza di ogni dimostrazione sono<br />

sempre alcune affermazioni <strong>in</strong>dimostrabili (esse erano, per Aristotele, le def<strong>in</strong>izioni, gli assiomi e le<br />

ipotesi). E gli Elementi partono dagli stessi presupposti richiesti da Aristotele (con gli assiomi<br />

aristotelici che diventano qui nozioni comuni e con le ipotesi che sono all'<strong>in</strong>terno delle proposizioni).<br />

Altro grande matematico e non solo del secolo III è certa<strong>mente</strong> Archimede che <strong>in</strong>iziamo a raccontare<br />

come uno dei creatori del calcolo che oggi conosciamo come <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itesimale.<br />

SULLA VIA DEL CALCOLO INFINITESIMALE<br />

Archimede di Siracusa (circa 287 a.C. - 212 a.C.) è figlio dell'astronomo Fidia che da giovane lo<br />

manda a studiare ad Alessandria e parente ed amico del tiranno di Siracusa, Gerone II. Fu allievo dei<br />

successori di Euclide e str<strong>in</strong>se amicizia con Conone di Samo ed Eratostene di Cirene. Tornato a<br />

Siracusa ebbe un <strong>in</strong>carico di <strong>in</strong>gegnere civile che gli permetteva il tempo libero necessario per i suoi<br />

studi. Fu l'artefice del<strong>la</strong> costruzione di macch<strong>in</strong>e da guerra (catapulte, balestre, ganci fissati a travi<br />

sporgenti e manovrati da carrucole, argani vericelli per arpionare le navi che si fossero avvic<strong>in</strong>ate ed<br />

<strong>in</strong>venzione delle feritoie da cui si <strong>la</strong>nciava con gran frastuono ogni cosa) (9) contro gli assedianti<br />

Romani, guidati da C<strong>la</strong>udio Marcello. La città fu comunque espugnata e nelle vicende del saccheggio,<br />

nonostante ord<strong>in</strong>e contrario di Marcello, Archimede fu ucciso da un soldato (<strong>in</strong> circostanze diverse, <strong>in</strong><br />

gran parte fantastiche, a seconda dell'autore). Fu sepolto <strong>in</strong> una tomba fattagli preparare da Marcello <strong>in</strong><br />

cui, secondo le sue volontà, vi era scolpita solo una sfera <strong>in</strong>scritta <strong>in</strong> un cil<strong>in</strong>dro. La tomba fu ritrovata<br />

da Cicerone (10) nel 75 a.C. ma oggi, nonostante vic<strong>in</strong>o Siracusa vi sia <strong>la</strong> località Tomba di Archimede,<br />

non si sa che f<strong>in</strong>e abbia fatto.<br />

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Varie opere di Archimede sono andate perdute. Oggi disponiamo dei seguenti suoi scritti: Del<strong>la</strong> sfera


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e del cil<strong>in</strong>dro (<strong>in</strong> due libri), Delle conoidi e delle sferoidi, Delle spirali, Dell'equilibrio dei piani e loro<br />

centro di gravità (<strong>in</strong> due libri), Arenario, Quadratura del<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong>; Metodo sui teoremi meccanici<br />

(scoperto solo nel 1906 dal danese Heiberg <strong>in</strong> un pal<strong>in</strong>sesto ad Istanbul), Galleggianti (<strong>in</strong> due libri),<br />

Misura del cerchio [l'ord<strong>in</strong>e cronologico <strong>in</strong> cui sono state scritte da Archimede è molto dubbio]. A<br />

questo grande scienziato si deve l'<strong>in</strong>troduzione sistematica di procedimenti <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itesimali, sul<strong>la</strong> strada<br />

aperta da Democrito e con un rigore ed una eleganza che destano ammirazione.<br />

UNA OSSERVAZIONE SULLE FONTI<br />

Nel suo La Rivoluzione dimenticata, Russo ricorda <strong>in</strong> breve le vicende delle opere di Archimede che,<br />

lo ricordo, non possediamo <strong>in</strong> versione autografa. Scrive Russo:<br />

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Sembra che diversi degli scritti di Archimede (tra i quali La quadratura del<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong>)<br />

siano sopravvissuti per secoli <strong>in</strong> un'unica copia: un codice preparato a Bisanzio nel IX<br />

secolo. Questo manoscritto, oggi scomparso, appartenne a Federico II di Svevia e dopo <strong>la</strong><br />

battaglia di Benevento (1266) f<strong>in</strong>ì nel<strong>la</strong> Biblioteca Vaticana; esisteva ancora nel XV secolo,<br />

quando fu copiato <strong>in</strong> Francia e <strong>in</strong> Italia, ma non se ne hanno più notizie nel secolo<br />

successivo. Di un altro manoscritto, che conteneva opere diverse e probabil<strong>mente</strong> era stato<br />

donato al papa <strong>in</strong>sieme al primo, si perdono le tracce già nel XIV secolo. Da questo<br />

secondo manoscritto era stata derivata una versione <strong>la</strong>t<strong>in</strong>a del trattato sui galleggianti. La<br />

so<strong>la</strong> altra fonte per le opere di Archimede è il pal<strong>in</strong>sesto, cui abbiamo già accennato, trovato<br />

da Heiberg nel 1906, successiva<strong>mente</strong> perduto e recente<strong>mente</strong> ritrovato.<br />

Se non avessimo alcune sue opere, <strong>la</strong> nostra conoscenza di Archimede si ridurrebbe alle<br />

notizie tramandate da autori come Plutarco, Ateneo, Vitruvio ed Erone; saremmo cioè<br />

esatta<strong>mente</strong> nelle condizioni nelle quali ci troviamo, ad esempio, per Ctesibio: scienziato<br />

che, sul<strong>la</strong> base di queste stesse fonti, ci apparirebbe non meno <strong>in</strong>teressante. Circostanze


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quali <strong>la</strong> conservazione per sei secoli di un codice posseduto successiva<strong>mente</strong> da Bizant<strong>in</strong>i,<br />

Normanni Svevi, Angio<strong>in</strong>i, papi e umanisti fiorent<strong>in</strong>i sono ben difficil<strong>mente</strong> ripetibili. In<br />

quanti altri casi non siamo stati altrettanto fortunati?<br />

Quanto dice Russo si può <strong>in</strong>tegrare con Napolitani che racconta:<br />

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Nel 1269 Guglielmo di Moerbeke tradusse <strong>in</strong> <strong>la</strong>t<strong>in</strong>o, basandosi su due manoscritti greci<br />

(codice A e codice B) ... quasi tutto il corpus archimedeo, con l'eccezione dello Stomachion,<br />

del Problema dei buoi, del Libro dei lemmi e - eccezione assai importante - del Metodo. È<br />

da notare che i Galleggianti erano contenuti solo nel codice B, di cui si sono perse le tracce<br />

dopo il 1311. La traduzione di Moerbeke attraversò varie vicende, f<strong>in</strong>o ad approdare<br />

def<strong>in</strong>itiva<strong>mente</strong>, nel 1740, al<strong>la</strong> Biblioteca Vaticana, dove si trova tuttora. In partico<strong>la</strong>re ...<br />

esso servì come base all'edizione di alcune opere archimedee che Niccolò Tartaglia<br />

pubblicò a Venezia nel 1543. È bene osservare che Tartaglia <strong>la</strong>sciava <strong>in</strong>tendere di aver<br />

tradotto egli stesso dal greco le opere che pubblicava e che fra di esse si trovava anche il<br />

testo del primo libro dei Galleggianti. Nel 1565 l'edizione di Tartaglia fu pubblicata<br />

nuova<strong>mente</strong>, postuma; e <strong>in</strong> quello stesso anno usciva il rifacimento del<strong>la</strong> traduzione di<br />

Moerbeke dei Galleggianti, approntato dall'umanista e matematico Federico Command<strong>in</strong>o.<br />

Il codice A andò perduto nel corso del XVI secolo, ma aveva <strong>la</strong>sciato dietro di sé una<br />

numerosa progenie. Non solo ne furono fatte varie copie nel corso del XV e del XVI secolo,<br />

ma verso il 1450 era stato tradotto <strong>in</strong> <strong>la</strong>t<strong>in</strong>o dall'umanista Jacopo di San Cassiano. Il testo<br />

greco di una copia di A e <strong>la</strong> traduzione di Jacopo servirono come base dell'editio pr<strong>in</strong>ceps<br />

greco-<strong>la</strong>t<strong>in</strong>a del testo di Archimede che uscì a Basilea nel 1544. Da tale edizione mancava,<br />

ovvia<strong>mente</strong> il testo dei Galleggianti.


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Una pag<strong>in</strong>a del<strong>la</strong> traduzione di Moerbeke di circa il 1266 dei codici A e B di Archimede<br />

Prendo spunto da questo racconto e dal<strong>la</strong> triste conclusione per fare alcune considerazioni.<br />

Le opere dei grandi scienziati ellenisti, come più volte detto, sono <strong>in</strong> gran parte disperse. Ne abbiamo<br />

qualcuna spesso avuta da codici e trascrizioni postume e comunque sopravvissute ad ogni <strong>in</strong>temperie<br />

politico-religiosa quando non ad <strong>in</strong>cendi, furti e danneggiamenti di vario genere. Le figure che seguono,<br />

ad esempio, mostrano come immag<strong>in</strong>i sacre venivano sovrapposte ad un testo del pal<strong>in</strong>sesto contenente<br />

alcune opere di Archimede (Pal<strong>in</strong>sesto di Archimede). Da<br />

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Da Napolitani: Una pag<strong>in</strong>a del Pal<strong>in</strong>sesto di Archimede. Un pal<strong>in</strong>sesto è un manoscritto che<br />

ha avuto sullo stesso supporto più di una scrittura; <strong>in</strong> questo caso un testo greco di preghiera<br />

del XIII secolo si sovrappone al<strong>la</strong> scrittura orig<strong>in</strong>ale del trattato risalente al X secolo. Le<br />

pag<strong>in</strong>e sono state spiegazzate, strappate, sporcate di cera, bruciacchiate ed <strong>in</strong>taccate dai<br />

funghi. Varie preziose opere dell'antichità ci sono giunte grazie al<strong>la</strong> Chiesa <strong>in</strong> un senso<br />

diverso da ciò che comune<strong>mente</strong> si dice. Un decreto del S<strong>in</strong>odo del 691 vietava <strong>la</strong> distruzione<br />

dei manoscritti delle sacre scritture o dei padri del<strong>la</strong> chiesa, ad eccezione dei volumi<br />

imperfetti o danneggiati. Sotto tali testi sacri vi era spesso un'opera c<strong>la</strong>ssica che ci è così<br />

pervenuta (sic!).


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Da http://www.<strong>la</strong>portadeltempo.com/Scienza%20App/scie_060605.htm. Una pag<strong>in</strong>a del<br />

Pal<strong>in</strong>sesto di Archimede ancora ricoperta da un'immag<strong>in</strong>e sacra. In questo caso, l’<strong>in</strong>chiostro<br />

sul<strong>la</strong> pergamena di pelle di capra è stata erosa con un acido debole, probabil<strong>mente</strong> succo di<br />

limone, e grattata via con una pietra pomice così da poter essere riutilizzata come libro di<br />

preghiere.


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Da Napolitani. Una pag<strong>in</strong>a del pal<strong>in</strong>sesto di Archimede <strong>in</strong> cui è ben visibile il testo orig<strong>in</strong>ale (<strong>in</strong> un verso del<strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a) su<br />

cui è sovrascritto un testo sacro (nell'altro verso).<br />

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Da Napolitani. Lo stato di conservazione del Pal<strong>in</strong>sesto di Archimede. Il Pal<strong>in</strong>sesto, dopo tutte le vicende raccontate nel<br />

testo, nel 1998 fu acquistato ad un asta di Christie's da un anonimo acquirente americano. Il manoscritto è ora conservato<br />

nel Walters art museum di Baltimora (http://www.thewalters.org/archimedes/frame.html) e si sta procedendo al suo<br />

restauro da parte dell'Università di Stanford con una tecnica comb<strong>in</strong>ata di digitalizzazione e raggi X. I raggi X vengono<br />

rego<strong>la</strong>ti alle frequenze necessarie per elim<strong>in</strong>are elettroni dalle orbite degli atomi di ferro (<strong>in</strong>chiostro sovrapposto), bario e<br />

z<strong>in</strong>co (immag<strong>in</strong>i sacre). Al restauro <strong>la</strong>vora anche l'Istituto del restauro di Pisa, l'Isti- Cnr, mediante tecniche utilizzate <strong>in</strong><br />

radioastronomia. L'Isti dispone di immag<strong>in</strong>i multispettrali acquisite con tecniche sofisticate presso il Rochester <strong>in</strong>stitute of<br />

technology, nello stato di New York, e <strong>la</strong> Johns Hopk<strong>in</strong>s university di Baltimora, nel Mary<strong>la</strong>nd, e ottenute registrando<br />

l'<strong>in</strong>tensità del<strong>la</strong> luce riflessa dall'antica pergamena a diverse lunghezze d'onda che si manifestano come diversi colori. Il<br />

restauro virtuale tentato a Pisa consiste nel cercare una comb<strong>in</strong>azione delle immag<strong>in</strong>i dal<strong>la</strong> quale possano riemergere<br />

quelle re<strong>la</strong>tive ai due testi.<br />

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un <strong>la</strong>to il materiale su cui si scriveva era prezioso, anche perché scarseggiava, dall'altra non capendo di<br />

cosa si trattava ritenevano fosse da buttare, da ultimo l'opera sistematica di distruzione che, da parte sua,<br />

il Cristianesimo ha operato su ogni opera dell'antichità c<strong>la</strong>ssica.<br />

Resta una domanda: le opere che ci restano sono le più rappresentative dei livelli scientifici e<br />

tecnologici raggiunti da quegli scienziati ? Evidente<strong>mente</strong> una risposta certa a questa domanda non <strong>la</strong> si<br />

può dare per mancanza di controprove (almeno f<strong>in</strong>o ad ora visto che io spero ancora di trovare altri<br />

scritti) ma si possono fare delle ipotesi non troppo fantastiche.<br />

Già ho altrove accennato ai costi ed al<strong>la</strong> irreperibilità del supporto per <strong>la</strong> scrittura. Le pratiche di<br />

riutilizzo di tali supporti con operazioni di raschiatura degli scritti precedenti (da qui il nome pal<strong>in</strong>sesto)<br />

erano frequenti. Vi era <strong>in</strong>oltre il problema dell'<strong>in</strong>gombro di varie opere che si andavano accumu<strong>la</strong>ndo <strong>in</strong><br />

determ<strong>in</strong>ate biblioteche. A presc<strong>in</strong>dere da furti e danni qualsiasi, varie opere si perdevano per i motivi<br />

suddetti. Quali ? Intanto è facile dire che le più complesse al<strong>la</strong> lettura e, <strong>in</strong> tal senso, quelle matematiche<br />

e di carattere tecnico <strong>in</strong> genere erano le più esposte. Vi era <strong>la</strong> pratica dei compi<strong>la</strong>tori che facevano una<br />

sorta di sunti divulgativi e spesso lontani dal testo orig<strong>in</strong>ale delle opere note ritenute più importanti. Tali<br />

sunti, per loro natura, erano di molto più facile lettura dell'opera da cui erano tratti. Quando si dovevano<br />

sgomberare dei settori di biblioteca per riutilizzare i supporti, le opere orig<strong>in</strong>ali erano quelle che più<br />

rischiavano. Inoltre con il passare degli anni ed <strong>in</strong> periodi di obsolescenza di conoscenze e di deliberati<br />

attacchi al<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> (per di più pagana!), alcuni testi passavano dall'essere <strong>in</strong>gombranti all'essere <strong>in</strong>utili.<br />

La domanda del cosa ci resta ha così una risposta molto amara: molto poco e neppure delle cose<br />

migliori. L'auge del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> alessandr<strong>in</strong>a si concentra <strong>in</strong> circa 150 anni dopo il 300 a.C., f<strong>in</strong>o a quando<br />

non vi fu un primo violento attacco al<strong>la</strong> Biblioteca da parte di Tolomeo VIII, detto Fiscone (Pancione),<br />

nel 145. Questo personaggio decretò l'espulsione degli studiosi greci dal<strong>la</strong> Biblioteca con <strong>la</strong><br />

conseguenza di una prima emorragia di cervelli che si rese sempre più esiziale. Più o meno al<strong>la</strong> stessa<br />

data <strong>la</strong> Grecia divenne una prov<strong>in</strong>cia di Roma con graduale spostamento dell'asse culturale (non<br />

scientifico!). Ebbene, senza memoria storica, senza contatto diretto con alcuni autori, è facile <strong>in</strong> un<br />

cent<strong>in</strong>aio e più anni perdere completa<strong>mente</strong> le conoscenze acquisite e ritrovarsi solo con quei riassunti<br />

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(quando va bene). Esempi di strane vicende ne abbiamo e più oltre ne parlerò diffusa<strong>mente</strong> quando mi<br />

occuperò di Erone che descrive delle macch<strong>in</strong>e dietro le quali doveva esservi ben altra conoscenza<br />

precedente ma andata irrimediabil<strong>mente</strong> perduta (a meno di qualche fortunato ritrovamento).<br />

Ci troviamo qu<strong>in</strong>di nel<strong>la</strong> condizione di fare una storia condizionata. Da un <strong>la</strong>to sappiamo di c<strong>la</strong>morosi<br />

risultati che però appaiono come punte di iceberg, dall'altro manca appunto molto tessuto connettivo che<br />

ci fornisca l'idea del<strong>la</strong> cont<strong>in</strong>uità e dell'evoluzione, anche controversa, delle conoscenze.<br />

Detto questo resta <strong>la</strong> delusione nel leggere alcuni storici del<strong>la</strong> matematica che danno giudizi apodittici<br />

sull'esistente che, a mio giudizio, non può <strong>in</strong> nessun caso descrivere con un m<strong>in</strong>imo di completezza le<br />

conoscenze scientifiche ed il livello del<strong>la</strong> loro diffusione <strong>in</strong> quei fondamentali 150 anni.<br />

IL METODO DI ESAUSTIONE<br />

Ho già avuto modo di accennare al metodo di esaustione quando, nell'articolo precedente, ho par<strong>la</strong>to<br />

di Democrito e qu<strong>in</strong>di di Eudosso. Tale metodo, già utilizzato da Euclide nel libro X degli Elementi,<br />

permetteva di trovare aree o volumi di regioni curve mediante approssimazioni successive, con l'uso di<br />

poligoni <strong>in</strong>scritti e circoscritti (o poliedri) dei quali le aree (o volumi) erano note. Per trovare ad<br />

esempio l'area di un cerchio mediante approssimazione successiva, si <strong>in</strong>scrivevano e circoscrivevano ad<br />

esso dei poligoni rego<strong>la</strong>ri, dei quali si aumentava sempre più il numero dei <strong>la</strong>ti (nel caso del<strong>la</strong> sfera si<br />

usavano poliedri, aumentando sempre più il numero delle facce). La l<strong>in</strong>ea di pensiero è sempre stata <strong>la</strong><br />

medesima: poiché non si riesce a calco<strong>la</strong>re <strong>in</strong> modo elementare un'area racchiusa da una superficie<br />

curva, si tende ad approssimare tale area con un certo numero di aree che sappiamo calco<strong>la</strong>re. Il<br />

problema è il livello dell'approssimazione. E' evidente che un triangolo <strong>in</strong>scritto <strong>in</strong> un cerchio<br />

approssima malissimo l'area del cerchio. Meglio un quadrato, un pentagono, un esagono, ..., meglio<br />

ancora tanti rettangol<strong>in</strong>i ...<br />

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Successiva<strong>mente</strong> si passò a superfici curve non approssimabili con poligoni rego<strong>la</strong>ri. Il problema<br />

divenne <strong>la</strong> suddivisione di tali superfici mediante i suddetti rettangol<strong>in</strong>i che <strong>la</strong> approssimassero sempre<br />

meglio. Da questo punto si capì, anche<br />

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Se si vuole trovare l'area del poligono mistil<strong>in</strong>eo ACDBA occorre sommare (S n ) l'area degli n rettangol<strong>in</strong>i<br />

aventi come base h e come altezza i vari valori di m. Un'area siffatta è approssimata per difetto. Tale<br />

approssimazione è sempre migliore quanto più piccolo è h. Ma, al dim<strong>in</strong>uire di H, crescono i rettangol<strong>in</strong>i,<br />

cioè n. E' a questo punto che occorre capire come proseguire per avere sempre migliori approssimazioni<br />

dell'area richiesta.<br />

se <strong>la</strong> cosa fu <strong>in</strong>izial<strong>mente</strong> rifiutata concettual<strong>mente</strong>, che <strong>la</strong> migliore approssimazione si sarebbe avuta<br />

con rettangol<strong>in</strong>i sempre più piccoli, nei quali una dimensione diventasse pratica<strong>mente</strong> nul<strong>la</strong> ... Ci volle<br />

molto a conquistare queste aree, queste quadrature, e <strong>la</strong> storia del calcolo racconta come si è riusciti a<br />

farlo<br />

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Il metodo di esaustione, già trattato da Euclide fu uno degli argomenti che più <strong>in</strong>teressarono il


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matematico Archimede nel<strong>la</strong> ricerca di alcune aree (segmento parabolico, ellisse, ...), di alcuni volumi e<br />

nello studio del problema del<strong>la</strong> tangente ad una spirale (quest'ultimo è uno dei primi problemi di<br />

calcolo differenziale mentre gli altri, e <strong>la</strong> gran maggioranza di quelli che <strong>in</strong>contreremo, re<strong>la</strong>tivi ad aree e<br />

cioè a quadrature, sono problemi di calcolo <strong>in</strong>tegrale).<br />

LE QUADRATURE DI ARCHIMEDE<br />

Inizio a discutere un argomento di grande <strong>in</strong>teresse perché è <strong>la</strong> famosa quadratura del cerchio che<br />

Archimede sviluppa <strong>in</strong> una sua breve opera che ha proprio per titolo Misura del cerchio. E' l'esempio<br />

più c<strong>la</strong>ssico dell'uso del metodo di esaustione. Dice Archimede:<br />

PROPOSIZIONE 1.<br />

Ogni cerchio è uguale ad un triangolo rettangolo se ha il raggio uguale ad un cateto [del<br />

triangolo] e <strong>la</strong> circonferenza uguale al<strong>la</strong> base [all'altro cateto].<br />

Sia dato un cerchio di raggio r e lunghezza delle circonferenza pari a C. A questo punto non posso<br />

dire che ci proponiamo di trovare <strong>la</strong> sua superficie ma devo dire che ci proponiamo di dimostrare che <strong>la</strong><br />

sua superficie è<br />

Ed <strong>in</strong> questo consiste il metodo ipotetico deduttivo: si scopre un qualcosa per via empirica o con metodi<br />

poco ortodossi; si tratta di trovare delle giustificazioni con catene logiche o dimostrazioni che port<strong>in</strong>o a<br />

quel risultato.<br />

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Con un procedimento ormai noto, almeno nelle sue l<strong>in</strong>ee generali, utilizzando il metodo di<br />

esaustione, <strong>in</strong>scriviamo nel cerchio un poligono rego<strong>la</strong>re. Tale poligono sarà divisibile <strong>in</strong> triangoli<br />

uguali, e noi sappiamo che l'area di tale poligono è <strong>la</strong> somma delle aree dei triangoli che lo costituiscono.<br />

Per maggiore semplicità visiva, rappresentiamo tale area equivalente nel disegno seguente:<br />

Si vede subito che l'area di tutti i triangol<strong>in</strong>i di figura è uguale a quel<strong>la</strong> di un triangolo che ha per base<br />

<strong>la</strong> somma di tutte le basi dei triangoli (e cioè il perimetro P del poligono) e per l'altezza quel<strong>la</strong> comune a<br />

tutti i triangoli (e cioè l'apotema a del poligono). Di modo che <strong>la</strong> figura seguente diventa<br />

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e <strong>la</strong> sua area è<br />

Aumentando ora <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ita<strong>mente</strong> il numero dei <strong>la</strong>ti del poligono, questa si avvic<strong>in</strong>erà sempre più a<br />

quel<strong>la</strong> del cerchio (si avrà co<strong>in</strong>cidenza per P = C ed a = r). Facciamo un piccolo passo avanti e<br />

rendiamo più rigoroso il ragionamento effettuando una dimostrazione per assurdo. In tal modo non<br />

dobbiamo più dimostrare che l'area del cerchio è data dal<strong>la</strong> formu<strong>la</strong><br />

ma dobbiamo mostrare che essa non può essere diversa da<br />

Ragioniamo seguendo una dimostrazione suggerita dal sito http://progettomatematica.dm.unibo.it/<br />

ARCHIMEDE/opera1.htm.<br />

Indicando con<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (47 of 106)24/02/2009 12.11.22


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

A =<br />

e con D l'area del cerchio, dobbiamo arrivare al<strong>la</strong> conclusione che sia assurdo che D sia maggiore di A<br />

e, analoga<strong>mente</strong>, che ne sia m<strong>in</strong>ore. Da cui non ci resterà che affermare che D co<strong>in</strong>cide esatta<strong>mente</strong> con<br />

A, che era proprio quello che volevamo.<br />

Analizziamo i due casi separata<strong>mente</strong>:<br />

● Per dimostrare che l'area D non può essere m<strong>in</strong>ore di A, basterà vedere che per ogni sotto<strong>in</strong>sieme<br />

M m<strong>in</strong>ore di A, posso trovare un poligono <strong>in</strong>scritto nel cerchio (come abbiamo fatto sopra) che sia<br />

maggiore di A stesso, per cui, essendo l'area del cerchio maggiore del poligono, allora D sarà<br />

sicura<strong>mente</strong> maggiore di M (ricordando che vale per ogni M).<br />

● Analoga<strong>mente</strong> si procede per dimostrare che D non può essere maggiore di A.<br />

L'unica conclusione possibile, allora, risulta <strong>la</strong> nostra di partenza e cioè che l'area del cerchio è<br />

esatta<strong>mente</strong> uguale ad A, risultato a cui siamo arrivati proprio grazie al pr<strong>in</strong>cipio di esaustione<br />

Facciamo un altro piccolo passo <strong>in</strong> avanti e andiamo a def<strong>in</strong>ire <strong>in</strong> maniera rigorosa quanto detto sopra.<br />

Sia sempre A l'area del cerchio. Vogliamo dimostrare che si cade <strong>in</strong> un assurdo se si suppone che<br />

esista un <strong>in</strong>tero positivo k tale che:<br />

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Infatti, consideriamo un poligono rego<strong>la</strong>re, <strong>in</strong>scritto nel nostro cerchio, il cui apotema a sia maggiore di


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(tale poligono esiste sempre perché, come abbiamo osservato, posso aumentare il numero di <strong>la</strong>ti f<strong>in</strong>o ad ottenere<br />

a = r) <strong>in</strong>oltre supponiamo che il perimetro P del nostro poligono sia maggiore di (ancora possibile perché<br />

aumentando <strong>la</strong> lunghezza dei <strong>la</strong>ti posso ottenere P = C ).<br />

L'area del poligono è A' = , qu<strong>in</strong>di avremo<br />

qu<strong>in</strong>di<br />

che è <strong>in</strong> contraddizione con<br />

Analoga<strong>mente</strong> per vedere che l'area del cerchio non è maggiore di , questa volta, però,<br />

considerando un poligono circoscritto al cerchio.<br />

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Ma non f<strong>in</strong>isce qui perché Archimede sa bene che il problema centrale per <strong>la</strong> quadratura del cerchio è


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<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione esistente tra diametro e circonferenza o, per dir<strong>la</strong> <strong>in</strong> modo più banale, <strong>la</strong> conoscenza sempre<br />

più precisa di π.<br />

Egli si occupa del<strong>la</strong> questione nelle altre due proposizioni, <strong>la</strong> 2 e <strong>la</strong> 3, del suo Misura del cerchio<br />

(scrivo le due proposizioni di seguito perché vi deve essere stato uno scambio di posto tra le due <strong>in</strong><br />

quanto <strong>la</strong> 2 si dimostra con <strong>la</strong> 3).<br />

PROPOSIZIONE 2.<br />

Il cerchio ha rispetto al quadrato del diametro il rapporto che 11 ha rispetto a 14.<br />

PROPOSIZIONE 3.<br />

La circonferenza di ogni cerchio è trip<strong>la</strong> del diametro e lo supera ancora di meno di un<br />

settimo del diametro, e di più di dieci settantunesimi.<br />

Seguendo <strong>la</strong> breve dimostrazione di Frajese, abbiamo un cerchio al quale circoscriviamo un<br />

quadrato CDGH (risultando il quadrato del diametro): esso<br />

risulta quadruplo del triangolo ACD. Si costruisce poi: DE = 2 CD ed: EF = 1/7 CD, sicché: CF = 3 CD<br />

+ 1/7 CD = (3 + 1/7) CD = 22/7 CD. Per <strong>la</strong> proposizione 3, il segmento CF è approssimativa<strong>mente</strong><br />

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uguale al<strong>la</strong> circonferenza del cerchio di diametro AB, qu<strong>in</strong>di il triangolo ACF è approssimativa<strong>mente</strong><br />

uguale a detto cerchio, avendo <strong>la</strong> base uguale al<strong>la</strong> circonferenza approssimata e l'altezza uguale al<br />

raggio. Ma detto triangolo ACF sta al triangolo ACD nel rapporto 3 + 1/7 = 22/7, qu<strong>in</strong>di se<br />

consideriamo il rapporto tra il triangolo ACF e il quadrato del diametro CD (quadrato che è quadruplo<br />

del triangolo ACD) il rapporto è quattro volte m<strong>in</strong>ore del precedente: può pertanto essere espresso dal<strong>la</strong><br />

frazione 11 : 14 (dividendo per 2 il numeratore 22 e moltiplicando per 2 il denom<strong>in</strong>atore 7).<br />

Ripetendo tali ragionamenti (nel<strong>la</strong> proposizione 3) a partire da esagoni rego<strong>la</strong>ri <strong>in</strong>scritti e circoscritti<br />

ad una circonferenza (di raggio unitario), f<strong>in</strong>o ad arrivare a poligoni di 96 <strong>la</strong>ti (oltre, con il simbolismo<br />

dell'epoca, era molto complesso andare), Archimede riesce a trovare che il perimetro di tale poligono<br />

circoscritto vale 3 + 10/70 ed il perimetro del medesimo poligono <strong>in</strong>scritto vale 3 + 10/71. E' evidente<br />

che <strong>la</strong> lunghezza C del<strong>la</strong> circonferenza di raggio uno deve essere compresa tra questi due valori:<br />

cioè (utilizzando <strong>la</strong> nostra notazione decimale):<br />

3 + 10/71 < C < 3 + 10/70<br />

3,1408 ...< C < 3,1428 ...<br />

poiché le prime due cifre decimali sono comuni ai due estremi del<strong>la</strong> disuguaglianza, esse devono essere<br />

certe. Ciò ci fornisce qu<strong>in</strong>di il valore di π che è, appunto:<br />

π = 3,14.<br />

Questo era un eccellente risultato che solo C<strong>la</strong>udio Tolomeo circa 400 anni dopo (o forse Ipparco,<br />

circa 100 anni dopo) riuscì a migliorare portandolo a 3,1416.<br />

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***


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Visto questo primo semplice esempio, seguo con il discutere un altro argomento ritenuto tra i<br />

maggiori successi di Archimede. E' argomento di matematica che, come vedremo risulta essere al centro<br />

degli <strong>in</strong>teressi dello scienziato siracusano.<br />

Seguiamo un suo ragionamento, quello per calco<strong>la</strong>re l'area di un segmento parabolico (si noti che il<br />

term<strong>in</strong>e parabo<strong>la</strong> non era di Archimede; <strong>in</strong> suo luogo egli usava <strong>la</strong> frase sezione del cono retto).<br />

Quest'area, come molte altre aree e volumi, si trova nel suo Metodo di Archimede sui teoremi meccanici<br />

ad Eratostene (ed era stata calco<strong>la</strong>ta precedente<strong>mente</strong> dallo stesso Archimede nel suo Quadratura del<strong>la</strong><br />

parabo<strong>la</strong>). Osservo che si avrà a che fare con triango<strong>la</strong>zioni e questo fatto può farci capire <strong>in</strong> che<br />

considerazione era tenuto lo studio dei triangoli proprio al f<strong>in</strong>e di poter procedere al calcolo di altre<br />

figure mediante triango<strong>la</strong>zioni.<br />

Il Metodo è una sorta di memoria scientifica scritta <strong>in</strong> una corrispondenza con Eratostene (del quale<br />

mi occuperò più oltre) per dar conto ad una persona di grande prestigio ad Alessandria i risultati di una<br />

ricerca geometrica dalle partico<strong>la</strong>ri caratteristiche, diverse da quelle note (nel dir questo ipotizzo, <strong>in</strong><br />

accordo con alcuni studiosi (Knorr e Sato), che l'opera di cui mi occupo sia una delle ultime opere di<br />

Archimede. E' lo stesso Archimede che, nel<strong>la</strong> dedica ad Eratostene, spiegandogli quali teoremi <strong>in</strong>tende<br />

dimostrare, segna<strong>la</strong> alcune questioni di metodo di grande <strong>in</strong>teresse:<br />

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Vedendoti poi diligente ed egregio maestro di filosofia, e tale da apprezzare anche nelle<br />

matematiche <strong>la</strong> teoria che [ti] accada [di considerare], decisi di scriverti e di esporti nello<br />

stesso libro le caratteristiche di un certo metodo, mediante il quale ti sarà data <strong>la</strong><br />

possibilità di considerare questioni matematiche per mezzo del<strong>la</strong> meccanica. E sono<br />

persuaso che questo [metodo] sia non meno utile anche per <strong>la</strong> dimostrazione degli stessi<br />

teoremi. E <strong>in</strong>fatti alcune delle [proprietà] che a me dapprima si sono presentate per via<br />

meccanica sono state più tardi [da me] dimostrate per via geometrica, poiché <strong>la</strong> ricerca<br />

[compiuta] per mezzo di questo metodo non è una [vera] dimostrazione: è poi più facile,<br />

avendo già ottenuto con [questo] metodo qualche conoscenza delle cose ricercate,<br />

compiere <strong>la</strong> dimostrazione, piuttosto che ricercare senza alcuna nozione preventiva. Perciò<br />

anche di quei teoremi, dei quali Eudosso trovò per primo <strong>la</strong> dimostrazione, <strong>in</strong>torno al cono<br />

e al<strong>la</strong> piramide, [cioè] che il cono è <strong>la</strong> terza parte del cil<strong>in</strong>dro e <strong>la</strong> piramide [è <strong>la</strong> terza


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

parte] del prisma aventi <strong>la</strong> stessa base e altezza uguale, non picco<strong>la</strong> parte [del merito] va<br />

attribuita a Democrito, che per primo fece conoscere questa proprietà del<strong>la</strong> figura<br />

suddetta, senza dimostrazione.<br />

Vi sono alcune cose notevoli da sottol<strong>in</strong>eare: Archimede comunica all'amico che si serve di un<br />

metodo meccanico per ricavare proprietà geometriche; Archimede ritiene utile tale metodo, anche se<br />

non rigoroso, almeno per capire a priori dove si va a parare. Egli qu<strong>in</strong>di, e lo vedremo subito <strong>in</strong><br />

un'applicazione, si fa una prima dimostrazione meccanica di ciò che <strong>in</strong>tende dimostrare e,<br />

successiva<strong>mente</strong> passa al<strong>la</strong> dimostrazione rigorosa. E cosa <strong>in</strong>tende Archimede per metodo meccanico ?<br />

Intanto egli lo considera molto importante tanto da dare ad esso partico<strong>la</strong>re enfasi proprio nel<strong>la</strong><br />

premessa ai teoremi che seguiranno. E' un nuovo metodo geometrico che si affianca a quello c<strong>la</strong>ssico <strong>in</strong><br />

uso nel<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> alessandr<strong>in</strong>a. Ed egli con <strong>la</strong> sua <strong>in</strong>troduzione <strong>in</strong>tende consigliarlo passando a successive<br />

esemplificazioni che ne mostrano <strong>la</strong> potenza esplicativa. E' una comb<strong>in</strong>azione di estensione di pr<strong>in</strong>cipi<br />

del<strong>la</strong> meccanica (ad esempio del<strong>la</strong> leva, con <strong>la</strong> ricerca dei centri di gravità) al<strong>la</strong> geometria e di geometria<br />

c<strong>la</strong>ssica (chiamiamo<strong>la</strong> euclidea) con il metodo di esaustione, e qu<strong>in</strong>di con ragionamenti <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itesimali, al<br />

centro. Ogni figura viene considerata come composta da elementi <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itesimi (<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite l<strong>in</strong>ee nel caso di<br />

figure piane ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti piani nel caso di figure solide). La paro<strong>la</strong> <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito non compare però <strong>in</strong><br />

Archimede. Egli usa le espressioni: <strong>la</strong> figura è composta da tutti i suoi elementi oppure <strong>la</strong> figura è<br />

riempita da tutti i suoi elementi (esempi: il triangolo è riempito da tutte le sue l<strong>in</strong>ee parallele al<strong>la</strong> base; il<br />

cil<strong>in</strong>dro è composto da tutti i cerchi perpendico<strong>la</strong>ri al suo asse).<br />

Dopo aver fatto questo, si <strong>in</strong>dividua un'altra figura (piana o solida) di cui si conoscano area o volume<br />

ed il baricentro e si dispone, rispetto a quel<strong>la</strong> da studiare, <strong>in</strong> modo da giacere sul prolungamento di un<br />

suo diametro o di un suo asse. In questo modo le due figure (chiamiamone una X ed una B) avranno i<br />

loro baricentri situati su una stessa retta. Si procede ora all'operazione di segare le due figure con rette o<br />

piani paralleli (perpendico<strong>la</strong>ri all'asse): ogni sezione sarà l'elemento <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itesimo dell'<strong>in</strong>sieme delle due<br />

figure, con <strong>la</strong> parte di sezione di una delle due figure da considerare come elemento corrispondente<br />

del<strong>la</strong> parte di sezione dell'altra figura.<br />

Ruf<strong>in</strong>i prosegue così <strong>la</strong> descrizione del metodo meccanico:<br />

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Si prolunga d'una lunghezza opportuna il diametro o l'asse, e il segmento ottenuto si<br />

considera come il giogo di una bi<strong>la</strong>ncia o l'asta di una leva di primo genere. Si tratta ora di<br />

stabilire sul<strong>la</strong> leva l'equilibrio fra gli elementi di X e quelli di B, fissato preventiva<strong>mente</strong> il<br />

punto d'appoggio P, o fulcro del<strong>la</strong> leva. Archimede sa che le due grandezze sospese ai<br />

bracci d'una leva si fanno equilibrio quando è uguale il prodotto delle loro superficie o<br />

volumi per <strong>la</strong> distanza del loro centro di gravità dal fulcro; <strong>in</strong> altre parole "quando i loro<br />

momenti rispetto al punto d'appoggio sono uguali."<br />

Per determ<strong>in</strong>are il momento di X si può procedere <strong>in</strong> questo modo: uno qualsiasi dei piani<br />

tra loro paralleli e perpendico<strong>la</strong>ri al<strong>la</strong> leva abbia da P <strong>la</strong> distanza d e determ<strong>in</strong>i nel<strong>la</strong> figura<br />

X <strong>la</strong> sezione v, e nel<strong>la</strong> figura B <strong>la</strong> sezione u; V · dx e u · dx saranno gli elementi<br />

corrispondenti di X e di B.<br />

Posto che<br />

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v : u = x : d<br />

(re<strong>la</strong>zione che negli esempi trattati da Archimede si riesce a stabilire con facili<br />

considerazioni geometriche), si avrà che ogni elemento di X sospeso al<strong>la</strong> leva al<strong>la</strong> distanza<br />

d da P farà equilibrio al corrispondente elemento di B situato al suo posto.<br />

Si immag<strong>in</strong><strong>in</strong>o allora tutti gli elementi di X trasportati e sospesi tutti per il loro centro di<br />

gravità nello stesso punto del<strong>la</strong> leva, situato al<strong>la</strong> distanza d da P, dal<strong>la</strong> parte opposta,<br />

rispetto a P, a quello a cui sono situati gli elementi di B, i quali rimangono <strong>in</strong>vece al loro<br />

posto. Anche <strong>in</strong> questa posizione tutti gli elementi di X faranno equilibrio a tutti gli<br />

elementi di B.


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Questo vuol dire che <strong>la</strong> figura X sospesa per il suo centro di gravità nello stesso punto <strong>in</strong> cui<br />

furon sospesi i suoi elementi fa equilibrio al<strong>la</strong> B situata al suo posto; i loro momenti<br />

saranno perciò uguali. Il momento di X rispetto a P sarà dunque V . d, se con V <strong>in</strong>dichiamo<br />

<strong>la</strong> sua superficie o volume; e se b è <strong>la</strong> distanza nota da P del centro di gravità di B, sarà U .<br />

b il suo momento. Qu<strong>in</strong>di:<br />

da cui<br />

V . d = U . b,<br />

V= U.b/d oppure d = U.b/V<br />

che danno rispettiva<strong>mente</strong> <strong>la</strong> superficie o il volume di X, o il suo centro di gravità se si<br />

conosce V.<br />

Vediamo allora <strong>in</strong> cosa consiste il Metodo attraverso il calcolo annunciato dell'area del segmento<br />

parabolico. Al<strong>la</strong> lettera ad Eratostene che ho precedente<strong>mente</strong> riportato, Archimede fa seguire, al solito,<br />

dei Lemmi (presupposti) e qu<strong>in</strong>di le proposizioni (teoremi) da dimostrare.<br />

Tra tali teoremi, Archimede fornisce due dimostrazioni per <strong>la</strong> quadratura del paraboloide. La prima<br />

(proposizione 1), che egli def<strong>in</strong>isce, appunto, meccanica, è basata sul<strong>la</strong> teoria del<strong>la</strong> leva (che può ben<br />

essere una bi<strong>la</strong>ncia), con l'uso dei centri di gravità delle figure geometriche. La leva sarebbe <strong>la</strong> base AB<br />

del segmento parabolico, prolungata oltre A, ed A ne sarebbe il fulcro. Egli utilizza <strong>in</strong>oltre il concetto di<br />

momento (statico), cioè il prodotto del<strong>la</strong> superficie o del volume per <strong>la</strong> distanza del suo baricentro dal<br />

punto. Quando una leva è <strong>in</strong> equilibrio, lo sono anche i momenti che, nel nostro caso, sono i momenti<br />

delle due figure prese <strong>in</strong> considerazione rispetto allo stesso punto (il fulcro). L'equilibrio dei momenti<br />

(o il peso delle due superfici) riguarda ora i trapezi che sono <strong>in</strong> figura con quelli che si avrebbero<br />

sull'altro braccio del<strong>la</strong> leva (bi<strong>la</strong>ncia). Questo equilibrio è sempre l'uguaglianza di due prodotti che si<br />

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orig<strong>in</strong>ano da una proporzione. Se chiamiamo con S <strong>la</strong> superficie o il volume del<strong>la</strong> grandezza nota e con<br />

S' di quel<strong>la</strong> da determ<strong>in</strong>are e detti b e d le distanze dei baricentri dal fulcro è:<br />

S . d = S' . b<br />

Da cui si ricava: S' = (S . d)/b che è ciò che si cercava.<br />

Con questo metodo meccanico, Archimede determ<strong>in</strong>a <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione tra il segmento parabolico ed il<br />

triangolo (ABC) che risulta formato dal<strong>la</strong> base del segmento<br />

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parabolico (AB), dal<strong>la</strong> tangente <strong>in</strong> un estremo (BC) e dal<strong>la</strong> paralle<strong>la</strong> all'asse del<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong> (A 2 C 2 )<br />

passante per l'altro estremo (AC). Si supponga ora di tracciare rette perpendico<strong>la</strong>ri al<strong>la</strong> base AB che<br />

staccano sul<strong>la</strong> superficie parabolica <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti segmenti del tipo di AB 1 , e sul triangolo <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti segmenti<br />

come CC 1 (natura <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itesimale del problema). Questi segmenti sono i "fili" di Archimede (nel caso di<br />

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un solido <strong>in</strong> luogo dei segmenti occorrerà prendere <strong>in</strong> considerazione le <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite fett<strong>in</strong>e, estrema<strong>mente</strong><br />

sottili, che si ottengono sezionandolo, che Cavalieri chiamerà foglietti). La superficie del segmento<br />

parabolico ha lo stesso peso del<strong>la</strong> somma dei pesi di tutti i fili del tipo di AB 1 e <strong>la</strong> superficie del<br />

triangolo ha lo stesso peso del<strong>la</strong> somma dei pesi di tutti i fili del tipo di CC 1 . Archimede riesce<br />

ideal<strong>mente</strong> a costruire una bi<strong>la</strong>ncia su cui confronta i due pesi, trovando che il primo è 4/3 del secondo;<br />

di conseguenza conclude che l'area del segmento parabolico è 4/3 di quel<strong>la</strong> del triangolo. Vediamo <strong>in</strong><br />

s<strong>in</strong>tesi <strong>la</strong> sua dimostrazione con il metodo meccanico. Egli, come aveva dimostrato <strong>in</strong> Quadratura del<strong>la</strong><br />

parabo<strong>la</strong>, si propone di mostrare che il segmento parabolico ABC è i 4/3 del triangolo ABC.<br />

Riferiamoci al<strong>la</strong> figura seguente <strong>in</strong> cui è riportato il segmento<br />

parabolico ABC. Consideriamo il punto medio D di AC. Da esso tracciamo l'asse BD del<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong> e<br />

prolunghiamolo f<strong>in</strong>o ad <strong>in</strong>tersecare <strong>in</strong> E <strong>la</strong> tangente CF al<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong> <strong>in</strong> C. Tracciamo poi <strong>la</strong> paralle<strong>la</strong> AF<br />

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a BD passante per A, <strong>in</strong>tersecante <strong>in</strong> F <strong>la</strong> tangente CF. Consideriamo ora <strong>la</strong> retta che parte da C e passa<br />

per il vertice B che poi <strong>in</strong>tersecherà AF nel punto K. Su tale retta prendiamo il punto K tale che risulti<br />

HK = KC. Si consideri ora una retta qualunque MO paralle<strong>la</strong> ad EBD. Dice Archimede che, poiché<br />

CBA è una parabo<strong>la</strong>, poiché CF è ad essa tangente e CD è <strong>la</strong> metà del<strong>la</strong> corda paralle<strong>la</strong> al<strong>la</strong> tangente <strong>in</strong><br />

B, vertice del segmento parabolico (o: <strong>la</strong> metà del<strong>la</strong> corda coniugata al diametro BD,come diremmo<br />

oggi), ne consegue che EB = BD per quanto dimostrato da Euclide (<strong>in</strong> una parabo<strong>la</strong> <strong>la</strong> sottotangente di<br />

un punto qualsiasi è divisa per metà dal vertice). Per lo stesso motivo e per il parallelismo tra FA ed<br />

MO risulta anche MN = NO e FK = KA. A questo punto Archimede fa riferimento ad una proporzione<br />

che egli stesso aveva dimostrato <strong>in</strong> Quadratura del<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong>:<br />

BD : BQ = AD 2 : PQ 2 ,<br />

dove Q è il punto d'<strong>in</strong>tersezione tra <strong>la</strong> paralle<strong>la</strong> ad AC (passante per P) e BD (si noti che sviluppando<br />

questa proporzione si trova l'equazione cartesiana di una parabo<strong>la</strong>). Da questa re<strong>la</strong>zione discende che:<br />

da cui, utilizzando il fatto che HK = KC, si ha:<br />

CA : AO = MO : OP e CA : AO = CK : KN<br />

HK : KN = MO : OP.<br />

Archimede prosegue affermando che si deve considerare CH come il giogo di una bi<strong>la</strong>ncia (una leva),<br />

del quale K sia il fulcro. Il segmento OM, <strong>la</strong>sciato dove si trova <strong>in</strong> figura, equilibra il segmento OP<br />

trasportato paralle<strong>la</strong><strong>mente</strong> a se stesso f<strong>in</strong>o ad avere il centro <strong>in</strong> H e co<strong>in</strong>cidere con il segmento TG.<br />

Questo equilibrio vale per ogni sezione del triangolo ACF e del segmento parabolico ABC ottenute con<br />

tutte le rette perpendico<strong>la</strong>ri ad AC. Se si considerano le due aree riempite da tali segmenti-sezioni,<br />

risulta che il triangolo <strong>la</strong>sciato dove si trova (o considerato concentrato nel suo baricentro X, trovato<br />

tagliando CK <strong>in</strong> modo da risultare CK = 3 KX, <strong>in</strong> accordo con quanto dimostrato nei trattati<br />

sull'equilibrio) fa equilibrio al segmento parabolico concentrato nel suo baricentro K. E questo si può<br />

scrivere:<br />

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Ricordando che CK = 3 KX = HK, si trova:<br />

da cui:<br />

Ma, poiché:<br />

risulta:<br />

e, sostituendo nel<strong>la</strong> proporzione precedente:<br />

da cui <strong>la</strong> conclusione:<br />

Area Triangolo (AFC) : Area Seg. Par (ABC) = HK : KX<br />

Area Triangolo (AFC) : Area Seg. Par (ABC) = 3 KX : KX<br />

Area Triangolo (AFC) = 3 Area Seg. Par (ABC)<br />

FK = KA e AD = DC<br />

Area Triangolo (AFC) = 4 Area Triangolo (ABC)<br />

4 Area Triangolo (ABC) = 3 Area Seg. Par (ABC)<br />

Area Seg. Par (ABC) = 4/3 Area Triangolo (ABC).<br />

Dopo questa conclusione, Archimede afferma che qui si ha solo una apparenza di verità. Per far<br />

vedere che <strong>la</strong> cosa è vera, occorre passare al<strong>la</strong> dimostrazione geometrica che è quel<strong>la</strong> che segue subito<br />

dopo.<br />

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Passiamo ora a questa seconda dimostrazione, completa<strong>mente</strong> geometrica (proposizioni dal<strong>la</strong> 18 al<strong>la</strong><br />

proposizione 24) tratta da Ruf<strong>in</strong>i. Ora il segmento parabolico viene messo a confronto con il triangolo<br />

<strong>in</strong>scritto, avente <strong>la</strong> stessa base e <strong>la</strong> stessa altezza del segmento parabolico.<br />

Sia il segmento parabolico ABC, di cui A, C siano gli estremi, B il vertice, D il punto di mezzo del<strong>la</strong><br />

base (di modo che DB è l'asse del<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong>). Si <strong>in</strong>scriva <strong>in</strong> esso il triangolo ABC. Nei segmenti AB,<br />

BC si <strong>in</strong>scrivano altri due triangoli AEB, BFC (E, F essendo le <strong>in</strong>tersezioni dei segmenti paralleli<br />

all'asse condotti per i punti di mezzo di AB e BC).<br />

Ora è (come Archimede ha ricavato <strong>in</strong> precedenza e ci ricorda nel<strong>la</strong> proposizione 19 e 21<br />

rispettiva<strong>mente</strong>):<br />

e<br />

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BD = 4/3 E G,


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ossia<br />

(ABC) = 8 (AEB) = 8 (BFC),<br />

(AEB) + (BFC) = 1/4 (ABC).<br />

Si <strong>in</strong>scriva allo stesso modo un triangolo <strong>in</strong> ciascuno dei segmenti AE, EB, BF, FC; ognuno di tali<br />

triangoli sarà 1/8 del triangolo AEB o BFC; <strong>la</strong> loro somma sarà 1/16 del triangolo ABC. E così<br />

cont<strong>in</strong>uando, ogni volta <strong>la</strong> somma dei nuovi triangoli sarà 1/4 del<strong>la</strong><br />

somma precedente. Onde si avrà una superficie poligonale <strong>in</strong>scritta <strong>la</strong> cui area è<br />

Se n è un numero f<strong>in</strong>ito si ha evidente<strong>mente</strong><br />

S n = (1 + 1/4 + 1/4 2 + 1/4 3 + ... + 1/4 n-1 ) ABC<br />

S n < P (proposizione 22)<br />

avendo <strong>in</strong>dicato con P l'area del segmento parabolico. D'altra parte è <strong>in</strong> generale<br />

S n =(4/3 - 1/3.1/4 n-1 )ABC<br />

(risultato fornito nel<strong>la</strong> proposizione 23 e, per il calcolo del<strong>la</strong> serie, già noto).<br />

Perciò se il numero dei triangoli <strong>in</strong>scritti diventa <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita<strong>mente</strong> grande si avrà un risultato che noi oggi<br />

enunceremmo così:<br />

il limite, per n che tende ad <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, di S n = P = 4/3 (ABC).<br />

Ma Archimede non fa questo passaggio al limite anche se concettual<strong>mente</strong> mostra di operare allo stesso<br />

modo, e dimostra lo stesso risultato mediante <strong>la</strong> doppia riduzione all'assurdo.<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (62 of 106)24/02/2009 12.11.22


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I. Sia, se è possibile, P > 4/3 (ABC).<br />

Inscrivendo successiva<strong>mente</strong> nel segmento ABC triangoli nel modo suddetto, e proseguendo<br />

l'operazione un numero di volte sufficiente<strong>mente</strong> grande, potremo ottenere una superficie poligonale S n<br />

tale che<br />

Ma allora risulterebbe<br />

il che è impossibile, per quel che fu già dimostrato.<br />

II. Si supponga allora P < 4/3 (ABC).<br />

P - S n < P - 4/3 (ABC).<br />

S n > 4/3 (ABC);<br />

Inscrivendo, come prima, successiva<strong>mente</strong> nel segmento ABC dei triangoli, otterremo al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e una<br />

certa superficie S n tale che si abbia<br />

Ma<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (63 of 106)24/02/2009 12.11.22<br />

S n - P = [1/4 n-1 (ABC)] < 4/3 (ABC) - P


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

qu<strong>in</strong>di<br />

e cioè<br />

Ma questo è impossibile. Dunque<br />

4/3 (ABC) = S n + 1/3.1/4 n-1 (ABC)<br />

4/3 (ABC) - S n < 4/3 (ABC) - P<br />

S n > P<br />

P = 4/3 (ABC)<br />

Questo è uno dei risultati che Archimede conseguì. Essi furono dimenticati per quasi 2000 anni e, con<br />

somma fatica si ricostruirono a partire dal Seicento.<br />

DELLA SFERA E DEL CILINDRO<br />

Un'applicazione più complessa del metodo di esaustione, per trovare dei risultati di grande <strong>in</strong>teresse,<br />

<strong>la</strong> troviamo <strong>in</strong> Del<strong>la</strong> sfera e del cil<strong>in</strong>dro. Il libro è costruito al<strong>la</strong> maniera degli Elementi. Si com<strong>in</strong>cia con<br />

6 def<strong>in</strong>izioni e 5 assunzioni (postu<strong>la</strong>ti) per poi passare alle proposizioni (i teoremi) che sono 34 nel<br />

Libro I e 9 nel Libro II. Occorre osservare che Archimede non enuncia postu<strong>la</strong>ti già enunciati da<br />

Euclide: i suoi sono nuovi. Se viene ripreso qualche postu<strong>la</strong>to degli Elementi è solo per precisare<br />

qualcosa o per estenderlo. Il primo postu<strong>la</strong>to di Archimede recita:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (64 of 106)24/02/2009 12.11.22


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Assumo che <strong>la</strong> m<strong>in</strong>ima fra tutte le l<strong>in</strong>ee aventi gli stessi estremi è <strong>la</strong> l<strong>in</strong>ea retta.<br />

e <strong>la</strong> cosa si vede nel<strong>la</strong> figura seguente:<br />

Si tratta di una estensione del<strong>la</strong> proposizione 20 del Libro I degli Elementi di Euclide dove si affermava<br />

che <strong>in</strong> ogni triangolo un <strong>la</strong>to è m<strong>in</strong>ore del<strong>la</strong> somma degli altri due. Ora ad una spezzata che unisce due<br />

punti si sostituisce una curva qualunque.<br />

Archimede, per proposizioni successive, passa al suo scopo pr<strong>in</strong>cipale che consiste nel voler<br />

dimostrare che il volume di una sfera è uguale ai 2/3 del volume del cil<strong>in</strong>dro circoscritto ad essa. Il suo<br />

procedimento prevede <strong>la</strong> costruzione di poligoni con sempre un maggior numero di <strong>la</strong>ti (il numero dei<br />

<strong>la</strong>ti deve essere pari) <strong>in</strong>scritti e circoscritti ad un cerchio e qu<strong>in</strong>di <strong>la</strong> rotazione nello spazio di tale figura<br />

(nei disegni che riporto mi riferisco ai soli poligoni <strong>in</strong>scritti).<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (65 of 106)24/02/2009 12.11.22


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

Da http://w<strong>in</strong>.matematica<strong>mente</strong>.it/storia/archimede_sfera_cil<strong>in</strong>dro.htm<br />

In tale rotazione il cerchio genererà una sfera mentre i poligoni genereranno dei solidi <strong>in</strong>scritti e<br />

circoscritti che saranno coni e tronchi di cono. Secondo Archimede <strong>la</strong> somma dei volumi di tali solidi si<br />

approssimerà sempre più al volume del<strong>la</strong> sfera quanto maggiore è il numero dei <strong>la</strong>ti dei poligoni<br />

considerati. Sembra chiaro che Archimede traesse ispirazione dall'equivalente teorema di geometria<br />

piana secondo il quale <strong>la</strong> superficie del cerchio è equivalente a quel<strong>la</strong> del triangolo rettangolo<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (66 of 106)24/02/2009 12.11.22


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

Nel disegno <strong>in</strong> alto è mostrato il triangolo rettangolo equivalente all'area del poligono <strong>in</strong>scritto; nel disegno centrale è<br />

mostrato il triangolo rettangolo equivalente all'area del<strong>la</strong> circonferenza; nel disegno <strong>in</strong> basso è mostratail triangolo<br />

rettangolo equivalente all'area del poligono circoscritto. Si mostra facil<strong>mente</strong> che, al crescere del numero dei <strong>la</strong>ti dei<br />

poligoni <strong>in</strong>scritti e circoscritti, le aree dei tre triangoli diventano co<strong>in</strong>cidenti.<br />

avente come cateti <strong>la</strong> circonferenza rettificata e il raggio che, scritto con simbolismo moderno, è:<br />

Ma con i solidi le cose si complicano tanto che, prima di poter arrivare al<strong>la</strong> conclusione che egli<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (67 of 106)24/02/2009 12.11.22


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

sospetta, Archimede è costretto a costruire una gran quantità di postu<strong>la</strong>ti e teoremi prelim<strong>in</strong>ari. Solo<br />

nel<strong>la</strong> proposizione 34 egli può enunciare ciò che vuole trovare:<br />

PROPOSIZIONE 34.<br />

Ogni sfera è quadrup<strong>la</strong> del cono avente base uguale al cerchio massimo del<strong>la</strong> sfera, e per<br />

altezza il raggio del<strong>la</strong> sfera.<br />

Come semplice Corol<strong>la</strong>rio a questa proposizione segue <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione tra sfera e cil<strong>in</strong>dro che Archimede<br />

descrive così:<br />

COROLLARIO.<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (68 of 106)24/02/2009 12.11.22<br />

Dimostrate queste cose, è evidente che ogni cil<strong>in</strong>dro avente per base il circolo massimo<br />

del<strong>la</strong> sfera e l'altezza uguale al diametro del<strong>la</strong> sfera è una volta e mezza <strong>la</strong> sfera, e <strong>la</strong> sua<br />

superficie, comprese le basi, è una volta e mezza <strong>la</strong> superficie del<strong>la</strong> sfera.<br />

Infatti il cil<strong>in</strong>dro suddetto è sestuplo del cono avente <strong>la</strong> stessa base e l'altezza uguale al<br />

raggio [del<strong>la</strong> sfera]: <strong>la</strong> sfera, poi, s'è dimostrato essre quadrup<strong>la</strong> dello stesso cono (I, 34):<br />

è dunque evidente che il cil<strong>in</strong>dro è una volta e mezza <strong>la</strong> sfera. Di nuovo, poiché <strong>la</strong><br />

superficie del cil<strong>in</strong>dro, eccetto le basi, si dimostra essere uguale al cerchio, il raggio del<br />

quale è medio proporzionale tra il <strong>la</strong>to del cil<strong>in</strong>dro e il diametro del<strong>la</strong> base (I, 13), [e<br />

poiché] il <strong>la</strong>to del suddetto cil<strong>in</strong>dro circoscritto al<strong>la</strong> sfera è uguale al diametro del<strong>la</strong> base:<br />

e il cerchio avente il raggio uguale al diametro del<strong>la</strong> base è quadruplo del<strong>la</strong> base, vale a<br />

dire del circolo massimo del<strong>la</strong> sfera, dunque <strong>la</strong> superficie del cil<strong>in</strong>dro, eccetto le basi, sarà<br />

quadrup<strong>la</strong> del circolo massimo, e tutta <strong>la</strong> superficie del cil<strong>in</strong>dro <strong>in</strong>sieme con le basi sarà<br />

sestup<strong>la</strong> del circolo massimo. Ma <strong>la</strong> superficie del<strong>la</strong> sfera è quadrup<strong>la</strong> del circolo massimo<br />

(I, 33): dunque <strong>la</strong> superficie totale del cil<strong>in</strong>dro è una volta e mezza <strong>la</strong> superficie del<strong>la</strong> sfera.


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

A questo proposito osserva Frajese:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (69 of 106)24/02/2009 12.11.22<br />

La sfera è 4 volte il cono ed è anche 2/3 del cil<strong>in</strong>dro.<br />

Questo corol<strong>la</strong>rio, che immediata<strong>mente</strong> si deduce dalle precedenti proposizioni 33 e 34,<br />

contiene i risultati più c<strong>la</strong>morosi: che il volume del cil<strong>in</strong>dro circoscritto è uguale ad una<br />

volta e mezzo quello del<strong>la</strong> sfera, c che <strong>la</strong> superficie totale dello stesso cil<strong>in</strong>dro è uguale ad<br />

una volta e mezzo <strong>la</strong> superficie del<strong>la</strong> sfera medesima (ossia che <strong>la</strong> superficie <strong>la</strong>terale del<br />

cil<strong>in</strong>dro è uguale al<strong>la</strong> superficie del<strong>la</strong> sfera). Conforme<strong>mente</strong> le nostre formule:


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http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (70 of 106)24/02/2009 12.11.22<br />

Archimede osserva che il cil<strong>in</strong>dro circoscritto è sestuplo del cono avente <strong>la</strong> stessa base e<br />

altezza uguale al raggio del<strong>la</strong> sfera (<strong>in</strong>fatti il cil<strong>in</strong>dro è triplo del cono avente <strong>la</strong> stessa base<br />

e <strong>la</strong> stessa altezza, qu<strong>in</strong>di è sestuplo del cono avente <strong>la</strong> stessa base e altezza metà). E poiché<br />

nel<strong>la</strong> precedente I, 34 ha dimostrato che <strong>la</strong> sfera è quadrup<strong>la</strong> dello stesso cono, conclude<br />

che i volumi del cil<strong>in</strong>dro circoscritto e del<strong>la</strong> sfera stanno tra loro come 6 sta a 4, ossia che il<br />

cil<strong>in</strong>dro è una volta e mezzo <strong>la</strong> sfera.<br />

Per quanto riguarda, poi, le superficie, Archimede ricorda che nel<strong>la</strong> I, 13 ha dimostrato che<br />

<strong>la</strong> superficie <strong>la</strong>terale S l di un cil<strong>in</strong>dro è uguale al cerchio avente per raggio <strong>la</strong> media<br />

proporzionale tra il diametro d del<strong>la</strong> base e il <strong>la</strong>to h (= altezza) del cil<strong>in</strong>dro stesso:<br />

Ma nel nostro caso il <strong>la</strong>to (= altezza) del cil<strong>in</strong>dro è uguale al diametro di base, cioè: h = d.<br />

La proporzione cont<strong>in</strong>ua scritta sopra diviene dunque: d : x = x : d e dà evidente<strong>mente</strong>: x =<br />

d. Pertanto <strong>la</strong> superficie <strong>la</strong>terale del cil<strong>in</strong>dro è πd 2 . Ma questa è quadrup<strong>la</strong> di πr 2 cioè è


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

quadrup<strong>la</strong> del cerchio massimo del<strong>la</strong> sfera, e qu<strong>in</strong>di, per <strong>la</strong> I, 33, è uguale al<strong>la</strong> superficie<br />

del<strong>la</strong> sfera. Risultato davvero suggestivo, questo dell'equivalenza tra <strong>la</strong> superficie del<strong>la</strong><br />

sfera e quel<strong>la</strong> <strong>la</strong>terale del cil<strong>in</strong>dro circoscritto. Se poi si aggiungono i due cerchi di base, si<br />

ha che <strong>la</strong> superficie totale del cil<strong>in</strong>dro è uguale ad una volta e mezzo quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> sfera.<br />

Per quel che riguarda <strong>la</strong> dimostrazione fornita da Archimede, riporto quel<strong>la</strong> presentata da http://w<strong>in</strong>.<br />

matematica<strong>mente</strong>.it/storia/archimede_sfera_cil<strong>in</strong>dro.htm. E' abbastanza s<strong>in</strong>tetica e comprensibile.<br />

Ripartiamo dal<strong>la</strong> figura seguente:<br />

e, dopo aver fatto le costruzioni di figura seguente, chiamiamo come <strong>in</strong>dicato alcune grandezze di figura:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (71 of 106)24/02/2009 12.11.22


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Per sommare coni e tronchi di cono (S 1 + S 2 + S 3 + ...) Archimede ha un'idea bril<strong>la</strong>nte. Tutti i solidi che<br />

compongono il solido approssimante sono equivalenti a coni aventi tutti <strong>la</strong> stessa altezza. Più<br />

precisa<strong>mente</strong>, i coni hanno per superficie di base <strong>la</strong> superficie del solido e altezza (h) <strong>la</strong> distanza del <strong>la</strong>to<br />

(l) del poligono dal centro del<strong>la</strong> sfera come egli aveva precedente<strong>mente</strong> mostrato nelle proposizioni 23 e<br />

24. In tal modo il problema viene spostato al calcolo del<strong>la</strong> somma delle superfici di S 1 , S 2 , S 3 , ...<br />

Archimede dimostra che ciascuna superficie S i è equivalente al<strong>la</strong> superficie di un cerchio il cui raggio è<br />

medio proporzionale tra il <strong>la</strong>to del poligono l e un segmento Li tale che <strong>la</strong> somma di tutti gli Li corrisponde al<strong>la</strong> somma delle corde c1 + c2 + c3 + .... (come già aveva mostrato nel<strong>la</strong> proposizione 32).<br />

In un l<strong>in</strong>guaggio algebrico più moderno e facendo uso del numero π<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (72 of 106)24/02/2009 12.11.22


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Il problema di sommare le corde c1 + c2 + c3 + ... viene risolto dimostrando che l . (c1 + c2 + c3 + ...) = d . A dove d è il diametro del cerchio e A è <strong>la</strong> retta che sottende <strong>la</strong> metà meno uno dei <strong>la</strong>ti del<br />

poligono. All'aumentare del numero dei <strong>la</strong>ti del poligono, d ed A tendono a co<strong>in</strong>cidere, <strong>la</strong> superficie del<br />

solido approssimante si avvic<strong>in</strong>a sempre di più al<strong>la</strong> superficie del<strong>la</strong> sfera:<br />

Il volume del<strong>la</strong> sfera è qu<strong>in</strong>di equivalente al volume del cono avente per base <strong>la</strong> superficie del<strong>la</strong> sfera e<br />

altezza il raggio del<strong>la</strong> sfera (come Archimede aveva mostrato nel<strong>la</strong> proposizione 25):<br />

Per questo obiettivo manca ancora il risultato per il quale <strong>la</strong> superficie del<strong>la</strong> sfera è uguale a quattro<br />

cerchi massimi (cosa mostrata nel<strong>la</strong> proposizione 33). Dimostrato anche questo è facile concludere che<br />

<strong>la</strong> sfera è il doppio del cono avente avente per altezza il diametro del<strong>la</strong> sfera e per base il cerchio<br />

massimo del<strong>la</strong> sfera (come mostrato nel<strong>la</strong> proposizione 26) e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e che <strong>la</strong> sfera è equivalente ai 2/3 del<br />

cil<strong>in</strong>dro ad essa circoscritto.<br />

E' un successo notevole quello di Archimede. Egli stesso lo riconosce come suo merito pr<strong>in</strong>cipale,<br />

tanto da dargli enfasi nel<strong>la</strong> premessa e da chiedere quel bassorilievo di sfera <strong>in</strong>scritta <strong>in</strong> un cil<strong>in</strong>dro sul<strong>la</strong><br />

sua tomba. Ma i suoi <strong>la</strong>vori matematici ed i suoi successi non si fermarono qui (e mi riferisco solo a<br />

quel poco che conosciamo).<br />

Ritorneremo su Archimede per discutere altri aspetti del<strong>la</strong> sua opera. Ma prima occorre studiare i<br />

contributi di altri matematici ellenistici.<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (73 of 106)24/02/2009 12.11.22


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L'ARENARIO<br />

L'Arenario (che vuol dire contatore di granelli) è un'opera di Archimede con delle caratteristiche<br />

partico<strong>la</strong>ri. Da una parte si occupa di Astronomia ed è l'unica testimonianza attendibile, sul<strong>la</strong> quale<br />

tornerò, del sistema astronomico di Aristarco di Samo. Dall'altra essa è <strong>in</strong>centrata sui numeri,<br />

sull'aritmetica, così poco sviluppata <strong>in</strong> Grecia. Archimede coglie <strong>la</strong> grave difficoltà che il simbolismo <strong>in</strong><br />

uso per i numeri impediva, ad esempio e soprattutto, di <strong>in</strong>dicare e chiamare per nome numeri molto<br />

grandi. Ricordo <strong>in</strong> breve il sistema di numerazione greco del periodo alessandr<strong>in</strong>o (numerazione ionica).<br />

I numeri erano rappresentati con le lettere dell'alfabeto come mostrato nel<strong>la</strong> figura seguente. E con tale<br />

sistema si poteva scrivere f<strong>in</strong>o a 100 milioni (una miriade di miriadi cioè 10 000 . 10 000 = 100 000 000<br />

che con nostro simbolismo è 10 8 ).<br />

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Da Pichot<br />

Sembra chiaro che all'<strong>in</strong>venzione dell'alfabeto e del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva scrittura, che enormi passi <strong>in</strong> avanti fece<br />

fare al pensiero <strong>in</strong> genere, non corrispose che poca cosa <strong>in</strong> ambito di simbolismo numerico. La<br />

geometria, come abbiamo visto e cont<strong>in</strong>ueremo a vedere, marciava bene: con le lettere che <strong>in</strong>dicano<br />

segmenti e punti si può fare quasi tutto. Ma disporre delle sole lettere per <strong>in</strong>dicare i numeri rende molto<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (75 of 106)24/02/2009 12.11.22


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complesso <strong>la</strong>vorare con i numeri medesimi per tirarne fuori, ad esempio, un'algebra.<br />

Archimede <strong>in</strong>troduce il suo <strong>la</strong>voro spiegandone il motivo al suo amico Gelone, figlio del re Gerone di<br />

Siracusa. Leggiamo:<br />

Alcuni pensano, o re Gelone, che il numero [dei granelli] del<strong>la</strong> sabbia sia <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito <strong>in</strong><br />

quantità: dico non solo quello dei [granelli di sabbia] che sono <strong>in</strong>torno a Siracusa e nel<br />

resto del<strong>la</strong> Sicilia, ma anche di quello [dei granelli di sabbia] che sono <strong>in</strong> ogni regione, sia<br />

abitata sia non abitata. Vi sono poi alcuni che ritengono che quel numero non sia <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito,<br />

ma che non si possa nom<strong>in</strong>are un numero che superi <strong>la</strong> sua quantità. È chiaro che se coloro<br />

che così pensano si rappresentassero un volume di sabbia di grandezza tale quale quel<strong>la</strong><br />

del<strong>la</strong> Terra, avendo riempito tutti i mari e tutte le depressioni f<strong>in</strong>o a raggiungere l'altezza<br />

delle più alte montagne, molto meno comprenderebbero che si possa nom<strong>in</strong>are un numero<br />

che superi quel<strong>la</strong> quantità.<br />

Ma io tenterò di mostrarti, per mezzo di dimostrazioni geometriche che tu potrai seguire,<br />

che, dei numeri da noi denom<strong>in</strong>ati ed esposti negli scritti <strong>in</strong>viati a Zeusippo, alcuni<br />

superano non soltanto il numero [dei granelli] del<strong>la</strong> sabbia aventi [nell'<strong>in</strong>sieme] grandezza<br />

uguale al<strong>la</strong> Terra riempita come abbiamo detto, ma anche grandezza uguale al cosmo<br />

[<strong>in</strong>tero]. Tu sai che dal più gran numero di astrologi vien chiamata cosmo <strong>la</strong> sfera il cui<br />

centro è il centro del<strong>la</strong> Terra, e il [cui] raggio è uguale al<strong>la</strong> retta compresa tra il centro del<br />

Sole e il centro del<strong>la</strong> Terra: questo l'hai appreso dalle dimostrazioni scritte dagli astrologi.<br />

Archimede qui <strong>in</strong>izia una discussione sui grandi numeri dell'astronomia con i grandi numeri dei granelli<br />

di sabbia. Egli dice di aver trovato il modo di <strong>in</strong>dicare e chiamare qualunque numero:<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (76 of 106)24/02/2009 12.11.22<br />

Accade dunque che i nomi dei numeri f<strong>in</strong>o a diecimi<strong>la</strong> ci sono stati tramandati, e al di<br />

sopra di diecimi<strong>la</strong> sappiamo dire il numero delle miriadi f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> miriade di miriadi [come<br />

ho appena ricordato, ndr]. I numeri ora detti, f<strong>in</strong>o a una miriade di miriadi, siano chiamati<br />

«primi»: diecimi<strong>la</strong> miriadi [= cento milioni] di «primi» si chiam<strong>in</strong>o unità dei numeri<br />

«secondi». E contiamo le unità di questi numeri «secondi», e dalle unità [contiamo] le


http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/<br />

dec<strong>in</strong>e, e le cent<strong>in</strong>aia e le migliaia e le dec<strong>in</strong>e di migliaia [= miriadi] f<strong>in</strong>o alle miriadi di<br />

miriadi. Di nuovo poi anche le miriadi di miriadi dei numeri «secondi» si chiam<strong>in</strong>o unità<br />

dei numeri «terzi», e contiamo le unità dei numeri «terzi» e dalle unità [contiamo] le<br />

dec<strong>in</strong>e e le cent<strong>in</strong>aia e le migliaia e le dec<strong>in</strong>e di migliaia f<strong>in</strong>o alle miriadi di miriadi. E<br />

nello stesso modo anche le miriadi di miriadi di numeri «terzi» si chiam<strong>in</strong>o unità dei<br />

numeri «quarti», e le miriadi dei numeri quarti si chiam<strong>in</strong>o unità dei numeri «qu<strong>in</strong>ti», e<br />

così sempre procedendo i numeri ricevono nomi f<strong>in</strong>o a miriadi di miriadi di numeri<br />

[dell'ord<strong>in</strong>e] di miriadi di miriadi.<br />

I numeri conosciuti f<strong>in</strong>o a questo punto sono sufficienti per lo scopo, ma si può anche<br />

procedere oltre. Infatti i numeri f<strong>in</strong>ora nom<strong>in</strong>ati vengan chiamati numeri del primo periodo<br />

e l'ultimo numero del primo periodo si chiami unità dei numeri «primi» del secondo<br />

periodo. E di nuovo anche le miriadi di miriadi dei numeri «primi» del secondo periodo si<br />

chiam<strong>in</strong>o numeri «secondi» del secondo periodo. E simil<strong>mente</strong> l'ultimo di questi si chiami<br />

unità dei numeri terzi del secondo periodo, e sempre così procedendo ricevano i nomi i<br />

numeri del secondo periodo f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> miriade di numeri [dell'ord<strong>in</strong>e] di una miriade di<br />

miriadi. Di nuovo poi anche l'ultimo numero del secondo periodo si chiami unità dei<br />

numeri «primi» del terzo periodo, e sempre così procedendo f<strong>in</strong>o ad una miriade di miriadi<br />

[dell'ord<strong>in</strong>e] di una miriade di miriadi del periodo «miriade di miriadi».<br />

In tal modo, che è iterativo senza mai term<strong>in</strong>e, si può scrivere e chiamare qualunque numero. In pratica<br />

quel miriade di miriadi (che per comodità <strong>in</strong>dico con 10 8 ) è considerata come l'unità del suo sistema di<br />

numerazione. Egli chiama numeri primi (con significato diverso da quello che noi diamo) quelli che<br />

vanno da 1 a 10 8 , numeri secondi quelli che vanno da 10 8 a 10 8 .10 8 = 10 16 , numeri terzi quelli che<br />

vanno da 10 16 a 10 8 .10 8 .10 8 = 10 24 , e si prosegue così con numeri quarti, numeri qu<strong>in</strong>ti, .... f<strong>in</strong>o a che<br />

l'ord<strong>in</strong>e non diventa <strong>la</strong> miriade di miriadi. Tutti questi numeri saranno chiamati numeri del primo<br />

periodo e per nostra comodità li <strong>in</strong>dichiamo come unità U del primo periodo. Ripetendo esatta<strong>mente</strong><br />

quanto ora fatto possiamo trovarci l'unità U del secondo periodo che avrà numeri compresi tra U e 100<br />

milioni di miriadi di miriadi di U. Si dovranno cioè considerare i numeri primi del secondo periodo, i<br />

numeri terzi del secondo periodo, .... f<strong>in</strong>i a passare al terzo periodo. E così via. A questo punto abbiamo<br />

http://www.<strong>fisica</strong><strong>mente</strong>.net/ (77 of 106)24/02/2009 12.11.22


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una serie <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita di numeri (almeno potenzial<strong>mente</strong>) e dico questo ancora a proposito di chi par<strong>la</strong> di<br />

greci timorosi di fronte all'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. Archimede riesce a operare <strong>in</strong> aritmetica allo stesso modo <strong>in</strong> cui<br />

aveva operato Euclide <strong>in</strong> geometria. Così come <strong>la</strong> retta è sempre prolungabile, anche i numeri sono<br />

sempre prolungabili.<br />

Con questo apparato Archimede passa successiva<strong>mente</strong> a stabilire quanti granelli di sabbia vi siano <strong>in</strong><br />

un seme di un papavero (se ne stabiliscono 10.000), quanti <strong>in</strong> una sfera con il diametro di un dito<br />

(dentro <strong>la</strong> quale stanno 64 000 semi di papavero), quanti <strong>in</strong> una sfera con il diametro di uno stadio (più<br />

picco<strong>la</strong> di una sfera con diametro di diecimi<strong>la</strong> dita), quanti nel<strong>la</strong> sfera del cosmo avente raggio che va<br />

dal centro del<strong>la</strong> Terra al centro del Sole (valutata da Arcimede con un diametro <strong>in</strong>feriore a 100 miriadi<br />

di miriadi di stadi), quanti <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e nel<strong>la</strong> sfera delle stelle fisse che Archimede valuta avere un diametro<br />

<strong>in</strong>feriore ad una miriade di volte il diametro del cosmo. In def<strong>in</strong>itiva il sistema numerico realizzato da<br />

Archimede permette di dare il numero di granelli di sabbia che sarebbero contenuti nel<strong>la</strong> sfera delle<br />

stelle fisse. Per dare tale numero basta addirittura il solo primo periodo fermandoci ai suoi numeri ottavi<br />

(l'ottavo dei numeri ottavi di esso che noi scriviamo 10 63 ). Ed Archimede conclude:<br />

Queste cose poi, o re Gelone, ritengo che sembreranno <strong>in</strong>credibili ai molti [che siano]<br />

imperiti nelle matematiche, ma che saranno credibili, mediante le dimostrazioni, da coloro<br />

che son versati [nelle matematiche] e che abbiano meditato sulle distanze e sulle grandezze<br />

del<strong>la</strong> Terra, del Sole, del<strong>la</strong> Luna e di tutto il cosmo: perciò ho ritenuto che fosse bene che<br />

tu conoscessi queste cose.<br />

ALTRI RISULTATI MATEMATICI DEL PERIODO ELLENISTICO<br />

Ci sarebbe da scrivere volumi e volumi su ciò che hanno fatto i due astri noti dei matematici<br />

alessandr<strong>in</strong>i, Euclide ed Archimede. Credo che ciò cui ho accennato sia sufficiente per suscitare<br />

l'<strong>in</strong>teresse degli appassionati ed andare ad approfondire sulle <strong>in</strong>numerevoli fonti. Resta da completare il<br />

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panorama del<strong>la</strong> matematica alessandr<strong>in</strong>a almeno elencando altri risultati ed andando a studiare altri<br />

matematici che hanno dato contributi importanti. Tra questi ultimi, non vi è alcun dubbio, emerge<br />

Apollonio di Perge (262 - 190 a.C. circa). Perge era una città seleucida fondata dagli ittiti nel 1500 a.C.<br />

che si trovava sul<strong>la</strong> terraferma appena dietro l'iso<strong>la</strong> di Rodi. Era un importante centro culturale del<strong>la</strong><br />

regione chiamata Pamphylia. Le poche notizie su Apollonio le abbiamo da un papiro scoperto ad<br />

Erco<strong>la</strong>no<br />

Giovanissimo Apollonio si recò ad Alessandria per studiare, attratto dal<strong>la</strong> fama di Euclide. Per un<br />

certo periodo studiò e <strong>la</strong>vorò anche a Pergamo, il secondo centro culturale dopo Alessandria. Uno dei<br />

suoi maestri fu Eudemo di Pergamo (da non confondersi con Eudemo di Rodi) che scrisse <strong>la</strong> Storia<br />

del<strong>la</strong> Geometria, opera che conosciamo perché alcuni passi sono riportati da altri autori ma che è andata<br />

perduta. Conobbe ad Efeso il geometra Filonide di Laodicea e ad Alessandria ebbe dei suggerimenti per<br />

<strong>la</strong> sua opera dal geometra Nucrate. Ha avuto persone che lo hanno esaltato ed altre che lo hanno<br />

denigrato (come Eraclide che attribuisce quasi tutte le e<strong>la</strong>borazioni di Apollonio ad Archimede e<br />

comunque a conoscenze diffuse nell'ambiente dei geometri. Per parte sua, pur essendo un vanesio (come<br />

ci dice Pappo) egli si attribuisce proprio <strong>la</strong> sistemazione e <strong>la</strong> raccolta di risultati da P<strong>la</strong>tone ad<br />

Archimede. Abbiamo <strong>in</strong>vece qualche notizia <strong>in</strong> più sui suoi <strong>la</strong>vori. Egli scrisse dei <strong>la</strong>vori che ebbero una<br />

<strong>in</strong>fluenza molto grande sullo sviluppo e l'evoluzione del<strong>la</strong> matematica; <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re il suo famoso<br />

Conicorum Libri (Trattato sulle coniche) <strong>in</strong> otto libri, che purtroppo abbiamo solo <strong>in</strong> parte (i primi sette<br />

dei quali i primi quattro <strong>in</strong> greco e tutti e sette <strong>in</strong> arabo), <strong>in</strong>trodusse term<strong>in</strong>i come parabo<strong>la</strong>, ellisse ed<br />

iperbole. In tale <strong>la</strong>voro egli formulò dei teoremi che lo resero famoso f<strong>in</strong>o al punto di farlo passare al<strong>la</strong><br />

storia come il Grande Geometra. Le vicende dei libri di Apollonio non è diversa da quelle dei libri di<br />

Archimede e per rendere conto ancora delle difficoltà di reperire fonti e documenti, vale <strong>la</strong> pena<br />

accennare alle peripezie che hanno attraversato. Intanto i 4 libri <strong>in</strong> greco furono sistemati da un<br />

mediocre commentatore palest<strong>in</strong>ese di nome Eutocio (circa 500 d.C.). La prima traduzione <strong>la</strong>t<strong>in</strong>a,<br />

pessima, su un testo portato da Costant<strong>in</strong>opoli dall'ambasciatore di Venezia Francesco Fi<strong>la</strong>delfo nel<br />

1427, fu fatta dal ricco letterato veneto G. B. Memo e vide <strong>la</strong> luce nel 1537. Qualche anno dopo (1566)<br />

fu il matematico Federico Command<strong>in</strong>o a dare migliore traduzione. Resta da dire dei testi <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua<br />

araba (almeno i tre da aggiungere a questi primi quattro) che risalgono al IX secolo. Le prime notizie sui<br />

testi arabi provengono dall'O<strong>la</strong>nda (Leyda) e sono del 1629. Sappiamo che nel 1644 Padre Marsenne<br />

(maestro ed amico di Descartes) citò <strong>la</strong>vori di Apollonio non contenuti nei primi 4 libri <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua greca.<br />

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Nel 1658 un altro (?) manoscritto <strong>in</strong> arabo fu trovato nel<strong>la</strong> biblioteca dei Medici a Firenze da Giovanni<br />

Alfonso Borelli. In esso, oltre ad altro scritto matematico (il Libro dei Lemmi di Archimede), vi erano i<br />

libri 5, 6 e 7 delle Coniche trascritti nel 994 dal matematico persiano Abalphat d’Ispahan (ma non era il<br />

testo <strong>in</strong>tegrale che fu ritrovato <strong>in</strong> seguito <strong>in</strong> altre biblioteche). Fu Viviani che si occupò del testo a<br />

disposizione, offrendolo <strong>in</strong> versione <strong>la</strong>t<strong>in</strong>a nel 1661. La<br />

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Una edizione dei primi 4 libri delle Coniche del 1655<br />

Frontespizio dell'edizione del 1661 degli ultimi 3 libri delle Coniche tradotte da Borelli<br />

prima edizione <strong>la</strong>t<strong>in</strong>a completa delle Coniche è dovuta all'astronomo <strong>in</strong>glese Halley (1710) e <strong>la</strong> cosa<br />

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riscosse un grande <strong>in</strong>teresse perché l'altro astronomo, Kepler, aveva assegnato <strong>la</strong> forma di ellisse alle<br />

orbite p<strong>la</strong>netarie. Riguardo al libro 8 perduto, se stiamo a quanto Apollonio scrive nel<strong>la</strong> prefazione del<br />

7, doveva trattarsi di esercizi e problemi conici di applicazione di quanto svolto teorica<strong>mente</strong> nel libro 7.<br />

Solo un'altra opera di Apollonio ci è pervenuta, ancora <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua araba: <strong>la</strong> Sezione di un rapporto.<br />

Sappiamo <strong>in</strong>vece da Pappo quali sono per certo le opere perdute: Sezione di un'area, Sul<strong>la</strong> sezione<br />

determ<strong>in</strong>ata, Tangenze, Incl<strong>in</strong>azioni, Luoghi piani (11) .<br />

Le Coniche meritano un qualche approfondimento. Intanto va detto che esse erano note da almeno<br />

150 anni, al solito senza dimostrazioni ma come figure empiriche ricavate da sezioni di cono fatte <strong>in</strong><br />

modo partico<strong>la</strong>re. Anche se non sappiamo come, Menecmo (380-320 a.C. circa), allievo di Eudosso e<br />

maestro di Alessandro Magno al quale sembra si deve <strong>la</strong> scoperta delle coniche, le concepiva come<br />

<strong>in</strong>tersezioni di un piano, perpendico<strong>la</strong>re ad una generatrice, con tre tipi di coni: si otteneva l'ellisse se il<br />

cono era acutangolo, <strong>la</strong> parabo<strong>la</strong> se il cono era rettangolo e l'iperbole con un cono ottusangolo. Sembra<br />

anche che le coniche vennero scoperte al f<strong>in</strong>e di risolvere il problema del<strong>la</strong> duplicazione del cubo. Per<br />

quanto ne sappiamo anche Euclide, Aristeo (seconda metà del IV secolo) ed Archimede avevano idee<br />

simili a quelle di Menecmo ed <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re si riferivano a partico<strong>la</strong>ri <strong>in</strong>tersezioni con tre tipi diversi di<br />

coni. Ad Apollonio è dovuta <strong>la</strong> scoperta che le coniche sono generate mediante sezione di un piano,<br />

<strong>in</strong>cl<strong>in</strong>ato diversa<strong>mente</strong> rispetto all'asse, con qualsiasi tipo di cono (non necessaria<strong>mente</strong> retto), come si<br />

può apprezzare dal<strong>la</strong> figura seguente (è d'<strong>in</strong>teresse l'<strong>in</strong>venzione del<strong>la</strong> coppia di generatrici, o cono a<br />

doppia falda che si prolunga <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ita<strong>mente</strong>, per ottenere l'iperbole). Vi sono altri prelim<strong>in</strong>ari<br />

d'<strong>in</strong>teresse: dobbiamo ad Apollonio i nomi di ellisse, iperbole e parabo<strong>la</strong>. Gli antichi nomi facevano<br />

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riferimento a proprietà delle curve o a loro apparenze figurative (ad esempio l'ellisse veniva chiamata<br />

scudo) (12) . Anche gli as<strong>in</strong>toti sono stati scoperti da Apollonio e <strong>la</strong> cosa è di partico<strong>la</strong>re <strong>in</strong>teresse<br />

soprattutto per <strong>la</strong> futura messa <strong>in</strong> discussione del V postu<strong>la</strong>to di Euclide e <strong>la</strong> <strong>nascita</strong> delle geometrie non<br />

euclidee. Altre proprietà delle coniche furono dimostrate dal nostro geometra, come <strong>la</strong> costanza del<strong>la</strong><br />

somma o del<strong>la</strong> differenza dei raggi focali rispettiva<strong>mente</strong> nell'ellisse e nell'iperbole (libro 7, Prop. 12,<br />

13, 29, 30)<br />

<strong>in</strong> ogni ellisse <strong>la</strong> somma, e <strong>in</strong> ogni iperbole <strong>la</strong> differenza, dei quadrati costruiti su due<br />

diametri coniugati qualsiasi, è uguale al<strong>la</strong> somma, rispettiva<strong>mente</strong> al<strong>la</strong> differenza, dei<br />

quadrati costruiti sugli assi.<br />

Il nome fuoco, <strong>in</strong>vece, non gli appartiene, fu dato da Kepler; <strong>in</strong> luogo di fuoco Apollonio usava <strong>la</strong><br />

dizione "punti generati dall'applicazione". Non sappiamo se conoscesse il fuoco del<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong> e sembra<br />

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certo che non avesse idea delle direttrici.<br />

L'apertura del primo libro delle Coniche è <strong>la</strong> dedica ad Eudemo <strong>in</strong> cui viene descritta per sommi capi<br />

l'opera. Leggiamo:<br />

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Apollonio ad Eudemo, salute.<br />

Se <strong>la</strong> tua sa1ute è buona e se tutto il resto va come tu desideri, mi congratulo con te;<br />

quanto a noi stiamo passabil<strong>mente</strong>. Ti ho visto, durante il tempo che ho passato a Pergamo<br />

con te, assai desideroso di conoscere i nostri <strong>la</strong>vori sulle coniche; ti mando dunque il primo<br />

libro dopo averlo corretto; gli altri seguiranno, quando ne saremo soddisfatti; tu non hai<br />

dimenticato, penso, ciò che ti avevo detto: che ho composto questo trattato dietro richiesta<br />

del geometra Naucrate, all'epoca <strong>in</strong> cui egli era venuto ad Alessandria e divideva le nostre<br />

occupazioni; che avendo redatto <strong>in</strong> tutto otto libri, noi lo abbiamo subito <strong>in</strong>formato, ma<br />

costretti a far presto poiché egli stava per imbarcarsi, non abbiamo potuto perfezionarli, al<br />

contrario abbiamo scritto tutto ciò che si presentava al<strong>la</strong> nostra <strong>mente</strong>, con l'<strong>in</strong>tenzione di<br />

ritornarci sopra più tardi. Pubblichiamo dunque questi libri, ora che abbiamo il tempo, via<br />

via che li correggiamo. Ma poiché accade che molti di quelli che sono <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione con noi,<br />

hanno avuto ugual<strong>mente</strong> comunicazione del primo e del secondo libro prima che fossero<br />

stati ritoccati, non ti stupire se tu li trovi <strong>in</strong> altre redazioni.<br />

Di questi otto libri, i primi quattro seguono un ragionamento elementare; il primo<br />

comprende <strong>la</strong> generazione delle tre sezioni e delle opposte [i due rami dell'iperbole, studiati<br />

sistematica<strong>mente</strong> <strong>in</strong>sieme, per <strong>la</strong> prima volta, da Apollonio proprio mediante l'<strong>in</strong>venzione<br />

del<strong>la</strong> coppia di generatrici, ndr], come le loro proprietà pr<strong>in</strong>cipali, il tutto esposto più<br />

ampia<strong>mente</strong> e più general<strong>mente</strong> che negli altri trattati sul<strong>la</strong> materia. Il secondo libro<br />

concerne i diametri e gli assi delle sezioni, le as<strong>in</strong>tote ed altre questioni d'uso generale o<br />

<strong>in</strong>dispensabile per le limitazioni [le limitazioni sono ciò che oggi chiamiamo <strong>la</strong> discussione<br />

dei problemi, ndr]; tu saprai dal primo libro quali sono le l<strong>in</strong>ee che io chiamo diametri e<br />

quelle che io chiamo assi. Il terzo contiene un gran numero di teoremi partico<strong>la</strong>ri che<br />

servono sia per <strong>la</strong> s<strong>in</strong>tesi dei luoghi solidi, sia per le limitazioni; <strong>la</strong> maggior parte ed i più


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belli sono nuovi; ricercandoli avevamo co<strong>scienza</strong> che Euclide non aveva effettuato <strong>la</strong><br />

s<strong>in</strong>tesi del luogo a tre e quattro l<strong>in</strong>ee (13) , ma soltanto quel<strong>la</strong> d'una parte di questo luogo<br />

scelta a caso e ciò <strong>in</strong> un modo assai <strong>in</strong>felice; il fatto è che non era possibile fare <strong>la</strong> s<strong>in</strong>tesi<br />

completa, senza ciò che noi abbiamo trovato di nuovo. Il quarto libro determ<strong>in</strong>a <strong>in</strong> quanti<br />

modi le sezioni coniche possono <strong>in</strong>contrarsi tra loro e con una circonferenza di cerchio, e<br />

risolve <strong>in</strong>oltre altre questioni, nessuna delle quali è stata trattata da quelli che ci hanno<br />

preceduto, <strong>in</strong> quanti punti una sezione conica o una circonferenza di cerchio <strong>in</strong>contra delle<br />

sezioni opposte.<br />

Gli ultimi libri appartengono a teorie più ricercate; l'uno tratta, <strong>in</strong>fatti, con ampio<br />

svolgimento dei m<strong>in</strong>imi e dei massimi con sviluppo, l'a1tro dell'uguaglianza e del<strong>la</strong><br />

similitud<strong>in</strong>e delle sezioni coniche; il seguente di teoremi di limitazione, l'ultimo <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e di<br />

problemi determ<strong>in</strong>ati sulle coniche. Per il resto quando saranno tutti pubblicati sarà<br />

possibile a quelli che li studieranno, apprezzarli a seconda del giudizio che ne daranno.<br />

Saluti. (Citato da Taton).<br />

E' subito da notare che Apollonio considera il suo <strong>la</strong>voro (i primi 4 libri) come un'<strong>in</strong>troduzione<br />

elementare. Ciò fa evidente<strong>mente</strong> supporre che vi fossero precedenti trattazioni.<br />

Altra premessa che merita di essere letta è quel<strong>la</strong> al libro 5 (nel frattempo l'amico Eudemo è morto e<br />

le dediche, a partire dal libro 4, sono ad Attalo, re di Pergamo):<br />

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Ho <strong>in</strong>serito <strong>in</strong> questo V libro delle proposizioni re<strong>la</strong>tive alle rette massima e m<strong>in</strong>ima. Voi<br />

dovete sapere che i miei predecessori ed i miei contemporanei hanno trattato solo<br />

superficial<strong>mente</strong> <strong>la</strong> ricerca delle rette più corte, ed hanno soltanto provato quali rette sono<br />

tangenti alle sezioni e, <strong>in</strong>versa<strong>mente</strong> quale proprietà hanno <strong>in</strong> quanto sono tangenti. Da<br />

parte mia ho provato questa proprietà nel I libro (senza fare nessun uso tuttavia nelle<br />

prove del<strong>la</strong> teoria delle l<strong>in</strong>ee più corte), per quanto desiderassi metterle <strong>in</strong> stretto rapporto<br />

con <strong>la</strong> parte del soggetto <strong>in</strong> cui io tratto <strong>la</strong> creazione delle tre sezioni coniche; volevo<br />

dimostrare che <strong>in</strong> ciascuna delle tre sezioni <strong>in</strong>numerevoli proprietà e necessarie<br />

conseguenze appaiono <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione con il diametro trasverso d'orig<strong>in</strong>e. Ho diviso le


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proposizioni nelle quali discuto le l<strong>in</strong>ee più corte <strong>in</strong> c<strong>la</strong>ssi e ho trattato ogni caso con<br />

un'accurata dimostrazione. Ho anche collegato <strong>la</strong> loro ricerca con quel<strong>la</strong> delle l<strong>in</strong>ee più<br />

lunghe, perchè ho considerato che quelli che coltivano questa <strong>scienza</strong> ne hanno bisogno<br />

per l'analisi e le limitazioni dei problemi, così come per <strong>la</strong> s<strong>in</strong>tesi, D'altronde il soggetto è<br />

uno di quelli degni di studio per se stessi (14) .<br />

A proposito di questo libro 5 vi è da riportare ciò che scrive Heath:<br />

è il più ragguardevole dei libri ancora esistenti. Par<strong>la</strong> delle perpendico<strong>la</strong>ri delle sezioni<br />

coniche considerandole come l<strong>in</strong>ee diritte m<strong>in</strong>ime e massime che vengono tracciate f<strong>in</strong>o<br />

al<strong>la</strong> curva partendo da punti partico<strong>la</strong>ri. Esso comprende una serie di teoremi che, sebbene<br />

non siano stati e<strong>la</strong>borati secondo i metodi geometrici più puri, fanno si che si giunga a<br />

determ<strong>in</strong>are l’evoluta di ciascuna delle tre sezioni coniche, cioè le equazioni cartesiane<br />

delle evolute possono essere facil<strong>mente</strong> dedotte dai risultati ottenuti da Apollonio.<br />

Non vi è alcun dubbio che il libro sia del tutto orig<strong>in</strong>ale e che sia un vero e proprio tour de<br />

force geometrico.<br />

E' comunque piuttosto difficile leggere il testo orig<strong>in</strong>ale delle Coniche, <strong>in</strong> quanto:<br />

Il trattato è una grande opera c<strong>la</strong>ssica che merita di essere più conosciuto di quello che è<br />

adesso. Ciò che ostaco<strong>la</strong> <strong>la</strong> sua lettura nel<strong>la</strong> forma orig<strong>in</strong>ale è pr<strong>in</strong>cipal<strong>mente</strong> il fatto che <strong>la</strong><br />

sua esposizione è molto vasta (contiene 387 teoremi separati) e ciò, <strong>in</strong> parte, a causa<br />

dell’abitud<strong>in</strong>e greca di dimostrare casi partico<strong>la</strong>ri di un teorema generale separata<strong>mente</strong><br />

dal teorema stesso, ma ancor più a causa del<strong>la</strong> pesantezza delle enunciazioni di complicati<br />

teoremi <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i generici (senza l’aiuto di lettere che denotano punti partico<strong>la</strong>ri) e anche<br />

a causa dell’e<strong>la</strong>boratezza del<strong>la</strong> forma Euclidea, al<strong>la</strong> quale Apollonio aderisce<br />

completa<strong>mente</strong>.<br />

Non entrerò nei dettagli dell'opera di Apollonio, per i quali rimando agli Appunti di Geometria<br />

C<strong>la</strong>ssica del prof. Carlo March<strong>in</strong>i dell'Università di Parma che si possono leggere qui o qui, ma alcune<br />

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osservazioni devo farle <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione a quando discutevo più <strong>in</strong>dietro a proposito del<strong>la</strong> concezione di<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito presso i greci. Gli storici, tra cui Boyer e Kl<strong>in</strong>e, negano che tale concetto appartenesse ai greci<br />

che avrebbero avuto una qualche paura a discuterne e qu<strong>in</strong>di ad ammetterlo. Al massimo un qualche<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito potenziale ... Se leggiamo <strong>la</strong> prima def<strong>in</strong>izione che <strong>in</strong>contriamo nel libro 1 delle Coniche,<br />

scopriamo <strong>in</strong>vece che abbiamo a che fare con degli <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti <strong>in</strong> atto molto precisi.<br />

Def<strong>in</strong>izione I.1 Se, da un certo punto, si conduce a una circonferenza di un cerchio, non<br />

situato nello stesso piano di quel punto, una retta prolungata da una parte all’altra, e se,<br />

restando fisso il punto, <strong>la</strong> retta circo<strong>la</strong>ndo seguendo <strong>la</strong> circonferenza, riprende <strong>la</strong> posizione<br />

da cui essa ha <strong>in</strong>iziato a muoversi, chiamo superficie conica quel<strong>la</strong> che, descritta dal<strong>la</strong><br />

retta, è composta da due superficie opposte che seguono il vertice, di cui ciascuna cresce<br />

verso l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, <strong>la</strong> retta generatrice essendo essa stessa prolungata verso l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. Chiamo<br />

vertice di questa superficie il punto fisso, e il suo asse <strong>la</strong> retta condotta dal punto e il centro<br />

del cerchio.<br />

Quel<strong>la</strong> retta è trattata con il participio passato di prolungare e qu<strong>in</strong>di essa è un <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito <strong>in</strong> atto. Inoltre,<br />

poco oltre si par<strong>la</strong> esplicita<strong>mente</strong> di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. E questo è un chiaro segno di un superamento deciso del<br />

passato superamento che risulta anche evidente dal fatto che, quasi quasi, rende restìo Apollonio a<br />

trattare il cerchio tra le coniche. Ma come, le rette e circonferenze di tradizione p<strong>la</strong>tonica, dove vanno a<br />

f<strong>in</strong>ire ? Egli tratta decisa<strong>mente</strong> <strong>la</strong> circonferenza come caso partico<strong>la</strong>re di conica e non assegna ad essa<br />

altre proprietà che quelle che ha <strong>in</strong> senso geometrico. Nelle def<strong>in</strong>izioni il nostro ha cura di def<strong>in</strong>ire<br />

diametri e centri re<strong>la</strong>tivi ad ogni curva, dimenticando queste come proprietà di una partico<strong>la</strong>re curva. La<br />

geometria euclidea resta solo per le applicazioni di algebra geometrica, per il resto si va molto al di là,<br />

aprendo a spazi <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti.<br />

Possiamo dire che <strong>la</strong> geometria di Apollonio non differisce sostanzial<strong>mente</strong> da quel<strong>la</strong> e<strong>la</strong>borata da<br />

Descartes nel 1637, 1800 anni dopo. La novità maggiore, oltre al<strong>la</strong> flessibilità del simbolismo (i<br />

geometri dell'<strong>in</strong>izio dell'Evo Moderno disponevano di tutta l'algebra r<strong>in</strong>ascimentale mentre Apollonio<br />

poteva solo utilizzare l'algebra geometrica che abbiamo visto <strong>in</strong> Euclide ed Archimede), è l'<strong>in</strong>troduzione<br />

di assi coord<strong>in</strong>ati di riferimento che utilizzano anche valori negativi per ascisse ed ord<strong>in</strong>ate, ed i numeri<br />

re<strong>la</strong>tivi non erano <strong>in</strong> uso tra i matematici Greci. Osserva Boyer che è possibile dire che nel<strong>la</strong> geometria<br />

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greca le equazioni sono determ<strong>in</strong>ate da curve, ma non che le curve siano def<strong>in</strong>ite da equazioni.<br />

Vi sono molti altri contributi matematici dei quali siamo debitori agli scienziati alessandr<strong>in</strong>i ma<br />

l'economia di questo <strong>la</strong>voro mi fa fermare qui, rimandando all'ampia bibliografia che riporto. Nel<br />

seguito del <strong>la</strong>voro (<strong>la</strong> seconda parte di questo articolo) andrò ad <strong>in</strong>dagare le altre scienze sviluppate da<br />

tali scienziati, ad <strong>in</strong>iziare dall'astronomia.<br />

SEGUE ...<br />

ALL'ARTICOLO PRECEDENTE ...<br />

NOTE<br />

(1) Alcune città fondate da Alessandro Magno o <strong>in</strong> suo onore: Alessandria di Isso (o Alessandria <strong>la</strong> Picco<strong>la</strong> o<br />

Alessandria nel<strong>la</strong> Margiana, presso <strong>la</strong> città di Mary (antica Merv), nel Turkmenistan; Alessandria degli Arî, oggi<br />

Herat, e Alessandria di Aracosia, oggi Kandahar, <strong>in</strong> Afghanistan; Alessandria al Caucaso, poco a nord<br />

dell'odierna Kabul, <strong>in</strong> Afghanistan; Alessandria Escata, all'estremo conf<strong>in</strong>e nord-orientale dell'impero di<br />

Alessandro, sul<strong>la</strong> destra del fiume Syrdarja, oggi Hodzent, nel Tagikistan; Alessandria Bucefa<strong>la</strong>, sul<strong>la</strong> destra del<br />

fiume Chenab, a sud dell'odierna Rawalp<strong>in</strong>di, <strong>in</strong> Pakistan; Alessandria, sul fiume Indo, presso l'odierna<br />

Khanpur, <strong>in</strong> Pakistan; Alessandria, a ovest del delta dell'Indo, sul Mar Arabico; Alessandria nel<strong>la</strong> Carmania, a<br />

nord dello stretto di Hormuz, <strong>in</strong> Iran; Alessandria al Tigri, o di Susiana, presso <strong>la</strong> foce del fiume Tigri (Khuzistan-<br />

Iran); Alessandria del Parapamiso (Begram-Afghanistan); Alessandria dell'Osso (Termez-Uzbekistan);<br />

Alessandria dello Iassarte (Chodzent-Len<strong>in</strong>abad-Tadzikistan); Alessandria degli Orito (a sud di Be<strong>la</strong>- Pakistan);<br />

Alessandria Troade, nei pressi dell'antica Troia, fondata nel 310 a.C. da Antigono, generale di Alessandro Magno,<br />

col nome di Antigoneia, fu successiva<strong>mente</strong> chiamata Alessandria da Lisimaco, altro generale di Alessandro. Le<br />

sue rov<strong>in</strong>e (mura, terme, acquedotti) si trovano presso l'odierna Eski Stambul [http://www.summagallicana.it/<br />

lessico/a/Alessandria%20di%20Egitto.htm]. Altre città ma con nomi diversi da Alessandria, fondate da<br />

Alessandro e dai diadochi furono: Lisimachia, Nicomedia, Amasra, Stratonicea, Filetarea, Eupatoria, Nicea,<br />

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Kadi, Docimio, Filomello, Laodicea, Attalia Seleucia, Tolemaide, Antiochia, Ars<strong>in</strong>oe, Nicopoli, Caonia, Cirro,<br />

Orthosia, Gadara, Berenice, Pafos, Aretusa, Tigranocerta, Dura Europos, Opi (tutte queste nell'Asia M<strong>in</strong>ore);<br />

poi Ars<strong>in</strong>oe <strong>in</strong> Egitto, Apamea <strong>in</strong> Partia, Nicea <strong>in</strong> Pakistan.<br />

(2) Una pianta che riporta le sette meraviglie del mondo antico:<br />

(3) L'obsolescenza del<strong>la</strong> democrazia comporta <strong>la</strong> decadenza dell'eloquenza politica <strong>in</strong> cui aveva eccelso<br />

Demostene, <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del<strong>la</strong> commedia a sfondo politico e sociale, <strong>la</strong> riduzione a retorica o a genere erudito del<strong>la</strong><br />

storiografia. Dice Geymonat:<br />

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La commedia «nuova» porta sul<strong>la</strong> scena dei teatri le passioni e gli <strong>in</strong>trighi del<strong>la</strong> vita quotidiana, e,<br />

descrivendo i caratteri <strong>in</strong>dividuali, si sofferma con partico<strong>la</strong>re compiacimento su analisi<br />

psicologiche. Fuori del teatro prospera <strong>la</strong> produzione di novelle avventurose, di romanzi di viaggi e<br />

di amore. Non più al<strong>la</strong> città ed al popolo, ma alle cerchie ristrette dei dotti di corte si rivolgono i<br />

poeti maggiori (Callimaco, Apollonio Rodio, Nicandro), che riempiono le loro composizioni di<br />

raff<strong>in</strong>ate preziosità mitologiche e scientifiche, e si fanno protagonisti di polemiche assieme letterarie<br />

ed erudite.


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La frattura fra <strong>in</strong>dividuo e società è ormai decisiva: <strong>la</strong> confusione e <strong>la</strong> nuova differenziazione dei<br />

ceti, <strong>la</strong> dissoluzione delle vecchie comunità cittad<strong>in</strong>e tolgono ogni sostanzialità all'etica tradizionale,<br />

<strong>in</strong>tesa come co<strong>scienza</strong> comune di una collettività, che lo sforzo del<strong>la</strong> ragione eleva a realtà<br />

universale. D'altro canto il nuovo stato monarchico, con i suoi orizzonti immensa<strong>mente</strong> al<strong>la</strong>rgati,<br />

con <strong>la</strong> sua organizzazione assolutistico-burocratica, non riesce ad imporre <strong>la</strong> sua discipl<strong>in</strong>a alle<br />

coscienze <strong>in</strong>staurando un'etica nuova: il saggio del periodo ellenistico, costretto al<strong>la</strong> apoliticità,<br />

f<strong>in</strong>irà col sentirsi e proc<strong>la</strong>marsi « cittad<strong>in</strong>o del mondo ».<br />

Nel nuovo ambiente l'<strong>in</strong>dividuo trova aperte davanti a sé, per l'espansione delle proprie energie<br />

<strong>in</strong>tellettuali, due strade: o concentrarsi <strong>in</strong> un campo di ricerche specializzate, affidandosi al<strong>la</strong><br />

concretezza di un sapere partico<strong>la</strong>re, oppure ripiegarsi <strong>in</strong> sé, cercando nell'io, o perlomeno<br />

attraverso l'io, il senso del<strong>la</strong> vita e del mondo. Sono due vie sostanzial<strong>mente</strong> nuove, per cui il<br />

pensiero umano giungerà a conquiste formidabili nel settore delle scienze partico<strong>la</strong>ri ed al<strong>la</strong><br />

fondazione del concetto di personalità che, ripreso dal cristianesimo, avrà importanza fondamentale<br />

nello sviluppo del<strong>la</strong> civiltà moderna.<br />

(4) Una parte di questi preziosi rotoli andò danneggiata ed altra parte saccheggiata durante una guerra civile nel<br />

145; altra bruciò durante l'assedio di Cesare (48 a.C.); un'altra ancora, al tempo di Teodosio il Grande, fu<br />

distrutta da una fol<strong>la</strong> di cristiani fanatici e fondamentalisti al seguito del patriarca Cirillo e nell'occasione fu fatta<br />

a pezzi <strong>la</strong> direttrice del<strong>la</strong> biblioteca, <strong>la</strong> matematica Ipazia (415 d.C.), e il resto dall'emiro Amr ibn al-As, che<br />

(come raccontano A.Schopenauer e L.Canfora) avendo chiesto ad Omar califfo d'Egitto (646 d.C.) cosa fare del<strong>la</strong><br />

Biblioteca, ebbe questa risposta: «Se il contenuto dei libri si accorda con il libro di Allàh, noi possiamo farne a<br />

meno, dal momento che il libro di Allàh è più che sufficiente. Se <strong>in</strong>vece contengono qualcosa di difforme, non c'è<br />

alcun bisogno di conservarli. Procedi e distruggili». Si dice che i rotoli furono usati come combustibile per i bagni<br />

termali di Alessandria, che, secondo Eutichio, erano circa quattromi<strong>la</strong>, e ci vollero sei mesi per bruciarli tutti.<br />

(5) Pergamo si dotò di una importante biblioteca, ad imitazione di quel<strong>la</strong> di Alessandria. E' notevole il fatto che,<br />

di fronte al blocco delle esportazioni di papiro da parte dell'Egitto, <strong>in</strong> questa città si <strong>in</strong>iziò ad usare un materiale<br />

che deriva dal<strong>la</strong> concia di pelli di animali, <strong>la</strong> pergamena (membranum pergamenum) <strong>in</strong> sostituzione del papiro. La<br />

pergamena, già nota <strong>in</strong> Asia, resterà <strong>in</strong> uso f<strong>in</strong>o all'<strong>in</strong>venzione del<strong>la</strong> carta.<br />

(6) Cicerone avrà da <strong>la</strong>mentarsi di Stratone perché ha abbandonato l'etica, che è <strong>la</strong> parte più importante del<strong>la</strong><br />

filosofia, e si è dedicato allo studio del<strong>la</strong> natura.<br />

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Le correnti di pensiero pr<strong>in</strong>cipali che si svilupparono dopo Aristotele furono, oltre all'Epicureismo al quale ho<br />

accennato quando ho par<strong>la</strong>to di Democrito, lo Stoicismo e, <strong>in</strong> epoca più tarda, il Neop<strong>la</strong>tonismo.<br />

Stoicismo (300 a.C. - 200 d.C.). La concezione stoica del<strong>la</strong> natura è basata sull'idea materialistica che soltanto i<br />

corpi materiali possono esercitare o subire azioni e solo a contatto diretto. L'<strong>in</strong>tero universo è un cosmo ord<strong>in</strong>ato,<br />

governato da un pr<strong>in</strong>cipio di razionalità e di legge. Lo stoicismo è fertile terreno per l'astrologia ed esso <strong>la</strong><br />

sosterrà <strong>in</strong> modo conv<strong>in</strong>to. Secondo gli stoici l'uomo può conoscere il suo futuro. Nell'universo p<strong>la</strong>tonico fu tolto<br />

quel pezzo che lo qualificava: il contributo del<strong>la</strong> matematica.<br />

Neop<strong>la</strong>tonismo (Plot<strong>in</strong>o - 204 - 270 d.C.). Plot<strong>in</strong>o si considera un seguace di P<strong>la</strong>tone riuscendo a so n vi sono<br />

differenze sostanziali tra P<strong>la</strong>tone ed Aristotele. Egli tenta qu<strong>in</strong>di di unificare i due sistemi <strong>in</strong> un sistema unico. Ne<br />

nasce qualcosa di diverso che fornisce il punto di partenza per tutta quel<strong>la</strong> serie di filoni di pensiero che, non<br />

avendo più <strong>la</strong> m<strong>in</strong>ima connessione con <strong>la</strong> realtà sensibile, tesero a ritardare lo sviluppo delle scienze del<strong>la</strong> natura.<br />

Vi è una sostanziale <strong>in</strong>differenza per i fatti che <strong>la</strong> natura ci offre oltre al disprezzo per il loro studio empirico. Si<br />

postu<strong>la</strong> una antitesi tra materia e spirito, con il conseguente rifiuto del<strong>la</strong> prima. Viene anche teorizzato<br />

l'ascetismo. Si è affasc<strong>in</strong>ati per l'occulto e si ha una tendenza crescente ad affidarsi al<strong>la</strong> magia ed alle sue<br />

pratiche. Si studia <strong>la</strong> demonologia con <strong>la</strong> pratica di sortilegi e l'<strong>in</strong>vocazione di demoni.<br />

(7) Dice <strong>in</strong> proposito Bertrand Russel:<br />

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Anche <strong>la</strong> maggioranza dei migliori filosofi f<strong>in</strong>ì con il credere nell'astrologia. Ciò implicava, dato che<br />

era possibile predire il futuro, una fede nel<strong>la</strong> necessità e nel fato, che contrastava con <strong>la</strong> prevalente<br />

fede nel<strong>la</strong> fortuna. Nessun dubbio che <strong>la</strong> maggioranza credesse <strong>in</strong> entrambe e non notasse<br />

l'<strong>in</strong>congruenza.<br />

La confusione portò <strong>in</strong>evitabil<strong>mente</strong> al decadimento morale, ancor più che all'<strong>in</strong>debolimento<br />

<strong>in</strong>tellettuale. Le epoche di prolungata <strong>in</strong>certezza, mentre sono compatibili con il più alto grado di<br />

santità <strong>in</strong> pochi <strong>in</strong>dividui, sono nemiche delle prosaiche virtù quotidiane dei «rispettabili» cittad<strong>in</strong>i.<br />

Sembra che non ci sia più alcuna utilità nel risparmio, quando domani tutto ciò che vien messo da<br />

parte potrà andar disperso; nessun vantaggio nell'onestà, quando l'uomo verso cui <strong>la</strong> mettete <strong>in</strong><br />

pratica quasi certa<strong>mente</strong> vi truffa; nessuno scopo ad aderire stabil<strong>mente</strong> ad una causa, quando<br />

nessuna causa è importante o ha <strong>la</strong> possibilità di una stabile vittoria; nessun argomento <strong>in</strong> favore<br />

del<strong>la</strong> s<strong>in</strong>cerità, quando solo un'abile tergiversazione rende possibile di preservare <strong>la</strong> vita e <strong>la</strong><br />

fortuna. L'uomo, <strong>la</strong> cui virtù non ha altra orig<strong>in</strong>e se non nel<strong>la</strong> prudenza terrena, diventerà, <strong>in</strong> un<br />

mondo simile, un avventuriero se ne ha il coraggio ed altrimenti cercherà l'oscurità come un pavido


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opportunista.<br />

L'ultimo capoverso, preso a sé, dovrebbe far riflettere nei tempi che viviamo.<br />

(8) Nel<strong>la</strong> nota 33, a pag. 147 degli Elementi, Frajese ci fornisce questa notizia:<br />

È partico<strong>la</strong>r<strong>mente</strong> suggestiva l'ipotesi dello Zeutheu, secondo <strong>la</strong> quale fu proprio il desiderio di<br />

giustificare e dimostrare il teorema di Pitagora che condusse i geometri greci a costruire un<br />

complesso di proposizioni concatenate l'una all'altra, risalendo f<strong>in</strong>o a quelle più semplici<br />

(procedimento di analisi), sicché poi con procedimento <strong>in</strong>verso (di s<strong>in</strong>tesi) da dette semplici<br />

proposizioni <strong>in</strong>iziali (postu<strong>la</strong>ti) si potesse discendere, per gradi di complessità maggiore, f<strong>in</strong>o al<br />

detto teorema di Pitagora. Sarebbe stato qu<strong>in</strong>di proprio detto teorema (nel<strong>la</strong> ricerca del<strong>la</strong> sua<br />

giustificazione logica) a dare l'avvio al<strong>la</strong> geometria razionale. E <strong>la</strong> memorabile comunicazione di<br />

Zeuthen s'<strong>in</strong>tito<strong>la</strong> appunto: Théorème de Pythagore, orig<strong>in</strong>e de <strong>la</strong> géométrie scientifique (Congr.<br />

<strong>in</strong>ternazionale, G<strong>in</strong>evra, 1904). Questo teorema, detto universal<strong>mente</strong> di Pitagora, ha ricevuto poi<br />

numerosissime dimostrazioni, sulle quali qui non ci fermiamo.<br />

(9) La vicenda degli specchi ustori è una leggenda. Esperienze accurate eseguite, ad esempio, da Buffon (1747)<br />

con una comb<strong>in</strong>azione di 128 specchi piani mostrarono l'impossibilità pratica di bruciare una nave. Egli riuscì<br />

solo a bruciare una tavo<strong>la</strong> di p<strong>in</strong>o <strong>in</strong>catramato posta a 50 metri di distanza. Sembra che le navi romane fossero<br />

<strong>in</strong>cendiate da fuoco scagliato mediante le catapulte (catapulte che avevano una impressionante potenza di <strong>la</strong>ncio,<br />

tanto da non far avvic<strong>in</strong>are le navi. Ma se qualcuna riusciva, subentravano i ganci descritti nel seguito)<br />

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Affresco di Giulio Parigi (1600) dello Stanz<strong>in</strong>o delle Matematiche nel<strong>la</strong> Galleria degli Uffizi (Firenze).<br />

Ricostruzione fanatastica degli specchi ustori di Archimede fatta da Padre Atanasio Kircher <strong>in</strong> Ars magna lucis et umbrae,<br />

Roma 1646.<br />

Le leggende dell'assedio di Siracusa si sono moltiplicate, come quel<strong>la</strong> che voleva le navi romane tirate su<br />

dall'acqua come pesci da giganteschi ami o da braccia meccaniche.<br />

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Affresco di Giulio Parigi (1600) dello Stanz<strong>in</strong>o delle Matematiche nel<strong>la</strong> Galleria degli Uffizi (Firenze).<br />

Le figure seguenti (dal sito http://www.math.nyu.edu/~crorres/Archimedes/C<strong>la</strong>w/illustrations.html) mostrano <strong>in</strong>vece<br />

alcune ricostruzioni (che possono <strong>in</strong>vece avere una qualche attendibilità) del sistema dei ganci per le navi che<br />

attaccavano Siracusa.<br />

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(10) Quando ero questore <strong>in</strong> Sicilia mi misi a cercare <strong>la</strong> sua tomba <strong>in</strong>vasa dalle erbe e dagli sterpi, che i siracusani<br />

non conoscevano e anzi negavano che esistesse. Avevo <strong>in</strong>fatti sentito par<strong>la</strong>re di alcuni versi <strong>in</strong>cisi sul<strong>la</strong> tomba che<br />

spiegavano perché essa fosse sormontata da una sfera e da un cil<strong>in</strong>dro. Fuori da Porta Agrigent<strong>in</strong>a c'è un gran<br />

numero di sepolture, e a forza di cercare e di guardare notai f<strong>in</strong>al<strong>mente</strong> una picco<strong>la</strong> colonna che a pena superava <strong>la</strong><br />

boscaglia di sterpi, e su di essa erano raffigurati una sfera e un cil<strong>in</strong>dro. (Marco Tullio Cicerone, Tuscu<strong>la</strong>nae<br />

Disputationes, V, 23).<br />

(11) Tangenze esiste ancora <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua araba e il biografo del decimo secolo Ibn Al Nadim racconta che altre tre<br />

opere furono tradotte <strong>in</strong> arabo ma nessuna di queste esiste più. Da quest'opera si può capire quanto Apollonio<br />

fosse andato oltre il grande Euclide. Nel Libro III degli Elementi di Euclide si mostra come disegnare una<br />

tangente a tre determ<strong>in</strong>ate l<strong>in</strong>ee. In Tangenze, si mostra come costruire il cerchio che è tangente a tre oggetti<br />

qualsiasi, <strong>la</strong>ddove gli oggetti sono punti, o l<strong>in</strong>ee, o cerchi stessi. Ipsicle (II secolo a.C.) riferisce di un’opera di<br />

Apollonio, che paragona un dodecaedro ad un icosaedro <strong>in</strong>scritti nel<strong>la</strong> stessa sfera, i quali, come l’opera Coniche<br />

furono pubblicati <strong>in</strong> due edizioni. Altri antichi autori riferiscono di un’opera generale di Apollonio nel<strong>la</strong> quale<br />

vengono discusse le basi del<strong>la</strong> matematica come ad esempio il significato degli assiomi e le def<strong>in</strong>izioni, di un' altra<br />

sull’elica cil<strong>in</strong>drica e di un’altra ancora sui numeri irrazionali. Eutocio (VI secolo d.C.) riferisce di un libro<br />

Rapida Enunciazione nel<strong>la</strong> quale Apollonio avrebbe ottenuto un'approssimazione di π migliore di quel<strong>la</strong> ottenuta<br />

da Archimede.<br />

Merita un cenno il fatto che uno dei luoghi che erano trattati <strong>in</strong> Luoghi piani era quello oggi noto come il Cerchio<br />

di Apollonio: il luogo dei punti tali che il rapporto delle loro distanze da due punti fissi sia costante (e diverso da<br />

uno), luogo illustrato <strong>in</strong> figura.<br />

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parte, se le rette sono condotte sotto angoli dati verso quattro rette date di posizione, e se il rapporto del<br />

rettangolo compreso sotto due delle rette condotte col rettangolo compreso sotto le altre due è dato, il<br />

punto apparterrà ugual<strong>mente</strong> ad una sezione di cono data di posizione.<br />

E ciò vuol dire che i luoghi a tre e a quattro l<strong>in</strong>ee sarebbero i luoghi di punti tali che il prodotto delle loro<br />

distanze da due rette date siano uguali o al quadrato (a tre) delle loro distanze da una terza retta, o dal prodotto<br />

(a quattro) delle distanze da altre due rette assegnate.<br />

(14) E' d'<strong>in</strong>teresse raccontare che, mentre appariva <strong>la</strong> traduzione <strong>la</strong>t<strong>in</strong>a di questo libro di Apollonio nel 1661, per<br />

vie completa<strong>mente</strong> diverse da quelle pura<strong>mente</strong> geometriche e cioè meccaniche (matematica applicata), arrivava<br />

a medesimi risultati Huygens studiando i meccanismi dell'orologio a pendolo (Horologium del 1658 ed<br />

Horologium Oscil<strong>la</strong>torium del 1673).<br />

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