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Dulcinea chimera androgina - Centro Virtual Cervantes

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Ad Ana Martinez,<br />

ispanista por los cuatro costados<br />

A differenza del discorso su Quijote-Sancho che, nel tempo, si è andato<br />

sempre più svincolando dagli obblighi interpretativi legati alla contrapposizione<br />

idealismo/realismo per aprirsi a più feconde soluzioni, il discorso sul<br />

binomio Aldonza-<strong>Dulcinea</strong> sembra invece non riuscire ancora a superare le<br />

secche di una lettura debitrice di presupposti parodico-carnevaleschi il cui<br />

senso sarebbe da ricercarsi ora nelle istanze stilnoviste, ora nella tradizione<br />

amorosa sottesa ai romanzi de caballerías.<br />

In molti, tra i critici, hanno insistito di fatto sul rovesciamento segnico di<br />

Aldonza, sull’adozione di un neoplatonismo petrarchizzante e di cornice,<br />

utile a definire l’ars amandi chisciottesca nonché, in accordo con essa, lo scarto<br />

d’identità tra la materica, reale contadina e l’irreale, poetica <strong>Dulcinea</strong>,<br />

tanto ribadito nel corso delle due parti del Quijote da cristallizzarsi, secondo<br />

ormai note proposte di lettura (Casalduero, 1949), in un’irrisolvibile opposizione.<br />

Sicuramente Aldonza e <strong>Dulcinea</strong> sono, per suprema volontà autoriale,<br />

esseri non agenti sui quali gli altri personaggi, primo fra tutti Alonso e il suo<br />

derivato eteronimico Don Quijote, esercitano la propria capacità prospetticoimmaginativa.<br />

L’una e l’altra sono percepite e rese nella loro fisicità; è, innanzi<br />

tutto, il loro sesso naturale -‘superficie politicamente neutrale’ (Butler,<br />

1999: 35)-, ad essere inscritto nel corso dell’opera in spazi di liminarità o di<br />

piena appartenenza attraverso continue pratiche discorsive che si dipanano a<br />

partire da un’identità di genere per lo più codificata secondo schemi normativi<br />

uomo vs donna, maschile vs femminile.<br />

Il problema della duplice e diversa definizione di Aldonza-<strong>Dulcinea</strong> è,<br />

insomma, avvertito dai personaggi come un problema ontologico, da risolve-<br />

(*) Università di Catania<br />

DULCINEA CHIMERA ANDROGINA<br />

Anita Fabiani (*)<br />

AISPI. Actas XXIII (2005). Anita FABIANI. <strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong><br />

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e facendo appello a definizioni prototipiche di ‘sesso’ e di ‘genere’ rispetto<br />

alle quali Aldonza, per le sue peculiarità fisiche e comportamentali, risulta<br />

essere, almeno in apparenza, l’allontanamento dal modello culturale condiviso<br />

e ribadito dalla letteratura mentre <strong>Dulcinea</strong>, per perfetta asimmetria concettuale,<br />

l’esemplificazione del modello stesso.<br />

Tuttavia, insistere in termini univoci sull’anomalia generica di Aldonza<br />

per assimilarla alle donne fallico-castratrici della letteratura edipico-misogina<br />

insinuando, al contempo, ‘furori uterini’ che la imparenterebbero con la<br />

serrana (Redondo, 1983: 13), o ridurla a marimacho per dimostrare l’impotenza<br />

di un senile Alonso-Quijote (Cull, 1990: 37ss.) affetto da nevrosi edipico-incestuose<br />

(Johnson, 1983) esaurisce, credo, altri e più profondi significati<br />

del personaggio, inficiando, al tempo stesso, i valori associabili al suo doppio<br />

<strong>Dulcinea</strong>, e disconoscendo soprattutto il fatto che “[the couple Aldonza-<br />

<strong>Dulcinea</strong>] suggests a practice that writes and reads the female body without<br />

destroying it, objectifying it in male desire, or exiling it from the powers of<br />

discourse into the unrepresentable” (Gossy, 1995: 27).<br />

Mi sembra legittimo chiedersi prima di tutto perché, nonostante si accetti<br />

il teorema della parodia dei romanzi di cavalleria quale principio ispiratore<br />

e strutturante del Quijote, si stabilisca poi una filiazione, magari spuria, di<br />

Aldonza dalla serrana e non, invece, per coerenza con quello stesso presupposto<br />

parodico, da altre donne diversamente ‘ibride’ o diversamente ‘femminili’<br />

che pure ritroviamo in molti testi del genere cavalleresco (Sales Dasí,<br />

1998: 147ss.). A partire dalla pubblicazione de Las Sergas de Esplandián gli<br />

autori, sposando un’amazzone umanizzata e meno androfobica alla virgo<br />

bellatrix, propongono infatti un nuovo personaggio femminile, una sintesi di<br />

qualità/attributi muliebri e virili (Marín Pina, 1989: 86) destinata a divenire<br />

un modello accettato di bellezza ambigua e pseudo-<strong>androgina</strong>. È questo l’esito<br />

del processo poligenetico di ‘transessualizzazione’ della donna (Marín<br />

Pina, 1989: 97) proprio della letteratura cavalleresca successiva all’Amadís e<br />

che sempre più consensi registrerà fra i lettori e le lettrici, tanto da modificare<br />

gli equilibri diegetici delle novelas de caballerías con una significativa promozione<br />

da deuteragoniste a protagoniste -basti ricordare il Cristalián de España<br />

(1545) di Beatriz Bernal.<br />

Pur volendo considerare il mio un sospetto peregrino, rimane il fatto che<br />

nel Quijote, in occasione del grande escrutinio della biblioteca dell’hidalgo, viene<br />

menzionata l’antesignana di queste ‘nuove donne’, la reina Pintiquinestra,<br />

eroina del Lisuarte de Grecia nella quale è già ravvisabile la rilettura in chiave<br />

cavalleresca del mito amazzonico. Anche se l’opera verrà consegnata alle<br />

fiamme, trovo ugualmente indicativo il dato della menzione, rivelatore a mio<br />

avviso di una suggestione avvertita e ancora presente nell’immaginario<br />

dell’autore <strong>Cervantes</strong> che non disdegna affatto ‘ciò’ e ‘chi’ è ambiguo.<br />

Va d’altro canto aggiunto che a queste eroine virtualmente sessuo–pro-<br />

62<br />

Anita Fabiani<br />

AISPI. Actas XXIII (2005). Anita FABIANI. <strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong>


<strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong><br />

teiformi si affiancano vari -e talvolta veri- esseri ‘ibridi’. Il ‘caos delle sexual<br />

personae’ (Bottoni, 2002: 22), espresso tanto dallo slittamento d’identità associato<br />

al travestimento intersessuale, quanto dal doppio gemellare, lo ritroviamo<br />

infatti in buona parte della letteratura, in particolare del teatro, rinascimentale.<br />

La Zufolina/Zufolone dell’Aretino col suo utriusque sesso apre di<br />

fatto la strada a personaggi dall’anatomia discontinua e doppia nei quali, tuttavia,<br />

la giustapposizione/confusione di organi mai è motivo di inquietudine<br />

o stupore. Svuotata di contenuti trascendenti, questa deve e vuole risolversi<br />

solo come moltiplicazione di possibilità erotiche, virtuali o reali che esse<br />

siano, tutte giocate su meccanismi comici o osceni, finalizzati a scatenare l’ilarità<br />

del lettore o dello spettatore. È, detto altrimenti, un diverso modo di<br />

intendere l’ambiguo e l’ibrido, liberandolo dalle dignificazioni del neoplatonismo,<br />

dalle astrazioni ficiniane, dalle raffinatezze iconografiche di Leonardo<br />

per consegnarlo, carnevalizzato, grottesco nelle forme e privo di una solida<br />

filosofia che lo giustifichi, al mondo-bordello.<br />

Nel corso del XVII secolo il caos delle sexual personae può anche contagiare<br />

la realtà, dando origine a casi come quello dell’italiana Benedetta Carlini<br />

da Vellano (1590-1661), madre badessa delle Teatine di Pescia processata<br />

in due diverse occasioni per le sue presunte visioni durante le quali, stando<br />

agli accusatori, ‘corrompeva’ la consorella Bartolomea sotto le mentite ed<br />

efebiche spoglie dell’angelo Splenditello. Dai documenti processuali risulta<br />

che quando Benedetta “hablaba como Splenditello su voz parecía distinta a<br />

la normal […]. También mudaba su aspecto, según Bartolomea, y no sólo<br />

ella, sino que también otras [monjas] habían observado que adquiría el<br />

aspecto de un hermoso joven de quince o dieciséis años” (Brown, 1989: 138-<br />

139).<br />

Benedetta-Splenditello non è, d’altra parte, un caso isolato. In tre diversi<br />

manoscritti conservati nella Biblioteca Nacional di Madrid 1 si riferisce un caso<br />

digno de ser avisado databile al 9 ottobre 1617: “Como estuvo 12 años una<br />

monja profesa, la cual había metido su padre por ser cerrada, y no para ser<br />

casada: y un día haciendo un ejercicio de fuerza, se le rompió una tela, por<br />

donde la salía su Naturaleza de hombre, como los de más” (BNM Mss/10928,<br />

ff. 189r.-189v.) 2 .<br />

Prima di trascrivere la lettera nella quale il priore dell’Ordine Domenicano<br />

di Úbeda, fray Agustín de Torres riporta il caso di Gaspar Muñoz “que por<br />

otro nombre se llamaba Madalena Muñoz” (BNM Mss/12179, f. 224r.), l’amanuense<br />

annota: “Las cosas notables de admiración, dijo un sabio, no se<br />

deben tratar entre los que sólo las juzgan por la limitada capacidad de su<br />

1 Si veda BNM Mss/2058, BNM Mss/10928 e BNM Mss/12179.<br />

2 Nel citare i manoscritti modernizzo la grafia.<br />

AISPI. Actas XXIII (2005). Anita FABIANI. <strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong><br />

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entendimiento pero, aunque esto es así, no faltarán muchos que se acomoden<br />

a creer los milagros de la Naturaleza” (BNM, Mss/10928, f. 189v.).<br />

Tali mirabilia devono essere state nel tempo assorbite dall’immaginario<br />

collettivo e recepite da scrittori che se ne sono poi serviti per imbastire le loro<br />

trame letterarie. Nel 1622 Francisco de Lugo y Dávila, per esempio, riporta la<br />

storia di Madalena/Gaspar nella sua novella Del andrógino per avvalorare il<br />

caso di “una monja de cierto monasterio de Madrid [que] se convirtió en<br />

hombre alzando un gran peso, y se llamó después Rodrigo de Montes” (Lugo<br />

y Dávila, 1906: 263). Sintomatico, e rivelatore dei vizi ideologici della società<br />

patriarcale, quanto concluderà Soler, uno dei personaggi: “mudarse de hembra<br />

en varón, es natural y verdadero; mudarse por el contrario, de varón en<br />

hembra […] es bernardina y fábula, y por tal la tenga todo hombre cuerdo”<br />

(Lugo y Dávila, 1906: 268) 3 .<br />

Ad attestare la superabilità dei labili confini sessuali o le possibili incongruenze<br />

del sesso naturale, non solo in letteratura ma anche nella vita quotidiana,<br />

concorrono documenti come quello del 1561 incluso da Sebastián de<br />

Horozco nelle sue Relaciones Históricas Toledanas, in cui viene riferito l’arrivo<br />

a Toledo di Dominga, una dodicenne portoghese, barbuta 4 dall’età di tre<br />

anni che era stata condotta alla presenza dei reali affinché questi vedessero<br />

“dos monstruosidades, la una ser muger y con barvas y la otra naçerle tan<br />

temprano” (Horozco, 1981: 215). Sempre dallo stesso documento scopriamo<br />

inoltre che il “corregidor dio liçençia a sus padres para que a quatro maravedís<br />

la pudiesen mostrar a los que la quisiesen ver” (Horozco, 1981: 215).<br />

Non dissimile è la storia di Brígida del Río, oriunda di Peñaranda, altra<br />

barbuta della quale si conserva memoria grazie al ritratto di Juan Sánchez<br />

Cotán, riprodotto da Sebastián de Covarrubias Horozco nei suoi Emblemas<br />

morales (1610) o, ancora, quella più nota di Maddalena Ventura, la mulier pilosa<br />

immortalata da José de Ribera nel suo famoso dipinto La mujer barbuda<br />

(1631), commissionatogli dal viceré di Napoli, don Fernando Afán de Ribera<br />

y Enríquez (Perea, 1999: 173) per esporlo “como una curiosidad más en su<br />

galería, donde ‘sorprender’, ‘asombrar’ o ‘desconcertar’ a sus encumbrados<br />

visitantes” (Revilla, 1988: 452).<br />

Tutti questi dati mi sembrano particolarmente interessanti perché vanno<br />

disvelando una comune pratica di riconciliazione dei segni opposti presenti<br />

64<br />

Anita Fabiani<br />

3 Chissà che, come ventilano Francisco e Domingo Ynduráin, anche Braulio Foz per la trasformazione<br />

del protagonista Pedro in suor Geminita non attingesse all’episodio della monaca<br />

di Úbeda (Foz, 1986: 76).<br />

4 L’irsutismo femminile era immediatamente interpretato come “flotación de los signos o<br />

[...] como coexistencia de signos sobre una misma superficie de inscripción: hermafroditismo,<br />

androginia y, al final, de la serie, homosexualidad” (Flor–Sanz Hermida, 1993: 765).<br />

AISPI. Actas XXIII (2005). Anita FABIANI. <strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong>


<strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong><br />

su uno stesso corpo-superficie da operare, non disponendo ancora di valide<br />

spiegazioni eziologiche (Carré, 1996: 82ss.), all’interno di categorie concettuali<br />

che non ne questionino l’autenticità ma, semplicemente, ne risolvano<br />

sul piano formale l’illogicità; ogni possibile dissonanza e incongruenza per<br />

essere spiegata e capita viene dunque fatta confluire nel comico, nella visione<br />

estatica, nel miracolo, nel mostruoso, nel meraviglioso quando non addirittura,<br />

per compulsione misogina, nel demoniaco e la Celestina, perlomeno<br />

in letteratura, lo dimostra (Sanz Hermida, 1994).<br />

È ormai chiaro che nel momento in cui <strong>Cervantes</strong> scrive esiste una diffusa<br />

e variamente elaborata cultura dell’ambiguità e delle ‘incoerenze’ sessuali,<br />

fruita secondo propri canali tanto dai frequentatori dei cenacoli quanto dalla<br />

gente comune, e ritengo che proprio a questa ci si debba riferire per meglio<br />

capire la relazione che intercorre tra Aldonza e <strong>Dulcinea</strong>, senza perdere di<br />

vista, parimenti, alcuni aspetti della ricezione testuale, in particolare il rapporto<br />

di complice intesa che il Quijote intesse coi suoi lettori e con le sue lettrici<br />

del XVII secolo proprio a partire dal consolidamento di un orizzonte<br />

d’attesa ormai pronto ad accogliere, con uno stesso grado di possibilità/verità<br />

o intellegibilità, cavalieri, draghi, maghi e creature sessualmente ‘incongruenti’.<br />

Per queste ragioni pensando alla coppia Aldonza-<strong>Dulcinea</strong> mi riesce francamente<br />

difficile credere che <strong>Cervantes</strong> avesse solo intenzione di sovvertire,<br />

nel caso di Aldonza, e di rimaneggiare, nel caso di <strong>Dulcinea</strong>, i più abusati<br />

topici cavalleresco-petrarchisti. Considero più credibile, invece, che fin dalla<br />

prima apparizione di Aldonza, destinata da lì a poco a ricevere un secondo<br />

battesimo e divenire <strong>Dulcinea</strong>, l’autore avesse in mente un diverso progetto<br />

narrativo nel quale raccordare, con abilità barocca, letture fatte, autori prediletti<br />

e motivi graditi ai suoi lettori.<br />

Intanto, se guardiamo alla scelta onomastica operata da <strong>Cervantes</strong> per<br />

nominare il personaggio ‘reale’ della contadina nonché i genitori di quest’ultima<br />

viene da chiedersi se obiettivo ultimo dell’autore sia davvero quello<br />

di ricorrere a nomi all’epoca molto comuni per rimarcare, a fini parodici, la<br />

rusticità dei personaggi (Iventosch, 1963-1964) o se, invece, non stia invitando<br />

il lettore scaltrito a risolvere una maliziosa sciarada concettista, garantendo<br />

a un tempo un livello di significato più immediato per il grande pubblico.<br />

Nel secondo capitolo della prima parte ci viene detto che la contadina si<br />

chiama Aldonza Lorenzo e, ventitré capitoli dopo, l’hidalgo precisa che essa è<br />

stata allevata da “su padre, Lorenzo Corchuelo, y su madre, Aldonza Nogales”<br />

(<strong>Cervantes</strong>, 1982: 265). L’intera replica di Sancho, ignaro fino a quel momento<br />

della coincidenza Aldonza-<strong>Dulcinea</strong>, si centra com’è noto sulla fisicità di<br />

Aldonza della quale lo scudiero va via via sottolineando la ‘discontinuità’.<br />

Essa è una moza sì, ma de pelo en pecho, robusta, forzuta, con una voce possente<br />

e alta, come scopriremo sempre dallo scudiero nel capitolo XXXI della<br />

AISPI. Actas XXIII (2005). Anita FABIANI. <strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong><br />

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prima parte. Dalla descrizione che ne offre Sancho intuiamo dunque che la<br />

giovane contadina non è una donna-donna, ossia in lei, confondendosi attributi<br />

e qualità dei due sessi, non si rispettano le opposizioni discrete e asimmetriche<br />

(Butler, 1999: 51) uomo vs donna e femminile vs maschile.<br />

I particolari descrittivi, visti nel loro insieme, ci permettono di riconsiderare<br />

ora il senso di quell’inziale scelta onomastica grazie alla quale la contadina<br />

viene introdotta nel mondo del Quijote. Trovo suggestiva, nonché sospetta,<br />

la combinazione matronimica-patronimica per nominare la fanciulla<br />

che, difatti, si chiamerà sempre Aldonza Lorenzo, e ancor più sospetta mi<br />

sembra questa combinazione se si considera da una parte la bipolarità fisiologica<br />

della giovane e, dall’altra, la conoscenza di <strong>Cervantes</strong> della mitologia e<br />

degli autori classici, abbondantemente citati, derisi o osannati nelle due parti<br />

dell’opera. Questi elementi mi portano a pensare che in realtà l’autore, su<br />

una trama concettuale derivata in parte dal Bembo degli Asolani e, come già<br />

da altri dimostrato (Paiewonsky-Conde, 1985: 76ss.), da Ficino, vada di volta<br />

intessendo reminiscenze ovidiane caricate di nuovi contenuti filosofici che,<br />

per essere colti, devono prima potersi aggiustare alle visioni di mondo dei<br />

personaggi e risultare sempre compatibili con le loro capacità/possibilità di<br />

decodifica.<br />

Il primo prodotto di questa commistione di miti e teorie amorose è<br />

Aldonza Lorenzo che fin dal nome rievoca una delle antiche fábulas de Ovidio<br />

(<strong>Cervantes</strong>, 1982: 81), quella che narra la storia del divino paredro Ermafrodito,<br />

resa ora più plausibile dall’occultamento della duplice natura tra le<br />

innocue sillabe di un nome rustico e ordinario il cui simbolismo, però, rimane<br />

e va chiarito. Per il Sancho che ne capisce di melanzane ma non è edotto<br />

sulle Metamorfosi vale quanto a proposito dell’androgino rituale scrive Mircea<br />

Eliade -e quanto <strong>Cervantes</strong> attua sul piano diegetico-, ossia che quando “lo<br />

spirito non è […] capace di percepire il significato del simbolo, esso viene<br />

inteso su piani sempre più grossolani” (Eliade, 1995: 91). Questo spiega perché<br />

lo scudiero percepisca in Aldonza non già l’androgino di Ficino ma l’ermafrodita<br />

anatomico e ‘zufolinizzato’ nel quale né si dà la concordantia oppositorum<br />

che conduce all’Unità totale, né si avverte “una nuova coscienza priva<br />

di polarità” (Eliade, 1995: 91). Quanto detto non contraddice, ma anzi avvalora<br />

il fatto che dalla materia vulgi di Aldonza Lorenzo si generi, per effetto<br />

alchemico, l’opus, la perfetta e totale <strong>Dulcinea</strong>. Della rubiconda campagnola<br />

“un tiempo anduvo enamorado” (I, 2: 39) Alonso Quijada ed è in questo trascorso<br />

amoroso che trova applicazione, in una chiave tutta cervantina, quel<br />

teorema di Ficino secondo cui “qualunque volta ci si riscontra la persona antiquamente<br />

amata ci commoviamo subito [...]; imperò che la presenza delle<br />

persone amate desta la figura sua che prima dormiva nell’animo dello amante<br />

[…], e soffiando raccende el fuoco che sotto la cenere giaceva” (Ficino,<br />

1987: 147).<br />

66<br />

Anita Fabiani<br />

AISPI. Actas XXIII (2005). Anita FABIANI. <strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong>


<strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong><br />

Il lettore di romanzi cavallereschi Alonso Quijada, ricordo, è stato ormai<br />

soppiantato per effetto partenogenetico dall’eroe Don Quijote il quale, seppure<br />

conservi le sembianze e la forma dell’hidalgo, manifesta una diversa coscienza,<br />

non più quella alonsiana, ‘filosofica’ e narcisista che “nunca accede a<br />

ser una realidad enfrente de otra” (Panero, 1989: 12) ma ‘interpretativa’, disgregatrice<br />

della realtà e generatrice di altri modi di essere, di inusuali modelli<br />

di ordine e realtà divergenti.<br />

Dunque Aldonza Lorenzo, la figura che prima dormiva nell’animo di<br />

Alonso, si risveglierà mutata anch’essa nel nome, nell’aspetto e ridefinita<br />

nella sostanza; sarà, in altri termini, ‘consimile’ al novello cavaliere poiché,<br />

ficinianamente parlando, “ciascuno maxime ama [...] e suoi, dico quegli che<br />

hanno avuto natività consimile” (Ficino, 1987: 122). E la consomiglianza altro<br />

non è se non manifestazione dell’essere primigenio e indiviso, il ‘primo habito’<br />

(Ficino, 1987: 59) al quale l’amante deve appetire di tornare, “sforzandosi<br />

di fare uno di due e medicare el caso humano” (Ficino, 1987: 59). In questa<br />

concezione dello ‘scambievole amore’ (Ficino, 1987: 59) s’inserisce il passaggio<br />

da Aldonza Lorenzo a <strong>Dulcinea</strong> del Toboso anche se, per realizzarsi<br />

pienamente, necessita della mediazione di Bembo, e vedremo subito perché.<br />

Il debito di <strong>Cervantes</strong> nei confronti degli Asolani per la Galatea è stato già<br />

individuato (Eisenberg, 2001: 89); nel caso del Quijote sappiamo con certezza<br />

che dagli Asolani l’autore estrapola il madrigale cantato dal cavaliere nel<br />

capitolo LXVIII della seconda parte ma sospetto che non sia questo l’unico<br />

prestito ravvisabile nel capolavoro cervantino. Mi sembra probabile, invece,<br />

che Bembo servisse a <strong>Cervantes</strong> per riequilibrare taluni assunti ficiniani che,<br />

sulla base della maggiore somiglianza, finivano col giustificare l’amore omosessuale,<br />

come il seguente: “Le femmine pigliano e maschi facilmente, e quelle<br />

femmine più facilmente che mostrano qualche masculina effigie; e maschi<br />

ancora più facilmente pigliano gli huomini, essendo a . lloro più simili che le<br />

femmine (Ficino, 1987: 203).<br />

Alla definizione dell’arte amatoria chisciottesca, dalla quale andava esclusa<br />

o sublimata ogni pulsione erotica e interdetto qualsiasi amore ‘nefando’,<br />

più indicato doveva sembrare quel passaggio nel quale Bembo, reintegrando<br />

lo ‘scambievole amore’ nel rassicurante quadro della dualità uomo–donna,<br />

scrive: “Noi non siamo interi nè il tutto di noi medesimi è con noi, se soli maschi<br />

o sole femine ci siamo. Perciò non è quello il tutto, che senza altrettanto<br />

star non può; ma è il mezzo solamente e nulla più sì come voi, donne, senza<br />

noi uomini, e noi senza voi non possiamo” (Bembo, 1932: 75).<br />

Ripristinata una legge del desiderio eterosessuale, Aldonza Lorenzo, l’androgino<br />

anatomico presentatoci da Sancho ed amato da Alonso, può finalmente<br />

divenire <strong>Dulcinea</strong> del Toboso, simbolo perfetto e non degradato<br />

dell’androgino e, come tale, cominciare ad esistere accanto a Don Quijote.<br />

Anche l’apparizione di <strong>Dulcinea</strong>, così com’era accaduto con quella di<br />

AISPI. Actas XXIII (2005). Anita FABIANI. <strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong><br />

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Aldonza Lorenzo, si accompagna a una scelta onomastica che si preannuncia<br />

difficile, giacché il nome da trovare deve essere músico y peregrino y significativo<br />

(<strong>Cervantes</strong>, 1982: 39). Conosciute sono al riguardo le tesi di Rafael Lapesa<br />

ed Hermann Iventosch, l’una volta a dimostrare attraverso lo studio delle<br />

etimologie la simmetrica corrispondenza semantico-melliflua tra i nomi<br />

Aldonza e <strong>Dulcinea</strong> (Lapesa, 1982: 217) l’altra, invece, ad attestare l’origine<br />

pastorile e la natura ancora una volta melliflua del nome <strong>Dulcinea</strong>. Ambedue<br />

gli studiosi ricordano i Dieci libri di Fortuna d’Amore di Antonio Lo Frasso,<br />

opera nella quale ritroviamo un pastore che risponde al nome di Dulcineo<br />

ma, tanto Lapesa quanto Iventosch, attraverso articolate congetture, concordano<br />

poi nell’escludere una diretta derivazione onomastica dal personaggio<br />

lofrassiano.<br />

Eppure, nonostante le argomentazioni dei due autorevoli ispanisti, mi<br />

chiedo se non sia invece da ipotizzare una ripresa del Dulcineo lofrassiano<br />

che avrebbe consentito a <strong>Cervantes</strong> sulla falsariga del richiamo intertestuale<br />

di realizzare, cambiando soltanto la terminazione di genere, una onomastica<br />

concordantia oppositorum ‘Dulcineo/<strong>Dulcinea</strong>’ che anticipasse l’avvento nel<br />

testo del nuovo androgino e, al tempo stesso, risultasse peregrino y significativo.<br />

Se, come indica Fray Luis de León, il nome deve contenere “en su significación<br />

algo de lo mismo que la cosa nombrada contiene en su esencia” (León,<br />

1950: 72), allora ‘<strong>Dulcinea</strong>’, in base all’ipotesi fatta, risulta essere nome effettivamente<br />

peregrino, inusuale, per il principio ierogamico che racchiude,<br />

così come significativo per i reconditi rimandi che coagula attorno a sé, essendo<br />

peregrina l’essenza stessa che nomina.<br />

Aggiunge credibilità a quest’ipotesi il ritratto che don Quijote nel tredicesimo<br />

capitolo della prima parte ci consegna:<br />

68<br />

Anita Fabiani<br />

Yo [...] sólo sé decir, [...], que su nombre es <strong>Dulcinea</strong>; su patria, el Toboso [...];<br />

su calidad, por lo menos, ha de ser de princesa, pues es reina y señora mía; su hermosura,<br />

sobrehumana, pues en ella se vienen a hacer verdaderos todos los imposibles<br />

y quiméricos atributos de belleza que los poetas dan a sus damas. (<strong>Cervantes</strong>,<br />

1982: 131)<br />

Del celeberrimo passo mi interessa sottolineare, soprattutto, l’uso dell’aggettivo<br />

quiméricos riferito agli attributi di bellezza utilizzati in poesia. È stato<br />

più volte segnalato che in questo capitolo si offre al lettore un ritratto poetico<br />

e, per quelle relazioni interne fissate nel testo cervantino, ‘chimerico’<br />

della ‘donna ideale’, un ritratto del tutto conforme ai dettami dell’estetica del<br />

tempo, un ritratto nel quale si vanno organizzando, in una sequenza canonicamente<br />

fissa e parodicamente riproposta, usurati materiali petrarchisti<br />

(Stern, 1984: 64ss.). Ma questa, a ben vedere, è solo una delle possibili letture<br />

e non preclude la possibilità di addivenire ad altri piani di senso. La prima<br />

AISPI. Actas XXIII (2005). Anita FABIANI. <strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong>


<strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong><br />

e la terza accezione del lemma ‘<strong>chimera</strong>’ registrate nella prima edizione del<br />

Diccionario de Autoridades ma, stranamente, non nelle successive, aprono di<br />

fatto insolite possibilità semantiche che avviano a nuove significazioni il derivato<br />

aggettivale ‘chimerico’. Chimera, stando all’autorevole dizionario, è una<br />

“ficción, engaño, agregado, o conjunto de cosas opuestas” e metaforicamente<br />

“se toma por la representación, o imaginación, de alguna, o muchas cosas<br />

juntas, que en la realidad son imposibles, y se le proponen al entendimiento<br />

como posibles o verdaderas”. A queste stesse accezioni sembra rimandare<br />

Antonio Palomino de Castro y Velasco nel Museo pictórico y escala óptica (1715-<br />

24) nel quale egli teorizza il ‘disegno intenzionale o chimerico’, che solo esiste<br />

nell’intelletto poiché tutto “lo interno del dibuxo son actos intelectivos, como<br />

especie impresa, idea, concepto formal, verbo, ente de razón, y causa exemplar”<br />

(Egido, 2004: 64).<br />

Non credo che <strong>Cervantes</strong>, nell’assegnare un corpo all’essenza <strong>Dulcinea</strong>,<br />

in modo da poterla mostrar a los que la quisiesen ver, volesse soltanto confezionare<br />

un medaglione di maniera. A mio parere egli ha invece giocato da una<br />

parte con quanto la semantica, tra le righe, recuperava dal mito e, dall’altra,<br />

in anticipo sulle tesi palominiane, con le soluzioni che l’emblematica poteva<br />

offrire. <strong>Dulcinea</strong> è, in quanto creatura <strong>androgina</strong>, un conjunto de cosas opuestas,<br />

una ‘<strong>chimera</strong>’ cambiata di segno la cui rappresentazione ed esibizione è<br />

possibile a patto che la sua imago venga racchiusa in linee ‘intenzionali’. La<br />

percezione e fruizione sensoriale non solo della bellezza chimerica di <strong>Dulcinea</strong><br />

ma anche dell’Ente totale che essa è, deve essere completamente affidata<br />

all’intelletto (Rubio, 2005: 532), restituita al Logos, unico luogo ove la regina<br />

del Toboso, a differenza di Aldonza Lorenzo, può e deve esistere.<br />

Altri hanno tentato di far esistere lontano dal Toboso goffe chimere<br />

androgine ma bardandole con le vesti posticce dell’ermafrodita, come Lugo<br />

y Dávila, o trafficando maldestramente con le loro anatomie certe, come<br />

Vélez de Guevara ne Los hijos de la Barbuda, ne hanno esaurito irrimediabilmente<br />

ogni contenuto simbolico. <strong>Cervantes</strong>, invece, ha scelto la via più difficile,<br />

barocca negli esiti e rinascimentale nei presupposti, per creare Aldonza<br />

Lorenzo e <strong>Dulcinea</strong> del Toboso, personaggi evocatori di un ficiniano sogno<br />

di perfezione che non è solo del cavaliere Quijote ma anche dello scrittore il<br />

quale, come la sua creatura, sembra vagheggiare il ritorno a una dichosa edad<br />

y siglos dichosos a quien los antiguos pusieron el nombre de dorados.<br />

AISPI. Actas XXIII (2005). Anita FABIANI. <strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong><br />

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de Gaspar Muñoz, Mss/12179, ff. 224r.-226r.<br />

AISPI. Actas XXIII (2005). Anita FABIANI. <strong>Dulcinea</strong> <strong>chimera</strong> <strong>androgina</strong><br />

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