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Rina Scalise

«Favorite!». Se un ospite, parente, amico, conoscente o anche uno sconosciuto in cerca d’aiuto bussava alla porta, qualunque fossero l’ora e le possibilità della famiglia, una tovaglia si stendeva sulla tavola. Più che un’abitudine, era un consolidato slancio dell’anima. Faceva parte della migliore tradizione contadina calabrese onorare chi varcava la soglia della propria casa, condividendo con lui il pane caldo, l’olio più fino, le melanzane sottaceto, i pomodori seccati al sole, le olive ammaccate, i capicolli e i pecorini, mentre già si accendeva il fuoco per approntare “qualcosa di caldo”.

«Favorite!». Se un ospite, parente, amico, conoscente o anche uno
sconosciuto in cerca d’aiuto bussava alla porta, qualunque fossero l’ora e
le possibilità della famiglia, una tovaglia si stendeva sulla tavola.
Più che un’abitudine, era un consolidato slancio dell’anima. Faceva
parte della migliore tradizione contadina calabrese onorare chi varcava
la soglia della propria casa, condividendo con lui il pane caldo, l’olio più
fino, le melanzane sottaceto, i pomodori seccati al sole, le olive ammaccate,
i capicolli e i pecorini, mentre già si accendeva il fuoco per approntare
“qualcosa di caldo”.

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Cavatelli<br />

Disporre a fontana la farina, incorporando<br />

le uova e aggiungere a poco a poco<br />

una tazzina d’acqua bollente e salata. Lavorare<br />

a lungo fino ad ottenere un impasto<br />

omogeneo piuttosto duro e coprire con uno<br />

strofinaccio. Far riposare una mezz’ora. Riprendere<br />

l’impasto e continuare a lavorare,<br />

allungandolo un poco per volta per poi ricavarne<br />

dei cilindretti di ca 2/3 cm di diametro<br />

con l’auto di un coltello oppure della spatola<br />

(“rasùla”) che di solito si usava per raschia-<br />

“O luna, luna, jettami, nu piattu i cavadieddi,<br />

jettamili ccu assai casu, si’ no ti rumpu lu grattacusu!”<br />

(O luna, luna, buttami un piatto di cavatelli,<br />

buttameli con tanto formaggio, altrimenti ti rompo la grattugia!)<br />

Ingredienti:<br />

500 g farina di grano duro,<br />

due uova (facoltative),<br />

un pizzico di sale,<br />

acqua q.b.<br />

re la madia. Con la pressione dell’indice e del<br />

dito medio affiancati schiacciarli, trascinandoli<br />

un po’ sulla spianatoia (“jastiere”, “grastieri”,<br />

“tavulieri”, ecc.). Lasciare riposare<br />

per qualche ora e poi lessare in abbondante<br />

acqua salata, aggiungendo un filino d’olio<br />

(“’na crucia”), per non fare attaccare fra loro<br />

i maccheroni. Di solito condisco questi cavatelli<br />

con un sugo di pomodoro e carne trita e<br />

abbondo con della ricotta salata grattugiata<br />

al momento.<br />

Ma la mia attenzione è andata ad un altro formato di pasta ripiena, che –<br />

però – non tutti usano o… non usano più. Sono i cosiddetti “cappieddi du prieviti”...<br />

sono sicura che tantissimi lettori non conoscevano affatto questo formato<br />

di pasta!<br />

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