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invasori<br />
Mosaico<br />
di tradizioni<br />
Alcune delle<br />
tante eredità<br />
che i popoli<br />
che hanno<br />
attraversato<br />
la nostra<br />
penisola ci<br />
hanno lasciato:<br />
lo yogurt,<br />
molte parole,<br />
la pasta, i nani<br />
delle fiabe,<br />
gli agrumeti,<br />
i pistacchi.<br />
eredità<br />
I regali dei barbari<br />
Le grandi invasioni<br />
ci hanno lasciato<br />
in eredità più<br />
cose di quante<br />
ne distrussero<br />
“ Alfonso, guardia<br />
d’albergo, spaccò<br />
il ricco elmo di<br />
Ferdinando, che<br />
gridò: tregua!”. Non chiedetevi<br />
che senso ha una<br />
frase così: immaginate che<br />
sia il finale di una fiaba, o di<br />
un poemetto cavalleresco. Ponetevi<br />
invece un’altra domanda: in che<br />
lingua è scritta? Risposta: in ostrogoto,<br />
magari corretto con un po’ di longobardo<br />
e addolcito dal tempo. Infatti, salvo i<br />
monosillabi, tutte (ma proprio tutte) le<br />
parole di questa frase arrivano in diretta<br />
dalle invasioni barbariche; tanto che<br />
se un goto di 1.500 anni fa rivivesse oggi,<br />
forse le capirebbe.<br />
Contaminazioni. Si fa presto a dire<br />
che l’italiano è una lingua neolatina. È<br />
vero, ma solo in parte: infatti almeno un<br />
quarto dei vocaboli usati abitualmente<br />
in Italia sono di origine germanica. Idem<br />
in Francia e in Spagna. A portarli furono<br />
appunto i barbari: da noi soprattutto gli<br />
Ostrogoti, in Spagna i Visigoti (entrambi<br />
di origine svedese, v. articolo<br />
a pag. 58); in Francia i Burgundi<br />
e i Franchi, che non<br />
erano affatto “francesi” ma<br />
“tedeschi” del Basso Reno.<br />
Dunque l’italiano non è solo<br />
una lingua neolatina, ma paradossalmente<br />
anche neoscandinava.<br />
La frase di cui sopra lo dimostra:<br />
“guardia” deriva da vardia, “ricco” da<br />
reicks, “elmo” da hilms, “gridare” da<br />
greitan, “tregua” da triggva, “albergo”<br />
da heribergi, “spaccare” da spaken. Le<br />
ultime due parole sono genericamente<br />
germaniche, le prime cinque gotiche<br />
doc, cioè svedesi. Idem i nomi Alfonso<br />
e Ferdinando, che significano “Nobile<br />
valoroso” e “Coraggioso nell’assicurare<br />
la pace”. Se fossimo neolatini e basta,<br />
la frase sarebbe suonata diversa: “Tizio,<br />
custode d’ospizio, fendette l’opulenta<br />
galea di Caio, che clamò: induzie!”. Nessuno<br />
capirebbe.<br />
75
Senza di loro oggi nessuno si chiamerebbe Aldo o Enrico e lo spagnolo non sarebbe più simile all’italiano del francese<br />
Parlata mista. L’eredità più vistosa<br />
che ci ha lasciato il periodo delle grandi<br />
invasioni (V-IX secolo) è proprio la nostra<br />
lingua: essenzialmente un cocktail<br />
di latino e ostrogoto, condito con qualche<br />
parola greco-bizantina o ebraica; insomma,<br />
uno specchio del quadro etnico<br />
che aveva l’Italia di Teodorico (re dal<br />
493 al 526). Certo, l’italiano acquistò dignità<br />
letteraria molto più tardi: la prima<br />
poesia in “volgare” fu scritta a Palermo<br />
da Cielo d’Alcamo nel 1240 circa.<br />
Ma il nuovo idioma meticcio cominciò<br />
senz’altro a circolare 750 anni prima,<br />
quando Latini e Goti divennero un solo<br />
popolo.<br />
La controprova è semplice: la lingua<br />
più simile alla nostra è certamente lo<br />
spagnolo, benché sia parlato in un’area<br />
a noi non vicinissima. Invece il francese,<br />
lingua neolatina di un Paese confinante,<br />
ha più differenze. A prima vista il fenomeno<br />
è strano. Ma tutto diventa chiaro<br />
se si postula che le tre lingue si siano formate<br />
all’inizio del VI secolo, quando in<br />
Italia e in Spagna dominavano Ostrogoti<br />
e Visigoti, tribù sorelle e separate dello<br />
stesso popolo, mentre in Francia prevalevano<br />
i Franchi, che dei Goti erano solo<br />
cugini di quarto grado.<br />
Dimmi il tuo nome... Un altro indizio<br />
si può trovare con un giochetto. Prendete<br />
10 uomini a caso, fatevi dire i loro nomi<br />
e trovatene la provenienza. Risultato<br />
inevitabile: 4 nomi deriveranno dal latino,<br />
2-3 avranno origine germanica e almeno<br />
altri 2 saranno greci o ebraici. Il<br />
campione riflette un fenomeno generale:<br />
infatti fra i 300 nomi maschili più<br />
diffusi in Italia, 115 sono di origine latina,<br />
78 germanica e 52 greca. Esempi del<br />
primo tipo: Marco, Massimo, Paolo. Del<br />
secondo: Aldo, Enrico, Federico. Del<br />
terzo: Alessandro, Angelo, Giorgio. In-<br />
somma, nell’Italia di oggi, 245 nomi su<br />
300 (pari all’82,7% del totale) disegnano<br />
ancora la mappa etnica che la Penisola<br />
aveva nel VI secolo. Tanto basta per capire<br />
quanto la nostra lingua sia figlia dei<br />
tempi di Teodorico più che di quelli di<br />
Dante, Petrarca e Cielo d’Alcamo.<br />
Andate a Romanengo. Si potrebbe<br />
obiettare che i nomi germanici non so-<br />
no necessariamente ostrogoti: senz’altro<br />
lo è Gustavo (da Göt-stafr, “Difesa dei<br />
Goti”); ma gli altri, in teoria, potrebbero<br />
essere arrivati con popoli nordici precedenti<br />
(Vandali) o successivi (Longobardi).<br />
È vero: il nostro giochetto è solo<br />
orientativo. Va detto però che gli invasori<br />
non furono tutti uguali. Ci fu chi<br />
venne, predò e ripartì (v. articolo a pag.<br />
Scritta in<br />
bell’italiano<br />
Un’edizione<br />
trecentesca della<br />
Divina Commedia<br />
di Dante Alighieri<br />
(1265-1321).<br />
Sintesi di stili<br />
Il lucente chiostro del Duomo<br />
di Monreale (Pa), splendido<br />
esempio d’arte arabo-normanna.<br />
66) e chi invece rimase e diventò italiano.<br />
I Vandali (come poi gli asiatici Unni)<br />
furono protagonisti di un effimero<br />
mordi-e-fuggi. Al contrario i Longobardi<br />
fecero come gli Ostrogoti: rimasero.<br />
Ma, forse perché più grezzi dei “cugini”,<br />
stentarono a integrarsi e vissero a lungo<br />
in comunità a sé, distinte da quelle degli<br />
indigeni latini: i villaggi-ghetto in cui<br />
si arroccarono 14 secoli fa sono tuttora<br />
facilmente riconoscibili dalla desinenza<br />
in -engo. La Lombardia (ex “Longobardia”<br />
non a caso) trabocca di esempi:<br />
Romanengo, Vidalengo, Ticengo, Offanengo<br />
e così via. Ovvio che una convivenza<br />
di questo tipo, stile apartheid, influì<br />
molto sui toponimi, meno sulla lingua<br />
parlata.<br />
Toga da sera. L’eredità dei barbari,<br />
però, non è solo linguistica. Il periodo<br />
delle grandi invasioni fa tuttora sentire i<br />
suoi effetti nei campi più svariati: cibo e<br />
abbigliamento, fiabe e diritto, arte e ip-<br />
pica. L’eredità più vistosa è nell’abbigliamento:<br />
oggi nessuno andrebbe a una<br />
cena di gala in toga; eppure fino all’arrivo<br />
dei barbari i pantaloni erano ritenuti<br />
un capo da buzzurri transalpini, roba<br />
da Celti o Germani. Chi li abbia fatti<br />
diventare trendy non è chiaro: ma quel<br />
Versace d’epoca visse di sicuro nell’Alto<br />
Medioevo.<br />
Poco chiaro è anche chi portò in Italia<br />
lo yogurt. Che comunque venne certamente<br />
dall’Asia: forse furono gli Unni,<br />
o i Bulgari. O magari gli Àvari, che<br />
nel 610 calarono dalle Alpi Orientali nel<br />
Friuli, introducendo anche dalle nostre<br />
parti le staffe, nuova “tecnologia equestre”<br />
che l’Europa ignorava. Dal nord,<br />
forse al seguito di Goti e Longobardi,<br />
arrivarono invece i nanetti (in origine<br />
nissen) protagonisti di mille fiabe; prima<br />
dei barbari, le favole latine erano<br />
popolate solo di animali, vedi il lupo e<br />
l’agnello di Fedro.<br />
invasori<br />
Incontro<br />
di forme<br />
Il Mausoleo<br />
di Teodorico,<br />
a Ravenna,<br />
combina uso<br />
romano della<br />
pietra e forme<br />
barbariche.<br />
Dagli invasori nordici, oltre agli gnomi,<br />
ci derivano anche certi principi giuridici.<br />
Le raccolte di leggi d’epoca barbara<br />
furono principalmente due: l’Editto<br />
di Teodorico e quello del longobardo<br />
Rotari, promulgati rispettivamente verso<br />
il 500 e nel 643. Ebbene: per quanto<br />
la mentalità corrente consideri Roma<br />
la prima se non l’unica culla del diritto,<br />
certe idee-guida tuttora vigenti furono<br />
fissate allora. Un esempio: l’Editto<br />
di Rotari, articolo 144, introdusse il principio<br />
della responsabilità civile delle imprese<br />
edili in caso di crolli.<br />
A tavola. Un capitolo a parte, anzi<br />
un’enciclopedia, meriterebbe poi l’eredità<br />
di certi invasori del Sud Italia (v. articolo<br />
a pag. 66) che non vengono mai<br />
abbinati ai barbari anche se arrivarono<br />
nella stessa fase storica. Ci riferiamo agli<br />
Arabi, che sbarcarono in Sicilia nell’827.<br />
Solo limitandoci al cibo, a quei nostri vicini<br />
d’oltremare dobbiamo i pistacchi,<br />
(continua a pag. 80)<br />
77
Se volessimo rinunciare ai loro lasciti, dovremmo eliminare la pastasciutta e indossare la toga al posto dei pantaloni<br />
L’arte barbarica ha svestito e crocifisso Gesù<br />
eredità dei barbari L’ ha influito molto<br />
anche sull’iconografia<br />
religiosa. Oggi nell’Occidente<br />
cristiano l’immagine<br />
corrente di Gesù<br />
è quella del crocifisso,<br />
in cui si sono esercitati<br />
geneTICA<br />
Le genti che<br />
hanno popolato<br />
l’Italia nei<br />
secoli ci hanno<br />
trasmesso<br />
non solo arte<br />
e cultura, ma<br />
anche il loro<br />
sangue.<br />
tutti i grandi maestri<br />
della pittura italiana, da<br />
Cimabue in poi. Ma fino<br />
al V secolo non era così:<br />
l’immagine prevalente<br />
era quella del Buon Pastore,<br />
presente fra l’altro<br />
a Ravenna, nel Mauso-<br />
1<br />
leo di Galla Placidia (1),<br />
del 430 circa. Nessuno<br />
si sarebbe azzardato a<br />
dipingere o scolpire un<br />
Cristo seminudo sulla<br />
croce.<br />
Solo uomo. La svolta<br />
venne dopo il 493 con<br />
gli “eretici”<br />
Goti, che<br />
per sottolineare la natura<br />
umana di Gesù lo raffigurarono<br />
in costume<br />
adamitico in un mosaico<br />
del Battistero degli<br />
Ariani a Ravenna (2). Il<br />
“barbaro”<br />
Antèlami (ca.<br />
1150-1230) fu poi autore<br />
di una delle prime<br />
crocifissioni, scolpita nel<br />
Duomo di Parma (3).<br />
Da allora in poi il crocifisso,<br />
più o meno sve-<br />
Aspetto fisico e cromosomi: quelle eredità che ci vengono dal sesso<br />
Biondi, mori, alti e longilinei<br />
oppure bassi e tracagnotti:<br />
di italiani ce n’è davvero<br />
per tutti i gusti. Ma se oggi<br />
siamo quello che siamo, è solo<br />
grazie alle genti che in passato<br />
hanno frequentato la nostra<br />
penisola, fin dalla preistoria.<br />
È però quasi 30 mila anni<br />
fa che la base genetica<br />
dell’Italia moderna ha<br />
cominciato a definirsi:<br />
gruppi<br />
di uomini provenienti dal Medioriente<br />
e dall’Europa cominciarono<br />
a susseguirsi sul territorio<br />
italiano fino al XII secolo<br />
a. C.<br />
esotici. Dai Greci ai<br />
Normanni, i popoli arrivatisuccessivamente<br />
aggiunsero agli Italici<br />
solo quel pizzico<br />
di esotico in più. E<br />
in effetti certe somiglianze,<br />
tra<br />
antichi e moderni, non sono<br />
casuali. «Longobardi e Goti<br />
erano troppo poco numerosi<br />
per poter influire geneticamente<br />
sulla popolazione italianapreesistente.<br />
Ma tutti gli<br />
altri popoli<br />
giunti in varie<br />
epoche<br />
dal bacino<br />
del Mediterraneo<br />
Discendenze diverse<br />
Questo gruppo di bambini<br />
rende bene la varietà<br />
somatica degli italiani.<br />
2<br />
3<br />
stito, diventò abituale:<br />
uno dei nude-look più<br />
arditi fu quello, oggi<br />
conservato a Napoli al<br />
Museo di Capodimonte,<br />
di Roberto d’Oderisio<br />
(4), del 1330 circa,<br />
dove Gesù indossa solo<br />
e dal Nord Europa ci hanno<br />
lasciato un’eredità fisica, più<br />
o meno forte» dice Francesco<br />
Mallegni, docente di Antropologia<br />
fisica all’Università di<br />
Pisa. Parte di questa eredità è<br />
visibile sia nelle fattezze che<br />
nel patrimonio genetico degli<br />
italiani attuali: i sardi moderni,<br />
per esempio, discendono<br />
da una popolazione giunta<br />
dalla Spagna circa 13 mila anni<br />
fa. I capelli e gli occhi neri,<br />
la carnagione scura, ma anche<br />
alcune specifiche caratteristiche<br />
genetiche, non lasciano<br />
dubbi sui loro avi.<br />
Facce da Illiri. Anche<br />
emiliani e romagnoli devono<br />
il cranio alto, la nuca un<br />
po’ piatta, il naso e le orecchie<br />
piuttosto allungate ai loro<br />
progenitori, gli Illiri giunti<br />
dalla ex Iugoslavia tra IV e<br />
VIII secolo d. C. Con loro ebbero<br />
a che fare pure lombar-<br />
un perizoma di velo<br />
trasparente.<br />
Trionfante. Tutt’altra<br />
storia ebbe l’iconografia<br />
religiosa in Oriente, dove<br />
l’influenza barbarica<br />
non si sentì: là l’immagine<br />
corrente di Gesù<br />
non è mai stata<br />
quella del crocifisso,<br />
ma quella<br />
del pantocrator,<br />
un re dall’aria<br />
vincente, spesso<br />
seduto in<br />
trono.<br />
di, piemontesi e toscani: in alcuni<br />
casi il loro aspetto attuale<br />
è frutto proprio dei contatti<br />
avuti all’epoca con le genti<br />
alto-adriatiche.<br />
E nel Sud? I grandi occhi<br />
scuri, il viso ovale, il corpo<br />
longilineo e villoso è l’eredità<br />
che i Greci hanno lasciato in<br />
Puglia e in Calabria. «Spesso<br />
anche gli abitanti della Sicilia<br />
orientale hanno queste caratteristiche<br />
fisiche» continua<br />
Mallegni. «Al centro e a occidente<br />
dell’isola si possono<br />
trovare invece tratti normanni<br />
e nordafricani: da una parte<br />
uomini e donne di statura<br />
elevata, con occhi chiari e capelli<br />
biondi, dall’altra siciliani<br />
di carnagione scura, con occhi<br />
e capelli neri, naso leggermente<br />
lungo e adunco».<br />
Al microscopio. Ma se alcuni<br />
italiani ci hanno guadagnato<br />
un bel profilo greco, c’è<br />
anche chi di queste antiche<br />
mescolanze conserva caratteristiche<br />
invisibili a occhio nudo.<br />
È qui che entrano in gioco<br />
i genetisti, che studiano e<br />
confrontano la frequenza dei<br />
gruppi sanguigni, le proteine<br />
del siero e i piccoli cambiamenti<br />
del Dna che caratterizzano<br />
oggi gli abitanti della Penisola.<br />
Combinando statisticamente<br />
questi dati, gli scienziati<br />
hanno scoperto l’esistenza<br />
di variazioni, tra Nord, Centro<br />
e Sud, nel bagaglio genetico<br />
comune. «Dai nostri studi,<br />
gli italiani risultano geneticamente<br />
molto simili agli antichi<br />
popoli preromani. Ma con<br />
alcune differenze» dice Paolo<br />
Francalacci, docente di Genetica<br />
all’Università di Sassari:<br />
«La variazione individuata<br />
in Liguria e Piemonte corrisponde<br />
all’arrivo in Italia dei<br />
Celto-Liguri. Molto più im-<br />
4<br />
invasori<br />
portante, però, è la componente<br />
genetica che distingue<br />
l’Italia del Sud da quella del<br />
Nord: i meridionali di oggi,<br />
influenzati dalla presenza degli<br />
antichi Elleni, sono molto<br />
più simili ai greci che non ai<br />
loro connazionali».<br />
Origini incerte. In Italia<br />
centrale, invece, i geni mediorientali<br />
rintracciati nel Dna di<br />
alcuni toscani moderni hanno<br />
diviso gli studiosi: per i genetisti<br />
proverrebbero dagli<br />
Etruschi, giunti via mare dalla<br />
Lidia (l’attuale Turchia occidentale);<br />
per gli archeologi,<br />
invece, gli Etruschi sarebbero<br />
un popolo indigeno e a portare<br />
quei geni in Italia sarebbero<br />
state le migliaia di schiavi<br />
importati dal Medio Oriente<br />
e impiegati dai Romani nelle<br />
fertili campagne del versante<br />
tirrenico. ■<br />
Maria Leonarda Leone<br />
79
invasori<br />
Persino i Vandali<br />
ci hanno lasciato<br />
qualcosa: il loro<br />
nome, senza più<br />
la “V” maiuscola<br />
gli spaghetti e in qualche modo anche<br />
gli agrumi. Precisiamo: arance e limoni<br />
erano già noti ai Romani, ma fu in epoca<br />
araba che nacquero i grandi agrumeti<br />
palermitani.<br />
I pistacchi, invece, furono praticamente<br />
una novità assoluta: i nuovi venuti<br />
presero quegli alberelli in Medio Oriente<br />
e li trapiantarono sul versante occidentale<br />
dell’Etna; tuttora le uniche piantagioni<br />
italiane della specie sono a Bronte<br />
(Ct). Un viaggio analogo, ma molto<br />
più lungo, fecero gli spaghetti, probabilmente<br />
inventati in Cina già nella preistoria<br />
e poi certamente introdotti in Italia<br />
dai musulmani a Palermo, dove la loro<br />
presenza è provata almeno dal X secolo,<br />
grazie alla citazione di un cuoco<br />
dell’epoca, Martino Corno.<br />
Minor fortuna della pastasciutta ebbe<br />
l’arte araba. Che ci fu, ma non è giunta<br />
fino a noi perché fu cancellata come una<br />
vergogna dagli Angioini nel ’200. Per<br />
fortuna, in precedenza, appena dopo la<br />
riconquista cristiana della Sicilia (1091),<br />
i Normanni avevano “riciclato” molti architetti<br />
musulmani per costruire<br />
chiese ed edifici<br />
civili. Così, quando<br />
la furia angioina si scatenò,<br />
certe opere arabe<br />
sopravvissero sotto<br />
mentite spoglie. Due<br />
esempi sono la Zisa e<br />
la Cuba di Palermo,<br />
capolavori di un tipico<br />
stile detto appunto<br />
arabo-normanno.<br />
Disprezzati. E al<br />
Nord? Lì gli invasori<br />
hanno lasciato<br />
tracce artistiche più<br />
abbondanti, ma anch’esse“mascherate”<br />
come al Sud. Per<br />
paradosso, lo stile<br />
che chiamiamo gotico<br />
non c’entra nulla<br />
con i Goti: in-<br />
80<br />
e guai a<br />
chi sgarra<br />
Il re longobardo<br />
Rotari (606-652),<br />
promulgatore<br />
di un codice di<br />
leggi (editto)<br />
che porta il<br />
suo nome.<br />
fatti nacque in Francia quando il popolo<br />
di Teodorico era già sparito come tale<br />
da 600 anni. E all’inizio non si chiamava<br />
neppure così, ma “francigeno”: l’aggettivo<br />
“gotico”, ritenuto spregiativo, gli fu<br />
appiccicato solo nel Rinascimento. Per<br />
un altro paradosso, la vera arte gotica è,<br />
almeno in parte, quella che noi chiamiamo<br />
bizantina e romanica.<br />
Un buon posto per capire il secondo<br />
paradosso è Ravenna. La città conta otto<br />
monumenti tutelati dall’Unesco come<br />
patrimonio dell’umanità, quasi tutti<br />
decorati da famosissimi mosaici “bizantini”.<br />
Ebbene: quattro degli otto monu-<br />
Venditori orientali<br />
di yogurt e verdure.<br />
menti-capolavoro (Mausoleo di Teodorico,<br />
Battistero degli Ariani, Sant’Apollinare<br />
Nuovo e Cappella di Sant’Andrea)<br />
furono creati quando Ravenna<br />
non era affatto una colonia di Bisanzio,<br />
ma la capitale ostrogota. Orientali erano<br />
le tecniche usate, ma il messaggio culturale<br />
retrostante era nettamente barbaro.<br />
Prendete il Mausoleo di Teodorico:<br />
è costruito in pietra, come i monumenti<br />
classici di Roma, ma il suo design riproduce<br />
le tipiche tende circolari dei Goti.<br />
Oppure guardate il soffitto del Battistero<br />
degli Ariani: utilizza una tecnica<br />
bizantina (il mosaico) per rappresentare<br />
il battesimo di Cristo come un cristiano-greco<br />
non avrebbe mai fatto. Infatti<br />
Gesù è completamente nudo, genitali<br />
compresi, a sottolineare la sua natura<br />
di uomo (non uomo-dio) in linea con<br />
i principi dell’eresia ariana, di cui i<br />
Goti erano convinti alfieri. Prima<br />
dei barbari una simile iconografia<br />
religiosa sarebbe stata ritenuta<br />
blasfema. Lo sarebbero stati anche<br />
i crocefissi seminudi che dai barbari<br />
in poi (non prima!) diventarono<br />
abituali nelle chiese d’Occidente (v.<br />
riquadro a pag. 78). Dove, nel periodo<br />
che noi impropriamente chiamiamo<br />
romanico, lavorarono molti artisti di origine<br />
barbara. Tanto che i due più grandi<br />
maestri della scultura italiana dell’epoca,<br />
autori delle decorazioni del Duomo<br />
di Parma e di quello di Modena, si chiamavano<br />
Antèlami e Wiligelmo: nomi<br />
chiaramente germanici. ❏<br />
Nino Gorio