Seconda guerra mondiale: al largo dell'Eritrea l'Italia perse ... - Focus

Storia
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Seconda guerra mondiale: al largo dell’Eritrea l’Italia perse (con valore) decine di navi, ma poche finirono al nemico
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La flotta in trappola
Ma la “Mazzini”
non è bruciata...
E
Primo: non
arrendersi
I capitani e gli
ufficiali non si
arresero se non
dopo avere
autoaffondato
le loro navi.
Nel disegno,
l’attacco aereo
del 2 aprile
1941 alla nave
passeggeri
Giuseppe
Mazzini. La
nave affondò
dopo diverse
esplosioni
rilevate a
poppa.
legante come il Titanic, la
Giuseppe Mazzini era un
piroscafo passeggeri con una
stazza di 7.669 tonnellate.
Costruita nel 1926 dalla
Società Anonima di
navigazione Lloyd Triestino,
fu colpita e affondata durante
un’incursione aerea il 2 aprile
1941 nelle acque del Ghubbet
(Mar Rosso).
■ Al fuoco! La nave fu
rintracciata nel 1946, a circa
50 metri di profondità: ma
l’ispezione non fu effettuata,
perché la si riteneva del tutto
distrutta dalle fiamme.
Data per demolita nel 1951,
è ancora in fondo al mare.
Un’immagine della Giuseppe
Mazzini in navigazione.

I nostri inviati hanno ritrovato la nave passeggeri Nazario Sauro e le altre navi della flotta “suicida” del Mar Rosso
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Totem
sommerso
La Nazario
Sauro, nave
passeggeri da
8.150 t, aveva
un sistema di
ventilazione
interna. Nella
foto, una
grande manica
a vento.
Armadio
per stoviglie
Tutto sommato
ancora in ordine
le stoviglie. Non
servivano certo
all’equipaggio
che autoaffondò
la nave,
destinato alla
prigionia.
Ma l’elica
non c’è più
Uno dei sub nel
sottoponte
della Nazario
Sauro. Le sue
grandi eliche di
bronzo vennero
recuperate nel
dopoguerra per
il loro valore
commerciale.
L’obelisco
ritrovato
Dal “bosco” di
gorgonie
spunta l’albero
di prua. La nave
venne costruita
a Trieste
nel 1924 dalla
Società di
navigazione
Lloyd Triestino.
Non ha perso
la bussola
Ecco, fra le
gorgonie a
frusta, una
bussola con
ancora intatta
la rosa dei
venti. Il ponte
di comando è
invece andato
distrutto.
Nascondiglio violato
ll rifugio (a
lato) delle
navi italiane
nella baia
interna di
un’isola delle
Dahlak.
Un errore di Mussolini causò il sacrificio
di molte navi civili e da guerra. E
un’altra prova di coraggio della Marina.
« Dalle ore 00:00 del giorno
11 giugno l’Italia è in
guerra con Francia e
Inghilterra – stop – Navi
mercantili nazionali all’estero
dirigano subito porto nazionale o
neutrale – stop – Capitani affondino
navi, quando necessario, per evitare
cattura – stop». Era il 10 giugno
del 1940 e questo avviso ai naviganti
partiva da Supermarina
(l’organo centrale operativo della
marina militare italiana durante la
Seconda guerra mondiale). Mussolini
però era incorso nello stesso
errore di Hitler: non avvertire con
largo anticipo della dichiarazione
di guerra le unità navali nazionali,
per dar loro il tempo di riparare
in acque sicure. Per un errore di
questo tipo i tedeschi persero circa
metà delle loro navi che, nell’agosto
del 1939, all’inizio cioè del conflitto,
si trovavano in acque sfavorevoli.
Furono colpite a “morte”,
catturate, o autoaffondate perché
non cadessero in mano al nemico.
Per l’Italia, che al momento del
Tutto perduto
ma non l’onore
P
otevano arrendersi subito,
sperando in un campo di
prigionia non dei peggiori, ma
il tenente di vascello Ferrario
e il guardiamarina Valenza
saltarono su due vecchi
motoscafi siluranti della Prima
guerra mondiale e attaccarono.
Massaua stava ormai
per cadere in mano britannica.
E loro lo colpirono
quell’incrociatore, il
Capetown. Poi autoaffondarono
le due “carrette”. «Gesti
del genere venivano dal senso
dell’onore dei nostri marinai,
legati a tradizioni vittoriose»
dice lo storico Pietro Faggioli,
che ha ricostruito l’episodio.
La nave passeggeri Nazario
Sauro, autoaffondata nel 1941.
dispaccio aveva decine di navi nel
Mar Rosso, in vicinanza cioè delle
colonie dell’Africa orientale (Eritrea,
Somalia italiana, Etiopia), fu
una delle vicende peggiori, ma allo
stesso tempo più eroiche, della Seconda
guerra mondiale. Le navi si
trovarono in trappola, dato che le
vie di uscita dal Mar Rosso – Canale
di Suez, a nord, e passaggio
di Bab el Mandeb, a sud – erano
controllate dagli inglesi. Questi
bloccavano anche l’accesso al Mediterraneo
attraverso lo stretto di
Gibilterra. Le navi passeggeri e
mercantili italiane non potevano
insomma tornare a casa. Quelle
militari erano tagliate fuori, non
potendo più ricevere rifornimenti
dalla madre patria. Risultato: tentate
fughe, bombe, siluri.Alla fine,
un cimitero sommerso che dopo
più di 60 anni Focus ha rivisitato
con l’aiuto di uno storico, Pietro
Faggioli, e di un fotografo subacqueo,Andrea
Ghisotti. Ma la mattanza
di navi fu davvero la conseguenza
di un errore?
● Guerre lampo o patacche?
«Oggi sappiamo, da documenti
ufficiali, che Mussolini sbagliò non
per incuria, ma per precise ragioni
tattiche» spiega lo storico della
marina Pietro Faggioli. «Il Duce
era convinto che sarebbe stata una
guerra lampo: le navi italiane dovevano
essere sacrificate per evitare
che gli inglesi capissero che
l’Italia stava per entrare in guerra
e garantire l’effetto sorpresa».
Fatto sta che, dopo mesi di guerra
non combattuta, gli italiani cercarono
di forzare il blocco.
I primi a entrare in azione furono
i sommergibili, ma incidenti
tecnici (l’uscita di cloruro di metile
dagli impianti di refrigerazione
a bordo) provocarono morti e
gravi intossicazioni fra gli equipaggi
del Perla e del Macallè. E
anche il sommergibile Archimede
finì fuori uso per lo stesso problema.
Il Galilei venne invece attaccato
con bombe di profondità, fu
costretto a riemergere e l’equipaggio
fu catturato.
Gli inglesi s’impossessarono anche
dei codici di comunicazione.
Li decifrarono e segnalarono ai loro
comandi di Porto Sudan e di
Aden l’esatta posizione degli altri
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▲

▲
Servizi
di prima
Ricostruzione
di un bagno di
I classe nel
piroscafo G.
Mazzini, come
risulta dai
documenti di
progettazione.
sommergibili.Verso la fine di giugno
riuscirono così a intercettare i
sommergibili Galvani e Torricelli.
Tuttavia, costretto a riemergere,
il Torricelli oppose resistenza, accettando
una sfida impari, a colpi
di cannone e di mitragliatrice, con
tre cacciatorpediniere e una cannoniera.
Riuscì a danneggiare gravemente
la cannoniera e con un
siluro affondò uno dei tre caccia
inglesi. Il sommergibile italiano
fu poi colpito, ma il comandante
Pelosi, ferito, riuscì a salvare l’equipaggio
e ad autoaffondare il
mezzo. Un’altra sortita fu quella
del 6 settembre, quando il sommergibile
Guglielmotti affondò la
petroliera Atlas.
● Periplo dell’Africa
I sommergibili superstiti italiani
del Mar Rosso (Perla, Ferraris,Archimede
e Guglielmotti) riuscirono
poi ad aggirare il blocco inglese
con l’ordine di raggiungere la base
amica di Bordeaux, sulla costa
francese occupata. Per arrivarci
dovevano effettuare un viaggio di
14 mila km, compiere cioè il peri-
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plo africano senza scalo, un’impresa
molto rischiosa. Ci riuscirono
tutti e quattro.
Approfittando delle notti senza
luna, anche molte unità di superficie
cercarono di aggirare il blocco.
La nave coloniale Eritrea ci riuscì
e raggiunse Kobe, in Giappone
(sopravvisse al conflitto, poi finì
ai francesi in conto danni di guer-
Quando si usava il vasino
Sopra: un particolare del bagno
delle donne nella Nazario Sauro.
A lato: i vasi da notte ritrovati
ancora integri all’interno del relitto.
ra). Approdò in Giappone anche
la Ramb II, motonave da carico
armata (riutilizzata dai giapponesi,
fu poi affondata dagli americani).
● Navi rubate o affondate
Le cose non andarono bene per
la Ramb I: mentre cercava di raggiungere
il Giappone fu affondata
da un incrociatore nemico. «Riuscì
Più di 2 dita di fango
Una delle vasche da bagno
della Giuseppe Mazzini
come appare oggi: si vede
chiaramente la rubinetteria.
I sommergibili fecero una storica impresa di navigazione
La base che perdemmo
Foto d’epoca della base di
Massaua, in Eritrea,
piazzaforte delle colonie
italiane dell’Africa orientale.
invece a fuggire il mercantile Himalaya,
che raggiunse Rio de Janeiro»
racconta Faggioli.
Diverse navi mercantili vennero
catturate. Per esempio il Savoia,
poi ribattezzato, con bandiera britannica,
Empire Arum; o l’Erminia
Mazzella, rinominata Impala; o
il piroscafo passeggeri da 7 mila t
Leonardo da Vinci, trasformato
nel 1943 nella nave ospedale inglese
Empire Clyde. Altre navi
vennero affondate, come il piroscafo
passeggeri Giuseppe Mazzini,
vittima di un’incursione aerea il
2 aprile del 1941. «Lo stesso giorno»
prosegue Faggioli «quando il
crollo delle colonie italiane era imminente,
i nostri cacciatorpediniere
uscirono dal porto di Massaua
per l’ultima disperata azione di
guerra (avevano nafta solo per
l’andata). L’ordine era di attaccare
Port Sudan, base avversaria. Vennero
però accolti da molte incursioni
aeree. Trovarono la strada
sbarrata da due incrociatori e una
portaerei». Il 3 aprile fu affondato
dagli inglesi il Sauro: morirono 78
uomini e 95 vennero salvati. Poi fu
▲

Cadeva la piazzaforte di Massaua: le navi
non si arresero e molte scelsero gli abissi
la volta del Manin: circa 100 morti.
I cacciatorpediniere superstiti
(Battisti, Pantera e Tigre) raggiunsero
la costa saudita e si autoaffondarono.
Quando venne
conquistata dagli inglesi la base di
Massaua, si moltiplicarono i “suicidi”
di navi: le torpediniere Acerbi
e Orsini, le cannoniere Porto
Corsini e Biglieri, il posamine
Ostia e molti piroscafi. Prima della
caduta di Massaua, a causa degli
attacchi aerei alle navi ancorate al
porto, venne l’ordine di Supermarina
di trasferirne un buon numero
nella baia di Ghubbet, presso Dah-
▲
Non proprio
un paradiso
L’isola maggiore
delle Dahlak,
Dahlak Kebir.
Nella sua baia,
nell’aprile del
1941, si
autoaffondarono,
per non finire
agli inglesi, 7
grandi navi e
almeno 7 nostri
rimorchiatori.
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Alpini d’Africa
Massaua: scarico di mezzi
terrestri per gli alpini. Il blocco
inglese impedì i rifornimenti.
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Per mille lire
al mese
Ricostruzione di
una camera da
letto di prima
classe della
Nazario Sauro.
Gli arredi erano
di lusso.
lak Kebir, nelle isole Dahlak.
Quando il nascondiglio fu individuato
dagli inglesi, molte di queste
navi tentarono la fuga o si autoaffondarono.
Per esempio il Giove,
piroscafo cisterna da 5 mila t,
venne autoaffondato il 12 aprile
Sculture
marine
Una delle
camere di
prima classe
sommersa da
60 anni. Si vede
la testata di un
letto di ottone.
del 1941. Il Prometeo, altra nave
cisterna di pari stazza, risulta autoaffondato
giorni prima. Stessa
sorte per la nave da carico Capitan
Bottego e il piroscafo misto Tripolitania.
Oltre a queste navi di grande
stazza risultano autoaffondati
almeno 8 rimorchiatori.Tutti questi
“suicidi” avevano un obiettivo:
dopo che la guerra dei sommergibili
aveva ridotto il naviglio militare
e civile inglese, si doveva evitare
che le nostre navi cadessero
nelle mani del nemico rimpolpando
la sua flotta con semplici cambi
di bandiera.
● L’albero scomparso
Il cimitero delle “navi suicide” è
ancora lì, sotto il mare di Ghubbet,
nelle Dahlak. Ce ne sono 7
1 mare, 2 colli di bottiglia
Con le uscite dal Mar Rosso
bloccate, alcune navi attaccarono,
altre riuscirono a passare a sud.
grandi e 8 più piccole. Alcune risultano
ufficialmente recuperate
dagli inglesi, ma si è trattato solo
del recupero, effettuato da palombari,
di bronzo e di rame per motivi
economici. I loro scheletri sono
ancora sul fondo.Visitatori illustri
di questi relitti, ricoperti di gorgonie
a frusta e popolati dai pesci
delle barriere madreporiche, furono
nel dopoguerra Folco Quilici e
Jacques Cousteau.Venne tracciata
anche una carta basata sulla localizzazione
dell’albero del Nazario
Sauro, che spuntava in superficie. I
due sub inviati da Focus erano in
▲

Comfort
di guerra
Sopra: il
pianoforte
trovato nella
sala della
musica della
Nazario Sauro. A
lato: ventilatore
della nave da
carico Capitan
Bottego,
autoaffondata il
6 aprile 1941.
Le navi sui fondali sono
la testimonianza di un
tragico senso del dovere
possesso di questa carta “segreta”.
«Ma quando siamo arrivati sul posto
l’albero di riferimento non si
vedeva più, probabilmente perché
marcito» racconta Ghisotti. «Abbiamo
dovuto scandagliare la zona
per giorni prima di ritrovare il relitto».
L’area è stata per decenni
off limits, prima a causa di una base
militare russa, poi per un’altra
base etiope. Ottenuti i permessi
necessari e ritrovata la posizione
del Nazario Sauro, Ghisotti e il
compagno di spedizione Riccardo
Melotti sono scesi a 40 metri, sulla
plancia di comando del gigante immobile.
Si sono comportati come
due archeologi subacquei, in cerca
di reperti ben conservati. «Abbiamo
trovato la bussola, con la rosa
dei venti ancora leggibile, il grande
timone. E cercato le grosse eliche».
▲
● Museo sommerso
«Non c’erano più: qualche recuperatore
le deve avere portate via
nel dopoguerra, attratto dal valore
commerciale del bronzo di cui erano
fatte». L’esplorazione degli interni
ha richiesto molte immersioni.
«Lì dentro è rimasto tutto come
nel giorno dell’affondamento»
spiega Ghisotti. «Sapendo di finire
in un campo di prigionia, l’equipaggio
non toccò niente». Come
in un museo sommerso, ai sub è
apparsa la sala da pranzo di prima
classe, con i portacenere da pavi-
mento e le lampade liberty. Poi la
sala della musica, con un pianoforte
a coda, le corde inspessite
dalla ruggine, il portaspartiti al suo
posto e la tastiera caduta nel fango.
E poi le cucine di prima e seconda
classe. Sfilati alcuni piatti, hanno
potuto risalire al produttore: Richard
Ginori, 1937. La lista dei reperti
è lunga: depositi di pentole
di rame, vasi da notte di porcellana
decorati. Bagni da ricchi di prima
classe, con grandi lavandini, rubinetti
impero, ampi specchi e lussuose
vasche da bagno. E servizi
da poveri, di terza classe, con file di
piccoli lavandini. Le cabine di prima,
con letti a testata e grandi ventilatori.
Ma i reperti più interessanti,
dice Ghisotti, sono «l’armadio
delle stoviglie di lusso, con piatti,
coppe, fruttiere, bicchieri e
caraffe di cristallo. E una monumentale
macchina da caffè a sviluppo
verticale, la Rolls Royce dei
barman dell’epoca». Localizzata la
Nazario Sauro, è stato abbastanza
facile con la vecchia mappa trovare
le altre navi, la cui esplorazione
richiederà parecchie immersioni.
Più difficile è stato raggiungere la
Giuseppe Mazzini, altra nave passeggeri
con arredi ancora intatti,
ma dove oggi si muovono gli squali.
Finì a maggiore profondità, e
per questo non venne mai raggiunta
dai sub. ■
Franco Capone

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