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Coordinamento del progetto a cura della S.C. Comunicazione

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<strong>Coordinamento</strong> <strong>del</strong> <strong>progetto</strong> a <strong>cura</strong> <strong>del</strong>la<br />

S.C. <strong>Comunicazione</strong>, U.R.P. e Relazioni Esterne <strong>del</strong>l’ASL TO3<br />

La Carta Etica scaturisce da un percorso<br />

di formazione e di counseling filosofico<br />

progettato, organizzato e condotto<br />

dallo Studio Alberto Peretti<br />

www.albertoperetti.it


<strong>Coordinamento</strong> <strong>del</strong> <strong>progetto</strong> a <strong>cura</strong> <strong>del</strong>la<br />

S.C. <strong>Comunicazione</strong>, U.R.P. e Relazioni Esterne <strong>del</strong>l’ASL TO3<br />

La Carta Etica scaturisce da un percorso<br />

di formazione e di counseling filosofico<br />

progettato, organizzato e condotto<br />

dallo Studio Alberto Peretti<br />

www.albertoperetti.it


Tutte le azioni che facciamo per tutelare la salute e il benessere<br />

<strong>del</strong> cittadino discendono dalla speranza di una vita migliore, di maggiore<br />

qualità e dotata di un senso più profondo. La Carta Etica <strong>del</strong>l’ASL TO3,<br />

realizzata con il contributo formativo di centinaia di operatori <strong>del</strong>l’ASL e<br />

degli Enti Locali <strong>del</strong> territorio, è uno strumento che nasce con l’intento<br />

di “fare insieme salute”.<br />

Un eminente cardiologo mi diceva che una <strong>del</strong>le principali<br />

cause scatenanti le patologie cardiovascolari è legata al non trovare<br />

soddisfazione nel proprio lavoro. Un lavoro eticamente arricchente<br />

e appagante produce quindi salute. Per tutti, operatori e utenti.<br />

Fare salute significa gestire nella maniera più efficace le dinamiche<br />

comunicative; significa non dare per scontate parole o terminologie<br />

tecniche incomprensibili ai non addetti ai lavori; significa, soprattutto,<br />

offrire umanità a chi è nel bisogno o, anche solo a chi necessita di<br />

informazioni. Fare salute vuole dire abbattere quelle barriere di reciproca<br />

incomprensione che talvolta si vengono a creare tra operatori e cittadino,<br />

e sovente tra gli stessi operatori. Il mancato confronto pone un limite<br />

forte alla crescita e al miglioramento dei servizi. La riflessione etica,<br />

fondata sul dialogo e sull’allargamento <strong>del</strong>le reciproche prospettive,<br />

potrà certamente contribuire a migliorare le cose.<br />

La Carta Etica <strong>del</strong>l’ASL TO3 si appresta a promuovere quell’indispensabile<br />

alleanza tra operatori <strong>del</strong>la Sanità e degli Enti Locali in<br />

vista di questo grande <strong>progetto</strong> di salute. Perché abbia successo<br />

occorre però che tutti siano pronti ad quel cambio culturale necessario<br />

per essere protagonisti attivi <strong>del</strong>la crescita e <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong><br />

territorio nel quale viviamo e lavoriamo.<br />

Amalia Neirotti<br />

Presidente ANCI Piemonte


Il percorso di fusione finalizzato alla creazione di un’unica<br />

grande Azienda di norma prevede in prima battuta la definizione degli<br />

strumenti operativi e gestionali atti a governare la nuova macchina<br />

organizzativa. Solo in un secondo momento si sente la necessità<br />

di avviare una riflessione di carattere etico al fine di creare spirito di<br />

appartenenza e motivazioni condivise di lavoro.<br />

Ciò da una parte rischia di determinare la costruzione di meccanismi<br />

organizzativi disancorati da precisi indirizzi di valore ed incoerenti con<br />

la prospettiva etica <strong>del</strong>l’Azienda; dall’altra provoca la non adesione<br />

<strong>del</strong> personale agli indirizzi etici, percepiti come astratti e meramente<br />

giustapposti alla concreta attività lavorativa.<br />

Il <strong>progetto</strong> Carta Etica nasce dalla consapevolezza <strong>del</strong>la centralità<br />

<strong>del</strong>la riflessione etica, sia in vista di traguardi di eccellenza <strong>del</strong>le<br />

prestazioni erogate, sia in una prospettiva di ben essere e di qualità <strong>del</strong>la<br />

nostra vita lavorativa. Il <strong>progetto</strong> si propone di fondare la nuova Azienda<br />

Sanitaria TO3 su una solida e il più possibile condivisa piattaforma<br />

etica, a partire da cui innestare il processo di definizione degli strumenti<br />

operativi e gestionali. Tali strumenti troveranno il loro pieno significato e<br />

il loro autentico senso sulla base <strong>del</strong>la dimensione valoriale sottostante.<br />

L’Azienda si svilupperà attorno ad un pulsante “cuore etico”, con vantaggi<br />

in termini di adesione al percorso di unificazione, identità saldamente<br />

radicata, autentica motivazione all’agire professionale.<br />

Il <strong>progetto</strong>, anche in termini di sperimentazione estendibile ad<br />

altre aree <strong>del</strong> territorio nazionale, ha l’obiettivo primario di mettere in<br />

luce e di valorizzare la grande carica etica presente nel lavoro degli<br />

Operatori Sanitari e <strong>del</strong>la Pubblica Amministrazione.<br />

Attraverso la Carta Etica intendiamo quindi avviare un dialogo e un<br />

confronto tra Azienda Sanitaria ed Enti Locali sul tema <strong>del</strong> radicamento<br />

<strong>del</strong>l’agire professionale in un terreno comune di valori, in vista di comuni<br />

traguardi di Salute. Sono certo che il <strong>progetto</strong> rappresenti una grande<br />

opportunità di crescita civile, un momento in grado di ridare smalto e<br />

vigore alle energie etico comportamentali non solo degli operatori sanitari<br />

e dei dipendenti pubblici, ma <strong>del</strong>l’intero territorio in cui operiamo.<br />

Giorgio Rabino<br />

Direttore Generale ASL TO3


impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />

impegni verso tutte le persone<br />

Valore in gioco<br />

Cura<br />

Disponibilità<br />

Cortesia<br />

Sensibilità<br />

Coinvolgimento<br />

Responsabilità<br />

Rispetto<br />

Riconoscimento<br />

Integrazione<br />

Indice<br />

8 La Carta: istruzioni per l’uso<br />

14 1 Costruire il rapporto<br />

14 1.1 Parole dette che <strong>cura</strong>no<br />

17 1.2 Parole scritte che <strong>cura</strong>no<br />

17 1.3 Spazi che <strong>cura</strong>no<br />

22 2 Mettere a proprio agio<br />

22 2.1 Prevenire e sciogliere le tensioni<br />

23 2.2 Accompagnare<br />

24 2.3 Alleggerire la fatica <strong>del</strong> vivere<br />

26 2.4 Parole e gesti che feriscono<br />

30 3 Professionalità<br />

30 3.1 Gelo<br />

31 3.2 Distacco<br />

32 3.3 Linguaggio<br />

36 4 Metterci la faccia<br />

36 4.1 Farsene carico<br />

37 4.2 Rompere con l’anonimato<br />

39 4.3 Attivarsi<br />

40 4.4 Fare e rifare<br />

44 5 Persone che lavorano<br />

44 5.1 Autonomia<br />

44 5.2 La persona giusta al posto giusto<br />

45 5.3 Valorizzare<br />

46 5.4 Essere prossimi - Vedere ed essere visti<br />

50 6 Lavoro di e con persone<br />

50 6.1 Riconoscere tutti i lavori<br />

51 6.2 Riconoscere il lavoro svolto<br />

53 6.3 Accompagnare il cambiamento<br />

54 6.4 Prestare ascolto<br />

55 6.5 Dare feedback<br />

58 7 Sentirsi parte<br />

58 7.1 Conoscere le tappe e il traguardo<br />

59 7.2 Comparti stagni<br />

60 7.3 Scambi di saperi<br />

61 7.4 Conoscersi<br />

63 7.5 Lavoro d’équipe<br />

64 7.6 Incontri istituzionalizzati


impegni verso il nostro lavoro<br />

impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />

Speranza<br />

Coraggio<br />

Considerazione<br />

Dignità<br />

Complessità<br />

Consapevolezza<br />

Condivisione<br />

Oculatezza<br />

Reciprocità<br />

68 8 Produrre futuro<br />

68 8.1 Zavorre<br />

68 8.2 Osservatori partecipi<br />

69 8.3 Cambiamenti<br />

72 9 Esser desti<br />

72 9.1 Tenerci<br />

73 9.2 Andare oltre<br />

74 9.3 Cogliere le opportunità<br />

78 10 Quanto vale. Che cosa vale<br />

78 10.1 Il senso <strong>del</strong> fare<br />

79 10.2 Cose di valore<br />

84 11 Identità<br />

84 11.1 La famiglia allargata<br />

85 11.2 Globale - Locale<br />

86 11.3 Specificità <strong>del</strong> territorio e <strong>del</strong>l’utenza<br />

87 11.4 Fare Salute insieme<br />

88 11.5 Far passare il passato<br />

92 12 Procedure<br />

92 12.1 Procedura e/o Relazione<br />

92 12.2 Check list<br />

93 12.3 Metodo consapevole<br />

94 12.4 A prova d’errore<br />

98 13 Il tempo<br />

98 13.1 Guadagnare tempo<br />

100 13.2 Rispetto dei tempi<br />

104 14 Persone - Sistema. Sistema - Persone<br />

104 14.1 Ricevere dal Sistema<br />

106 14.2 Dare al Sistema<br />

110 Le voci <strong>del</strong>la Carta


La Carta: istruzioni per l’uso<br />

Che cosa è<br />

Che cosa non è<br />

È uno strumento di lavoro. Si propone di aiutare chi la consulta<br />

a migliorare la qualità <strong>del</strong> proprio lavoro e ad aumentare<br />

l’autentico ben essere <strong>del</strong>la vita lavorativa.<br />

Si rivolge a lettori che, a partire da quanto qui contenuto,<br />

vogliano impegnarsi in un personale e continuo percorso di perfezionamento<br />

etico.<br />

Propone e discute esempi di buon comportamento, direzioni<br />

d’azione, linee guida per orientarsi e su cui impostare l’agire<br />

lavorativo quotidiano.<br />

Vuole essere usata e discussa. Si propone di far nascere<br />

idee, di stimolare ulteriori riflessioni e personali risposte ai problemi<br />

etici posti dal lavoro.<br />

Vuole essere aperta ad ulteriori contributi e a continue integrazioni<br />

e modifiche, per essere sempre aggiornata e all’altezza<br />

dei tempi.<br />

Nasce dalla convinzione che l’impegno etico <strong>del</strong>le singole<br />

persone, per dare i suoi frutti, necessita di una parallela tensione<br />

etica <strong>del</strong> sistema organizzativo. Che ciascuno però possa,<br />

debba, migliorare la qualità <strong>del</strong>la vita lavorativa intervenendo sul<br />

senso individualmente dato al proprio lavoro.<br />

Non è un codice. Non contiene leggi, regole o rigide norme<br />

a cui attenersi. Non si sovrappone né si sostituisce alle norme<br />

deontologiche professionali.<br />

Non vuole intimorire, né bloccare la spontaneità di nessuno.<br />

Non desidera lettori passivi che semplicemente si adeguino a<br />

quanto essa propone.<br />

Non vuole essere considerata né un testo sacro da maneggiare<br />

con timore reverenziale, né un accessorio degno al massimo<br />

di figurare in un cassetto <strong>del</strong>la scrivania.<br />

Non pretende di risolvere la complessità <strong>del</strong>le questioni sollevate,<br />

intende anzi avviare un confronto collettivo su di esse.<br />

8


Come è fatta e come funziona<br />

Non ha la pretesa di aver individuato e mappato una volta<br />

per sempre tutte le problematiche etiche degne d’attenzione.<br />

Non è uno strumento per colpevolizzare e inchiodare persone<br />

o uffici alle loro eventuali responsabilità e neppure va utilizzata<br />

per farsi giustizia sommaria nelle vertenze di lavoro.<br />

La Carta tenta di evitare con <strong>cura</strong> i pericoli <strong>del</strong>l’astrattezza e<br />

<strong>del</strong> formalismo. La salute etica, prima che dalle procedure, nasce<br />

dalle e con le persone. E alle persone, alle loro esperienze, alla loro<br />

ricchezza interiore la Carta dà voce e lascia più spazio possibile.<br />

La Carta è suddivisa in 4 aree di impegno etico che, seppur interconnesse,<br />

fanno riferimento a quattro distinte tipologie di “interlocutori”<br />

etici (i cittadini - pazienti - utenti, tutte le persone con cui ci<br />

rapportiamo, il nostro lavoro, il sistema lavorativo e il territorio).<br />

All’interno <strong>del</strong>le aree trovano posto 14 argomenti e relativi sottoargomenti.<br />

Si tratta di temi organizzativi importanti e <strong>del</strong>icati, a<br />

forte rilevanza etica, con i quali occorre insieme misurarsi.<br />

Ciascun argomento si sviluppa nel modo seguente:<br />

Le testimonianze<br />

La Carta contiene centinaia di riflessioni, idee, proposte, ricavate<br />

dalla viva voce dei partecipanti al percorso di orientamento<br />

etico. Le testimonianze offrono interpretazioni diverse dei temi<br />

etici trattati e sono riportate con la massima fe<strong>del</strong>tà possibile (le<br />

testimonianze in corsivo sono di operatori degli Enti Locali).<br />

Accanto ad alcune testimonianze compaiono due simboli:<br />

la stella, che sottolinea idee o buone prassi particolarmente<br />

interessanti;<br />

il segnale, che evidenzia criticità o situazioni <strong>del</strong>icate.<br />

Riquadri di riflessione<br />

Le testimonianze sono riunite in coerenti blocchi tematici<br />

da una serie di riquadri di riflessione, che, a partire da una o più<br />

domande seguite da alcuni spunti di orientamento, chiamano in<br />

causa il lettore e lo invitano a calare l’argomento nella propria<br />

realtà professionale.<br />

Valori da mettere in campo<br />

A partire da un’opera pittorica a forte carica etica vengono<br />

proposti e commentati i valori fondanti un <strong>progetto</strong> di salute<br />

etica lavorativa. Perché la presenza di grandi opere d’arte?<br />

Gusto <strong>del</strong> bello fine a se stesso? La Carta Etica si propone di<br />

9


Di quale etica tratta la Carta?<br />

combattere i comportamenti meccanici e le risposte anestetizzate.<br />

Per agire in maniera eticamente responsabile occorre<br />

avere il cuore e la mente capaci di immaginazione morale. Attraverso<br />

alcuni grandi capolavori brevemente commentati si è<br />

quindi inteso rivitalizzare la sensibilità estetica e ridare slancio<br />

all’immaginazione morale degli operatori.<br />

Indirizzi etici organizzativi<br />

La Carta indica quali impegni l’Azienda Sanitaria e gli Enti<br />

Locali coinvolti chiedono ai propri dipendenti e che cosa, in<br />

quanto sistemi organizzativi, si impegnano a promuovere per<br />

raggiungere la salute etica lavorativa.<br />

La Carta tratta di questioni di etica “spicciola”, legate alla<br />

quotidiana vita lavorativa. Affronta indirizzi di comportamento<br />

che possono contribuire a rendere la vita professionale davvero<br />

“buona” e cioè arricchente ed appagante, sia per gli operatori<br />

sia per gli utenti. Si interroga su come abbinare principi di efficacia,<br />

efficienza, eccellenza <strong>del</strong> servizio con la ricerca <strong>del</strong>la qualità<br />

di vita tanto degli operatori quanto <strong>del</strong>le persone che fruiscono<br />

<strong>del</strong>le prestazioni.<br />

La parola “etica” deriva dal greco èthos che tra i suoi significati<br />

ha quello di “casa”, “rifugio <strong>del</strong>l’uomo”, “tana”. L’etimologia<br />

ci ricorda che la ricerca etica ha a che fare con il tentativo di<br />

rendere più “dimora”, più nostri, i luoghi lavorativi nei quali passiamo<br />

larga parte <strong>del</strong>la nostra esistenza.<br />

Attraverso la riflessione etica ci impegniamo quindi a che il<br />

lavoro diventi una dimensione di autentico ben essere, un luogo<br />

dove sia possibile realizzarsi, intrecciare sincere relazioni con<br />

gli altri, tentare di costruire, all’interno e all’esterno dei luoghi di<br />

lavoro, una comunità più umana.<br />

La Carta Etica come risposta ad un bisogno di salute<br />

La Carta Etica parte da una constatazione tanto semplice<br />

quanto tras<strong>cura</strong>ta: quando lavoriamo non produciamo solo beni o<br />

servizi, ma produciamo noi stessi, diamo forma ad un pezzo assai<br />

significativo <strong>del</strong>la nostra e <strong>del</strong>l’altrui esistenza.<br />

Quale esistenza produce il nostro lavoro? Quale salute, individuale<br />

e collettiva? L’OMS definisce la salute come “stato di completo<br />

benessere fisico, mentale e sociale”.<br />

10


La Carta Etica muove dall’idea che la riflessione etica è una<br />

condizione di salute, che la salute è anche là dove le persone<br />

possono responsabilmente valutare, scegliere e seguire indirizzi<br />

etici di comportamento. La Carta intende quindi osservare il<br />

lavoro quotidiano da una prospettiva più profonda e più ampia,<br />

che non sia soltanto la performanza o l’interesse economico,<br />

ma piuttosto l’arricchimento <strong>del</strong>la dimensione umana, etica, spirituale,<br />

relazionale.<br />

La Carta Etica come motore per una nuova civiltà <strong>del</strong> lavoro.<br />

A che cosa aspira la Carta?<br />

Dove il lavoro è privato di tensione esistenziale, l’essere<br />

umano non cerca la propria completezza, il proprio appagamento,<br />

la propria fioritura. In una parola, non cerca di produrre per sé<br />

e per gli altri una vita buona, una vita degna di essere vissuta.<br />

Il lavoro separato dagli elementi che rendono appagante e<br />

completa la vita lavorativa, ridotto ad azione produttiva finalizzata<br />

al raggiungimento di uno scopo esterno ad essa e traducibile<br />

in un assoluto valore monetario, genera mal essere, individuale<br />

e collettivo.<br />

La Carta Etica muove dall’idea che la salute <strong>del</strong>le persone<br />

può e deve essere cercata non solo dopo il tempo di lavoro, ma<br />

anche al suo interno, riconnettendo le dinamiche produttive con<br />

la ricerca di una vita buona, una vita davvero degna di essere<br />

vissuta. Il valore di una qualsiasi proposta di civiltà si misura non<br />

da quanto marginalizza il lavoro, ma da quanto sa e riesce a<br />

metterlo al proprio centro. Alla base <strong>del</strong>la Carta Etica vi è la convinzione<br />

che occorre cercare il ben essere sociale non attraverso<br />

il lavoro, considerato come semplice momento e strumento<br />

produttivo o di arricchimento materiale, ma nel lavoro, inteso e<br />

valorizzato in quanto dimensione di buona esistenza.<br />

A dotare il lavoro e i sistemi organizzativi di una vitale inquietudine<br />

spirituale. A ricollegare chi lavora alle profondità <strong>del</strong> proprio<br />

animo, rompendo con il senso di estraneità e disinteresse<br />

che mortifica l’esistenza di molti.<br />

La Carta vuole essere un punto panoramico, un punto da<br />

cui osservare e tracciare attese, speranze, indirizzi, impegni, responsabilità<br />

individuali e di sistema in vista di un <strong>progetto</strong> di<br />

salute territoriale.<br />

11


La Carta Etica in una prospettiva di salute territoriale<br />

Il coinvolgimento di operatori <strong>del</strong>l’ASL TO3 e degli Enti Locali,<br />

chiamati a ragionare insieme di etica lavorativa, è dettato<br />

dall’idea di promuovere la fioritura di una comunità etica nei diversi<br />

ambiti lavorativi e sociali <strong>del</strong> Territorio. Con ciò si vuole sottolineare<br />

il preciso ruolo etico di tutti coloro che sono chiamati a<br />

fornire un servizio pubblico ai cittadini.<br />

Tra gli obiettivi:<br />

creare un comune interesse morale fra le persone che svolgono<br />

la loro vita sociale ed economica in un particolare spazio<br />

geografico e sociale;<br />

aumentare il capitale sociale <strong>del</strong>l’intero Territorio, cioè rafforzare<br />

il suo tessuto valoriale, la fiducia e il rispetto reciproco,<br />

il condiviso e interiorizzato insieme di norme atte a regolare<br />

la convivenza;<br />

attivare un circolo virtuoso tra comportamenti etici, salute<br />

individuale e collettiva, produttività sociale ed economica;<br />

ricreare un’unità tra la vita sociale e la vita lavorativa di coloro<br />

che nella comunità vivono e lavorano, attraverso la costituzione<br />

di un network etico territoriale;<br />

valorizzare l’esser persona <strong>del</strong>le persone che a vario titolo<br />

sono impegnate per la salute <strong>del</strong>la comunità. “Persona” intesa<br />

come essere ricco di valori morali, con un forte rispetto per la<br />

dignità propria e altrui, con la consapevolezza di un compito<br />

nella società, dotato di un maturato principio interiore che lo<br />

indirizza verso il raggiungimento di finalità collettive.<br />

La Carta Etica e le dinamiche produttive<br />

Deve essere chiaro che la redazione <strong>del</strong>la Carta Etica non<br />

ha nulla a che fare con il banale “buonismo”.<br />

È innegabile che un lavoro riannodato alla profondità <strong>del</strong>l’esistenza<br />

di coloro che lavorano è un lavoro all’insegna <strong>del</strong>la vera<br />

efficacia e <strong>del</strong>l’autentica efficienza.<br />

La creazione di condizioni per una vita buona nel lavoro è, tra<br />

l’altro, la migliore garanzia di qualità <strong>del</strong>le prestazioni e di eccellenza<br />

<strong>del</strong> servizio.<br />

12


Costituzione di un gruppo di <strong>progetto</strong> e controllo<br />

ASL TO3 – ANCI – Enti Locali <strong>del</strong> territorio<br />

Costituzione e formazione di un gruppo di<br />

Attivatori Etici attraverso un percorso di<br />

formazione e ricerca<br />

Principali fasi <strong>del</strong> <strong>progetto</strong> Carta Etica<br />

Attivazione di Gruppi di Lavoro<br />

La Carta Etica è stata realizzata grazie alla partecipazione di circa<br />

450 operatori <strong>del</strong>l’ASL TO3 e di circa 50 dipendenti di Enti Locali <strong>del</strong><br />

Territorio, impegnati in un percorso di orientamento e di counseling<br />

filosofico su tematiche etiche in ambito lavorativo.<br />

Azioni di sensibilizzazione<br />

Sono stati organizzati momenti di sensibilizzazione alle tematiche<br />

etiche rivolti a Sindacati, Comitato Mobbing e Pari Opportunità,<br />

Medici di Medicina Generale e Pediatri di libera scelta, Direttori e<br />

Responsabili di Struttura.<br />

Elaborazione degli indirizzi etici emersi nei<br />

Gruppi di Lavoro e stesura <strong>del</strong>la Carta Etica<br />

Presentazione, diffusione, promozione <strong>del</strong>la<br />

Carta Etica all’interno degli Enti coinvolti<br />

Richiami formativi periodici<br />

Costituzione <strong>del</strong> Laboratorio Etico permanente<br />

Il Laboratorio cala gli indirizzi etici contenuti nella Carta all’interno<br />

<strong>del</strong>le specifiche realtà lavorative, promuove e coordina le iniziative di<br />

miglioramento organizzativo a forte valenza etica.<br />

13


impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />

valore:<br />

Cura<br />

Quanto conta la complicità<br />

e la fiducia tra operatore e<br />

paziente in vista di una relazione<br />

di <strong>cura</strong> reciprocamente<br />

soddisfacente?<br />

Dobbiamo essere consapevoli<br />

<strong>del</strong>l’inscindibilità fra valutazione<br />

clinica <strong>del</strong> medico referente<br />

e compliance che deve essere<br />

a <strong>cura</strong> tanto <strong>del</strong> medico quanto<br />

<strong>del</strong>l’infermiere.<br />

14<br />

1 Costruire il rapporto<br />

1.1 Parole dette che <strong>cura</strong>no<br />

Noi facciamo incontri tra pazienti che dializzano e pazienti<br />

che dovranno dializzare: è bello perché così riusciamo<br />

a capire come i pazienti ci giudicano e colui che deve<br />

iniziare il percorso si sente più tranquillo, <strong>cura</strong>to e protetto.<br />

Non hanno solo bisogno <strong>del</strong>le pastiglie, hanno bisogno di<br />

te che li chiami e dici: “Si ricordi l’esame di domani”, hanno<br />

bisogno che tu sia disponibile quando occorre. Ci sono<br />

<strong>del</strong>le nonnine che si presentano con le foto <strong>del</strong>le nipoti, la<br />

nostra nefrologa le visita, scrive la prescrizione e poi magari<br />

si ferma qualche minuto a guardare le foto.<br />

Quando ho iniziato l’obiettivo chiaro ed esplicito era<br />

<strong>cura</strong>re il malato. Oggi lo scopo rischia di diventare quello<br />

di “liberarsi” <strong>del</strong> paziente, questo anche a fronte di un’alta<br />

conflittualità con l’utenza. Nel rapporto con il paziente e<br />

con il parente c’è una forte dimensione di medicina difensiva.<br />

Si dice: “Attenzione a quello che dite e fate perché<br />

qui partono le denunce”. Il rischio è che la mancanza di<br />

fiducia reciproca generi un pericoloso circolo vizioso che<br />

si autoalimenta.<br />

Parlare con i familiari non deve essere una cosa lasciata<br />

alla volontà <strong>del</strong> singolo o fatta “in più”, ma è richiesto<br />

dalla nostra professione. Forse una volta c’era l’idea<br />

che l’infermiere fosse un esecutore legato alle tecniche,<br />

ma oggi è tutt’altro: è sì uno che fa le tecniche ma deve<br />

anche sapersi relazionare, è richiesto dal suo ruolo, dal<br />

suo profilo.<br />

In rianimazione, noi prima ricoveriamo il paziente, ci<br />

vogliono circa 15-20 minuti, lo sistemiamo, poi chiamiamo<br />

il parente - ci sono stanze apposta - lo si fa sedere, gli si<br />

spiega la situazione e gli si presenta anche il reparto, gli<br />

orari, ecc.. I parenti in genere sono agitati, non capiscono<br />

nulla: vediamo questi sguardi persi nel vuoto, anche perché<br />

i medici sovente parlano in modo tecnico. Quando va<br />

via il medico cominciano a chiederti: “Ha un tubo, ma dove<br />

ce l’ha, ma dove va a finire?” Allora ti metti lì e cerchi di<br />

spiegargli in modo semplice come stanno le cose.


È importante non abbandonare il parente anche<br />

quando non è possibile farlo entrare, per esempio in sala<br />

operatoria. Il parente sta fuori, ma puoi informarlo, puoi<br />

rassi<strong>cura</strong>rlo, anche in modo che poi possa assistere meglio<br />

il paziente, non tanto dal punto di vista fisico, ma piuttosto<br />

dal punto di vista psicologico. In ogni caso il recupero<br />

di una qualche forma di contatto è fondamentale. Il dare<br />

conforto, non lasciare solo un paziente magari non grave<br />

ma di carattere debole, recuperarlo attraverso il parente<br />

serve anche all’operatore che poi dovrà trattarlo.<br />

Bisogna pensare che il parente rientra nel processo di<br />

<strong>cura</strong>, deve essere coinvolto, anche perché è quello che<br />

porta il paziente in ospedale ed è quello che se lo riporta a<br />

casa. Noi in Pronto Soccorso avevamo fatto molte riunioni<br />

tra operatori perché la criticità <strong>del</strong>l’alto afflusso implicava<br />

la gestione <strong>del</strong>la questione parente dentro / parente fuori,<br />

parente risorsa o parente ostacolo. Il punto chiave è<br />

che comunque è da prendere in carico anche il parente e<br />

questo richiede un impiego di tempo e di energie, quindi<br />

bisogna tenerne conto nell’organizzazione <strong>del</strong> lavoro.<br />

Facciamo un esempio di un non-malato, una partoriente<br />

per esempio: l’anestesia riesce meglio se le è stato<br />

spiegato che cosa succederà, che cosa sentirà. Se la<br />

donna non è preparata sente cose che non ci sono. Oppure<br />

i bambini: fa la differenza se sono stati preparati dalla<br />

mamma o gli viene detto - come ho sentito - “domani ti<br />

fanno la fotografia”.<br />

In Pronto Soccorso il problema <strong>del</strong>l’accoglienza è<br />

quanto è lunga l’attesa e come si può rendere meno pesante<br />

questa attesa. Ci sono persone che per ore non<br />

hanno notizie su quello che gli accade, <strong>del</strong> perché e <strong>del</strong><br />

che cosa stanno aspettando. Il paziente non deve essere<br />

un burattino messo nelle mani <strong>del</strong>l’operatore. Se l’utente<br />

è disponibile si può spiegare, tutto l’iter. Siamo sempre<br />

strapieni, ma forse con un po’ di informazione le persone<br />

sarebbero più tranquille.<br />

A volte ti accorgi che il paziente ha bisogno di un contatto,<br />

basterebbe dire: “Niente di grave, stiamo solo facendo<br />

degli accertamenti”. Ma chi ha tempo e, più ancora,<br />

testa per farlo?<br />

15<br />

In che modo il parente può<br />

diventare un prezioso alleato<br />

nel percorso di <strong>cura</strong>?<br />

Dare attenzione al familiare<br />

può aiutarci a guadagnare<br />

tempo?<br />

vedi 13.1<br />

La questione dei tempi e <strong>del</strong>le<br />

modalità da seguire per costruire<br />

una buona relazione con i parenti<br />

non può essere lasciata al<br />

caso o all’iniziativa individuale.<br />

Deve piuttosto essere pianificata<br />

a livello di Struttura e concordata<br />

con tutti gli operatori.<br />

Cura


impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />

Che cosa accade in un paziente<br />

lasciato privo di una<br />

qualche spiegazione circa<br />

l’iter diagnostico e in balia<br />

dei suoi timori?<br />

Anche poche parole possono<br />

avere un fondamentale effetto<br />

di rassi<strong>cura</strong>zione, dare al paziente<br />

la certezza che è preso<br />

in carico, che è seguito e che<br />

ci si sta occupando di lui.<br />

vedi 13.1<br />

Il consenso informato ha una<br />

semplice funzione informativa,<br />

è soltanto un’informazione<br />

condivisa?<br />

Occorre considerare adeguatamente<br />

l’importanza <strong>del</strong><br />

consenso informato in quanto<br />

momento decisivo per avviare<br />

un rapporto di <strong>cura</strong> fondato<br />

sulla reciproca fiducia.<br />

16<br />

Spiegare è fondamentale: se arriva un paziente in Pronto<br />

Soccorso, passa il triage, viene da me per un prelievo e<br />

l’elettrocardiogramma, so che starà 8 ore perché dopo 6<br />

ore ripeterà l’elettrocardiogramma e la visita. Perché non<br />

glielo devo dire? Se glielo spiego, si siede e non lo senti<br />

più, se non glielo dico ogni ora è lì, a chiedermi: “Ma è grave<br />

che non mi dite nulla?” Ci metto lo stesso tempo tra il<br />

dire e il non dire: quelle parole mentre faccio ciò che devo<br />

fare non mi costano nulla, il più <strong>del</strong>le volte è solo la volontà<br />

di spiegare intanto che si fanno le cose.<br />

Mi è capitato di arrivare dove lavoro ma come paziente,<br />

conoscevo tutti gli operatori e loro conoscevano<br />

me. Ho chiesto che mi dicessero che cosa mi stavano<br />

per fare. Quando mi hanno detto: “Ma tu sei infermiera...”,<br />

gli ho risposto: “Sono infermiera, ma in questo momento<br />

spiegami tutto come se fossi il calzolaio qui sotto”. “Ma<br />

tu le cose le sai…”. “No, spiegamelo, perché in questo<br />

momento sono in totale confusione”. Se capita a chi è <strong>del</strong><br />

mestiere posso immaginare gli altri…<br />

Ho appena superato un momento difficile come paziente.<br />

Ero spaventata, in ansia, ho dovuto condividere il percorso<br />

di <strong>cura</strong> con chi mi stava accanto. Nonostante questo mi<br />

sono sentita seguita, presa in <strong>cura</strong>: il medico che mi seguiva<br />

mi ha spiegato che cosa avevo nei dettagli e tutto il percorso<br />

di <strong>cura</strong> che avrei seguito. Mi ha preso per mano e mi ha<br />

detto: “Tranquilla, questo percorso lo facciamo insieme”.<br />

Una questione per me importantissima è che quando<br />

si comunica una diagnosi o una terapia bisogna chiarire<br />

molto bene che è un percorso che si affronta tutti insieme,<br />

medico, paziente e anche i familiari. Non è qualcosa che<br />

somministra il medico o la struttura, è un certo percorso<br />

che si sceglie di portare avanti aiutandosi reciprocamente.<br />

Anche nella comunicazione <strong>del</strong> consenso informato bisogna<br />

prestare attenzione, soprattutto nel caso di persone<br />

anziane: il consenso informato non può essere solo una<br />

liberatoria per evitarsi grane.


1.2 Parole scritte che <strong>cura</strong>no<br />

Io so quanto soffro come utente quando vado in qualche<br />

ufficio <strong>del</strong> mio Comune di residenza. Mi dicono:<br />

“Ha preso il numero?” “Porca miseria, non l’ho visto,<br />

non c’era nemmeno un cartello!”<br />

Il problema è che non funziona come dovrebbe la comunicazione<br />

spicciola, quella sulle cose più ovvie. Per<br />

esempio, dove lavoro io c’è un poliambulatorio, la mia<br />

stanza è l’ultima in fondo. Non è un ufficio aperto al pubblico,<br />

ma la porta è sempre aperta. Sono al quarto piano,<br />

ma mi arrivano lo stesso gli utenti che si sono persi per<br />

chiedere informazioni. Ci sono cartelli che risalgono alla<br />

disposizione dei reparti <strong>del</strong>la vecchia ASL, è ovvio che la<br />

gente si perde. In questi casi la prima porta aperta è l’ancora<br />

di salvezza.<br />

La gente arriva affannata, magari hanno portato un<br />

parente che aveva problemi seri, chiedono dove fanno le<br />

operazioni, “Non le fanno qui”, “Ma dove me l’hanno portato?”…<br />

Sono persone che sono già in una situazione di<br />

affanno e di agitazione, se ancora non riescono facilmente<br />

a capire dove andare, vanno nel pallone…<br />

Recentemente mi è capitato di entrare in una struttura<br />

dove all’ingresso c’era un punto di accoglienza. Da lì partivano<br />

una serie di percorsi, segnalati da linee colorate sul<br />

pavimento, per cui semplicemente bastava seguire il colore<br />

per arrivare a destinazione senza perdersi. L’impressione<br />

che si aveva era quella di una struttura che si prende<br />

<strong>cura</strong> di chi arriva.<br />

Un giorno vedo un biglietto con la scritta “UFFICIO<br />

CUP” e una freccia… Ma non si capiva quale direzione indicasse!<br />

Sono poi passata qualche giorno dopo, avevano<br />

spostato un po’ il biglietto: si erano resi conto che la gente<br />

non riusciva proprio a trovarlo ‘sto CUP…<br />

1.3 Spazi che <strong>cura</strong>no<br />

Il comunicare in modo non corretto o nel posto non<br />

adatto una diagnosi infausta o addirittura una morte penso<br />

che sia un modo di difesa utilizzato da chi non è in grado<br />

di gestire questa situazione. È un modo per rimuovere<br />

17<br />

La cartellonistica ha solo funzioni<br />

informative o contiene<br />

una esplicita proposta di relazione<br />

rivolta all’utenza?<br />

Un’indicazione, presente o<br />

assente, scritta in un modo<br />

piuttosto che in un altro, <strong>cura</strong>ta<br />

o meno, dice molto <strong>del</strong>la<br />

considerazione che la struttura<br />

nutre per chi vi arriva.<br />

Cura


impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />

Il contesto e l’ambiente in cui<br />

si svolgono le dinamiche comunicative<br />

possono incidere<br />

sul senso che viene dato alla<br />

comunicazione?<br />

Il “dove” e il “quando” sovente<br />

assumono tale rilevanza da<br />

modificare radicalmente l’interpretazione<br />

<strong>del</strong> “che cosa”<br />

viene comunicato.<br />

18<br />

l’inaffrontabile. In Pronto Soccorso si danno sovente <strong>del</strong>le<br />

notizie difficili, mi sono trovata a invitare il medico con lo<br />

sguardo - o dicendolo anche chiaramente - che era il caso<br />

di andare nell’ufficio e non rimanere in corridoio per affrontare<br />

certe cose con i pazienti...<br />

Sulla richiesta di prelievo di organi noi facciamo molta<br />

attenzione: ci troviamo in biblioteca con i parenti, con la<br />

caposala che è anche psicologa, con il primario e il medico<br />

di guardia… È una questione di rispetto e di riguardo.<br />

Il mio è un reparto eccezionale, i colleghi sono molto<br />

solidali tra loro, in caso di necessità ci si stringe intorno a<br />

chi è in difficoltà. Abbiamo anche cercato di <strong>cura</strong>re gli ambienti...<br />

Però c’è un difetto: in reparto manca una stanza<br />

che serva per le comunicazioni con l’utenza, per comunicare<br />

una morte, una situazione difficile. Questa è un’esigenza<br />

che sentiamo, perché per certe cose è necessario<br />

un ambiente idoneo, tranquillo, riservato.<br />

È importante portare qualcosa di sé nel lavoro. Io ho<br />

chiesto una bacheca da mettere nel mio ufficio, anche un<br />

semplice pannello di legno… Mi hanno detto: “Non c’è”,<br />

“Ma anche vecchia”, “No”, “Posso portarla io?”. L’ho portata,<br />

l’ho dipinta con un bel verde. Mi hanno detto: “Sei<br />

proprio pazza, hai speso dei soldi tuoi per un ambiente<br />

di lavoro”. Ma io lì ci passo le ore, ogni volta che appiccico<br />

qualcosa sul mio pannello verde sto un po’ meglio,<br />

ovviamente senza banalizzare, senza rendere l’ufficio un<br />

parco giochi. A me non interessa spendere qualche euro<br />

per una cosa che mi fa stare meglio, senza contare che<br />

ci sono molte persone che vedendo il verde dicono: “Oh!<br />

Finalmente un po’ di colore”.<br />

Occuparsi di abbellire l’ufficio serve a ricominciare a<br />

sentirsi parte di qualcosa, serve in primo luogo a noi stessi.<br />

Io sono ancora disposta a spendermi per rendere accogliente<br />

l’ufficio, ma prima lo facevo per l’utenza, pensavo<br />

che solo gli utenti avessero il diritto di essere accolti in un<br />

ambiente bello, ora penso che lo dobbiamo fare anche<br />

per noi, perché siamo sempre lì e se non ci mettiamo una<br />

qualche “pianta” che ci dia un po’ di ossigeno…<br />

Mi occupavo di adolescenti disagiati, di handicap,<br />

persone che avevano problemi davvero enormi. Avevo


allestito un bell’ufficio, con quadri, foto, molto colorato.<br />

Quando arrivavano gli utenti più affaticati e più faticosi<br />

erano piegati dai loro problemi, magari anche arrabbiati,<br />

ma il fatto di stare in un ambiente colorato cambiava,<br />

cambiava eccome. Io magari mi assentavo un minuto e<br />

quando tornavo li trovavo che si guardavano attorno e<br />

magari mi chiedevano anche qualcosa… Attraverso l’ambiente<br />

si instaurava un rapporto. Questo non spostava di<br />

un centimetro i loro problemi, però molti venivano da case<br />

senza alcun senso <strong>del</strong>la bellezza, senza <strong>cura</strong>. C’erano<br />

giovani cresciuti in ambienti devastati, in cui il concetto<br />

di colore era inesistente. Il mio ufficio colorato faceva la<br />

differenza.<br />

19<br />

A quale fondamentale funzione<br />

può assolvere l’estetica<br />

negli ambienti di <strong>cura</strong>?<br />

La bellezza, nelle sue forme<br />

più diverse, induce le persone<br />

- operatori e pazienti - a<br />

non rapprendersi su se stesse,<br />

favorisce l’apertura al<br />

mondo e stimola la relazione<br />

con gli altri.<br />

Cura


20<br />

Overbeck, Sulamit e Maria (Italia e Germania),1828<br />

Due donne. Due anime. L’una mesta e attraversata<br />

da un’intima sofferenza. L’altra impegnata a sostenerla,<br />

a darle appoggio con lo sguardo, ad accoglierla attraverso<br />

lo straordinario intreccio <strong>del</strong>le mani.


Valore in gioco<br />

Cura<br />

Il termine “terapia” deriva dal greco antico “therapeuein”, parola<br />

che contiene una gamma di significati assai interessanti per<br />

ripensare l’atto terapeutico nella sua giusta profondità. Significa<br />

infatti medicare, <strong>cura</strong>re con un farmaco; allo stesso tempo anche<br />

occuparsi di qualcuno, averne <strong>cura</strong>; ma ha anche il significato di<br />

rispettare, onorare qualcuno nel mentre lo si <strong>cura</strong>. Al di là <strong>del</strong> servizio<br />

offerto, tecnicamente inteso, qualsivoglia “terapia”, per essere<br />

autenticamente tale, deve dare il giusto spazio alla <strong>cura</strong> che<br />

va posta nel costruire un’arricchente e non mortificante relazione<br />

con l’utente - paziente.<br />

Ha senso in un’ottica di salute e di completo ben essere separare<br />

il <strong>cura</strong>re dal prendersi <strong>cura</strong>? Non è forse quest’ultimo a<br />

fornire alla prestazione il suo senso più umano e più autentico?<br />

Una parola, un gesto, un ambiente possono rispondere a quella<br />

fondamentale esigenza di sentirsi accolto, considerato, ascoltato,<br />

e per davvero <strong>cura</strong>to, che prova chiunque abbia la necessità di<br />

fruire <strong>del</strong> nostro aiuto.<br />

21<br />

Cura<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

La relazione di fiducia instaurata con gli utenti è da intendersi come parte<br />

integrante <strong>del</strong> processo di <strong>cura</strong> in cui devono sentirsi impegnati, ad ogni<br />

livello, tutti gli operatori.<br />

La <strong>cura</strong> <strong>del</strong>la relazione con il cittadino - paziente - utente e con i familiari<br />

è un aspetto fondamentale per il successo <strong>del</strong>la relazione terapeutica.<br />

Va quindi attentamente promossa da dirigenti e coordinatori. Ciascun<br />

operatore deve porre la massima attenzione ad instaurare con i propri<br />

interlocutori un <strong>progetto</strong> condiviso di comunicazione verbale e non<br />

verbale.<br />

La <strong>cura</strong> per gli aspetti e gli strumenti di comunicazione informativa, per gli<br />

spazi, per l’arredo va incentivata e mantenuta, al fine di migliorare sia la<br />

qualità <strong>del</strong> servizio offerto sia la condizione di ben essere degli operatori.


impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />

valore:<br />

Disponibilità<br />

Cortesia<br />

Se il paziente riceve la giusta<br />

considerazione riesce a comprendere<br />

e a rispettare di più<br />

il lavoro degli operatori?<br />

Molte conflittualità e tensioni<br />

possono essere ridotte o<br />

contenute da una comunicazione<br />

tempestiva, fornita giocando<br />

d’anticipo, prima che<br />

il malessere arrivi a soglie poi<br />

difficilmente gestibili.<br />

22<br />

2 Mettere a proprio agio<br />

2.1 Prevenire e sciogliere le tensioni<br />

Sulle piste da sci mio figlio si è fatto male. Abbiamo<br />

chiamato i soccorsi ed è stata un’esperienza umana eccezionale.<br />

Gli operatori, pur nella concitazione degli eventi,<br />

ambulanze, ecc. si sono presi in <strong>cura</strong> anche me: io volevo<br />

andare in auto per conto mio, ma non mi hanno lasciata<br />

guidare, mi hanno caricata sull’ambulanza e ci hanno<br />

portati in Pronto Soccorso, dove siamo rimasti parecchio<br />

tempo. Queste persone dei soccorsi sono poi tornate<br />

più e più volte per portare altri infortunati e tutte le volte<br />

venivano a chiedermi come stava andando. Addirittura,<br />

quando poi mio figlio è uscito, mi ha detto: “Ma li abbiamo<br />

ringraziati abbastanza quei signori?” Quel giorno ho visto<br />

molte persone aspettare, anche molte ore, ma nessuno<br />

che si lamentasse…<br />

Noi lavoriamo in Pronto Soccorso, dove il contatto con<br />

l’utenza è cruciale. Uno ce la mette tutta, ma quando ti<br />

arriva quello arrabbiato non è facile. Anche dall’altra parte<br />

ci dovrebbe essere un po’ di gentilezza. Certo, a volte per<br />

evitare che il rapporto degeneri basterebbero 30 secondi<br />

di buona comunicazione, meglio se fatta in anticipo, appena<br />

si colgono nell’utente dei segnali d’allarme…<br />

Il parente diventa sovente l’interlocutore principale ed<br />

è speso aggressivo, anche quando francamente non ce ne<br />

sarebbe bisogno. In ogni caso dobbiamo riuscire a contenerlo…<br />

Una volta da noi è arrivato un paziente da un altro<br />

ospedale accompagnato da una parente molto arrabbiata.<br />

Su di loro c’era una consegna a voce che li bollava come<br />

piantagrane perché ostacolavano il lavoro. Il punto è che<br />

un parente arrabbiato spesso e volentieri lo è perché non<br />

è stato informato o è stato informato poco e male.<br />

Chi lavora con i bambini deve per prima cosa pensare<br />

al genitore. Trovi la mamma che ti guarda, dice: “Togli<br />

quell’ago” e magari lo toglie lei stessa… Poi ci sono quelli<br />

che arrivano con i nonni… La caposala ti dice di lasciare<br />

fuori tutti, io vado fuori a dirlo sperando di trovare gente<br />

che capisca la situazione, ma ci sono quelli che ti dicono<br />

“No, è mio figlio, io sto qui”.


Disponibilità Cortes<br />

Sono un pediatra e il mio lavoro è al 90% comunicazione:<br />

io devo rassi<strong>cura</strong>re tutto l’albero genealogico <strong>del</strong><br />

mio piccolo paziente, che sovente rappresenta l’ultimo dei<br />

miei problemi…<br />

Noi abbiamo chiuso la porta a chiave perché, nonostante<br />

il cartello, la gente bussava e entrava subito. Il problema<br />

era che noi avevamo il paziente con il sedere per<br />

aria… Se stai facendo un esame o visitando e qualcuno<br />

bussa io non posso andare ad aprire e interrompermi…<br />

Ad un certo punto devi mettere una regola, se no sei invaso.<br />

Il punto è che ogni regola va il più possibile spiegata.<br />

Sul cartello bisognerebbe spiegare il perché, ad esempio<br />

anche solo: “Non bussare - stiamo visitando”. È davvero<br />

fondamentale spiegare in maniera il più possibile chiara il<br />

perché <strong>del</strong>le cose.<br />

Per esempio in sala prelievi quando si rompe il computer<br />

hai davanti 400 persone che hanno scarso interesse<br />

per i problemi <strong>del</strong> tuo pc. Ma se tu ti spieghi, chiarisci che<br />

c’è un problema, dici quale è, la maggior parte <strong>del</strong>le persone<br />

comprende.<br />

In ospedale ci sono cartelli perentori <strong>del</strong> tipo “NON<br />

BUSSARE. NON ENTRARE.” E io, che devo fare allora?<br />

Quando mi trovo di fronte ad un cartello <strong>del</strong> genere mi<br />

chiedo: ma come fanno a sapere che ci sono? Ci vorrebbe<br />

la certezza di essere chiamati e di essere chiamati all’ora<br />

<strong>del</strong>la prenotazione. Se manca questa certezza è naturale<br />

che uno si segnali, che segnali la sua presenza.<br />

Sentendo bussare basterebbe che qualcuno dicesse:<br />

“Un momento, ci occuperemo di Lei al più presto”. Questo<br />

rassicurerebbe e farebbe sì che la gente aspettasse il suo<br />

turno diligentemente.<br />

2.2 Accompagnare<br />

Molti utenti, soprattutto anziani, vengono da noi con<br />

qualunque foglio da compilare, di qualunque altro<br />

ente. Vedono il Comune come “la mamma”.<br />

Mi capitano certi pazienti anziani che magari vorrei cercare<br />

di agevolare, risparmiandogli <strong>del</strong>la strada inutile, ma<br />

spesso non riesco proprio a farlo. Per esempio, io <strong>del</strong> CUP<br />

ho due numeri di telefono, se dimetto qualcuno magari<br />

23<br />

In quali occasioni la corretta<br />

comunicazione è la prima e<br />

principale “<strong>cura</strong>”?<br />

È possibile invitare a rispettare<br />

tempi, luoghi e persone<br />

senza mortificare e disorientare<br />

l’utente?<br />

La scelta <strong>del</strong>la modalità di<br />

comunicazione e <strong>del</strong>le parole<br />

utilizzate è fondamentale<br />

per instaurare sin dall’inizio<br />

un equilibrato rapporto tra<br />

chi eroga e chi fruisce <strong>del</strong><br />

servizio.


impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />

Chi è l’utente debole? Come<br />

dargli quella necessaria disponibilità<br />

che è contemplata<br />

in un <strong>progetto</strong> di ben essere<br />

mentale e relazionale?<br />

Rispondere alle richieste di<br />

informazioni o di aiuto rientra<br />

in un <strong>progetto</strong> di <strong>cura</strong> e<br />

di salute?<br />

Quando ci si trova in situazioni<br />

a forte coinvolgimento<br />

emotivo, anche le indicazioni<br />

più semplici diventano difficili<br />

da capire.<br />

L’aiuto dato personalmente<br />

risponde al profondo bisogno<br />

di sentirsi accompagnati<br />

e rassi<strong>cura</strong>ti che insorge in<br />

tali occasioni.<br />

24<br />

potrei chiamare io e dare al paziente l’indicazione giusta.<br />

Ma il telefono è sempre occupato, non si riesce a chiamare…<br />

Allora vedi questi vecchietti che partono, barcollano,<br />

si perdono e speriamo che incontrino qualcuno che possa<br />

dargli qualche indicazione…<br />

A fronte di chi chiede, il punto non è solo dare l’informazione<br />

corretta, ma rassi<strong>cura</strong>re. Il paziente ha bisogno di<br />

contatto umano. Quindi, al di là <strong>del</strong>le regole e dei cartelli,<br />

ha bisogno di qualcuno in carne e ossa che si prenda carico<br />

<strong>del</strong>la sua situazione, <strong>del</strong>la sua necessità di avere indicazioni.<br />

Poi magari lo si indirizza, non lo si accompagna,<br />

ma buona parte <strong>del</strong>la relazione è fatta.<br />

Ci sono quelli che chiedono a tutti, più volte. L’altro<br />

giorno uno mi vede, mi ferma, mi chiede. Io gli do l’informazione<br />

precisa, quella che serviva a lui. Se ne va. Poi<br />

trova una collega e le richiede la stessa cosa. Dopo un po’<br />

rivede me, si era dimenticato di avermelo già chiesto, e<br />

così mi chiede di nuovo la stessa cosa di prima. Dobbiamo<br />

considerare che abbiamo a che fare con persone spesso<br />

impaurite ed emotivamente coinvolte. Alle volte penso che<br />

queste persone chiedano più volte perché così si sentono<br />

come se venissero accompagnate…<br />

Le persone ti vedono in verde e ti chiedono, ti cercano.<br />

Siamo cambiati tutti, operatori e utenti: siamo più ansiosi.<br />

Io trovo scontato che in certe situazioni l’utente non capisca,<br />

non li veda neanche i cartelli: l’ansia ti porta a stati<br />

confusionali. L’utente ha bisogno di essere rassi<strong>cura</strong>to. Il<br />

nostro fine deve essere sì far capire alle persone una serie<br />

di cose, ma rispondendo innanzi tutto alle loro ansie.<br />

2.3 Alleggerire la fatica <strong>del</strong> vivere<br />

Spesso al mattino incontri qualcuno alla bollatrice, saluti,<br />

e quello manco sembra vederti. Pensi: cavolo, come<br />

farà ad arrivare fino alle 17.00? Il problema è che quello<br />

che non mi saluta nel corso <strong>del</strong>la giornata entrerà in contatto<br />

con pazienti che hanno bisogno di lui…<br />

Penso che la cortesia tra colleghi preceda la cortesia<br />

con i pazienti… Se tra noi ci si guarda in cagnesco è difficile<br />

che poi si riesca a sorridere all’utente…


Disponibilità Cortes<br />

Il saluto è un importante gesto di attenzione e di rispetto<br />

nei confronti di un collega, di un collaboratore e<br />

naturalmente di un utente.<br />

Mi spiace che, con la motivazione <strong>del</strong>la “mancanza di<br />

tempo”, ne risenta la relazione: per dire, quando si deve<br />

lasciare un messaggio ad una collega si lascia il classico<br />

biglietto anonimo e gelido sulla scrivania… Io cerco almeno<br />

di abbellirlo un po’, anche solo scrivendo un “grazie”,<br />

se no è tutto troppo spersonalizzato e mortificante.<br />

Anche per la privacy siamo spesso obbligati a usare<br />

forme un po’ fredde, per esempio chiamare le persone<br />

con il numero di arrivo. Ciò però non impedisce di farli<br />

accomodare in ambulatorio con un “Buongiorno signore/<br />

signora, prego, si accomodi”.<br />

In ospedale sembra sempre che tutti abbiano fretta,<br />

ma noi abbiamo a che fare con persone, non con la catena<br />

di montaggio. Non si può tralasciare un “grazie” o un “per<br />

favore”. La cortesia è fondamentale: è il riconoscimento<br />

<strong>del</strong> valore <strong>del</strong>l’altro.<br />

Penso che la strada da seguire sia permettere al cittadino<br />

di darmi le informazioni che mi servono, e che per<br />

lui sono una seccatura, chiedendole nel modo più comodo<br />

e meno stressante possibile per lui. Per esempio,<br />

il Comune distribuisce un contributo regionale a<br />

chi usufruisce <strong>del</strong> micronido. Visto che si tratta di utenti<br />

in una fascia d’età giovane e che dovrebbero venire<br />

in Comune, allontanarsi dal luogo di lavoro, ecc., la<br />

richiesta di contributo e le successive comunicazioni<br />

possono essere fatte via mail o via fax.<br />

La P.A. può far agio o creare disagio. Noi facciamo lo<br />

smaltimento code tramite macchinette. Prima c’era uno<br />

sportello polivalente, adesso facciamo code differenziate.<br />

Tra poco attiveremo una chiamata particolare per le<br />

donne in gravidanza in modo che non facciano coda.<br />

Adesso ci sono dei bonus per le famiglie. Non sono<br />

elargiti dal Comune, però tutti vengono da noi a chiedere<br />

informazioni. Allora per gestire questo flusso ho<br />

fatto partire un <strong>progetto</strong> di supporto, in particolare per<br />

gli anziani che fanno fatica a capire e a compilare tutti<br />

i moduli e a seguire tutto l’iter.<br />

25<br />

Come si può mostrare che ci<br />

si è accorti che dietro ad un<br />

ruolo, una funzione o un problema<br />

c’è un essere umano?<br />

Attraverso piccoli, ma significativi<br />

comportamenti di carattere<br />

verbale o non verbale,<br />

contribuiamo a rendere più<br />

umani il nostro lavoro e il servizio<br />

che eroghiamo.<br />

La cortesia può trasformarsi<br />

in comportamento organizzativo?<br />

Ogni scelta organizzativa compiuta<br />

per evitare all’utente<br />

tortuosità burocratiche, complicazioni<br />

o inutili scomodità rientra<br />

a pieno titolo in un <strong>progetto</strong><br />

di Salute e ben essere diffuso.


impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />

Quando le parole mortificano?<br />

La cortesia nelle parole è un<br />

modo per produrre coordinamento<br />

nella comunità di<br />

lavoro.<br />

Occorre sottolineare che fa<br />

risparmiare a tutti tempo,<br />

energie ed inutili frustrazioni.<br />

Parole che mortificano, sciatteria<br />

nell’esprimersi, poca<br />

sensibilità per gli aspetti comunicativi<br />

impattano sull’efficacia<br />

e sull’efficienza <strong>del</strong><br />

sistema organizzativo e contemporaneamente<br />

sulla qualità<br />

complessiva <strong>del</strong> nostro<br />

vivere.<br />

Comunicazioni personali e/o<br />

informali quando sono opportune<br />

o inopportune?<br />

Occorre non perdere mai il<br />

senso <strong>del</strong> contesto in cui si<br />

dicono certe cose e <strong>del</strong>le circostanze<br />

in cui si compiono<br />

certi gesti, per non mortifica-<br />

26<br />

2.4 Parole e gesti che feriscono<br />

Non bisogna mai perdere di vista le conseguenze di<br />

gesti che potremmo evitarci: la parola sgarbata, dare<br />

un’informazione in modo non disponibile… In questi anni<br />

mi hanno colpito due cose. La prima è il numero di persone<br />

che arrivano da noi chiedendo le informazioni più<br />

disparate, nonostante noi ci troviamo in una posizione<br />

defilata. La seconda cosa è la reazione che hanno queste<br />

persone quando rispondiamo con gentilezza dando<br />

le informazioni. Mi colpisce perché mi chiedo chi abbiano<br />

incontrato prima… Che poi magari io ho dato <strong>del</strong>le<br />

informazioni banali, dov’è il bagno o dove si trova un<br />

certo ufficio…<br />

Alla vigilia di Natale il coordinatore deve assegnare il<br />

paziente all’operatore disponibile. Io l’ho assegnato ad<br />

una persona che, ad alta voce e davanti ai pazienti, mi<br />

dice: “Mi hai fatto proprio il regalo di Natale…”. Certe frasi,<br />

già negative se dette in privato, diventano davvero devastanti<br />

se pronunciate in presenza di chi sta male.<br />

A volte è il personale a essere aggressivo: quando<br />

vedo la mia caposala che sbatte tutti fuori dalla sala medica<br />

con parole e modi bruschi…<br />

Un paziente che versava in condizioni critiche doveva<br />

fare un esame piuttosto invasivo. Guardandomi negli occhi<br />

mi dice che quell’esame sarebbe stato meglio che l’avessi<br />

fatto io al posto suo, visto che scoppiavo di salute. Ero tesa<br />

e ho risposto seccata che se avessi dovuto fare gli esami di<br />

tutti i pazienti sarei morta. Tornata a casa ci ho ripensato:<br />

certo, se avessi preso le sue parole in altro modo avrei potuto<br />

aiutarlo non solo fisicamente…<br />

Durante una visita ginecologica, avere gli operatori che<br />

fanno avanti e indietro parlando <strong>del</strong>le loro cose non va bene!<br />

Il nostro gruppo ostetriche è riconosciuto molto positivamente<br />

sia in ospedale che fuori. Mi chiedo: dare l’esempio è<br />

utile o non serve? Secondo me è contagioso. C’è chi dice:<br />

“Non c’è tempo, non c’è spazio”, ed è in parte vero, è un<br />

problema. Ma è giusto mettere l’accento sul positivo, sul<br />

valore dei piccoli gesti che servono per riequilibrare queste<br />

situazioni di disagio. Per esempio da noi, se entra un’ostetrica,<br />

entra piano, in punta di piedi… In altri posti invece la<br />

gente entra e grida: “Ehi! Ti vogliono al telefono!!”


Disponibilità Cortes<br />

Parlare con il collega dei fatti propri mentre si trasporta<br />

un paziente da un piano all’altro, senza degnarlo di uno<br />

sguardo, è davvero mortificante!<br />

In caso di una diagnosi infausta o di questioni riferite a<br />

casi difficili o <strong>del</strong>icati dobbiamo renderci conto che, comunicandole<br />

in un modo piuttosto che in un altro, cambiamo<br />

letteralmente la vita <strong>del</strong>le persone e che in qualche modo<br />

entriamo per sempre nella loro memoria: a me è capitato<br />

di incontrare parenti che a distanza di anni si ricordavano<br />

di me semplicemente perché gli avevo comunicato la morte<br />

<strong>del</strong> nonno…<br />

Certe volte la brutalità <strong>del</strong> linguaggio diventa un’arma<br />

di difesa: è il caso ad esempio dei chirurghi, che in genere<br />

usano un tono brutale perché si rendono conto dei loro<br />

limiti emotivi. È lo stress, sono al limite, ma devono trovare<br />

una soluzione: questo carico emotivo si riflette sul linguaggio<br />

nei confronti <strong>del</strong>l’infermiere e purtroppo alle volte<br />

anche con il paziente.<br />

Certe espressioni utilizzate dal chirurgo, appena uscito<br />

dalla sala, con i parenti <strong>del</strong> paziente rischiano di essere<br />

davvero traumatizzanti.<br />

Io vengo definito dai miei colleghi un “riciclato”…<br />

Per noi l’accorpamento è stato un colpo di scure. Ci<br />

hanno cancellato. Ci hanno “spacchettato”, ci hanno detto<br />

“due di qua, tre di là”.<br />

Trovo che non ci sia nulla di più offensivo che sentirsi<br />

attribuire un’etichetta: “quelli di Pinerolo”, “quelli di Collegno”,<br />

“quelli <strong>del</strong> poliambulatorio”, “quelli <strong>del</strong>l’ospedale” e<br />

così via. Può essere semplificante o rassi<strong>cura</strong>nte, forse,<br />

ma lo trovo tremendamente riduttivo e banalizzante.<br />

27<br />

re il paziente, non farlo sentire<br />

come se non ci fosse o fosse<br />

invisibile ai nostri occhi.<br />

Quando comunicare è particolarmente<br />

difficile?<br />

Quando è rischioso farlo senza<br />

supporto o senza una preventiva<br />

preparazione?<br />

Condizioni di stress o un carico<br />

emotivo particolarmente<br />

pesante rischiano di generare<br />

comunicazioni assolutamente<br />

inadeguate alla <strong>del</strong>icatezza<br />

<strong>del</strong> momento.<br />

La consapevolezza <strong>del</strong> problema<br />

è il primo passo per<br />

affrontare adeguatamente tali<br />

situazioni.<br />

vedi 3.2<br />

Nei rapporti con i colleghi e<br />

con gli utenti, quali espressioni<br />

possono risultare offensive?<br />

Quali espressioni celano un<br />

pregiudizio o un più o meno<br />

velato giudizio non certo lusinghiero?<br />

Sovente le parole non soltanto<br />

descrivono la realtà, ma<br />

contribuiscono a crearla.<br />

Certe espressioni banalizzano<br />

gli eventi, ingabbiano chi<br />

ci sta al fianco e riducono<br />

le sue e le nostre possibilità<br />

espressive.


28<br />

Ter Borch, Donna che spella una patata, 1660 ca.<br />

Una donna che spella una patata sotto lo sguardo attento<br />

di un bimbo. Una scena molto semplice. Ma anche<br />

una sconvolgente rivelazione. Il pittore ci aiuta a comprendere<br />

una verità segreta che è sotto gli occhi di tutti: una donna intenta<br />

a compiere un comunissimo gesto contiene tanta grazia<br />

quanto una divinità <strong>del</strong>l’Olimpo! Ci aiuta a riscoprire la bellezza<br />

<strong>del</strong> quotidiano, celata nei gesti più semplici ed elementari.<br />

La bellezza e la virtù, ci suggerisce, non sono lontane, al di là<br />

e al di sopra <strong>del</strong>le cose <strong>del</strong> mondo. L’armonia è lì, a disposizione,<br />

trattenuta in una parola, in un gesto, in uno sguardo. Basta cercare:<br />

il senso <strong>del</strong>la vita lo si può trovare nella vita stessa.


Disponibilità Cortes<br />

Valore in gioco<br />

Disponibilità e Cortesia<br />

Il lavoro quotidiano rischia di impantanarsi in una serie di gesti<br />

meccanici e stereotipati. Non dobbiamo però cedere alle lusinghe<br />

<strong>del</strong>l’evasione e <strong>del</strong> sogno e abbandonare a se stessa la vita lavorativa,<br />

piegandola alla sola efficienza e trasformando noi stessi e<br />

il prossimo in puri mezzi o strumenti. Piuttosto cercare di trasformare<br />

la vita lavorativa dall’interno.<br />

In tal senso trova significato la cortesia. Che nulla ha a che<br />

fare con il gesto falso e manierato. La cortesia, quella autentica,<br />

è una forma d’arte applicata alle relazioni umane. È una maniera<br />

di parlare, di agire, di muoversi che implica il coordinamento con<br />

gli altri, e che costituisce il presupposto per vivere bene insieme,<br />

per produrre ordine e conciliazione all’interno e all’esterno <strong>del</strong>la<br />

comunità di lavoro senza scadere nella brutalità. Ecco perché la<br />

cortesia è stata definita una sorta di intelligenza sociale: chi è<br />

realmente cortese mette sensibilità in ciò che fa, si spinge ad<br />

esplorare il mondo così come potrebbero viverlo gli altri, si impegna<br />

per quel tanto che è in suo potere a sollevare chi lo circonda<br />

- colleghi, pazienti, utenti - dalla fatica <strong>del</strong> vivere. Scoprendo così,<br />

in cambio, che è possibile far rinascere trasformata la sua e l’altrui<br />

quotidianità lavorativa.<br />

29<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

La cortesia e l’attenzione nell’adottare le migliori forme di comunicazione<br />

vanno considerate come fattori strategici per costruire una relazione con<br />

l’utenza improntata al rispetto e alla disponibilità.<br />

La cortesia e l’affabilità devono diventare modi di comportamento<br />

capillarmente diffusi, a tutti i livelli ed in ogni situazione lavorativa.<br />

Viene richiesta e promossa una particolare <strong>cura</strong> per il linguaggio e per le<br />

modalità comunicative, verbali e non verbali, al fine di evitare volontarie<br />

o involontarie mortificazioni dei propri interlocutori.


impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />

valore:<br />

Sensibilità<br />

Coinvolgimento<br />

L’attenzione posta ad aspetti<br />

che coinvolgono il ben essere<br />

dei pazienti è incompatibile<br />

con la professionalità? O non<br />

è forse vero il contrario?<br />

Che differenza c’è tra freddezza<br />

e lucidità?<br />

Se la seconda è assolutamente<br />

necessaria per intervenire<br />

oculatamente sulle cose,<br />

30<br />

3 Professionalità<br />

3.1 Gelo<br />

Io parlo come utente: da poco sono stata operata due<br />

volte di colecisti. La prima volta sono stati molto gentili,<br />

il professore mi ha spiegato l’operazione, l’anestesista<br />

chiacchierava, ad un certo punto mi ha fatto addirittura<br />

una carezza. Mi sono sentita bene, ero in un ambiente<br />

che non mi sembrava marziano, si percepiva accordo…<br />

Mi hanno davvero coccolata, scaldata. Percepivo serenità<br />

nel personale, andavano tutti d’accordo e questo<br />

clima si estendeva a tutto il reparto. La seconda volta<br />

invece… chiusura totale. Ho notato nell’ambiente - gelido<br />

- che la qualità <strong>del</strong>la vita di chi è lì in attesa non è<br />

presa in considerazione. Tremavo dal freddo, ho chiesto<br />

una coperta. Asetticamente mi hanno detto: “Ce n’è<br />

una sola, voi siete in cinque”. Poi ho sentito dire: “Tanto,<br />

dopo, il freddo mica lo sentite”. Ho sentito le infermiere<br />

parlare: “Mancano le coperte…”, “Dillo al professore”,<br />

“Ma figurati se lui si mette a cercare le coperte…” Magari<br />

bisognerebbe anche stare a sentire che cosa prova e<br />

che cosa ha da dire “la colecisti”…<br />

Da noi in sala operatoria non si possono mettere le<br />

coperte, così i pazienti restano scoperti al freddo. Una<br />

mia collega ha l’abitudine di mettere i telini - che in sala<br />

possono essere portati - su una stufetta, per poi metterli<br />

caldi sul paziente, che va alle stelle… Noi colleghe ogni<br />

tanto sbuffiamo, ma sotto sotto proviamo vergogna perché<br />

lei persevera e dimostra che realmente non è una<br />

cosa che costa molto in termini di tempo. Allora cominci<br />

anche tu a farlo, ma di nascosto, perché “non è professionale”:<br />

l’idea ancora diffusa è quella che se sei duro,<br />

sei più professionale.<br />

La mia vecchia direttrice <strong>del</strong>la scuola per infermieri<br />

professionali ci diceva sempre che la differenza tra generica<br />

e infermiera professionale era che “voi state facendo<br />

una professione, non un mestiere.” Il messaggio era che il<br />

professionista è distaccato, non si fa coinvolgere.<br />

Ci sono operatori che pensano che la freddezza relazionale<br />

sia sintomo di maggiore professionalità. Penso che<br />

confondano freddezza con lucidità. Un conto è la lucidità,<br />

un altro è la disumanità. È vero che siamo scanditi dal


tempo, ma nonostante questo, dove si ha a che fare con<br />

persone non si può fare come i sarti o come chi ha a che<br />

fare con materiale inerte.<br />

3.2 Distacco<br />

In sala operatoria è diventata un po’ una catena di<br />

montaggio. Noi prendiamo in giro i chirurghi, diciamo che<br />

magari ci possiamo far portare su i letti a castello dal magazzino,<br />

così operiamo sotto e sopra… Questo meccanismo<br />

ha portato via molto alla mia professione. L’ambiente<br />

è asettico in tutti i sensi, non esiste molta relazione, piuttosto<br />

la velocità, l’ingranaggio che ti porta ad automatismi:<br />

il collega è abituato a starmi dietro, non c’è bisogno di<br />

dialogare.<br />

Noi ci ritroviamo per riportare le cose al gruppo e questo<br />

momento crea benessere, ci porta speranza e ci<br />

fa sentire carichi di grande responsabilità. Nel nostro<br />

Servizio non c’è burn out, abbiamo creato l’isoletta<br />

felice, anche se a volte siamo fraintesi da certi colleghi.<br />

Questo nostro coinvolgimento è percepito da<br />

alcuni come eccessivo, secondo loro comporterebbe<br />

una minore obiettività e professionalità da parte nostra.<br />

Per noi invece è un modo di lavorare e di vivere<br />

insieme ormai consolidato.<br />

Il problema è che si è pensato che si potessero fare<br />

certe cose, e bene, ma decontestualizzandole. Mi trovo<br />

a somministrare stupefacenti a pazienti di cui non conosco<br />

neanche il nome e questo toglie passione al mio<br />

lavoro<br />

Avere tempo e spazio per riconoscere e gestire le proprie<br />

emozioni è fondamentale. Se ciò non avviene il rischio<br />

è il burn out.<br />

Ho notato che in pronto Soccorso negli ultimi anni i<br />

modi di concepire la vita sono diversi, c’è un maggiore distacco<br />

<strong>del</strong>la persona, con un coinvolgimento emotivo minimo.<br />

I nuovi arrivati sono più determinati, più “esecutori”.<br />

All’inizio dicevo “hanno pelo sullo stomaco, forse va bene<br />

così”. Poi parlando con le persone non è proprio così, non<br />

sono così distaccate come sembra…<br />

Gli operatori sanitari che operano su malati terminali<br />

per anni vedono persone morire. L’unica difesa possibile<br />

Sensibilità<br />

31<br />

la prima è una trappola che ci<br />

preclude il corretto rapporto<br />

con il mondo.<br />

Il distacco dagli altri, la freddezza<br />

relazionale sono solo<br />

un tratto caratteriale e una<br />

scelta personale?<br />

Quanto impattano sul sistema<br />

lavorativo?<br />

L’automatismo ingenera rischi<br />

di isolamento. L’isolamento<br />

per un verso sottrae<br />

passione e limita la crescita,<br />

per l’altro diminuisce la reciproca<br />

vigilanza e aumenta la<br />

possibilità di errore.<br />

vedi 8.4<br />

Dove e come è possibile evitare<br />

il distacco da noi stessi,<br />

dare spazio ai propri vissuti e<br />

alle proprie emozioni?


impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />

Definire, struttura per struttura,<br />

tempi e occasioni istituzionalmente<br />

previsti a tal fine<br />

significa avviare un percorso<br />

di riallineamento e riequilibrio<br />

tra necessità <strong>del</strong>la persona<br />

ed esigenze <strong>del</strong> sistema organizzativo.<br />

Una comunicazione è innanzi<br />

tutto la relazione che essa<br />

determina: non supportata<br />

da una relazione condivisa,<br />

qualsiasi trasmissione di<br />

contenuti è destinata a vanificarsi.<br />

Quale può essere un buon<br />

principio etico a cui attenersi<br />

per progettare qualsiasi comunicazione?<br />

Comunicare significa decentrarsi,<br />

allargare il proprio<br />

sguardo, uscire da sé per immedesimarsi<br />

nella prospettiva,<br />

nella cultura, nel carattere dei<br />

destinatari.<br />

È davvero più professionale<br />

una lettera redatta in stretto<br />

32<br />

è l’anestesia emotiva. Ho lavorato per molto tempo al San<br />

Giovanni Vecchio in radiologia. Vedi spesso il malato, ma<br />

generalmente si tratta di un peggioramento…<br />

Parlare di argomenti di cui non siamo abituati a parlare<br />

può anche essere imbarazzante… Non ce l’ha mai chiesto<br />

nessuno. Saper riconoscere ed esprimere ciò che si prova<br />

nella vita professionale è difficile.<br />

3.3 Linguaggio<br />

Da studente non esisteva parlare in dialetto, perché<br />

non era considerato professionale. Certe volte invece è<br />

l’unica strategia, e il fine di ogni nostra comunicazione,<br />

non dimentichiamolo, è il successo <strong>del</strong>la relazione terapeutica.<br />

Con gli utenti, soprattutto con le persone anziane, è<br />

importante sapersi adattare, essere pronti magari a<br />

parlare in dialetto e soprattutto ad utilizzare una terminologia<br />

alla portata di chi ci sta di fronte.<br />

Un modo per mantenersi distaccati dall’utente è usare<br />

un linguaggio molto tecnico, che non sia comprensibile.<br />

Allo sportello posso sentirmi molto professionale se cito<br />

articoli, la cosa riempie di orgoglio me, ma lascia stecchito<br />

l’utente… Rendiamoci conto che abbiamo di fronte <strong>del</strong>le<br />

persone non una platea!<br />

Ci sono dei cartelli che non sono per niente chiari,<br />

magari con <strong>del</strong>le sigle... Per esempio, RRF per i più non<br />

vuole dire niente; perché non scriviamo “FISIOTERAPIA”<br />

con eventualmente vicino la scritta più tecnica? Oppure<br />

“Diagnostica per immagini”, ma la persona va “a fare i raggi”!<br />

A volte semplificare le parole a qualcuno sembra che<br />

sminuisca le strutture e le persone.<br />

Se devo scrivere una lettera che leggerà un allevatore<br />

cerco di mettermi sul suo piano, cerco di scrivere nel<br />

modo più chiaro e sintetico possibile. Una volta ne ho letta<br />

una scritta come Servizio che a fatica capivo io, e infatti<br />

non credo che i miei utenti allevatori abbiano nemmeno<br />

finito di leggerla. Che senso ha averla spedita? Non solo<br />

non ha creato informazione, ma addirittura è stato un danno<br />

perché ha creato e ha generato incertezza nell’utenza


e un carico di lavoro aggiuntivo per noi perché hanno cominciato<br />

ad arrivare molte telefonate di persone che chiedevano<br />

chiarimenti.<br />

Da anni si parla di semplificazione <strong>del</strong> linguaggio, ma<br />

ci serviamo di circolari - che nome! - che sono quasi<br />

incomprensibili. Noi sovente andiamo a dei corsi sul<br />

linguaggio e cerchiamo di lavorare in quest’ottica: tradurre<br />

i concetti in un linguaggio più semplice.<br />

A proposito <strong>del</strong>la comunicazione informatizzata: si<br />

mandano mail scrivendo senza preoccuparsi né <strong>del</strong>la<br />

forma né <strong>del</strong> tono <strong>del</strong>le parole né <strong>del</strong>l’ortografia. Come<br />

verrà percepita? Potrebbe essere fraintesa? Dopo aver<br />

scritto una mail perlomeno rileggerla dovrebbe essere<br />

abitudine diffusa…<br />

Coinvolgim<br />

33<br />

burocratese o un testo che<br />

al rigore di legge sa abbinare<br />

leggibilità, chiarezza e stile<br />

divulgativo?<br />

È per davvero un conveniente<br />

risparmio optare per la prima<br />

ipotesi?<br />

vedi 13.1<br />

Quando la forma è il contenuto?<br />

Che cosa comunica una mail<br />

o una lettera sgrammaticata,<br />

confusa, graficamente non<br />

<strong>cura</strong>ta?


34<br />

Dejneka, Le operaie <strong>del</strong> tessile,1927<br />

L’ambiente di lavoro è asettico. Le operaie si danno le spalle,<br />

l’attenzione è concentrata sulla sola mansione.<br />

Lo sguardo è fisso, l’espressione assente. Nessuna apparente<br />

emozione. Ciascuna di loro esaurisce se stessa nel ruolo<br />

ricoperto. Ridotte a semplici parti <strong>del</strong>l’apparato produttivo,<br />

assolvono al loro compito con gelido distacco.


Sensibilità Coinvolgim<br />

Valore in gioco<br />

Sensibilità e Coinvolgimento<br />

Quando l’assolvere alle proprie mansioni viene separato<br />

dall’esprimere la pienezza <strong>del</strong>la propria umana personalità si<br />

rischia di precipitare in una condizione di autismo esistenziale,<br />

di diventare alieni e quindi alienati. Il mondo circostante, fatto di<br />

cose, persone, relazioni, tende a svanire. La realtà interiore perde<br />

la sua voce. Si atrofizzano alcuni tratti peculiari <strong>del</strong>l’essere umano:<br />

la capacità di non rimanere bloccati nel proprio pensiero, l’essere<br />

consapevoli <strong>del</strong> proprio mondo interiore e di quello che ci<br />

circonda, la capacità di reagire alle proprie emozioni e non semplicemente<br />

subirle o rimuoverle. Viene compromessa la capacità<br />

di distinguere tra la propria mente e quella degli altri, si annebbia<br />

la consapevolezza che chi ci circonda può sentire o pensare in<br />

maniera profondamente diversa da noi.<br />

Il coinvolgimento si configura quindi come la disponibilità a<br />

immettere nelle dinamiche lavorative la totalità degli aspetti che<br />

determinano la nostra e l’altrui umanità. Nella consapevolezza<br />

che il distacco da sé e dagli altri comporta per gli operatori un lento<br />

logorio, per il paziente incomprensioni e pesanti mortificazioni,<br />

per l’organizzazione grandi sprechi di tempo e di risorse.<br />

35<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Tutte le Strutture / Servizi devono promuovere dinamiche e modalità di<br />

lavoro tese a favorire un fecondo rapporto tra l’espletamento <strong>del</strong> compito<br />

e l’espressione <strong>del</strong>la propria e altrui umanità.<br />

Il carico di emozioni presente nelle diverse fasi <strong>del</strong> lavoro deve essere<br />

adeguatamente considerato e gestito per evitare anestesie emozionali<br />

disfunzionali al ben vivere degli operatori e dei pazienti - utenti.<br />

I linguaggi e le forme comunicative adottati nei diversi contesti aziendali<br />

vanno attentamente studiati per essere il più possibile adattati alle<br />

caratteristiche dei diversi destinatari.


impegni verso tutte le persone<br />

valore:<br />

Responsabilità<br />

Che cosa implica l’essere responsabili?<br />

Innanzi tutto responsabilità<br />

significa lungimiranza, capacità<br />

di guardare lontano,<br />

di valutare le conseguenze<br />

complessive di un’azione.<br />

Implica chiedersi: L’utente ha<br />

davvero risolto i suoi problemi<br />

a fronte <strong>del</strong> nostro intervento?<br />

In quale condizione complessiva<br />

lo lascio? Altri dovranno<br />

intervenire per completare ciò<br />

che noi non abbiamo svolto?<br />

36<br />

4. Metterci la faccia<br />

4.1 Farsene carico<br />

La cosa importante è rendersi conto che è inutile sempre<br />

lamentarsi per le cose che non vanno; che piuttosto<br />

bisogna trovare <strong>del</strong>le soluzioni ai problemi: per esempio<br />

noi siamo riusciti a fare un accordo con le ditte fornitrici<br />

per cui queste consegnano il materiale a domicilio, direttamente<br />

a casa <strong>del</strong> paziente. Poi ci sono quelli che ti dicono:<br />

“Voi siete matti, state solo a perdere tempo”, perché,<br />

dal momento che i nostri pazienti sono prenotati da noi,<br />

facciamo tutto noi… Ma il punto è che non possiamo pensare<br />

che gente di 80 anni si metta in giro per il CUP per<br />

prenotarsi gli esami!<br />

Nel nostro Comune si è sviluppata una sorta di “cultura<br />

<strong>del</strong>la <strong>cura</strong>” nei confronti <strong>del</strong> cittadino. Per noi è<br />

importante prendere in carico il cittadino. Anche se il<br />

personale è poco e quindi in un certo senso potrebbe<br />

essere un aggravio, per noi è fondamentale congedare<br />

il cittadino, in particolare se anziano, in modo che abbia<br />

ricevuto - per sua dignità e nostra professionalità<br />

- un servizio il più possibile completo.<br />

È necessario rafforzare in un’ottica strategica alcuni<br />

punti chiave <strong>del</strong> sistema. Per esempio, l’URP non è<br />

lo sportello dove si va a chiedere “dove devo chiedere<br />

per avere l’assegno di maternità”, ma direttamente<br />

“cosa devo fare per avere l’assegno”, per poi trovare<br />

le giuste risposte.<br />

La risposta data al telefono: “Scusi, da dove chiama?”<br />

“Ah, se è da quel Comune la competenza è <strong>del</strong> mio<br />

collega, richiami domani perché oggi è assente”. Per poi<br />

magari scoprire che chi ha telefonato voleva solo sapere<br />

l’orario di apertura <strong>del</strong>lo sportello…<br />

Spesso gli utenti mi arrivano anche al terzo tentativo e me<br />

li trovo davanti confusi a pensare: “Non ho capito per la terza<br />

volta… E adesso?” Si vergognano a chiedere ancora. In questi<br />

casi bisogna fermarsi un momento, dedicargli un po’ di<br />

attenzione, magari accompagnarli, che si fa anche prima…


Se poi proprio non si riesce, magari vedi qualcuno che ti può<br />

dare una mano e gli chiedi: “Per favore accompagnalo tu”.<br />

Ci sono casi in cui per qualsiasi motivo i dati di laboratorio<br />

non arrivano al destinatario. Allora mi piace “darmi da<br />

fare” per poter comunicare lo stesso il dato; è una semplice<br />

azione per permettere di non fermare il “flusso” e per<br />

risolvere il problema.<br />

Ogni tanto scendo in Pronto Soccorso perché se non<br />

è chiara la lastra vado a vedere il paziente di persona.<br />

Penso che sia giusto prendersi un momento per entrare<br />

personalmente in una storia, in un problema…<br />

4.2 Rompere con l’anonimato<br />

C’è un cambiamento culturale che va in direzione <strong>del</strong>la<br />

figura infermieristica. Per esempio, occorre tenere conto<br />

<strong>del</strong>l’utenza nell’approvvigionamento dei materiali e quindi<br />

da un paio d’anni gli infermieri sono più coinvolti, per<br />

esempio nella scelta <strong>del</strong>le carrozzelle. Ci si deve però far<br />

carico, responsabilmente, anche <strong>del</strong>le richieste che si fanno.<br />

È contraddittorio chiedere che i medici ci riconoscano,<br />

se poi spesso siamo noi i primi a dire “Ah, è compito suo<br />

decidere, noi siamo solo infermieri…”.<br />

Non posso sempre aspettare che tutte le cose e tutte<br />

le idee mi arrivino da fuori: io comincio, tento, propongo,<br />

poi vediamo.<br />

Io cerco di essere disponibile ad ascoltare i miei collaboratori,<br />

ma a chi mi porta una critica o un problema chiedo<br />

sempre una cosa: di portare insieme al problema una<br />

possibile soluzione. Poi se questa soluzione sia fattibile o<br />

meno se ne discute, si vedrà, ma almeno si parte da una<br />

proposta di miglioramento.<br />

Responsabilità<br />

37<br />

Responsabilità è sentirsi<br />

chiamati in causa, entrare di<br />

persona - quando è opportuno<br />

e nella maniera corretta<br />

- in una storia, in un problema,<br />

nella vicenda di un’altra<br />

persona.<br />

Quali conseguenze, per noi<br />

e per gli altri, derivano dal<br />

“chiamarsi fuori”?<br />

Come è eticamente corretto<br />

rispondere a coloro che dichiarano<br />

la loro disponibilità<br />

all’ascolto?<br />

Quando una critica è leale?<br />

Richieste o esposizioni di<br />

problemi andrebbero sempre<br />

affiancate da idee e realistiche<br />

proposte di soluzione.


impegni verso tutte le persone<br />

In che modo si è responsabili<br />

<strong>del</strong> sapere appreso?<br />

Quali conseguenze si determinano<br />

quando le conoscenze<br />

acquisite rimangono<br />

patrimonio di pochi?<br />

Che cosa accade quando il<br />

gruppo rimane estraneo alle<br />

tematiche oggetto <strong>del</strong>la formazione?<br />

La responsabilità implica la<br />

compartecipazione, il sentirsi<br />

coinvolti non solo in un personale<br />

percorso di crescita,<br />

ma in un accrescimento collettivo<br />

<strong>del</strong> sapere, che il più<br />

<strong>del</strong>le volte risulta condizione<br />

necessaria all’effettiva applicabilità<br />

di quanto appreso.<br />

Quali conseguenze ha sulla<br />

nostra immagine scaricare sugli<br />

altri le responsabilità di un<br />

disguido? Quali conseguenze<br />

ha sulla coesione <strong>del</strong> gruppo?<br />

Perché presentarsi al telefono?<br />

Presentarsi è un modo per<br />

assumere su di sé il tempo di<br />

lavoro, per farlo davvero proprio<br />

contrassegnandolo con<br />

la propria firma.<br />

38<br />

Da noi è successo che venisse chiesto a coloro che<br />

seguivano corsi di formazione di relazionare al gruppo riguardo<br />

ai contenuti trattati. Questa cosa ha creato il panico,<br />

tanto è vero che a tutt’oggi non si fa. La richiesta ha<br />

messo in crisi il gruppo.<br />

Quando si apprendono certe cose e si torna carichi,<br />

con la voglia di applicare quanto appreso, sovente il gruppo<br />

fa opposizione e si rischia la frustrazione.<br />

Lavoro in Comune ai servizi per la prima infanzia. Facciamo<br />

molta formazione: alcuni momenti formativi attraversano<br />

tutto il gruppo di lavoro, ad altri partecipano<br />

solo alcune persone che successivamente hanno poi<br />

un momento per la restituzione al gruppo. Noi questo<br />

lo facciamo da tempo. Si torna carichi, è bello tornare<br />

a casa - da noi chiamiamo il Servizio “casa” - con la<br />

voglia di raccontare. L’idea di istituzionalizzare questi<br />

momenti di restituzione mi pare ottima.<br />

Davanti all’utente è importante mostrare che il Servizio<br />

è solidale e che, se è il caso, ci si sa anche scusare. Non<br />

va bene addossare la colpa al collega che è assente... E<br />

non bisogna neppure prendere in giro l’utente trincerandosi<br />

dietro al classico: “La pratica l’ha seguita un altro”. Piuttosto<br />

si “sprecano” cinque minuti e si cerca di chiarire la<br />

questione, senza che abbia strascichi spiacevoli per tutti.<br />

Penso che anche solo reciprocamente presentarsi al<br />

telefono qualificandosi può aiutare a cambiare le cose: è<br />

un segnale, ci pone in un’ottica di collaborazione. Tempo<br />

fa il nostro primario aveva notato che quando rispondevamo<br />

al telefono non ci presentavamo, così ci ha chiesto<br />

di farlo. All’inizio ci sembrava di essere al call center,<br />

abbiamo cominciato a farlo sorridendo, ci sembrava un<br />

po’ sciocco. Adesso quando chiamo in reparto mi rendo<br />

conto di quanto sia piacevole sapere con chi sto parlando.<br />

Abbiamo iniziato titubanti, ma adesso questa abitudine ha<br />

preso piede e lo facciamo tutti: “Buongiorno, sono la caposala<br />

di…., mi dica…”


4.3 Attivarsi<br />

Ho seguito una persona con una disabilità intellettiva,<br />

era un bevitore, si giocava i posti di lavoro... Allora<br />

abbiamo lavorato con la famiglia, con il Sert, l’abbiamo<br />

seguito in una convivenza guidata. Gli abbiamo cercato<br />

un lavoro con un tirocinio di due anni. È diventato bravo.<br />

Il lavoro andava bene, la relazione con i colleghi anche. Ci<br />

si aspettava che l’azienda lo assumesse, invece a fine dicembre<br />

l’azienda manda una lettera in cui dice che non lo<br />

avrebbero assunto, questo senza dire nulla agli assistenti.<br />

Io, appena l’ho saputo, mi sono attivata, ho chiamato il<br />

Centro per l’impiego perché contattasse questa azienda e<br />

chiarisse la situazione, ma l’impiegata mi ha risposto: “Ah,<br />

ma se non mi chiamano dall’azienda io non posso farci<br />

nulla”. Io ci sono rimasta male, ho cercato in tutti modi di<br />

muovermi su altri fronti, tanto che alla fine mi sono sentita<br />

dire: “Hai una casa? Vacci.” Alla fine sono riuscita a parlare<br />

con una persona che mi ha pro<strong>cura</strong>to un incontro con il<br />

Direttore <strong>del</strong> Centro per l’impiego e così siamo riusciti a<br />

contattare l’azienda. Il problema è che nel frattempo era<br />

passato molto tempo, anche l’Amministratore Delegato<br />

<strong>del</strong>l’azienda era una persona diversa, che neanche aveva<br />

conosciuto la persona coinvolta, così è stato facile dire di<br />

no a tutte le nostre proposte. Quella telefonata <strong>del</strong>l’impiegata,<br />

se fatta subito, poteva cambiare le cose. Una semplice<br />

telefonata in più poteva fare la differenza…<br />

Si sente spesso dire: “Perché mai io dovrei comportarmi<br />

in un certo modo se gli altri non lo fanno?” A parte la<br />

coerenza con i propri valori, non bisogna dimenticare che<br />

il buon esempio molte volte è contagioso!<br />

Se alcune disfunzioni si sono affermate è evidente che<br />

ci deve essere qualcuno che nel tempo le ha accettate,<br />

magari anche solo con la sua passività.<br />

Responsabilità<br />

39<br />

Quali comportamenti nel nostro<br />

lavoro possono “fare la<br />

differenza”?<br />

Quali gesti, anche apparentemente<br />

modesti, possono<br />

avere più o meno profonde<br />

conseguenze sulla vita di coloro<br />

che ci circondano?<br />

Qual è il valore e il peso<br />

<strong>del</strong>l’esempio?<br />

Rispondere in prima persona<br />

di ciò in cui si crede è essenziale<br />

per dare consistenza e<br />

credibilità alle proprie convinzioni.<br />

Senza dimenticare che<br />

con l’esempio “provochiamo”<br />

nella maniera forse più efficace<br />

coloro che ci circondano.


impegni verso tutte le persone<br />

Quali comportamenti ci rendono<br />

involontari complici <strong>del</strong><br />

mal essere lavorativo?<br />

La passività è una pericolosa<br />

forma di collusione involontaria.<br />

Chi rimane a guardare ciò<br />

che non va senza intervenire,<br />

lo legittima e gli fa spazio.<br />

Quanto tempo potrebbe venire<br />

risparmiato facendosi<br />

subito carico dei problemi<br />

affrontati?<br />

vedi 13.1<br />

Lavorando all’interno di un sistema<br />

complesso, quali conseguenze<br />

determina l’operare<br />

senza badare alle ripercussioni<br />

<strong>del</strong> proprio agire sull’intero<br />

sistema?<br />

40<br />

Nel momento in cui io chiedo qualcosa a te e tu non<br />

mi dai retta, se io non faccio e non dico niente e accetto<br />

passivamente, allora mi annullo e in qualche modo divento<br />

“complice”.<br />

Ho dovuto lottare per poter venire agli incontri <strong>del</strong>la<br />

Carta Etica. Ho saputo <strong>del</strong>l’iniziativa, ma in un primo momento<br />

non ero stata individuata per partecipare. Allora<br />

sono andata a parlare con il mio responsabile: secondo lui<br />

non ero la più adatta perché non ho a che fare con l’utenza.<br />

Ho obiettato che io ho come utenza i colleghi e il personale<br />

<strong>del</strong> mio comparto. Sono riuscita a convincerlo…<br />

4.4 Fare e rifare<br />

L’altra settimana ho chiesto di avere un masterizzatore.<br />

Faccio la richiesta con tutti i crismi, mi dicono che va bene.<br />

Poi, vengono i tecnici, si mettono lì, lo montano. Quando<br />

se ne vanno, provo a masterizzare, ma il masterizzatore<br />

non funziona… Allora telefono, spiego la faccenda. Alla<br />

fine vien fuori che io avevo chiesto il masterizzatore, sì,<br />

ma non avevo fatto richiesta per il programma applicativo,<br />

quindi loro avevano montato solo il masterizzatore. Per<br />

avere il programma applicativo dovevo fare ancora un’altra<br />

richiesta…<br />

Secondo me una cosa importante è il far bene le cose<br />

già la prima volta. Una fonte di malessere negli uffici è<br />

il dover fare, disfare, rifare i lavori. Per esempio fissare<br />

una riunione, spostarla, dover richiamare le persone…<br />

Si tratta di un malessere <strong>del</strong>l’organizzazione che si trasforma<br />

in un mal essere per le persone.<br />

Paziente che sta male, ipoteso, monitor in allarme e<br />

l’infermiere che non si sposta dalla sua postazione e continua<br />

a leggere il giornale… Intervento di un altro infermiere<br />

di un’altra stanza…<br />

Passo molto <strong>del</strong> mio tempo a dare spiegazioni che il<br />

paziente avrebbe già dovuto avere… Lavorerei molto meglio<br />

se questi utenti, nelle fasi precedenti, fossero stati accolti<br />

e informati. Secondo me è un problema di presa in<br />

carico che vale a tutti i livelli: i CUP si lamentano dei medici<br />

di famiglia che hanno informato poco e male i pazienti, i


medici si lamentano di utenti mandati allo sbaraglio con un<br />

foglio in mano…<br />

Non tutti sembrano rendersi ben conto, o forse se ne<br />

disinteressano, <strong>del</strong> fatto che se non si fa bene una certa<br />

cosa qualcun altro avrà il suo pezzo da fare più quell’altro<br />

pezzo e così via…<br />

C’è chi non vede che se stesso. Pensa di essere più<br />

furbo, ma è solamente più solo…<br />

Responsabilità<br />

41<br />

Essere responsabili significa<br />

anche lavorare pensando a<br />

quali conseguenze deriveranno,<br />

e quando (anche non<br />

immediatamente) e per chi,<br />

da un certo lavoro svolto in<br />

un certo modo piuttosto che<br />

in un altro.<br />

Chi e che cosa mortifica colui<br />

che si comporta in modo irresponsabile?<br />

Innanzi tutto se stesso con<br />

l’avvilire il senso <strong>del</strong> proprio<br />

lavoro; i colleghi minando la<br />

reciproca fiducia; l’Azienda<br />

rompendo un patto di reciproco<br />

riconoscimento; i<br />

pazienti, che proietteranno<br />

la propria insoddisfazione<br />

sull’intero sistema.


42<br />

Bruegel, Paesaggio con caduta di Icaro, 1558<br />

Il dipinto mostra l’imprudente Icaro caduto in mare.<br />

Curiosamente, lo spazio occupato dalle sue gambe<br />

che annaspano al margine <strong>del</strong> dipinto è assai ridotto.<br />

Si rischia addirittura di non notarlo. Bruegel dipinge invece<br />

in primo piano e nei dettagli i personaggi che assistono<br />

alla scena. Si tratta di un contadino impegnato ad arare,<br />

di un pastore che bada alle pecore, di un marinaio che,<br />

di fronte a Icaro, tira le sue reti; mentre una nave, a poca distanza<br />

dal malcapitato spiega le vele e si allontana. Tutti beatamente<br />

ignorano ciò che si sta consumando. Si limitano ad assolvere<br />

alle loro mansioni quotidiane. Nessuno sente la responsabilità<br />

per il giovane che sta annegando, nessuno ritiene<br />

di dover intervenire…


Valore in gioco<br />

Responsabilità<br />

Responsabilità<br />

Sul lavoro esiste in primo luogo una responsabilità di ruolo, in<br />

base alla quale siamo responsabili per ciò che riguarda l’assolvimento<br />

degli obblighi inerenti ad esso. C’è poi una responsabilità causale,<br />

che concerne la relazione tra le nostre azioni e le dirette conseguenze<br />

che ne derivano. Esiste inoltre una responsabilità morale:<br />

Verso noi stessi<br />

Lasciare andare alla deriva il proprio lavoro, scegliere la passività,<br />

non impegnarsi a farlo fruttare, significa rinunciare a vivere responsabilmente<br />

una parte significativa <strong>del</strong>la nostra esistenza.<br />

Verso i colleghi<br />

È necessario non infrangere quella sorta di fratellanza professionale<br />

che costituisce un elemento essenziale per mantenere la<br />

reciproca fiducia. Sono da evitare le connivenze con chi si sottrae<br />

ai suoi doveri, gli espliciti tentativi di scansare lavoro, i gesti con<br />

cui ci facciamo scudo con i nostri personali diritti, dimenticando<br />

di tutelare quelli di chi ci circonda.<br />

Verso il sistema organizzativo in cui siamo inseriti<br />

Occorre essere consapevoli che in una prospettiva sistemica la<br />

singola parte condiziona il tutto, che l’agire individuale ha conseguenze,<br />

alle volte di insospettata portata, sull’intero sistema.<br />

Verso il paziente - utente<br />

Cultura <strong>del</strong>la <strong>cura</strong> significa cultura <strong>del</strong>la presa in carico. Occorre<br />

maturare la capacità di valutare lo stato complessivo di colui al<br />

quale diamo il nostro servizio. Quando le circostanze lo richiedono<br />

dobbiamo risolvere nella maniera quanto più completa possibile il<br />

suo personale problema attraverso il nostro personale intervento.<br />

43<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Pur nel rispetto dei ruoli e <strong>del</strong>le competenze, vanno promossi e incentivati<br />

i comportamenti finalizzati alla completa presa in carico <strong>del</strong>l’utente -<br />

paziente e alla piena risoluzione <strong>del</strong> suo problema.<br />

Vanno combattuti, senza collusioni o connivenze, i tentativi, da parte di<br />

chiunque, di sottrarsi alle proprie responsabilità di ruolo, causali e morali.<br />

L’assolvere ai propri doveri di ruolo non deve essere disgiunto da una<br />

responsabilità morale che implica l’adoperarsi il più possibile per il ben<br />

essere comune.<br />

Viene riconosciuto il valore etico <strong>del</strong> buon esempio, che va opportunamente<br />

promosso da coordinatori e dirigenti.


impegni verso tutte le persone<br />

valore:<br />

Rispetto<br />

Se è vero che solo quando<br />

pensiamo esistiamo per davvero,<br />

ne consegue che se<br />

non siamo nelle condizioni<br />

di poter responsabilmente<br />

utilizzare le nostre facoltà razionali<br />

e la nostra autonomia<br />

di giudizio ci viene a mancare<br />

uno dei tratti che rendono<br />

davvero degno di essere vissuto<br />

il tempo di lavoro.<br />

La persona giusta al posto<br />

giusto: pur con evidenti e<br />

fisiologici limiti di sistema<br />

è questo un traguardo che<br />

dovrebbe vedere impegnata<br />

qualsiasi organizzazione.<br />

È questa una <strong>del</strong>le principali<br />

sfide per rimettere al centro<br />

<strong>del</strong>la scena economico-lavorativa<br />

il lavoratore, inteso non<br />

come anonimo e astratto individuo,<br />

ma in quanto persona<br />

in tutta la sua unicità, relazionalità<br />

e inesauribilità. Indubbi<br />

44<br />

5 Persone che lavorano<br />

5.1 Autonomia<br />

Sono coordinatore di un gruppo di lavoro molto coeso. È<br />

successo che arrivasse una persona nuova, mi ha detto: “Mi<br />

avete spiazzato: voi mi chiedete di pensare, di mettere <strong>del</strong><br />

mio, di organizzarmi il lavoro… Non ci ero abituata…”.<br />

Un medico mi ha detto: “Lei è pagato per lavorare, IO<br />

sono pagato per pensare”. Io gli ho risposto: “Se mi dice<br />

questo, Lei è pagato male!”<br />

Se nella tua decisione coinvolgi le persone con cui lavori<br />

è un conto, se invece dici: “Qui si fa così” è un altro.<br />

Abbiamo dirigenti che parlano con i collaboratori come<br />

se fossero pedine, non persone con persone. La nostra<br />

azienda diventa la scacchiera. Sentirsi pedine significa<br />

essere come una matita, eseguire certe mosse, ma non<br />

poter pensare e parlare.<br />

Io patisco la pressione “cieca” <strong>del</strong>la gerarchia: se il dirigente<br />

mi dice: “Quella telefonata non la fai”, anche<br />

se a me sembra opportuno farla, e non si degna di<br />

motivarmi in alcun modo la decisione, io la telefonata<br />

non la faccio, ma ci soffro.<br />

5.2 La persona giusta al posto giusto<br />

Spesso i responsabili non hanno la cultura per cui<br />

le persone messe al posto giusto e più soddisfatte <strong>del</strong><br />

loro lavoro lavorano meglio. A questo si aggiunge il fatto<br />

che alcuni interpretano la gestione <strong>del</strong>le risorse umane<br />

come una forma di potere. Recentemente invece il mio<br />

direttore, a seguito di un variato assetto organizzativo, ha<br />

attribuito a tutti i membri <strong>del</strong>l’équipe <strong>del</strong>le nuove referenze.<br />

Al novanta per cento le referenze sono state attribuite<br />

non solo sulla scorta <strong>del</strong>le competenze professionali, ma<br />

nel rispetto <strong>del</strong>le componenti motivazionali e caratteriali<br />

dei singoli operatori.<br />

Forse per quanto possibile bisognerebbe che ciascuno<br />

di noi riuscisse a trovare la dimensione lavorativa che<br />

gli è più consona. Ho visto persone che in contesti lavorativi<br />

diversi si esprimevano meglio, davano di più perché<br />

si sentivano più a loro agio, più soddisfatti, più valorizzati.


È possibile migliorare ancora la giusta collocazione <strong>del</strong>le<br />

persone, poi ovviamente ci sono dei limiti, dei vincoli e<br />

naturalmente non si può fare tutto, ma molto sì.<br />

Per quanto riguarda le domande di trasferimento, penso<br />

che il sistema organizzativo dovrebbe maggiormente<br />

interrogarsi su come mai qualcuno chiede trasferimento,<br />

ed eventualmente attuare misure correttive. Ci dovrebbero<br />

anche essere modalità chiare per esporre le motivazioni<br />

per cui si chiede un trasferimento.<br />

Pensandoci, se non mi trovassi bene dove sono non<br />

saprei nemmeno a chi chiedere, che cosa volere. Al massimo<br />

potrei andare dal mio Direttore, dirgli che voglio<br />

cambiare… “Bene, dove vuoi andare?” Non saprei rispondere…<br />

Come faccio a sapere dove “c’è mercato”?<br />

5.3 Valorizzare<br />

Devo confessare che in passato mi è capitato spesso<br />

di ritardare sul lavoro. Il capo mi rimproverava dal mattino<br />

alla sera. Aveva ragione, ma ero infastidita e le sue<br />

parole non mi facevano granché mutare comportamento.<br />

Ho cambiato posto di lavoro e ancora mi è capitato<br />

di arrivare in ritardo. Il nuovo capo invece che soltanto<br />

colpevolizzarmi mi ha accolto in maniera inattesa: “Meno<br />

male che sei arrivata, senza di te oggi non ce l’avremmo<br />

fatta!” Va da sé che in seguito ho fatto di tutto per essere<br />

sempre puntuale…<br />

Le poche volte che si fa una riunione, si fa di tutta l’erba<br />

un fascio: se c’è qualche lamentela da parte di qualche<br />

utente verso un operatore, questo viene utilizzato per dire<br />

che tutti non valgono nulla, che non si lavora abbastanza.<br />

Uno si impegna ma quando esce da queste riunioni si sente<br />

bastonata come un cane.<br />

Per la motivazione è molto importante la fiducia che<br />

l’Azienda ti dà. Ultimamente faccio un lavoro che mi piace,<br />

in cui credo e sono anche stata investita <strong>del</strong> ruolo di referente.<br />

Il mio responsabile mi ha detto: “Mi stai facendo fare<br />

una bella figura…”. Una gran bella soddisfazione!<br />

Un responsabile di un servizio può decidere di sollevare<br />

i collaboratori dalle loro responsabilità e accentrare le de-<br />

45<br />

Rispetto<br />

per il sistema organizzativo i<br />

ritorni in termini di autentica<br />

efficacia e vera efficienza.<br />

Come interpretare il disagio<br />

di chi chiede trasferimento?<br />

Come il sistema organizzativo<br />

si pone nei confronti di chi<br />

fa richiesta di mobilità?<br />

Come potremmo meglio monitorare<br />

e interpretare le domande<br />

di mobilità per avere<br />

informazioni utili a migliorare<br />

le dinamiche organizzative e<br />

le condizioni lavorative?<br />

Avere il coraggio di proporre<br />

ai collaboratori un diverso<br />

futuro, spingerli a destarsi<br />

dal sonno <strong>del</strong>l’abitudine,<br />

indurli a non adagiarsi, stimolare<br />

e coltivare la loro<br />

curiosità: sono impegni che<br />

riguardano chi ricopre posizioni<br />

dirigenziali?<br />

vedi 6.2


impegni verso tutte le persone<br />

Quali sfide attendono i dirigenti<br />

impegnati in un percorso di<br />

etica e di salute lavorativa?<br />

Dietro al tema <strong>del</strong> riconoscimento<br />

esiste un problema di<br />

cultura dirigenziale.<br />

Sono questi tipici casi dove la<br />

considerazione per la dignità<br />

<strong>del</strong>le persone si traduce automaticamente<br />

in maggiore<br />

efficacia ed efficienza.<br />

Maturare la necessità di affiancare<br />

al ruolo tecnicomanageriale<br />

quello di leader<br />

è un passaggio obbligato per<br />

la crescita armonica <strong>del</strong> sistema<br />

lavorativo.<br />

Attraverso quali gesti si può<br />

riuscire ad essere “prossimi” a<br />

coloro con cui ci si relaziona?<br />

vedi 3.2 - 11.2<br />

46<br />

cisioni, oppure decidere di coinvolgerli. Certo, coinvolgere<br />

e valorizzare le persone può significare farle soffrire, magari<br />

uno vuole essere lasciato in pace, uscire non un minuto<br />

dopo l’orario. Queste persone forse all’inizio potranno un<br />

po’ patire, ma avranno anche la possibilità di fiorire.<br />

Dovendo costruire il “Comitato pari opportunità” mi è<br />

sembrato giusto coinvolgere tutti: impiegati, collaboratori<br />

e operatori, una di questi ultimi, in particolare, non<br />

è soddisfatta <strong>del</strong>le proprie mansioni, così le ho chiesto<br />

di fare la Segreteria per il Comitato. Svolge bene questo<br />

compito che, di tanto in tanto, le dà mansioni diverse da<br />

quelle per cui è stata assunta.<br />

Il dirigente ormai non deve considerarsi come portatore<br />

solamente di una competenza tecnico-scientifica, che<br />

peraltro può sovente demandare ad altri; deve piuttosto<br />

vedersi impegnato a gestire la complessità <strong>del</strong>le persone<br />

e dei gruppi che coordina.<br />

5.4 Essere prossimi - Vedere ed essere visti<br />

Spesso ci si distacca troppo dal paziente. I chirurghi<br />

sono troppo presi da se stessi, dagli aspetti tecnici <strong>del</strong><br />

loro lavoro. Lasciano da parte il paziente. Anni fa era<br />

diverso, il chirurgo sapeva tutto <strong>del</strong> paziente: gli esami,<br />

i valori degli esami… Adesso neanche il nome. Il rischio<br />

è che in sala operatoria il paziente diventi un numero o<br />

una patologia con un numero annesso. Il paziente, che<br />

per me era un nome, una faccia, un’identità, viene identificato<br />

dalla patologia. Al mattino quando telefoniamo<br />

diciamo: “Portami su la colecisti, portami giù la tracheo”.<br />

L’identità, nostra e loro, rischia di non esistere più. Dobbiamo<br />

fare veloce, fare numeri. A volte ho la sensazione<br />

che il paziente non si renda nemmeno conto di che cosa<br />

sia successo...<br />

Da noi c’è attenzione verso le relazioni, sia interne<br />

che esterne. I nostri dirigenti sono vicini sia in termini<br />

fisici che organizzativi, quindi hanno presente quali sono<br />

i nostri problemi. Se sono vicino posso vedere chi mi<br />

sta intorno, posso rispettarlo, vederlo, accorgermi <strong>del</strong>le<br />

cose. Certo, questo da noi è più semplice perché la nostra<br />

è una realtà piccola e soprattutto territoriale.<br />

Più salgo di livello e più devo farmi vedere e andare<br />

a vedere.


Si può essere lontanissimi anche se si sta seduti vicini<br />

e d’altra parte se si è distanti, ma si vuole essere<br />

“vicini”, si può riuscire a farlo. È importante la volontà e<br />

la disponibilità <strong>del</strong> singolo.<br />

So che i nostri dirigenti hanno il loro bel da fare, ma<br />

qualche volta dovrebbero avere la pazienza e l’umiltà di<br />

scendere tra noi per capire che cosa vuol dire per un<br />

operatore di front line iniziare alle 8 e arrivare al pomeriggio<br />

con l’acqua alla gola, senza pause mentali, dovendo<br />

affrontare la gente faccia a faccia e gestendo una serie<br />

di cose contemporaneamente. Mi rendo conto che il mio<br />

dirigente non può avere la bacchetta magica, ma sentirne<br />

l’appoggio e la comprensione può fare la differenza.<br />

Noi i dirigenti li vediamo solo nelle grandi occasioni,<br />

ogni tanto dovrebbero andare a parlare con la donna<br />

<strong>del</strong>le pulizie, farsi una passeggiata negli uffici per comprendere<br />

davvero quali sono i problemi, le criticità, come<br />

funzionano o non funzionano per davvero le cose…<br />

47<br />

Rispetto<br />

C’è differenza tra “capire” e<br />

“comprendere”?<br />

Posso capire una situazione<br />

o una persona afferrando il significato<br />

di ciò che dice o fa.<br />

La comprendo quando riesco<br />

anche a considerare con<br />

sensibilità, attenzione e partecipazione<br />

la situazione, i<br />

sentimenti, gli stati d’animo<br />

che sta vivendo.


48<br />

Giotto, La nascita di Maria, 1305, (part.)<br />

Due donne si incontrano all’ingresso <strong>del</strong>la casa<br />

dov’è appena nata la Vergine Maria. Si scambiano un fagotto.<br />

La prima lo porge, l’altra lo afferra. Eppure tra le due avviene<br />

ben più che un semplice scambio di qualcosa.<br />

La loro attenzione non va infatti al che cosa si stanno passando.<br />

È piuttosto <strong>del</strong> tutto evidente che mentre il fagotto passa<br />

di mano le due donne si accorgono l’una <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong>l’altra.<br />

Attraverso i gesti, l’espressione dei visi, l’incrocio degli sguardi<br />

si donano mutuo riconoscimento, si scambiano reciproco rispetto.


Valore in gioco<br />

Rispetto<br />

“Rispettare” etimologicamente significa “volgersi a guardare”,<br />

“notare”. Il rispetto in primo luogo consiste nell’accorgersi che<br />

attorno a noi esistono altri esseri, che chiedono di essere visti,<br />

notati per il loro essere “persone” e non semplicemente numeri<br />

o cose.<br />

Nella vita lavorativa il rispetto consiste fondamentalmente in<br />

tre diverse forme di riconoscimento.<br />

Riconoscere le caratteristiche uniche e distintive di coloro che<br />

ci circondano. Evitare di omologarli e di assimilarli ad un genere,<br />

un ruolo o funzione.<br />

Riconoscere il diritto - dovere di avere e di esprimere idee e sentimenti<br />

propri. Favorire l’autonomia di pensiero e il senso critico.<br />

Riconoscere a tutti - colleghi e pazienti - un valore e una<br />

significatività. Non avvilire, piuttosto valorizzare e permettere la<br />

maggiore autostima possibile.<br />

È forse il caso di ricordare che le offese morali consistono in<br />

forme di mortificazione che intaccano l’integrità personale di un<br />

altro essere e gli negano i necessari riconoscimenti per farlo sentire<br />

davvero “persona”.<br />

Rispetto<br />

49<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Pazienti, utenti e operatori hanno il diritto di venire rispettati e riconosciuti<br />

in quanto persone portatrici di un’intrinseca dignità, indipendentemente<br />

dal ruolo o dalla posizione ricoperta.<br />

Vanno con <strong>cura</strong> evitate forme di mortificazione <strong>del</strong>la dignità personale.<br />

Ciascun paziente, utente e operatore va rispettato per le sue caratteristiche<br />

distintive; va favorita la sua autonomia di pensiero e di espressione; va<br />

ascoltato e valorizzato per il suo capitale umano ed esperienziale.<br />

Gli operatori che operano con diligenza e responsabilità devono trovare<br />

nei propri responsabili persone solidali, vicine e partecipi <strong>del</strong>le eventuali<br />

difficoltà professionali.<br />

Compatibilmente con i carichi di lavoro, la prossimità fisica, operativa<br />

e psicologica di direttori, responsabili e coordinatori è da ritenersi<br />

imprescindibile fattore di ben essere nel lavoro e di qualità <strong>del</strong> servizio.<br />

Nell’agire di lavoro vanno riconosciuti aspetti esistenziali che pure logiche<br />

di efficacia e di efficienza rischiano di annullare.


impegni verso tutte le persone<br />

valore: 6 Lavoro di<br />

Riconoscimento e con persone<br />

Chi sono gli “invisibili”?<br />

Come dar loro la doverosa<br />

visibilità?<br />

50<br />

6.1 Riconoscere tutti i lavori<br />

Negli anni ho vissuto molti cambiamenti. All’inizio lavoravo<br />

nel Comune di un paese piccolo, ci conoscevamo<br />

tutti. Poi sono passata all’ospedale, ma eravamo considerati<br />

figli di secondo letto: per il dirigente esistevano i reparti<br />

dove si facevano le “cose serie”, mentre noi, che avevamo<br />

i consultori e le scuole eravamo aria fritta… Lavorando nel<br />

Comune ho imparato questo: visto che eravamo quattro<br />

gatti, se, per esempio, mancava qualcuno al Protocollo,<br />

io andavo al Protocollo a coprire. Questo è molto arricchente,<br />

perché ti dà la possibilità di vedere tutti i Servizi e<br />

ti permette di considerare nella giusta prospettiva e importanza<br />

il lavoro di tutti.<br />

Ci sono persone che svolgono compiti umili, ma questo<br />

non significa che non debbano vedersi riconosciuto<br />

ciò che fanno. Basterebbe fermarsi a salutarli, informarsi<br />

sulla loro attività, apprezzare il loro lavoro quando è fatto<br />

come si deve, coinvolgerli per avere per esempio <strong>del</strong>le osservazioni<br />

sull’ambiente che, tra l’altro, conoscono bene.<br />

Sono un’amministrativa e la prima settimana di lavoro<br />

mi hanno messo in un ambulatorio, per vedere com’era.<br />

Adesso se mi arriva un paziente con una diagnosi intuisco<br />

la problematica. È bastata una settimana con gli operatori<br />

sanitari e ho imparato tantissimo. Questo è fondamentale,<br />

perché l’amministrativo è la prima persona con cui il paziente-utente<br />

entra in contatto all’inizio di tutto il processo,<br />

che comincia, occorre ricordarlo, con l’accettazione.<br />

Lavoro al CUP ed è stata una mia scelta perché mi<br />

sento portata alla relazione verso l’altro. Il problema è<br />

che questo approccio manca a molti miei colleghi, anche<br />

perché il CUP qualcuno lo vede come la “deportazione in<br />

Siberia”. Da parte dei responsabili spesso non c’è l’attenzione<br />

necessaria, ti dicono: “Tanto c’è solo da mettere in<br />

computer i dati <strong>del</strong>la prenotazione”. Ma non è vero! Bisogna<br />

essere preparati su quello che si deve dire all’utente,<br />

cosa dirgli, come dirglielo...<br />

Sono molti anni che lavoro nell’amministrazione, ho<br />

sempre cercato di fare il mio lavoro considerando il punto


Riconoscimento<br />

di vista <strong>del</strong>l’utente. La mia zona ha una natalità alta, dovuta<br />

soprattutto agli extracomunitari, quindi persone che<br />

hanno problemi linguistici. Cerco di venire loro incontro,<br />

ma mi è stato detto che a essere gentile “perdevo tempo”.<br />

Il punto è che io mi sento il biglietto da visita <strong>del</strong>l’Ente che<br />

rappresento. Sono la sua faccia. Noi che rispondiamo al<br />

telefono siamo la voce <strong>del</strong>l’Ente. Non mi sento solo una<br />

“passacarte”. Ed è per questo che quando mi dicono che<br />

sono “solo” un’amministrativa mi dispiace, mi dispiace<br />

davvero molto…<br />

La frase tipica <strong>del</strong> personale sanitario è “Se sbagliate<br />

voi amministrativi, stracciate il foglio, se sbagliamo noi è<br />

una cosa seria”.<br />

Essere un Servizio al servizio <strong>del</strong>la parte sanitaria non<br />

penso voglia dire essere inutili. Sanitari e amministrativi<br />

dovrebbero invece reciprocamente riconoscersi in un’ottica<br />

di interazione e di integrazione.<br />

Certo sta anche a noi comprendere il disagio dei sanitari<br />

obiettivamente caricati di notevoli incombenze burocratiche,<br />

cercare sempre di spiegare loro il perché <strong>del</strong>le<br />

richieste che facciamo e <strong>del</strong>le risposte che diamo, evitare<br />

di lamentarci se il timbro che è stato messo è quadrato e<br />

non tondo come prescritto…<br />

6.2 Riconoscere il lavoro svolto<br />

Se dall’alto manca l’interesse autentico per le cose che<br />

si fanno, per chi sta sotto diventa difficile andare avanti. Il<br />

rapporto con la dirigenza può essere fonte di motivazione,<br />

non tanto per l’aspetto monetario, ma in quanto occasione<br />

di riconoscimento <strong>del</strong> proprio lavoro.<br />

C’è chi pensa che riconoscere il lavoro svolto sia accessorio<br />

in quanto le persone devono lavorare bene perché<br />

questo è innanzi tutto il loro dovere e perché vengono<br />

pagate per questo. È giusto, ma solo in parte. Soprattutto<br />

è una prospettiva triste. Perché non riconoscere che qualsiasi<br />

essere umano ha una vitale necessità di essere notato<br />

e preso in considerazione dagli altri e che vive meglio<br />

se ciò che fa viene debitamente valorizzato? Non siamo<br />

automi, per fortuna!<br />

Alle volte basterebbe una pacca sulla spalla e sentirsi<br />

dire: “Brava, ottimo lavoro!” per essere incentivata.<br />

51<br />

L’amministrativo è solo un<br />

“passacarte”? Oppure può<br />

contribuire a “far salute”?<br />

Che abbia o meno una relazione<br />

diretta con l’utenza, la<br />

sua attività non incide forse<br />

notevolmente sulla qualità<br />

complessiva <strong>del</strong> servizio offerto?<br />

Quale maturità di ruolo gli è<br />

richiesta in vista di un fruttuoso<br />

rapporto con i pazienti<br />

e soprattutto con gli operatori<br />

sanitari?<br />

vedi 7.1 - 7.2<br />

Il riconoscimento <strong>del</strong> lavoro<br />

svolto è un elemento accessorio<br />

<strong>del</strong>la vita lavorativa?<br />

vedi 5.3


impegni verso tutte le persone<br />

Quali possono essere le forme<br />

di riconoscimento non<br />

monetario ad alto valore incentivante<br />

in un’ottica di ben<br />

essere etico lavorativo?<br />

Quali opportunità in tal senso<br />

offre il sistema organizzativo?<br />

vedi 5.4<br />

Quali rischi comporta non<br />

procedere all’equilibrato riconoscimento<br />

<strong>del</strong>l’impegno<br />

profuso?<br />

Quali effetti ha su chi si è<br />

direttamente impegnato e<br />

sull’intero gruppo di lavoro?<br />

52<br />

Quante volte sarebbe stato bello che un superiore fosse<br />

venuto da noi per dirci: “Brave ragazze! Anche questa<br />

volta, nonostante le difficoltà e i problemi, avete fatto un<br />

ottimo lavoro!”<br />

Ho notato che una cosa che gratifica molto i collaboratori<br />

è partecipare a convegni nazionali e internazionali<br />

in cui ci si può confrontare con altri operatori. Per questo<br />

abbiamo anche un centro pilota che ci fa da referente e<br />

siamo in continuo aggiornamento.<br />

Sono una persona fortunata, sono una coordinatrice<br />

e i gruppi infermieristici con cui ho lavorato avevano voglia<br />

di proporsi, di mettersi in gioco. Ho lavorato sulla formazione.<br />

Le possibilità di gratificare i collaboratori sono<br />

ristrette, però si può cercare di agire su altri aspetti che<br />

non siano economici. Sono riuscita a inserire gli infermieri<br />

che lavorano con me in percorsi di aggiornamento<br />

e a prospettare nuovi percorsi lavorativi legati a questa<br />

formazione. Il problema è che inizialmente la formazione<br />

è stata presentata male, legata esclusivamente agli ECM<br />

è diventata un obbligo più che un’opportunità. Ci sono<br />

alcune esperienze in cui per noi la formazione è stata il<br />

punto di partenza per sviluppare nuovi servizi, per portare<br />

avanti aspetti che in altro modo non saremmo riusciti<br />

a seguire.<br />

Seguo un lavoro complesso. Lo porto a termine dandoci<br />

l’anima. Poi si deve presentarlo al vertice <strong>del</strong>l’Azienda.<br />

Domando al mio responsabile: “Può essere utile la mia<br />

presenza?” Sentirsi dire: “No, non serve, ci vado da solo”,<br />

non motiva di certo. Col fischio che la prossima volta ci<br />

metto così tante energie…<br />

Il problema tra l’altro è che un mancato riconoscimento<br />

<strong>del</strong> lavoro causa un livellamento verso il basso.<br />

Per quanto riguarda i comportamenti virtuosi ci sono<br />

due livelli di problema: da una parte ci sono quelli che<br />

non li sentono né li seguono. Bisognerebbe insegnarglieli.<br />

Ma come si fa? Li si manda a scuola? Si manda il<br />

vigile? O l’ispettore <strong>del</strong>la qualità? Dall’altra parte ci sono<br />

quelli che hanno una forte carica etica e fanno buone<br />

cose, e allora bisogna valorizzarli, non demotivarli, non<br />

frustrarli perché sovente chi fa bene non viene riconosciuto<br />

o addirittura è visto come un rompiscatole, viene<br />

emarginato e a lungo andare rischia di non farcela più.


Riconoscimento<br />

6.3 Accompagnare il cambiamento<br />

Quando sono entrato, il primo giorno di lavoro il mio responsabile,<br />

che era una persona già anziana, alle 5.30 <strong>del</strong><br />

mattino venne allo stabilimento per presentarmi personalmente<br />

alla struttura in cui avrei preso servizio. Dopo tanti<br />

anni me lo ricordo ancora. Il capo, presentando il neoassunto,<br />

gli dà autorevolezza, non lo lascia allo sbando,<br />

è come se dicesse: “Di lui mi fido”. È un gesto dal grande<br />

valore simbolico. Un gesto come questo è anche molto<br />

responsabilizzante, perché implicitamente invita il giovane<br />

a comportarsi di conseguenza.<br />

Il mio dirigente di area è molto bravo, mi segue: quando<br />

mi sono trovata in difficoltà, magari per un lavoro nuovo o<br />

perché è stato installato un programma informatico nuovo,<br />

non mi ha mai lasciata allo sbando. Sono cresciuta moltissimo<br />

dal punto di vista professionale, anche perché lui mi<br />

ha dato fiducia accompagnandomi nel mio percorso.<br />

Un aspetto critico è rimanere all’oscuro <strong>del</strong>le cose.<br />

Eravamo sotto organico, abbiamo chiesto personale. C’è<br />

stato il concorso, noi abbiamo iniziato a chiedere, ma ci<br />

rispondevano: “Non sappiamo…”. Nonostante avessimo<br />

chiesto più volte, non ci è stato detto che un certo lunedì<br />

sarebbe arrivato il nuovo collega. Ma il problema è<br />

che non l’hanno detto neanche alla caposala! Come fai a<br />

organizzare un Servizio se neanche ti dicono che ti arriva<br />

uno nuovo? La caposala l’ha saputo per caso dalla segretaria…<br />

Non sapere genera timori e diffidenza. La diffidenza fa<br />

nascere un mare di chiacchiere, che a loro volta aumentano<br />

i timori. Per quanto riguarda ogni cambiamento credo<br />

che sia importante provare a contestualizzare quello che<br />

sta capitando, avere l’occasione di sapere di più su che<br />

cosa è successo, che cosa è cambiato, dove si vuole<br />

andare…<br />

I momenti critici di cambiamento ci sono, ma lo sono<br />

molto di più se diventano momenti in cui viene cancellato<br />

tutto il nostro vissuto. Noi ad esempio ci occupiamo<br />

di formazione, che è un’attività trasversale. Abbiamo<br />

scelto di fare un giro in tutte le strutture <strong>del</strong>l’Azienda,<br />

che sono circa 130. Ci siamo fatti 12.000 chilometri in 2<br />

mesi… È fondamentale la relazione, il contatto. Invece di<br />

distribuire la scheda dei bisogni da compilare, ci siamo<br />

53<br />

Un lavoratore che è messo<br />

nella condizione di entrare<br />

nei meccanismi lavorativi e<br />

che viene subito riconosciuto<br />

da colleghi e collaboratori,<br />

quanto riesce a migliorare sia<br />

il proprio ben essere sia la<br />

propria produttività?<br />

Quale ruolo giocano la trasparenza<br />

e la tempestività<br />

<strong>del</strong>le informazioni in vista di<br />

un equilibrato e funzionale


impegni verso tutte le persone<br />

rapporto tra Sistema e operatori?<br />

vedi 14.1<br />

Quali margini di inefficienze e<br />

di inefficacia può determinare<br />

il mancato ascolto?<br />

L’ascolto va inteso come importante<br />

fattore di miglioramento<br />

organizzativo, come<br />

modalità per migliorare la<br />

qualità <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong>le persone<br />

che lavorano e quella<br />

complessiva <strong>del</strong> sistema.<br />

Quali ricadute può avere un<br />

attento ascolto <strong>del</strong>l’utenza<br />

per ridurre i conflitti ed evitare<br />

conseguenze legali?<br />

L’ascoltare si riduce all’udire?<br />

L’ascolto deve essere inteso<br />

54<br />

divisi il territorio per andare a vedere dove “abitavano”<br />

le persone. I cambiamenti devono essere accompagnati,<br />

spiegati, perché i processi non possono essere costruiti<br />

e calati dall’alto.<br />

6.4 Prestare ascolto<br />

Se tu sei sempre di fretta, mi dici una cosa, ma nel<br />

frattempo te ne stai già andando, io magari ho qualcosa di<br />

importante o di interessante da dirti, ma se non mi ascolti<br />

io non riesco a farlo e ne risente il lavoro di entrambi.<br />

Ci hanno cambiato sistema informatico, ne hanno<br />

messo un altro, ma nessuno ha interpellato gli operatori,<br />

che quel sistema devono quotidianamente utilizzare, per<br />

eventuali suggerimenti...<br />

Dovevano comprarci <strong>del</strong>le sedie per la 626… Nessuno<br />

ci ha mai chiesto un parere. E noi stiamo otto ore sedute<br />

su quelle sedie…<br />

Per quanto riguarda i reclami, posso dire che un approccio<br />

fondato sull’ascolto risolve un numero molto alto di<br />

situazioni. Dimostrarsi disponibili all’ascolto produce effetti<br />

molto positivi e, tra l’altro, abbatte il numero dei contenziosi<br />

con i pazienti.<br />

Il CUP alle volte è un ambiente invivibile, siamo tutti<br />

insieme, c’è gente che grida, c’è l’anziano che non sente,<br />

la gente che non si sopporta, che non vuole attendere.<br />

Quando esci sei distrutta. Sono cose che sappiamo, ma<br />

che non riusciamo a dire a nessuno, o meglio sembra che<br />

nessuno abbia voglia di ascoltarle. Alle volte essere ascoltati<br />

sarebbe sufficiente…<br />

Lavoro in anestesia, un lavoro molto pesante dal punto<br />

di vista psicologico, ma senza nessun supporto di questo<br />

tipo. Trattiamo con i pazienti, parenti di pazienti deceduti<br />

o che stanno per morire, parenti di pazienti morti ma che<br />

potrebbero donare gli organi…<br />

Ho iniziato in un reparto dove ci si massacrava e dove<br />

invece ci sarebbe voluta qualche coccola al personale,<br />

un dialogo, un sentirsi capiti nelle difficoltà. Avevo anche<br />

proposto a qualche responsabile di poter aprire uno


Riconoscimento<br />

sportello per il personale, per chi soffre di burn out o per<br />

avere un aiuto psicologico. Mi hanno detto che questo<br />

“non serve”...<br />

Da noi il rischio è che gli utenti sfondino la porta: mettiamoci<br />

dalla parte di quello che si vede sfondare la porta 3-4<br />

volte... per forza non esce più, non si sente protetto. Uno<br />

non risponde più perché oltre un certo limite è stufo, vuole<br />

essere riconosciuto, rispettato, soprattutto ascoltato da<br />

qualcuno che sappia comprendere la realtà che viviamo.<br />

6.5 Dare feedback<br />

Ho seguito un corso sulle sanzioni amministrative.<br />

Quando sono rientrata ho fatto una relazione scritta di<br />

sei pagine e le ho consegnate al mio dirigente. Lui le<br />

ha archiviate e non ne ho saputo più nulla. Alla fine ho<br />

condiviso quello che avevo imparato esclusivamente<br />

con la collega con cui lavoro. Ero soddisfatta <strong>del</strong> corso,<br />

ma questo gesto di sicuro non mi ha gratificato.<br />

Essere ignorati è molto frustrante….<br />

Sovente capita che ci facciano fare cose decise non<br />

da noi, senza chiederci quali sono le nostre priorità, senza<br />

coinvolgerci e soprattutto senza darci un ritorno circa<br />

quello che è stato fatto. Per esempio, siamo stati coinvolti<br />

nella prima parte di un <strong>progetto</strong>, abbiamo fatto tutta una<br />

serie di questionari. I risultati sono apparsi sui giornali senza<br />

che noi ne sapessimo nulla.<br />

Rivedo un protocollo. Ci metto tutta me stessa. Consegno<br />

il lavoro al mio diretto superiore che lo prende, lo<br />

mette sulla scrivania e mi dice: “Quando avrò tempo…”.<br />

Sono passati più di tre mesi e non ne so ancora nulla…<br />

Quando ho aspettative che non hanno risposta, guardo<br />

il mio interlocutore e il tempo diventa eterno. Rispetto<br />

a quanto è pressante la domanda, si dovrebbe capire<br />

quanto è urgente dare una risposta. Se ad esempio un<br />

paziente suona il campanello, io devo dare una risposta in<br />

un tempo ragionevole. Certo, mi si può anche rispondere:<br />

“Ti rispondo tra un’ora, un giorno, una settimana…”.<br />

L’importante è che se pongo una domanda, per esempio<br />

al mio dirigente, devo almeno avere modo di dare una misura<br />

all’attesa…<br />

55<br />

come la migliore espressione<br />

<strong>del</strong>la considerazione per la sfera<br />

interiore <strong>del</strong> collaboratore.<br />

Per la sua fondamentale importanza<br />

occorre progettare<br />

le dinamiche di ascolto e<br />

prevedere convenienti tempi,<br />

spazi e risorse.<br />

vedi 3.2<br />

Per feedback si intende un<br />

significativo messaggio di ritorno<br />

che dal destinatario di<br />

una qualche iniziale comunicazione<br />

ritorna al mittente.<br />

L’impegno a dare risposta ad<br />

ogni segnalazione o richiesta<br />

oppure un qualche ritorno<br />

circa l’esecuzione di lavori,<br />

nella maniera quanto più articolata<br />

e tempestiva possibile,<br />

è essenziale.<br />

Costituisce uno dei modi più<br />

evidenti attraverso cui emerge<br />

l’intenzione di instaurare<br />

dinamiche lavorative improntate<br />

al reciproco riconoscimento.<br />

Indica che ci siamo accorti<br />

che non esistiamo solo noi e<br />

che il mondo è popolato da<br />

altri esseri, che chiedono di<br />

essere semplicemente notati,<br />

riconosciuti per ciò che sono<br />

e che fanno.


56<br />

Delacroix, La libertà che guida il popolo, 1830<br />

Una figura femminile seminuda, con un berretto giacobino,<br />

armata di moschetto e con la bandiera in mano,<br />

guida l’insurrezione popolare.<br />

I ribelli caricano con foga, tra i caduti e i feriti agonizzanti.<br />

Colei che guida è protesa in avanti, verso le posizioni<br />

da conquistare. Eppure che cosa guarda? Verso dove dirige<br />

lo sguardo e l’attenzione?


Valore in gioco<br />

Riconoscimento<br />

Riconoscimento<br />

Un certo rattrappimento egocentrico porta sovente a non notare<br />

la significatività <strong>del</strong> lavoro altrui, a tras<strong>cura</strong>re l’impegno e i risultati<br />

raggiunti da chi ci sta al fianco Disprezzare è piuttosto semplice,<br />

basta cedere alla presunzione e all’indifferenza. La maturità personale<br />

e la caratura professionale si misurano invece dalla capacità<br />

di riconoscere il valore di ciò che ci circonda e dall’impegno a non<br />

vilipendere la considerazione che colleghi e collaboratori nutrono<br />

per il loro lavoro.<br />

Le gratificazioni e i riconoscimenti, naturalmente se meritati, non<br />

vanno considerati come elementi accessori <strong>del</strong>la vita lavorativa. Non<br />

siamo isole e neppure automi. Ciascuno di noi si nutre di ciò che<br />

trova in se stesso e di ciò che ricava dalle persone che lo circondano.<br />

Occorre evitare di considerare il lavoro alla luce <strong>del</strong> solo dovere<br />

o <strong>del</strong>la semplice remunerazione economica a cui è commisurato.<br />

Piuttosto vitalizzarlo con la reciproca considerazione.<br />

In tal senso gioca un ruolo fondamentale l’ascolto, in particolare<br />

per chi deve dirigere. Un buon capo è innanzi tutto un buon<br />

ascoltatore. Dedica tempo ed energie per sintonizzarsi su quanto i<br />

collaboratori pensano e provano, si interessa alla vita <strong>del</strong> gruppo, fa<br />

sentire la sua vicinanza alle persone che lo circondano.<br />

Senza naturalmente dimenticare che l’ascolto attento di quanto<br />

il paziente - utente ha da dirci è condizione imprescindibile per il<br />

successo di qualsivoglia percorso di <strong>cura</strong>.<br />

57<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Tutte le figure professionali hanno pari dignità. Nessuna, pur nella<br />

differenza <strong>del</strong>le mansioni e dei ruoli, deve considerarsi o essere considerata<br />

accessoria.<br />

Le diverse Strutture/Servizi svolgono ruoli complementari e necessari<br />

al raggiungimento degli obiettivi di Salute. Va quindi decisamente<br />

scoraggiata, ad ogni livello, la reciproca non considerazione e diffidenza.<br />

Il fattivo contributo di ciascuna persona e di ciascuna Struttura / Servizio<br />

deve essere apertamente apprezzato, debitamente riconosciuto e<br />

valorizzato in tutte le forme e i modi che il sistema organizzativo offre.<br />

L’ascolto è considerato un valore chiave attraverso cui accrescere la<br />

motivazione <strong>del</strong> personale, favorire una buona relazione con l’utenza,<br />

raggiungere l’eccellenza <strong>del</strong>le prestazioni.


impegni verso tutte le persone<br />

Integrazione<br />

valore: 7 Sentirsi parte<br />

7.1 Conoscere le tappe e il traguardo<br />

Che cosa fa di un agire meccanico<br />

un agire umano?<br />

Dare “senso” a un qualcosa<br />

significa dotarlo di una ragione<br />

profonda in grado di farlo<br />

percepire come parte di un<br />

tutto più vasto.<br />

Significa dare all’agire coordinate<br />

di spazio e di tempo,<br />

tracciare una rotta che contenga<br />

un chiaro e condiviso<br />

punto di partenza e uno di<br />

arrivo.<br />

vedi 14.1<br />

Certe diffidenze tra amministrativi<br />

e sanitari possono decisamente<br />

ridursi a fronte <strong>del</strong>la<br />

comprensione e condivisione<br />

degli obiettivi perseguiti.<br />

58<br />

Sarebbe bello poter dare a ognuno la spiegazione <strong>del</strong><br />

senso di tutto il processo. Lo vedo quando lavoro con gli<br />

operai. Il problema è che spesso non c’è il tempo né l’occasione<br />

e i momenti di confronto non sono mai stati riconosciuti<br />

come degni, come utili. All’operaio dico solo un<br />

pezzetto <strong>del</strong> lavoro, magari lui sarebbe anche più bravo<br />

di me, per esperienza o perché potrebbe venirgli in mente<br />

un’alternativa migliore. Ma non ho il tempo di spiegargli<br />

tutto, così gli dico solo quel pezzo che deve fare lui. Dopo<br />

mi rendo conto che è una stupidaggine.<br />

Il problema è che non si guarda ad un obiettivo comune:<br />

ognuno lavora nel suo ufficio, per il suo ufficio. Molte<br />

volte tra colleghi ci si aiuterebbe anche, ma c’è chi ti<br />

blocca e ti dice di continuare a fornire meccanicamente i<br />

dati come si è sempre fatto. Una chiara condivisione degli<br />

obiettivi può essere la chiave.<br />

Non funzioniamo così bene come dovremmo perché<br />

c’è confusione. Abbiamo bisogno di un po’ di silenzio: da<br />

quando entri al mattino è tutto un tramestio, uno scalpiccio,<br />

un chiacchiericcio… Non riusciamo ad avere spazio<br />

per riflettere insieme, parliamo sempre <strong>del</strong>la situazione urgente<br />

che bolle, ma io piuttosto comincerei ogni tanto la<br />

giornata con una riunione programmatica, per discutere<br />

su dove stiamo andando e perché.<br />

Le cure domiciliari sul territorio sono un lavoro tosto, ci<br />

vuole capillarità, conoscenza. All’inizio mancava il coordinamento<br />

amministrativo e gestionale dei dati <strong>del</strong>le attività, che è<br />

stato creato in un secondo momento. Gli operatori, quando<br />

hanno iniziato a crocettare le attività vedevano tale compito<br />

solo come un aggravio. Allora mi sono messa a spiegare che<br />

ne va <strong>del</strong> nostro futuro se non sappiamo evidenziare quanto<br />

facciamo, chi sono gli utenti, che tipo di servizi eroghiamo.<br />

Ho spiegato che il lavoro va reso visibile e gli si deve dare<br />

dignità e riconoscimento. Nessuno mi ha detto di andare a<br />

parlare con le infermiere. E invece bisogna spiegare, così<br />

possono capire il perché di quei dati su quei foglietti.<br />

Ci sono certi servizi dove se non compili un certo foglio,<br />

che a te sembra una schiocchezza, poi la compilazione<br />

risulta essere di vitale importanza. Però <strong>del</strong>la sua<br />

importanza lo si viene a sapere sempre dopo…


Il mio direttore, prima di inviare le persone individuate<br />

ad un incontro di formazione, solitamente tiene un piccolo<br />

incontro in cui spiega il senso e le finalità <strong>del</strong> <strong>progetto</strong><br />

formativo.<br />

Ieri con i miei collaboratori ho speso un’ora per spiegare<br />

cos’è il <strong>progetto</strong> Carta Etica e che cosa avrebbero fatto<br />

nei gruppi di lavoro. Poi a chi ha deciso di partecipare ho<br />

consegnato una copia <strong>del</strong> programma.<br />

Penso che essere mandati ad un corso di formazione<br />

senza un minimo di spiegazione sia una piccola violenza.<br />

Prima anch’io pensavo che la forma non contasse, che<br />

fosse importante il contenuto. Poi ho capito che anche<br />

la forma è molto importante: non posso telefonare a mia<br />

moglie e dirle: “Tu! Dalle 5 alle 7 vai a fare la spesa.”<br />

E non penso che funzionerebbe neppure se lei facesse<br />

così con me…<br />

7.2 Comparti stagni<br />

Una grossa parte di problemi deriva dal fatto che in un’ex<br />

ASL si faceva in un modo, nell’altra si faceva in un altro modo<br />

e la forma mentis è ancora diversa, ancorata alle vecchie<br />

prospettive. Quando ad esempio nella mia Struttura faccio<br />

notare che in altre realtà è diverso, le risposte che ottengo<br />

sono: “Tu non ti preoccupare di quegli altri, qui è così”.<br />

Il rapporto con l’ufficio <strong>del</strong>l’altra sede analogo al nostro<br />

è buono: la nostra responsabile ci riunisce tutti insieme,<br />

così possiamo vederci, parlarci, è un momento di aggregazione.<br />

Certo, all’inizio non è stato facile, ma ci siamo<br />

dovuti adeguare ed integrare.<br />

Lavoro al CUP, con il lavoro che facciamo lì non c’è<br />

molto spazio per discutere insieme. Arrivi al mattino per<br />

i prelievi e ci sono già 150 persone, non c’è tempo per<br />

null’altro… Siamo al punto che ci salutiamo appena. Siamo<br />

come estranei, talmente assorbiti dall’utenza che non<br />

c’è nemmeno il tempo per dire “Ciao, come stai?”… Non<br />

c’è il tempo per il dialogo, neanche per chiedere: “Ma tu<br />

come fai questa cosa?”. L’unico momento in cui ci si parla<br />

è se c’è qualche problema grosso.<br />

Penso che una cosa che inficia tutti i nostri sforzi sia<br />

la difficoltà di comunicare. Credo che sia dovuta ad una<br />

scarsa considerazione nei confronti <strong>del</strong> prossimo. Ognuno<br />

crede che il proprio lavoro sia il più faticoso, il peggio retribuito,<br />

che gli altri facciano poco o nulla. Occorrerebbe una<br />

maggiore attenzione e considerazione per ciò che va oltre<br />

il confine <strong>del</strong> nostro orticello.<br />

Integrazione<br />

59<br />

L’atteggiamento di chi partecipa<br />

ad un percorso formativo<br />

muta a seconda che abbia<br />

o meno la consapevolezza<br />

degli obiettivi <strong>del</strong> percorso,<br />

<strong>del</strong>le ricadute attese, <strong>del</strong> significato<br />

<strong>del</strong>la propria presenza?<br />

Se sì, come?<br />

Che cosa rafforza e che cosa<br />

sfalda i comparti stagni?


impegni verso tutte le persone<br />

Occorre promuovere, a tutti i<br />

livelli e in tutti gli ambiti, non<br />

solo nuovi comportamenti<br />

ma una nuova cultura <strong>del</strong> lavorare<br />

e <strong>del</strong>lo stare insieme.<br />

L’URP è “soltanto” un servizio<br />

per una migliore comunicazione<br />

con l’utenza?<br />

L’URP è l’espressione di una<br />

nuova cultura <strong>del</strong> lavorare insieme,<br />

all’insegna <strong>del</strong>la partecipazione<br />

collettiva ad un<br />

disegno comune.<br />

Quali margini di inefficienza e<br />

di mal essere genera la centratura<br />

sulle proprie logiche e<br />

il conseguente mancato coordinamento<br />

tra ruoli e servizi?<br />

vedi 6.1<br />

60<br />

Penso che manchi la visione d’insieme, intesa come<br />

consapevolezza <strong>del</strong> fatto che il proprio lavoro ha <strong>del</strong>le ripercussioni<br />

sul lavoro di tutti gli altri. Si lavora per comparti<br />

stagni. È diventato un po’ un luogo comune dire: “Questo<br />

non mi compete”.<br />

La nostra amministrazione, aprendo l’URP, ha scelto<br />

di aiutare, di aprire una porta al cittadino: hanno chiesto<br />

a me e ad una collega, ci hanno dato tempo per<br />

prepararci, abbiamo fatto molti corsi, siamo maturate<br />

professionalmente… A me questo cambiamento è<br />

servito molto e ci siamo anche rese conto subito che<br />

i cittadini avevano accettato con entusiasmo l’URP. Il<br />

nostro problema, piuttosto, è che ci manca la cultura<br />

<strong>del</strong>la relazione: non siamo ancora pienamente accettati<br />

dai colleghi, siamo ancora dei “bambini” in quanto<br />

settore che promuove scambi e sinergie.<br />

L’URP ha la funzione di smaltimento <strong>del</strong>le richieste <strong>del</strong><br />

pubblico. Ma ci sono servizi che non passano le informazioni,<br />

mi dicono piuttosto: “Fai venire qua l’utente”. Ma perché?<br />

Non ti rubo nulla, sei tu lo specialista! Dicono: “Meglio<br />

se quella cosa la dico io”. Il problema di questo tipo di persone<br />

è che si gratificano con questo piccolo potere…<br />

Io lavoro in laboratorio, ogni tot mesi arriva l’informatico<br />

per l’aggiornamento <strong>del</strong> sistema e mi stacca tutto…<br />

Ma io devo essere in contatto con il Pronto Soccorso, non<br />

posso fermarmi così, essere bloccato in questo modo! Ma<br />

chiamami prima, che così pensiamo insieme a come facilitarci<br />

la vita e ridurre al minimo il disservizio!<br />

A causa di alcuni problemi informatici non possiamo<br />

protocollare, così abbiamo chiamato l’ufficio competente<br />

per avere il nostro numero di protocollo. Ci hanno risposto:<br />

“Non si può, dovete venire qua per averlo.” Ma<br />

ha senso, tra colleghi, e visto che siamo lontani parecchi<br />

chilometri?<br />

7.3 Scambi di saperi<br />

Scontiamo il fatto che l’organizzazione <strong>del</strong> lavoro sia<br />

in alcune sue parti obsoleta. Siamo strutturati secondo un<br />

mo<strong>del</strong>lo gerarchico: si ragiona per reparti, cardio, chirurgia,<br />

ecc. e non abbastanza per paziente da <strong>cura</strong>re. C’è bisogno<br />

di un maggior dialogo tra strutture, anche dal punto<br />

di vista <strong>del</strong> sistema informatico: per esempio, se carico<br />

un paziente nel sistema, automaticamente la sua scheda<br />

dovrebbe comparire a tutti…


Lavoro all’Anagrafe <strong>del</strong> mio Comune: è il posto in cui i<br />

cittadini si rivolgono per qualunque cosa, che sia qualcosa<br />

di nostra competenza o meno. Noi diciamo sempre<br />

agli altri servizi di tenerci aggiornati sulle procedure,<br />

anche quelle che non riguardano noi direttamente, in<br />

modo da poter ben indirizzare i cittadini.<br />

Coordino un gruppo piuttosto grande, in cui si sviluppano<br />

dinamiche individualistiche e di scarsa condivisione<br />

<strong>del</strong>le informazioni. Per cercare di risolvere il problema <strong>del</strong>la<br />

comunicazione interna abbiamo adottato il sistema di usare<br />

due quaderni per la consegna: uno per i pazienti e l’altro<br />

con tutte le informazioni che sono arrivate dall’esterno e<br />

che vanno portate all’attenzione di tutti.<br />

Di solito si viene a sapere ciò che in altre strutture non<br />

va. Dovremmo invece creare una sorta di “archivio <strong>del</strong>le<br />

buone prassi” dove sia possibile segnalare quanto di valido<br />

si sia elaborato e sperimentato, in modo tale che gli<br />

altri possano trovare spunti e ispirazione per cambiare e<br />

migliorare ciascuno la sua realtà.<br />

Noi <strong>del</strong> CUP siamo gli operatori in prima linea, dovremmo<br />

essere quelli più preparati e invece siamo gli “ultimi”.<br />

Alle volte è addirittura dall’utenza che scopri che nell’altro<br />

distretto fanno una cosa diversa da quella che fai tu, allora<br />

chiami la collega e cerchi di sbrogliartela, ma non c’è un<br />

coordinamento comunicativo, una comunicazione continua<br />

che garantisca l’omogeneità.<br />

È miope continuare a lavorare e vivere secondo il principio<br />

per cui coltivare esclusivamente il proprio orticello<br />

porta dei vantaggi. Perché quello che so non lo dico anche<br />

all’altro? Perché il sapere diventa una sorta di piccolo<br />

potere: se ciò che so lo so solo io ne faccio un uso di cui<br />

rispondo io e magari riesco ad arrivare lì prima <strong>del</strong>l’altro.<br />

Invece bisognerebbe promuovere un altro atteggiamento<br />

e dire “impara l’arte e non metterla da parte”.<br />

In passato tutti sapevano un po’ tutto, ognuno aveva<br />

la sua specializzazione, ma se mancava qualcuno non era<br />

un problema. Oggi invece la norma è che se manca quello<br />

che si occupa di una certa cosa tutto tende a bloccarsi.<br />

7.4 Conoscersi<br />

Ci sono pezzi <strong>del</strong>l’Azienda sconosciuti agli altri. Io mi<br />

occupo di prevenzione e di sicurezza sul lavoro, faccio naturalmente<br />

parte <strong>del</strong>l’ASL, ma mi è capitato più volte di<br />

Integrazione<br />

61<br />

Quali sono le conseguenze<br />

di informazioni che non circolano<br />

e di conoscenze non<br />

condivise?<br />

Le attività rimangono parcellizzate<br />

favorendo il senso di<br />

isolamento di alcune strutture;<br />

idee e buone prassi rimangono<br />

confinate in ambiti ristretti<br />

e non incidono come potrebbero<br />

sulla qualità complessiva<br />

<strong>del</strong> sistema; l’utenza<br />

percepisce un sevizio confuso<br />

e approssimativo; vanno sprecate<br />

le tante possibili sinergie<br />

tra persone e strutture.<br />

Che cosa comporta la sindrome<br />

<strong>del</strong>la gestione privatistica<br />

<strong>del</strong> lavoro?<br />

Chi ne è affetto ha un distorto<br />

senso <strong>del</strong>la mansione e <strong>del</strong><br />

ruolo che ricopre, considera<br />

ciò che sa e che fa una proprietà<br />

personale e inalienabile,<br />

che va egoisticamente difesa<br />

e fatta fruttare ai propri fini.


impegni verso tutte le persone<br />

Quali sono le strutture che<br />

sono poco sotto i riflettori o<br />

che addirittura risultano semisconosciute<br />

a molti operatori?<br />

Come favorire una maggiore<br />

conoscenza reciproca circa<br />

compiti e funzioni?<br />

Che cosa è uno stereotipo?<br />

Il più <strong>del</strong>le volte è una gabbia<br />

in cui rinchiudiamo la nostra<br />

e l’altrui libertà di pensiero.<br />

vedi 2.4<br />

62<br />

chiamare il Pronto Soccorso, qualificarmi, chiedere la prognosi<br />

di qualche paziente, perché da quello dipende il mio<br />

intervento. Mi sono sentito rispondere: “No, guardi, c’è la<br />

privacy e noi alle ditte esterne non possiamo dire nulla”.<br />

Per molti <strong>del</strong>l’azienda praticamente noi non esistiamo.<br />

Abbiamo avuto un problema con i computer. Abbiamo<br />

telefonato a chi si occupa <strong>del</strong> sistema informatico, gli abbiamo<br />

spiegato chi siamo, dove ci troviamo e questi neanche<br />

sapevano <strong>del</strong>la nostra esistenza… Ci hanno detto “Ma<br />

voi chi siete? Dove siete? Da dove saltate fuori?”<br />

La conoscenza che abbiamo circa il lavoro dei colleghi<br />

di altre strutture sovente non va molto oltre una sigla: forse<br />

sarebbe necessario che ogni struttura o dipartimento<br />

avesse periodicamente l’occasione per spiegare agli altri<br />

le sue funzioni e i suoi compiti caratteristici.<br />

Io ho due pagine scritte fitte fitte di strutture che esistono<br />

su questo territorio enorme e sto cercando di vederle<br />

tutte, ma è davvero difficile. Certi operatori non sanno<br />

nemmeno che esistono certe strutture...<br />

Noi patiamo di quella che chiamo “la solitudine <strong>del</strong>l’informatico”.<br />

Le attese dei colleghi nei nostri confronti sono<br />

sovente sproporzionate ai nostri mezzi e ciò rischia sovente<br />

di inficiare il rapporto di fiducia nei nostri confronti.<br />

È molto importante considerare le persone al di là <strong>del</strong><br />

ruolo, perché spesso siamo accecati dai pregiudizi. Quando<br />

scattano questi meccanismi si resta ingabbiati lì, l’etichetta<br />

ti assorbe, non si riesce più a staccarsela di dosso…<br />

In passato abbiamo avuto rapporti di diffidenza con i<br />

CUP vicini: l’idea di ciascuno era che “da noi si lavora tanto,<br />

là non si fa nulla, laggiù non capiscono niente” e così via. È<br />

bastata una cena tra di noi e un altro CUP, ci siamo visti in<br />

faccia, ci siamo confrontati e le cose sono cambiate.<br />

Il cambiamento si gioca molto sulle rappresentazioni, e<br />

cioè sul fatto che io mi rappresento e penso di conoscere che<br />

cosa - chi sia l’altro. È difficile incontrarsi perché ci si basa su<br />

idee precostituite. Un esempio: a noi mancano due persone,<br />

non vuole venire nessuno da noi perché le rappresentazioni<br />

dicono che da noi si lavora troppo, che da noi i capi sono<br />

<strong>del</strong>la zona, che da noi non si sa cosa succederà…<br />

Sono molto utili i corsi di formazione fatti insieme: ci si<br />

conosce, si capiscono cose circa ruoli e funzioni, si vedono<br />

le persone sotto altri punti di vista, si capisce che molti sono<br />

in gamba nonostante le etichette che magari circolano…


7.5 Lavoro d’équipe<br />

Sono la responsabile <strong>del</strong> settore in cui lavoro e credo<br />

molto nel lavoro di équipe. In questo <strong>del</strong>icato momento di<br />

accorpamento in cui ho “ereditato” <strong>del</strong> personale sto cercando<br />

di creare un gruppo unito. Sfrutto le problematiche<br />

che emergono per riunire gli operatori e insieme a loro sto<br />

cercando di unificare le procedure, nel senso di trovare<br />

un indirizzo comune per le strutture che seguo, cioè nei<br />

diversi capitolati e nei diversi servizi che formiamo.<br />

Noi facciamo training sul protocollo perché non è tanto il<br />

fare, ma piuttosto è il confronto tra colleghi che ci fa arrivare<br />

al risultato. Facciamo riunioni di gruppo tutti i giorni, perché<br />

per noi è molto importante il confronto reciproco: per<br />

esempio alcuni possono avere problemi a relazionarsi con<br />

qualche paziente, magari uno di noi può non essere preso<br />

in simpatia. Il collega a cui capita questo deve essere bravo<br />

a rendersene conto, se ne discute insieme e si decide come<br />

risolvere il problema. In ogni caso l’addestramento di ogni<br />

paziente viene condiviso da tutti gli operatori. Il percorso <strong>del</strong><br />

paziente è questo: lo si fa accedere all’ambulatorio, viene<br />

addestrato nell’arco <strong>del</strong>la mattinata, chi lo segue annota i<br />

passi avanti o indietro che il paziente ha fatto. Poi di questo<br />

se ne parla in riunione, ci si danno suggerimenti: “Potresti<br />

fare così”; “Hai bisogno di una mano? Vengo io”. A queste<br />

discussioni noi dedichiamo almeno un’ora al giorno. Sarebbe<br />

difficile non farle.<br />

A me, oltre che alcune referenze “tecniche”, è stata<br />

attribuita una referenza assolutamente innovativa: il garante<br />

<strong>del</strong>la “buona salute e <strong>del</strong> buon clima” <strong>del</strong> gruppo di<br />

lavoro.<br />

Anni fa avevamo chiesto un corso perché avevamo dei<br />

problemi a lavorare insieme, ma il tema <strong>del</strong> corso è stato<br />

spostato sul servizio all’utente perché ci hanno detto: “Per<br />

quel che mi riguarda, se vi serve questo corso per lavorare<br />

bene insieme, toglietevelo dalla testa perché di come<br />

lavorate insieme non interessa. In Alitalia cambiano le hostess<br />

sempre perché quello che importa è solo il servizio<br />

all’utente”. Per fortuna le cose stanno cambiando…<br />

Come coordinatrice io sono molto attenta a non tras<strong>cura</strong>re<br />

gli aspetti di relazione. Questa cosa mi è stata rimproverata<br />

dai miei superiori, in quanto secondo loro dovrei<br />

essere più “distaccata”. Secondo me per coordinare devo<br />

sapere quali sono i problemi e le dinamiche <strong>del</strong> gruppo.<br />

Invece mi viene detto che “alla caposala è richiesto qualcos’altro”.<br />

Allora: o sono vecchia e superata, oppure…<br />

Integrazione<br />

63<br />

Qual è il tratto distintivo di un<br />

gruppo di lavoro?<br />

I membri di un team hanno<br />

la chiara consapevolezza di<br />

essere interdipendenti, complementari<br />

e portatori ciascuno<br />

di prospettive che,<br />

proprio per la loro diversità,<br />

concorrono al raggiungimento<br />

<strong>del</strong>l’obiettivo comune.<br />

Quanto è importante un<br />

gruppo di lavoro integrato e<br />

coeso?<br />

Qual è il suo valore?<br />

Quanto impatta sulla qualità<br />

<strong>del</strong> servizio?<br />

Un gruppo non è solo una<br />

somma di individualità. È un<br />

qualcosa di più, che emerge<br />

dalle particolari relazioni tra i<br />

suoi componenti.<br />

La gestione <strong>del</strong>le dinamiche<br />

di gruppo deve quindi essere<br />

considerata come uno dei più<br />

importanti aspetti <strong>del</strong>l’attività<br />

di coordinatori e dirigenti.


impegni verso tutte le persone<br />

L’integrazione tra le persone<br />

e i ruoli e il loro reciproco riconoscimento<br />

sono alla base<br />

<strong>del</strong>l’approccio terapeutico integrato.<br />

64<br />

Ci deve essere comunicazione tra l’infermiere sul territorio<br />

e la caposala, bisogna fare un lavoro di rete. Un<br />

esempio concreto: c’è un paziente da dimettere, lunedì la<br />

caposala contatta il servizio domiciliare, dice: “Lo dimettiamo<br />

mercoledì, chi lo segue?” Se ci si parla, il mercoledì<br />

è tutto pronto. Invece capita che chiami il medico e dica:<br />

“Due giorni fa è stato dimesso un paziente, perché nessuno<br />

è andato a vederlo?”<br />

Lavoro alle cure palliative, penso che sia importante<br />

l’équipe di lavoro, sia come modalità di approccio professionale,<br />

sia come sostegno. Il mio è un lavoro molto<br />

pesante dal punto di vista psicologico e il sostegno <strong>del</strong><br />

gruppo è fondamentale. Per anni abbiamo lavorato da soli,<br />

adesso c’è una coordinatrice che ci sta un po’ rivoluzionando,<br />

ed è uno stimolo per tutti. Certo, ci sono ancora<br />

cose da migliorare. Per esempio, spesso l’affidare un<br />

paziente al nostro servizio è una <strong>del</strong>ega totale, il medico<br />

sparisce. Altre volte è troppo presente, tanto da diventare<br />

un’interferenza. Con gli altri reparti forse è questione di farci<br />

conoscere. A volte possiamo essere visti come l’ultima<br />

spiaggia, quando il paziente è alla fine, invece di essere<br />

abbandonato lo mandano da noi. Da parte di altri servizi,<br />

invece, c’è condivisione e collaborazione.<br />

Ciò che noto di grave è che spesso non sentiamo la<br />

mancanza di comunicazione, l’atteggiamento corrente è:<br />

“È il mio paziente, me lo vedo io”.<br />

Sono coordinatrice dei servizi palliativi domiciliari e<br />

quindi ho contatto con diversi servizi. Il gruppo di lavoro<br />

è l’elemento fondamentale che qualifica il servizio offerto<br />

e non è dato dalla semplice somma degli elementi che lo<br />

compongono. È qualcosa che si crea a seguito <strong>del</strong>l’integrazione<br />

di una serie di specificità. Il nostro è un gruppo<br />

multidisciplinare, che riunisce competenze diverse e che<br />

possono entrare in conflitto tra di loro nella <strong>cura</strong> <strong>del</strong>lo stesso<br />

paziente. Abbiamo infatti un’utenza primaria, che è il<br />

paziente; un’utenza secondaria, i familiari <strong>del</strong> paziente; e<br />

un’utenza terziaria, che sono i colleghi degli altri servizi, le<br />

associazioni di volontariato, servizi diversi con cui si può<br />

entrare in contatto. Bisogna tener conto di tutto lavorando<br />

tutti insieme!<br />

7.6 Incontri istituzionalizzati<br />

Da un anno e mezzo ho funzioni di caposala. È un bel<br />

gruppo, mi sento fortunata a lavorare con loro. Adesso<br />

stiamo cercando di crearci e pianificare dei momenti di<br />

discussione perché parlare solo in corridoio lamentandosi<br />

fa male al gruppo. Invece è di aiuto poter avere lo spazio


e il tempo per una discussione finalizzata a far emergere<br />

critiche costruttive.<br />

Noi facciamo incontri giornalieri con medici e infermieri,<br />

li facciamo al cambio turno e riguardano i pazienti e quello<br />

che è successo in reparto. Tutti i giorni, tra le 14 e le 15<br />

facciamo questi incontri che sono più di un passaggio di<br />

consegne… A volte abbiamo più tempo, altre volte meno,<br />

ma è comunque molto importante incontrarsi.<br />

Noi ci incontriamo una volta alla settimana per un paio<br />

d’ore. Ognuno parla <strong>del</strong> proprio paziente, ma poi, dopo<br />

aver detto la sua, ciascuno si fa i fatti suoi, manda messaggini,<br />

legge un libro. Poi però si lamentano che “non si<br />

fanno riunioni”…<br />

Io lavoro in un Servizio in cui, nonostante si stia in spazi<br />

ridotti, riusciamo lo stesso a ignorarci, a non salutarci. Il<br />

nostro direttore ha sospeso le riunioni di confronto perché<br />

non servivano se non a lamentarsi reciprocamente.<br />

Da noi molte volte le riunioni non vengono fatte perché<br />

generano conflitti, quindi si evita di farle: è un modo per<br />

fuggire il problema…<br />

Non basta mettere le persone attorno ad un tavolo!<br />

La comunicazione è fondamentale, ma una comunicazione<br />

efficace non si improvvisa. Per esempio, una riunione<br />

informativa non è una riunione formativa, e in certe riunioni<br />

di revisione non si discutono casi complessi...<br />

Integrazione<br />

65<br />

Quanto è importante la pianificazione,<br />

la periodicità e<br />

la calendarizzazione dei momenti<br />

di incontro?<br />

Con quale atteggiamento<br />

partecipare ad una riunione?<br />

Una riunione è un’occasione<br />

attraverso cui manifestare il<br />

proprio coinvolgimento nella<br />

vita <strong>del</strong> gruppo e il maturato<br />

riconoscimento <strong>del</strong>l’altrui dignità.<br />

L’esposizione <strong>del</strong>le proprie<br />

idee e l’ascolto di quelle<br />

altrui devono quindi sempre<br />

essere intesi come espressioni<br />

comunicative strettamente<br />

complementari.<br />

Perché non sia una perdita di<br />

tempo o un incontro confuso<br />

la riunione va pianificata, guidata<br />

e gestita diversamente a<br />

seconda <strong>del</strong>le sue funzioni.


66<br />

Bruegel, La parabola dei ciechi, 1568<br />

Un gruppo di ciechi percorre la campagna.<br />

Il primo <strong>del</strong>la fila cade in un fosso. Il secondo gli rotola addosso.<br />

Uno alla volta, in maniera <strong>del</strong> tutto scoordinata,<br />

tutti gli altri faranno la stessa fine.<br />

Perché tutti i ciechi cadono nel fosso? Hanno forse avuto<br />

un’eccessiva cieca fiducia in colui che li guida? Può essere.<br />

Curioso però che, benché privi <strong>del</strong>la vista, sembrino non servirsi<br />

degli altri sensi. Perché chi cade non avverte con la voce gli altri?<br />

Oppure, se lo fa, perché gli altri non lo ascoltano?


Valore in gioco<br />

Integrazione<br />

La sorte dei ciechi di Bruegel richiama alcune patologie <strong>del</strong>la vita<br />

organizzativa. Le dinamiche lavorative spingono sovente gli operatori<br />

a vivere relazioni meccaniche e strumentali. L’abitudine a chiudersi nei<br />

propri confini professionali determina l’assenza di immedesimazione<br />

nell’altro e l’incapacità di decentrarsi per fare posto all’altrui prospettiva.<br />

La mancanza di abitudine al confronto produce isolamento e assenza<br />

di visione d’insieme. L’incapacità di coordinare gli sforzi causa<br />

il depauperamento <strong>del</strong>le risorse individuali e sacche di inefficienza e di<br />

inefficacia <strong>del</strong> sistema.<br />

Quando il raggiungimento <strong>del</strong>l’obiettivo dipende dalla capacità di<br />

integrare risorse (informazioni, conoscenze, esperienze) che sono in<br />

possesso di persone diverse, occorre maturare una corretta idea di<br />

integrazione. Che non vuol dire fondersi e annullarsi in un’unica forza<br />

perdendo la propria identità e i propri caratteri distintivi. Integrazione<br />

significa coordinamento attraverso il mutuo riconoscimento, completamento<br />

reciproco, processo che rende appunto “integro”, cioè senza<br />

menomazioni, il sistema organizzativo attraverso il corretto raccordo<br />

<strong>del</strong>le parti che lo costituiscono.<br />

Integrazione<br />

67<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

La logica dei comparti stagni è dannosa per la qualità <strong>del</strong>la vita di lavoro<br />

e per la funzionalità <strong>del</strong> sistema organizzativo. Vanno quindi scoraggiati i<br />

comportamenti improntati alla chiusura e all’arroccamento.<br />

Ciascuna Struttura / Servizio deve maturare interesse per logiche, priorità,<br />

procedure <strong>del</strong>le altre parti <strong>del</strong>l’organizzazione, in vista di una corretta<br />

armonizzazione <strong>del</strong>le funzioni e dei servizi offerti.<br />

Favorire presso tutti gli operatori la conoscenza degli obiettivi <strong>del</strong>la<br />

Struttura / Servizio deve essere considerato elemento essenziale per una<br />

vita lavorativa retta da un principio di partecipazione responsabile.<br />

L’integrazione tra ruoli Sanitari e Amministrativi, tra Ospedale e Territorio è<br />

nevralgica per il raggiungimento dei traguardi di Salute.<br />

Vanno incoraggiati, a tutti i livelli e in tutti i ruoli, gli scambi di saperi<br />

finalizzati a rendere patrimonio organizzativo le conoscenze di singole<br />

persone o Strutture. Gli incontri all’interno e tra Strutture / Servizi finalizzati<br />

alla reciproca conoscenza e all’integrazione dei saperi vanno considerati<br />

parte integrante <strong>del</strong>l’attività lavorativa.<br />

Il gruppo di lavoro e il lavoro di gruppo vanno considerati elementi cruciali<br />

per la qualità <strong>del</strong> servizio offerto. Devono quindi essere debitamente<br />

monitorati, tutelati e promossi da coordinatori e dirigenti.


impegni verso il nostro lavoro<br />

valore: 8 Produrre futuro<br />

Speranza<br />

Coraggio 8.1 Zavorre<br />

Come reagire di fronte a coloro<br />

che sembrano rifiutare la<br />

possibilità stessa <strong>del</strong> cambiamento<br />

e fanno <strong>del</strong>lo scetticismo<br />

il loro vessillo?<br />

Tra le altre si aprono due<br />

possibilità.<br />

Da una parte evitare di farsi<br />

contagiare dal loro atteggiamento,<br />

moltiplicando le<br />

occasioni di incontro e di<br />

confronto con coloro che,<br />

anche all’interno <strong>del</strong> <strong>progetto</strong><br />

“Carta Etica”, si impegnano<br />

al miglioramento <strong>del</strong>la vita<br />

lavorativa.<br />

Dall’altra non cercare di farli<br />

cambiare a tutti i costi, piuttosto<br />

non rinunciare a “dissodare”<br />

il terreno con spunti e<br />

continue proposte.<br />

Che cosa può significare vivere<br />

un grande cambiamento<br />

come l’accorpamento senza<br />

ingenue illusioni, ma anche<br />

senza croniche diffidenze?<br />

68<br />

Alcuni colleghi ti buttano addosso tutta la loro demotivazione:<br />

tutto va male, tutto è negativo, il turno, il paziente…<br />

Tolgono l’aria, impediscono di respirare, ti spingono a<br />

pensare: “Ma chi me lo fa fare?”<br />

Certi ti dicono: “Ma vale davvero la pena impegnarsi<br />

in questa cosa, che poi magari lavori solo di più?” Ma il<br />

punto è che io qui ci vengo tutti i giorni e devo viverci otto<br />

ore. Se poi i frutti sono per quelli che verranno dopo, non<br />

importa, sono soddisfatta lo stesso.<br />

Dopo un corso di formazione sono tornata in ufficio<br />

tutta entusiasta e ho provato a spiegare che cosa avevamo<br />

fatto. Mi hanno fermata dicendo: “Tanto per la gente<br />

che c’è qui dentro non si può riuscire a fare niente…”. Mi<br />

ha intristito.<br />

“È inutile, tanto qui non cambierà mai nulla…” E così ti<br />

smontano tutto quello che cerchi di fare…<br />

Non penso che l’importante sia sempre che le persone<br />

si persuadano di qualche cosa, piuttosto riuscire a innescare<br />

una discussione, far smuovere la crosta di apatia di<br />

certe persone.<br />

8.2 Osservatori partecipi<br />

Ognuno di noi ha le proprie croci, ma bisogna credere<br />

nel proprio lavoro. Ho molti anni di servizio, la pensione<br />

non è lontana, ma questa cosa <strong>del</strong>l’accorpamento mi interessa<br />

e voglio parteciparvi. E poi non ho fretta di rinchiudermi<br />

nella pensione, ho ancora bisogno di confrontarmi<br />

con le persone.<br />

Nei confronti <strong>del</strong>le novità, ad esempio <strong>del</strong>l’accorpamento,<br />

conta molto l’atteggiamento che si adotta. Se l’atteggiamento,<br />

mio e <strong>del</strong> mio ufficio, è di chiusura, <strong>del</strong> tipo<br />

“diventiamo solo più grandi, non ci verrà niente di nuovo” è<br />

un conto; se invece abbiamo un atteggiamento di apertura,<br />

non ingenua, certo, e pensiamo: “possibile che debba<br />

proprio andare tutto male?” allora forse possiamo riuscire


Speranza Coraggio<br />

a prendere il meglio <strong>del</strong>le diverse realtà, possiamo pensare<br />

che si stia tentando di mettere insieme, confrontare,<br />

condividere per migliorare. Forse l’atteggiamento migliore<br />

è quello di essere osservatori partecipi, non tanto preoccupandosi<br />

solo di vedere “come andrà a finire”, piuttosto<br />

di come contribuire a far procedere al meglio le cose.<br />

Deve essere chiara la fisiologia <strong>del</strong> cambiamento: non<br />

possiamo sgranare gli occhioni o arrabbiarci se una macchina<br />

così grande ha bisogno di tempo per trovare la strada.<br />

Prendere atto di questo aiuta a rilassarsi un attimo.<br />

8.3 Cambiamenti<br />

Alcuni ti dicono: “Per vent’anni abbiamo fatto così,<br />

perché dovremmo cambiare?” Pensano che una cosa<br />

vada bene solo perché è così da molto tempo…<br />

Da me c’è poca routine, certe giornate ti senti addirittura<br />

un principiante… Ma tra gli operatori quasi nessuno<br />

riesce ad apprezzare ciò che di buono porta la costante<br />

novità, piuttosto si chiedono solo quando tutto finirà…<br />

Il presupposto è che ci sia <strong>del</strong> personale disposto<br />

a lavorare non con il freno a mano tirato. Se invece hai<br />

gente che dice: “Mah, non so… Mah, boh…. Mah, sei<br />

proprio si<strong>cura</strong>?” allora non si va da nessuna parte.<br />

Di ritorno da qualche corso di formazione ho pensato<br />

che sarebbe bello riuscire a condividere quello che avevo<br />

appreso. Invece ho difficoltà a farlo, un po’ per i tempi,<br />

un po’ perché c’è poca voglia di sperimentare e manca<br />

ancora la cultura <strong>del</strong>l’innovazione.<br />

A me sembrerebbe indecente seguire un percorso o<br />

partecipare ad un <strong>progetto</strong> e poi dopo non fare nulla perché<br />

abbia corso!<br />

Ci siamo messi intorno ad un tavolo, per decidere<br />

come fare un protocollo terapeutico. Abbiamo discusso,<br />

abbiamo deciso, ci hanno dato gli incentivi, poi però<br />

nessuno lo faceva. Non è solo colpa dei responsabili, ma<br />

anche degli operatori che sono restii a cambiare lo stato<br />

<strong>del</strong>le cose. A volte si impiegano 10-15 operatori su un <strong>progetto</strong>,<br />

stanzi dei soldi, poi non viene applicato o applicato<br />

solo in parte…<br />

69<br />

Muoversi e pensare in modo<br />

“circospetto” può essere un<br />

buon atteggiamento, portare<br />

il proprio contributo guardandosi<br />

costantemente attorno,<br />

notando sia quanto ancora<br />

non funziona come dovrebbe<br />

sia quanto sta incominciando<br />

a dare i suoi frutti.<br />

vedi 6.3<br />

Perché sperimentare?<br />

A chi giova l’innovazione?<br />

Certamente il fine ultimo è un<br />

servizio sempre di maggiore<br />

qualità, ma dobbiamo essere<br />

consapevoli che lo sperimentare<br />

ha un grande valore anche<br />

per gli operatori in esso<br />

coinvolti: crea una sana emulazione<br />

tra reparti, favorisce<br />

lo spirito di gruppo, aumenta<br />

l’orgoglio per il proprio lavoro,<br />

riduce l’usura <strong>del</strong>la motivazione.<br />

In quale misura i processi di<br />

cambiamento dipendono anche<br />

dalla volontà e dalla responsabilità<br />

personale?<br />

vedi 6


70<br />

Durer, Il cavaliere, la morte e il diavolo, 1513<br />

L’incisione presenta al centro un cavaliere armato di tutto punto.<br />

Procede a cavallo, eretto, lo sguardo fisso sulla meta.<br />

Attorno a lui trotta la morte: monta un ronzino e tenta<br />

di adescare il cavaliere mostrandogli lo scorrere <strong>del</strong> tempo.<br />

Lo segue il diavolo, armato di una picca. Al suo fianco corre<br />

un cane. Tra le zampe <strong>del</strong> cavallo sguscia una salamandra.<br />

L’opera è una potente allegoria <strong>del</strong>la condizione umana.<br />

Il cavaliere simboleggia il coraggio di esistere e di affermare<br />

la propria umanità, sempre e nonostante tutto.<br />

Nonostante la morte e il senso di insignificanza di molti<br />

dei nostri sforzi, pur nella consapevolezza <strong>del</strong>l’ineluttabile<br />

termine di ogni cosa.<br />

Nonostante il diavolo, il rapprendimento in noi stessi, il cinismo,<br />

l’asservimento agli istinti. Un uomo, armato <strong>del</strong>le sue speranze,<br />

forte <strong>del</strong>le sue aspirazioni. Accompagnato dalla fe<strong>del</strong>tà<br />

ai propri ideali.<br />

Nel segno <strong>del</strong> coraggio e <strong>del</strong>la resistenza contro i cedimenti.


Speranza Coraggio<br />

Valore in gioco<br />

Speranza e Coraggio<br />

Un senso di stanchezza e di disorientamento prima o poi colpisce<br />

tutti coloro che lavorano. C’è chi si rassegna e si arrende al<br />

mal essere a tal punto da non sentirlo più. Altri si sforzano di non<br />

abbandonare la speranza, che altro non è se non la scelta di riservarsi<br />

una libertà dai vincoli di un passato che zavorra, di un presente<br />

che si accontenta di sé, di un futuro privo di prospettive.<br />

Certo non è semplice coltivare il coraggio <strong>del</strong>la speranza.<br />

Soprattutto per la presenza di coloro che hanno fatto <strong>del</strong>lo<br />

scetticismo la loro bandiera, che con il loro cinismo manifestano<br />

indifferenza e disprezzo per qualsiasi slancio ideale. Con i loro<br />

moniti all’insensatezza di ogni nuova idea o prospettiva, vivono<br />

nella rassegnazione e rischiano di contagiare chi incontrano. Non<br />

cedere alle loro lusinghe mantenendosi aperti alle sollecitazioni<br />

<strong>del</strong>l’ambiente lavorativo, significa scegliere di credere alla vita e al<br />

suo inesauribile divenire.<br />

71<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Il futuro lavorativo va inteso non tanto come qualcosa dal quale difendersi<br />

e premunirsi, ma come dimensione verso cui dirigersi con atteggiamento<br />

costruttivo e partecipativo.<br />

Vanno scoraggiati e combattuti, in chiunque e a tutti i livelli, atteggiamenti<br />

e parole che possano minare nelle persone il gusto e il piacere di realizzare<br />

il ben fare e perseguire il buon vivere.<br />

Il cambiamento di procedure, tecniche, idee, prospettive - se debitamente<br />

motivato e accompagnato - deve essere considerato una fisiologica<br />

condizione lavorativa, essenziale per raggiungere sempre migliori soglie<br />

di qualità <strong>del</strong> servizio e <strong>del</strong>la vita professionale.


impegni verso il nostro lavoro<br />

valore:<br />

Considerazione<br />

Che cosa determina l’alta<br />

considerazione per il proprio<br />

lavoro?<br />

Tra le altre cose, la consapevolezza<br />

che con il lavoro,<br />

sanitario o amministrativo<br />

che sia, non tocchiamo solo<br />

organi o pratiche, ma incidiamo<br />

sull’esistenza <strong>del</strong>le persone,<br />

sulla loro complessiva<br />

condizione di salute e di ben<br />

essere.<br />

Che cosa significa essere esigenti<br />

verso il proprio lavoro?<br />

È importante considerarlo<br />

una dimensione dove trascorriamo<br />

e dove quindi mettiamo<br />

in gioco, nel bene o nel male,<br />

72<br />

9 Esser desti<br />

9.1 Tenerci<br />

In mensa ci sono stati cambiamenti notevoli: si mangiavano<br />

poche cose, sempre quelle, mentre per me diversificare<br />

le cose è un valore. A chi sta tutto il giorno allo<br />

sportello fa piacere, quando va in mensa, trovare un menu<br />

diverso. È un momento di stacco, di relax. Io sento dire:<br />

“Per 1 euro di ticket che pagano non ne vale la pena.” Ma<br />

è per te stesso, per la tua professionalità di cuoco! Ed è<br />

per la possibilità di poter dare qualcosa a una persona<br />

che ne trae piacere! Per esempio, noi facciamo le lasagne,<br />

le facciamo proprio noi. Forse pretendo troppo dai<br />

miei collaboratori, ma io ci tengo…<br />

Penso che la soddisfazione più grande che possa<br />

derivare da qualunque lavoro sia sentire di aver concretamente<br />

contribuito a migliorare una frazione di vita<br />

di qualcun altro, sia esso un paziente, un utente o un<br />

collega.<br />

Sono stato contattato da una coppia di utenti per <strong>del</strong>le<br />

informazioni. Si vedeva che erano parecchio preoccupati.<br />

Pur non essendo tenuto a dare quelle specifiche informazioni,<br />

ho spiegato una serie di dettagli. Si sono tranquillizzati.<br />

Per me è stato un piacere e una grande soddisfazione<br />

vederli andare via dall’ufficio con il sorriso sulle labbra, più<br />

sereni e fiduciosi.<br />

Sono una coordinatrice, ma vivo una situazione d’ansia<br />

perché mi sento un po’ fuori luogo. Per me è molto<br />

importante trovare sempre qualcosa di nuovo, ma mi viene<br />

detto che non devo pensare troppo perché sono diventata<br />

un “problema”. Con i colleghi cerco di fare riunioni, condividere<br />

i problemi, ma ci sono sempre cose “più importanti”.<br />

Per un verso “faccio quello che devo fare e basta”, ma<br />

per l’altro sento anche la responsabilità nei confronti <strong>del</strong><br />

mio lavoro. Mi hanno detto quando sono così di “farmi un<br />

giro di corsa intorno all’isolato.”<br />

Io sono un’amministrativa e nel nostro ambito spesso<br />

<strong>del</strong>la pratica ne fai solo un pezzo e poi la passi ad un altro.


Ma poi di quella pratica che cosa succede? “Ma che ti importa…”<br />

si sente dire. Ma come “che importa”, è il mio lavoro!<br />

9.2 Andare oltre<br />

Considerazione<br />

Quando un collega mi chiede qualcosa che esula dalla<br />

mia stretta competenza e non ho la risposta pronta dico:<br />

“Non lo so, ma aspetta un momento che mi informo.” Lo<br />

faccio perché io non sono un robot e chi è dall’altra parte<br />

<strong>del</strong> filo neppure. Tra l’altro è gratificante, perché poi vieni<br />

riconosciuto come portatore di certe informazioni.<br />

Certo, questo è un momento critico, ma credo che<br />

molto dipenda dalle modalità con cui si affrontano i cambiamenti.<br />

Per esempio, se chiama qualcuno per un’informazione<br />

posso dire: “Non so, non lo facciamo più noi”,<br />

dimenticarmi <strong>del</strong>la persona dall’altra parte <strong>del</strong> filo e lasciarla<br />

nel suo brodo. Altra cosa è cercare di dare una<br />

mano, cercare il numero <strong>del</strong>l’interlocutore giusto, provare<br />

a informarsi. A volte magari non hai proprio tempo, allora<br />

dici: “Richiamami tra 10 minuti che ora sono impegnata,<br />

tra poco se posso cerco di aiutarti”.<br />

Io lavoro sul territorio, ma se mi chiedono dei dati sulla<br />

mortalità <strong>del</strong>la mia zona, non basta mandare i dati e finita<br />

lì. Occorre inserire una legenda per permettere alle persone<br />

di leggere questi dati e magari anche una qualche introduzione<br />

che sia di commento. La comunicazione deve<br />

essere comunicazione vera!<br />

Quando riesco a mettere la dovuta attenzione in ciò<br />

che faccio, riesco a capire che cosa mi sta realmente<br />

chiedendo l’utente. Ci metto quel minuto in più che poi<br />

me ne fa risparmiare altri 20 ed evita un mucchio di fraintendimenti.<br />

In ambulatorio è arrivato un utente chiedendo <strong>del</strong> denaro.<br />

Gli è stato risposto dai colleghi che il denaro è elargito<br />

su <strong>progetto</strong>, che non è possibile dare denaro così.<br />

Questo utente lo conosco, è una persona che già si era<br />

presentata in altri posti con la stessa richiesta. I colleghi<br />

hanno dato una risposta tecnica, corretta, in modo esauriente.<br />

Nulla da dire. In effetti, la sua richiesta di denaro<br />

73<br />

una gran parte <strong>del</strong>la nostra<br />

esistenza.<br />

L’autentica vita lavorativa inizia<br />

nel momento in cui si va<br />

oltre il mero adempimento<br />

burocratico, quando si stringono<br />

i nodi di senso che legano<br />

l’agire a noi stessi e alle<br />

persone che ci circondano.


impegni verso il nostro lavoro<br />

Che cosa può significare mettere<br />

attenzione in ciò che si fa?<br />

Essere attenti è anche andare<br />

oltre la mera superficie degli<br />

eventi. È scendere nella profondità<br />

<strong>del</strong>le cose. Non confondersi.<br />

In molti casi posso ad esempio<br />

limitarmi a rispondere alla<br />

domanda che mi viene esplicitamente<br />

posta oppure riconoscere<br />

in filigrana quella<br />

domanda più profonda che il<br />

mio interlocutore da solo non<br />

riesce o ha timore di formulare,<br />

ma che rappresenta il cuore<br />

<strong>del</strong>la relazione terapeutica.<br />

Essere attenti significa quindi<br />

chiedersi: Che cosa mi sta<br />

davvero chiedendo l’utente?<br />

Qual è il suo vero problema?<br />

vedi 13.1<br />

74<br />

nascondeva altro, era una richiesta nascosta di attenzione.<br />

Appena sono rientrata e ho saputo che era passato<br />

mi sono attivata: questa persona è stata richiamata ed<br />

effettivamente si è detta disposta a farsi aiutare anche<br />

senza il denaro.<br />

Un medico che usa la segreteria in maniera sistematica<br />

non ha capito che alcune cose richiedono un<br />

contatto diretto con il paziente. Finché si tratta di una<br />

prescrizione ripetitiva, tipo l’insulina per i diabetici, va<br />

bene il filtro, ma se un paziente ti chiede degli esami,<br />

allora bisogna dedicargli attenzione. Il paziente che ti<br />

chiede molte volte la stessa cosa è una persona che ha<br />

bisogno non tanto di qualcuno che risponda alla sua domanda,<br />

ma piuttosto di qualcuno che gli dia la risposta<br />

di cui ha davvero bisogno.<br />

C’è anche l’aspetto <strong>del</strong> dare un contenimento, dare un<br />

limite all’ansia <strong>del</strong>l’utente. La capacità da parte <strong>del</strong>l’operatore<br />

deve essere quella di creare una relazione proficua.<br />

Quando l’utente ha alle spalle tutta una serie di problemi<br />

che lo angosciano, l’operatore deve avere un criterio per<br />

dare una risposta rassi<strong>cura</strong>nte e, ancora meglio, esaustiva.<br />

Attraverso alcuni dati, alcuni segnali, bisognerebbe saper<br />

gestire queste situazioni.<br />

9.3 Cogliere le opportunità<br />

Per quanto riguarda la formazione, grazie all’accorpamento<br />

noi logopediste, che come figure professionali<br />

siamo poche, siamo riuscite tutte insieme a fare corsi di<br />

aggiornamento unificati e quindi più corposi.<br />

Quando ho iniziato a lavorare nell’ASL, ho un po’ sofferto<br />

per il fatto di essere l’unica con la mia qualifica. Adesso,<br />

con l’accorpamento, ho scoperto che nell’altra ex ASL<br />

c’è un’altra persona come me, e così ci siamo già sentite<br />

per confrontarci e imparare l’una dall’altra.<br />

Negli accorpamenti, inutile negarlo, ci sono lati negativi,<br />

ma ne esistono anche parecchi di positivi: la possibilità<br />

di confronto, di aumentare i servizi, di poter affrontare con<br />

persone diverse situazioni nuove e stimolanti.


Considerazione<br />

Sono in una struttura con veterinari e tecnici, ma<br />

quando sono entrato io non c’erano tecnici, così mi<br />

sono dovuto arrangiare e “inventarmi” il lavoro. La mia<br />

fortuna è che mi hanno dato gli input giusti, anche se<br />

non avevo un vero e proprio esempio. In situazioni così<br />

sei più portato a chiedere, a una o anche più persone,<br />

per avere più risposte. Ho dovuto cercare di capire come<br />

creare la mia professionalità nel concreto ed in questo è<br />

importante l’apporto di tutti per capire cosa devi fare e<br />

farlo al meglio.<br />

75<br />

Con un po’ di vigile attenzione,<br />

di senso <strong>del</strong>l’opportunità,<br />

di spirito di iniziativa<br />

molte <strong>del</strong>le difficoltà che incontriamo<br />

sul cammino possono<br />

contenere interessanti<br />

opportunità di crescita personale<br />

e di miglioramento<br />

organizzativo.<br />

vedi 4.2 - 4.3


76<br />

Vermeer, La merlettaia, 1669<br />

All’epoca di Vermeer, nelle Fiandre, realizzare i merletti<br />

era attività molto comune. Eppure quanta dedizione nello sguardo<br />

<strong>del</strong>la donna, sembra che niente sia per lei più importante.<br />

Quanta <strong>cura</strong> per il proprio aspetto, pare acconciata<br />

più per una festa che per una comune giornata di lavoro.<br />

Che stupidaggine dire che sta semplicemente assolvendo<br />

ai suoi compiti! Sembra piuttosto intenta a realizzare qualcosa<br />

di irripetibile, ad officiare un qualche rito sacro.<br />

Che cosa maneggiano le sue dita? Semplici fili o un poco<br />

<strong>del</strong> senso che dà alla sua vita?


Valore in gioco<br />

Considerazione<br />

Considerazione<br />

“Considerazione” significa etimologicamente “attenta osservazione<br />

<strong>del</strong>le stelle”.<br />

Osservare le stelle significa alzare lo sguardo e dar loro importanza.<br />

Considerare il proprio lavoro vuol quindi dire non banalizzarlo,<br />

stimarlo a dovere. Esserne orgogliosi. Sentire che in<br />

ciò che realizziamo si rivela una parte <strong>del</strong> nostro modo di essere,<br />

che attraverso il lavoro portiamo il nostro contributo a migliorare il<br />

mondo che ci circonda.<br />

Scrutare le stelle significa coglierne tutti i riflessi. La considerazione<br />

per il lavoro implica quindi uno sguardo che esamina<br />

la realtà in tutti i suoi aspetti. Che non si ferma alla superficie.<br />

Comporta attenzione per ciò che, ad esempio in una richiesta<br />

<strong>del</strong> collega o in una domanda <strong>del</strong> paziente, non appare immediatamente,<br />

ma che attende il nostro sguardo per venire alla luce e<br />

rivelarsi.<br />

Studiare le stelle vuol dire oltrepassare prospettive di sola<br />

utilità o di vantaggio. Mettere considerazione nel proprio lavoro<br />

significa quindi non accontentarsi <strong>del</strong> “che cosa me ne viene in<br />

tasca”. È scoprire il piacere di far bene per il piacere di farlo, per<br />

il senso di libertà e di pienezza che ne consegue.<br />

77<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Vanno riconosciuti e promossi i comportamenti improntati all’onore<br />

professionale e all’alta considerazione per la propria attività.<br />

Vanno riconosciuti e incoraggiati i comportamenti che vadano oltre la<br />

mera espressione di una mansione e che implichino nell’operatore la<br />

consapevolezza <strong>del</strong> significato <strong>del</strong> proprio operare in una prospettiva di<br />

alta qualità <strong>del</strong> servizio.<br />

Tutti gli operatori, qualsiasi sia il loro livello, sono chiamati ad attivarsi in<br />

prima persona per cogliere con spirito di vigile attenzione le occasioni<br />

per una personale crescita professionale e per un miglioramento <strong>del</strong><br />

sistema organizzativo.


impegni verso il nostro lavoro<br />

valore:<br />

Che cosa può trasversalmente<br />

caratterizzare le nostre attività?<br />

Fare salute significa, per tutti<br />

noi, portare l’utente-paziente<br />

a sentirsi, grazie al nostro servizio,<br />

pienamente “persona”.<br />

Quindi a viversi come soggetto<br />

i cui bisogni hanno per<br />

noi un valore unico; riconosciuto<br />

per la sua autonomia<br />

di pensiero e di emozione;<br />

rispettato per la rete di relazioni<br />

in cui è inserito.<br />

vedi 9.1<br />

Dignità<br />

78<br />

10 Quanto vale<br />

Che cosa vale<br />

10.1 Il senso <strong>del</strong> fare<br />

Per noi che abbiamo cambiato per tre volte l’ASL di<br />

riferimento l’iniziativa Carta Etica può essere l’occasione<br />

per recuperare i valori sottostanti all’erogazione <strong>del</strong>l’assistenza.<br />

È una scommessa da giocare: è un tentativo importante<br />

per dare equilibrio di senso alla nostra quotidiana<br />

programmazione sanitaria.<br />

Ho preso come mio indirizzo di comportamento di<br />

considerare chi ho di fronte non solo come un utente o<br />

un paziente, ma come una “persona”. Per quanto breve<br />

possa essere il contatto, questo approccio rende tutto più<br />

significativo.<br />

Da un anno lavoro all’URP come servizio accoglienza.<br />

Da infermiera la relazione con l’utente è la parte fondamentale<br />

ed è quella che a livello soggettivo può darti le<br />

maggiori soddisfazioni. Il far salute parte da me, considerando<br />

l’utente nella sua globalità, come “persona” che ha<br />

<strong>del</strong>le necessità.<br />

Il cittadino spesso non sa quali siano le opportunità<br />

che ha a disposizione. Se faccio una pratica per la cassa<br />

integrazione, ma vado oltre e penso che in cassa<br />

integrazione c’è una persona, la chiamo e dico: “Guardi<br />

che c’è anche questo”, “Guardi che ha diritto anche<br />

a quest’altro”. Dargli un’informazione la più completa<br />

possibile in vista <strong>del</strong>la soluzione <strong>del</strong> suo personale problema<br />

e non solo portare avanti una pratica: questo<br />

per noi significa fare salute e dare un valore autentico<br />

a ciò che facciamo.<br />

Ci sono persone che entrano nell’ente pubblico con<br />

l’idea di imboscarsi, ma per fortuna ce n’è un numero<br />

più alto convinto che lavorare per l’Ente Pubblico sia<br />

un onore. Molti comunque fanno fatica a tirare su la<br />

testa, a vedere le cose dall’alto…<br />

Bisognerebbe che chi inizia a lavorare nel Pubblico,<br />

prima di entrare, fosse formato su alcuni fondamentali<br />

temi etici che dovrebbero caratterizzare il nostro operare.


Dovremmo sentirci orgogliosi di lavorare nella Sanità,<br />

che è scaturita dalla visione etica di chi nel tempo si è<br />

impegnato per il diritto alla Salute per tutti e per costruire<br />

un Sistema Sanitario che pur con i suoi mille problemi ci<br />

invidiano nel mondo.<br />

L’atteggiamento di molti è: vinco il concorso e questo<br />

è il fine, il risultato da raggiungere. Invece dovrebbe<br />

essere l’inizio di tutto…<br />

Dobbiamo essere orgogliosi <strong>del</strong> nostro lavoro. Il Comune<br />

è la più piccola cellula <strong>del</strong>lo Stato: la storia d’Italia<br />

è la storia dei Comuni!<br />

Questo sminuire tutto quello che è pubblico, a fronte di<br />

chi nel pubblico ci crede ancora e che facendosi in quattro<br />

manda avanti le cose... Ti senti di combattere contro i<br />

mulini a vento, contro l’irrazionalità dilagante.<br />

Da parte <strong>del</strong>l’utenza c’è differenza tra la percezione <strong>del</strong><br />

servizio sanitario rispetto al servizio <strong>del</strong> Comune. Se<br />

ti vedono al mercato, ed è un tuo giorno di ferie, per<br />

prima cosa pensano “ecco, questo fa la spesa in orario<br />

di lavoro!”. C’è un radicato pregiudizio di fondo nei<br />

confronti <strong>del</strong> dipendente comunale…<br />

10.2 Cose di valore<br />

In certi lavori la soddisfazione <strong>del</strong>l’utente è l’unica vera<br />

soddisfazione e se non sei un operatore sanitario che<br />

vede guarire la persona, questo è molto importante.<br />

Per noi <strong>del</strong>l’Ente locale è fondamentale vedere il cittadino<br />

che va via contento, sai che hai fatto qualcosa di<br />

buono, anche se ciò che hai detto o fatto magari forse<br />

non era nemmeno inerente alle tue competenze.<br />

Nonostante che noi serviamo un bacino di utenza molto<br />

ampio e che spesso non c’è troppo tempo da dedicare<br />

al paziente, chi viene da noi è contento, soprattutto rispetto<br />

ad altri centri dialisi dove, quando tornano da noi,<br />

dicono: “Mi sono sentito abbandonato”. Ti rendi conto che<br />

la fiducia che ripongono in te li fa stare meglio.<br />

Ci sono alcuni che dicono: “Sono pagato per fare questo”<br />

e si fermano lì. Secondo me dovremmo essere tutti<br />

79<br />

Dignità<br />

In che cosa può consistere il<br />

senso <strong>del</strong>l’onore professionale?<br />

Capovolgendo un certo logoro<br />

cliché, potremmo con il<br />

tempo recuperare un’idea di<br />

“aristocrazia etica” propria<br />

<strong>del</strong> dipendente pubblico?<br />

Come rispondere ad una certa<br />

<strong>del</strong>egittimazione sociale?<br />

Attraverso quali comportamenti<br />

lavorativi?<br />

Che cosa può significare costruire<br />

fiducia nell’utenza?<br />

Attraverso quali comportamenti<br />

la si realizza?<br />

vedi 1.1 - 2.2 - 2.3


impegni verso il nostro lavoro<br />

Un gesto, per essere di “valore”,<br />

deve sempre avere una<br />

commisurazione monetaria?<br />

Riconoscere che il denaro è<br />

inadeguato ad esprimere tutte<br />

le valenze di senso <strong>del</strong> nostro<br />

lavoro non è ingenuità, piuttosto<br />

coraggio di non aderire<br />

ai luoghi comuni e lucidità di<br />

vedere le cose così come realmente<br />

sono.<br />

Il numero esprime sempre le<br />

valenze <strong>del</strong>la prestazione?<br />

In un’ottica di efficacia e<br />

di efficienza la dimensione<br />

quantitativa non può certamente<br />

essere tras<strong>cura</strong>ta.<br />

Occorre però riconoscere e<br />

dare il giusto valore a ciò che<br />

sfugge al semplice numero.<br />

Sono dimensioni destinate<br />

a non poter essere misurate?<br />

Nient’affatto, piuttosto<br />

richiedono altre e più sottili<br />

modalità di osservazione e di<br />

valutazione.<br />

80<br />

pagati un tot, poi però cercare di ottenere altre cose non<br />

monetizzabili dalla nostra giornata lavorativa.<br />

La mia massima soddisfazione è quando dopo il colloquio<br />

pre-operatorio con il paziente alla fine questo mi dice<br />

che ha “meno paura”. Quanto vale questa soddisfazione?<br />

Certo non è monetizzabile…<br />

L’investimento sulla risorsa umana non fa parte <strong>del</strong>la<br />

nostra cultura, non dico che non esista, ma esiste molto<br />

poco. Tu entri nel mondo <strong>del</strong> lavoro e devi già avere capacità<br />

a relazionarti, la formazione per farlo, la motivazione<br />

a farlo. Se ci sono bene, se no sono problemi tuoi. Senti<br />

dire: “Perché dovrei motivarti dandoti il senso di ciò che<br />

fai? Sei pagato!”. È vero, sono pagato, ma ci sono cose<br />

che non si vendono e non si comprano, per esempio la<br />

<strong>cura</strong> messa nel compiere un certo gesto, una parola detta<br />

con un certo tono, la passione nel fare certe cose, cose<br />

di grande valore che vengono fatte solo se la persona ha<br />

compreso il senso <strong>del</strong> loro valore.<br />

Io lavoro in reparto da diversi anni e molto è stato fatto.<br />

C’è una sala dove le mamme che non hanno problemi di<br />

tipo medico possono partorire, e lì c’è silenzio: quando<br />

entra qualcuno che fa rumore viene osservato male, come<br />

a dire “fai attenzione!”. La domanda è: qual è l’indicatore<br />

di tutte queste cose? Noi riceviamo una carta dove c’è<br />

scritto “hai fatto 20 - 40 - 50 visite di Pronto Soccorso”<br />

oppure “hai fatto 20 visite ambulatoriali”, ma in questa carta<br />

non è valutata la qualità profonda di queste visite. Noi<br />

abbiamo le nostre soddisfazioni, un ottimo ritorno dalle<br />

mamme, ma non basta, perché a conti fatti magari il numero<br />

finale è piccolo, nonostante il grosso impegno che<br />

ci mettiamo.<br />

Sono part-time. L’ho scelto per stare con le mie figlie,<br />

ma in questa scelta mi sento penalizzata perché nell’ottica<br />

<strong>del</strong>la produttività il part-time è meno produttivo. Non si<br />

guarda alla qualità <strong>del</strong> lavoro, ma alla quantità di tempo<br />

trascorso sul lavoro. Che io in quelle 6 ore e mezzo lavori<br />

meglio che se lavorassi 8 ore importa a pochi.<br />

Alcuni reparti ospedalieri sono improntati all’idea che<br />

sei un bravo infermiere se in mezz’ora fai un carrello di<br />

flebo o se fai venti prelievi. Certo, la quantità è importante,<br />

ma il punto è: queste flebo, questi prelievi, come<br />

li hai fatti?


Io accompagno il paziente a fare i raggi, oppure in bagno.<br />

Nel momento in cui lo vedo bello pulito, a posto, io<br />

sono soddisfatta. Non potrò farlo per tutti, ma per quelli<br />

che posso lo faccio. Noi in reparto abbiamo pazienti che<br />

neanche si rendono conto di che cosa gli capita: io li pulisco<br />

quando hanno bisogno di essere puliti, gli cambio il<br />

camice. Anche se uno non se ne accorge o non può dirmi<br />

nulla, se lo vedo a posto sono contenta.<br />

Spesso mi sono ritrovata a pensare che quello che<br />

stavo facendo non mi stava arricchendo. Altre volte, che<br />

un piccolo gesto insignificante mi faceva stare bene, arricchiva<br />

me e l’altro. Ieri, per esempio, era il compleanno<br />

di una paziente con noi in rianimazione da due mesi, una<br />

paziente con grossi problemi respiratori e che non si riesce<br />

ad alimentare. Però ieri abbiamo provato a darle un budino<br />

al cioccolato, visto che era il suo compleanno. Avevamo<br />

gettato la spugna perché inalava e le andava tutto di traverso,<br />

ma ieri era una giornata tranquilla, in un altro giorno<br />

non si sarebbe potuto fare. Lei era più sveglia, più reattiva,<br />

più collaborativa, così l’ho messa dritta, messa a posto e<br />

con calma le ho dato il budino. Alla fine di questo mezzo<br />

budino mi ha guardato… Non riesce a parlare, ma mi ha<br />

guardato… Ah, che soddisfazione! Questa paziente difficilmente<br />

tornerà ad alimentarsi in modo normale ma ieri<br />

ce l’ha fatta, senza inalare, si è mangiata mezzo budino al<br />

cioccolato per il suo compleanno. In quel momento era la<br />

persona più felice <strong>del</strong> mondo… E lo ero anch’io.<br />

Quando si fanno determinate scelte bisognerebbe pensare<br />

“se io fossi in quella situazione, come starei?” Per noi<br />

è scontato che durante il giro visite ci siano medico, infermiera,<br />

allievi medici, allievi infermieri, l’ostetrica, altre infermiere<br />

che entrano ed escono. La donna è lì e finisce per<br />

essere un semplice oggetto di attenzioni. Qualcuno è un<br />

po’ più <strong>del</strong>icato, riesce a porre attenzione alla situazione,<br />

altri invece proprio non ci pensano. A volte cerco di spezzare<br />

questo clima, metto la mano sulla gamba <strong>del</strong>la donna,<br />

le tengo la mano, la guardo negli occhi per comunicarle<br />

che ci sono, che la vedo, che mi sto accorgendo di lei...<br />

81<br />

Dignità<br />

Piccole cose, ma di grande valore.<br />

Per chi e per che cosa?<br />

Per l’efficacia e l’efficienza<br />

<strong>del</strong>l’organizzazione, per la<br />

salute <strong>del</strong> paziente - utente,<br />

per la qualità <strong>del</strong>la vita lavorativa<br />

degli operatori.<br />

vedi 6.4, 1.1


82<br />

Bruegel, Le due scimmie, 1962<br />

Due scimmie sono incatenate ad un unico anello. In primo piano<br />

alcuni frammenti di guscio di noce. Perché sono incatenate?<br />

Molto probabilmente hanno scambiato la loro libertà<br />

per una semplice noce. Forse rappresentano quegli uomini<br />

che svendono la loro libertà più profonda e l’autentica felicità<br />

per un guadagno materiale di dubbio valore.


Valore in gioco<br />

Dignità<br />

Per troppo tempo i dipendenti <strong>del</strong>la Sanità e degli Enti Locali<br />

sono stati indotti ad adottare un atteggiamento di basso profilo<br />

etico. Si sono di conseguenza un po’ tras<strong>cura</strong>ti quei valori di<br />

impegno sociale che rendono le nostre attività ben più che una<br />

prestazione tecnica o un esercizio burocratico. È necessario riportarli<br />

all’attenzione di tutti, per renderli idealità in grado di dare<br />

un senso profondo al nostro impegno quotidiano.<br />

Con le nostre attività incidiamo, in modi e forme diverse,<br />

sull’esistenza <strong>del</strong>le persone. Ridare la giusta dignità a ciò che<br />

facciamo, caricarlo <strong>del</strong> giusto orgoglio, è essenziale. “Onore” e<br />

“orgoglio professionale” non sono principi invecchiati e superati.<br />

Eleggerli a propri valori significa difendere un’idea alta di sé e <strong>del</strong><br />

proprio lavoro, allenarsi a guardare in su. È sentire di avere un<br />

compito, piccolo o grande che sia, inscritto in un <strong>progetto</strong> vasto<br />

e ambizioso, senza cedere all’opportunismo o alla banalizzazione<br />

<strong>del</strong> proprio fare.<br />

Siamo tutti consapevoli che le nostre attività hanno una serie<br />

di obiettivi che trovano nel numero la loro misura. Dobbiamo tutti<br />

contribuire a realizzarli. Ciononostante nel valutare l’opportunità di<br />

un qualsivoglia comportamento dobbiamo costantemente chiederci<br />

accanto al “quanto vale?” il “che cosa vale?”. Piccoli gesti,<br />

micro-comportamenti, atteggiamenti apparentemente modesti<br />

possono avere un valore davvero incommensurabile in un’ottica<br />

di completa e profonda Salute, nostra e <strong>del</strong>le persone che a noi si<br />

rivolgono per ricevere un aiuto.<br />

Dignità<br />

83<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Viene esplicitamente promossa una rinnovata coscienza civile presso<br />

tutti gli operatori, in vista di una ri-legittimazione politico-sociale <strong>del</strong>le<br />

attività di pubblico servizio.<br />

Vengono richiesti e incentivati presso tutti gli operatori, di qualsivoglia<br />

livello, comportamenti lavorativi all’insegna di una forte idealità e nel<br />

segno di un maturo onore professionale.<br />

Il rispetto per le persone da noi assistite implica la valorizzazione di<br />

comportamenti che, anche se non strettamente collegati ad obiettivi<br />

quantitativi, determinano un significativo innalzamento <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>la<br />

vita e <strong>del</strong> servizio offerto.


impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />

valore:<br />

Complessità<br />

Come rendere effettivo il<br />

“matrimonio per pro<strong>cura</strong>” tra<br />

le ex ASL?<br />

Che cosa chiedere al Sistema<br />

organizzativo e ai singoli<br />

operatori?<br />

vedi 14 - 9.3<br />

Esiste un modo di intendere<br />

l’identità - di una persona o di<br />

un gruppo - come qualcosa di<br />

ereditato, di statico, di immodificabile,<br />

da ricevere da chi ci<br />

ha preceduti e da passare in<br />

consegna tal quale.<br />

Si può invece intendere<br />

l’identità come qualcosa che<br />

si modifica nel tempo, come<br />

qualcosa che, pur all’interno<br />

84<br />

11 Identità<br />

11.1 La famiglia allargata<br />

Il fatto è che con l’accorpamento abbiamo vissuto un<br />

“matrimonio per pro<strong>cura</strong>”, ma abbiamo potuto parlarne e<br />

conoscerci poco. Non c’è stato spazio per elaborarlo e in<br />

generale i Servizi Sanitari hanno solo visto il loro dirigente<br />

andare di più in giro. Credo che anche dal punto di vista<br />

<strong>del</strong>la produttività il fatto di incontrarsi e parlarne avrebbe<br />

reso le cose più facili. Senza parlare <strong>del</strong>le molte disomogeneità<br />

ereditate dal passato e che la situazione presente<br />

esaspera perché l’accorpamento obera di nuovi impegni.<br />

Noi per lavorare bene abbiamo cercato alleanze, abbiamo<br />

approfittato dei corsi di formazione per dare un<br />

viso ai numeri sull’elenco telefonico. Abbiamo cercato di<br />

lavorare il più possibile con lo stesso obiettivo. Questo ha<br />

portato a dei risultati: la ricerca di alleanze ti aiuta a ragionare<br />

non più solo per problemi ma per soluzioni; inoltre<br />

aiuta a passare da una mentalità ospedalocentrica ad<br />

una più complessa, almeno a livello di Distretto. Prima si<br />

entrava, si bollava, si lavorava nel proprio orto e basta.<br />

Neanche sapevo, qualche anno fa, cosa fossero i servizi<br />

socio-assistenziali…<br />

I diversi accorpamenti che ho vissuto nella mia carriera<br />

hanno certamente portato stress ma anche un modo<br />

diverso di lavorare: prima si lavorava da soli, poi il gruppo<br />

si è allargato. Prima c’era la paura di confrontarsi,<br />

poi ho cominciato ad apprezzare il bello di imparare ogni<br />

giorno qualcosa di nuovo da altri e che posso portare<br />

nella mia realtà.<br />

Con l’accorpamento abbiamo avuto qualche disagio,<br />

perché sono cambiate molte cose. Per esempio, prima<br />

sapevamo che in un certo ufficio c’era quella persona,<br />

chiamavamo lei. Adesso invece è cambiato: ciò richiede<br />

nuovo lavoro per tessere la rete, per ricostruire le relazioni.<br />

La ragnatela da comporre è molto più ampia e in alcuni<br />

punti ha ancora <strong>del</strong>le falle. Dobbiamo imparare a riconoscerci<br />

in quanto componenti di questa famiglia allargata.<br />

C’è sovente questo sentimento <strong>del</strong> “noi” e “loro”. Invece<br />

che contrapporci dobbiamo sfruttare le diversità,


che esistono, e riuscire a far dialogare etiche diverse,<br />

diverse maniere di lavorare, modi di intendere la vita. Se<br />

opportunamente armonizzate, le diversità possono diventare<br />

la nostra ricchezza.<br />

In questo enorme contenitore che è questa ASL ci<br />

sono diverse realtà che si devono valorizzare con una<br />

sorta di osmosi culturale e professionale.<br />

11.2 Globale - Locale<br />

Io penso che per alcuni aspetti questa ASL sia ancora<br />

addirittura “piccola”: noi su alcuni progetti lavoriamo su<br />

tutta la provincia, perché non è possibile, ad esempio,<br />

arrivare fino ad un certo punto ed escludere il territorio<br />

appena al di là “perché il confine è lì”. Fare salute significa<br />

avere uno sguardo che si spinge oltre i confini.<br />

C’è questa idea di globalizzazione che spaventa tanti.<br />

Secondo me dipende. Prendiamo per esempio i margini di<br />

autonomia. Al vertice chi comanda è uno, ma il suo potere<br />

si è “scaricato” sulle periferie. Con il nostro accorpamento<br />

il territorio è molto grande quindi certe decisioni sono<br />

prese localmente. Nel nostro reparto per esempio si prendono<br />

decisioni, si fanno cose che un po’ di anni fa non si<br />

potevano proprio fare.<br />

Io ho già subito un accorpamento. Da un giorno all’altro<br />

mi hanno spostata di sede… Quello che mi è mancato<br />

è stato il mio territorio. Sono passati cinque anni, ma<br />

fatico ancora molto ad adattarmi: eravamo una famiglia<br />

e sono passata ad un posto un po’ asettico. Dove ero<br />

vedevo “persone”, le potevo seguire nel corso <strong>del</strong> tempo.<br />

Ero radicata in una realtà dove conoscevo tutti e tutti si<br />

salutavano.<br />

Essere diventati più grandi può significare più scambi,<br />

più esperienze, più novità, più crescita professionale.<br />

Dobbiamo prendere questi aspetti, indubbiamente positivi,<br />

e calarli nelle nostre piccole realtà, farli convivere con il<br />

calore <strong>del</strong> rapporto interpersonale, con l’attenzione per la<br />

persona che ci caratterizza.<br />

Il problema <strong>del</strong>l’accorpamento è che uno si chiede: in<br />

quale nuova identità vado a inserirmi? Se riesco a capire<br />

qual è il mio compito, quale sarà il mio ruolo? Io dove sono<br />

nel gioco più grande?<br />

Complessità<br />

85<br />

di un coerente <strong>progetto</strong>, si<br />

costruisce e si ricostruisce in<br />

continuazione, e che è sempre<br />

rinnovabile grazie all’incontro<br />

con altre identità.<br />

C’è la possibilità di far convivere<br />

le due forme di identità?<br />

È possibile pensare in grande<br />

senza perdere di vista le realtà<br />

locali?<br />

Il termine “glocale” contiene<br />

l’idea di pensare in maniera<br />

globale, ma calando quanto<br />

progettato nella dimensione<br />

locale.<br />

La direzione da seguire è abbinare<br />

la sana crescita con il<br />

riconoscimento <strong>del</strong>le specificità<br />

al cui interno la crescita<br />

ha luogo.


impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />

vedi 14.1<br />

Quali sono le specificità antropologiche<br />

<strong>del</strong>le nostre diverse<br />

utenze?<br />

Sono collegate a quali caratteristiche<br />

sociali e geomorfologiche<br />

<strong>del</strong> territorio?<br />

Riconoscere la complessità<br />

<strong>del</strong> territorio e <strong>del</strong>l’utenza<br />

è fondamentale per avviare<br />

un’autentica politica <strong>del</strong>la<br />

Salute.<br />

86<br />

Mi sono resa conto, parlando con una collega infermiera,<br />

che lei non ha la minima idea <strong>del</strong> punto in cui lei e<br />

chi lavora con lei sono inserite in questa grande macchina:<br />

non sanno in che punto <strong>del</strong>l’ingranaggio sono.<br />

11.3 Specificità <strong>del</strong> territorio e <strong>del</strong>l’utenza<br />

Io sono anche volontario <strong>del</strong>la CRI. In montagna, d’inverno,<br />

quando ti chiamano per un’urgenza è già un po’<br />

tardi: d’estate invece, quando ci sono molti villeggianti,<br />

ogni quarto d’ora sei fuori perché appena hanno qualcosina…<br />

“118!”<br />

Ci sono ospedali inseriti in territori dove si conoscono<br />

tutti, abitano in zona, quindi c’è una relazione personale,<br />

è particolare il rapporto, la richiesta <strong>del</strong>l’utenza e anche la<br />

sua pazienza…<br />

C’è una dicotomia accentuata tra l’utenza metropolitana<br />

e quella che arriva dalla valle. Sono due utenze completamente<br />

diverse: gli uni sono cittadini <strong>del</strong>la banlieue, gli altri<br />

sono valligiani che hanno richieste molto diverse, soprattutto<br />

hanno un concetto di salute diverso. Se uno viene giù<br />

dai mille metri perché ha la tosse, minimo ha la polmonite,<br />

se è un cittadino al massimo ha l’influenza: questo perché<br />

la soglia di allarme è completamente differente.<br />

Nell’ambito <strong>del</strong>la salute mentale cambia molto tra<br />

l’ambiente urbano e quello non urbano nell’affrontare la<br />

cronicità <strong>del</strong> paziente psichiatrico. In un ambiente urbano<br />

c’è una forte tendenza a cercare l’istituzionalizzazione,<br />

nell’ambiente non urbano c’è più la tendenza a gestire il<br />

paziente in famiglia. In alcune zone urbane c’è una richiesta<br />

esasperata di assistenzialismo, l’approccio è “non<br />

posso occuparmene perché non ho soldi”. Ci sono poi<br />

altre realtà non urbane in cui il paziente psichiatrico, che in<br />

genere si ubriaca anche, è meglio tollerato dal gruppo, diventa<br />

una specie di mascotte. È mantenuto all’interno <strong>del</strong><br />

gruppo - diversamente da quanto accade negli ambienti<br />

più urbani - ma non è aiutato, anzi, viene stimolato a bere<br />

per fare show.<br />

Nei vari Distretti ci sono molte differenze tra esigenze<br />

mediche, infermieristiche e amministrative: coprire la lontananza<br />

con una presenza medica, per esempio, funziona<br />

per quei paesini in cui uno, che magari è pure un infartuato,<br />

prende la bici per andare in ospedale…


Noi operatori sanitari dobbiamo farci carico <strong>del</strong>la lontananza,<br />

<strong>del</strong>l’utente lontano: nella zona urbana ci sono quasi<br />

tutti i servizi, l’utenza lontana invece ha esigenze diverse.<br />

Io lavoro in pediatria e mi rendo conto che il “bambino lontano”<br />

ha esigenze diversissime rispetto a quello che abita<br />

a 15-20 chilometri.<br />

11.4 Fare Salute insieme<br />

È importante coinvolgere sempre di più i Comuni sui<br />

temi <strong>del</strong>la salute. Penso che sia importante che chi si<br />

occupa di fare ben essere al di fuori dalla patologia si<br />

interroghi insieme a chi fa sanità su come riuscirci.<br />

Nei Comuni piccoli le Poste o il Comune stesso sono<br />

posti che le persone frequentano spesso, quindi bisognerebbe<br />

sensibilizzare questi Enti sul tema <strong>del</strong>l’offerta<br />

attiva di salute, per esempio per la diffusione<br />

<strong>del</strong>l’informazione sull’accesso a certi servizi.<br />

Come Distretto abbiamo realizzato un punto salute<br />

con un Comune: abbiamo organizzato un servizio CUP<br />

che impiega personale comunale.<br />

Il nostro Comune ha stipulato un accordo col Distretto<br />

Sanitario competente nella gestione <strong>del</strong>la Casa di<br />

Riposo sita vicino al Municipio. Questo accordo ha<br />

generato una collaborazione particolare tra Comune<br />

e ASL. Gli Uffici comunali gestiscono le prenotazioni<br />

dei prelievi effettuati presso la Casa di Riposo, così<br />

non è necessario andare in ospedale e noi ci occupiamo<br />

anche <strong>del</strong>la compilazione <strong>del</strong>le autocertificazioni<br />

aiutando così gli anziani. Sempre i residenti anziani<br />

<strong>del</strong> nostro Comune hanno alcuni posti loro riservati<br />

anche per i “ricoveri di sollievo” cioè quelli temporanei<br />

per venire incontro alle famiglie con parenti anziani a<br />

carico che per qualche motivo non sono in grado di -<br />

temporaneamente - farsene carico.<br />

Il Comune può gestire il disagio nella misura in cui riesce<br />

a fare rete. L’obiettivo deve essere creare un circuito<br />

di dialogo con tutte le forze sociali e con gli Enti <strong>del</strong><br />

territorio. Il Comune da solo non può farcela…<br />

Salute è anche come stiamo insieme! A partire da<br />

questa semplice considerazione ci siamo subito trovati<br />

Complessità<br />

87<br />

Come farsi carico <strong>del</strong>l’ “utenza<br />

lontana”?<br />

Che cosa collega le attività<br />

sanitarie a quelle di un Ente<br />

Locale?<br />

Non solo entrambi forniscono<br />

un servizio pubblico, ma<br />

è nella loro storica mission<br />

creare e diffondere, in modi<br />

e forme diverse, salute e ben<br />

essere presso la popolazione.


impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />

Dove costruire Salute?<br />

Esistono strumenti e progetti<br />

sui quali appoggiarsi?<br />

ASL ed Enti Locali possono<br />

trovare un fertile terreno di<br />

confronto affrontando il tema<br />

<strong>del</strong>la Salute e <strong>del</strong> ben essere<br />

in maniera reticolare, in particolare<br />

su scala distrettuale,<br />

inserendo la questione <strong>del</strong>la<br />

Salute etica nei Piani e nei<br />

Profili di Salute.<br />

vedi 2.3<br />

88<br />

d’accordo con gli amministratori locali circa l’importanza<br />

di lavorare insieme territorialmente per ritrovarci attorno<br />

a principi etici condivisi.<br />

Lavoro nelle cure domiciliari, sono un’amministrativa<br />

ma lavoro con tutti gli infermieri. Lavoro per costruire una<br />

rete sul territorio. I Comuni hanno attivato un processo di<br />

conoscenza di sé, <strong>del</strong> territorio, <strong>del</strong>l’importanza di mettersi<br />

in rete. Più sono piccoli e più se lo sono chiesto, a<br />

cominciare da 15 anni a questa parte. Più l’Ente è grande<br />

e più si sente autosufficiente e meno ha bisogno di altri. I<br />

Comuni piccoli hanno dovuto per forza mettersi insieme:<br />

questo significa aprire le frontiere, incastrarsi, togliere un<br />

po’ di ruggine.<br />

Si è da poco costituito un team di medici di base<br />

che hanno messo a disposizione un loro amministrativo:<br />

l’utente va dal medico per la prescrizione, poi può passare<br />

dall’impiegato amministrativo per prenotare. È un<br />

vantaggio perché, per esempio, il nostro CUP chiude alle<br />

15, ma se uno va dal medico alle 18 può ancora andare<br />

dalla segretaria per la prenotazione, senza dover per forza<br />

passare dal CUP nei giorni successivi.<br />

Una collaborazione intelligente con i Comuni sarebbe<br />

riuscire, nel punto nascita stesso, a iscrivere il bambino<br />

all’anagrafe, in modo che possa uscire dall’ospedale già<br />

con il medico di base assegnato, senza ulteriori perdite di<br />

tempo e periodi lunghissimi in cui si viaggia nella terra di<br />

nessuno. Questo dovrebbe essere un imperativo per tutti<br />

i Comuni. Io ho provato a chiederlo nella mia zona, basterebbe<br />

un percorso di 2-3 tappe per far uscire il bambino<br />

già con il suo medico assegnato. È un problema di<br />

deburocratizzazione.<br />

11.5 Far passare il passato<br />

Non tutti sono convinti <strong>del</strong>la bontà <strong>del</strong>l’accorpamento:<br />

per molti di noi ancora vale il detto “parenti serpenti”.<br />

I vecchi rancori non sono ancora sopiti. Il messaggio<br />

subliminale è: “Hanno voluto la bici quelli di …? Adesso<br />

pedalino”; “Ah, finalmente quelli di … hanno qualcosa da<br />

fare, loro che non lavorano mai”. Invece il messaggio dovrebbe<br />

essere di apertura, di collaborazione.


Nel vecchio posto di lavoro svolgevo certe mansioni da<br />

anni e anni. Nel nuovo posto di lavoro dove sono stata “deportata”<br />

le colleghe mi dicevano che non ero capace di fare<br />

ciò che avevo sempre fatto e per sei mesi ho dovuto stare<br />

a guardare. Questo non gliel’ho mai perdonato…<br />

Faccio parte di quelli che anni fa sono stati “venduti<br />

all’ASL per 1 euro”. Sono arrivata all’ASL incattivita. Ora,<br />

dopo anni, incomincio a trovarmi meglio, ma è stata dura.<br />

Molti si presentano ancora come: “Sono <strong>del</strong>l’ex<br />

ASL…” Probabilmente è fisiologico, occorre tempo per<br />

elaborare una nuova identità.<br />

Tra l’ospedale in cui lavoravo e quello in cui sono arrivata<br />

c’è sempre stata la guerra su “chi lavora meglio”…<br />

Complessità<br />

89<br />

Come rapportarsi al nostro<br />

passato?<br />

Riconoscere il proprio passato<br />

non deve significare identificarsi<br />

in esso. Occorre sapersi<br />

distanziare dagli eventi adottando<br />

una sana distanza prospettica.<br />

Farsi divorare dagli eventi trascorsi,<br />

rimanere ad esempio<br />

invischiati in vecchi rancori,<br />

significa finire per amare le<br />

proprie catene, arrendersi allo<br />

scetticismo, precludersi la<br />

possibilità di allargare il proprio<br />

libero sguardo sul futuro.


90<br />

Arcimboldo, Ritratto di Rodolfo II in veste di Vertumno, 1591<br />

Dietro l’aspetto stravagante e bizzarro <strong>del</strong> ritratto si nasconde<br />

una precisa allegoria. Vertumno è il dio <strong>del</strong>le mutazioni<br />

e si credeva potesse trasformarsi in qualsiasi cosa volesse.<br />

È inoltre il dio <strong>del</strong> mutamento e <strong>del</strong>le stagioni:<br />

i vegetali che compongono il ritratto appartengono<br />

a tutti i periodi <strong>del</strong>l’anno, a significare totalità e completezza.


Valore in gioco<br />

Complessità<br />

Il termine “complessità” deriva dal latino complector che significa<br />

“tenere insieme più cose”, “abbracciare”. A quale complessità<br />

ci riferiamo pensando alla nostra vita professionale?<br />

Complessità <strong>del</strong>la propria identità. Possiamo pensare la<br />

nostra personale identità lavorativa e quella <strong>del</strong>l’organizzazione<br />

per cui lavoriamo come qualcosa di statico e di immodificabile.<br />

Oppure come qualcosa che si può - forse si deve - modificare,<br />

qualcosa che si va formando grazie all’incontro con altre identità.<br />

Collegare le due prospettive è possibile. Il passato, senza diventare<br />

una gabbia soffocante, può darci coerenza e aiutarci a mantenere<br />

la direzione di marcia; l’incontro con la diversità ci fornisce<br />

il senso <strong>del</strong>la nostra intersoggettività, <strong>del</strong>la costitutiva relazionalità<br />

di ciò che siamo e che facciamo.<br />

Complessità prospettica. Occorre evitare la miopia prospettica<br />

che ci fa apprezzare solo quanto è strettamente ravvicinato<br />

e al contempo evitare la trappola <strong>del</strong>la presbiopia lavorativa che<br />

non limita la visione di ciò che è distante, ma ci impedisce di mettere<br />

a fuoco quanto è vicino.<br />

Complessità relazionale. Tutti coloro che sono coinvolti nei<br />

processi di Salute devono comprenderne la logica sottostante.<br />

Che è di carattere reticolare, fondata cioè su un sistema di strutture<br />

e di connessioni entro cui operano nodi capaci di cooperare<br />

in vista di obiettivi comuni. Il collegamento e l’integrazione con<br />

tutti gli attori <strong>del</strong> territorio coinvolti nei processi di Salute risulta<br />

essenziale a tal fine.<br />

Complessità<br />

91<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Va promossa, a tutti i livelli e in tutti i ruoli, la prospettiva glocale, vale<br />

a dire il modo di pensare in maniera allargata e globale, ma calando<br />

quanto elaborato nella specificità <strong>del</strong>le dimensioni locali.<br />

Va favorita la crescita di professionalità che, pur nel rispetto <strong>del</strong>le<br />

specializzazioni e <strong>del</strong>le specificità di settore, maturino uno sguardo<br />

panoramico sulle dinamiche e sui processi di Salute.<br />

Vanno favorite tutte le iniziative finalizzate al superamento di divisioni<br />

tra persone e tra Strutture, volte a rafforzare il senso di comune<br />

appartenenza.<br />

La sempre maggiore interazione tra ASL, Enti Locali e altri attori <strong>del</strong><br />

territorio interessati a sviluppare progetti di Salute è da considerarsi<br />

obiettivo primario.


impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />

valore:<br />

Consapevolezza<br />

Condivisione<br />

Le procedure sono importanti?<br />

Più che importanti<br />

sono fondamentali. Basta<br />

quindi solo e sempre applicare<br />

una procedura? Probabilmente<br />

no.<br />

Ad un sapere esplicito fondato<br />

sul rigore procedurale,<br />

occorre affiancare un sapere<br />

tacito fondato sull’esperienza<br />

e sulle circostanze.<br />

92<br />

12 Procedure<br />

12.1 Procedura e/o Relazione<br />

Io che per formazione sono portata a ragionare per<br />

protocolli e procedure, ho dovuto spostare l’attenzione<br />

anche sulle relazioni: è più faticoso perché mi devo<br />

mettere in discussione in continuazione. Il punto è far<br />

quadrare i due approcci, quello <strong>del</strong>la procedura e quello<br />

<strong>del</strong>la relazione. Perché posso chiedere al paziente come<br />

sta, e così ottenere informazioni diagnostiche importanti.<br />

Ma se è in arresto devo applicare una procedura. C’è<br />

momento e momento, occorre capire quando è opportuna<br />

l’una e l’altra.<br />

Noi abbiamo tre sedi, quando i colleghi dicono di fare<br />

tre liste omogenee per i tempi di intervento rimango perplesso<br />

perché, visto che vado io, lo so quanto ci metto in<br />

una sede piuttosto che nell’altra: se ho un macchinario<br />

nuovo o uno più vecchio questo influisce sui tempi necessari<br />

per avere i risultati.<br />

Le procedure a volte sono una palla al piede, non si<br />

possono prevedere tutti i casi e tutte le possibilità. Applicando<br />

solo procedure si rischia di perdere di vista la<br />

concretezza e la specificità <strong>del</strong>le persone che abbiamo<br />

di fronte.<br />

L’obiettivo sarebbe quello di garantire in modo uniforme<br />

a tutti i cittadini determinate prestazioni, ma più<br />

cresce l’organizzazione e più c’è la necessità di codificare.<br />

Il problema è che questo codificare ingabbia il lavoro.<br />

Però è anche vero che senza procedure non saprei<br />

proprio come fare…<br />

12.2 Check list<br />

Inizialmente, con il personale <strong>del</strong>la cucina, c’era una<br />

forte responsabilizzazione individuale, per esempio sul lavaggio<br />

<strong>del</strong>le mani. Lavoravi davvero sulla coscienza professionale.<br />

Adesso le HCCP rischiano di essere solo carta:<br />

io vedo gente che crocetta e crocetta e crocetta…. Il personale<br />

è un po’ mortificato. Il rischio è che venga meno il


Consapevolezza Condiv<br />

gusto di far bene: in alcune cucine la presentazione <strong>del</strong><br />

piatto è fatta con una certa <strong>cura</strong> nonostante le compilazioni,<br />

in altre tutto il tempo è usato per compilare.<br />

Il grande timore per noi <strong>del</strong>la cucina è il manuale HCCP:<br />

il problema è che non hai voce in capitolo. La questione<br />

è che ogni alimento deve seguire la filiera ad una certa<br />

temperatura, ogni passaggio deve essere controllato. Tu<br />

cuoco devi preparare la pasta, prendi il pomodoro, lo fai<br />

bollire, lo stocchi… Devi saper dire: “A che ora ho fatto<br />

il pomodoro?” , “A che ora l’ho messo nel carrello termico?”.<br />

E poi firmi, perché se succede qualcosa è sotto<br />

la tua responsabilità. La mia professionalità è diventata<br />

piccola, non ti senti più un cuoco, ma un burocrate <strong>del</strong><br />

cibo. Ti senti demoralizzato.<br />

Io sono un tecnico <strong>del</strong>la prevenzione, noi ci occupiamo<br />

<strong>del</strong>la salute <strong>del</strong> cittadino/lavoratore. Mi occupo<br />

dei diritti <strong>del</strong>le persone che lavorano, quando si sono<br />

infortunati o potrebbero infortunarsi. Penso che il mio<br />

lavoro abbia un forte valore etico. Il problema è che certi<br />

obiettivi, se intesi solo come numeri, servono a poco.<br />

Per esempio quando ti chiedono di fare un certo numero<br />

di indagini, ma nessuno ti chiede come hai fatto<br />

quelle indagini, oppure che cosa ci vorrebbe per fare<br />

bene quelle indagini. Sembra che solo il numero sia la<br />

garanzia di un miglioramento <strong>del</strong>le condizioni di lavoro.<br />

Tutto viene legato alla costruzione di check list che poi<br />

si crocettano come visto/non visto. Penso che non basti.<br />

Per esempio, dal punto di vista formativo noi stiamo<br />

investendo molto tempo nella formazione dei lavoratori,<br />

nello spiegare il perché una certa misura preventiva deve<br />

essere messa in atto piuttosto che no.<br />

12.3 Metodo consapevole<br />

Secondo me un protocollo dovrebbe essere sempre<br />

l’esito di un percorso, per cui a monte ci dovrebbe sempre<br />

essere un confronto con gli operatori e a valle una<br />

verifica <strong>del</strong> protocollo.<br />

Noi tre coordinatori ci siamo confrontati spesso. Insieme<br />

abbiamo steso <strong>del</strong>le procedure comuni, semplici,<br />

ma utilissime. Utilizzavamo questo sistema: mettevamo<br />

giù la procedura, poi la facevamo leggere agli operatori<br />

93<br />

Quanto è importante conoscere<br />

il “che cosa” e il “perché”<br />

misura la check list?<br />

Quali rischi comporta seguire<br />

una logica procedurale priva<br />

<strong>del</strong> senso <strong>del</strong> sottostante<br />

processo?


impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />

La vera qualità emerge come<br />

astratto rigore procedurale,<br />

sempre però fondato sul<br />

continuo confronto con la curiosità,<br />

la coscienza, la sperimentazione,<br />

la validazione<br />

frutto <strong>del</strong>l’esperienza dei singoli<br />

operatori.<br />

Come considerare l’errore?<br />

Quali errori evitare nell’affrontarlo?<br />

Occorre rifiutare la via più<br />

semplice <strong>del</strong>la colpevolizzazione<br />

<strong>del</strong> singolo operatore,<br />

non tras<strong>cura</strong>re il fatto che chi<br />

94<br />

che davano i suggerimenti per migliorarla, poi ci trovavamo<br />

di nuovo insieme per perfezionarla. Abbiamo fatto<br />

tutto senza scavalcare la gerarchia, che comunque aveva<br />

fiducia in noi. Anche gli operatori erano coinvolti, ne<br />

discutevano e davano il loro contributo.<br />

La procedura: dipende da quanto è imposta o quanto<br />

è condivisa. La procedura deve essere confronto e<br />

condivisione, se no è solo carta.<br />

Una volta mi ha telefonato la vicina di casa di un’anziana.<br />

Le avevano spiegato come fare l’insulina, ma non si<br />

erano resi conto che non le era chiaro e questa signora<br />

si è trovata alle otto di sera che non sapeva cosa fare.<br />

Per insegnare a usare l’insulina ci vogliono 10 minuti. La<br />

procedura dovrebbe prevedere la verifica. Non è solo<br />

questione di spiegare, ma anche di verificare se l’altro<br />

ha capito davvero.<br />

12.4 A prova d’errore<br />

Siamo stati accreditati per la qualità e come gruppo<br />

abbiamo iniziato a scrivere gli errori più frequenti per quello<br />

che riguarda le procedure. Non tutti hanno aderito, c’è<br />

qualche resistenza, anche perché le persone non lo fanno<br />

apposta, spesso è solo per disattenzione. Questi errori<br />

sono scritti nel registro “non conformità”, non ci sono<br />

nomi e cognomi, ma resta il fatto <strong>del</strong>la “paura” a rivelare<br />

l’errore. Con questo lavoro che stiamo facendo abbiamo<br />

anche scoperto che non tutti sapevano di aver sbagliato,<br />

oppure erano consci <strong>del</strong>l’errore ma non sapevano perché<br />

ciò accadeva. Prendiamo in considerazione l’errore compiuto,<br />

per esempio il carrello <strong>del</strong>le medicazioni che deve<br />

contenere un tot di cose: arrivo al mattino, controllo e se<br />

mancano certe cose lo segnalo: “Mancato riordino <strong>del</strong><br />

carrello”. Ci stiamo rendendo conto che è anche un modo<br />

per superare le mediocrità <strong>del</strong> servizio.<br />

In un’ottica di risk management le procedure sono<br />

molto importanti: in sala operatoria controllo le garze cinque<br />

volte invece che tre perché questo statisticamente<br />

diminuisce la probabilità di fare errori. Se il paziente operato<br />

ha il mal di pancia, io parto dal presupposto che NON<br />

abbia una garza nella pancia, perché so che la procedura<br />

mi fa controllare cinque volte che sia tutto a posto.


Consapevolezza Condiv<br />

Il problema è che quando si è stressati, sotto pressione,<br />

anche se si sa quello che è corretto fare, la stanchezza<br />

porta a lavorare non troppo bene. Se poi le ferie sono<br />

lontane, questi sono i momenti più a rischio di errore. Uno<br />

arriva a casa e si porta dietro il pensiero: “ho proprio sbagliato”.<br />

Quello che quindi facciamo, ma in modo informale,<br />

è il confronto con i colleghi, in quanto sentiamo che è<br />

necessario fare insieme una rielaborazione <strong>del</strong>l’errore. Ma<br />

non ci sono momenti istituzionalizzati per questo.<br />

Noi facciamo riunioni settimanali sul risk management,<br />

ma molti colleghi prendono queste riunioni come una perdita<br />

di tempo. Ci vuole autoformazione interna, e soprattutto<br />

umiltà, non l’arroganza di chi pensa “ho un camice,<br />

sono il migliore”.<br />

95<br />

sbaglia il più <strong>del</strong>le volte non<br />

fa altro che innescare una carica<br />

prodotta da disfunzioni<br />

di sistema.<br />

L’errore deve essere considerato<br />

un’opportunità e un’occasione<br />

preziosa per apprendere<br />

e migliorare insieme.<br />

L’errore è una sfida che mette<br />

alla prova la maturità organizzativa<br />

<strong>del</strong> sistema e quella<br />

etico-professionale degli operatori.


96<br />

Vermeer, Il geografo, 1668<br />

Il geografo è chino sulle sue carte. Nel chiuso <strong>del</strong> suo<br />

studio calcola, misura, traccia linee con rigore e precisione.<br />

All’improvviso alza il capo e si volge verso la luce che penetra<br />

dalla finestra. Lascia che lo sguardo spazi lontano.<br />

Sente che per conoscere il mondo il compasso non gli basta più:<br />

deve uscire, frequentare e percorrere le terre<br />

che finora ha solo disegnato.<br />

C


onsapevolezza Condiv<br />

Valore in gioco<br />

Consapevolezza e Condivisione<br />

Nell’agire occorre far interagire il sapere tacito e il sapere esplicito<br />

degli operatori. Il sapere tacito, fondato sull’esperienza e sui<br />

continui indizi forniti dalle specifiche situazioni, deve fungere da<br />

ancoraggio di realtà alle procedure. Il sapere esplicito, fondato sul<br />

rigore procedurale e sulla piena consapevolezza, deve servire da<br />

validazione, da critica e da correttivo ai dati <strong>del</strong>l’esperienza. Solo<br />

attraverso la continua interazione tra le due forme di conoscenza<br />

è possibile raggiungere la qualità profonda <strong>del</strong>la prestazione, che<br />

coniuga il rigore procedurale con la consapevolezza sperimentale<br />

ed esperienziale <strong>del</strong> singolo operatore.<br />

La gestione <strong>del</strong>l’errore è spesso la prova <strong>del</strong>la raggiunta maturità<br />

<strong>del</strong>l’organizzazione. L’errore determina costi, umani ed economici,<br />

e molteplici disfunzioni. L’errore non occasionale segnala il<br />

più <strong>del</strong>le volte un problema di sistema. Va quindi affrontato. Senza<br />

però confondere l’analisi <strong>del</strong> problema verificatosi, che naturalmente<br />

non esclude eventuali responsabilità personali, con l’ossessiva<br />

e cieca ricerca di qualcuno a cui addossare l’errore. In<br />

certo qual modo occorre far monumento all’errore. Ciò significa<br />

che qualora sia inteso come un modo per analizzare ciò che è<br />

stato fatto e per individuare possibili margini di miglioramento, la<br />

gestione <strong>del</strong>l’errore è davvero il laboratorio dove produrre l’eccellenza<br />

<strong>del</strong>la prestazione.<br />

97<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Accanto alla rigorosa applicazione di procedure e protocolli, va data la<br />

giusta importanza al sapere esperienziale e sperimentale degli operatori<br />

coinvolti nella loro applicazione.<br />

Protocolli e procedure vanno applicati dagli operatori in maniera non<br />

meccanica, con la maggiore consapevolezza possibile <strong>del</strong> loro significato<br />

e <strong>del</strong>la loro importanza.<br />

La gestione <strong>del</strong>l’errore va condotta con spirito partecipativo di ricerca<br />

collettiva <strong>del</strong>l’eccellenza <strong>del</strong>la prestazione.


impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />

valore:<br />

Quali comportamenti virtuosi<br />

consentirebbero a ciascuno<br />

di noi di avere più tempo a<br />

disposizione e agli altri di non<br />

perderne?<br />

È possibile guadagnare tempo<br />

attraverso una corretta comunicazione<br />

con i parenti?<br />

vedi 1.1<br />

È possibile guadagnare tempo<br />

investendo nella comunicazione<br />

diretta e tempestiva?<br />

È possibile guadagnare tempo<br />

attraverso una corretta<br />

comunicazione con l’utenza<br />

e il paziente?<br />

vedi 1.1<br />

Oculatezza<br />

98<br />

13 Il tempo<br />

13.1 Guadagnare tempo<br />

Per guadagnare complessivamente tempo occorre investirne<br />

in una serie di comportamenti ad alto impatto sul<br />

ben essere individuale e organizzativo.<br />

Informare e comunicare con i famigliari implica certamente<br />

tempo e attenzione. Ma se hai un parente informato,<br />

non dovrai perdere tempo a gestire il paziente arrabbiato<br />

o spaventato, anzi, l’hai aiutato ad attivare risorse sue, di<br />

adattamento e di attesa.<br />

Se spendo 5 minuti di tempo per spiegare il percorso<br />

terapeutico e poi l’infermiere deve spenderne altri 5 per<br />

rispiegare tutto al paziente, che ha capito poco o nulla di<br />

ciò che ho detto, forse sarebbe meglio che io ne impiegassi<br />

6 o 7 per spiegare un po’ meglio. Se la matematica<br />

non è un’opinione l’azienda ne guadagnerebbe 3 o 4, il<br />

paziente sarebbe più a suo agio e le nostre parole avrebbero<br />

un altro senso.<br />

Segnalo un problema a un Direttore. La burocrazia non<br />

consente di farlo direttamente. Allora scrivo. Poi attendo -<br />

quando arriva - una risposta. A volte un problema sembra<br />

insormontabile, ma se, parallelamente al percorso burocratico,<br />

si riesce ad affrontarlo immediatamente, parlandosi<br />

anche per pochi minuti, spesso la cosa si sgonfia e<br />

diventa meno difficile da affrontare.<br />

Oltre ad avere l’utenza che preme, hai il superiore che<br />

ti dice: “Hai impiegato troppo tempo per l’accettazione”,<br />

poi vai a vedere e ci hai messo 4 minuti per utente… Io<br />

non posso prendere a calci in faccia l’utente! È ovvio che<br />

non posso tenere 20 minuti l’utente per supportarlo psicologicamente,<br />

ma devo avere il tempo per informarlo in<br />

modo adeguato, anche perché così questo utente non andrà<br />

a “rubare” tempo ad un altro collega per chiedere dove<br />

deve andare. Mettere ordine tra le due esigenze è difficile,<br />

ma dobbiamo cercare di riuscirci.


Il nostro problema con i medici di base è che spesso<br />

prescrivono visite specialistiche o esami particolari senza<br />

spiegare dove è possibile andare a farli. Noi ci troviamo<br />

nei problemi perché non sappiamo neanche da che parte<br />

iniziare, perdiamo <strong>del</strong>le mezz’ore, facciamo mille giri di telefonate<br />

con la gente lì che aspetta… Non sembra, però è<br />

una grande perdita di tempo. Se il medico di base invece<br />

spiegasse di che tipo di esame si tratta e dove lo fanno,<br />

questo farebbe risparmiare un sacco di tempo.<br />

Tante volte arrivano ancora richieste di prestazioni<br />

scritte a mano difficili da decifrare. Sotto c’è la diagnosi,<br />

sta a me - che non sono un medico - capire se quella patologia<br />

prevede un’ecografia o qualcos’altro, questo con il<br />

rischio di essere accusata, in caso di errore, di andare oltre<br />

le mie competenze… Dovrebbero esserci <strong>del</strong>le abbreviazioni<br />

o dei codici di esami comuni a tutti e comprensibili<br />

da tutti. Questo problema si riflette anche sul sistema <strong>del</strong>le<br />

prenotazioni unificate: i pazienti arrivano con una ricetta,<br />

ma la prenotazione è per un altro esame. Con il rischio che<br />

il paziente aspetti mesi… Poi per carità si riesce a risalire,<br />

se per esempio hai prenotato in farmacia, ma questo comunque<br />

comporta tempo perso e complicazioni.<br />

Noi non abbiamo locali nostri, solo tre stanze in prestito.<br />

Ma sappiamo che cosa vuol dire “perdere tempo” con<br />

il paziente, perché per l’addestramento <strong>del</strong> paziente se ho<br />

una stanza isolata sono concentrata, ci metto meno, quindi<br />

dopo dieci giorni sono libera per addestrarne un altro.<br />

Io sono una caposala e ho a che fare con l’utenza, con<br />

medici e con infermieri. La <strong>cura</strong> <strong>del</strong>le relazioni con tutte<br />

queste persone è notevole. La frustrazione deriva dal fatto<br />

di sentire che non hai fatto ciò che avresti voluto, perché<br />

magari sei stata un’ora al telefono con uno, un’ora al telefono<br />

con l’altro, e poi arrivi alla fine che non hai fatto i turni,<br />

non hai contato la farmacia… Gestisci un settore che in<br />

parte dipende da te, ma che in parte dipende anche da<br />

altri settori. Molte volte mi sento più gestita dal tempo che<br />

gestore <strong>del</strong> tempo. Poi con l’esperienza impari anche ad<br />

organizzare il tuo tempo, hai una tabella di marcia e cerchi<br />

di non farti fagocitare…<br />

La mancanza di tempo e di occasioni dipende dal fatto<br />

che non ci sono obiettivi precisi: se penso che devo fare<br />

100 cose, tutto questo mi confonde e va a finire che - se<br />

Oculatezza<br />

99<br />

È possibile guadagnare tempo<br />

attraverso un migliore coordinamento<br />

con i medici di<br />

famiglia?<br />

È possibile guadagnare tempo<br />

fruendo dei giusti spazi?<br />

Mettere ordine nel proprio<br />

tempo può avere una valenza<br />

etica ?<br />

Fare ordine non significa cristallizzare<br />

la giornata di lavoro;<br />

piuttosto fare spazio al<br />

proprio tempo, darsi priorità


impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />

per trovare tempo e crearsi<br />

occasioni per migliorare la<br />

qualità <strong>del</strong> lavoro.<br />

Il tempo dedicato a comunicare<br />

è davvero tempo perso?<br />

vedi 7.5 - 7.6 - 7.1<br />

Il tempo scorre in maniera<br />

sempre uniforme?<br />

Il tempo è uno dei gorghi<br />

interiori in cui rischiamo di<br />

precipitare. Rapiti dai nostri<br />

100<br />

va bene - le comincio tutte, ma non ne finisco nessuna. Se<br />

invece ho un obiettivo preciso riesco a portare a termine le<br />

cose. In questo modo trovo il tempo e l’occasione.<br />

Verso gli incontri c’è ancora una certa diffidenza. Quando<br />

si tratta di prevedere <strong>del</strong> tempo per discutere, viene<br />

detto: “Fatelo, ma non ditelo a nessuno”. Perché codificare<br />

quel tempo non va bene: risulterebbe “tempo perso”.<br />

Questo è grave, soprattutto in quei reparti dove operano<br />

molte professionalità che devono interagire.<br />

Il problema è che oggi l’importante è solo il fare, non<br />

esiste più il “tempo pensiero”. Alla riflessione e alla rielaborazione<br />

si dà davvero poco valore.<br />

13.2 Rispetto dei tempi<br />

Aspettare l’esito <strong>del</strong>l’esame, stare davanti alla porta<br />

in attesa di notizie e guardare gli infermieri che vanno<br />

avanti e indietro… Per chi aspetta, 30 minuti sono eterni;<br />

a noi operatori che corriamo a destra e a manca invece<br />

appaiono un niente. Decidiamo quali e quante parole<br />

spendere, in modo che sia chiaro quali sono i percorsi<br />

e i tempi di comunicazione: se ignoriamo il problema le<br />

persone vivono davvero male.<br />

Il meccanismo di autocentratura l’ho notato in alcuni<br />

operatori: prima di tutto ci sono loro, il centro <strong>del</strong>l’attenzione<br />

non è il malato, ma loro stessi. Questo si vede da<br />

piccole cose, per esempio il non rispetto <strong>del</strong>l’orario: “mi<br />

metto a posto le mie cose poi arrivo, tanto tu che cosa hai<br />

da fare?”. A volte il paziente ha davvero bisogno di una<br />

determinata cosa e senti dire: “Un attimo, che devo telefonare<br />

lì, se no poi non trovo nessuno”. Non va bene…<br />

Il parente va informato, supportato. Come coordinatore<br />

chiedo ai miei collaboratori di uscire dalla sala operatoria<br />

e informare chi resta fuori. A volte non si tratta<br />

solo <strong>del</strong> tempo tecnico per l’operazione, ma è un problema<br />

di tempo organizzativo: magari uno scende per<br />

primo, poi però manca l’anestesista e bisogna aspettare<br />

che arrivi, poi ci sono i tempi per l’anestesia, magari bisogna<br />

ancora aspettare il chirurgo… Così i tempi complessivi<br />

<strong>del</strong>l’operazione si allungano molto e per tutto<br />

questo tempo non ci si può dimenticare <strong>del</strong> parente che<br />

trascorre il suo tempo fuori ad aspettare. Bisogna farsi


carico anche di questo, bisogna informarlo di ciò che sta<br />

accadendo, anche solo banalmente che dovrà aspettare<br />

un po’ di più.<br />

Al mattino entro in reparto e non voglio sentirmi un<br />

numero o un burocrate. Sono <strong>del</strong>l’idea che si debba essere<br />

flessibili e talvolta vado oltre certe norme. Per esempio<br />

quando arriva un anziano per i prelievi e magari deve<br />

fare anche un altro esame io glielo faccio anche al di fuori<br />

<strong>del</strong>l’orario. Non me la sento di farlo tornare un’altra volta,<br />

un anziano che magari abita a 20 chilometri e che ci<br />

mette ore a venire…<br />

Se per regola si intende un qualcosa che aiuta noi e gli<br />

utenti a vivere meglio, rispettandoci a vicenda, è un conto.<br />

Però queste regole non devono diventare una gabbia.<br />

Se ad esempio il mio ufficio chiude alle 12.30 e l’utente<br />

arriva trafelato alle 12.33, non puoi dirgli: “Chiude alle<br />

12.30”. Nel tempo ho visto certi colleghi usare le regole<br />

come forma di potere. Fanno una cosa normalissima,<br />

ma fanno sembrare che facciano chissà che cosa: “La<br />

regola prevede questo, ma ti faccio questo come grande<br />

favore”. La fanno cadere dall’alto. È altrettanto vero che<br />

la mancanza di regole non va bene perché genera caos<br />

e reciproco disagio.<br />

Ci sono forme comportamentali che possono comunque<br />

dare ordine al quotidiano che incalza. Se non ci sono<br />

regole e se non vengono rispettate, non ci guadagna<br />

nessuno. Io ho provato a lasciare: avevo gente che arrivava<br />

a tutte le ore. Anche un orario di ambulatorio è una<br />

regola che bisogna far rispettare, anche e soprattutto per<br />

far sentire valorizzato il proprio lavoro all’utente.<br />

Oculatezza<br />

101<br />

tempi perdiamo il contatto<br />

con quelli di coloro che ci<br />

circondano, tempi che hanno<br />

durata, significato e valenza<br />

emotiva spesso molto diversi<br />

dai nostri.<br />

Riuscire a rimanere in contatto<br />

con il proprio tempo rispettando<br />

quelli degli altri è<br />

una grande sfida etica.<br />

vedi 1.1 - 2.3<br />

Ci sentiremmo più liberi se,<br />

giocando un qualsiasi gioco,<br />

potessimo fare a meno <strong>del</strong>le<br />

regole e potessimo comportarci<br />

come volessimo? Saremmo<br />

davvero liberi?<br />

Il rispetto dei tempi non deve<br />

trasformarsi in una forma di<br />

potere o peggio di prevaricazione.<br />

Piuttosto la giusta considerazione<br />

data all’orario è un<br />

modo per dare riconoscimento<br />

e per pretenderne, per far<br />

sentire l’utente degno di un<br />

servizio di qualità e per fargli<br />

adeguatamente apprezzare<br />

quanto facciamo.


102<br />

Tiziano, Allegoria <strong>del</strong>la prudenza, 1565<br />

La testa di un lupo dominata dal profilo <strong>del</strong> vecchio<br />

rappresenta il passato che il tempo divora.<br />

Sovrapposta alla testa di un leone minaccioso compare il volto<br />

barbuto di un uomo maturo: rappresenta il presente i cui affanni<br />

potrebbero fagocitarci se non sapessimo agire saggiamente.<br />

Il profilo di un giovane associato alla testa <strong>del</strong> cane<br />

rappresenta il futuro verso cui fiduciosamente andare.<br />

Un motto si intravede nella parte alta <strong>del</strong> quadro:<br />

“Facendo tesoro <strong>del</strong> passato comportarsi con prudenza<br />

nel presente per non pregiudicare le azioni future”.


Valore in gioco<br />

Oculatezza<br />

Il tempo non è solo una dimensione che ci scorre addosso<br />

e che ci vede impotenti. Va considerato come un materiale<br />

malleabile, su cui possiamo intervenire e che possiamo lavorare.<br />

Agendo con lungimiranza e spirito di collaborazione, con senso<br />

<strong>del</strong>l’opportunità e sapendo cogliere le varie occasioni di cui è intessuta<br />

la giornata di lavoro, è possibile guadagnare una quantità<br />

insospettabile di tempo, per noi e per il sistema in cui siamo inseriti.<br />

Tutti sappiamo che il tempo e lo spazio sono le coordinate<br />

<strong>del</strong>l’esistenza umana. Al tempo meccanico, quello che vediamo<br />

scorrere in maniera uniforme e che è contrassegnato dall’avanzare<br />

implacabile <strong>del</strong>le lancette, occorre però affiancarne un altro: il<br />

tempo interiore. Inseriti in processi che tendono a parcellizzare e<br />

a scandire in maniera meccanica il nostro agire, sovente dimentichiamo<br />

che un’ora non scorre uguale per tutti. Il tempo interiore<br />

scorre diversamente a seconda <strong>del</strong>lo stato emotivo e <strong>del</strong>la<br />

condizione esistenziale in cui ci troviamo. Accelera o rallenta. Si<br />

contrae o si dilata. Un’ora è un’eternità per chi è in attesa di notizie<br />

<strong>del</strong> parente ricoverato, trascorre in un lampo per l’operatore<br />

impegnato su mille fronti.<br />

I due tempi il più <strong>del</strong>le volte non collimano. Riconoscerli e rispettarli<br />

entrambi non è certo semplice, ma lo sforzo per riuscirci<br />

è una <strong>del</strong>le fondamentali direttrici <strong>del</strong> ben essere, nostro e dei<br />

pazienti.<br />

Oculatezza<br />

103<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Il tempo va inteso come un patrimonio da gestire individualmente e<br />

collettivamente, attraverso un coordinamento <strong>del</strong>le attività il più possibile<br />

capillare e atto ad evitarne lo sperpero.<br />

Accanto al rispetto dei tempi scanditi dall’orologio, occorre che gli<br />

operatori maturino la capacità di riconoscere i tempi interiori dei pazienti<br />

- utenti, per poi adottare l’approccio relazionale più adatto in base alle<br />

circostanze.


impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />

valore:<br />

Reciprocità<br />

Il sistema organizzativo,<br />

compatibilmente con la complessità<br />

e la mutevolezza <strong>del</strong>lo<br />

scenario politico e sociale,<br />

deve impegnarsi a fornire indirizzi<br />

e obiettivi gestionali in<br />

maniera il più possibile univoca<br />

e non contraddittoria.<br />

Deve aiutare le singole persone<br />

a comprendere la loro<br />

collocazione all’interno <strong>del</strong>la<br />

“casa lavorativa”, a maturare<br />

la piena consapevolezza <strong>del</strong><br />

loro ruolo, facilitando l’individuazione<br />

<strong>del</strong>le reciproche<br />

responsabilità.<br />

Il primo fattore di successo<br />

di qualsiasi organizzazione è<br />

l’adesione convinta, fattiva e<br />

non soltanto formale, al proprio<br />

patrimonio di valori.<br />

104<br />

14 Persone - Sistema<br />

Sistema - Persone<br />

14.1 Ricevere dal sistema<br />

Si fatica a capire la logica complessiva <strong>del</strong> sistema. E il<br />

ruolo che si gioca in essa. In che misura tu sei utile in quel<br />

contesto lì? A che cosa servi? Ecco dov’è il sistema, nelle<br />

relazioni che tengono insieme le parti! Timbrare quattro<br />

fogli, bucare quattro chiappe o inoculare una mucca e<br />

basta si può fare, ma vissuta in questo modo la vita lavorativa<br />

è davvero triste…<br />

Parlando di etica bisogna parlare in primo luogo di trasparenza<br />

e di chiarezza. Diventare una grande azienda significa<br />

far fatica ad avere dei punti di riferimento, non solo<br />

per chi lavora in Servizi che vengo accorpati, ma anche<br />

per gli altri, perché non si sa più a chi rivolgersi. Il sistema<br />

organizzativo rischia di diventare una specie di labirinto in<br />

cui ci si perde.<br />

Io sovente identifico il sistema come un enorme moloch<br />

di cui fatico davvero a capire le linee guida e che mi lancia<br />

solo questo continuo messaggio: “È così e non si può fare<br />

altrimenti”.<br />

È capitato che dopo giorni e giorni di completo<br />

blackout informatico, non sapessi proprio che cosa fare.<br />

Ho davanti la persona, il paziente… Che gli dico? Vorrei<br />

che il sistema mi aiutasse a fare il mio lavoro, invece talvolta<br />

lo vedo come un nemico. Penso: “Che cosa escogiterà<br />

oggi per complicarmi la vita?”. Perché un po’ tutti i<br />

giorni ce n’è una… Ad esempio mi chiedo: ma è proprio<br />

necessario cambiare così tanti sistemi operativi in così<br />

pochi anni? Magari sì, magari è anche necessario, però<br />

nessuno il perché me lo ha mai spiegato.<br />

Mi aspetto che la Carta Etica aiuti i vertici <strong>del</strong>l’Azienda<br />

nell’allocare le risorse disponibili mettendo tra i suoi criteri<br />

di scelta anche i valori in essa presenti. Caricare di valenze<br />

etiche le scelte aziendali sarebbe di grande vantaggio<br />

per il lavoro di tutti!<br />

Per chi crede in certi valori il rischio è la frustrazione<br />

continua. Alla lunga si ricade nella morale personale, cioè


fare il proprio lavoro fatto bene per se stessi e basta. Il<br />

problema è che coloro che sono eticamente attenti e disponibili<br />

non solo non vengono adeguatamente valorizzati<br />

dal sistema, che sembra un pò indifferente e lontano, ma<br />

rischiano di sentirsi isolati e di darsi la zappa sui piedi.<br />

È necessario ricevere dal sistema dei forti segnali di<br />

interesse etico. Da soli non si va da nessuna parte: si<br />

tiene duro per un po’, poi si getta la spugna.<br />

Sappiamo che lavoriamo con persone in situazione di<br />

disagio, di sofferenza e di debolezza, ma c’è la sensazione<br />

di essere visti come numeri, come limoni da spremere,<br />

senza vero interesse per ciò che sei e che fai, tanto se te<br />

ne vai non cambia nulla, ci sarà un altro da spremere…<br />

Vorremmo non un ringraziamento, ma un sapere che per<br />

l’azienda non conta solo fare numeri, che anche noi contiamo<br />

e che meritiamo fiducia.<br />

Un limite forte è che i politici danno indirizzi che però<br />

sono misurati sul breve periodo. È piuttosto difficile<br />

che lavorino e investano sul personale interno, perché<br />

non riescono a pensare che da lì possa venire qualcosa<br />

di buono. È meglio mettere a posto la buca <strong>del</strong>la<br />

strada o il palo <strong>del</strong>la luce…<br />

Noi <strong>del</strong>l’URP ci sentiamo un po’ sotto utilizzate. Il nostro<br />

sarebbe un servizio utilissimo per migliorare le cose<br />

perché riceviamo le segnalazioni dall’utenza, ma fatichiamo<br />

a farci prendere sul serio, a farci ascoltare dal sistema<br />

e ad incidere su di esso…<br />

Il nostro problema più grosso in quanto operatori<br />

<strong>del</strong>l’ufficio accoglienza, è che noi individuiamo una serie<br />

di problemi che vanno a discapito <strong>del</strong>l’utenza, li segnaliamo,<br />

ma il sistema fa fatica a farsene carico, e a volte tutto<br />

finisce lì. Noi non abbiamo abbastanza autonomia per<br />

poter intervenire, chiediamo frequentemente degli incontri<br />

con i colleghi per migliorare percorsi e processi, ma<br />

non si riesce ad incontrarci. Un paio di mesi fa degli utenti<br />

ci hanno detto: “Siete tanto carine, tanti sorrisi, ma poi<br />

le cose continuano a non funzionare”. Questo è fonte di<br />

grande frustrazione… Senza tenere conto <strong>del</strong> problema<br />

<strong>del</strong>l’immagine <strong>del</strong>l’Ente: l’accoglienza è il primo impatto<br />

<strong>del</strong>l’utente con l’ASL!<br />

Reciprocità<br />

105<br />

Il sistema organizzativo deve<br />

facilitare l’agire etico individuale,<br />

avviando iniziative di<br />

sistema atte a promuovere i<br />

comportamenti eticamente<br />

responsabili e a limitare il più<br />

possibile quelli non in sintonia<br />

con il <strong>progetto</strong> etico.<br />

Non sprecare risorse deve essere<br />

un imperativo, per tutti.<br />

Per il sistema questa esigenza<br />

deve diventare un impegno<br />

a valorizzare al meglio il suo<br />

principale patrimonio: le proprie<br />

risorse umane.<br />

Il Sistema deve dare particolare<br />

ascolto a chi è preposto<br />

ad incentivare i processi di<br />

miglioramento organizzativo.


impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />

Ciascuno deve chiedersi non<br />

solo e non tanto che cosa<br />

l’Azienda può fare per lui,<br />

ma anche e soprattutto che<br />

cosa lui può fare per il sistema<br />

organizzativo in cui tutti<br />

dobbiamo essere attori responsabili.<br />

Occorre maturare, a tutti i<br />

livelli, il dovere etico di portare<br />

il proprio personale contributo<br />

per facilitare il buon<br />

funzionamento <strong>del</strong> sistema<br />

organizzativo.<br />

106<br />

14.2 Dare al sistema<br />

Lo sappiamo, le risorse sono limitate. Ad esempio in<br />

ospedale si trovano sempre poche carrozzelle. Ma è anche<br />

vero che chi le utilizza le deve riportare dove le ha<br />

prese! È un fatto di responsabilità verso se stessi e verso<br />

il sistema per cui si lavora. Occorre cercare di dare il meglio<br />

con le risorse disponibili, avendo riguardo per ciò che<br />

abbiamo a disposizione.<br />

Va a finire che io sul lavoro mi sento sminuito se mi<br />

devo occupare <strong>del</strong>la carta igienica o se da chirurgo mi<br />

devo occupare <strong>del</strong>la coperta per la paziente. Andiamo a<br />

lavorare con la pretesa che lì vada tutto bene, che tutto<br />

sia a posto. A casa ci preoccupiamo che queste cose<br />

funzionino, sul lavoro invece si pretende. Se mi serve un<br />

temperamatite e non c’è, mi lamento; ma il fatto che io<br />

abbia perso tre temperamatite nell’ultima settimana non<br />

mi importa…<br />

Abbiamo la possibilità di incidere sul sistema in molti<br />

modi. Noi ad esempio siamo quelli che consentono di<br />

avere il polso <strong>del</strong>la situazione sanitaria: dobbiamo essere<br />

consapevoli che i dati che ci arrivano e che elaboriamo<br />

non sono i numeri di casa nostra, ma andranno a incidere<br />

sulle future decisioni politiche in ambito di intervento.<br />

Ci sono operatori che entrano in reparto e già non<br />

vedono l’ora di uscire: “Tanto alle 22 me ne vado, sia quel<br />

che sia...” E gran parte <strong>del</strong>la loro permanenza è solo un<br />

trascinarsi fino alla fine <strong>del</strong> turno. Penso che la via da<br />

seguire sia che ciascuno si aspetti molto dal sistema e al<br />

contempo diventi più esigente con se stesso.<br />

Tempo fa ho iniziato a lavorare in un ospedale che<br />

all’epoca era un fiorellino. Nonostante questo, dopo pochi<br />

giorni mi è stato detto: “Rallenta, perché se no qui non<br />

c’è da fare per tutti”. Giocare sempre al risparmio: è una<br />

mentalità che nel Pubblico deve essere superata!<br />

L’autorevolezza <strong>del</strong> dipendente pubblico è minata da<br />

quelli che per troppo tempo hanno vissuto il lavoro<br />

nell’Ente Pubblico come un’occasione per farsi gli affari<br />

propri…<br />

Sovente ci dimentichiamo che il sistema è fatto anche<br />

di singole persone… Credo che ciascuno di noi sia


chiamato a vigilare sul proprio lavoro. Se uno ha voglia di<br />

spendersi, smuove le acque, non resta lì a fare piccolo<br />

cabotaggio, può sempre fare qualcosa di buono, per sé e<br />

per gli altri, ovunque si trovi a lavorare.<br />

Molto dipende dalla curiosità personale. Sono alla fine<br />

<strong>del</strong>la mia carriera e mi chiedo se ho espresso tutto quello<br />

che potevo esprimere, ma mi sembra di no. Sento di avere<br />

ancora molto da dare e da esprimere, ma spesso gli altri<br />

non sono più interessati a “stare a sentire”. Chi <strong>del</strong>la mia<br />

generazione ha scelto di fare l’operatore sociale, aveva<br />

ideali diversi; oggi invece si è più tecnici, ma più “ristretti”,<br />

senza quel desiderio di cogliere aspetti che esulano dalle<br />

competenze classiche.<br />

Reciprocità<br />

107<br />

In che cosa consiste la responsabilità<br />

morale verso se<br />

stessi ?<br />

Vigilare sul proprio lavoro significa<br />

impegnarsi a non lasciarlo<br />

inerte, farlo fruttare,<br />

considerarlo parte integrante<br />

<strong>del</strong>la propria esistenza.<br />

Significa vivere con pienezza<br />

il tempo lavorativo lottando<br />

contro l’insignificanza e l’avvilimento<br />

dei gesti quotidiani.<br />

vedi 5.1


108<br />

Una mano sinistra disegna una mano destra.<br />

Quale disegna e quale è disegnata?<br />

Strana situazione: colei che disegna<br />

è contemporaneamente anche disegnata.<br />

Escher, Mani che disegnano, 1948


Valore in gioco<br />

Reciprocità<br />

Sistema organizzativo e persone che lo compongono vengono<br />

sovente presentati come contrapposti. È una prospettiva suicida. Per<br />

entrambe le parti. Privo <strong>del</strong> coinvolgimento <strong>del</strong>le singole persone il sistema<br />

organizzativo è un guscio vuoto. Senza l’adesione <strong>del</strong> sistema<br />

organizzativo le persone rischiano la continua frustrazione e la loro<br />

motivazione rischia di spegnersi per inedia.<br />

Persone e Sistema vanno piuttosto interpretati in un’ottica di reciprocità.<br />

Occorre che le singole persone si attivino e sostengano il<br />

sistema organizzativo e che, in contemporanea, il Sistema implementi<br />

le condizioni lavorative favorevoli all’attivarsi <strong>del</strong>le persone. Logiche<br />

di ben essere e di eccellenza <strong>del</strong>le prestazioni possono svilupparsi<br />

a patto che vengano sollecitate tanto le energie individuali quanto la<br />

tensione etica <strong>del</strong> Sistema.<br />

Il sistema organizzativo deve fornire a tutti gli operatori, con la<br />

massima chiarezza e tempestività possibile, le linee gestionali e gli<br />

obiettivi operativi, in maniera tale da permettere a ciascuno di inquadrare<br />

il proprio contributo all’interno di un tutto coerente.<br />

L’adesione <strong>del</strong> sistema organizzativo al proprio patrimonio valoriale<br />

deve essere convinta e superare il semplice formalismo. Occorre<br />

che il sistema riconosca e valorizzi coloro che si adoperano per innestare<br />

i valori aziendali nel proprio quotidiano operare.<br />

L’agire dei singoli operatori deve essere improntato a un principio<br />

di responsabilità allargata, che li induca a sentirsi coinvolti nella vita<br />

organizzativa anche per aspetti non strettamente legati alla loro personale<br />

condizione o al loro immediato contesto lavorativo.<br />

Il tempo di lavoro non va interpretato come una parentesi rispetto<br />

all’esistenza personale, ma anche come un momento di impegno<br />

civile, prezioso per sentirsi parte di un gruppo, di una comunità territoriale,<br />

di una società.<br />

Reciprocità<br />

109<br />

indirizzi etici<br />

organizzativi<br />

Devono essere incoraggiate le iniziative finalizzate alla più ampia<br />

comunicazione e condivisione di indirizzi e linee operative.<br />

Compatibilmente con vincoli economici e logistici, vanno progettate e<br />

promosse le condizioni di sistema atte a favorire e coordinare le iniziative<br />

etiche individuali e di gruppo.<br />

Ciascun operatore, al di là dei suoi doveri di ruolo, è chiamato a portare<br />

il suo personale, fattivo contributo al fine <strong>del</strong> miglioramento <strong>del</strong> sistema<br />

organizzativo.<br />

Va incentivato e valorizzato l’impegno lavorativo inteso come occasione<br />

etica attraverso cui dare un senso alla nostra esistenza.


Le voci <strong>del</strong>la Carta<br />

Gruppo di <strong>progetto</strong><br />

Rabino Giorgio, Neirotti Amalia, Marino Carlo, Marforio Paolo, Laurenti Paolo, Perotti Oscar,<br />

Mura Vittorio, Pasqualucci Arturo, Massobrio Giuseppe, Deidier Mauro, Colla Maria Teresa,<br />

Biasiato Erica.<br />

I partecipanti ai Gruppi di Lavoro<br />

Abbà Maria Teresa, Accollo Giuseppina, Acierno Luca, Agù Manuela, Ainardi Romina, Alauria Lorena,<br />

Albanese Domenico, Albertengo Cinzia, Albertetti Alberto, Alberti Patrizia, Allochis Maria Cristina,<br />

Alpe Valter, Amasio Stefano, Angaramo Arianna, Angelone Lorenzo, Ansaldo Bruno, Ansinelli Vittorio,<br />

Anzillotti Sabrina, Aponte Mario, Appendini Massimo, Araldo Anna Maria, Argentero Piero, Argento<br />

Caterina, Ariello Dario, Astorino Letizia, Audino Bruna, Audisio Giacomo, Audisio Luisella, Baldi Ugo,<br />

Balsà Luigia, Barberis Bruno, Barcello Luisa, Bar<strong>del</strong>la Renato, Barral Antonella, Baudino Raffaella,<br />

Becchimanzi Gioia, Becchio Laura Antonella, Bedetti Daniela, Beitone Ivana, Bellina Maurizio,<br />

Beltramino Maria Grazia, Benedetto Mariella, Benetazzo Alessandra, Berni A<strong>del</strong>ma, Berruto Paolo,<br />

Bertalot Sara, Bertalotto Elena, Bertiglia Angela Grazia, Bertinetti Laura, Bessone Stefania, Biancardi<br />

Lucia, Bianchi Anna, Biasiato Erica, Bina Piera Giorgina, Bisarello Fulvia, Blanc Claudia, Blanc<br />

Cristina, Blanc Fabrizio, Blanc Roberta, Blanzieri Valeria, Bocchino Mariannina, Boglione Maria<br />

Gabriella, Bombonati Roberto, Bompard Leonilde, Bona Fausto, Bondesan Dante, Bonfantini Elena,<br />

Bonini Franco, Bono Margherita Paola, Borasio Paolo, Borca Bruna, Borio Cristina, Borraccino<br />

Sabina, Boschet Maria Laura, Bossetto Giovanna, Bossolino Raffaella, Bossuto Anna Marisa,<br />

Bosticco Marco, Bottino Giovanni, Bracchino Piero, Breuza Franca, Bruera Paola, Brugo Chiara,<br />

Bruno Massimo, Bruno Valter, Buffa Giorgio, Bugnone Andrea, Burrello Carla, Bussa Luciana, Buttola<br />

Vilma, Cadamuro Emanuela, Calliero Claudia, Campagna Luciana, Campagnone Antonietta,<br />

Campochiaro Giovanna, Camusso Barbara, Canale Paola, Canavosio Ornella Maria, Canta Alfio,<br />

Canta Laura, Cantali Rappato Maria, Cantelli Barbara, Capello Paola, Capizzi Salvatore, Cappellazzo<br />

Ivan, Cappucci Elisabetta, Carazza Maria Cristina, Car<strong>del</strong>la Maria Alessandra, Cardinali Monica,<br />

Cardino Luciano, Cardone Franca, Cascioli Filomena, Castagneri Dario, Castelli Giovanni, Catalano<br />

Rosanna, Cavallo Maria Elisabetta, Cavallo Maria Rita, Cento Vella Paola, Ceretto Alessandra, Cesari<br />

Luisella, Cevrero Barbara, Chapelle Marina, Charbonnier Ginevra, Charrier Fiorentina, Chiaberto<br />

Emilio, Chiamberlando Giuliana, Chiantore Daniela, Chiappa Andrea, Chiapusso Maurizio, Chiattone<br />

Anna, Chioetto Sonia, Cibinel Gian Alfonso, Cicciarello Vincenzo, Cinato Alessia, Cipriano Sergio,<br />

Ciravegna Ivano, Citta Marco, Ciurca Maurizio, Clot Anna, Coalova Emerenziana, Colella Erminia<br />

Colla Maria Teresa, Colombo Silvia, Cometti Stefania, Condò Maria, Consoli Albino, Contino Maria<br />

Anna, Corsani Paolo, Cosentino Patrizia, Cosola Alda, Costabello Maristella, Costantino Paola, Cot<br />

Piera, Crotti Daniela, Curcuruto Domenica, D’Alessandro Bartolomeo, D’aversa Mario, Daghero<br />

Lorella, Dagna Guglielmo, Dagna Guglielmo, Dalla Vittoria Maria, Danieli Elisabetta, De Lazzari<br />

Stefania, De Luca Elena, De Marco Isabella, De Marie Daniela, De Vivo Rosanna, Debandi Paola,<br />

Deidier Mauro, Deirino Alberto, Della Donna Emanuela, Dema Maria, Demurtas Giampiero, Depetris<br />

Luisa, Destefanis Diego, Di Filippo Sabato, Di Frischia Daniela, Di Piazza Marinella, Di Troia<br />

Giuseppina, Diana Marianna, Dicerbo Marcello, Diecidue Roberto, Digiorgio Gerardo, Dimasi<br />

Rosanna, Distaso Palma Maria, Domine Irma Maria, Donato Caterina, Donzelli Teresita, Dore<br />

Maurizio, Doriguzzi Bozzo Carlo, Dovis Simona, Drusian Laura, Dugaro Anna Lisa, Durante Giovanni,<br />

Ecca Anna Maria, Elia Elio, Ellena Paola, Enrico Ivana, Ermanni Ada, Eruli Ivo, Esposito Paola, Falbo<br />

Maria Vincenza, Falcone Giuseppina, Farina Marco, Faro Giuseppe, Fasano Paola, Fe<strong>del</strong>e Vincenzo,<br />

Fenoglio Elvio, Ferrari Eliana, Ferrero Daniela, Fiammotto Maria Luisa, Fiore Roberto, Fiorillo Stefania,<br />

Flesia Nino, Fonsato Claudio, Fontana Emanuele, Forestiero Anna, Francavilla Rossana, Friolo<br />

Daniela, Fruggero Antonella, Fruscoloni Daniela, Fuggetta Daniela, Fumei Cinzia, Furlan Enrico,<br />

Fuscà Pasquale, Gaido Corinna, Galletto Luciano, Gallio Cristina, Gallo Aureliana, Gallosti Silvia,<br />

Garbuglia Marinella, Gardiol Silvia, Gariglio Carla, Garlanda Pierfranco, Gastaldi Paola, Gatti Maria<br />

Teresa, Gatto Ferdinanda, Gatto Stefano, Gay Claudia, Gay Lorella, Genre Alma, Gerlero Gloria,<br />

Germano Giovanna, Geymet Vilma, Geymonat Sabrina, Ghimenti Sabrina, Ghircoias Gheorghe<br />

110


Cosmin, Ghiringhelli Antonella, Giacchino Fulvio, Giacomino Francesco, Giacomino Francesco,<br />

Giacone Graziella, Giai Minietti Fulvio, Giardino Stanislao, Giolitti Arturo, Giordano Paola, Giovanetti<br />

Pierangela, Girotti Valter, Giugno Giuseppe, Giuliano Pasquale, Gnaccarini Mauro, Golzio Michele,<br />

Gortan Luisella, Gosso Fulvio, Gotto Clara, Gouchon Silvia, Gramoni Alessandro, Grassano<br />

Pasquale, Grasso Annarita, Grazia Giuseppe, Griffa Giorgio, Griglio Milena, Grill Ebe, Grillo Angelo,<br />

Grivet Renata, Guasso Sergio, Guiot Cristina, Guiotto Anna Chiara, Gulli Maria Grazia, Gurioli A<strong>del</strong>e,<br />

Infantino Michele, Inzerilli Lidia, Isgrò Domenica, Isolato Vilma, Julitta Riccardo, La Brocca Antonello,<br />

Laezza Antonella, Laguzzi Sergio, Lanfranco Matilde, Lapio Daniela, Laurenti Anna, Laurenti Paolo,<br />

Legger Barbara, Lentini Antonino, Leone Tiziana, Levy Tiziana, Ligas Marzia, Linari Silvana, Lincesso<br />

Ester, Lingua Marcella, Littera Luca, Lochi Antonella, Loielo Immacolata, Lovera Luisa, Luda Di<br />

Cortemiglia Emilio, Machetta Giacomo, Maganuco Rossana, Magnano Mauro, Magri Emanuela,<br />

Maida Sonia, Mainardi Loredana, Malaspina Giuseppe, Malatesta Mercurio, Malcangi Ugo, Manavella<br />

Marina, Manca Daniela, Mango Rosangela, Marangi Maria Luisa, Marano Michele, Marforio Paolo,<br />

Marini Marzia, Marini Sergio, Marino Carlo, Marino Mario, Marino Maurizio, Marra Anna Maria,<br />

Martina Simona, Masiero Mariella, Massaro Giovanna, Massaro Vilma, Massazza Roberto, Matrone<br />

Luigi, Mauri Morena, Medail Maurizio, Medori Raffaela, Meloni Adriana, Mengozzi Erika, Meotto Rita<br />

Carmen, Michelin Salomon Giovanni, Miglio Valentina, Milanetti Cristina, Mina Lorenzo, Minolfi<br />

Silvia, Mirisola Teresa, Mismetti Silvia, Mitoli Rosa, Moiso Laura, Molino Sabrina, Mollar Giuliana,<br />

Monasterolo Luisa, Monatto Giuseppe, Monelli Guido, Montagnini Sandro, Montaldo Chiara,<br />

Morabito Giuseppe, Morello Nadia, Morra Roberta, Moschetto Marina, Mourglia Ada, Mozzanti<br />

Silvia, Mura Vittorio, Nangeroni Marco, Navone Vanna, Negri Maurizio, Negro Isabella, Neirotti<br />

Amalia, Nicchio Flavia, Nissia Diana, Nucci Bianca, Odiardi Walter, Ogliero Gianni, Oliva Carmela,<br />

Orlando Gabriella, Orso Giacone Giovanni, Ortoncelli Roberta, Pacchiardo Franca, Paiola Ada,<br />

Palmas Miranda, Pantone Enza, Paparella Maria Domenica, Paparella Rosa, Parigi Olivia, Pascal<br />

Donatella, Pascal Elisabetta, Pascal Sara, Paschetto Valeria, Pasqualucci Arturo, Pasquet Marco,<br />

Pastorelli Mauro, Pau Antonella, Peiretti Carla, Pelissero Franco, Pelle Patrizia, Peluso Carmine,<br />

Pent Grazia, Perino Silvana, Perotti Oscar, Perriello Speranzina, Peruzzo Luca, Pesando Emanuela,<br />

Peyronel Elvio, Peyronel Odetta, Pezzano Lara, Piazza Lunga Alessandra, Piazza Silvia, Picone<br />

Elena, Pietrafesa Gabriella, Pilotto Nicoletta, Piolatto Alberto, Pitasi Maria, Piva Mirco, Pocciati<br />

Barbara, Pogliano Patrizia, Poma Paola, Pomello Paola, Pons Andrea, Poponi Cinzia, Porfido<br />

Luciano, Portuesi Giovanni, Pratesi Marco, Pregnolato Gabriella, Prelato Maria Luisa, Properzi<br />

Cinzia, Protti Elena, Pugliese Giuseppe, Quaranta Maurizia, Rabino Giorgio, Rallo Giovanni, Ramello<br />

Donatella, Ramello Maria Grazia, Ramonda Maura, Ranieri Tiziana, Ranzani Sabrina, Re Laura<br />

Reddavid Maurizio, Regis Augusta, Revel Alessandra, Ribetto Bruno Massimo, Ribotta Monica,<br />

Richetta Enrica, Richetto Marilena, Ridoni Carla, Rigo Stefano, Rigotti Liliana, Rita Valfrè, Riva<br />

Luciano, Rivoira Carla, Rivoira Giovanni, Rizzo Gabriella, Rizzo Massimo, Robotti Astrid, Rolando<br />

Patrizia, Rollero Maria, Romanazzi Vincenzo, Romero Roberto, Rosa Massimo, Rosalba Agnese,<br />

Rosati Maria Rosa, Rosato Doris, Roschetti Carmela, Rosina Barbara, Rosini Manuela, Rossa<br />

Danila, Rossi Graziella, Rossignoli Federica, Rotondo Cristiana, Rovereti Patrizia, Rucci Silvia,<br />

Russo Virginia, Saliola Rosina, Saltarelli Marco, Salvano Annamaria Piera, Sambin Barbara,<br />

Sancandi Luigi, Sanna Antonia, Sapei Antonella, Sapei Graziella, Sappa Paola, Sappè Annalisa,<br />

Sarà Luciana, Sartori Maita, Savojardo Onoria, Sderci Paola, Seghi Paola, Senatore Bruno, Serafini<br />

Letizia, Sereno Rossella, Serlenga Silvia, Serra Gloria, Si<strong>cura</strong>nza Loreta, Sidoti Vincenzo, Signorini<br />

Elia, Silvia Gouchon, Simioli Adonella, Sina Paola, Spagna Susanna, Sparagna Bruno, Spatafora<br />

A<strong>del</strong>e, Spicuglia Sebastiano, Stanislao Giardino, Stringat Luisita, Suma Nicola, Suriani Renzo,<br />

Tabasso Bruna, Tabone Ivan, Tacca Paola, Talarico Roberto, Tancredi Giuseppino, Tassone Itala,<br />

Taverna Rosanna, Tedde Giovanni, Tedeschi Silvia, Tessa Manola, Testolina Patrizia, Tiani Luigina,<br />

Tibald Marina, Tichelio Claudio, Tiranti Bruno, Tognin Manuela Cristina, Tonco Fulvia, Tornatore<br />

Lucia, Tortone Claudio, Toye Mario, Travisi Graziano, Trematone Cristina, Trevaini Gabriella, Troia<br />

Bruno Mario, Tron Loretta, Vaccaro Rosanna, Vacchi Sandra, Vacchino Rosa, Vair Cristina, Vajo<br />

Marco, Valfrè Rita, Valle Anna, Valter Fascio, Vandero Laura, Vaschetto Graziella, Ventriglia Anna,<br />

Venuti Silvio, Vercesi Renata, Vernero Elena, Vettori Marilena, Vicari Irene, Vidori Alessandra, Vietti<br />

Fiorella, Vietti Michelina Cristina, Viglianco Marino, Vigliani Roberto, Vinassa Barbara, Vincon<br />

Danila, Vola Silvio, Volpino Teresina, Volterrani Pietro, Vota Ornella, Vottero Laura, Zaccagna<br />

Beatrice, Zanella Daniela, Zaramella Maria, Zennaro Isabella, Zeolla Ida, Zuffanti Mariella.<br />

111


© A.S.L. TO3, in collaborazione con ANCI Piemonte - settembre 2009<br />

Progetto grafico e impaginazione elettronica: Arcastudio, Torino<br />

Stampa: Tipolitografia Giuseppini, Pinerolo TO

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