OSSERVATORIO SULL'INDUSTRIA METALMECCANICA - Fiom - Cgil
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Politiche nuove per i sistemi produttivi in Italia<br />
rare i prezzi relativi delle forniture industriali e per alterare<br />
le quote dei beni di consumo su tutti i mercati<br />
perché i nostri committenti e consumatori, anche dell’Area<br />
euro, possono preferire offerte di concorrenti<br />
«non euro» oggi accessibili con vantaggio, portando<br />
ad una erosione dei prezzi, delle quote e dei margini<br />
anche sui mercati nazionale ed europeo (Area euro).<br />
Dunque, l’aggiustamento a questi prezzi non va cercato<br />
solo sul terreno dell’export extra Ue, immaginando<br />
che il mercato nazionale ed europeo (Area euro)<br />
siano protetti dallo svantaggio monetario. Al contrario,<br />
siccome lo svantaggio investe tutti i mercati<br />
in cui le nostre imprese operano, c’è un unico modo<br />
per recuperarlo: aumentare la produttività di un importo<br />
corrispondente. Accettando – sia pure obtorto<br />
collo – il vincolo monetario che altera così profondamente<br />
i termini di scambio delle nostre merci, non<br />
ci resta che fare di necessità virtù, accettando la sfida<br />
produttivistica che deriva dalle nuove condizioni<br />
di concorrenza. Una sfida che, da noi, al contrario<br />
di quanto ad esempio è avvenuto in Germania o<br />
in Giappone, è stata rinviata anche grazie alle politiche<br />
monetarie permissive del passato (cambio favorevole),<br />
e che oggi sembra non più dilazionabile.<br />
I nodi sono venuti al pettine, è arrivato il momento<br />
della verità. Ma la vitalità di un sistema economico<br />
moderno si vede proprio nel momento delle difficoltà:<br />
tutti i modelli nazionali hanno attraversato momenti<br />
di crisi che hanno fatto gridare al declino (gli<br />
Stati Uniti e la Gran Bretagna, attuali winners, per<br />
primi), ma hanno dimostrato che dalla crisi si può<br />
imparare: un sistema malato o «azzoppato» può essere<br />
curato se accetta le appropriate terapie.<br />
La sfida produttivistica, del resto, è già in atto e i suoi<br />
effetti si vedono nella dinamica della crisi. Una quota<br />
delle imprese dei settori maggiormente esposti<br />
chiude o è in grande difficoltà. Le altre, considerando<br />
i ridotti margini e gli elevati rischi, sono ancora<br />
incerte sul da farsi. Solo un drappello di «pionieri»<br />
– le imprese più dinamiche e più disponibili a innovare<br />
– sono andate in avanscoperta a esplorare il nuovo<br />
terreno, per trovare quelle opportunità che stanno<br />
venendo meno nel vecchio. C’è poi tutta una parte<br />
del sistema esistente che pensa – erroneamente –<br />
di essere al riparo dal terremoto competitivo che si<br />
sta preparando, perché è protetto da meccanismi istituzionali<br />
o percepisce rendite sottratte – per questa<br />
o quella ragione – a una reale contendibilità.<br />
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Avendo alle spalle un sistema così variegato nella percezione<br />
della crisi e nella risposta che sta dando, bisogna<br />
domandarsi: la sfida produttivistica è un tunnel<br />
senza fine e senza esito positivo, è una sfida che possiamo<br />
vincere?<br />
La risposta non è sì o no, ma: dipende da noi. Dipende<br />
da cosa fanno le famiglie, le imprese, i sistemi locali<br />
e lo Stato per avviare risposte efficaci e innovative<br />
alla perdita di competitività registrata.<br />
Se il cambio penalizza le imprese che hanno costi in<br />
euro di un 30% (rispetto a un’ipotetica parità col dollaro)<br />
dal lato dei prezzi, tocca alle innovazioni recuperare<br />
questo onere addizionale aumentando l’efficienza<br />
tecnologica dei processi (se si può) e, soprattutto,<br />
aumentando il valore generato per i clienti, ossia<br />
il ricavo ottenibile dalle innovazioni di uso delle<br />
conoscenze di cui si dispone.<br />
Altri paesi, in altre epoche, sono riusciti a superare<br />
questo doppio passaggio (si pensi solo alla trasformazione<br />
di Germania e Giappone degli ultimi decenni<br />
del secolo scorso), arrivando alla meta senza grandi<br />
danni e con un rilevante apprendimento in più. Ce<br />
la possiamo fare anche noi, ma a un patto: bisogna che<br />
tutti – famiglie, imprese, sistemi locali, Stati –investano<br />
le loro risorse e la loro intelligenza in questa<br />
prospettiva.<br />
Le condizioni perché ciò accada non ci sono ancora,<br />
e vanno dunque create con un’iniziativa politica abbastanza<br />
vigorosa e determinata da incidere sulle tendenze<br />
in corso, che sono piuttosto regressive. Infatti,<br />
per adesso – complice la confusione politica degli ultimi<br />
anni – mancano le premesse perché le scelte di<br />
famiglie, imprese, sistemi locali e Stato siano orientate<br />
in direzione dei consistenti investimenti a rischio,<br />
richiesti dalla rivoluzione produttivistica che ci si propone<br />
di realizzare. Le famiglie devono decidere che<br />
destinazione dare al loro reddito e al loro risparmio, e<br />
queste destinazioni sono per adesso orientate verso<br />
altri fini, privilegiando la rendita immobiliare o il consumo<br />
improduttivo, invece di pensare all’istruzione<br />
dei figli, alla formazione permanente degli adulti, alla<br />
mobilità e creatività professionale dei membri della<br />
famiglia. Le imprese tendono a stare alla finestra,<br />
adottando un atteggiamento attendista o difensivo (lo<br />
si vede, ad esempio, nel ritardo che si nota in Italia nel<br />
nuovo ciclo di adozione delle Ict). I sistemi locali stanno<br />
cercando di trovare una propria linea di evoluzione<br />
e ragioni per identità condivise, ma sono poche le