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I rapporti di Sixty-Eight Publishers con il samizdat cecoslovacco e la concorrenza con le altre case editrici dell’emigrazione ORMAI è diventato un luogo comune affermare che la letteratura ceca, per lo meno negli anni Settanta e Ottanta, si sia articolata in tre correnti diverse: letteratura ufficiale, letteratura diffusa in samizdat e letteratura dell’emigrazione. L’utilizzo di queste tre denominazioni può in qualche modo contribuire a rendere più comprensibile la situazione, ma sappiamo tutti che le cose non erano così definite e che, con modalità diverse, queste tre correnti collaboravano e si intersecavano. Per quanto riguarda le case editrici del samizdat e dell’emigrazione, una vera fusione organizzativa non è mai stata realizzata, ma sono stati senza dubbio numerosi i casi in cui sono stati pubblicati da parte delle case editrici dell’emigrazione libri di autori viventi in patria o sono state diffuse all’interno dei canali del samizdat copie di libri degli autori dell’emigrazione. Sono questioni che oggi ci sembrano ovvie. Nelle considerazioni seguenti vorremmo però richiamare l’attenzione sul fatto che i percorsi che hanno condotto a questa apparente ovvietà storica sono stati abbastanza complessi. Benché case editrici dell’emigrazione fossero sorte già dalla fine degli anni Quaranta, la collaborazione con gli autori viventi in patria si è consolidata solo attorno alla metà degli anni Settanta. Negli anni Cinquanta, infatti, nell’epoca delle condanne a lunghe detenzioni (se non addirittura alla pena capitale), sono riusciti a confluire nelle case editrici dell’emigrazione solo versi anonimi o pseudoanonimi: ad esempio la raccolta di poesie dei luoghi di detenzione Pˇradénko z drát˚u [Matassa di fil di ferro], pubblicata su una rivista dell’emigrazione e so- Michal Pˇribáň, Alena Pˇribáňová ♦ eSamizdat 2010-2011 (VIII), pp. 233-238♦ lo di recente riproposta in volume; o la raccolta poetica di Antonín Bartušek Atomový věk [L’epoca atomica], pubblicata – ovviamente sotto pseudonimo – all’estero. Questi non sono solo i casi più noti, ma sostanzialmente anche gli unici in cui si può realmente attestare che un’opera di un autore vivente in patria sia stata pubblicata da parte dell’emigrazione con il suo consenso 1 . Vent’anni dopo la situazione era profondamente diversa. La normalizzazione di Husák non aveva espulso dal mondo letterario solo singoli scrittori, ma decine di autori che avevano contribuito a modellare il volto della letteratura ceca degli anni Sessanta. La maggior parte di essi si trovava al culmine delle proprie forze e potenzialità creative e, come oggi ben sappiamo, avrebbe scritto le proprie opere migliori solo negli anni a venire. In Cecoslovacchia una parte considerevole dell’élite artistica dell’epoca è rimasta dunque imprigionata dietro la cortina di ferro. E di fatto questi artisti avevano come unica possibilità quella di pubblicare nel circuito samizdat che si stava sviluppando con grande fatica e che, nonostante lo spirito di sacrificio degli organizzatori, restava comunque confinato in tirature quasi irrisorie. Aiutare questa letteratura osteggiata a raggiungere i propri lettori è stato uno dei compiti che gli editori dell’emigrazione hanno accettato di buon grado. Benché il guadagno economico di solito non rappresentasse lo scopo principale della loro attività, non si può negare che una certa prosperità economica rappresentasse anche per 1 Si vedano rispettivamente Pˇradénko z drát˚u, Praha 2010; e A.D. Martin [A. Bartušek], Atomový věk, Stockholm 1956.

I rapporti di Sixty-Eight Publishers con il samizdat cecoslovacco<br />

e la concorrenza con le altre case editrici dell’emigrazione<br />

ORMAI è diventato un luogo comune affermare<br />

che la letteratura ceca, per lo meno<br />

negli anni Settanta e Ottanta, si sia articolata in<br />

tre correnti diverse: letteratura ufficiale, letteratura<br />

diffusa in samizdat e letteratura dell’emigrazione.<br />

L’utilizzo di queste tre denominazioni<br />

può in qualche modo contribuire a rendere più<br />

comprensibile la situazione, ma sappiamo tutti<br />

che le cose non erano così definite e che, con<br />

modalità diverse, queste tre correnti collaboravano<br />

e si intersecavano. Per quanto riguarda<br />

le case editrici del samizdat e dell’emigrazione,<br />

una vera fusione organizzativa non è mai stata<br />

realizzata, ma sono stati senza dubbio numerosi<br />

i casi in cui sono stati pubblicati da parte delle<br />

case editrici dell’emigrazione libri di autori<br />

viventi in patria o sono state diffuse all’interno<br />

dei canali del samizdat copie di libri degli autori<br />

dell’emigrazione. Sono questioni che oggi ci<br />

sembrano ovvie. Nelle considerazioni seguenti<br />

vorremmo però richiamare l’attenzione sul fatto<br />

che i percorsi che hanno condotto a questa<br />

apparente ovvietà storica sono stati abbastanza<br />

complessi.<br />

Benché case editrici dell’emigrazione fossero<br />

sorte già dalla fine degli anni Quaranta, la<br />

collaborazione con gli autori viventi in patria si<br />

è consolidata solo attorno alla metà degli anni<br />

Settanta. Negli anni Cinquanta, infatti, nell’epoca<br />

delle condanne a lunghe detenzioni (se<br />

non addirittura alla pena capitale), sono riusciti<br />

a confluire nelle case editrici dell’emigrazione<br />

solo versi anonimi o pseudoanonimi: ad esempio<br />

la raccolta di poesie dei luoghi di detenzione<br />

Pˇradénko z drát˚u [Matassa di fil di ferro],<br />

pubblicata su una rivista dell’emigrazione e so-<br />

Michal Pˇribáň, Alena Pˇribáňová<br />

♦ <strong>eSamizdat</strong> 2010-2011 (VIII), pp. 233-238♦<br />

lo di recente riproposta in volume; o la raccolta<br />

poetica di Antonín Bartušek Atomový věk [L’epoca<br />

atomica], pubblicata – ovviamente sotto<br />

pseudonimo – all’estero. Questi non sono solo<br />

i casi più noti, ma sostanzialmente anche<br />

gli unici in cui si può realmente attestare che<br />

un’opera di un autore vivente in patria sia stata<br />

pubblicata da parte dell’emigrazione con il suo<br />

consenso 1 .<br />

Vent’anni dopo la situazione era profondamente<br />

diversa. La normalizzazione di Husák<br />

non aveva espulso dal mondo letterario solo<br />

singoli scrittori, ma decine di autori che avevano<br />

contribuito a modellare il volto della letteratura<br />

ceca degli anni Sessanta. La maggior<br />

parte di essi si trovava al culmine delle proprie<br />

forze e potenzialità creative e, come oggi ben<br />

sappiamo, avrebbe scritto le proprie opere migliori<br />

solo negli anni a venire. In Cecoslovacchia<br />

una parte considerevole dell’élite artistica<br />

dell’epoca è rimasta dunque imprigionata dietro<br />

la cortina di ferro. E di fatto questi artisti<br />

avevano come unica possibilità quella di pubblicare<br />

nel circuito samizdat che si stava sviluppando<br />

con grande fatica e che, nonostante lo<br />

spirito di sacrificio degli organizzatori, restava<br />

comunque confinato in tirature quasi irrisorie.<br />

Aiutare questa letteratura osteggiata a raggiungere<br />

i propri lettori è stato uno dei compiti che<br />

gli editori dell’emigrazione hanno accettato di<br />

buon grado.<br />

Benché il guadagno economico di solito non<br />

rappresentasse lo scopo principale della loro<br />

attività, non si può negare che una certa prosperità<br />

economica rappresentasse anche per<br />

1 Si vedano rispettivamente Pˇradénko z drát˚u, Praha 2010; e<br />

A.D. Martin [A. Bartušek], Atomový věk, Stockholm 1956.


234 <strong>eSamizdat</strong> 2010-2011 (VIII) ♦ Il samizdat tra memoria e utopia♦<br />

queste organizzazioni non profit un presupposto<br />

essenziale del proprio destino successivo, se<br />

non addirittura della stessa sopravvivenza. Non<br />

c’è quindi da meravigliarsi se a volte tra le case<br />

editrici dell’emigrazione nascessero dispute<br />

di carattere concorrenziale, che riguardavano<br />

in genere proprio la pubblicazione di testi di<br />

autori che vivevano in Cecoslovacchia.<br />

Entrambe le principali case editrici dell’emigrazione,<br />

ovvero Index di Adolf Müller e<br />

Bedˇrich Utitz, che ha inaugurato la sua attività<br />

a Colonia nell’autunno del 1971, e Sixty-<br />

Eight Publishers di Zdena Salivarová a Josef<br />

Škvorecký, i quali stavano preparando il loro<br />

primo libro a Toronto più o meno nello stesso<br />

periodo, hanno impiegato molte delle proprie<br />

energie nello stabilire, mantenere e sviluppare i<br />

contatti con questi scrittori. Le due case editrici<br />

potevano del resto contare su importanti canali<br />

stabiliti in precedenza: i fondatori di Index<br />

avevano un gran numero di amici tra gli storici,<br />

i politologi e i giornalisti viventi in Cecoslovacchia<br />

(molte possibilità erano offerte anche dalla<br />

collaborazione con Jiˇrí Pelikán, l’editore della<br />

rivista Listy, che da Roma aveva costruito una<br />

rete di corrispondenti da Praga molto efficiente),<br />

mentre dal canto loro i coniugi Škvorecký<br />

potevano contare fin dall’inizio sull’amicizia di<br />

lunga data con la maggior parte dei romanzieri<br />

più ricercati dal pubblico. Le cose però erano<br />

molto più complicate di quanto potrebbe<br />

sembrare.<br />

Il migliore amico di Škvorecký, Jan Zábrana,<br />

ad esempio, che dopo il 1968 era rimasto a Praga,<br />

pur entusiasta dell’idea di una casa editrice<br />

libera all’estero, riteneva in sostanza assurdo<br />

l’invito a inviare dei manoscritti che gli era<br />

stato trasmesso tramite Jitka Kˇresálková, che<br />

insegnava allora legalmente in Italia:<br />

la tua richiesta per il momento non può nemmeno essere<br />

presa in considerazione, magari in futuro. Se ho preso la<br />

decisione [. . . ] di vivere qui, devo continuare a giocare con<br />

le stesse regole secondo le quali abbiamo giocato insieme<br />

per i quindici anni in cui ci siamo frequentati, non c’è altra<br />

possibilità,<br />

scriveva ad esempio Zábrana a Škvorecký il 7<br />

ottobre del 1971,<br />

mettere le carte in tavola significherebbe finire come migliaia<br />

di altri a lavorare alla costruzione della metropolitana<br />

o nelle fogne di Praga, mia moglie perderebbe il suo<br />

posto di lavoro e mia figlia, quando sarà il momento, non<br />

verrebbe accettata in nessuna scuola. Conosci tutto ciò fin<br />

troppo bene, ci hai vissuto dentro per anni, io capisco benissimo<br />

che l’ozon de la liberté possa far girare la testa e<br />

che uno non ci pensi su due volte a cancellare dalla mente<br />

tutte le preoccupazioni inutili, tanto più se assolutamente<br />

insensate, ma per il momento non c’è nulla da fare [. . . ]. Ti<br />

ringrazio per l’offerta, il solo pensiero di questa possibilità<br />

è così meraviglioso ed esaltante. . . ma per il momento è<br />

escluso. [. . . ] Qui la situazione si sta sviluppando in modo<br />

molto diverso rispetto agli anni Cinquanta, per il momento<br />

infatti in galera ci sono solo un paio di persone, e non figure<br />

di primo piano, ma al contempo, guardata da ogni altra<br />

prospettiva, è di gran lunga più orribile perché ingenera un<br />

soffocamento, un avvelenamento totale, lento e scientifico,<br />

come quando il cobra indiano ti afferra e ti stringe fino<br />

a farti esalare l’ultimo respiro 2 .<br />

Rispondendo alla lettera di Zábrana, Škvorecký<br />

sottolineava che non intendeva fare pressione<br />

su nessuno, ma che desiderava solo far<br />

sapere in Cecoslovacchia che anche agli scrittori<br />

rimasti in patria era aperta la possibilità di<br />

pubblicare liberamente 3 . In realtà aveva però<br />

un quadro piuttosto preciso di quali manoscritti<br />

avrebbe potuto avere a disposizione in<br />

quel momento. Sapeva ad esempio dell’esistenza<br />

dei nuovi testi di Ivan Klíma e Alexandr<br />

Kliment, sapeva che l’intera tiratura già stampata<br />

del libro Poupata [Boccioli] di Hrabal era<br />

stata mandata al macero, sapeva che era disponibile<br />

il manoscritto del romanzo Kuˇre na rožni<br />

[Il pollo sulla graticola] di Jiˇrí Šotola (quest’ultimo<br />

sarebbe poi uscito prima per la casa editrice<br />

samizdat Petlice e subito dopo, stranamente,<br />

anche per la casa editrice ufficiale Československý<br />

spisovatel), sapeva dell’esistenza della traduzione<br />

di Zábrana del Dottor Živago di Pasternak<br />

(a Praga ne erano però al corrente quasi tutti<br />

e quindi nemmeno un’edizione firmata con<br />

uno pseudonimo poteva essere presa in considerazione)<br />

4 . Il manoscritto di Morčata [Le cavie]<br />

di Vaculík era addirittura arrivato a Toronto<br />

prima che nascesse la casa editrice Sixty-Eight<br />

2 J. Škvorecký, J. Zábrana, Jak je ve větě člověk. Dopisy Josefa<br />

Škvoreckého a Jana Zábrany, Praha 2010, pp. 146-147.<br />

3 Ivi, p. 155.<br />

4 B. Hrabal, Poupata, Praha 1970 (quasi l’intera tiratura è stata<br />

distrutta); J. Šotola, Kuˇre na rožni, Praha 1976; B. Pasternak,<br />

Doktor Živago, Praha 1990.


M. Pˇribáň, A. Pˇribáňová, I rapporti di Sixty-Eight Publishers con il samizdat cecoslovacco 235<br />

Publishers. E proprio a proposito di quest’ultima<br />

opera Škvorecký aveva scritto in una lettera<br />

a Jitka Kˇresálková:<br />

abbiamo qui il manoscritto delle Cavie di Vaculík, ma Utitz<br />

a Colonia sostiene che Vaculík lo ha promesso a loro (hanno<br />

fondato la casa editrice Index). A me di litigare per il<br />

manoscritto di un autore che corre un gran rischio, ammesso<br />

che dia il proprio assenso, sembra una cosa imbarazzante.<br />

Ma se conosci Vaculík, per cortesia, parlagli della<br />

nostra iniziativa, io ovviamente sarei felice se optasse per<br />

noi 5 .<br />

Polemiche e piccole incomprensioni hanno<br />

caratterizzato quindi i primi passi della fondazione<br />

delle case editrici Index e Sixty-Eight Publishers.<br />

E non si trattava solo del romanzo di<br />

Vaculík. I fondatori di Index, ignari dei piani<br />

dei coniugi Škvorecký, avevano pensato a loro<br />

volta di inaugurare le pubblicazioni della loro<br />

casa editrice proprio con il romanzo di Josef<br />

Škvorecký, Tankový prapor [Battaglione carristi],<br />

che nello stesso periodo era già in preparazione<br />

presso la casa editrice di Toronto. Avevano<br />

addirittura inviato all’autore in Canada, credendo<br />

di fargli cosa gradita, la bozza già pronta<br />

della copertina! Allo stesso tempo avevano<br />

illustrato ai coniugi Škvorecký gli aspetti organizzativi<br />

legati alla fondazione della casa editrice<br />

Index, il previsto sistema di distribuzione<br />

delle future pubblicazioni e soprattutto il modo<br />

in cui pensavano di mettere in piedi una struttura<br />

finanziaria funzionante, fondata non solo<br />

sui risultati dell’attività editoriale ma anche su<br />

fondi di sponsor e fondazioni per il momento<br />

anonimi 6 .<br />

E proprio in questo particolare è necessario<br />

individuare uno dei motivi per cui i coniugi<br />

Škvorecký hanno rifiutato l’offerta di una stretta<br />

collaborazione, se non addirittura di una fusione<br />

tra le due iniziative. Se non era chiaro chi<br />

fosse a sponsorizzare l’attività della casa editrice,<br />

non esisteva nemmeno la garanzia di un’indipendenza<br />

assoluta, cosa che più di ogni altra<br />

stava a cuore a Škvorecký. Non avevano<br />

5 J. Škvorecký, J. Zábrana, Jak je ve větě, op. cit., p. 145.<br />

6 “Ke spolupráci dvou posrpnových exilových nakladatelství.<br />

Korespondence z let 1971-1987 s dodatky z roku 1996”, a cura<br />

di V. Prečan, Ročenka Československého dokumentačního<br />

stˇrediska 2003, Praha 2004, pp. 53-134, qui 66-70.<br />

del resto nessun motivo per affidare ad altri la<br />

propria idea imprenditoriale. Il piano abbozzato<br />

da Index prevedeva che nel nuovo comitato<br />

editoriale i due Škvorecký avrebbero potuto<br />

contare soltanto sul proprio voto, e cioè due<br />

voti tra i tanti possibili. L’unico argomento serio<br />

e reale in favore della fusione tra le due case<br />

editrici era probabilmente rappresentato dalla<br />

paura che le forze si disperdessero. Mentre<br />

i fondatori di Index immaginavano un’attività<br />

editoriale imperniata sul principio, non formulato<br />

apertamente, che “l’unione fa la forza” (e<br />

l’esperienza degli scrittori emigrati dopo il 1948<br />

sembrava dare loro ragione), gli Škvorecký ritenevano<br />

al contrario che la forza albergasse nella<br />

diversità. Per di più Škvorecký non era disposto<br />

ad accettare che il programma dell’unica<br />

casa editrice dell’emigrazione fosse affidato<br />

a un ex membro del partito comunista. Poco<br />

dopo Adolf Müller e Bedˇrich Utitz, in un’intervista<br />

per la rivista di Edmonton Telegram, avrebbero<br />

ammesso che “in un certo senso è forse<br />

anche un bene che esistano più case editrici,<br />

anche se si disperdono le forze e si complica la<br />

vendita dei volumi”, raccomandando allo stesso<br />

tempo una più spiccata e originale differenziazione<br />

delle singole attività 7 . Da questo punto<br />

di vista non possiamo sorprenderci. La letteratura<br />

ceca inedita, all’inizio soprattutto quella<br />

prodotta da autori emigrati, rappresentava infatti<br />

la parte più appetibile dei piani editoriali<br />

sia di Index che di Sixty-Eight Publishers. E,<br />

nonostante le due case editrici alla fine si siano<br />

in qualche modo differenziate (Index in direzione<br />

della politologia e Sixty-Eight Publishers<br />

della memorialistica), la base principale dei rispettivi<br />

programmi editoriali sarebbe rimasta<br />

la nuova letteratura ceca. Allo stesso tempo è<br />

necessario accennare anche al fatto che in questo<br />

campo, almeno fino alla nascita di Rozmluvy<br />

a Londra nel 1982, non si sarebbe sviluppata<br />

l’attività di nessun’altra casa editrice.<br />

Le cavie di Vaculík è stato alla fine effettivamente<br />

pubblicato a Toronto e non a Colo-<br />

7 A. Müller, B. Utitz, “Hovoˇrí Index”, a cura di K. Nešvera,<br />

Telegram, 1972-1973 (IV), 2, pp. 4-5.


236 <strong>eSamizdat</strong> 2010-2011 (VIII) ♦ Il samizdat tra memoria e utopia♦<br />

nia, anche se ciò è avvenuto solo nell’agosto<br />

del 1977, e quindi ben sei anni dopo che Josef<br />

Škvorecký aveva accennato al fatto di averne a<br />

disposizione il manoscritto. La pubblicazione<br />

dei libri degli autori che vivevano ancora in Cecoslovacchia<br />

era infatti legata a rischi politici e<br />

legali ai quali le case editrici dell’emigrazione<br />

non volevano sottoporre né se stesse né gli autori<br />

in questione. Le modalità con cui il regime<br />

comunista avrebbe potuto punirli non erano<br />

infatti ancora prevedibili. In realtà però quest’affermazione<br />

non è del tutto vera: il primo libro<br />

pubblicato da Index era stato il volume Jelení<br />

Brod del giornalista Jiˇrí Hochman, che viveva<br />

in Cecoslovacchia. Poco dopo la pubblicazione<br />

l’autore è stato arrestato e dal 31 gennaio 1972 è<br />

stato poi trattenuto per sei mesi in prigione. La<br />

pubblicazione di Jelení Brod non ha rappresentato<br />

la causa diretta dell’arresto, dal momento<br />

che uno dei motivi principali è stato senz’altro<br />

l’appartenenza di Hochman al gruppo che<br />

inviava gli articoli alla rivista di Pelikán (Listy),<br />

ma ha sicuramente contribuito 8 . La successiva<br />

edizione di un volume di un autore vivente in<br />

patria – si trattava dello studio di František Šamalík<br />

Československý problém [Il problema cecoslovacco]<br />

– Index ha preferito pubblicarla nascondendo<br />

l’autore con uno pseudonimo 9 . Anche<br />

gli Škvorecký nel loro primo catalogo annunciavano<br />

del resto, con la stessa accortezza,<br />

la pubblicazione di un “romanzo di un noto<br />

scrittore di Praga”, che “per il momento non ha<br />

deciso se correre il rischio” (probabilmente si<br />

trattava del già citato Le cavie) 10 . Anche la prevista<br />

edizione del romanzo Štěpení [Scissione]<br />

di Karel Pecka è stata annunciata nel 1974 senza<br />

l’indicazione del nome dell’autore, con un titolo<br />

di fantasia, con la città di residenza dell’autore<br />

deliberatamente sbagliata e perfino con una<br />

scheda alquanto mistificatoria della stessa tra-<br />

8 J. Cuhra, Trestní represe odp˚urc˚u režimu v letech 1969-1972,<br />

Praha 1997, p. 64.<br />

9 A. Ostrý [F. Šamalík], Československý problém, Köln 1972.<br />

10 Si veda il catalogo della casa editrice Nakladatelství 68 Toronto,<br />

a cura di Z. Salivarová, J. Škvorecký, Toronto [1971], p.<br />

20.<br />

ma del romanzo 11 . Pecka però ha trovato il coraggio<br />

necessario ed è così divenuto il primo<br />

degli autori pubblicati a Toronto a permettere<br />

con un proprio libro l’unione della corrente<br />

del samizdat con quella dell’emigrazione. Lo<br />

hanno poi seguito Václav Černý, Jaromír Hoˇrec,<br />

Ludvík Vaculík e Václav Havel e altri, mentre<br />

con Index hanno pubblicato i propri romanzi<br />

Mojmír Klánský, Eva Kant˚urková, oltre ad alcune<br />

importanti raccolte di fejeton. È interessante<br />

anche la circostanza che le case editrici di Toronto<br />

e Colonia abbiano inizialmente raccolto<br />

l’opera degli autori rimasti in patria in collane<br />

speciali (quella di Toronto era intitolata “Edice<br />

otevˇrená Petlice” [Edizione catenaccio aperto]<br />

e quella di Colonia “Pˇríběhy ze šuplat” [Storie<br />

dai cassetti]), per poi farla diventare parte<br />

integrante delle rispettive concezioni editoriali,<br />

e allora si è rivelato inutile distinguere questi<br />

volumi dagli altri libri pubblicati 12 .<br />

Per un passo di tale audacia come quello intrapreso<br />

da Karel Pecka e alcuni altri, la maggioranza<br />

degli autori avrebbe trovato il coraggio<br />

solo con grande lentezza. E siccome la comunicazione<br />

libera attraverso la frontiera occidentale<br />

della Cecoslovacchia non era semplice, avevano<br />

luogo continui fraintendimenti. Uno dei<br />

più famosi ha riguardato la raccolta di Jaroslav<br />

Seifert Morový sloup [La colonna della peste],<br />

le cui prime copie samizdat sono state diffuse<br />

in patria a partire dal 1972. Index l’ha pubblicata<br />

nel 1977, suscitando la piccata reazione di<br />

Josef Škvorecký, che aveva a sua volta a disposizione<br />

il manoscritto e addirittura l’autorizzazione<br />

dell’autore alla pubblicazione benché solo<br />

dopo la sua morte (Škvorecký era stato informato<br />

da Praga che, per timore di ripercussioni<br />

nei suoi confronti e della sua famiglia, l’autore<br />

non desiderava per il momento che il libro venisse<br />

pubblicato all’estero) 13 . A differenza del<br />

11 Z. Salivarová, J. Škvorecký, “Milí čtenáˇri. . . ”, L. Pachman, Jak<br />

to bylo, Toronto 1974, pp. 387-391, qui p. 388.<br />

12 Si veda a questo proposito A. Zach, Kniha a český exil 1949-<br />

1990, Praha 1995, pp. 53-66, 133-150.<br />

13 La raccolta di Seifert La colonna della peste è stata in seguito<br />

pubblicata anche a Praga (nel 1981 dalla casa editrice<br />

Československý spisovatel).


M. Pˇribáň, A. Pˇribáňová, I rapporti di Sixty-Eight Publishers con il samizdat cecoslovacco 237<br />

manoscritto, questo messaggio di Seifert non<br />

era però arrivato alla casa editrice Index, per<br />

cui, poco dopo, quando nei piani di Index sono<br />

apparsi i nuovi libri di Pavel Kohout (che allora<br />

viveva ancora in Cecoslovacchia) e di Ivan<br />

Klíma, Škvorecký ha protestato facendo ricorso<br />

ad argomentazioni di carattere legale. Perché<br />

proprio di carattere legale?<br />

Pubblicare all’estero i lavori degli autori viventi<br />

in Cecoslovacchia senza la loro consapevolezza<br />

e autorizzazione era una cosa più o meno<br />

comune nel caso di pubblicazioni su rivista.<br />

La pubblicazione in volume poteva invece essere<br />

equiparata alla trasgressione della convenzione<br />

internazionale sul diritto d’autore e gli<br />

editori dell’emigrazione avevano paura di diventare<br />

bersaglio di fondate cause legali. Inoltre<br />

le autorità cecoslovacche avrebbero potuto,<br />

con diverse forme di pressione, costringere<br />

gli autori dei manoscritti pubblicati a intentare<br />

essi stessi cause giudiziarie. Era quindi necessario<br />

trovare delle vie per neutralizzare questi<br />

rischi. Škvorecký all’inizio pensava addirittura<br />

di poter regolare la questione con l’agenzia ufficiale<br />

Dilia, che allora deteneva il monopolio<br />

degli scrittori, ma la sua argomentazione che<br />

“in fin dei conti siamo una company canadese<br />

ufficialmente registrata” non poteva in nessun<br />

caso avere successo dato il regime politico<br />

della normalizzazione. Škvorecký però allo<br />

stesso tempo, nella citata lettera a Jitká Kˇresálková,<br />

scriveva che “la cosa migliore sarebbe se<br />

gli autori cedessero i diritti a un editore estero,<br />

che potrebbe poi venderli a noi” 14 .<br />

Proprio questa via si sarebbe rivelata a breve<br />

la più praticabile. Il primo a prendere su di<br />

sé il ruolo di intermediario sarebbe stato Jürgen<br />

Braunschweiger, che allora lavorava presso la<br />

casa editrice svizzera Bucher, conquistato alla<br />

causa – a quanto riporta Ivan Klíma – da Pavel<br />

Kohout 15 . Cosa paradossale, i primi contratti<br />

firmati da Braunschweiger con alcuni autori sono<br />

stati davvero realizzati in collaborazione con<br />

la Dilia, in quanto loro rappresentante ufficia-<br />

14 J. Škvorecký, J. Zábrana, Jak je ve větě, op. cit., p. 145.<br />

15 I. Klíma, Moje šílené století, II, Praha 2010, pp. 125-126.<br />

le. Nel caso dei libri successivi però il ruolo di<br />

agente letterario sarebbe stato de facto assunto<br />

dallo stesso Braunschweiger. E il suo datore<br />

di lavoro poi avrebbe concesso i diritti per le<br />

edizioni in lingua ceca, ad esempio, proprio alla<br />

casa editrice di Toronto. Lo stesso ruolo in seguito<br />

sarebbe stato ricoperto anche da altri editori<br />

e redattori, presso i quali gli autori che vivevano<br />

in Cecoslovacchia pubblicavano le traduzioni<br />

delle proprie opere. Questa era però solo<br />

una delle possibilità. Un’altra poteva essere<br />

quella dell’assenso diretto dell’autore, cosa che<br />

però pochi avevano il coraggio di concedere. Le<br />

case editrici perciò erano costrette a prestare fiducia<br />

ai messaggi più svariati provenienti dalla<br />

Cecoslovacchia, della cui affidabilità – e durata<br />

nel tempo – non potevano mai essere del tutto<br />

certi.<br />

In breve la situazione era del tutto anormale<br />

e molti libri sono davvero stati pubblicati dalle<br />

case editrici dell’emigrazione “senza la consapevolezza<br />

e la volontà dell’autore”, come si era<br />

soliti indicare nelle edizioni dell’epoca. I lettori<br />

che vivevano all’estero, e senz’altro anche quelli<br />

che vivevano in Cecoslovacchia (e che venivano<br />

raggiunti con i percorsi più tortuosi dai libri<br />

pubblicati dall’emigrazione), non se la prendevano<br />

certo per questo con gli editori. È del resto<br />

probabile che gli stessi autori del samizdat abbiano<br />

concesso in più di un caso l’assenso alla<br />

pubblicazione a più editori contemporaneamente,<br />

anche perché in fin dei conti era abbastanza<br />

indifferente che i libri che avevano scritto<br />

venissero pubblicati in Canada o nella Germania<br />

dell’ovest e i problemi di concorrenza<br />

che regolavano i rapporti tra le case editrici dell’emigrazione<br />

erano per loro incomprensibili.<br />

Lo dimostra in modo eloquente una lettera inviata<br />

da Pavel Kohout a Josef Škvorecký il 7 novembre<br />

del 1978, quindi nel periodo in cui aveva<br />

avuto il permesso di recarsi all’estero (prima<br />

che le autorità cecoslovacche gli impedissero di<br />

rientrare in patria):<br />

davvero non comprendiamo questa che, da lontano, ci<br />

sembra pura e semplice guerra concorrenziale, degna di<br />

un’altra epoca. I nostri amici vorrebbero inoltre sapere<br />

perché non vi mettete d’accordo tra di voi e, ancora di più,


238 <strong>eSamizdat</strong> 2010-2011 (VIII) ♦ Il samizdat tra memoria e utopia♦<br />

perché i vostri due gruppi non si accordano per quanto riguarda<br />

la distribuzione e le questioni economiche, perché<br />

non pubblicizzano a vicenda i libri degli altri o non danno<br />

vita, per quanto riguarda i volumi più interessanti, a una<br />

collana in coproduzione 16 .<br />

Škvorecký ha risposto a Kohout e agli altri<br />

colleghi in patria con una dettagliata descrizione<br />

di tutti i precedenti constrasti di carattere<br />

concorrenziale 17 . E Kohout ha reagito secondo<br />

le attese, pubblicando il libro successivo, Katyně<br />

[La carnefice], con Index e quello ancora dopo,<br />

Nápady svaté Kláry [Le idee di santa Clara],<br />

dagli Škvorecký. Alla fine tuttavia si è giunti anche<br />

a forme di cooproduzione: nel 1981 Index e<br />

Sixty-Eight hanno ad esempio pubblicato insieme<br />

i ricordi di Seifert Všecky krásy světa [Tutte le<br />

bellezze del mondo].<br />

Allo stesso modo i due editori si sono divisi<br />

anche l’opera di Bohumil Hrabal, anche se i<br />

suoi primi titoli samizdat erano stati pubblicati<br />

esclusivamente da Index, senza nessuna indicazione<br />

della casa editrice. Con questo espediente<br />

un po’ insolito gli editori avevano intenzione<br />

di facilitare il trasporto in Cecoslovacchia<br />

dei libri di un autore in parte ufficialmente<br />

pubblicato e allo stesso tempo aggirare complesse<br />

questioni legali. Il fatto che tra gli autori<br />

della casa editrice di Toronto fosse assente proprio<br />

il suo amico Hrabal non è stato facile da<br />

mandar giù per Škvorecký. Ma la sede di Index<br />

era situata dal punto di vista geografico in<br />

una posizione più comoda, in quanto più facilmente<br />

raggiungibile da Praga, e quindi Hrabal è<br />

stato pubblicato a Colonia, anche se i suoi diritti<br />

erano gestiti per l’occidente dalla traduttrice<br />

Susanne Roth, che era disponibile a cederli agli<br />

Škvorecký e non a Index 18 . Questa circostanza è<br />

stata alla fine sfruttata da Sixty-Eight Publishers<br />

nel 1987, in relazione al libro di ricordi di Hrabal<br />

Proluky [Squarci] ed è così che il libro è uscito<br />

contemporaneamente per Index (senza i dati<br />

dell’editore) e a Toronto (con i dati dell’editore).<br />

16 “Ke spolupráci”, op. cit., pp. 93-94.<br />

17 Ivi, pp. 100-105.<br />

18 Ivi, p. 115.<br />

Anche se tra l’emigrazione e la Cecoslovacchia<br />

si è verificata una lunga serie di piccole e<br />

grandi incomprensioni, non si può certo dire<br />

che non si cercasse di ascoltare le reciproche<br />

posizioni. Lo confermano anche i retroscena di<br />

uno dei piani non realizzati della casa editrice<br />

dei coniugi Škvorecký della fine degli anni Ottanta.<br />

Dopo la morte di Jan Zábrana, nel settembre<br />

del 1984, Sixty-Eight Publishers ha manifestato<br />

interesse per la pubblicazione di qualsiasi<br />

sua opera. Gli Škvorecký però ben sapevano<br />

che Zábrana era in Cecoslovacchia un autore<br />

in parte tollerato e non hanno esitato ad<br />

accordare i propri piani editoriali a quelli delle<br />

case editrici ufficiali di Praga. Della possibile<br />

pubblicazione della raccolta poetica di Zábrana<br />

Stránky z deníku [Pagine di diario] scriveva ad<br />

esempio Škvorecký a Lubomír Dor˚užka in una<br />

lettera inviata a Praga nel settembre del 1988:<br />

a me farebbe molto piacere pubblicare questo libro. Ma se<br />

ora pubblicheranno a Praga una scelta dalle traduzioni delle<br />

opere di Jan, esiste la possibilità che pubblichino anche<br />

Pagine di diario. E non vorrei in nessun modo vanificare<br />

questa possibilità con la nostra edizione 19 .<br />

Per poter sottoporre a un’analisi davvero fondata<br />

i rapporti tra gli autori che vivevano in patria<br />

e le case editrici dell’emigrazione non dovremmo<br />

naturalmente limitarci a due case editrici<br />

e a un così ristretto numero di titoli problematici,<br />

ma dovremmo, oltre alle questioni<br />

fin qui analizzate, affrontarne anche tante altre<br />

non meno interessanti (ad esempio la questione<br />

della fedeltà testuale e della qualità filologica<br />

di edizioni non controllate dall’autore nemmeno<br />

in forma di bozze). Per il momento ci siamo<br />

limitati a tratteggiare i contorni di un problema<br />

importante al quale, negli oltre vent’anni che<br />

sono passati dalla rivoluzione di velluto, non è<br />

stata ancora prestata la necessaria attenzione.<br />

www.esamizdat.it Michal Pˇribáň, Alena Pˇribáňová, “I rapporti di Sixty-Eight Publishers con il samizdat cecoslovacco e la concorrenza con le altre case editrici dell’emigrazione” [Michal<br />

Pˇribáň, Alena Pˇribáňová, Sixty-Eight Publishers v kontaktu s domácím samizdatem i exilovou konkurencí], traduzione dal ceco di Alessandro Catalano, <strong>eSamizdat</strong>,<br />

2010-2011 (VIII), pp. 233-238<br />

19 J. Škvorecký, L. Dor˚užka, Na shledanou v lepších časech. Dopisy<br />

Josefa Škvoreckého a Lubomíra Dor˚užky z doby marnosti,<br />

Praha 2011, p. 409.

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