131. DANTE. De Vulgari Eloquentia libri duo. Dantis Aligerii, præcellentiss. poetæ. Nunc primùm ad vetusti, & vnici scripti codicis exemplar editi. Ex libris Corbinellis: eiudèmque adnotationibus illustrati. Parisiis, apud Io. Corbon, via Carmelitarum ex aduerso coll. Longobard., 1577, € 10.000 in-8 (178x107 mm), pp. (8), 82, (12), 56, (2). Leg. pergamena floscia coeva (piccolo restauro al dorso) in elegante astuccio m.pelle. Carattere tondo e corsivo, di vari corpi, qualche testatina, numerose iniziali ornate. Edizione originale del testo latino dantesco, che venne riscoperto nel 1506 in un manoscritto della famiglia Trivulzio, oggi ancora conservato a Milano. Ne venne tratto il volgarizzamento da parte del Trissino (Vicenza, Tolomeo Ianiculo da Bressa, 1529). Fu invece da un codice ora a Grenoble che Jacopo Corbinelli (1535-1590 ca.), esule fiorentino dal 1568 a Parigi, invitato da Caterina de’ Medici a educare il figlio Enrico III d’Angiò pubblicò l’originale latino. L’opera non suscitò un grande dibattito nemmeno per tutto il Seicento e si dovette attendere fino al 1729 per la seconda edizione, a cura di Scipione Maffei; è da ricordare peraltro la scarsa fortuna in quel periodo della Commedia, nel Seicento pubblicata tre sole volte, mentre curioso è il parallelo del De Vulgari con la Vita nova, che vide la luce soltanto l’anno precedente (Firenze 1576), per ricomparire nel 1723. L’opera doveva essere in 4 libri, ma rimase incompiuta: il primo libro in 19 capitoli dimostra la nobiltà del volgare, non inferiore al latino, considerato una lingua artificiale; Dante analizza poi i dialetti italiani, 7 a ovest e 7 ad est degli Appennini, affermando che il toscano si avvicina alla sua idea di volgare illustre. Il secondo libro è un trattato di retorica, dove illustra gli usi possibili del volgare, che deve essere “illustre, cardinale, regale, curiale”. A dispetto della tardiva pubblicazione, questa princeps è tra le più rare edizioni dell’intera bibliografia dantesca; soli 5 esemplari censiti in biblioteche italiane. Bell’esempl. molto marginoso (con lieve uniforme arrossatura della carta, tracce di firma al titolo). “Dante is the first philologist, and his analysis of the languages of Europe, and of the one language most within his ken, is fundamental. On the one side, the stability of the universal language, Latin; on the other the inescapable mutations of the spoken speech. And for the first time an attempt to classify the dialects of Italy, and in their deficiencies, an option for a volgare to transcend them all, one which will be illustre, aulico, cardinale, curale ...” (Whitfield). MAMBELLI 881: “prima edizione, assai rara” (paginazione errata). BMC, FRENCH 128. MANCA A ADAMS [18124] 132. DECIO, Antonio. Acripanda. Tragedia del Signor Antonio Decio da Horte. Firenze, Stamp. del Sermartelli, 1592, € 1.200 in-4, pp. (4), 155, (1). Leg. mod. m. perg., tit. oro al dorso. Grande stemma dei Medici sul titolo, iniz. e fregi silogr. Dedica a “Monsig. Fabio Orsino de’ Marchesi di Lementana” da parte di imprecisato “Corifilo Pastor Tiberino”, il quale ci fa sapere che l’opera, composta molti anni prima durante le vacanze di un’estate, giaceva abbandonata tra le opere di giurisprudenza dell’autore, finché venne acquistata ed impressa per ordine di Giovanni de’ Medici. Prima edizione di questa “terribile e notissima” (Bertana) tragedia in cinque atti in versi, ambientata a Menfi, in Egitto, ricca di fatti atroci di grande effetto e sicura presa sul pubblico. L’opera ebbe successo clamoroso ed inaspettato e costituì un vero e proprio “caso letterario”; il suo autore, infatti, pur dottissimo, non aveva ambizioni letterarie, non scrisse alcun’altra opera ed esercitò soltanto la professione di avvocato (era nato a Orte, Viterbo, dopo il 1560 e morì poco dopo il 1617; fu intimo amico di T. Tasso con cui amava passeggiare per le vie di Roma, specialmente in piazza Navona). Stimata dai contemporanei e nell’età barocca, “spia di un certo gusto bizzarro, sensuale ed immaginifico” (DBIt. 92
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