Per il "Re di Roma" RNALE .
Per il "Re di Roma" RNALE .
Per il "Re di Roma" RNALE .
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
gli aveva toccato <strong>il</strong> volto e le orecchie con un pezzo della tonaca <strong>di</strong><br />
fra Felice e non glielo aveva persino messo in bocca, era circa un<br />
mese e mezzo. « Et, toccato che [io] l'hebbe con <strong>il</strong> detto panno, come<br />
a <strong>di</strong>re fosse stato hoggi, <strong>di</strong>mani o l'altro (poca cosa ci corse) tOrnando<br />
io <strong>di</strong> fuora, dalli miei perdoni, che soglio fare, esso Francesco<br />
mi <strong>di</strong>sse queste precise parole: "0 vecchia, o nonna!". Et io restai<br />
admirata et mi parse miracolo, com'è ». Alla domanda del vicegerente,<br />
se, quel giorno, Francesco avesse detto altre parole, Porzia rispose:<br />
« Signor no, perché era tar<strong>di</strong>, et io non gli <strong>di</strong>sse altro, ma cominciò<br />
poi, <strong>di</strong> mano in mano, a favellare». E, più avanti, soggiunse: « Et<br />
ogni giorno è andato migliorando, et parla, come Vostra Signoria<br />
potrà intendere da lui, o haver inteso. Et ogni dì meglio par che<br />
habbia spe<strong>di</strong>ta la parola». Essa non l'aveva condotto, dopo la morte<br />
<strong>di</strong> fra Felice, alla chiesa dei Cappuccini, ai pie<strong>di</strong> del Quirinale, detta<br />
allora <strong>di</strong> San Bonaventura e poi <strong>di</strong> Santa Croce dei Lucchesi. « Ma<br />
<strong>il</strong> panno li toccai in casa del signor Alfonso d'A v<strong>il</strong>a, là dove sto io<br />
e lui». E aggiunse, spontaneamente: « lo l'ho menato alle Nove<br />
Chiese, et l'ho detto, che si raccommandasse a quelli martiri». Le<br />
Nove Chiese visitate, in antico, dai pellegrini, erano San Pietro,<br />
San Paolo, le Tre Fontane, la Nunziatella sulla via Ardeatina, San Sebastiano,<br />
San Giovanni, Santa Croce, San Lorenzo e Santa Maria<br />
Maggiore. Alla domanda sui servizi, che Francesco rendeva in casa<br />
d'A v<strong>il</strong>a, prima e dopo ricevuta la grazia, Dionora rispose: « Non<br />
faceva servitio nessuno. Questa invernata, si riduceva alla paglia et<br />
al fieno, lì nelle stalle loro. Et se li dava qualche tozzo <strong>di</strong> pane. Ma,<br />
dopoi che ha incominciato a parlare, comincia a far delli servitii, et<br />
<strong>il</strong> patrone l'ha rivestito, per l'amor <strong>di</strong> Dio».<br />
Don Pietro Sclavi, ancora nello stesso giorno 23 luglio, racconta<br />
<strong>di</strong> Francesco: « Non haveva loco fermo, ma, più delle volte, si riduceva<br />
in casa del signor Alfonso d'A v<strong>il</strong>a o <strong>di</strong> messere Bartholomeo<br />
matarazzaro. Et cominciò a venir lì nella chiesa <strong>di</strong> Santa Cec<strong>il</strong>ia, dove<br />
io son cappellano, et si parlava con lui, come si fa con li muti, per<br />
cenno. Et questa Pasqua si voleva confessare, et io volsi haver fede,<br />
che lui stessi nella parrocchia. Et mi menò testimonii et io lo con-<br />
fessai a cenno. Et non <strong>di</strong>ceva parola, che s'intendesse, se non "usbaghe,<br />
248<br />
-- ~<br />
cuccula ". Et quando chiamava alcuno, <strong>di</strong>ceva "usbaghe" overo "cuccula".<br />
Et con questo nome" usbaghe" chiamava ogn'uno. Et <strong>di</strong> poi a<br />
molti prieghi suoi, che mi faceva per cenni, io lo communicai». Alla<br />
domanda da quanto tempo lo avesse u<strong>di</strong>to parlare, e come egli avesse<br />
acquistato la parola, don Pietro Sclavi risponde: « lo non l'ho mai<br />
sentito parlare, se non adesso, che son venuto qui. Ma ho ben inteso<br />
<strong>di</strong>re da qualch'uno, che <strong>di</strong>ceva" Lo muto parla". Ma non ho inteso<br />
<strong>di</strong>re donde sia venuto, se non quanto n'ho [saputo] da quella donna,<br />
che s'è essaminata», cioè da Dionora da Montalcino.<br />
Il vicegerente domandò a Francesco, che cosa dovesse fare, quella<br />
sera, in servizio dei padroni, ed egli rispose: « So apparecchiare la<br />
tavola, abeverare <strong>il</strong> cavallo et dar da mangiare al cavallo la biada».<br />
Prima che egli si ritirasse, fu chiesto a Francesco, come mai egli<br />
avesse detto d'essere stato condotto alla chiesa dei Cappuccini da<br />
Dionora, quando questa, invece, aveva negato <strong>il</strong> fatto, nel proprio<br />
esame. Egli rispose: « Voi non havete inteso bene », e, a richiesta del<br />
vicegerente, spiegò: « Fu Lucretia, serva <strong>di</strong> casa, ch'è giovane, che<br />
mi <strong>di</strong>sse: "Va' far oratione scalzo alli Cappuccini. Va', via. Tanta<br />
gente ci va". Et io non ci voleva andare. Et l'altra matina io ci andai<br />
scalzo». <strong>Per</strong>ché, <strong>di</strong> fatto, Francesco u<strong>di</strong>va qualche parola. Ad un'altra<br />
domanda, rispose: « Non quel dì, che io tornai da' Cappuccini, ma<br />
dopoi doi dì, che mi toccò, col panno, la bocca, la detta nonna,<br />
cominciai a parlare». Alla domanda su chi egli pregasse, nella chiesa<br />
dei Cappuccini, <strong>il</strong> ragazzo rispose: « Pregava San Francesco et mi<br />
raccomandava a Fra Felice» e le ultime parole che <strong>di</strong> lui troviamo<br />
registrate (dopo la domanda, come mai si raccomandasse a fra Felice,<br />
che egli non conosceva) sono veramente sconcertanti: « lo lo cognosceva,<br />
fra Felice, che portava la saccoccia <strong>di</strong> pane; tanto pane so che<br />
poteva magnare, et lo sentiva <strong>di</strong>re ancora». Confesso, che non so<br />
dare una spiegazione <strong>di</strong> queste strane parole, che conchiudono, per<br />
noi, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> tanti anni, la storia <strong>di</strong> Francesco Muto.<br />
GIOVANNI INCISA DELLA RacCHETTA<br />
\!<br />
1111!