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IL REGOLAMENTO CAMERA DEI DEPUTATI

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SEGRETARIATO GENERALE<br />

DELLA <strong>CAMERA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>DEPUTATI</strong><br />

<strong>IL</strong> <strong>REGOLAMENTO</strong><br />

DELLA<br />

<strong>CAMERA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>DEPUTATI</strong><br />

Storia, istituti, procedure.<br />

A cura di V. LONGI, M. STRAMACCI, S. FURLANI,<br />

G.NEGRI, D.CASSANELLO, G.F.CIAURRO, P.UNGARI,<br />

A. MANZELLA, G. MAROZZA, E. BALDINI, G. CARCATERRA,<br />

G. C. PERONE, S. TRAVERSA, G. SPECCHIA<br />

ROMA MCMLXVm<br />

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SEGRETARIATO GENERALE<br />

DELLA <strong>CAMERA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>DEPUTATI</strong><br />

<strong>IL</strong> <strong>REGOLAMENTO</strong><br />

DELLA<br />

<strong>CAMERA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>DEPUTATI</strong><br />

Storia, istituti, procedure.<br />

A cura di V. LONGI, M. STRAMACCI, S. FURLANI,<br />

G. NEGRI, D. CASSANELLO, G. F. CIAURRO, P. UNGARI,<br />

A. MANZELLA, G. MAROZZA, E. BALDINI, G. CARCATERRA,<br />

G. C PERONE, S. TRAVERSA, G. SPECCHIA<br />

ROMA MCMLXVIU


i<br />

La pubblicazione, diretta dal Segretario Generale dott. Francesco<br />

Cosentino, è stata curata dal dott. Vincenzo Longi e dal prof. Mauro<br />

Stramacci, Consiglieri Capi Servizio.<br />

Hanno partecipato alla redazione del volume il Consigliere prof.<br />

Guglielmo Negri, i Referendari aw. Dario Cassanello, avv. Gian Franco<br />

Ciaurro, dott. Paolo Ungari, dott. Andrea Manzella, dott. Gianluigi<br />

Marozza, dott. Emilia Baldini in Trento, dott. Gaetano Carcaterra,<br />

dott. Gian Carlo Perone, dott. Silvio Traversa e il Consigliere Stenografo<br />

dott. Gino Specchia; ha collaborato il Referendario dott. Gianclaudio<br />

De Cesare.<br />

Ha redatto la bibliografia ragionata il Bibliotecario dott. Silvio Furlani.<br />

Ha svolto le funzioni di assistente del Segretario Generale presso il<br />

gruppo di studio l'aw. Dario Cassanello.<br />

Hanno svolto i compiti di segreteria del gruppo di studio il dott. Andrea<br />

Manzella e la dott. Emilia Baldini in Trento.


PRESENTAZIONE<br />

L'opera, a cui con estrema diligenza hanno atteso valenti<br />

e giovani studiosi che rappresentano tutte le categorie<br />

dei funzionari della Camera, vuole colmare una lacuna, da<br />

un lato, e, dall'altro, costituire una sintesi di fatti e di opinioni<br />

che valga come « punto oggettivo » della procedura parlamentare,<br />

nello stato in cui si trova.<br />

La lacuna va riferita alla mancata prosecuzione della<br />

monumentale opera del Mancini e Galeotti che, edita nel<br />

1887 e parzialmente aggiornata nel 1891, riflette una situazione<br />

direi quasi di infanzia del Regolamento, a parte l'ovvia<br />

considerazione del ben diverso ambito costituzionale in cui<br />

questo era inserito.<br />

Né il successivo lavoro del solo Galeotti, compilato nei<br />

1905 in forma di esegesi dei singoli articoli del Regolamento,<br />

soccorre oltre la sua peculiare natura di commento delle<br />

nuove norme così come erano scaturite dal tormentoso travaglio<br />

del '900, anche se in esso è apprezzabile il tentativo<br />

di rintracciare le grandi linee evolutive degli istituti procedurali<br />

in via di trapasso dalla adolescenza alla maturità.<br />

Allo stesso modo, del resto, va valutata l'ardua impresa<br />

dell'Astraldi (compiuta durante il periodo di eclissi del Parlamento<br />

come libera istituzione rappresentativa) la cui prospettiva<br />

prevalentemente storicistica fu suscettibile di correzione<br />

ed integrazione orientate verso Vistituzionistica soltanto<br />

nel 1950, in una nuova edizione a cui chi scrive ebbe l'onore<br />

di collaborare.


Vili Presentazione<br />

L'unica eccezione valida è costituita dal « Regolamento<br />

illustrato con i lavori preparatori » di Longi e Stramacci, gli<br />

stessi ai quali va ora il merito di avere diretto e coordinato<br />

con encomiabile diligenza - resa più agevole dalla estrema<br />

valentia dei collaboratori - l'opera che viene oggi alla luce.<br />

Il « Regolamento » dei due ancor giovani - allora - funzionari<br />

contiene in nuce, ancorché il modulo apparentemente<br />

frammentario induca a ritenere l'opposto, l'idea dell'attuale<br />

lavoro, di cui è traccia nelle presentazioni di ogni<br />

singolo capo.<br />

Lo sviluppo, cioè, di ciascuna norma, vista nell'arco della<br />

sua vita, dall'origine al tempo nel quale i due autori scrivevano,<br />

non rimaneva un puro fatto storico descrittivo, ma<br />

veniva inquadrato nella più ampia visione degli istituti procedurali<br />

a cui le norme stesse erano ricondotte per il solo<br />

fatto di essere raggruppate per capi.<br />

L'avere offerto in tale guisa, di propria iniziativa ed a<br />

proprio rischio personale, la prova di desiderare, quanto<br />

meno (ma varrebbe meglio dire di sapere realizzare) la unità<br />

concettuale ed una sufficiente integrazione logica fra storia<br />

della normativa regolamentare e definizione dei diversi istituti,<br />

ha costituito titolo perché ad essi e non ad altri venisse<br />

affidato il non facile compito di guidare un gruppo di giovani,<br />

che non è esagerato definire un vero e proprio brain trust,<br />

nella verifica della possibilità di saldare Mancini e Galeotti<br />

col tempo presente.<br />

Ora, non soltanto il gruppo ha rifuggito da quello che<br />

avrebbe potuto essere il comodo espediente della mimesi,<br />

dall'utilizzare cioè il parametro impiegato dai due illustri<br />

commentatori, limitandosi ad aggiunte sul medesimo impianto,<br />

ma ha affrontato con ammirevole coraggio il tema<br />

nuovo ed originale di fare il punto della situazione, senza<br />

cadere per converso nell'altra facile ed ambiziosa tentazione<br />

del « trattato ».


Presentazione<br />

// « punto oggettivo » della procedura nello stato in cui si<br />

trova scaturisce così da un'ottica prevalentemente istituzionistica<br />

che, nella narrativa, si equilibra tra storia, fatti e opinioni,<br />

astenendosi da qualsiasi indulgenza alla meccanica categorizzazione<br />

dei precedenti parlamentari, e, nella pur limitatissima<br />

critica, appare scevra da ogni radicale presa di partito<br />

per Vuna o Valtra tendenza dottrinale.<br />

Casistica e teoria si fondono, come nella mirabile bibliografia<br />

ragionata del Furlani, in una sintesi armonica e<br />

soprattutto imparziale - e perciò stesso oggettiva - che offre<br />

ai parlamentari e agli studiosi un contributo utile a successive<br />

individuali elaborazioni, secondo il costume che contraddistingue<br />

e rende tipica Fattività di ricerca e di documentazione<br />

del funzionario parlamentare.<br />

Tanto più rilevante appare poi tale qualità nel momento<br />

stesso in cui la Camera affronta, per iniziativa e impulso del<br />

Presidente Pertini, il tema affascinante e certamente non semplice<br />

di un radicale rinnovamento delle modalità del proprio<br />

funzionamento interno, recependo dalla consuetudine, dagli<br />

usi cioè di manciniana memoria, quanto di valido in essi<br />

è venuto stratificandosi nel corso degli anni e adeguando<br />

strutture e istituti alle novità che discendono dalla Costituzione,<br />

dalla prassi costituzionale e dal proporzionalismo<br />

elettorale che governa il sistema di scelta della rappresentanza<br />

politica.<br />

È tuttavia possibile che non tutti i destinatari di questa<br />

opera complessa, esterni e interni alla Camera, condividano<br />

la valutazione negli stessi termini di obiettività che fanno<br />

da metro del giudizio di chi scrive.<br />

Sarebbe peraltro sintomo di eccessiva presunzione aspirare<br />

all'unanime riconoscimento di una qualità che - si perdoni<br />

il gioco di parole - è subiettiva nel momento stesso in<br />

cui il lettore esprime il proprio giudizio. Se però, contravvenendo<br />

alle regole dell'etimologia pura, l'obiettività si in-<br />

IX


X Presentazione<br />

tende riferita oltre che ai giudizi dei singoli, anche all'intenzione<br />

degli autori e di coloro che ad essi hanno commesso<br />

mezzi e fiducia, e se soltanto tale intenzione appare visibile<br />

nello sforzo compiuto per tradurla in realtà, allora è possibile<br />

dire fin d'ora che la meta è stata raggiunta e che comunque<br />

un ulteriore contributo d'amore professionale e di dedizione<br />

è stato offerto, che una nuova pietra è stata aggiunta all'antico<br />

edificio degli studi parlamentari.<br />

Un tale riconoscimento costituirebbe già premio lusinghiero<br />

e bastevole per chi, come chi scrive, ed al pari dei<br />

molti che hanno scritto per l'opera oggi venuta alla luce (che<br />

tutti vorrei nominare per elogiare, anche se è giocoforza<br />

accomunarli in un sincero e collettivo apprezzamento), ha creduto<br />

e crede nell'insostituibilità della libera istituzione rappresentativa<br />

quale unico presidio di una civile e ordinata società<br />

democratica.<br />

FRANCESCO COSENTINO


PREMESSA<br />

Nel 1958, presentando un nostro volume contenente l'illustrazione<br />

dei lavori preparatori del Regolamento della Camera a partire dal 1848,<br />

notavamo come questo rappresentasse la continuità della tradizione parlamentare<br />

italiana, la quale ha mantenuto una sua indiscussa unità al<br />

di là delle trasformazioni politiche e costituzionali dello Stato: in realtà<br />

ii Parlamento italiano non fu altro che il proseguimento di quello subalpino,<br />

ed anche la Camera repubblicana, e la stessa Assemblea Costituente,<br />

vollero mantenere formalmente in piedi il codice che regolava<br />

precedentemente - con la sola eccezione delle norme introdotte durante<br />

il periodo fascista - l'attività parlamentare e legislativa.<br />

Il mantenimento di tale tradizione, se da una parte deve considerarsi<br />

come un fattore positivo per lo sviluppo delle istituzioni democratiche<br />

e come un necessario apporto dell'esperienza storica alla funzionalità<br />

del Parlamento, pone tuttavia notevoli problemi di integrazione, illustrazione<br />

e interpretazione del Regolamento della Camera dei Deputati,<br />

problemi scarsamente approfonditi e risolti dalla dottrina e, contemporaneamente,<br />

sempre più pressanti nella concreta e diuturna attività del<br />

Parlamento e nel costante ampliamento delle sue funzioni.<br />

Pertanto, la decisione dell'Ufficio di Presidenza della Camera di<br />

pubblicare un commento sistematico al Regolamento deve essere considerata<br />

soprattutto come un tentativo di porre un punto fermo di carattere<br />

interpretativo sul corpus vigente, e, conseguentemente, di consentire, con<br />

piena cognizione di causa, l'opportuna opera di riforma, la cui estensione<br />

e i cui momenti di attuazione dipenderanno soprattutto dalla valutazione<br />

che in sede politica e tecnica sarà data dell'efficacia degli istituti<br />

esistenti.<br />

L'opera che, come responsabili della redazione, abbiamo avuto<br />

l'onore di predisporre, coordinare e condurre in porto, consta di monografie<br />

distinte in base a una suddivisione dottrinaria della materia, che<br />

tuttavia tiene conto dell'esperienza concreta dei singoli autori, tutti fun-


XII Premessa<br />

zionari qualificati della Camera, a diretto contatto con la vita della<br />

medesima.<br />

La difficoltà maggiore è consistita, evidentemente, nel conciliare<br />

l'esigenza del rispetto delle opinioni individuali con la necessità di fornire<br />

una interpretazione di massima su tutti i problemi più importanti.<br />

Da parte nostra abbiamo cercato nella misura più estesa possibile di<br />

arrivare a questo risultato, e per tale motivo, come sarà facile constatare,<br />

abbiamo volentieri accettato posizioni e interpretazioni non esattamente<br />

conformi a teorie da noi avanzate in nostri contributi personali;<br />

ciò non toglie che, nella maggior parte dei casi, le idee sostenute dai<br />

vari autori possano essere veramente considerate come patrimonio comune<br />

della grande famiglia dei funzionari parlamentari, come opinione<br />

« tecnica » che non vuole contrapporsi alla interpretazione « politica »,<br />

ma che vuole fornire ad essa le basi necessarie per eventuali riforme<br />

e per un adeguamento sempre più stretto tra realtà politica e struttura<br />

giuridica dell'istituto parlamentare.<br />

Il commento sistematico al Regolamento della Camera è dunque<br />

un contributo obiettivo ma non distaccato, imparziale ma non dottrinario,<br />

a un'auspicabile opera di rinnovamento nell'ora in cui il grande<br />

tema politico e costituzionale della funzionalità del Parlamento diviene<br />

un momento stesso del dibattito, agitato nel Parlamento medesimo e nel<br />

Paese, sulla riforma delle strutture dello Stato e sul perfezionamento<br />

democratico delle istituzioni.<br />

L'opera è destinata ai parlamentari, agli studiosi, ai tecnici; ma<br />

non si deve dimenticare l'importanza che essa potrà assumere per la<br />

preparazione di giovani particolarmente interessati alla vita del Parlamento<br />

e che di qui a qualche anno continueranno la nostra attività di<br />

esperti al servizio delle Camere. Ad essi soprattutto va in questo momento<br />

il nostro augurio.<br />

Roma, ottobre 1968.<br />

VINCENZO LONGI - MAURO STRAMACCI


INDICE


INDICE<br />

PRESENTAZIONE Pag. vn<br />

PREMESSA » xi<br />

CAPO I. - <strong>IL</strong> DIRITTO PARLAMENTARE NEL QUADRO DEL DIRITTO<br />

PUBBLICO » 3<br />

(Guglielmo Negri)<br />

1. Diritto parlamentare e procedura parlamentare . » 3<br />

2. Carattere politico dei rapporti giuridici oggetto del<br />

diritto parlamentare » 5<br />

3. Diritto e regime parlamentare . B 7<br />

4. Il diritto parlamentare e la sua influenza sull'assetto<br />

costituzionale » 9<br />

5. Diritto parlamentare e diritto costituzionale . . . » 10<br />

CAPO II. - LA NATURA GIURIDICA DELLE NORME <strong>DEI</strong> REGOLA­<br />

MENTI PARLAMENTARI » 15<br />

(Silvio Traversa)<br />

1. Disciplina costituzionale della autonomia regolamentare<br />

delle Camere e sua problematica . . . » 15<br />

2. La teoria che nega la giuridicità delle norme dei<br />

regolamenti parlamentari e quella che l'afferma nel<br />

quadro della concezione istituzionistica del diritto<br />

e della pluralità degli ordinamenti giurìdici . . . » 20<br />

3. Critica della teoria dell'unicità del fondamento giuridico<br />

delle norme regolamentari e loro validità<br />

nell'ambito dell'ordinamento generale dello Stato . B 26<br />

4. Distinzione delle norme regolamentari in interne ed<br />

esterne e conseguenze sulla loro natura giuridica . B 30<br />

5. La più recente dottrina e giurisprudenza in merito<br />

alla natura delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

e al loro eventuale sindacato di costituzionalità B 33


XVI Indice<br />

CAPO III. - I PRECEDENTI STORICI DEL DIRITTO PARLAMENTARE<br />

VIGENTE IN ITALIA Pag. 41<br />

(Paolo Ungari)<br />

1. Storia e storiografia del diritto parlamentare . . » 41<br />

2. Gli antichi parlamenti italiani » 43<br />

3. Dalle Repubbliche giacobine ai Regni Napoleonici » 47<br />

4. Esperienze e dibattiti risorgimentali » 57<br />

5. Il Parlamento subalpino » 63<br />

6. Il diritto parlamentare italiano nell'età liberale . . » 69<br />

7. La guerra mondiale e la proporzionale . . . . » 78<br />

8. Le Camere nel periodo fascista » 84<br />

9. Il regime costituzionale transitorio e la Consulta . » 90<br />

10. Continuità del diritto parlamentare italiano . . . » 94<br />

CAPO IV. - FORMAZIONE DELLA <strong>CAMERA</strong> ~ STATO GIURIDICO DEL<br />

DEPUTATO - LA VERIFICA <strong>DEI</strong> POTERI - L'AUTORIZ­<br />

ZAZIONE A PROCEDERE - L'ACCUSA PARLAMENTARE . » 99<br />

(Andrea Manzella)<br />

La formazione della Camera » 99<br />

Lo stato giuridico del deputato e il principio di eguaglianza<br />

» 102<br />

La prerogativa della verifica dei poteri » 104<br />

1. La proclamazione; la convalida » 104<br />

2. Procedimento di convalida: le successive fasi davanti<br />

alla Giunta delle Elezioni e davanti all'Assemblea;<br />

rapporti fra Giunta e Assemblea . . . » 106<br />

3. Le cause di invalidazione del mandato parlamentare.<br />

Le cause impeditive della convalida: a) irregolarità<br />

delle operazioni elettorali; b) cause di ineleggibilità<br />

originarie » 114<br />

4. Le cause di decadenza: a) irregolarità delle operazioni<br />

elettorali emerse per successive verifiche; b) le<br />

cosiddette cause di ineleggibilità sopraggiunte; e) le<br />

cause di incompatibilità: procedimento per l'accertamento<br />

» 126<br />

5. Le incompatibilità « di esercizio » e lo status economico<br />

del parlamentare » 141


Indice XVII<br />

La prerogativa ex articolo 68 della Costituzione; significato<br />

politico-costituzionale dell'istituto . . . . Pag. 143<br />

6. La garanzia dell'insindacabilità » 145<br />

7. La garanzia dell'inviolabilità » 150<br />

8. La procedura davanti alla Giunta per l'autorizzazione<br />

a procedere e davanti all'Assemblea . . . » 159<br />

9. Natura dell'attività posta in essere dalla Camera<br />

nell'esercizio della prerogativa » 165<br />

La prerogativa ex articoli 90 e 96 della Costituzione; significato<br />

di prerogativa dell'istituto dell'accusa parlamentare<br />

» 166<br />

10. La Commissione inquirente per i giudizi d'accusa » 167<br />

11. Rapporti tra Commissione inquirente e Autorità<br />

giudiziaria ordinaria » 169<br />

12. Gli atti introduttivi del procedimento » 171<br />

13. Il procedimento davanti alla Commissione inquirente:<br />

le varie ipotesi di decisione » 173<br />

14. Il procedimento davanti al Parlamento in seduta<br />

comune » 178<br />

CAPO V. - GLI ORGANI DELLA <strong>CAMERA</strong> » 183<br />

(Gian Franco Ciaurro)<br />

La Presidenza » 184<br />

1. Modalità di elezione della Presidenza della Camera » 184<br />

2. Il Presidente della Camera come organo di rilevanza<br />

esterna » 189<br />

3. Le funzioni interne del Presidente » 198<br />

4. Autonomia e responsabilità del Presidente . . . » 227<br />

5. I Vice Presidenti » 229<br />

6. I Segretari di Presidenza » 231<br />

7. I Questori » 233<br />

8. L'Ufficio di Presidenza come organo collegiale . . » 234<br />

9. La Conferenza dei Presidenti » 237<br />

/ Gruppi parlamentari » 240<br />

10. Origini e natura dei Gruppi parlamentari . . . . » 240<br />

11. La costituzione dei Gruppi » 244<br />

12. Le funzioni dei Gruppi » 248


xvm<br />

Indice<br />

Le Commissioni parlamentari Pag. 251<br />

13. Origini e natura delle Commissioni » 251<br />

14. La costituzione delle Commissioni permanenti . . » 254<br />

15. Il funzionamento delle Commissioni permanenti » 259<br />

16. Le Commissioni speciali » 275<br />

17. Le Commissioni speciali per l'esame di progetti di<br />

legge » 276<br />

18. Le Commissioni di indagine » 277<br />

19. Le Commissioni di inchiesta » 279<br />

20. La Commissione inquirente per i procedimenti di<br />

accusa » 282<br />

21. Le Commissioni di vigilanza » 283<br />

22. Le Commissioni consultive » 285<br />

Le Giunte » 286<br />

23. Origini e natura delle Giunte » 286<br />

24. La Giunta per il Regolamento » 287<br />

25. La Giunta delle Elezioni » 289<br />

26. La Giunta per le autorizzazioni a procedere . . » 291<br />

CAPO VI. - L'ORDINAMENTO DELL'ASSEMBLEA PLENARIA E DEL<br />

PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE » 297<br />

(Gino Specchia)<br />

1. Le Assemblee parlamentari » 297<br />

2. La convocazione delle Assemblee parlamentari . » 299<br />

3. La fissazione dell'ordine del giorno » 304<br />

4. Il processo verbale » 305<br />

5. I congedi » 305<br />

6. Il numero legale » 306<br />

7. La disciplina delle sedute » 310<br />

8. La pubblicità dei lavori » 312<br />

9. L'ostruzionismo » 314<br />

10. Il Parlamento in seduta comune » 315<br />

11. Le deputazioni » 322


Indice XIX<br />

CAPO VII. - L'ITER LEGISLATIVO: L'ESAME PRELIMINARE . . Pag. 325<br />

(Gianluigi Marozza)<br />

1. L'iniziativa legislativa » 325<br />

2. L'istituto della presa in considerazione » 342<br />

3. L'esame preliminare dei progetti di legge presso le<br />

Commissioni permanenti o speciali in sede referente » 350<br />

4. I pareri » 361<br />

5. La conclusione dell'esame preliminare » 372<br />

CAPO VIII. - L'ITER LEGISLATIVO : LA DISCUSSIONE IN ASSEM­<br />

BLEA PLENARIA E NELLE COMMISSIONI IN SEDE LE­<br />

GISLATIVA » 381<br />

(Dario Cassanello)<br />

L'iter legis in generale » 381<br />

1. Il dibattito e la sua problematica » 381<br />

2. Il concetto di legge formale e i sistemi procedurali » 383<br />

3. L'evoluzione storica degli istituti della discussione . » 392<br />

La discussione in Assemblea plenaria » 407<br />

4. Generalità » 407<br />

5. La discussione generale » 416<br />

6. La chiusura della discussione generale » 422<br />

7. Gli ordini del giorno : evoluzione storica dell'istituto » 428<br />

8. Gli ordini del giorno: discussione » 431<br />

9. La discussione degli articoli » 438<br />

10. Gli emendamenti: evoluzione storica dell'istituto . » 440<br />

11. La discussione degli emendamenti » 443<br />

12. Questioni incidentali formali: richiamo al regolamento;<br />

inserzione e inversione dell'ordine del<br />

giorno; richiamo per la priorità delle votazioni o<br />

posizione della questione » 454<br />

13. Questioni incidentali sostanziali: rinvio; sospensiva;<br />

pregiudiziale; preclusione » 457<br />

14. Il fatto personale » 465


XX Indice<br />

La discussione nelle Commissioni in sede legislativa . . Pag. 467<br />

15. Origini ed evoluzione storica dell'istituto . . . . » 467<br />

16. Il problema della natura delle Commissioni in sede<br />

legislativa » 471<br />

17. Il problema della legittimazione all'esercizio dei<br />

poteri legislativi » 476<br />

18. L'attribuzione dei progetti di legge alla Commissione;<br />

la rimessione all'Assemblea » 481<br />

19. La riserva costituzionale di Assemblea . . . . » 486<br />

20. Conflitti di competenza tra Commissioni in sede<br />

legislativa » 489<br />

21. La procedura della discussione in Commissione . . » 490<br />

22. La Commissione in sede redigente » 495<br />

CAPO IX. - L'ITER LEGISLATIVO: L'ESAME <strong>DEI</strong> B<strong>IL</strong>ANCI . . . » 505<br />

(Gian Carlo Perone)<br />

1. Generalità » 505<br />

2. Progetti di riforma della procedura di approvazione<br />

del bilancio dello Stato » 510<br />

3. La legge 1° marzo 1964, n. 62 » 515<br />

4. La riforma regolamentare del 1965 » 518<br />

5. L'esame in sede di Commissione » 521<br />

6. Gli emendamenti al bilancio » 524<br />

7. Il rifiuto del bilancio; presentazione del bilancio<br />

da parte di un governo dimissionario . . . . » 530<br />

CAPO X. - L'ITER LEGISLATIVO: L'ESAME DELLE LEGGI COSTITU­<br />

ZIONALI E DI REVISIONE COSTITUZIONALE » 537<br />

(Gian Carlo Perone)<br />

1. Generalità » 537<br />

2. Peculiarità del procedimento di revisione . . . . » 539<br />

3. Consecutività e alternatività della duplice deliberazione<br />

» 541<br />

4. La procedura della seconda deliberazione . . . » 545<br />

CAPO XI. - LA VOTAZIONE » 551<br />

(Gaetano Carcaterra)<br />

1. Generalità » 551<br />

2. La fase preliminare » 560


Indice XXI<br />

3. La fase costitutiva Pag. 576<br />

4. La fase integrativa » 593<br />

5. Le votazioni elettive (o cosiddette personali) . . . » 602<br />

CAPO XII. - LA FUNZIONE ISPETTIVA E <strong>IL</strong> RAPPORTO PARLA­<br />

MENTO-GOVERNO » 617<br />

(Emilia Trento Baldini)<br />

1. Generalità » 617<br />

2. Le interrogazioni » 620<br />

3. Le interpellanze » 623<br />

4. Le mozioni ». 627<br />

5. Le mozioni di fiducia e di sfiducia » 631<br />

6. La posizione della questione di fiducia » 635<br />

7. Le inchieste parlamentari » 637<br />

GUIDA BIBLIOGRAFICA » 649<br />

(Silvio Furlani)<br />

PREMESSA » 649<br />

CAPOMI-III » 651<br />

CAPO IV » 703<br />

CAPO V » 715<br />

CAPO VI » 733<br />

CAPO VII-VIII-IX-X » 751<br />

CAPO XI » 777<br />

CAPO XII » 785


<strong>IL</strong> <strong>REGOLAMENTO</strong><br />

DELLA<br />

<strong>CAMERA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>DEPUTATI</strong>


CAPO I<br />

<strong>IL</strong> DIRITTO PARLAMENTARE<br />

NEL QUADRO DEL DIRITTO PUBBLICO<br />

di Guglielmo Negri


CAPO I.<br />

<strong>IL</strong> DIRITTO PARLAMENTARE<br />

NEL QUADRO DEL DIRITTO PUBBLICO<br />

SOMMARIO: 1. Diritto parlamentare e procedura parlamentare. — 2. Carattere<br />

politico dei rapporti giuridici oggetto del diritto parlamentare. — 3. Diritto<br />

e regime parlamentare. — 4. Il diritto parlamentare e la sua influenza<br />

sull'assetto costituzionale. — 5. Diritto parlamentare e diritto costituzionale.<br />

• 1. - Il problema dell'inquadramento del diritto parlamentare nell'ambito<br />

del diritto pubblico - ciò che costituisce oggetto immediato di<br />

trattazione - presuppone la soluzione di altra preliminare problematica,<br />

quella concernente l'autonomia di quel ramo del diritto, sia sotto il profilo<br />

della universalità dei valori scientifici a cui esso è affidato, sia sotto<br />

il profilo della specificità dell'oggetto e dei contenuti. Aspetti, questi, che,<br />

almeno allo stato attuale della dottrina in Italia, non possono certamente<br />

darsi per chiariti, donde, infatti, discende la problematicità che con essi<br />

viene qui a collegarsi.<br />

L'arretratezza degli studi di diritto parlamentare, rilevata ancora di<br />

recente da un'autorevole prospettiva operativa oltre che scientifica (1),<br />

deve essere riconnessa ad una serie di fattori storici, storico-politici e<br />

storico-giuridici. Non sembra dubbio, ad esempio, che il lungo periodo<br />

di torpore e di snaturamento degli istituti di rappresentanza parlamentare<br />

coincidente con l'esperienza di regime fascista abbia influito negativamente<br />

sullo sviluppo autonomo degli studi parlamentari in generale,<br />

che pure aveva avuto qualche interessante segno prodromico nei primi<br />

decenni del secolo; così come non sembra dubbio, anche per quanto si<br />

verrà dicendo, che gli influssi teorici della dogmatica tedesca e le esigenze<br />

pratiche connesse all'attuazione del principio della totale codificazione<br />

del diritto, abbiano largamente condizionato l'autonoma sistemazione<br />

del diritto parlamentare, le cui fattispecie sono, infatti, ben lontane<br />

dall'esaurirsi in una tematica rigidamente giuridica.<br />

(1) COSENTINO, // problema della produzione legislativa nel sistema parlamentare<br />

italiano, in « Montecitorio », nn. 5-6, 1965, pag. 5.


4 // diritto parlamentare nel quadro del diritto pubblico<br />

D'altra parte, l'incidenza politica e costituzionale e quindi l'autonoma<br />

rilevanza giuridica del « fenomeno » parlamentare, proprio per la forma,<br />

per così dire, « ottriata » o d'importazione fra le moderne istituzioni politiche<br />

italiane come di altri ordinamenti del continente europeo, non ha<br />

mancato di determinare largamente le stesse forme di regolamentazione<br />

del fenomeno, nel senso che, riuscendo in massima irriducibile in formule<br />

giuridiche la sostanza politica e funzionale dell'istituto parlamentare,<br />

frutto di una sedimentazione materiale protrattasi per secoli nell'Isola<br />

britannica ed espressione dei valori ideali ben più remoti e diffusi,<br />

l'esigenza dominante della regolamentazione venne inizialmente soddisfatta<br />

e successivamente assecondata attraverso la particolarizzazione descrittiva<br />

e vincolante delle procedure parlamentari, contestuale, del resto,<br />

a quanto si compiva in rispetto ad altri rami del diritto sostanziale (2).<br />

Tutto ciò, se spiega la connessione esistente e comunque ipotizzata<br />

tra la qualificazione giuridica dei regolamenti parlamentari e l'autonoma<br />

collocazione del diritto parlamentare nell'ambito del diritto pubblico,<br />

coglie altresì la necessità di non identificare il diritto parlamentare medesimo<br />

con la cosiddetta « procedura parlamentare », coordinamento organico<br />

delle diverse procedure e procedimenti parlamentari, la cui stessa<br />

esposizione sistematica, nella misura in cui è possibile nel più ampio<br />

concerto del diritto parlamentare, sembra, anzi, confluire in una affermazione<br />

di sostanziale autonomia di questo.<br />

In sostanza, se un tentativo dev'essere fatto di considerare autonomamente<br />

il diritto parlamentare, esso non può avere ad oggetto soltanto<br />

quel complesso di regole assai differenti tra loro che compongono la procedura<br />

parlamentare e che trovano una comune qualificante nella loro<br />

« strumentalità », sia rispetto all'esigenza pratica che l'attività delle assemblee<br />

parlamentari venga ordinatamente condotta ad una manifestazione<br />

di volontà legislativa o politica delle medesime, sia, secondo quanto<br />

precisato dal Burdeau (3), rispetto all'esigenza garantista che, più o meno<br />

sostanzialmente, è presente in ogni ordinamento costituzionale e che esprime<br />

la necessità di ancorare, per quanto possibile, le determinazioni politiche<br />

delle Camere parlamentari ai valori fondamentali dell'ordinamento<br />

(ad esempio il rispetto delle opinioni concretato nella tutela delle minoranze),<br />

ed oltre le istanze di giustizia e di correttezza che muovono di­<br />

ci) Per alcune interessanti considerazioni su questo punto, parzialmente confluenti<br />

con quanto sostenuto nel testo, v. COSENTINO, Note sui princìpi della procedura parlamentare,<br />

in « Rassegna Parlamentare », 1959.<br />

(3) BURDEAU, Méthodes de la science politique, Paris 1959, pag. 440; v. anche<br />

MOHRHOFF, Parlamento, in « Novissimo Digesto Italiano », par. 5.


diritto parlamentare nel quadro del diritto pubblico 5<br />

rettamente e spontaneamente dalla comunità. Da questo punto di vista,<br />

è stato osservato, il perfezionamento e la ulteriore articolazione formale<br />

delle norme procedurali nell'ambito della regolamentazione parlamentare<br />

sono considerati, nel tipo di ordinamento codificato ed al pari di qualsiasi<br />

codificazione processuale, segno di avanzamento complessivo della<br />

civiltà giuridica; ma si deve, peraltro, ribadire che proprio il carattere essenzialmente<br />

politico delle attività, dei rapporti e delle funzioni parlamentari,<br />

impedisce di conchiudere le fattispecie sostantive di diritto parlamentare<br />

nelle norme procedurali. Queste ultime, del resto, manifestano<br />

la loro peculiarità rispetto ad altre del medesimo tipo (le norme di diritto<br />

processuale civile) proprio nella loro relativa elasticità, ancorate come<br />

sono più a principi etico-politici che a cogenti norme superiori, nonché<br />

variamente utilizzate nelle singole tematiche e nei diversi contesti politici<br />

generali, rispetto alla cui operatività parlamentare fungono soltanto da<br />

limite esterno.<br />

2. - Una ricostruzione qualificativa del diritto parlamentare quale si<br />

viene svolgendo, su un piano cioè largamente sperimentale per la carenza<br />

di consolidati indirizzi, può ricevere ausilio da esemplificazioni analogiche,<br />

una delle quali può, infatti, essere rinvenuta nel diritto amministrativo,<br />

la cui autonoma collocazione nell'ambito del diritto pubblico è stata<br />

anch'essa, a suo tempo, abbastanza problematica. Ebbene, non sfugge ad<br />

alcuno come, con riferimento particolare al diritto amministrativo italiano,<br />

gli atti dell'amministrazione contenenti dichiarazioni di volontà<br />

si concretizzino in massima attraverso un « procedimento », la cui pratica<br />

enucleazione e prima teorizzazione si inquadrano nel vasto movimento<br />

giuridico-politico che accompagna la formazione dello Stato di<br />

diritto e che si vorrebbe attualmente vieppiù perfezionare soprattutto per<br />

quanto attiene alle valutazioni tecniche che in esso possono confluire (4).<br />

Ma, pur con il suo carattere limitativo della attività amministrativa e,<br />

in definitiva, garantista dei privati interessi giuridicamente tutelabili, il<br />

procedimento non identifica il diritto amministrativo, che invece si caratterizza<br />

sostantivamente e positivamente attorno alla « discrezionalità »<br />

dell'amministrazione, ossia rispetto al quid verso il quale la procedura<br />

tende ad affermare ed a perfezionare le proprie attitudini limitatrici.<br />

Come prima indicazione dell'indagine, non sembra, dunque, difficile<br />

individuare quale carattere sostantivo del diritto parlamentare, in ana-<br />

(4) Si veda, in particolare, la proposta di legge Lucifredi, recante « Norme generali<br />

sulla azione amministrativa » (Camera dei Deputati, IV Legislatura, atto n. 81).


6 // diritto parlamentare nel quadro del diritto pubblico<br />

logia con quanto presentato dalla discrezionalità per il diritto amministrativo,<br />

la « politicità » dei rapporti e delle fattispecie che in esso tendono<br />

a confluire in quanto più o meno direttamente riferibili all'istituto<br />

parlamentare ed alla sua configurazione funzionale interna e rispetto agli<br />

altri istituti ed elementi del sistema politico-costituzionale, mentre la procedura<br />

parlamentare costituisce soltanto una parte, per quel che si è<br />

detto, strumentale di quel diritto. E così come la discrezionalità amministrativa,<br />

criterio quanto meno metagiuridico, non ripugna al diritto, che<br />

anzi ne fa oggetto e motivo di una propria settorializzazione autonoma,<br />

la caratterizzazione politica del fatto parlamentare non impedisce che<br />

esso sia preso ad oggetto di sistemazione giuridica, restando ovviamente<br />

aperto il problema - proprio anche al diritto costituzionale - dell'ampiezza<br />

in cui la normativa può essere formalizzata in precise norme regolamentari<br />

a fronte di numerosi rapporti e fattispecie parlamentari che inducono<br />

all'ulteriore qualificazione del diritto parlamentare, complessivamente<br />

e sostantivamente considerato, come diritto istituzionalmente legato<br />

alla materialità.<br />

Ma se tutto ciò può, forse, concludere sulla non coincidenza tra diritto<br />

parlamentare e procedura parlamentare, in contrasto con alcune tendenze<br />

espositive abbastanza diffuse, e sul maggiore spettro obbiettivo<br />

del primo, non può invece bastare, per la persistente mancanza appunto<br />

di una definizione positiva dell'obbiettivo di quello, per una indicazione<br />

di autonomia scientifica e sistematica.<br />

Certamente sfugge ai limiti del tema in trattazione la esposizione dei<br />

valori storici ed ideali che, per la loro stessa portata in connessione con<br />

l'istituto parlamentare, legittimano quanto meno l'ipotesi di autonomia<br />

scientifica del diritto parlamentare: così è appena da ricordare che le<br />

forme parlamentari, fin dalle prime espressioni in antichissime civiltà,<br />

altro non sono se non la traslazione sul piano delle istituzioni politiche<br />

del metodo del confronto concettuale come via obbligata per la sintesi,<br />

metodo a sua volta determinato dai valori individuali e di libertà che<br />

infatti sono il fondamento della intera civiltà politica o, come altri ha<br />

scritto, del « costituzionalismo occidentale » (5). Né su questa base può<br />

sorprendere che alle origini di quella che viene considerata la matrice del<br />

parlamentarismo moderno, l'esperienza inglese, sia dato di rinvenire un<br />

sicuro influsso del cristianesimo, sotto il profilo della traslazione in In­<br />

es) Si confr. C. H. MC<strong>IL</strong>WAIN, Costituzionalismo antico e moderno, ed. it.,<br />

Venezia 1958; // pensiero politico occidentale dai Greci al tardo Medioevo, ed. it.,<br />

Venezia 1959.


diritto parlamentare nel quadro del diritto pubblico 7<br />

ghilterra, poco prima della convocazione delle rappresentanze articolate<br />

degli « stati », delle forme di governo monastiche, che i domenicani avevano<br />

mutuato direttamente dall'assioma conciliare della partecipazione<br />

in forma rappresentativa della comunità dei cristiani alle decisioni di<br />

interesse generale (6).<br />

3. - Queste ed altre considerazioni sono esplicative - si diceva -<br />

delle motivazioni universali e storicamente autonome rispetto anche alla<br />

complessiva civiltà politica occidentale, degli istituti e delle forme parlamentari<br />

e quindi anche, in principio, dei rapporti che ad essi ineriscono.<br />

Ma, per altro verso, proprio la coincidenza di certi valori del parlamentarismo<br />

con quelli dello sviluppo politico dell'Occidente e, ancor più,<br />

l'accennato riferimento alla esperienza parlamentare inglese dell'attributo<br />

di matrice non solo del moderno istituto parlamentare, portatore della<br />

rappresentanza politica senza la mediazione del mandato giuridico vincolante,<br />

bensì, per tramiti storici diversi, di tutte le principali forme di<br />

governo in atto nell'area occidentale, hanno contribuito a creare una serie<br />

di equivoci tipologici e di sistematica scientifica; talché, per quanto in<br />

questa sede particolarmente interessa, si è a suo tempo configurato un<br />

concetto di « regime parlamentare », rispondente più ad una sorta di<br />

idealizzazione dell'esperienza britannica e del suo rendimento storico<br />

che ad una realtà istituzionale avente concrete caratteristiche e collocazione<br />

cronologica, rispetto al quale ideologismo hanno trovato confronto, spesso<br />

polemico, le varie « forme di governo parlamentare », realizzate nel continente<br />

europeo al seguito della Rivoluzione francese e delle altre rivoluzioni<br />

nazionali (7). Su questa base, come ancora di recente notava Vittorio<br />

Emanuele Orlando (8), anche le tematiche politico-giuridiche proprie<br />

dell'istituto parlamentare, in quanto attinenti ad esempio alla configurazione<br />

delle assemblee come autonomo corpo sociale ed alla ricerca<br />

di una altrettanto autonoma loro funzionalità interna e nella complessa<br />

ricerca dell'equilibrio tra gli organi di governo, vennero assorbite interamente<br />

dalla trattatistica di diritto costituzionale, nettamente influenzata,<br />

fin dai suoi inizi, dagli schemi formalistici e dogmatici e che negli anni<br />

fra le due guerre mondiali doveva trovare il modo di sperimentare in<br />

concrete forme costituzionali le proprie elaborazioni; mentre del tutto<br />

(6) BARKER, The Dominican Order and Convocation, A Study in the Growth of<br />

Representation in the Church during the thirteenth century, Oxford 1913.<br />

(7) Cfr. MORTATI, Corso di lezioni di diritto costituzionale italiano e comparato,<br />

1958-59, Roma 1959, pag. 126 e segg.<br />

(8) V. E. ORLANDO, in « Introduzione » a MOHRHOFF, Giurisprudenza parlamentare,<br />

Roma 1950.


8 // diritto parlamentare nel quadro del diritto pubblico<br />

naturalmente, gli aspetti più propriamente tecnico-giuridici del diritto<br />

parlamentare, ossia del diritto maturato nelle assemblee e per esse, dopo<br />

essere stati irrigiditi negli strumenti regolamentari, venivano sistemati<br />

nella « procedura parlamentare », dimensione processuale e non sostanziale<br />

del diritto parlamentare.<br />

Sono appunto queste le ragioni storiche a cui si accennava e che vengono<br />

altrove partitamente analizzate, per le quali l'autonomia del diritto<br />

parlamentare nell'ambito del diritto pubblico dev'essere ricercata essenzialmente<br />

nella sua differenziazione dal diritto costituzionale, nella misura<br />

almeno in cui l'istituto parlamentare e la sua fenomenologia sono<br />

oggetto di quest'ultimo ramo del diritto.<br />

Come pure si accennava, la base per una definizione contenutistica<br />

del diritto parlamentare è offerta da una dottrina, quella del Miceli (9),<br />

svolta contestualmente alle tematiche costituzionali a fronte delle quali<br />

tendeva proprio a differenziarsi, una dottrina a cui ancora l'Orlando sembra<br />

riferire l'inizio della elaborazione di diritto parlamentare in Italia.<br />

La elaborazione del Miceli, consegnata significativamente ad un<br />

« trattato », è volta esplicitamente ad identificare una zona o sezione del<br />

diritto pubblico interno, sintetizzata nella definizione seguente : « quel<br />

complesso di rapporti politico-giuridici, i quali si sviluppano all'interno<br />

di un'assemblea politica o fra le assemblee politiche esistenti in uno Stato<br />

e fra di esse e gli altri pubblici poteri; quindi le norme che definiscono<br />

tali rapporti e li regolano, nonché la scienza che li studia ».<br />

Com'è facile ricavare dalla definizione, essa si preoccupa di conciliare<br />

la rilevanza dei concreti rapporti parlamentari, dei « fatti » parlamentari<br />

cristallizzati nei « precedenti » - come a suo tempo aveva puntualizzato<br />

l'Erskine May, sforzandosi di isolare per questa via il diritto<br />

parlamentare dal diritto costituzionale (10) - con l'esigenza di una esposizione<br />

« normativistica », quale del resto è resa indispensabile dalle forme<br />

regolamentari delle procedure parlamentari, essendo tuttavia ed in<br />

ogni caso i « rapporti » nella loro realtà essenzialmente politica il momento<br />

iniziale della osservazione scientifica, rispetto ai quali la previsione<br />

normativa non può pretendersi che sia immediatamente e totalmente rinvenuta<br />

nelle norme regolamentari, ma dev'essere ricercata in un più<br />

largo complesso di fonti, costituenti insieme l'ordinamento parlamentare:<br />

gli usi, le consuetudini ed i singoli precedenti, a cui il carattere di « corpo<br />

(9) MICELI, Principi di diritto parlamentare, Milano 1910.<br />

(10) ERSKINE MAY, Practical Treatise of the Laws, Privileges Proceedings and<br />

Usage of Parliament, London 1924, 13 a ed. e nella più recente edizione del 1965.


diritto parlamentare nel quadro del diritto pubblico 9<br />

sociale » delle assemblee e la immediatezza politica delle loro funzioni<br />

consigliano di aggiungere la valutazione di altra normativa, rilevante essenzialmente<br />

sul piano socio-politico, qual'è principalmente la « correttezza<br />

parlamentare ».<br />

Se soltanto si consideri che la dottrina del Miceli veniva elaborata<br />

nella visione di una organizzazione e di una funzionalità parlamentare<br />

fondata ancora, essenzialmente, sui partiti d'opinione e sul giuoco delle<br />

influenze, è facile intendere come quella dottrina, così attenta alla realtà<br />

politica dei fatti e degli istituti parlamentari anche come criterio di differenziazione<br />

autonoma di sé medesima, possa trovare autorevole conferma<br />

di applicabilità in una struttura parlamentare, qual'è l'attuale, in cui i<br />

rapporti interni ed esterni a ciascuna assemblea, anche quelli più rigidamente<br />

definiti sul piano giuridico e procedurale, attingono la loro sostanza<br />

alla dinamica delle parti politiche organizzate, che riflettono nella<br />

sede parlamentare, anzi per il tramite di essa e molto al di là della pur<br />

fondamentale funzione strutturale dei « gruppi », la rigida ripartizione in<br />

gruppi organizzati della comunità statuale.<br />

4. - In sintesi, il senso più profondo dell'autonomia del diritto parlamentare<br />

qualificato dal carattere essenzialmente politico dei rapporti<br />

che ad esso ineriscono, sembra doversi ricercare nel fatto che, ferma restando<br />

la finalità limitatrice e garantista delle norme procedurali, la<br />

complessa normativa materiale che ad esso si riferisce ed ancor più i<br />

concreti rapporti politici che esso contempla e che a quest'ultima concretamente<br />

reagiscono, consentono all'ordinamento parlamentare, principalmente<br />

attraverso i rapporti politici « esterni » - tra le assemblee e<br />

gli altri organi e poteri dello Stato ovvero tra le assemblee, i loro organi<br />

interni, i loro singoli membri e le formazioni ed i gruppi politici comunitari<br />

- di influire complessivamente e al di là delle forme sull'intero ordinamento<br />

dello Stato ed in particolare sulle sue strutture e funzioni costituzionali.<br />

Su questa strada sembra chiaramente avviata la dottrina giuspubblicistica<br />

italiana contemporanea, che, a parte alcuni significativi accenti,<br />

già richiamati, dell'ultimo V. E. Orlando, ha preso ad identificare e sistemare<br />

le «modificazioni tacite» (11) che provengono al diritto costituzionale<br />

attraverso il diritto parlamentare ed a tentare una definizione<br />

metodologica di quest'ultimo su una base « giurisprudenziale », singolar-<br />

(11) Tosi, Modificazioni tacite alla Costituzione attraverso il diritto parlamentare,<br />

Milano 1959.


10 // diritto parlamentare nel quadro del diritto pubblico<br />

mente corrispondente non solo al carattere largamente « casistico » dei<br />

rapporti parlamentari (significati massimamente dal valore dei precedenti<br />

e della prassi), ma anche ad una tendenziale qualificazione in tal<br />

senso di tutto l'ordinamento costituzionale, al seguito di importanti innovazioni<br />

introdotte sul ceppo del governo parlamentare dal Costituente<br />

italiano del 1948 (12).<br />

E se una delle menzionate dottrine ha voluto mostrare prudenza nell'affermare<br />

che il diritto parlamentare, maturo per un'autonomia didattica<br />

e metodologica, può tuttavia rimanere parte del diritto costituzionale<br />

(13), ciò deve essere valutato nella considerazione, che pure vien<br />

fatta, per cui la scienza costituzionale italiana, sotto la spinta delle teorizzazioni<br />

di scuola sulla « costituzione materiale » e di diffuse esperienze<br />

di altri climi culturali, va riscattandosi dal rigore formale negatore di<br />

ogni rapporto tra istituzione e fatto politico e fattispecie costituzionale,<br />

per rivolgere appunto l'attenzione a quella vasta fenomenologia politica<br />

che variamente condiziona lo stesso significato del diritto costituzionale.<br />

Non è azzardato ritenere, proprio sulla base di quanto realizzato in altri<br />

Paesi, che siffatto processo evolutivo potrà portare ad una nuova sistematica<br />

generale del diritto pubblico, in cui accanto ad una valutazione<br />

meramente giuridica dei fatti costituzionali, semmai arricchita dagli elementi<br />

processuali che derivano dalla cennata componente giurisprudenziale,<br />

sia possibile differenziare compiutamente, evidenziando i valori<br />

autonomistici latenti, altre discipline, fra le quali il diritto parlamentare<br />

sembra in grado di poter confermare stabilmente quanto è qui assunto<br />

in una non facile ipotesi ricostruttiva.<br />

5. - Se, dunque, si volesse concludere (ma il discorso, proprio per<br />

quanto or ora detto, è tuttora aperto) su l'autonoma collocazione del<br />

diritto parlamentare nel diritto pubblico, accanto al diritto costituzionale,<br />

tale autonomia dovrebbe ritenersi, oltre che legittima sul piano dei contenuti<br />

universali che sempre devono connotare l'espressione scientifica,<br />

anche riconosciuta sul piano didattico e metodologico, restando ancora<br />

parzialmente insoluto proprio il quadro dei rapporti col diritto costituzionale,<br />

determinati obbiettivamente dall'essere l'istituto parlamentare legato<br />

strettamente a numerose previsioni della Costituzione e delle leggi<br />

elettorali. E ciò sembra discendere più da una nuova ricerca definitoria<br />

di quest'ultimo che da una carenza di contenuti autonomi del diritto par-<br />

(12) Cfr. MOHRHOFF, Giurisprudenza parlamentare, cit.<br />

(13) Tosi, Lezioni di diritto parlamentare, Firenze 1962, pag. 5.


diritto parlamentare nel quadro del diritto pubblico 11<br />

lamentare. Tali rapporti vengono figurativamente definiti nell'essere il<br />

diritto parlamentare una sorta di « clinica costituzionale » (14), nel senso<br />

che nell'alveo parlamentare, sede della rappresentanza politica e punto<br />

d'incontro e di crisi per le nuove possibili soluzioni al perenne problema<br />

dei rapporti tra comunità e organizzazione di governo e dell'equilibrio<br />

interno di quest'ultima, la statica costituzionale può essere confrontata<br />

con la dinamica dei fatti politici, dal che può derivare l'individuazione<br />

del dato patologico del sistema, ma anche, per restare nella metafora, la<br />

terapia del medesimo: ciò ovviamente, restando ancorato, per sua stessa<br />

definizione e denominazione, il diritto parlamentare allo schema oggettivo<br />

della qualificazione giuridica secondo tipologie particolari all'ordinamento<br />

parlamentare, dei fatti e dei rapporti parlamentari nella loro più<br />

lata accezione.<br />

In altre parole, serve massimamente alla enucleazione autonomistica<br />

del diritto parlamentare nei confronti del diritto costituzionale nella<br />

sua tradizionale accezione, il concetto di « regime », obbiettivazione o<br />

proiezione del processo di ricostruzione della costituzione materiale. Ossia<br />

nello studio del regime politico dal punto di osservazione degli istituti<br />

di rappresentanza politica, il diritto parlamentare sembra poter pienamente<br />

riscattare le conseguenze negative per la sua maturazione scientifica<br />

nel continente europeo ed in Italia in particolare, conseguenze che,<br />

come in precedenza accennato, erano state determinate dagli equivoci<br />

polemici sul « regime parlamentare ». Si può anzi rilevare, da questo<br />

punto di vista, che il diritto parlamentare possa meglio evidenziare la<br />

sua autonomia utilizzando ampiamente la propria vocazione comparativistica,<br />

quale ad esso deriva direttamente dalla storia degli istituti parlamentari.<br />

Ed è da aggiungere che, se nei suddetti « regimi parlamentari<br />

» il ramo del diritto in questione trova ragioni di preminenza, oltre<br />

che di esistenza, esso ancora può in principio ritenersi, ovunque, il sistema<br />

formale della rappresentanza politica cui corrisponde una reale<br />

articolazione delle formazioni e delle espressioni comunitarie, influente<br />

sostanzialmente, al di là della stessa norma costituzionale, sulla dinamica<br />

di governo.<br />

Lo studio autonomo del diritto parlamentare nell'ambito del diritto<br />

pubblico si pone non soltanto per le sue autonome caratterizzazioni<br />

di principio, ma anche perché l'approfondimento dei temi diversi da esso<br />

proposti, ed in particolare di taluni fondamentali aspetti tecnico-giuridici<br />

(14) Tosi, Lezioni, cit., pag. 7.


12 // diritto parlamentare nel quadro del diritto pubblico<br />

sembrano indicare l'esistenza di correlazioni e differenziazioni con altri<br />

rami del diritto, segnatamente il diritto costituzionale, più di quanto non<br />

indichino con esso identità di rapporti materiali e di fattispecie normative<br />

formali.<br />

D'altra parte, la constatata rilevanza, reale e potenziale, sul terreno<br />

pratico e quindi materiale di una particolare qualificazione, rispetto all'ordinamento<br />

costituzionale, delle norme regolamentari e degli atti interni<br />

alle assemblee parlamentari, sembra consigliare un riferimento autonomo<br />

alle istituzioni parlamentari ed al relativo ordinamento di fatti,<br />

atti e rapporti che siano con esse in diretta connessione, costituendo<br />

come oggetto iniziale di un autonomo inquadramento scientifico del diritto<br />

parlamentare quell'ipotesi di « modificazioni tacite alla Costituzione<br />

» operate per il suo tramite, ipotesi che sembra essere il motivo<br />

di più immediato ed attuale interesse di tale studio.<br />

[GUGLIELMO NEGRI]


CAPO II<br />

LA NATURA GIURIDICA DELLE NORME<br />

<strong>DEI</strong> REGOLAMENTI PARLAMENTARI<br />

di Silvio Traversa


CAPO II.<br />

LA NATURA GIURIDICA DELLE NORME<br />

<strong>DEI</strong> REGOLAMENTI PARLAMENTARI<br />

SOMMARIO: 1. Disciplina costituzionale della autonomia regolamentare delle Camere<br />

e sua problematica. — 2. La teoria che nega la giuridicità delle norme<br />

dei regolamenti parlamentari e quella che l'afferma nel quadro della<br />

concezione istituzionistica del diritto e della pluralità degli ordinamenti<br />

giuridici. — 3. Critica della teoria dell'unicità del fondamento giuridico<br />

delle norme regolamentari e loro validità nell'ambito dell'ordinamento<br />

generale dello Stato. — 4. Distinzione delle norme regolamentari in interne<br />

ed esterne e conseguenze sulla loro natura giuridica. — 5. La più recente<br />

dottrina e giurisprudenza in merito alla natura delle norme dei regolamenti<br />

parlamentari e al loro eventuale sindacato di costituzionalità.<br />

1. - Il tema della natura delle norme che disciplinano l'attività<br />

dei singoli parlamenti ha formato oggetto di attenta disamina in oltre<br />

un secolo di ricerche giuridiche da parte di giuspubblicisti italiani e<br />

stranieri. Tali studi, pur se hanno contribuito, in modo notevole, a chiarire<br />

i termini dei problemi, non si può dire, tuttavia, che abbiano definito<br />

in modo del tutto soddisfacente certe realtà poiché le contrastanti<br />

soluzioni prospettate, anche se acute e mosse da un notevole intento<br />

definitorio, rendono ancora tale materia non scevra da dubbi e incertezze.<br />

Sembra opportuno richiamare fin da ora le norme fondamentali<br />

che hanno riconosciuto il potere regolamentare delle Camere.<br />

L'articolo 61 dello Statuto albertino prevedeva: « Così il Senato,<br />

come la Camera dei deputati, determina, per mezzo di un suo regolamento<br />

interno, il modo secondo il quale abbia da esercitare le proprie<br />

attribuzioni ».<br />

L'articolo 64 della Costituzione repubblicana recita:<br />

« Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza<br />

assoluta dei suoi componenti.<br />

« Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e<br />

il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta<br />

segreta.


16 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

« Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono<br />

valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non<br />

sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva<br />

una maggioranza speciale.<br />

« I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere,<br />

hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute. Devono<br />

essere sentiti ogni volta che lo richiedono ».<br />

E infine l'articolo 72 prevede:<br />

« Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le<br />

norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi<br />

dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione<br />

finale.<br />

« Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di<br />

legge dei quali è dichiarata l'urgenza.<br />

« Può altresì stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione<br />

dei disegni di legge sono deferiti a Commissioni, anche permanenti,<br />

composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari.<br />

Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva,<br />

il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un<br />

decimo dei componenti della Camera o un quinto della Commissione richiedono<br />

che sia discusso e votato dalla Camera stessa oppure che<br />

sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di<br />

voto. Il regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle<br />

Commissioni.<br />

« La procedura normale di esame e di approvazione diretta da<br />

parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia<br />

costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di<br />

autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci<br />

e consuntivi ».<br />

I problemi posti direttamente o indirettamente da queste statuizioni<br />

costituzionali sono di vario tipo e spesso si condizionano tra loro.<br />

Così, per quanto riguarda il fondamento della potestà regolamentare,<br />

e cioè il principio che giustifica l'assunzione di queste norme, alquanto<br />

problematica ne appare l'individuazione. Se, infatti, si sostiene<br />

che tale fondamento è da ricondursi al riconoscimento operato dalla<br />

Costituzione, questo viene ad assumere un carattere sostanziale che, almeno<br />

per rinnanzi, gli era contestato. La norma costituzionale, cioè, non<br />

avrebbe il carattere di un riconoscimento formale, non sarebbe mera-


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 17<br />

mente ricognitiva di un potere che le Camere avrebbero anche in assenza<br />

di essa, ma assumerebbe valore costitutivo, attributivo di quel<br />

certo potere.<br />

L'espressione « adotta il proprio regolamento » sta forse a significare<br />

che le Camere hanno un obbligo di provvedere a darsi un regolamento<br />

o non indica piuttosto una mera facoltà ? E qualora dall'espressione<br />

si ricavasse l'esistenza di un obbligo o di un dovere per le Camere<br />

di provvedere in quella certa direzione, sarebbe configurabile un soggetto<br />

titolare del relativo diritto? E tale diritto, anche a prescindere<br />

dall'individuazione dell'eventuale soggetto titolare, sarebbe azionabile e<br />

da chi ?<br />

E ancora, l'obbligo di fare troverebbe una sanzione per la sua violazione<br />

? Dovrebbe questa individuarsi nella mera facoltà del corpo elettorale<br />

di non rieleggere quei certi rappresentanti o non potrebbe, invece,<br />

configurarsi anche la possibilità, per il Capo dello Stato, di sciogliere<br />

l'Assemblea che non vi ottemperasse ?<br />

Così pure l'espressione « ciascuna Camera » è rivolta al Senato<br />

ed alla Camera come istituzioni, come organi in sé e per sé a prescindere,<br />

cioè, dai soggetti che in un certo momento le compongono, o non<br />

invece ad ogni « nuova » Assemblea quale risulta costituita dopo ogni<br />

consultazione elettorale ?<br />

Il termine « regolamento », poi, ha un suo preciso significato giuridico<br />

nel contesto della disposizione che lo prevede e dell'intera carta<br />

costituzionale, sta cioè ad indicare un certo fenomeno, con certi contenuti<br />

e ad esclusione di altri, un determinato tipo di disciplina giuridica,<br />

o non ha invece carattere generico, atecnico, capace di qualsiasi tipo di<br />

regolamentazione giuridica ? L'uso del termine « regolamento » sta forse<br />

ad indicare la volontà di consacrare una certa tradizione storica che il<br />

nostro Parlamento, fin dalla sua origine, ha derivato da quello francese<br />

? Si è cioè voluto contrapporre il metodo di disciplina dell'attività<br />

parlamentare basata sul « regolamento » inteso come complesso di norme<br />

codificate, al sistema britannico degli standing orders cioè di singole<br />

norme, prevalentemente procedurali, ricavabili dalle precedenti decisioni<br />

adottate nel tempo dall'Assemblea di fronte a casi singoli, talché l'articolo<br />

64 della Costituzione vieterebbe, in principio, un diritto parlamentare<br />

di tipo consuetudinario ?<br />

A questi interrogativi, direttamente desumibili dalla lettera dell'articolo<br />

64 della Costituzione, altri, di ben più ampio respiro e collegati<br />

ai principi che informano il nostro sistema costituzionale, possono<br />

porsene.<br />

2.


18 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

Così, ad esempio, se le norme dei regolamenti parlamentari siano<br />

giuridiche e concorrano a formare l'ordinamento giuridico dello Stato<br />

o non siano, invece, norme ad esclusiva rilevanza interna.<br />

E in quale rapporto questa fonte normativa - tipica o atipica e<br />

sui generis che voglia definirsi - si ponga con le altre; se sia gerarchicamente<br />

subordinata o pari ordinata alla legge formale; se sia con<br />

quest'ultima in un rapporto di concorrenza o di separazione. Inoltre<br />

se possa individuarsi una materia parlamentare la cui disciplina la Costituzione<br />

ha riservato in modo esclusivo al regolamento parlamentare,<br />

così come per alcune materie (a puro titolo d'esempio, quella dell'imposizione<br />

di prestazioni personali o patrimoniali, articolo 23; e quella<br />

dell'organizzazione dei pubblici uffici, articolo 97) l'ha riservata alla legge<br />

formale; se questa materia riservata sia tutta quella disciplinata concretamente<br />

nei regolamenti parlamentari; se, nell'ambito della « materia<br />

parlamentare » possano individuarsi talune materie per le quali la riserva<br />

opera in modo più stringente o sulle quali, comunque, possa desumersi<br />

un obbligo per le Camere di disciplinarle nella forma del regolamento<br />

parlamentare senza alcuna discrezionalità sull'on. Quest'ultima<br />

possibilità, ad esempio, potrebbe desumersi dalla diversa dizione usata<br />

dagli articoli 64 (« Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento... »)<br />

e 72 della Costituzione (« Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera<br />

è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato... »; «Il regolamento<br />

stabilisce procedimenti abbreviati... »; « Può altresì (il regolamento)<br />

stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei<br />

disegni di legge sono deferiti a Commissioni... ») il primo dei quali si<br />

limita a prevedere genericamente l'adozione di un regolamento da parte<br />

di ciascuna Assemblea con la sola condizione della maggioranza assoluta<br />

dei suoi componenti, mentre il secondo indica positivamente che<br />

il regolamento deve avere certi contenuti e stabilire determinati procedimenti.<br />

E, ancora più in generale, quale sia l'efficacia di questi atti normativi;<br />

se essi, a prescindere da eventuali rapporti di gerarchia con la<br />

legge formale, possano considerarsi in certa guisa equiparati alla legge<br />

e cioè atti aventi forza o valore di legge, così da consentire su di essi,<br />

a norma dell'articolo 134 della Costituzione, un autonomo sindacato<br />

della Corte costituzionale.<br />

Questi ed altri i problemi che si pongono allo studioso nell'affacciarsi<br />

all'ambito peculiare della normativa parlamentare. Esula, del resto,<br />

dallo scopo di queste pagine tentare di dare una risposta agli interrogativi<br />

posti, cercando una soluzione organica che, tenendo conto della


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 19<br />

esperienza storica e della sommaria disciplina costituzionale, sia in grado<br />

di superare determinate perplessità avanzate. Ci sembra sufficiente, in<br />

questa sede, aver richiamato e sottolineato certi problemi dal momento<br />

che questa indagine mira a fornire una panoramica sullo sviluppo dottrinario<br />

che il tema della materia giuridica dei regolamenti parlamentari<br />

ha avuto.<br />

Si deve subito rilevare che il problema, squisitamente teorico, della<br />

natura giuridica delle norme costituenti i regolamenti parlamentari assume<br />

ormai una specifica rilevanza anche sul terreno pratico, in connessione<br />

con la rigidità dell'ordinamento costituzionale nonché con l'instaurato<br />

sindacato di legittimità costituzionale degli atti legislativi, ciò<br />

che, con ogni evidenza, chiama in causa non solo i contenuti dell'attività<br />

legislativa delle Camere, ma anche le forme, i tempi e le procedure del<br />

suo espletamento.<br />

Non dimenticando infatti, in una valutazione del tutto approssimativa,<br />

che i regolamenti delle Camere parlamentari, essendo rivolti al<br />

miglior funzionamento delle assemblee, possono, atteggiando in un modo<br />

o in un altro la funzione legislativa e quella di controllo politico, influire<br />

direttamente sull'ordine politico dello Stato, si osserva in particolare che<br />

si pone praticamente il problema della coerenza delle forme regolamentari<br />

e della loro concreta interpretazione all'interno di ciascuna Camera,<br />

con le forme e i contenuti costituzionali.<br />

Prima di enucleare le posizioni di maggior rilievo assunte dalla<br />

dottrina in merito al fondamento ed alla natura delle norme regolamentari<br />

del Parlamento (per il che si rinvia ai successivi paragrafi) appare<br />

opportuno fin d'ora, salvo ulteriori approfondimenti, ricordare sinteticamente<br />

l'evoluzione delle teoriche sui regolamenti parlamentari con<br />

particolare riguardo al fondamento di quel potere.<br />

Se si volesse sintetizzare in modo del tutto esteriore e descrittivo<br />

tale conclusione potrebbe dirsi che da un lato si è andata contestando<br />

l'unitarietà del fondamento e della natura delle norme dei regolamenti<br />

parlamentari (teorica questa largamente diffusa nella giuspubblicistica tedesca<br />

e di cui è autorevole esponente l'Haagen) addivenendosi a differenziazioni<br />

qualitative delle norme medesime, dall'altro che si è venuto<br />

affermando, in modo sempre più esteso, il carattere pienamente giuridico<br />

di gran parte di esse.<br />

Su questa evoluzione hanno largamente influito taluni importanti<br />

avanzamenti compiuti dalla scienza giuridica o comunque pienamente<br />

maturati nel secolo in corso: la teoria organica delle funzioni statali,<br />

la teoria sulla pluralità degli ordinamenti giuridici, il concetto di ma-


20 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

teria costituzionale, elaborazioni tutte in cui è facile rinvenire l'apporto<br />

degli studi italiani, da Santi Romano a Ranelletti, da Zanobini a Mortati,<br />

ad Esposito, autori che, infatti, non hanno mancato di dare particolari<br />

accentuazioni al tema dei regolamenti parlamentari.<br />

Quanto al fondamento del potere regolamentare delle Camere, esso<br />

è stato ricondotto, volta a volta, ad una delega contenuta nella Costituzione<br />

(1), alla cosiddetta autonomia nelle sue varie articolazioni (2), al<br />

potere di supremazia speciale (3) ed alla consuetudine (4).<br />

2. - Il tema della natura giuridica dei regolamenti parlamentari<br />

fu particolarmente avvertito da Santi Romano che a più riprese ebbe<br />

ad occuparsene pervenendo a differenti conclusioni. In un primo tempo,<br />

nello studio citato Sulla natura dei regolamenti delle Camere parlamentari,<br />

il grande costituzionalista negò recisamente che le norme dei regolamenti<br />

parlamentari potessero essere configurate come norme giuridiche;<br />

mentre successivamente, dopo aver elaborato la teoria istituzionistica<br />

del diritto con il conseguente pluralismo giuridico (5), giunse ad<br />

affermare, coerentemente con le premesse dommatiche di quella teoria,<br />

la piena giuridicità delle norme dei regolamenti parlamentari in quanto<br />

costituenti l'istituzione Camera.<br />

A) Il Romano contesta le teorie che riconducono le norme dei regolamenti<br />

parlamentari alle leggi, sia in senso formale, sia in senso sostanziale,<br />

ai regolamenti esecutivi o alle ordinanze in genere ed alla<br />

autonomia.<br />

(1) RANELLETTI, La consuetudine come fonte di diritto pubblico interno, in<br />

« Riv. Dir. pubbl. », 1913, il quale qualifica come «delegati» i regolamenti parlamentari<br />

precisando però, che trattasi di delegazione « solo di facoltà regolamentare, cioè<br />

di potestà legislativa in senso materiale ».<br />

(2) LABAND, Das Staatsrecht des deutschen Reiches, 5 a edizione, Tubingen 1911;<br />

KELSEN, Allgemeine Staatslehere, Berlin 1925, il quale ritiene che l'organizzazione e<br />

la procedura parlamentare sono regolate in modo originario con uno statuto autonomo<br />

del Parlamento ; HAAGEN, Die rechtsnatur der parlamentarischen Geschaftsordnung,<br />

Berlin 1929, per il quale i regolamenti parlamentari sono espressione di una autonomia<br />

impropria delle Camere ; CODACCI PISANELLI, Analisi delle funzioni sovrane, Milano<br />

1946.<br />

(3) ROMANO, Sulla natura dei regolamenti delle Camere parlamentari, in « Archivio<br />

giuridico», voi. LXXV, 1906, ora in Scritti minori, Milano 1950, voi. I, pagg. 213-<br />

258, e per alcune norme anche il MARTINES, La natura giurìdica dei regolamenti<br />

parlamentari, Pavia 1953.<br />

(4) HATSCHEK, Deutsches und preussisches Staatsrecht, Berlin 1926, che qualifica<br />

le norme dei regolamenti parlamentari come regole convenzionali che hanno efficacia<br />

all'interno di ciascun Camera solo se convalidate da un lungo uso.<br />

(5) ROMANO, L'ordinamento giuridico, in «Annali delle Università Toscane»,<br />

Pisa 1917-1918; 2 a edizione, Firenze 1945.


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 21<br />

I motivi addotti per giustificare l'accostamento dei regolamenti parlamentari<br />

alle leggi formali e cioè, essenzialmente, la delegazione legislativa<br />

collettiva dei tre organi costituenti il potere legislativo, operata<br />

dall'articolo 61 dello Statuto e la circostanza che i regolamenti parlamentari<br />

si sottraggono a controlli e sindacati cui sono sottoposti gli atti<br />

che non sono leggi o non ne hanno l'efficacia sicché la piena indipendenza<br />

di cui godono le Camere è concepita come riflesso della sovranità<br />

propria della potestà legislativa, vengono ritenuti erronei dal Romano<br />

per le seguenti considerazioni: da un lato perché l'insindacabilità da<br />

controlli esterni non dipende dal valore assoluto, legislativo degli atti,<br />

ma sia dalla posizione di organi costituzionali autonomi sia anche perché<br />

trattasi di manifestazioni di volontà giuridicamente irrilevanti rispetto<br />

alla sfera di diritto cui i controlli ordinari fanno capo; dall'altro perché<br />

non può concepirsi una delegazione fatta come regola da una legge generale<br />

dappoiché è peculiare di essa di esaurirsi volta per volta con<br />

l'esercizio delle facoltà che ne derivano, laddove la facoltà regolamentare<br />

delle Camere è ordinaria, permanente ed istituzionale.<br />

II chiaro autore contesta che i regolamenti parlamentari possano<br />

equipararsi ai regolamenti esecutivi o alle ordinanze in genere rilevando<br />

che pur essendovi tra le due categorie alcune note comuni (coincidono<br />

nello scopo di rendere possibile l'applicazione e l'esecuzione della legge<br />

nei cui limiti hanno efficacia), ciò non significa che abbiano lo stesso<br />

grado di specificità, tanto più che le categorie di regolamenti amministrativi<br />

sono così numerose che occorrerebbe, prima, specificarle.<br />

Ritiene, inoltre, senza senso ed inesatto comprendere i regolamenti<br />

delle Camere nella figura della cosiddetta autonomia con il quale la<br />

dottrina più diffusa intende una volontà diretta a stabilire norme giuridiche<br />

diverse da quelle dello Stato, in quanto le Camere sono considerate<br />

organi dello Stato.<br />

Ma il problema fondamentale, anzi pregiudiziale agli altri è quello<br />

« se le disposizioni dei regolamenti delle Camere possono considerarsi,<br />

come sembra che, il più delle volte implicitamente, tal'altra esplicitamente,<br />

ritenga la dottrina comune, delle vere e proprie norme giuridiche,<br />

avuto riguardo sia al loro contenuto sia alla loro efficacia ».<br />

Il Romano delinea la differenza tra diritti di sovranità, esercitagli<br />

erga omnes ed appartenenti alla categoria dei diritti assoluti, e diritti<br />

di supremazia speciale (che alle volte si fanno erroneamente rientrare nei<br />

primi) che si presentano « con un carattere più o meno spiccato di relatività,<br />

nel senso che esistono e possono farsi valere, non verso la generalità<br />

dei sudditi né verso categorie indeterminate di persone, ma verso


22 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

subietti che vengono in considerazione come singoli e in virtù di uno<br />

speciale rapporto in cui questi si trovano ». Questi diritti di supremazia<br />

speciale sono veri e propri diritti, centri autonomi di facoltà subordinate<br />

e non frammenti di poteri maggiori. E i rapporti che si stringono fra<br />

lo Stato e le persone che entrano a far parte della sua organizzazione<br />

sono da distinguersi dai veri e propri rapporti di sovranità. « Lo Stato<br />

ha dei poteri speciali di supremazia su tali subietti, che, viceversa,<br />

hanno degli obblighi di subordinazione, ma si tratta di una supremazia<br />

e, correlativamente, di una subordinazione, che non possono confondersi<br />

con la sovranità e la sudditanza in senso specifico ». Non solo, ma<br />

anche le relazioni intercedenti tra lo Stato e i suoi organi si immedesimano<br />

in rapporti che non sono di sovranità: tali rapporti hanno tuttavia<br />

carattere giuridico e la mancanza di personalità dei suoi organi non è<br />

di ostacolo all'esistenza di relazioni giuridiche.<br />

Il Romano individua tre tipi di rapporti giuridici che possono<br />

riguardare:<br />

1) la Camera dei deputati o il Senato, comprensivamente, considerati<br />

nella loro rispettiva entità di organi dello Stato;<br />

2) i deputati o i senatori singolarmente considerati;<br />

3) le persone estranee alle Camere, che con esse possono venire<br />

in qualche contatto.<br />

In ordine ai primi, poiché i regolamenti parlamentari hanno carattere<br />

puramente interno, possono concernere solo una parte di essi; non<br />

già quelli tra una Camera ed altri organi dello Stato, ma solo quelli<br />

tra una sua parte o sezione o fra diverse sue parti o sezioni. Siffatti<br />

rapporti possono svolgersi o su un terreno di eguaglianza (ad esempio<br />

tra un ufficio e l'altro) ovvero implicano una supremazia ed una correlativa<br />

subordinazione (ad esempio, contrapposizione della maggioranza<br />

alla minoranza, dell'ufficio di Presidenza al resto della Camera) ma è<br />

da escludersi che siano relazioni di sovranità: « si tratta di poteri organici,<br />

che rappresentano dei momenti della vita interiore dello Stato, e<br />

sovranità non vi può essere se non quando tal vita si esplica al di fuori ».<br />

In relazione al secondo punto il Romano distingue due ordini sostanzialmente<br />

diversi di rapporti giuridici: a) per una parte di essi, quelli<br />

che afferiscono ai diritti e ai doveri di chi appartiene ad una delle Camere,<br />

non vi è dubbio che siano in immediata dipendenza con la sovranità<br />

statuale (condizioni necessarie per assumere la funzione, prerogative,<br />

ecc.); b) per un'altra parte, lo Stato si limita ad attribuire alle<br />

Camere un diritto di supremazia sui loro singoli membri. Questo potere<br />

è sì attribuito in base ad un principio di sovranità, ma le speciali fa-


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 23<br />

colta che ne derivano sono da riconnettersi non alla sovranità ma al<br />

potere medesimo, sicché « la Camera facendo uso di tale supremazia,<br />

non appare rivestita della sovranità, ma di un diritto particolare che si<br />

esplica, naturalmente, nei limiti dalla prima segnati, ma che non si<br />

confonde con essa ». Si tratta del diritto di darsi una propria organizzazione<br />

interna che si esplica non nei confronti di tutte le persone che<br />

potranno essere chiamate a rivestire la qualifica di parlamentare, ma<br />

soltanto di quelle che già appartengono alle Camere, con ciò non escludendo,<br />

tuttavia, che esso potrà esercitarsi, anche nello stesso modo, su<br />

coloro che in futuro le comporranno. I deputati e i senatori, cioè, entrano<br />

in uno speciale stato di soggezione cui fa riscontro un potere organico<br />

nell'organo statuale, la cui volontà si manifesta e consegue i<br />

suoi effetti non con la forza del comando proveniente dalla generale<br />

sovranità dello Stato, ma con l'efficacia, da quest'ultima permessa, inerente<br />

allo speciale vincolo che il loro ufficio implica, efficacia che ha<br />

suoi propri caratteri. Così le trasgressioni di un dovere imposto al parlamentare<br />

dal principio di sovranità, potrebbero, ove non ci fosse l'immunità,<br />

esplicare i suoi effetti, ad esempio penali, anche quando l'ufficio<br />

fosse cessato, mentre l'efficacia dei comandi o divieti derivanti dallo<br />

speciale diritto di supremazia cessa con la cessazione dell'ufficio dal<br />

quale deriva.<br />

In ordine alla terza categoria il Romano delinea due tipi di rapporti,<br />

entrambi riconducibili al potere di supremazia speciale: a) quelli<br />

che si stringono fra le Camere e le persone, che pur non appartenendo<br />

ad esse, cooperano in vario modo alle funzioni esercitate dalle Camere<br />

medesime o costituiscono l'oggetto per cui tali funzioni sono esercitate<br />

(rapporti di tipo stabile come quelli con i propri dipendenti; e ancora<br />

quelli con i ministri, con i difensori, testimoni, protestatari che prendono<br />

parte al procedimento per la verifica delle elezioni); b) quelli che possono<br />

stabilirsi fra le Camere ed altre persone che con esse possono venire<br />

in un contatto accidentale (ad esempio il pubblico che assiste alle sedute).<br />

Dimostrato che le Camere oltre le facoltà derivanti dal diritto di<br />

sovranità possiedono speciali diritti distinti da quelle, il Romano esamina<br />

se a tale distinzione ne corrisponda una correlativa riguardo agli atti che<br />

rappresentano le manifestazioni di tali diritti. Ora rispetto alla legislazione<br />

- e in tal modo vien data critica risposta anche a coloro che riconducono<br />

i regolamenti parlamentari alla legislazione in senso sostanziale -<br />

il principio che essa non può concepirsi altrimenti che come estrinsecazione<br />

del diritto di sovranità è indiscusso. « Il problema dunque se i regolamenti<br />

parlamentari debbano comprendersi nella categoria degli atti


24 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

dello Stato che costituiscono delle norme giuridiche, dipende dall'altro,<br />

se essi si fondano sulla sovranità statuale, se di questa rappresentano<br />

delle manifestazioni o se, almeno, ne traggono la loro efficacia ».<br />

Al problema così posto il chiaro autore dichiara che non può non<br />

rispondersi in modo negativo come è facile constatare passando in rassegna<br />

il contenuto delle disposizioni dei regolamenti parlamentari che<br />

non si riferiscono che a quei diritti particolari di pura organizzazione e<br />

di supremazia (uffici, loro attività, impiegati, ordine da parte del pubblico,<br />

disciplina dei deputati e senatori) di cui si è fatto cenno e che<br />

rappresentano un semplice esercizio dello speciale diritto riconosciuto<br />

alle Camere, un uso di facoltà in esse comprese.<br />

Ed il Romano così conclude: « sembra che il carattere di norme<br />

giuridiche debba escludersi nei regolamenti parlamentari per tre criteri<br />

che, del resto, sono soltanto in apparenza diversi, e non rappresentano<br />

in sostanza che aspetti vari di un medesimo principio: pel difetto, cioè,<br />

in essi di novità, quando si raffrontino con l'intero sistema del diritto<br />

positivo, cui non possono né derogare né aggiungere; pel difetto di,generalità,<br />

nel senso giuridicamente rilevante che a tale parola può riferirsi;<br />

e, infine, perché si fondano - carattere decisivo che determina gli altri due<br />

- su un potere particolare, che non è il diritto di sovranità statuale ».<br />

B) Il problema della pluralità degli ordinamenti giuridici è stato<br />

acutamente trattato dal Romano nella monografia sull'ordinamento giuridico<br />

innanzi citata. La teoria istituzionistica, della quale il pluralismo<br />

costituisce necessario corollario, pone, nella formulazione del Romano,<br />

sotto un profilo del tutto nuovo la problematica sulla natura giuridica<br />

dei regolamenti parlamentari. L'equazione, necessaria ed assoluta, fra<br />

i concetti di ordinamento giuridico e di istituzione (« ogni ordinamento<br />

giuridico è un'istituzione, e viceversa ogni istituzione è un ordinamento<br />

giuridico ») costituisce la premessa della nuova impostazione.<br />

Nell'ultimo paragrafo del citato Ordinamento giuridico il Romano,<br />

ricordato che le relazioni fra i vari ordinamenti giuridici sono state stabilite<br />

in sé e per sé, cioè come sfere giuridiche distinte l'una dall'altra,<br />

rileva peraltro che molte istituzioni « sono comprese in altre e da queste<br />

assolutamente dominate, in modo che il loro ordinamento giuridico è<br />

da considerare come parte dell'ordinamento delle prime ». E con questo<br />

il Romano ritiene superati i criteri addotti in precedenza, della distinzione<br />

tra le norme esterne, che « regolerebbero la posizione e i rapporti<br />

dell'ente e dei suoi sudditi, l'uno di fronte agli altri, nonché di<br />

questi tra loro », e le norme interne, che « sarebbero rivolte dall'ente<br />

a sé medesimo e ai propri organi ». E analogamente ritiene assorbito


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 25<br />

l'altro criterio della distinzione tra le norme esterne concernenti i poteri<br />

di supremazia generali, di cui l'ente è titolare, e le norme interne relative<br />

ai suoi poteri di supremazia speciali.<br />

Occorre quindi distinguere fra istituzioni di struttura assai complessa<br />

- quale è precipuamente, ma non unicamente, lo Stato - e istituzioni più<br />

semplici che sono i vari organi e istituti che lo compongono; vi sono<br />

poi anche istituzioni intermedie. E, per analizzare le istituzioni che più<br />

ci interessano, relative alla costruzione dello Stato, la struttura prospettata<br />

dal Romano si può così delineare:<br />

a) istituzioni che potremmo dire di primo grado, e cioè i singoli<br />

organi e istituzioni dello Stato: le Camere, i Ministeri e in genere<br />

ciascun ufficio pubblico; scuole, biblioteche, musei ecc.;<br />

b) istituzioni che potremmo dire di secondo grado, e cioè complessi<br />

di organi e istituzioni « fra loro coordinati, subordinati e ridotti<br />

a unità », come ciascuno dei tre poteri dello Stato : il legislativo, l'esecutivo<br />

e il giudiziario, i quali poi, « assieme sommati », costituiscono<br />

quella maggiore istituzione che è l'intera organizzazione statuale;<br />

e) e in terzo grado l'istituzione massima, che è lo Stato, la quale<br />

« comprende in sé tutte le istituzioni minori che si sono accennate e,<br />

quindi, oltre la sua organizzazione propriamente detta, gli altri elementi<br />

di cui esso consta », territorio, cittadinanza, carattere giuridico delle relazioni<br />

tra lo Stato e i suoi organi.<br />

In conclusione per il Romano l'istituzione è un « ente », con « esistenza<br />

obiettiva e concreta », e con « individualità immateriale » ma<br />

«esteriore e visibile», cui ineriscono tre caratteri fondamentali: 1) la<br />

« socialità », nel senso che è un ente o corpo « sociale »; 2) la « suità »,<br />

nel senso che è un « ente chiuso » avente « propria individualità »;<br />

3) l'« unità », nel senso che è un ente « fermo e permanente » e « non<br />

perde la sua identità pel mutarsi dei singoli suoi elementi » (persone,<br />

patrimonio ecc.).<br />

L'istituzione in tanto esiste, « in quanto è creata e mantenuta in<br />

vita dal diritto » : anzi, essa « è la prima, originaria ed essenziale manifestazione<br />

del diritto ». Posto che il diritto si concreta nell'istituzione,<br />

« il diritto è il principio vitale di ogni istituzione », e reciprocamente<br />

« l'istituzione è sempre un regime giuridico ». Sistemi di diritto, istituzioni,<br />

organizzazioni, sono tutte, per il Romano, espressioni sinonime.<br />

Non è dubbio che, secondo la concezione pluralistica del Romano,<br />

le due Camere si collocano come istituzioni, fra loro distinte, e distinte


26 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

dalla istituzione generale e complessiva che è lo Stato. Di fronte allo<br />

ordinamento generale dello Stato, l'ordinamento giuridico di ciascuna<br />

Camera è un « ordinamento interno », cioè « l'ordinamento di una istituzione<br />

compresa in un'altra maggiore ». Quindi si distinguono poteri,<br />

diritti e obblighi « generali » fondati sull'ordinamento generale dello<br />

Stato; e diritti, poteri e obblighi « speciali » fondati sull'ordinamento<br />

della singola istituzione, considerata in sé, isolatamente.<br />

Nell'ambito degli ordinamenti interni, poi, il Romano nota l'esistenza<br />

di due specie di ordinamenti: il primo è quello posto dall'istituzione<br />

« comprensiva » (lo Stato), non per sé, ma per l'istituzione minore<br />

« subordinata » (nel nostro caso, per ciascuna Camera); il secondo è<br />

quello posto dall'istituzione « minore » da sé, per sé. All'ordinamento<br />

interno posto dallo Stato appartengono le norme concernenti i cosiddetti<br />

interna corporis delle Camere, mentre nell'ordinamento interno di ciascuna<br />

Camera rientrano i regolamenti parlamentari. « I primi sono ordinamenti<br />

interni, avuto riguardo alla sfera per cui valgono, che è quella<br />

di un'istituzione compresa nella maggiore, ma non avuto riguardo alla<br />

fonte da cui emanano, che è l'istituzione maggiore. I secondi sono ordinamenti<br />

interni, sia per la sfera in cui hanno efficacia sia per la loro<br />

fonte ».<br />

Pertanto i regolamenti parlamentari formano l'« ordinamento interno<br />

di ciascuna Camera ». Essi, dice il Romano, « pur essendo la loro emanazione<br />

contemplata dal diritto generale dello Stato, non fanno corpo<br />

con questo, non si uniscono con le leggi e i regolamenti generali a costituire<br />

l'ordinamento dello Stato medesimo considerato come l'istituzione<br />

unica e complessiva ». E d'altra parte non si può negare che i regolamenti<br />

parlamentari, considerati in sé stessi siano dei veri e propri ordinamenti<br />

giuridici.<br />

In sostanza, delle due posizioni antitetiche - l'una che afferma, l'altra<br />

che nega la natura giuridica dei regolamenti parlamentari - il Romano<br />

pensa che sono « vere entrambe, ma ciascuna in senso relativo » e invece<br />

« prese in senso assoluto, sono entrambe erronee ».<br />

3. - Il Martines (6) pur tenendo nella massima considerazione i<br />

risultati cui era pervenuto il Romano, accogliendo molti dei suoi presupposti,<br />

tuttavia se ne discosta in un duplice senso: da un lato contesta<br />

(6) MARTINES, La natura giuridica dei regolamenti parlamentari, in Studi nelle<br />

scienze giuridiche e sociali, voi. XXXIII, Università di Pavia 1953.


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 27<br />

l'unicità del fondamento giuridico delle norme regolamentari (7); dall'altro<br />

dimostra la piena giuridicità anche nell'ambito dell'ordinamento<br />

generale dello Stato di parte delle norme costituenti i regolamenti parlamentari.<br />

L'autore, premesso che l'emanazione di norme regolamentari da parte<br />

delle Assemblee legislative rientra nel più lato fenomeno della produzione<br />

normativa, ed affermata la qualità di organi dello Stato delle Assemblee<br />

parlamentari con la conseguenza che le loro manifestazioni di<br />

volontà sono da imputarsi allo Stato, passa ad esaminare il fondamento<br />

giuridico della potestà regolamentare delle Camere, deducendone l'impossibilità<br />

di rinvenire un unico fondamento alla base di tutte le norme<br />

regolamentari. Queste vengono da lui suddivise (a parte la distinzione<br />

tra norme emanate dall'intera Assemblea e norme emanate da alcune<br />

istituzioni della Camera) in tre grandi gruppi: a) norme che hanno diretto<br />

riferimento in una disposizione del testo costituzionale; b) norme che<br />

regolano i rapporti tra le Camere e i loro membri e fra le Camere e coloro<br />

che con esse vengono comunque in rapporto; e) norme che provvedono<br />

alla organizzazione interna della Camera ».<br />

Il Martines riconduce quindi ognuna di queste categorie ad un diverso<br />

fondamento giuridico e precisamente, nell'ordine, alle norme costituzionali<br />

(norme esecutive), al potere di supremazia speciale (norme di<br />

supremazia speciale) e al potere di cui gode ogni ente collegiale di organizzare<br />

i propri uffici (norme di organizzazione).<br />

In particolare, per quanto riguarda le norme esecutive che trovano<br />

il loro fondamento direttamente nelle disposizioni costituzionali che di<br />

esse costituiscono il presupposto giuridico è da rilevare che alcuni autori<br />

(Balladore Pallieri, Pergolesi, Tesauro) richiamandosi alla dottrina francese<br />

(Duguit, Esmein et Nezard, Cannac, Prelot ecc.) hanno addirittura<br />

(7) Circa il diverso valore giurìdico delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

v. in particolare anche LONGI e STRAMACCI, Le Commissioni parlamentari e la Costituzione,<br />

pag. 60 e 61, Milano 1953. Gli autori attribuiscono una diversa natura giuridica<br />

alle norme regolamentari a seconda del rapporto che le lega ai corrispondenti precetti<br />

costituzionali, distinguendo le prime come adeguamento formale o specificazione dei<br />

secondi quando la prescrizione giuridica è esaurita in questi ultimi e, al contrario,<br />

di applicazione giuridica, quando le norme regolamentari costituiscano la condizione<br />

indispensabile per il funzionamento dell'istituto regolamentato. Secondo gli autori,<br />

le Commissioni in sede deliberante rappresentano un esempio tipico di istituto costituzionale<br />

implicante una normativa di applicazione, come ad esempio le Regioni, il<br />

referendum o la Corte costituzionale: salvo che, nel caso delle Commissioni, la Costituzione<br />

ha demandato ai Regolamenti parlamentari e non alla legge la relativa applicazione.<br />

Pertanto, in questo caso, la natura giuridica delle norme parlamentari è<br />

evidente.


28 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

ritenuto che i regolamenti parlamentari nel loro complesso siano tipici<br />

regolamenti di esecuzione della Costituzione e come tali vanno annoverati<br />

tra le fonti del diritto costituzionale. Tale orientamento estensivo<br />

non è naturalmente seguito dal Martines che, come si è visto, individua<br />

nella Costituzione il fondamento giuridico delle sole norme da lui qualificate<br />

di esecuzione e che comprendono oltre quelle meramente esecutive,<br />

anche quelle che disciplinano il procedimento di formazione della<br />

legge.<br />

Sulla base della tripartizione surricordata, il Martines affronta il<br />

problema della natura giuridica delle singole norme. Naturalmente per<br />

procedere a tale indagine egli premette la definizione di norma giuridica<br />

accogliendo quella data dal Romano, secondo cui sono giuridiche quelle<br />

norme che essendo elementi integranti di una istituzione, possono dirsi<br />

istituzionali; e, più specificamente norma giuridica è « una prescrizione<br />

o determinazione preventiva che concorre a costituire l'ordinamento giuridico<br />

». Pertanto una norma sarà giuridica rispetto all'ordinamento statale<br />

quando essa concorrerà a costituire tale ordinamento. Da ciò sixlesume<br />

che tutte le norme che si riferiscono alle Camere per stabilirne<br />

la formazione ed il funzionamento sarebbero da considerare norme giuridiche<br />

in quanto concorrenti a costituire l'ordinamento dello Stato di<br />

cui sono organi.<br />

Tale ampia formulazione, tuttavia, viene precisata e limitata dal<br />

Martines il quale afferma parzialmente la giuridicità delle norme regolamentari<br />

e cioè solo per alcune categorie di esse. Infatti, mentre nessuna<br />

difficoltà incontra nel riconoscere tale natura alle norme di esecuzione<br />

(sia quelle che disciplinano il procedimento di formazione della legge,<br />

sia quelle meramente esecutive di disposizioni costituzionali) e, tra quelle<br />

di supremazia speciale, alle norme disciplinari, per quanto concerne invece<br />

le norme di polizia interna e tutte quelle di organizzazione nega -<br />

sempre ai fini dell'ordinamento statuale - la loro natura giuridica.<br />

Tale diversa ricostruzione della natura giuridica delle due categorie<br />

di norme fondate sul potere di supremazia speciale - le norme disciplinari<br />

e le norme di polizia interna - è giustificata dal Martines soprattutto<br />

con le seguenti considerazioni: da un lato le sanzioni disciplinari non<br />

possono non essere previste da norme giuridiche in quanto intervengono<br />

a « limitare un diritto » dei membri delle Camere; dall'altro le norme<br />

dette di polizia interna (le quali si indirizzano al pubblico ammesso nelle<br />

tribune o negli uffici delle Camere) per essere qualificate giuridiche dovrebbero<br />

implicare il riconoscimento al pubblico ammesso nelle tribune


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 29<br />

di un diritto soggettivo a non essere arbitrariamente allontanato, diritto<br />

desumibile dal principio costituzionale che stabilisce la pubblicità delle<br />

sedute e di cui le norme di polizia interna sarebbero limitatrici, il che<br />

non può essere accolto sia perché la pubblicità è assicurata anche con<br />

altri strumenti (resoconti e processo verbale) sia perché avendo l'articolo<br />

64 della Costituzione attribuito al Parlamento il potere di adunarsi<br />

in seduta segreta, la pubblicità delle sedute viene a dipendere esclusivamente<br />

dal potere discrezionale delle Camere.<br />

Più in generale, poi, il Martines per negare la natura giuridica di<br />

alcune categorie di norme regolamentari (quelle di polizia interna e di<br />

organizzazione) trae argomento dalla distinzione tra norma « interna »<br />

e norma « esterna », elaborata principalmente dallo Zanobini e dal Karadgè-Iskrow<br />

e secondo la quale norma interna di diritto pubblico dovrebbe<br />

definirsi quella « fondata su un potere di supremazia speciale, con<br />

il quale lo Stato o altra pubblica istituzione non assume alcuna obbligazione<br />

verso terzi né crea diritti soggettivi a loro favore ».<br />

Il Martines però si discosta da tale definizione in considerazione del<br />

fatto che ci sono delle « norme emanate in virtù di un potere di supremazia<br />

speciale, le quali hanno il carattere della giuridicità quando assumono<br />

un determinato contenuto » - è il caso delle norme disciplinari -<br />

e pertanto 9 non ritenendo sufficiente « il criterio della fonte di emanazione<br />

», è d'avviso che « per differenziare la norma esterna dall'interna,<br />

occorra riferirsi a quello che costituisce il contenuto del precetto; non<br />

esaminare, cioè, « da chi » la norma è stata emanata, bensì « per qual<br />

fine » essa è stata emanata, qual'è la funzione da essa... esplicata ». In<br />

base a tale criterio, quindi, egli definisce la norma interna di diritto pubblico<br />

caratterizzandola sotto « l'aspetto positivo », per il fine cui è rivolta<br />

e cioè « provvedere all'organizzazione dell'ente che l'ha emanata » e per<br />

la validità e l'efficacia di cui è fornita e cioè « solo all'interno dell'ente<br />

del cui ordinamento fa parte »; e sotto « l'aspetto negativo », per la sua<br />

improduttività di effetti giuridici « per i soggetti che fanno parte dell'ente<br />

o che con esso vengono, comunque, in rapporto », e per l'impossibilità<br />

che la sua violazione sia dedotta « innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria<br />

» ovvero sia « causa di responsabilità per l'ente in cui essa vive ».<br />

Rilevato quindi come tali norme siano prive della giuridicità per « l'ordinamento<br />

statale », tiene però a precisare - inserendosi così nella teoria<br />

istituzionistica - che « nell'ambito degli ordinamenti particolari esse perdono,<br />

evidentemente, la qualità di norme interne e sono pur sempre<br />

norme istituzionali rispetto agli ordinamenti delle Assemblee e, come<br />

tali, nei limiti di efficacia or ora segnati, sono norme giuridiche ».


30 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

4. - Il Bon Valsassina (8) non si discosta sostanzialmente, per<br />

quanto riguarda la natura giuridica delle norme regolamentari dalle posizioni<br />

del Martines. Anch'egli nega la possibilità e di ricondurre ad un<br />

unico fondamento il complesso potere regolamentare delle Camere e di<br />

considerare unitariamente la natura giuridica delle norme attraverso le<br />

quali quel potere concretamente si esplica: tuttavia, anziché procedere alla<br />

nota tripartizione delle norme costituenti i regolamenti parlamentari e del<br />

relativo fondamento, distinguendo nell'ambito di esse quelle giuridiche per<br />

l'ordinamento dello Stato e quelle giuridiche per la sola istituzione camerale,<br />

divide pregiudizialmente le norme regolamentari in due categorie:<br />

la prima costituita dalle norme esterne, la seconda dalle norme interne,<br />

includendo in quest'ultima le sole norme relative all'autorganizzazione e<br />

all'autodisciplina di interessi propri dell'istituzione parlamentare.<br />

L'autore per stabilire la nozione di regolamento parlamentare, nozione<br />

indispensabile e per valutare la natura delle norme in esso contenute e<br />

per fissare il fondamento del potere regolamentare, lo pone a confronto<br />

con figure e fenomeni giuridici cui viene paragonato o accostato, concludendo<br />

per l'impossibilità di identificare o comunque ricondurre il regomento<br />

delle Assemblee parlamentari alla legge (sia formale, sia sostanziale),<br />

alla delega legislativa, alla delega costituzionale, alle norme autonome,<br />

alle norme di correttezza costituzionale e alle norme consuetudinarie.<br />

Per quanto riguarda i rapporti tra i regolamenti parlamentari e le<br />

norme interne, il Bon rileva come non sia possibile esaurire i primi<br />

nelle seconde, in quanto è indubbia la presenza nei regolamenti anche<br />

di norme esterne giuridiche per l'ordinamento generale ed intersubiettivo<br />

dello Stato. Né ritiene esatto porre il rapporto di supremazia speciale a<br />

fondamento comune di tutte le norme interne, trattandosi di concetto<br />

utilmente riferibile a quella sola categoria di disposizioni - che non<br />

esaurisce certo l'ordinamento particolare - la quale si rivolge a destinatari<br />

individuati da un loro speciale stato di soggezione e non, per esempio,<br />

alle numerose norme organizzative e strumentali che si trovano nei<br />

regolamenti parlamentari. Vero è che non nel rapporto di supremazia<br />

speciale risiede il fondamento giuridico dell'ordinamento particolare, ma<br />

l'esistenza di questo ne è presupposta.<br />

La presenza nei regolamenti di norme esterne induce il Bon a configurare<br />

il regolamento parlamentare, in aderenza alla costruzione proposta<br />

dal Mohl, nel senso del « regolamento giuridico ». E la nozione<br />

(8) BON VALSASSINA, Sui regolamenti parlamentari, Padova 1955.


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 31<br />

di regolamento parlamentare, a suo giudizio, non può cogliersi ove si<br />

faccia « riferimento esclusivo alle norme interne » - di cui sono nota<br />

essenziale « la non appartenenza all'ordinamento generale dello Stato,<br />

bensì all'ordinamento particolare dell'istituzione nel cui seno esse vigono,<br />

e la non incidenza su sfere di interessi estranei all'istituzione » - ovvero<br />

alle « disposizioni esterne » le cui caratteristiche fondamentali sono « da<br />

un lato la loro natura di manifestazioni immediate della sovranità, dall'altro<br />

l'inferiorità giuridica, quali fonti di diritto, rispetto alle leggi ». Il<br />

Bon Valsassina, dunque, riconduce tutta la normazione parlamentare ad<br />

entrambe le categorie normative.<br />

In particolare appare interessante rilevare come il Bon, per giustificare<br />

la rilevanza giuridica nell'ordinamento generale dello Stato delle<br />

norme esterne - alla stregua sempre dell'impostazione pluralistica del Romano,<br />

la quale rinviene nella normazione regolamentare delle Camere un<br />

ordinamento giuridico - ricorra al criterio del « rinvio formale o non ricettizio<br />

». Questo deve intendersi non quale « attribuzione di potere normativo<br />

ad una volontà estranea all'ordinamento; né quale assorbimento, ad<br />

opera della volontà rinviante delle norme di un diverso ordinamento in<br />

quello proprio, bensì quale designazione di una fattispecie cui si ricollegano<br />

nuovi effetti giuridici. Ciò che, di per sé, nell'ambito dell'ordinamento<br />

rinviante, era sprovveduto di forza normativa e non poteva considerarsi<br />

altrimenti che come ipotesi o schema di fatto, vi acquista un significato,<br />

ed alla presenza dei suoi elementi costitutivi si ricollegano conseguenze<br />

giuridiche, cònsoni bensì all'intento di chi pose la norma interna, ma<br />

nuovi rispetto a quelli che originariamente le erano propri ».<br />

Sempre con riferimento alla nota distinzione tra norme interne e<br />

norme esterne, il Bon delinea il fondamento del potere regolamentare<br />

che ritiene non potersi impostare e risolvere in maniera affatto distinta<br />

e diversa per ciascuna delle ricordate categorie.<br />

Così il « fondamento delle norme interne » dei regolamenti parlamentari<br />

risiede in quella « infelicemente definita " autonomia " » di cui<br />

sono presupposto « la constatazione che sussistono interessi speciali propri<br />

del Parlamento » e « la volontà dell'ordinamento di escludere inframmettenze<br />

esterne nella formazione degli atti delle Camere » e di cui si ha<br />

conferma anche nella nota teoria detta degli interna corporis. Il Bon afferma<br />

che nell'ambito della normazione interna, con cui le Camere danno<br />

vita al loro particolare ordinamento, possono individuarsi due gruppi di<br />

norme, l'uno costituito dalle « disposizioni attraverso le quali il collegio<br />

si autoorganizza », l'altro costituito dalle norme che « in virtù d'un rapporto<br />

di supremazia speciale, regolano la condotta dei soggetti facenti


32 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

parte di quella organizzazione o ch'entrano con essa in particolari rapporti<br />

». Sostiene inoltre la piena giuridicità di tali norme - naturalmente<br />

nell'ambito dell'istituzione Camera e non con riferimento all'ordinamento<br />

generale dello Stato in quanto si tratta di norme interne - criticando le<br />

argomentazioni di coloro che le ritengono carenti dei requisiti della generalità,<br />

della novità, dell'imperatività, della coercibilità e persino della<br />

intersubiettività.<br />

Per quanto riguarda poi il « fondamento giuridico della potestà regolamentare<br />

esterna » delle Camere, il Bon rileva la opportunità di aderire<br />

a quegli indirizzi dottrinali che fondano la potestà regolamentare in<br />

genere su una attribuzione fatta dalla Costituzione o dalla legge, respingendo<br />

la posizione, già dominante, e facente capo al Gneist, che vede<br />

nella facoltà regolamentare uno sviluppo del potere discrezionale. Naturalmente<br />

qui siamo alla presenza di regolamenti non basati su una delegazione<br />

legislativa, ma su una competenza attribuita dalla Costituzione e<br />

che « spettano ad un dato organo in forza dell'ordinamento generale delle<br />

competenze... e ne sono attribuzione propria, originaria ». Essi potrebbero<br />

dirsi giustificati dal principio di autonomia ove però si intendesse il termine<br />

« quale manifestazione della particolare competenza che l'ordinamento<br />

garantisce a certi organi ed istituti, nello statuire su certi rapporti,<br />

rispetto ad altri organi od istituti ».<br />

Pertanto « si può tranquillamente stabilire che, malgrado la dizione<br />

letterale (regolamenti interni) delle disposizioni costituzionali riferentisi<br />

all'argomento la portata del principio espressovi trascende in genere la<br />

mera facoltà di autorganizzarsi, e di dar norma a situazioni interne,<br />

mentre comporta quella d'invadere la sfera giuridica dei terzi con precetti<br />

giuridicamente vincolanti ».<br />

Questa attuazione del principio di autonomia sembra eccedere la tradizionale<br />

astratta determinazione delle competenze delle Assemblee, ma<br />

risulta dalla prassi, storicamente impostasi, e dovunque diffusa: vi è una<br />

certa inadeguatezza della « lettera delle disposizioni costituzionali » alla<br />

effettiva volontà dell'ordinamento; e poiché non può esistere un permanente<br />

e « completo divorzio tra la vita e il diritto », bisogna ritenere sia<br />

avvenuta una « trasformazione costituzionale tacita ». Il Bon pone quindi<br />

il fondamento della potestà regolamentare esterna delle Assemblee legislative<br />

« in una particolare attribuzione di competenza, che ha la sua<br />

ragion d'essere nella posizione costituzionale dei singoli rami del Parlamento,<br />

nella funzione che essi esplicano nel sistema e che deve ritenersi,<br />

implicitamente ma sicuramente, espressa negli scarni articoli dei testi riferentisi<br />

ai regolamenti parlamentari ».


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 33<br />

5. - Si è già fatto cenno (9) al rilievo pratico notevolissimo che il<br />

problema della natura delle norme dei regolamenti parlamentari ha assunto<br />

in connessione con l'instaurato sindacato di legittimità costituzionale<br />

delle leggi e degli atti aventi forza di legge.<br />

Esamineremo ora, in relazione alle più recenti posizioni della dottrina,<br />

se i regolamenti parlamentari possano essere considerati atti aventi<br />

forza di legge e come tali suscettibili di autonomo sindacato, sotto il<br />

profilo della conformità a costituzione, da parte della Corte Costituzionale;<br />

valuteremo, poi, attraverso la giurisprudenza della Corte, l'atteggiamento<br />

di quest'ultima sia in merito al problema della natura delle<br />

norme costituenti i regolamenti parlamentari, sia in merito al connesso<br />

problema del sindacato diretto o indiretto su tali norme.<br />

Il Mortati (10) dimostra, in via generale, come sia « poco aderente<br />

alla realtà l'opinione che pretende di determinare la posizione del regolamento<br />

nel vigente sistema delle fonti del diritto considerandola secondaria<br />

perché sempre e necessariamente subordinata alla legge, diversa<br />

nella sua sostanza da questa, priva come sarebbe della forza ad essa<br />

propria ed insuscettibile per conseguenza di ricevere un trattamento diverso<br />

da quello degli atti amministrativi particolari ». Egli rileva la difformità<br />

di questo schema con la realtà la quale offre esempi di regolamenti<br />

che apportano « vere e proprie deroghe puntuali a leggi formali »<br />

ovvero ne sospendono l'efficacia, assumendo a volte « la funzione di disciplinare<br />

ex novo intere materie o parti di materie, per le quali la Costituzione<br />

non impone l'interposizione della legge, e questa si astenga dall'in<br />

tervenire ». L'illustre autore ritiene quindi « che in tali casi il regolamento<br />

operi non diversamente da una fonte primaria, in quanto effettua<br />

restrizioni o, più genericamente, modifiche di sfere di autonomia, ponendosi<br />

quale fonte diretta ed esclusiva di nuovi doveri, diritti, interessi legittimi ».<br />

Nei regolamenti di questo tipo egli riconduce la categoria dei regolamenti<br />

cosiddetti « indipendenti » (la cui caratteristica consiste nel fatto<br />

che sono emessi in materie per le quali manca una normazione da parte<br />

di fonti primarie) che vengono distinti in due gruppi a seconda che la<br />

mancanza di normazione primaria derivi: a) dalla volontà della Costituzione<br />

che ha sottratto al legislatore l'intervento in date materie (a<br />

questo gruppo erano ricondotti, vigente lo Statuto albertino, i cosiddetti<br />

« regolamenti di prerogativa » espressioni di una vera riserva di rego-<br />

(9) V. paragrafo I, pag. 11.<br />

(10) MORTATI, Atti con forza di legge e sindacato di costituzionalità, Milano<br />

1964, passim e soprattutto pagg. 78, 93 e 110.<br />

3.


34 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

lamento); b) dalla omissione da parte del legislatore ordinario di emanare<br />

le norme che sarebbe stato in suo potere emettere (in questo secondo<br />

gruppo sono fatti rientrare i regolamenti cosiddetti « autonomi » aventi<br />

la funzione di integrare, sviluppare, coordinare le parti del sistema non<br />

regolate da legge).<br />

Nel primo gruppo dei regolamenti riservati il Mortati include « quelli<br />

connessi all'autonomia costituzionalmente garantita degli enti autarchici<br />

territoriali minori, nonché all'altra pertinente alle associazioni sindacali...<br />

a prescindere poi dai regolamenti emanati da organi costituzionali per<br />

la disciplina della sfera di competenza esclusiva loro rilasciata dalla<br />

Costituzione » (in altra analoga categoria di atti normativi con forza di<br />

legge, poi, riservati dalla Costituzione alla competenza del Governo, potrebbero<br />

farsi rientrare le norme di attuazione delle regioni ad autonomia<br />

speciale).<br />

L'autore dopo aver ricordato « come la dottrina, messa di fronte al<br />

fenomeno dell'estensione del potere regolamentare, quando non ne ha<br />

negato la costituzionalità ha seguito due vie: o di contestare che al regolamento,<br />

quale che sia il suo contenuto, possa mai attribuirsi forza di<br />

legge, oppure di ammettere che in qualche caso questa venga assunta,<br />

senza però che a tale forza si aggiunga anche il valore, cioè lo speciale<br />

trattamento riservato alla legge formale », indica i due ordini di esigenze<br />

che, nel nostro ordinamento, dovrebbero indurre a sottoporre i regolamenti<br />

allo stesso sindacato di costituzionalità delle leggi e cioè « l'uniformità<br />

dell'interpretazione della Costituzione e la migliore tutela giurisdizionale<br />

nei confronti delle manifestazioni di attività normativa che<br />

incidano sulle situazioni soggettive dei singoli o di enti ».<br />

In senso analogo, ma limitatamente ai regolamenti parlamentari, si<br />

esprime il Crisafulli (11) secondo il quale si dovrebbe riconoscere forza<br />

di legge anche ai regolamenti parlamentari che sono certamente atti normativi<br />

che operano in una sfera di competenza esclusiva, riservata alle<br />

Camere da norme costituzionali (12), e che sono subordinate esclusivamente<br />

alla legge. Il Crisafulli ritiene trattarsi di una « fonte che, regolando<br />

lo svolgimento del procedimento legislativo, ha per questa parte<br />

almeno un'efficacia anche esterna rispetto all'organo da cui emana. Il<br />

regolamento parlamentare viene in tal modo ad avere una posizione analoga<br />

a quella della legge ordinaria; ciascuna di queste due fonti ha un<br />

(11) CRISAFULLI, Appunti di diritto costituzionale: la Corte Costituzionale, Corso<br />

di lezioni tenute nell'Ateneo Romano nell'anno accademico 1966-67, pagg. 13, 74 e 75.<br />

(12) Cfr. in senso analogo S. GALEOTTI, Contributo alla teoria del procedimento<br />

legislativo, Milano 1957, pag. 154 e segg.


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 35<br />

proprio campo di competenza, ed in questo campo nessuna di esse è<br />

subordinata all'altra. Deve quindi ritenersi che, qualora tali regolamenti<br />

violino la Costituzione, siano sindacabili dalla Corte Costituzionale ».<br />

Quanto alla giurisprudenza della Corte Costituzionale essa offre soltanto<br />

elementi indiretti sul problema della natura giuridica delle norme<br />

contenute nei regolamenti parlamentari, elementi desumibili da quelle<br />

sentenze nelle quali la Corte si è occupata delle norme regolamentari dei<br />

consigli regionali delle regioni ad autonomia speciale.<br />

Così, ad esempio, nella sentenza 30 giugno 1964, n. 66 (13), discutendosi<br />

se all'Assemblea regionale siciliana spetti la giurisdizione sui rapporti<br />

d'impiego dei propri dipendenti, analogamente a quanto previsto dai<br />

regolamenti delle Camere per i propri dipendenti, la Corte ha affermato<br />

che « come all'Assemblea regionale siciliana non può attribuirsi la stessa<br />

posizione costituzionale delle Camere, così al potere regolamentare ad<br />

essa conferito dall'articolo 4 dello Statuto siciliano non può riconoscersi<br />

la stessa sfera di effetti che si attribuiscono al potere regolamentare che<br />

a ciascuna delle due Camere deriva dall'articolo 64 della Costituzione »;<br />

e ancora « che il sistema costituzionale non ha inteso attribuire all'Assemblea<br />

regionale quelle stesse prerogative che spettano al Parlamento ».<br />

Così nella sentenza 12 marzo 1965, n. 14, dal fatto che la Corte<br />

abbia ritenute idonee, ai fini dell'ammissibilità del conflitto di attribuzioni,<br />

le norme del regolamento del Consiglio regionale del Friuli-Venezia<br />

Giulia, può desumersi, per tale tipo di norme, che la Corte, da un lato<br />

abbia accolto la tesi della natura non meramente interna di esse, dall'altro<br />

che abbia rigettato quella che le considera atti con forza di legge (14).<br />

Sul problema della natura giuridica delle norme costituenti i regolamenti<br />

parlamentari, possiamo riassuntivamente dire che l'orientamento<br />

della Corte Costituzionale, quale si deduce dalle citate sentenze e da<br />

altre delle quali, per altro verso, ci occuperemo poi, è in questo senso:<br />

1) si esclude il carattere meramente interno di tali norme che le renderebbe<br />

assolutamente inidonee a produrre effetti giuridicamente rilevanti<br />

nell'ambito dell'ordinamento generale dello Stato; 2) si esclude altresì<br />

(13) Per taluni atteggiamenti critici nei confronti delle motivazioni della Corte,<br />

cfr. G. GROTTANELLI DE' SANTI, Differenziazione tra Assemblea regionale e Camere di<br />

indirizzo politico regionale; S. TRAVERSA, // potere regolamentare dei consigli regionali<br />

in relazione alla tutela giurisdizionale dei loro dipendenti, in « Giurisprudenza costituzionale<br />

» del 1964, rispettivamente pag. 692 e 700.<br />

(14) Cfr. in questo senso, in « Giurisprudenza costituzionale » del 1965, rispettivamente<br />

pag. 145 e 153, L. ELIA, Dal conflitto di attribuzione al conflitto di norme;<br />

S. TRAVERSA, Sulla sindacabilità dei regolamenti dei Consigli regionali in sede di conflitto<br />

di attribuzioni.


36 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

che i regolamenti parlamentari abbiano il carattere di atti aventi forza<br />

di legge e questo non soltanto (e naturalmente in via analogica) per<br />

aver ritenuto atto idoneo a concretare un conflitto d'attribuzioni il regolamento<br />

del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, ma anche<br />

perché in altro caso (15) la Corte ha dichiarato non già l'autonoma sindacabilità,<br />

sotto il profilo della legittimità costituzionale, di una norma<br />

regolamentare, ma solo la possibilità di invalidare, per contrasto con la<br />

Costituzione, quella legge o quell'atto avente forza di legge il cui procedimento<br />

di formazione (prescindendo dalle norme regolamentari che lo<br />

disciplinano sull'interpretazione delle quali « è da ritenersi decisivo l'apprezzamento<br />

della Camera ») risultasse in contrasto con le norme della<br />

Costituzione che lo regolano.<br />

Sul tema della sindacabilità dei vizi del procedimento di formazione<br />

della legge la Corte ha preso posizione già con la sentenza 26 gennaio<br />

1957, n. 3, sia pure astrattamente ed incidentalmente trattandosi di questione<br />

relativa a leggi delegate, affermando che « sono suscettibili di sindacato<br />

costituzionale da parte della Corte sia le violazioni di norme di<br />

carattere sostanziale contenute nella Costituzione, sia le violazioni delle<br />

norme strumentali per il processo formativo delle leggi nelle sue varie<br />

specie (artt. 70, 76 e 77 Cost.) ». Così con la sentenza 17 aprile 1957, n. 57,<br />

la Corte dichiara viziata da illegittimità costituzionale la legge regionale<br />

del Trentino-Alto Adige 16 novembre 1956, n. 18, perché, tra gli altri motivi,<br />

non era stata sottoposta nel suo intero testo a votazione finale da<br />

parte del Consiglio regionale nella sua unità.<br />

Ma la sentenza che desta maggior interesse per le affermazioni in<br />

essa contenute è quella 3 marzo 1959, n. 9, nella quale la Corte ribadendo<br />

il suo precedente atteggiamento ha affermato che in una controversia<br />

sulla legittimità costituzionale di una legge per denunciata difformità tra<br />

i testi approvati dalle due Camere, la Corte Costituzionale ha la potestà<br />

di accertare se il testo, che il Presidente di una Camera nel suo messaggio<br />

di trasmissione attesta essere stato approvato, sia effettivamente<br />

conforme al testo approvato dalla stessa Camera, e se l'esercizio del<br />

potere di coordinamento di cui sia stata investita la Presidenza della<br />

Camera (che non è, come tale, da ritenere costituzionalmente illegittimo)<br />

sia stato contenuto nei limiti dell'autorizzazione.<br />

Tale sentenza che ha fatto dire a taluno che fosse crollato l'antico<br />

feticcio dell'insindacabilità degli interna corporìs (16) è stata ampiamente<br />

(15) V. sentenza 3 marzo 1959, n. 9.<br />

(16) P. BAR<strong>IL</strong>E, // crollo di un antico feticcio (gli interna corporis) in una<br />

storica (ma insodisfacente) sentenza, in « Giurisprudenza costituzionale » 1959, pag. 240.


La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari 37<br />

criticata in dottrina perché, come ha rilevato l'Esposito (17) la Corte per<br />

affermare quanto ha affermato, avrebbe dovuto dimostrare: a) che le<br />

norme della Costituzione, in quanto formulate in Costituzione rigida<br />

siano norme rigide, rivolte alla legge e non mai al legislatore per guidarne<br />

il comportamento, non sono solo direttive, ma canoni di valutazione<br />

della legittimità di una legge; b) che la posizione delle Camere è<br />

oggi diversa dal passato; e) che la Corte può eliminare la verità legale<br />

accertata dal messaggio perché ha competenza a sostituire alla verità<br />

legale quella da essa accertata (tra l'altro di diverso avviso sembra essere<br />

stata la Corte nella sentenza 10 aprile 1962, n. 32, in cui ha attribuito<br />

valore di prova legale al testo pubblicato nel Bollettino delle Giunte e<br />

delle Commissioni parlamentari, senza menzionare affatto il messaggio<br />

del Presidente della Camera). Non solo, ma la Corte Costituzionale « con<br />

la sua immotivata negazione del principio, non ha certo dimostrato che<br />

quella tradizione fosse contraria al nuovo ordinamento costituzionale e<br />

perciò da eliminare, ma ha dimostrato coi fatti... che quella tradizione<br />

era ormai finita e perciò poteva essere negata ». Il sindacato sul procedimento<br />

di formazione della legge nei termini accolti dalla Corte Costituzionale<br />

è stato criticato anche dal Cosentino (18) per il quale esso<br />

« trova un limite invalicabile, da un lato, nella situazione di fatto della<br />

non ufficialità degli atti parlamentari... dall'altro nella facoltà delle Camere<br />

di tenere sedute segrete ».<br />

Quanto al problema se i regolamenti parlamentari possano costituire<br />

il parametro sul quale deve basarsi il giudizio di costituzionalità<br />

può dirsi che tanto la dottrina, quanto come si è visto, la giurisprudenza<br />

della Corte Costituzionale (19) sono in linea di larga massima orientate<br />

in senso negativo.<br />

Il Crisafulli, tuttavia, ritiene (20) che la Corte Costituzionale « può<br />

sindacare l'interno procedimento legislativo non soltanto - come la stessa<br />

Corte ha affermato - alla stregua delle norme costituzionali, ma anche<br />

(17) V. La Corte Costituzionale in Parlamento, in « Giurisprudenza costituzionale<br />

» 1959, pag. 622.<br />

(18) Cfr. La competenza della Corte Costituzionale a controllare la legittimità<br />

costituzionale del procedimento di formazione delle leggi, in « Rassegna parlamentare»,<br />

1959, n. 4, pag. 112.<br />

(19) In senso contrario, peraltro, vedi in giurisprudenza l'ordinanza 8 gennaio<br />

1958 del Tribunale di Bergamo - riportata in « Giurisprudenza costituzionale », 1958,<br />

pag. 179 e 53 - questione prima, n. 3, in cui si deduce l'illegittimità costituzionale<br />

dell'intera legge 28 marzo 1956, n. 168, sostenendosi che la legge doveva essere<br />

approvata in Assemblea e non in Commissione, « perché il Regolamento della Camera<br />

(articolo 40) esclude dal procedimento di approvazione attraverso le Commissioni,<br />

le leggi di carattere tributario ».<br />

(20) V. op. cit. pag. 91 e segg.


38 La natura giuridica delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

sulla base dei regolamenti interni di ciascuna Camera ». A fondamento<br />

di questa soluzione il chiaro autore porta due ordini di argomenti. Il<br />

primo, di carattere generale, consistente nel fatto che ai regolamenti<br />

parlamentari la Costituzione attribuisce una forza particolare, prescrivendo<br />

per la sua approvazione la maggioranza assoluta e sarebbe assurdo<br />

consentire che esso possa essere violato o disatteso caso per caso da qualunque<br />

maggioranza occasionale. Il secondo, basato sul fatto che « se è<br />

vero che del parametro di costituzionalità fanno parte anche quelle<br />

norme cui la Costituzione espressamente rinvia, in quanto v'è l'eventualità<br />

di una violazione mediata della norma costituzionale che opera<br />

il rinvio, non sussiste alcun dubbio che questo sia anche il caso dei regolamenti<br />

parlamentari ».<br />

[S<strong>IL</strong>VIO TRAVERSA]


CAPO III<br />

I PRECEDENTI STORICI<br />

DEL DIRITTO PARLAMENTARE VIGENTE IN ITALIA<br />

di Paolo Ungari


CAPO III.<br />

I PRECEDENTI STORICI DEL DIRITTO PARLAMENTARE<br />

VIGENTE IN ITALIA<br />

SOMMARIO: 1. Storia e storiografia del diritto parlamentare. — 2. Gli antichi<br />

parlamenti italiani. — 3. Dalle Repubbliche giacobine ai Regni Napoleonici.<br />

— 4. Esperienze e dibattiti risorgimentali. — 5. Il Parlamento<br />

subalpino. — 6. Il diritto parlamentare italiano nell'età liberale. — 7. La<br />

guerra mondiale e la proporzionale. — 8. Le Camere nel periodo fascista.<br />

— 9. Il regime costituzionale transitorio e la Consulta. — 10. Continuità<br />

del diritto parlamentare italiano.<br />

1. - Secondo la classica definizione data in età giolittiana dal Miceli,<br />

per diritto parlamentare si intende « il complesso dei rapporti politicogiuridici<br />

che si sviluppano all'interno di una assemblea politica, o tra<br />

le assemblee politiche esistenti in uno Stato, o fra esse e gli altri pubblici<br />

poteri - quindi le norme che formulano e regolano tali rapporti, e<br />

la scienza che le studia » (1910).<br />

Ribaltando su un piano diacronico questa linea di visuale, si ha<br />

subito la misura dell'insufficienza di una mera storia dei regolamenti<br />

scritti delle Camere, come successione cronologica empirica di meccanismi<br />

di procedura, eventualmente ravvivata da cenni sulle relazioni o discussioni<br />

che abbiano preparato l'adozione o il rigetto dei singoli congegni.<br />

Per raggiungere l'effettivo piano storiografico, dove quella successione<br />

viene ad atteggiarsi come svolgimento e processo, si dovrà allargare<br />

lo sguardo all'intero orizzonte delle fonti, dirette e indirette, del<br />

diritto parlamentare : costituzione scritta, consuetudini di diritto pubblico,<br />

norme di correttezza costituzionale, leggi ordinarie, consuetudini interne<br />

delle Assemblee ed anche mere prassi applicative.<br />

Su questo sfondo, l'apparente immobilità delle norme regolamentari<br />

cede alla visione di un effettivo e continuo sviluppo del diritto parlamentare,<br />

che non si può pensare storicamente isolato dall'organismo<br />

della costituzione ed è nella sua vicenda quotidiana, come law in action,<br />

sensibilissimo al mutare degli equilibri costituzionali e politici. Tale<br />

vicenda va dunque letta come capitolo di una storia costituzionale<br />

d'Italia: non solo nel senso di un continuo riferimento al quadro costi-


42 La storia del diritto parlamentare<br />

tuzionale che presuppone, ma anche nell'altro, che proprio il jus Parliamenti<br />

- campo magnetico di tensioni che provengono da tutti i settori<br />

dell'ordinamento, e parte delicatissima della trama dei raccordi fra le<br />

istituzioni pubbliche, nonché fra apparato statale e società civile - concorre<br />

a definire il profilo della costituzione e può identificare tratti salienti<br />

dell'effettivo regime politico.<br />

Il senso di una tale sua rilevanza è oggi acuito sia dal corso che ha<br />

preso il dibattito politico-istituzionale, sia da quegli orientamenti di indagine<br />

nel diritto pubblico che pongono l'accento sulla prassi costituzionale<br />

e sulla possibilità stessa di modificazioni tacite alla Costituzione attraverso<br />

il diritto parlamentare. Tema dommatico che ha alle spalle una<br />

lunga storia, e che a sua volta può essere fermento di interessi e problemi<br />

storici, tanto più se riferiti ad epoche a costituzione non rigida,<br />

ma flessibile. A cominciare da quel punto di partenza obbligato, nella<br />

storia del regime e del diritto parlamentare italiano sotto l'impero dello<br />

Statuto albertino, che è l'interpretazione di quest'ultimo in senso « parlamentare<br />

» anziché « costituzionale puro » che prevalse fin dai primi<br />

anni, con i suoi corollari. Caso esemplare di un jus Parliamentì contra<br />

Constitutionem che si affermò come uno dei pilastri dell'edificio costituzionale,<br />

al punto da far apparire per questa parte eversiva la parola d'ordine<br />

« Torniamo allo Statuto », lanciata nel 1897 da Sidney Sonnino.<br />

Ma la storia del diritto parlamentare italiano non ha il suo termine a<br />

quo nei regolamenti delle Camere albertine. Come storia di istituti, essa<br />

deve considerare anche quelli inscritti nelle costituzioni " giacobine " del<br />

triennio rivoluzionario 1796-1799, e nelle costituzioni e statuti della Repubblica<br />

italiana, dei Regni napoleonici, del 1820-21, del '31, del '48-49:<br />

ora rimasti sulla carta, ora invece articolati in regolamenti assembleari<br />

o sviluppati attraverso più o meno durevoli pratiche parlamentari. Essi<br />

rientrano, in ogni caso, di pieno diritto in una storia a largo raggio dell'esperienza<br />

costituzionale degli italiani moderni.<br />

In senso ancora più ampio, vi rientra tutto quel processo culturale<br />

attraverso il quale, mentre il mito del Parlamento si radica nelle coscienze,<br />

si forma nelle élites dirigenti del moto risorgimentale, attraverso<br />

viaggi, letture, progetti, dibattiti su modelli istituzionali, una cultura<br />

tecnica e una mentalità parlamentare. Senza risalire all'« anglomania »<br />

italiana del Settecento, e senza ripercorrere itinerari degli esili del secolo<br />

seguente, già un Cattaneo che negli Annali universali di statistica<br />

dà conto al pubblico lombardo dei dibattiti della Camera dei Comuni,<br />

o un De Sanctis che nei gabinetti di lettura di Napoli si esalta alla<br />

lettura, nel Journal des Debats, di quelli francesi sotto la Monarchia di


La storia del diritto parlamentare 43<br />

Luglio indicano la diffusione di questo interesse. In una cerchia appena<br />

più tecnica, non si può sottovalutare la fortuna europea di testi come<br />

la Tattica parlamentare, nella quale il Bentham aveva delineato una<br />

codificazione degli usi non scritti del Parlamento inglese destinandola<br />

agli Stati Generali francesi del 1789: edito poi dal Dumont a Ginevra,<br />

e letto, tradotto e citato spesso in Italia come vero e proprio book of<br />

authority.<br />

Quelle vicende e questa cultura formano il grande retroterra dell'esperienza<br />

parlamentare retta dallo Statuto albertino. Esperienza che<br />

era poi mentalità radicata negli anziani uomini politici che giunsero<br />

a sedere alla Consulta, alla Costituente, nelle prime Camere repubblicane,<br />

e presso i più giovani vi faceva autorità. Fu così possibile l'innesto<br />

del regolamento in vigore nel 1922, che era poi quello del 1900 adattato<br />

al nuovo regime proporzionalistico, sul tronco della nuova Costituzione.<br />

La Camera vi tornò, il Senato, costruito su altri presupposti<br />

da quelli del Senato del Regno, prescelse la stessa base per elaborare il<br />

suo regolamento. Era la via già indicata dalla Costituente e prima ancora,<br />

come si vedrà nell'ultimo paragrafo, dalla Consulta : « dimostrazione<br />

vivente - è stato scritto - della continuità del diritto e del regime<br />

parlamentare in Italia » (B. BUCCIARELLI Ducei).<br />

2. - Non hanno invece che scarsa o indiretta attinenza al tema gli<br />

antichi Parlamenti o, secondo altra terminologia, « preparlamenti » italiani,<br />

che pure si ricollegavano a quelle stesse formule istituzionali tardomedievali<br />

europee da cui nasce il Parlamento inglese. Non solo perché<br />

a fine Settecento l'istituto appare quasi in ogni parte d'Italia estinto,<br />

non resistendo alla pressione livellatrice dell'assolutismo, così come del<br />

resto dagli inizi del Seicento non si adunavano più gli Stati Generali<br />

di Francia. E neppure tanto perché si trattasse di « assemblee di Stati »<br />

- fondate sulla rigida divisione di ordini sociali ancien regime nobiltà<br />

feudale o braccio militare, clero, borghesia privilegiata delle città regie<br />

o demaniali - e non già di forme di rappresentanza politica generale.<br />

Quanto, e soprattutto, perché non appaiono organi della sovranità,<br />

investiti di una autonoma potestà legislativa e di indirizzo politico, ma<br />

parti di un rapporto contrattuale improprio con il Principe (« leggi<br />

pazionate ») o più spesso organi di rimostranza, di consultazione e di<br />

petizione posti in certo modo al di fuori della struttura essenziale dello<br />

Stato. Nulla che in essi anche lontanamente arieggi il principio che<br />

contemporaneamente si afferma invece in Inghilterra della responsabilità


44 La storia del diritto parlamentare<br />

dell'esecutivo nei confronti delle assemblee, tanto meno quello americano<br />

del Parlamento titolare del potere legislativo nel quadro di una<br />

higher Law irremovibile. Mancano, soprattutto, del potere di autoconvocarsi:<br />

anche quando per le loro adunanze è prevista una periodicità<br />

annuale, più spesso triennale o decennale, non esiste mezzo legale<br />

per riparare al difetto di convocazione. La certificazione dei loro atti<br />

e deliberazioni è spesso affidata a un funzionario del principe, il Regio<br />

Protonotaro in Sicilia, il Reggente la Reale Cancelleria in Sardegna.<br />

« Nessun nostalgico o romantico amore del passato può farci dimenticare<br />

che nella loro concezione e funzione istituzionale, nella loro struttura,<br />

in toto insomma, essi fossero ormai, al termine del periodo considerato,<br />

poco meno che un'anticaglia, anzi avanzi davvero, come aveva<br />

detto il marchese Domenico Caracciolo, di medio evo » (Marongiu).<br />

Se l'Italia di fine Settecento appare un cimitero di Parlamenti, un<br />

primato in materia spetta certamente alla casa di Savoja, posta di fronte<br />

a più gravi problemi di amalgama e unificazione interna di domini<br />

acquistati in tempi e a titoli diversi. Già nel Cinquecento, Emanuele<br />

Filiberto aveva spento quelli delle due « patrie » di Savoja e di Piemonte,<br />

e alla fine Seicento risalivano ormai le ultime tornate del Parlamento<br />

di Saluzzo e degli « Stamenti » sardi; finalmente, nel 1766,<br />

cessano di adunarsi anche gli « Stati » della Val d'Aosta. Che in circostanze<br />

eccezionali, e dopo aver respinto un tentativo di invasione francese,<br />

lo « Stamento » militare sardo presieduto dalla sua « prima voce »,<br />

il marchese di Laconi, si autoconvochi e reclami da Vittorio Amedeo<br />

III nel 1793 il ristabilimento delle forme parlamentari, e che per<br />

circa due anni una « deputazione » stamentaria assuma di fatto la direzione<br />

dell'amministrazione dell'isola, è vicenda effimera e presto chiusa.<br />

Nel 1799, riparando in Sardegna, i Savoja accantonano le promesse<br />

sessioni parlamentari, come avrebbero voluto fare anche i Borboni riparati<br />

in Sicilia se non lo avesse impedito la volontà dell'onnipotente<br />

alleato inglese.<br />

Dovunque le monarchie acquistassero forza, i Parlamenti scomparivano.<br />

Dopo l'ultima sessione del 1642, e dopo la rivolta di Masaniello,<br />

non si era più adunato quello del Regno di Napoli. Con il 1754<br />

finivano, per volontà di Maria Teresa d'Austria, quelli di Gorizia e di<br />

Gradisca. Solo Venezia, mantenendo immobile la sua struttura oligarchica<br />

di patriziato cittadino contro ogni tentativo di riforma (come<br />

quella, proposta nel suo Consiglio politico da Scipione Maffei, di ammettere<br />

una limitata rappresentanza delle città di Terraferma avviandosi<br />

alla lontana verso forme all'inglese), consentiva però che si adu-


La storia del diritto parlamentare 45<br />

nasse ogni anno il secolare Parlamento della « Patria friulana » in<br />

Udine, nel quale aveva il maggior peso l'elemento feudale. Ma quanto<br />

alla sostanza ancora racchiusa in queste forme, ha valore di giudizio<br />

storico un passo assai noto delle Confessioni del Nievo : a Tutto adunque<br />

concorda a stabilire che quando il Magnifico General Parlamento<br />

della Patria supplicava da sua serenità il Doge la licenza di giudicare<br />

intorno a una data materia, il tenor della legge fosse già concertato<br />

minutamente fra sua eccellenza il Luogotenente e l'eccellentissimo Consiglio<br />

dei Dieci [...]. Il magnifico General Parlamento invocava poi dalla<br />

Serenissima dominante la conferma di quanto aveva discusso, deciso<br />

ed approvato; e giunta la conferma, il trombetta nel giorno festivo gridava<br />

ad universale notizia e per inviolabile esecuzione la Parte presa<br />

dal magnifico General Parlamento ».<br />

In questo quadro generale, anche particolarità interessanti di procedura,<br />

come ad esempio il fatto che gli « Stamenti » sardi si reggessero<br />

secondo lo « stile » delle Cortes di Catalogna, e derivassero poi<br />

da quelle d'Aragona l'istituto di una speciale commissione per i gravami<br />

o greuges per giudicare sugli abusi e illegalità degli organi e agenti<br />

dell'amministrazione; o che in vari Parlamenti le tre « prime voci » di<br />

ciascun ramo o braccio, o un'apposita deputazione, fossero sentiti dall'esecutivo<br />

nei lunghi intervalli fra due convocazioni - pèrdono nettamente<br />

importanza. Nulla di ciò passerà nell'esperienza parlamentare del<br />

nuovo ciclo napoleonico e risorgimentale. Né le Restaurazioni del 1814-<br />

1815 restituiranno in vita queste forme esauste, tanto più in quanto<br />

la chiusura di quella pagina ha segnato nuovi passi avanti sulla via<br />

del rafforzamento strutturale delle amministrazioni centrali, recando a<br />

compimento il vecchio sogno livellatore dell'assolutismo. L'affermazione<br />

di un sistema tributario più moderno era un altro acquisto importante,<br />

e toglieva ogni residuo significato alla sola competenza di<br />

vero rilievo politico delle vecchie assemblee dello " Stato a ceti " fondato<br />

su ordini sociali privilegiati (Standen-Staat) : quello di consentire i « donativi<br />

» della nazione al principe e le imposizioni straordinarie.<br />

Il solo caso che meriti considerazione a parte, rappresentando un<br />

anello di congiunzione fra i « preparlamenti » ancien regime e l'esperienza<br />

del Risorgimento, è quello della Sicilia, che sotto l'unico scettro<br />

dei Borboni di Napoli costituiva però da secoli e restò fino al 1816<br />

un Regno separato, con distinta amministrazione e proprie rappresentanze<br />

risalenti fino al Regno normanno-svevo di Federico <strong>IL</strong> La nobiltà,<br />

il clero, le città isolane avevano tenacemente difeso in ogni tempo<br />

i privilegi e prerogative parlamentari, e ancora per tutto il Settecento


46 La storia del diritto parlamentare<br />

le convocazioni avvenivano ogni tre anni. Quando i Borboni riparano<br />

nell'isola si ha una crescente tensione fra il Parlamento e la monarchia,<br />

finché per la determinante pressione del rappresentante inglese,<br />

lord Bentinck, si passa all'elaborazione di una nuova Costituzione, quella<br />

del 1812. Benché posta nel nulla solo quattro anni dopo, con il recupero<br />

del Regno di Napoli e la fusione nell'unico Regno delle Due<br />

Sicilie che pone termine alla secolare corona isolana, questa Costituzione<br />

assume eccezionale rilievo e significato sia perché codifica adattandoli<br />

alla realtà siciliana diritti e consuetudini del Parlamento inglese<br />

(del quale, retoricamente, si ricordava la matrice normanna comune<br />

a quello dell'isola); sia, in un secondo tempo, come mito del movimento<br />

costituzionalistico in Sicilia, e anche fuori di questa come<br />

modello costituzionale che si propone alle classi dirigenti risorgimentali<br />

in alternativa a quelli della Charte francese e delle Cortes spagnole.<br />

Essa dà vita a una struttura bicamerale all'inglese, con commissioni<br />

miste dei due rami per comporre le divergenze su temi legislativi;<br />

vieta al re, sulla linea di precedenti inglesi e spagnoli, di recarsi<br />

fuori dell'isola senza il consenso del Parlamento; accorda alla Camera<br />

dei Comuni l'iniziativa esclusiva in materia di imposizioni, e a quella<br />

dei Pari spirituali e temporali (ecclesiastici e baroni) quella di leggi<br />

che incidano sul regime della Paria, l'altro ramo potendo nell'uno o<br />

nell'altro caso solo accettare o respingere in blocco. Per ogni legge, il<br />

re deve articolo per articolo concedere il suo placet, od opporre il veto<br />

(e già in sede di sanzione della Costituzione, tra molti articoli respinti,<br />

figura quello che accordava ad ogni siciliano il diritto di petizione,<br />

rimostranza o presentazione di progetti di legge al Parlamento). La<br />

disciplina delle prerogative e procedura delle Camere, e persino del<br />

loro personale, è minutissima e ispirata a diffidente e gelosa garanzia<br />

nei confronti dell'esecutivo: il Parlamento giudica i suoi membri anche<br />

per reati comuni; la stamperia è posta all'interno del suo edificio,<br />

e il suo direttore dipende esclusivamente dai due presidenti; la convocazione<br />

deve avvenire ogni anno, anziché ogni tre, e ciascuna Camera<br />

può illimitatamente aggiornare le proprie discussioni e deliberazioni;<br />

nessuna ingerenza regia in tema di potestà disciplinare, e ai<br />

presidenti sono concessi energici poteri per il buon andamento dei lavori;<br />

nessuna truppa può essere levata, introdotta o mantenuta dal re<br />

nell'isola, senza il consenso del Parlamento. I ministri sono responsabili<br />

di fronte al Parlamento, che ha anche il potere di processarli e<br />

punirli nella forma britannica dell''impeachment. Soluzioni di estremo<br />

interesse, ma che durano nell'isola tanto quanto il protettorato di fatto


La storia del diritto parlamentare 47<br />

inglese, la guerra europea contro Napoleone e lo stato di necessità dei<br />

Borboni. Con la Restaurazione, ogni forma di rappresentanza, vecchia<br />

o riformata, verrà travolta anche qui.<br />

Poco resta da dire sull'Italia prerivoluzionaria. Aspirazioni costituzionali<br />

che pure circolano nel pensiero dell'Illuminismo italiano non<br />

ne costituiscono però certo il tema e la rivendicazione dominante. La<br />

linea di governo dell'assolutismo illuminato solo in casi eccezionali,<br />

mentre spezza o cancella i privilegi dei vecchi Parlamenti, può orientarsi<br />

verso forme rappresentative nuove. Così Leopoldo, Granduca di<br />

Toscana, che prima di essere chiamato al trono di Vienna fa elaborare<br />

dai suoi funzionari un progetto di costituzione sulla base di rappresentanti<br />

eletti a livello provinciale dalle comunità locali, con poteri<br />

consultivi e solo limitatamente deliberativi (i funzionari, del resto, propendono<br />

per attribuzioni meramente consultive, se non per la vecchia<br />

forma di assemblee separate di ceti o « Stati »). Solo in una sua<br />

ultima fase, per lo più successiva alla rivoluzione francese, il pensiero<br />

dell'Illuminismo italiano si orienta nettamente verso forme di rappresentanza<br />

politica, e diviene più acutamente consapevole dei pericoli di<br />

arbitrio dell'assolutismo illuminato. Così Pietro Verri nei Pensieri sullo<br />

stato politico del milanese (1790): «Una Costituzione finalmente convien<br />

cercare, cioè una legge inviolabile anche nei tempi avvenire [che]<br />

assicuri ai nostri cittadini un'inviolabile proprietà, essendo questo il<br />

fine di ogni Governo. Conviene che tale Costituzione venga garantita<br />

e difesa da un corpo permanentemente interessato a custodirla, e di<br />

cui le voci possono liberamente e in ogni tempo avvisare il monarca<br />

degli attentati che il ministero con l'andare del tempo potesse promuovere<br />

per invaderla » : corpo eletto da tutti i censiti in catasto, che dia<br />

il suo parere su tutte le leggi. La sussistenza intatta delle leggi fondamentali,<br />

e fra queste dei principi-cardine del diritto privato, richiede<br />

ormai in questa visione un corpo politico costituito sulla nuova base<br />

dell'universalità dei cittadini: ma è facile vedere come, quanto alla<br />

struttura dei suoi poteri e al suo ruolo nell'organismo statale, si sia ancora<br />

lontani dalle nuove formule di diritto pubblico che con l'arrivo delle<br />

armate rivoluzionarie francesi si faranno strada nella penisola.<br />

3. - Le « prime manifestazioni di un moderno diritto parlamentare<br />

italiano » (C. Ghisalberti) si avranno, invece, nel quadro dei nuovi<br />

ordinamenti repubblicani del triennio rivoluzionario 1796-1799, sorti sul<br />

cammino dell'armata d'Italia del generale Bonaparte. Prima ancora che<br />

nei regolamenti o in leggi, linee essenziali di questo diritto parlamen-


48 La storia del diritto parlamentare<br />

tare sono fissate nelle Costituzioni delle repubbliche di Bologna (1796),<br />

Cispadana, Cisalpina e Ligure (1797), seconda Cisalpina e Romana<br />

(1798), di Lucca e Napoletana (1799).<br />

Benché in ragione di certi caratteri, che appartengono piuttosto<br />

alla storia politica o all'ideologia, si sia mantenuto l'uso di parlare<br />

(magari tra virgolette) di Repubbliche e di costituzioni « giacobine »,<br />

non è però dubbio che esse si modellino piuttosto sulla costituzione<br />

direttoriale francese dell'anno III, dettata da un preciso spirito di reazione<br />

antigiacobina. Questa faceva ritorno ad un suffragio largo sì,<br />

ma censitario, e soprattutto introduceva il nuovo principio strutturale<br />

del bicameralismo, attribuendo al ramo più numeroso del Corpo Legislativo,<br />

il Consiglio dei Cinquecento, l'iniziativa esclusiva delle leggi,<br />

e all'altro, il Consiglio degli Anziani, il potere di accettarle o respingerle<br />

in blocco sia per motivi di merito, sia per averne ritenuto l'incostituzionalità.<br />

Poco meno di cento articoli, a parte quelli dedicati al<br />

procedimento elettorale, disciplinavano il Legislativo, sui 377 di cui<br />

constava l'intera Costituzione. Alle regole di procedura da valere per<br />

entrambi i suoi rami fissate a questo livello, si aggiungevano le altre,<br />

del pari comuni, fissate in via legislativa il 3 Fruttidoro dello stesso<br />

anno (1795) nell'intento di assicurare una sostanziale stabilità del diritto<br />

parlamentare col porlo al riparo dai colpi di maggioranza che<br />

a questo riguardo avevano punteggiato la vita della Convenzione giacobina.<br />

Le Repubbliche italiane fecero proprie le linee essenziali di questa<br />

disciplina con pochi adattamenti, ora derivati da spirito di combinazione<br />

con qualche raro e sparso precedente degli ordinamenti patrizi<br />

cittadini (Bologna, Genova, Lucca, Municipalità provvisoria di<br />

Venezia), ora in ragione del fatto stesso che, toltane l'eccezione di Bologna<br />

che pur aveva trecentosessanta rappresentanti in confronto ai<br />

settecentocinquanta del Corpo legislativo francese, si tendeva in Italia<br />

ad assemblee molto più ristrette: da quarantotto a centoventi rappresentanti<br />

in un ramo, e da ventiquattro a sessanta nell'altro. Ciò non<br />

andava senza riflessi sulla disciplina normativa e, più ancora, sulla<br />

prassi. Come in Francia, si tornava in parte allo spirito di Mirabeau,<br />

che invano alla Costituente aveva difeso contro Sieyés, in sede di elaborazione<br />

del regolamento 27 luglio 1789, un sistema di tipo inglese<br />

con maggiori poteri al Presidente dell'Assemblea, minori concessioni all'individualismo,<br />

e salvaguardie contro le prassi tumultuarie, le pressioni<br />

psicologiche del pubblico, le petizioni esposte direttamente in forme<br />

intimidatorie in faccia all'Assemblea: le sanzioni contro i membri


La storia del diritto parlamentare 49<br />

indisciplinati potevano spingersi fino al carcere. Come in Francia, il<br />

metodo di deliberazione sulle leggi era quello inglese delle tre letture,<br />

salva la procedura d'urgenza. Come in Francia, la persistenza ideologica<br />

del mito della « volontà generale », della quale i pubblici funzionari<br />

sedenti nelle assemblee erano considerati gli organi e gli annunciatori,<br />

faceva ricondurre ogni manifestazione legislativa o di indirizzo<br />

politico al momento generale assembleare, escludendo ogni delegazione<br />

legislativa ed ogni formazione di commissioni permanenti, anche prive<br />

di poteri di decisione, che potessero arieggiare ai comitati della Convenzione<br />

giacobina. L'ostilità ad ogni cristallizzazione di posizioni dirigenti<br />

all'interno delle assemblee politiche era spinta al punto, che<br />

anche presidenti e segretari erano assoggettati ad una rapida rotazione.<br />

Come in Francia, infine, erano garantite l'inviolabilità dei membri del<br />

Corpo legislativo e, quasi sempre, la sua sicurezza riposante su un proprio<br />

corpo armato e sulla clausola che ne richiedeva l'autorizzazione<br />

per far transitare o mantenere truppe entro un certo raggio dalla sua<br />

sede (nelle piccole Repubbliche italiane, varranno gli stessi confini del<br />

territorio, confluendovi differenti motivazioni). Altre disposizioni assicuravano<br />

la pubblicità e la stampa dei processi verbali, e le comunicazioni<br />

fra i due rami dei Corpi legislativi e con l'esecutivo, affidati<br />

di norma a « messaggeri di Stato » posti alla dipendenza diretta delle<br />

Assemblee.<br />

Accanto alle affinità - o meglio, e più spesso, alle riprese testuali<br />

di disposizioni - vanno registrate le differenze. Meno importanti, forse,<br />

quelle che rappresentavano residui o ricordi di istituti della tradizione<br />

comunale italiana, come il sindacato sugli eletti allo scadere della carica<br />

sancito, ad esempio, dalla Costituzione bolognese, per la quale<br />

(art. 59) « Ciascun membro del Corpo legislativo è responsabile di ciò<br />

che ha operato nel tempo della sua carica per un anno intero dal giorno<br />

in cui uscì d'uffizio. Non può in tale anno partirsi dallo Stato della<br />

Repubblica senza permesso del Corpo legislativo ». Meno importante,<br />

certamente, la terminologia diversa dalla francese che tratto tratto affiora,<br />

e si rifa ancora alla tradizione comunale, o a Roma, o alla<br />

Grecia. Ma assumono un sicuro significato certi svolgimenti che riflettono<br />

esperienze, o mancate esperienze italiane, a partire dal fatto stesso<br />

che molte di queste Assemblee si dessero propri regolamenti, con una<br />

manifestazione di autonomia normativa che corrispondeva alla meno<br />

sentita necessità di prevenire eccessi assembleari. Anche questa, naturalmente,<br />

è una pura generalità, perché la Repubblica romana si diede<br />

a sua volta invece, sull'esempio francese, una « Legge sopra l'organiz-<br />

4.


50 La storia del diritto parlamentare<br />

zazione dei consigli legislativi e sopra l'ordine delle loro deliberazioni ».<br />

Che, poi, la giustificazione teorica di tali regolamenti si trovasse nella<br />

teoria già enunciata nell'89 da Mirabeau del pouvoir constituant - nell'esercizio<br />

del quale ogni Assemblea stipulava il proprio « patto sociale<br />

» su un piano ben distinto da quello dell'attività legislativa ordinaria,<br />

che era esercizio di potere costituito, non costituente - e fosse in<br />

tutto e per tutto congruente con il sistema di diritto pubblico desumibile<br />

dal complesso delle Costituzioni « giacobine », è altra e diversa<br />

questione. Qui è solo il caso di registrare la conclusione della storiografia,<br />

ormai stabilita nel senso che essi, precisando e svolgendo la<br />

disciplina delle Assemblee già largamente enunciata a livello costituzionale,<br />

da un lato si presentavano come un felice corollario della concezione<br />

illuministica delle fonti del diritto tuttora prevalente, ispirata<br />

a netta diffidenza verso la consuetudine e la prassi non scritta; dall'altro,<br />

contribuirono a consentire un ordinato e proficuo esplicarsi dell'attività<br />

legislativa in un paese, come l'Italia, che non poteva rifarsi a una<br />

propria esperienza parlamentare in senso moderno. Va anche detto che<br />

il regime di semiprotettorato francese nel quale ebbero vita questi esperimenti<br />

era ben più efficace delle stesse salvaguardie costituzionali e regolamentari<br />

nel senso di prevenire i temuti sviluppi verso il « regime di<br />

assemblea ».<br />

Alcune specifiche novità italiane meritano, in ogni caso, attenzione.<br />

Nella Costituzione della Repubblica napoletana, per merito soprattutto<br />

di Mario Pagano, che su questo e su altri temi faceva valere una sua<br />

originale visione costituzionale, l'iniziativa delle leggi è attribuita al<br />

corpo più ristretto e di età più adulta, il Senato, considerando « oltre<br />

l'esempio delle antiche repubbliche, nelle quali un ristretto senato proponeva<br />

le leggi, e numerosa assemblea popolare le rigettava o approvava<br />

», che « proporre le leggi è più l'effetto della fredda analisi che<br />

dell'ardito genio, richiede più estensione di lumi che voli di spirito.<br />

Ritrovare la propria, esatta e chiara forma di legge, è più l'opera del<br />

riserbato giudizio che dell'audace invenzione. Ond'è che pochi, ed uomini<br />

maturi, vi riescono meglio che audace moltitudine di giovani », guardando<br />

essi più all'organicità e coerenza del sistema giuridico che ai<br />

pregi o agli incomodi della legge singola, che un'assemblea di molteplici<br />

voci è invece meglio in grado di apprezzare. Ancora a Pagano<br />

si deve l'assai notevole istituzione dell'Eforato, che nella sua Costituzione<br />

doveva assicurare nello stesso tempo quel controllo di costituzionalità<br />

formale delle leggi che nel testo francese dell'anno III era<br />

attribuito agli Anziani, ed uno, duplice, di costituzionalità sostanziale,


La storia del diritto parlamentare 51<br />

consistente da un lato nel cassare e annullare gli atti emanati da<br />

ciascun potere ultra vires (ad esempio, atti materialmente amministrativi<br />

o giudiziari emessi dal legislativo, come le odierne « leggi-prowedimento<br />

»), dall'altro nel « rappresentare al Corpo legislativo l'abrogazione<br />

di quelle leggi che sono opposte ai principi della Costituzione »<br />

nel loro contenuto (art. 368, n. 5). Un'altra novità tecnica di rilievo<br />

fu introdotta nella Repubblica romana, nell'intento di accelerare il<br />

lavoro legislativo e prevenire insabbiamenti di riforme: il ed. silenzioapprovazione<br />

degli atti legislativi approvati dal Tribunato, che un mese<br />

dopo aver trasmesso una risoluzione al Senato poteva richiamarlo al<br />

suo dovere di pronunciarsi; decorso inutilmente un secondo mese<br />

« senza che il Senato abbia decretato definitivamente, il Tribunato può<br />

dichiarare che il Senato col suo silenzio ha approvato la risoluzione.<br />

Egli può in conseguenza mandarla al Consolato per farla eseguire<br />

come una legge: ed è tenuto di avvisarne il Senato con un messaggio<br />

» (art. 99). Lo stesso accade nella seconda Costituzione Cisalpina<br />

(artt. 98-101). Il Governo, che in omaggio alla divisione dei poteri<br />

manca in tutti questi testi l'iniziativa delle leggi, alla cui promulgazione<br />

è chiamato a provvedere, deve però esso « invitare » o « proporre<br />

» quando si tratti di abrogazione a norma di queste due Costituzioni,<br />

e per l'abrogazione in nessun caso è ammessa la procedura<br />

d'urgenza. L'« invito » a legiferare era del resto nella Costituzione dell'anno<br />

III: « Il direttorio può in ogni tempo invitare in iscritto il consiglio<br />

de' juniori e quello degli anziani a prendere un oggetto in considerazione:<br />

può loro proporre misure, ma non dei progetti stessi in<br />

forma di leggi» (art. 166: cfr. gli artt. con lo stesso numero delle Costituzioni<br />

della seconda Cisalpina e Romana, e il 162 della Napoletana).<br />

Se le Costituzioni « giacobine » rispecchiano, con le modificazioni<br />

accennate, il sistema di quella francese dell'anno III, dopo l'invasione<br />

degli austro-russi in Italia e la nuova conquista o liberazione francese<br />

il paesaggio istituzionale italiano viene ad essere dominato da un nuovo<br />

modello autorevole: la Costituzione francese dell'anno Vili (13 dicembre<br />

1799), quella cioè del Consolato che succede al Direttorio dopo il<br />

colpo di Stato del 18 Brumaio, elaborata da Sieyés. Carattere essenziale<br />

del nuovo regime per quanto riguarda le Assemblee parlamentari è<br />

che l'iniziativa delle leggi passa al Governo : « Non saranno promulgate<br />

nuove leggi salvo il caso in cui il progetto sarà stato proposto dal<br />

Governo, comunicato al Tribunato, e decretato dal Corpo legislativo »<br />

(art. 25). Tribunato e Governo, mediante i loro oratori, sostengono o<br />

contrastano i vari progetti di fronte a tale corpo sovrano (rimarrà fa-


52 La storia del diritto parlamentare<br />

mosa l'opposizione del Tribunato, e alla sua testa di Benjamin Constant,<br />

al Codice civile: per averne ragione, Napoleone si induce a un ulteriore<br />

colpo di Stato); l'uno o l'altro, rimasto soccombente, può ancora<br />

adire il Senato conservatore per il giudizio di costituzionalità. Va notato<br />

che a breve distanza dal 18 Brumaio la legge del 5 Nevoso dell'anno<br />

Vili riconosce tanto al Corpo legislativo quanto al Tribunato<br />

una autonoma potestà regolamentare nella materia che sotto il Direttorio<br />

era stata invece definita con la legge già rammentata, che aveva<br />

valore di legge costituzionale complementare. Dopo il « giro di vite »,<br />

un Senato-consulto organico dell'anno XII (20 dicembre 1803), esteso<br />

l'anno dopo al Tribunato, toglie però al Corpo legislativo una delle<br />

più gelose attribuzioni della legge del '95, la nomina della commissione<br />

amministrativa interna, alla quale subentrano i Questori, nominati<br />

dal Primo Console su liste formate dall'Assemblea. Lo stesso avviene<br />

per i « Pretori », il Cancelliere e il Tesoriere del Senato conservatore,<br />

al cui consiglio di amministrazione annuale, che pianifica ogni genere<br />

di spese, partecipano i tre Consoli, cioè l'intero vertice dell'esecutivo.<br />

Si possono collocare sulla linea francese dell'anno Vili le nuove<br />

costituzioni delle Repubbliche di Lucca (1801) e Ligure (1802), nonché<br />

quella della Repubblica italiana discussa ai Comizi di Lione (1802),<br />

che prende il posto della Cisalpina con Napoleone presidente. Se non<br />

si è più di fronte a calchi in senso tecnico del modello francese, con<br />

più o meno estese modificazioni, è anche perché Napoleone ha ora<br />

maggiore libertà di iniziativa in Italia, teatro e campo sperimentale<br />

dei suoi effettivi orientamenti costituzionali. In tutte e tre le Repubbliche,<br />

intanto, si ha una nuova base della rappresentanza : « possidenti »<br />

(fondiari), « dotti » e « mercanti » (negozianti e fabbricanti), ora designati<br />

a vita dall'esecutivo, ora cooptati dai colleghi, ora eletti da speciali<br />

assemblee territoriali. I loro « collegi », dichiara la Costituzione<br />

della Repubblica italiana, « sono l'organo primitivo della sovranità nazionale<br />

» (art. 10), e come tali procedono alla nomina di tutta una<br />

serie di cariche statali, inclusi i membri del Corpo legislativo. Sempre<br />

riferendosi all'ordinamento di questa Repubblica, che mutatis mutandis<br />

trova riscontro nelle due minori, « Il Presidente ha l'iniziativa di tutte<br />

le leggi » (art. 45), sia pure con la premessa di una certa disciplina<br />

della fase pre-legislativa del procedimento. Altri strumenti, già previsti<br />

nella Costituzione francese dell'anno Vili, o introdotti successivamente<br />

ad essa, fanno la loro apparizione: esame congiunto dei progetti da<br />

parte di una commissione del Corpo legislativo e di consiglieri del<br />

Governo (Repubblica italiana, art. 87; Lucca, art. 16); successivo di-


La storia del diritto parlamentare 53<br />

battito in contraddittorio davanti al Corpo legislativo fra oratori del<br />

Governo e della commissione (rispettivamente artt. 88 e 19); forme di<br />

senato-consulto improprio, come quella dell'art. 4 della Costituzione Ligure<br />

: « Ne' casi urgenti e impensati, e soprattutto se la tranquillità pubblica<br />

è compromessa, il Senato con due terzi de' voti può provvisoriamente<br />

ordinare l'esecuzione dei progetti di legge ». Le sole imposte sono<br />

eccettuate da questo tipo di disposizione (cfr. Lucca, art. 21). Ancora<br />

nella Costituzione Ligure è attribuita al Senato l'emanazione dei regolamenti<br />

esecutivi, nella sua doppia veste di organo di governo e legislativo<br />

(artt. 4 e 7).<br />

Tratti ancor più originali potrebbero essere rilevati in queste repubbliche,<br />

e nei successivi Regni napoleonici, da uno studio condotto<br />

sui regolamenti assembleari. In quello del Senato ligure, ad esempio,<br />

« Nessun Senatore presente alla seduta può abbandonarla senza la permissione<br />

del Doge » (art. IV); si ha una figura particolare del Segretario<br />

generale, con specifiche attribuzioni in tema di ordine del giorno<br />

(art. VII : « Il Segretario generale riconosce sopra il registro delle aggiornazioni<br />

le pratiche delle quali cade l'aggiornazione, e le propone,<br />

in nome del Doge, alla discussione del Senato»; art. Vili: «Il Doge<br />

può sospendere la proposizione delle pratiche aggiornate, se vi sono<br />

degli oggetti, a suo giudizio, più gravi ed urgenti da portarsi alla cognizione<br />

del Senato »). Mentre altrove di norma il « comitato segreto »<br />

era ammesso solamente per le discussioni, ma non per le deliberazioni,<br />

qui « sono oggetti di Comitato generale le materie dette di Stato, e<br />

che interessano la sicurezza della Repubblica, a giudizio del Doge. La<br />

discussione delle leggi organiche si fa in Comitato generale » (articolo<br />

XXIII) con la sola presenza, di norma, del Segretario generale,<br />

incaricato della formazione del processo verbale del Comitato, e degli<br />

altri due Segretari solo con il consenso del Senato: questi e quello<br />

tenuti in ogni caso con giuramento, come il Doge e i senatori, al segreto<br />

su quanto discusso (art. XXIV-XXVIII). È notevole, ancora, che<br />

il richiamo al regolamento fatto da un singolo non fosse subordinato<br />

a decisioni di maggioranza : « Ciascun Senatore ne domanda l'osservanza<br />

in caso d'inesecuzione, e il Doge lo fa eseguire » (art. XXXI).<br />

Gli ordinamenti dei Regni napoleonici della fase successiva (Statuti<br />

costituzionali del Regno d'Italia degli anni 1805-1810; del Regno<br />

di Napoli e Sicilia del 1808; del Principato di Lucca del 1805; Costituzione<br />

murattiana di Napoli del 1815) si discostano ancor più, nonostante<br />

alcune precise analogie, dall'ordinamento imperiale francese che<br />

prendeva le mosse dal Senato-consulto organico dell'anno XII, e incon-


54 La storia del diritto parlamentare<br />

trò maggiori opposizioni in Consiglio di Stato che nello stesso Senato.<br />

È mantenuta, rispetto alla fase precedente, la formazione della rappresentanza<br />

sulla base di notabilità: se il Regno Italico conserva i tre<br />

collegi dei possidenti, dei dotti e dei mercanti, che ancora nel 1832,<br />

nella sua critica del Reformbill inglese, formeranno l'ammirazione di<br />

Hegel, il Regno di Napoli e Sicilia prevedeva un Parlamento nazionale<br />

formato da cinque « sedili » come nella Napoli ancien regime, ma ora<br />

sorgenti rispettivamente dal clero, dalla nobiltà, dai possidenti, dai<br />

dotti e dai commercianti; la Costituzione murattiana del 1815, infine,<br />

affiancava al Senato vitalizio un « consiglio dei notabili » formato da<br />

deputati espressi dai sindaci delle province, dai contribuenti delle città<br />

maggiori, da un collegio vitalizio di commercianti napoletani, dalle università<br />

e dalle corti di appello del Regno. Egualmente mantenuta l'iniziativa<br />

delle leggi nelle mani dell'esecutivo, generalizzando il metodo<br />

delle « conferenze » fra consiglieri di Stato e commissioni dei due rami<br />

del Corpo legislativo nella formazione delle leggi, metodo già sperimentato<br />

sia nella Repubblica di Lucca, sia nell'elaborazione del Codice<br />

Napoleone in Francia, che lo aveva poi consacrato nel Senato-consulto<br />

organico del 19 agosto 1807 (art. 4).<br />

Nuove, invece, le disposizioni che configurano quello che modernamente<br />

si chiamerebbe un domaine de la hi ristretto ad alcune materie<br />

enumerate, attribuendo le rimanenti al domain du réglement. A parte<br />

il Codice Napoleone, richiamato da norme costituzionali sia nel Regno<br />

Italico sia in quello di Napoli e Sicilia, nel Regno Italico erano di competenza<br />

del potere legislativo il bilancio dello Stato, la coscrizione militare,<br />

l'alienazione dei beni nazionali, il sistema monetario, le nuove<br />

imposte o tariffe d'imposta e le leggi civili, di « alto criminale » e commerciali<br />

: « Tutt'altro oggetto è di competenza della pubblica amministrazione<br />

» (art. 47). Nel Regno di Napoli e Sicilia la materia coperta<br />

da riserva di legge appare ancora più ridotta: oltre al bilancio, vi figurano<br />

« la ripartizione delle contribuzioni fra le province, i cambiamenti<br />

notabili da farsi al codice civile e al codice penale, al sistema<br />

delle imposizioni o al sistema monetario » (art. 27); ma competeva al<br />

Consiglio di Stato « compilare » i regolamenti generali di pubblica amministrazione<br />

e i progetti di leggi civili e criminali (art. 5). Spettava al<br />

re, svincolato da questo limite di procedimento, la normazione minore,<br />

e di fatto egli provvide anche a quella coperta da riserva di legge sulla<br />

base di una specifica autorizzazione costituzionale valida fino alla prima<br />

riunione del Parlamento, che non ebbe luogo mai. Nel Principato di<br />

Lucca il Senato, formato anch'esso da possidenti, commercianti e « let-


La storia del diritto parlamentare 55<br />

tori », è competente per il bilancio, la vendita delle proprietà nazionali,<br />

il sistema tributario, la legislazione civile, commerciale e penale:<br />

« Ogni altro oggetto è di competenza dell'Amministrazione interna »<br />

(art. 12). Solo nella Costituzione murattiana la legiferazione torna in<br />

ogni caso di competenza parlamentare, sulla base dell'iniziativa del Re<br />

e dell'esame previo da parte delle commissioni in cui si divide ciascuna<br />

Camera: « Insorgendo obiezioni al Parlamento sui progetti presentati<br />

per ordine del Re, o proponendosi delle modificazioni, le commissioni<br />

[reali, N. d. R.], se ve ne sono, o i consiglieri [di Stato, N. d. R.] che<br />

hanno presentato i progetti, possono sull'autorizzazione del Re concertarsi<br />

colle commissioni di ambo le Camere, al fine di appianare le<br />

difficoltà, e di concorrere ad una redazione, che secondi le vedute del<br />

Parlamento » (art. 150). Con che non tanto si riprende una linea precedente<br />

di collegamenti e organi misti fra i due rami del Parlamento,<br />

quanto si mira ad una limitazione sostanziale del diritto di emendamento.<br />

Si accentua ulteriormente, in tutta questa fase, la tendenza dell'esecutivo<br />

a uno stretto controllo della vita delle assemblee, sull'esempio<br />

dei precedenti francesi già richiamati. Nel Regno Italico, Napoleone<br />

si riserva il diritto di nomina del presidente del Corpo legislativo<br />

e dei due Questori di due in due anni, sia pure sulla base di un bilancio<br />

fisso ripartito ogni due anni dall'Assemblea in comitato segreto.<br />

Nel Regno di Napoli e Sicilia il Re nomina il presidente del Parlamento<br />

sulla base di una terna elettiva (artt. 22-23), mentre l'autonomia<br />

di quest'ultimo di fronte alla Corona è limitata dall'abbandono del sistema<br />

delle sedute pubbliche : anzi « Le opinioni e le deliberazioni<br />

non debbono essere né palesate né impresse. Qualunque pubblicazione<br />

per via di stampa o di affissi, che si faccia dal Parlamento nazionale<br />

o da uno dei suoi membri, è considerata un atto di ribellione »<br />

(art. 26). Ancora nella Costituzione murattiana del 1815 il Re nomina<br />

presidente e vicepresidente del Senato e del Consiglio dei notabili, in<br />

quest'ultimo caso tra cinque nomi a lui sottoposti (artt. 97 e 121).<br />

Va, infine, tenuto presente che il Corpo legislativo del Regno Italico<br />

poteva soltanto accettare o respingere in blocco i progetti di legge<br />

dell'esecutivo, ciò che non era previsto nel Regno di Napoli e Sicilia<br />

perché l'ottanta per cento dei membri del Parlamento era di nomina<br />

regia, mentre nella Costituzione murattiana fu contemplato un Senato<br />

egualmente di nomina regia, oltre al ricordato dispositivo a limitazione<br />

del diritto di emendamento. Ma soprattutto occorre ricordare che nessuno<br />

dei Parlamenti napoletani potè aver vita, il primo per volontà


56 La storia del diritto parlamentare<br />

della Corona, il secondo per la fine della dinastia. Quanto al Corpo<br />

legislativo del Regno Italico, due mesi dopo l'incoronazione Napoleone,<br />

contrariato dalle critiche e dalle resistenze su un progetto di legge in<br />

tema di atti di registro, lo sospendeva e poi ne paralizzava la vita col<br />

semplice espediente di cancellare lo stanziamento necessario a farlo<br />

funzionare dal bilancio dello Stato, nonostante che il suo ammontare<br />

fosse fissato dalla Costituzione. Nel marzo 1808 Napoleone attribuiva<br />

al « Senato consulente » alcune prerogative legislative : deliberare a<br />

maggioranza di due terzi sugli statuti costituzionali e a maggioranza<br />

semplice sui progetti di aumenti di imposte : « Sopra qualunque altro<br />

progetto di legge il Senato può presentare al Re le sue deliberazioni<br />

dieci giorni dopo la comunicazione che glie ne viene fatta » (art. 13).<br />

Aveva poi attribuzioni consultive in materia di trattati internazionali,<br />

altre deliberative (eventuali) sull'incostituzionalità degli atti dei collegi<br />

elettorali, sui ricorsi per eccesso o abuso della giurisdizione ecclesiastica,<br />

sulla rimozione dei giudici, e poteva annualmente presentare al<br />

Re le sue osservazioni sul conto dei ministri, e rappresentargli i bisogni<br />

e i voti delle popolazioni. Se è forse improprio un accostamento con le<br />

prerogative di « interinazione » e di rimostranza dei Parlamenti francesi<br />

o dei Senati italiani ancien regime, che erano corpi giudicanti e<br />

per altro verso amministrativi, resta in ogni caso che si trattava di<br />

un'assemblea parte composta di membri di diritto e di altri nominati<br />

dal Re, parte scelta sopra liste formate dai soliti collegi dei possidenti,<br />

dei dotti e dei mercanti. Ovunque, del resto, nei Regni napoleonici<br />

italiani come in Francia, le attribuzioni dei Consiglio di Stato in<br />

ordine all'elaborazione e a tutta la fase che precede la vera e propria<br />

deliberazione legislativa ebbero, in concreto, assai maggiore importanza,<br />

non appena si consideri « un poco più da vicino anche l'interno<br />

dei solenni e pomposi edifizi costituzionali, d'architettura napoleonica,<br />

fin qui specificati » (Marongiu).<br />

A conclusione del ciclo rivoluzionario-napoleonico, su un punto<br />

va soprattutto richiamata l'attenzione, anche tenendo presente il passaggio<br />

dalle « lunghe » Costituzioni « giacobine », prossime ai quattrocento<br />

articoli, a testi costituzionali più brevi. Questo punto è la potestà<br />

regolamentare delle Camere, affermata come si è visto in via di principio<br />

e tradotta in appositi regolamenti anche quando il modello francese<br />

si imperniava su una disciplina posta in via di legge, integrata da<br />

più rare disposizioni interne. In ogni caso, fosse a livello costituzionale,<br />

legislativo o regolamentare (tutti e tre i livelli giocano, volta a volta,<br />

nelle esperienze caratteristiche di questo ciclo di avvenimenti), l'eredità


La storia del diritto parlamentare 57<br />

consegnata al futuro è quella di un'aperta e metodica codificazione<br />

scritta delle regole di procedura parlamentare, con particolare riguardo<br />

al procedimento legislativo ed alle garanzie dei rappresentanti: antitesi<br />

alla tradizione inglese, con il suo insieme fluttuante di principi consuetudinari,<br />

di conventions of the Constitution e di temporanei, ma<br />

solidi e rispettati agreements. Ciò che del resto, come si è veduto, avveniva<br />

anche nelT« altra Italia », l'Italia legittimista, ad opera del Parlamento<br />

siciliano. Né a diverso segno aveva mirato il Bentham con la<br />

sua Tattica parlamentare, solo più tardi edita : innestare su una « adunanza<br />

ancora giovane », ma con gli opportuni adattamenti, quanto fosse<br />

accettabile degli usi del Parlamento inglese: « Questo sistema di interna<br />

polizia [che] non è racchiuso in un codice scritto, ma è una semplice<br />

abitudine che si formò coll'uso, fu conservata dalla tradizione, e<br />

da quasi un secolo non soffrì alcun notevole cangiamento » (Dumont).<br />

4. - Mentre la Restaurazione francese trova il suo assetto istituzionale<br />

nella Charte del 6 aprile 1814, con Senato di Pari ereditari e<br />

Camera censitaria (avrà linea assai simile, nei « cento giorni », l'Atto<br />

addizionale alle Costituzioni dell'Impero, emanato dall'Imperatore il<br />

22 aprile dell'anno seguente, su progetto del neo-consigliere di Stato<br />

Benjamin Constant), i principi italiani restaurati né accèdono all'idea<br />

di nuove carte costituzionali, né fanno poi rivivere gli antichi Parlamenti<br />

prerivoluzionari. La Costituzione siciliana del 1812 non venne<br />

abrogata espressamente, ma Ferdinando II rientrando in possesso del<br />

Regno di Napoli cancellò addirittura il Regno separato di Sicilia con<br />

atto del 1816, concedendo all'isola solo alcuni particolari diritti e privilegi<br />

amministrativi, completati formalmente nel 1824 dalla « Legge<br />

organica della Consulta generale del Regno ». Di fronte all'assolutismo<br />

ristabilito, e in molti domini italiani reso più completo dall'acquisizione<br />

dei risultati dell'accentramento e livellamento napoleonici, si delinea<br />

il nuovo movimento costituzionale, che si fa forte della discrasia<br />

(e della conseguente necessità di riconciliazione) fra ordine politico<br />

ancien regime e moderni ordini civili e amministrativi. Nella rappresentanza<br />

parlamentare esso avrà una delle sue grandi idee-forza.<br />

Tre sono i modelli costituzionali che tengono il campo dalla Restaurazione<br />

fino all'età delle riforme e al '48-'49. Quello anglo-siciliano,<br />

bandiera dei movimenti isolani fino al 1848 - allora però anche la seconda<br />

Camera viene resa elettiva, come la prima, fra determinate categorie<br />

- che per il suo spirito più che moderato raccoglie simpatie anche<br />

in altre regioni e ad esempio in Piemonte (Santorre di Santarosa). Quel-


58 La storia del diritto parlamentare<br />

lo delle Cortes spagnole del 1812, la cui Costituzione viene proclamata<br />

nel 1820 nel Regno delle Due Sicilie e nel 1821 in Piemonte, salve le<br />

modificazioni da apportare dal Parlamento che seguirono, ma minime,<br />

solo nel primo caso. Per quanto riguarda la rappresentanza, in luogo<br />

del bicameralismo all'inglese si ritorna qui al monocameralismo roussoviano<br />

della Convenzione, sulla base però di un suffragio universale<br />

dei capofamiglia, alfabeti e no, mediato in due gradi, a livello parrocchiale<br />

e provinciale. L'iniziativa della legislazione, o della deroga straordinaria<br />

alle leggi vigenti, spetta al Parlamento, che procede con il metodo<br />

delle tre letture: il silenzio del Re si ha per sanzione; la sanzione<br />

può essere rifiutata, ma dopo la terza approvazione parlamentare in tre<br />

anni distinti il progetto ha ugualmente forza di legge (artt. 135-145 Due<br />

Sicilie e 132-142 Piemonte). Una « deputazione permanente del Parlamento<br />

» siede negli intervalli tra le sessioni annuali, può convocare un<br />

Parlamento straordinario, e deve fra l'altro « invigilare sulla osservanza<br />

della Costituzione e delle leggi, onde dar conto al prossimo Parlamento<br />

delle infrazioni che avessero [sic] osservate » (art. 153 Due Sicilie, e>cfr.<br />

160 Piemonte). Il Re abbisogna del consenso delle Cortes per varcare i<br />

confini del Regno, come effettivamente avvenne da parte di Ferdinando<br />

I, che ne approfittò però per recarsi al congresso di Lubiana e ottenere<br />

dalla Santa Alleanza i mezzi per schiacciare le forze liberali e<br />

annullare la Costituzione; deve farvi approvare annualmente il contingente<br />

militare consentito, il cui ordinamento è competenza delle Cortes;<br />

queste scelgono il successore al Trono, nel caso di estinzione della linea<br />

maschile principale dei successibili, e hanno poi tutta una serie di altre<br />

attribuzioni, ad esempio in materia di controllo. Il fatto che questi due<br />

testi abbiano avuto limitata o nessuna applicazione, nulla toglie al valore<br />

di punto di riferimento che la Costituzione di Cadice ebbe nei dibattiti<br />

della Restaurazione, quale modello fra tutti gli altri più avanzato<br />

in senso democratico.<br />

Il modello che avrà però decisiva influenza è quello franco-belga.<br />

La Charte borbonica del 1814 era stata modificata nel 1830 all'avvento<br />

della Casa di Orléans, fra l'altro, nel senso di rendere da segrete pubbliche<br />

le adunanze e deliberazioni della Camera dei Pari, e di attribuire<br />

alla Camera dei deputati la nomina del proprio presidente in apertura<br />

di ogni sessione, in luogo dell'indicazione di cinque suoi membri<br />

per la nomina da parte del Re. Rimaneva ferma la priorità della Camera<br />

dei deputati per l'esame dei progetti d'imposta, così come la<br />

clausola che l'imposta fondiaria, a differenza di quelle indirette, non<br />

poteva essere consentita in via pluriennale, ma solo di anno in anno


La storia del diritto parlamentare 59<br />

(artt. 47 e 49). Facendo alcuni passi più in là, la Costituzione belga del<br />

1831 rendeva elettivo anche il Senato, con durata di otto anni e diritto<br />

di nominare il proprio presidente, vicepresidente e bureau; sanciva<br />

espressamente il diritto d'inchiesta parlamentare, e quello di votare<br />

per divisione articoli e emendamenti agli articoli di legge (artt. 40<br />

e 42); escludeva o sospendeva dal mandato parlamentare gli impiegati<br />

pubblici (art. 36). Il modello franco-belga si completa opportunamente,<br />

per la parte che qui interessa, con le disposizioni del nuovo regolamento<br />

19 luglio 1839 della Camera francese, adottato su relazione Vivien, che<br />

disciplinava fra l'altro il quorum delle sedute, le petizioni, la presentazione<br />

ed esame dei bilanci, Yadresse di risposta al Re, l'imparzialità<br />

del Presidente, le modalità del procedimento legislativo. Tale regolamento<br />

verrà rimaneggiato con tutta una serie di modificazioni dalla Costituente<br />

del 1848 (che nel testo costituzionale introduce l'indennità parlamentare<br />

per i membri delle due Camere, e statuisce all'art. 28, portando<br />

avanti la linea belga, che « ogni funzione pubblica retribuita è<br />

incompatibile con il mandato di rappresentante del popolo ») nel Regolamento<br />

19 maggio 1848, ripreso poi dalla Legislativa. Il secondo Impero<br />

annullerà la potestà legislativa delle Camere, attribuendola con il<br />

1852 a decreti del Capo dello Stato e tornando al Senato nominato dall'alto<br />

e sedente in segreto, al mandato parlamentare senza indennità,<br />

alla nomina presidenziale del presidente e dei vicepresidenti del Corpo<br />

legislativo, a limitazioni - in forma nuova - del diritto di emendamento.<br />

Una correzione « liberale » si avrà già con i Senato-consulti organici<br />

del 1869, promossi da Napoleone III, che regola fra l'altro gli « uffici »:<br />

ma più ampiamente, ormai sotto la Terza Repubblica, con i nuovi regolamenti<br />

della Camera e del Senato nel 1876, a seguito delle prime elezioni<br />

indette sulla base delle leggi costituzionali del 1875. Ma per tornare<br />

al modello 1814-1830-1839 e alla sua avanzata versione belga, occorre<br />

appena ricordare che sotto i Borboni restaurati manca, e del resto<br />

neppure è prevista dalla Charte, la responsabilità politica dei ministri<br />

di fronte alle Camere. Soprattutto la Camera dei Deputati cercò via via<br />

di sfruttare in questo senso gli strumenti legali di cui disponeva - indirizzo<br />

al Re, esame di petizioni, messa in stato di accusa dei ministri, voto<br />

dei bilanci, lo stesso esame delle leggi -, nonché di azionare strumenti<br />

di controllo non previsti in Costituzione, come le interrogazioni (questions)<br />

e le inchieste parlamentari. Dopo la rivoluzione di luglio si forma<br />

invece una vera e propria tradizione parlamentare, sulla base dell'iniziativa<br />

legislativa che la Charte riformata riconosce alle Camere, e l'avvìo<br />

ad una effettiva responsabilità politica dei ministri quale si delinea


60 La storia del diritto parlamentare<br />

con il diritto di interpellanza e con la stessa nuova importanza e<br />

funzione dell'indirizzo di risposta al discorso della Corona, che viene<br />

quasi a configurare un'annua interpellanza globale sul complesso dell'azione<br />

di governo. Nonostante vari inconvenienti, come il numero dei<br />

deputati impiegati, « la macchina legislativa funzionava sotto la Monarchia<br />

di luglio in modo quasi perfetto » (Deslandres). Quasi contemporaneo<br />

è il Reformbill inglese del 1832, premessa a un rinnovamento<br />

profondo del lavoro parlamentare. In Francia, nel 1842 si propone di<br />

distribuire i comptes-rendus delle sedute a tutti gli elettori, sia pure<br />

nel quadro di un elettorato strettamente censitario; altre interessanti<br />

proposte regolamentari non hanno sèguito. Ma nella Repubblica del<br />

1848, sulla base di una migliore organizzazione dei resoconti e della<br />

stenografia, si cerca di risolvere in modo organico il problema dei rapporti<br />

fra stampa e Parlamento. La Costituzione poi, a parte le norme già<br />

ricordate, conferisce ad un apposito organo dell'Assemblea sedente nell'intervallo<br />

delle sessioni il potere di convocarla in caso di urgenza, e fa<br />

obbligo al Presidente della Repubblica, in un quadro di netta divisione<br />

dei poteri, di presentare ogni anno, sull'esempio americano, « con un<br />

messaggio all'Assemblea nazionale, l'esposizione generale degli affari<br />

della Repubblica » (art. 52).<br />

Su questo sfondo europeo vengono a proiettarsi (prescindendo dall'ordinamento<br />

provvisorio della « Costituzione delle province unite italiane<br />

» sorta dai moti del '31 a Bologna e nelle Romagne, con la sua<br />

Consulta legislativa) gli statuti e costituzioni del 1848-49, e i regolamenti<br />

relativi. Non va dimenticata, anche a questo riguardo, una certa<br />

differenza fra statuti octroyés dai Principi e testi elaborati da Assemblee,<br />

come la Costituzione della Repubblica romana e lo Statuto del Regno<br />

autonomo di Sicilia, la cui Corona venne offerta al primogenito di Carlo<br />

Alberto, Alberto Amedeo duca di Genova. Ma qui, « mentre si può e si<br />

deve parlare di un movimento costituzionale, soltanto con molte riserve<br />

è possibile parlare anche di un movimento « costituente » del '48<br />

italiano: e comunque di un movimento costituente strozzato quasi sul<br />

nascere, che non è riuscito cioè, per le sue vicende esterne e per le sue<br />

interne contraddizioni, ad essere veramente e pienamente tale » (Crisafulli).<br />

In ogni caso, è possibile discernere alcuni tratti comuni alla maggior<br />

parte di questi documenti, quale che ne sia l'origine: la Costituzione<br />

del Regno delle Due Sicilie, e gli statuti del Regno di Sicilia,<br />

dello Stato della Chiesa, del Granducato di Toscana e del Regno di Sardegna<br />

(1848) nonché il progetto dello stesso anno per uno statuto del<br />

ducato di Modena; l'atto costituzionale di Gaeta per la Sicilia e la Co-


La storia del diritto parlamentare 61<br />

stituzione della Repubblica romana (1849). Altro carattere hanno le<br />

« basi costituzionali » per il Ducato di Parma (1848), mentre rimasero<br />

sulla carta il progetto di una Costituzione italiana a base confederale elaborato<br />

dal congresso giobertiano di Torino (1848) e quello democratico<br />

toscano per una Costituente italiana (1849): in Toscana, peraltro, come<br />

subito dopo nella Repubblica romana, si passò a un sistema monocamerale,<br />

sulla base del suffragio universale.<br />

Limitando l'analisi ai testi costituzionali, quasi in tutti ricorre una<br />

seconda Camera vitalizia sul modello francese (con le due eccezioni ora<br />

ricordate), dove presidente e vicepresidente sono di nomina della Corona,<br />

mentre quelli della Camera bassa sono elettivi; le sedute sono pubbliche,<br />

salvo il diritto per un certo numero di rappresentanti di chiedere<br />

il comitato segreto; le garanzie dei parlamentari e il procedimento<br />

di accusa nei confronti dei ministri da parte della Camera bassa, con<br />

giudizio della Camera alta, sono egualmente comuni, più o meno sulla<br />

linea della Charte. Un ventaglio più largo di soluzioni si ha per quanto<br />

riguarda l'eleggibilità dei pubblici funzionari, ora preclusa in ogni caso,<br />

ora esclusa solo nel territorio in cui si esercitasse la loro giurisdizione,<br />

ora assoggettata all'onere di una rielezione, mentre qualche testo ne<br />

tace. L'indennità parlamentare, gran novità belga del 1831 e francese<br />

del 1848, viene introdotta in via generale solo nella Repubblica romana,<br />

mentre in Sicilia e nel Granducato di Toscana la si accorda, a<br />

carico dei comuni, solo ai rappresentanti residenti fuori delle capitali<br />

e in misura modesta, e altrove ci si attiene al sistema francese della<br />

gratuità del mandato, denunciata dai democratici come un « censo elettorale<br />

larvato ». Dove poi la divergenza è massima è nella disciplina<br />

dell'iniziativa legislativa, per la quale alcuni testi (Due Sicilie, Granducato<br />

di Toscana, Stato della Chiesa) tornano alla Charte del 1814 che la<br />

riserva all'esecutivo, o accordano ai suoi progetti una priorità procedurale.<br />

Altrove, essa spetta tanto alle Camere quanto all'esecutivo, mentre<br />

dove esiste una Camera alta vitalizia è logico, e viene spesso sancito, che<br />

alla Camera bassa spetti la priorità nell'esame dei bilanci e delle leggi<br />

di spesa, e dunque un ruolo preminente nel sindacato parlamentare sull'azione<br />

di governo. Nello statuto siciliano, in quello pontificio e nell'Atto<br />

addizionale di Gaeta la Corona si riserva un potere di veto, che per gli<br />

Stati della Chiesa si esercita udito il Concistoro, e non è superabile da<br />

una seconda o terza deliberazione.<br />

Fra le disposizioni singolari, che si discostano dai modelli francobelgi<br />

o britannici (il costituzionalismo « giacobino » o direttoriale, e


62 La storia del diritto parlamentare<br />

quello spagnolo di Cadice, quasi non hanno più udienza in questo tornante<br />

del secolo), almeno due vanno ricordate. Lo Statuto del Regno<br />

autonomo di Sicilia, elaborato sotto la direzione di Ruggero Settimo,<br />

non solo prevede una seconda Camera elettiva; non solo per quanto riguarda<br />

le leggi finanziarie o militari accorda al Senato il semplice diritto<br />

di accettare o respingere in blocco; non solo mira a tutelare l'autonomia<br />

delle assemblee statuendo che i deputati e i senatori, se eletti<br />

ministri, sono sospesi per la durata della carica dalle loro funzioni parlamentari;<br />

ma (punto che può apparire più attuale) ipotizza organi misti<br />

dei due rami del Parlamento : « Nel caso che le due Camere siano d'accordo<br />

in alcuni punti, e discordi in altri dello stesso progetto di legge,<br />

potranno deputare un numero uguale dei rispettivi membri perché sedendo<br />

insieme procurino di conciliare le differenze, e ridurre le Camere<br />

alla conformità dei voti. Il nuovo progetto sarà recato alla discussione<br />

delle Camere. Una proposta definitivamente rigettata non può riprodursi<br />

che alla nuova sessione » (art. 27). Altra disposizione notevole, questa<br />

volta in tema di controllo, è quella per cui « Appartiene a ciascuna Camera<br />

il diritto di fare rimostranze e indirizzi per qualunque atto del<br />

potere esecutivo » (art. 31). Nello statuto di Pio IX, isolato fra gli altri,<br />

è limitata in certe materie l'iniziativa legislativa : i due consigli « non<br />

possono mai proporre alcuna legge: 1) che riguardi affari ecclesiastici<br />

o misti; 2) che sia contraria ai canoni o disciplina della Chiesa; 3) che<br />

tenda a variare o modificare il presente Statuto » (art. 36). Negli affari<br />

misti potevano essere sentiti in via consultiva: ma era poi vietata, in<br />

ogni caso, « ogni discussione che riguardi le relazioni diplomatichereligiose<br />

della Santa Sede all'estero » (art. 38). L'imposta diretta, come<br />

in altri testi, poteva essere consentita solo per un anno, le indirette per<br />

più, con evidenti riflessi sui rapporti fra esecutivo e legislativo.<br />

Un ultimo punto va considerato nell'esperienza del '48-49, ed è<br />

l'affermazione costituzionale della potestà regolamentare delle Camere,<br />

desunta dalla Costituzione belga del 1831, all'articolo 46: «ogni Camera<br />

determina, col suo regolamento, il modo con il quale esercita le<br />

sue attribuzioni » (nei limiti cioè della Costituzione e delle leggi, non<br />

più alla stregua della dottrina di Mirabeau circa il « patto sociale »<br />

di ciascuna assemblea politica quale manifestazione del pouvoir constituant).<br />

Sono su questa linea lo statuto siciliano (art. 25) e quello granducale<br />

toscano (art. 48), mentre la Costituzione del Regno delle Due<br />

Sicilie si spinge sino a precisare che « Ciascuna delle due Camere legislative<br />

formerà il suo regolamento interno, in cui verrà determinato il<br />

modo e l'ordine delle sue discussioni e delle sue votazioni, il numero e


La storia del diritto parlamentare 63<br />

gli incarichi delle commissioni ordinarie in cui deve distribuirsi e tutto<br />

ciò che concerne l'economia del suo servizio interno » (art. 42).<br />

La clausola che quasi sempre ricorre, a tenore della quale « i ministri<br />

sono responsabili » non implica (come non implicherà nella lettera<br />

dello Statuto albertino) il principio del governo di Gabinetto o<br />

parlamentare, ma solo la possibilità di messa in stato di accusa dei ministri<br />

stessi, o la predisposizione di strumenti di sindacato parlamentare,<br />

quali quelli già ricordati. Solo nella Repubblica romana del 1849 l'assemblea<br />

unica elegge essa a maggioranza di due terzi tre Consoli, ai<br />

quali spettano la nomina e revoca dei ministri (i quali poi, a differenza<br />

da altri ordinamenti del 1848-49, formano un consiglio), l'esecuzione<br />

delle leggi e la condotta della politica estera. Un supergoverno, insomma,<br />

con mandato triennale, sostituzione annuale di un membro, precostituzione<br />

di responsabilità, e di mezzi legali per vincerne l'eventuale<br />

inerzia : « Le leggi adottate dall'Assemblea vengono senza ritardo<br />

promulgate dal Consolato in nome di Dio e del popolo. Se il Consolato<br />

indugia, il presidente dell'Assemblea fa la promulgazione » (art. 32).<br />

È questo, nel segno mazziniano di « Dio e popolo », il momento di massima<br />

affermazione, configurabile peraltro solo nel quadro di un sistema<br />

monocamerale, dei poteri del Presidente di Assemblea.<br />

5. - Lo Statuto albertino, octroyé dopo due mesi di discussioni del<br />

Consiglio di conferenza il 3 marzo 1848, dedicava una ventina dei suoi<br />

83 articoli alla disciplina delle assemblee legislative. Si era ben lontani,<br />

quanto ad ampiezza di testo, dai tre-quattrocento articoli e più delle<br />

Costituzioni « giacobine ». Ma ancor più, quanto a disciplina concreta<br />

della funzione parlamentare, dal contemporaneo svolgimento democratico-repubblicano<br />

francese, con l'Assemblea nazionale unica fondata sul<br />

suffragio universale, il potere di revisione costituzionale attribuito a una<br />

assemblea ad hoc eletta nelle stesse forme, l'indennità ai deputati, l'incompatibilità<br />

assoluta con altre funzioni pubbliche retribuite, il ritorno<br />

infine al metodo delle « tre letture » in luogo di quello degli « uffici »<br />

per l'esame delle leggi, introdotto dalla Charte del '14. A quest'ultima,<br />

invece, e solo in parte alla sua versione riformata del 1830 ed a quella<br />

belga del 1831, si ispirava complessivamente lo Statuto albertino, anche<br />

in ordine alla funzione parlamentare.<br />

Senza dubbio, esso configurava un modello di istituzioni pubbliche<br />

che appariva arretrato rispetto ai livelli segnati dalla contemporanea<br />

rivoluzione europea. Non va però dimenticato che gli Stati di terraferma<br />

uscivano allora dal regime delle Regie Costituzioni del 1770, e la


64 La storia del diritto parlamentare<br />

Sardegna da una condizione giuridica sotto più di un aspetto ancor<br />

più arretrata. Solo tre mesi prima dello Statuto, la richiesta di estendere<br />

all'isola le prime riforme amministrative e il Codice albertino del 1837<br />

era stata avanzata da una delegazione degli antichi « Stamenti » guidata<br />

dalla loro prima « voce », il marchese di Laconi. La componevano le<br />

prime « voci » degli altri due « bracci », l'arcivescovo e il sindaco di<br />

Cagliari, ed altri elementi acclamati in una manifestazione locale, posto<br />

che adunanze degli « Stamenti » non si tenevano ormai più dalla fine<br />

del secolo precedente. Eppure, la legalità formale continuava a risiedere<br />

in questa « Corte generale del Regno » (cioè il Regno autonomo di Sardegna,<br />

unito nella sola persona del sovrano agli altri domini sul continente),<br />

nella quale i tre a Stamenti » confluivano. Sebbene ridotta di<br />

fatto a un'ombra, sebbene anche in linea di diritto fosse venuto meno<br />

quell'esercizio di poteri di sovranità da parte dei feudatari che legittimava<br />

l'esistenza dello « Stamento » militare, attribuendo loro una sorta<br />

di rappresentanza necessaria o, in termini dominatici moderni, istituzionale<br />

dei territori soggetti alla loro giurisdizione, un estremo residuo- di<br />

ancien regime qui persisteva. Ad esso si aggrappava negli ultimi mesi<br />

del 1847 il partito avversario delle riforme, facendo leva sul sentimento<br />

isolano per difendere, in Sardegna e presso la Corte di Torino, la pregiudiziale<br />

« che l'unica salute per la Sardegna era nella convocazione<br />

degli « Stamenti », e che senza di essa nulla era da sperare, nulla si<br />

poteva fare » (Baudi di Vesme).<br />

Realizzata la fusione giuridica con la terraferma, e proclamato lo<br />

Statuto, anche la Sardegna inviò propri rappresentanti fra i 204 che<br />

formavano la prima Camera subalpina (anche qui, per un raffronto, si<br />

ricordi la cifra-limite di 120 nelle assemblee delle Repubbliche « giacobine<br />

» a fine Settecento, e quella di 508 sulla quale si assesterà il Parlamento<br />

italiano con l'entrata a Roma: la consistenza numerica delle assemblee<br />

non è senza influenza sulla funzionalità concreta di più di uno<br />

strumento di procedura parlamentare). Come per il Senato, così anche<br />

per la Camera il governo Balbo, seguendo il suggerimento dato da Cavour<br />

in un articolo del giornale // Risorgimento, aveva provveduto a<br />

compilare un regolamento: desumendolo quasi letteralmente da quello<br />

francese del 1839, già ricordato, ma in più punti optando anche per le<br />

diverse soluzioni adottate da quello belga del 1831, che pure si ricollegava<br />

ad uno stesso tronco comune. Poiché lo Statuto, come altri del<br />

'48, riconosceva e insieme garantiva alle due Camere una autonoma potestà<br />

regolamentare (art. 61), quel testo fu adottato da entrambe in via<br />

provvisoria nella prima seduta. Mentre però il Senato, su iniziativa dei


La storia del diritto parlamentare 65<br />

senatori Alfieri di Sostegno e Cibrario, già nel successivo luglio 1850<br />

provvedeva a darsi un regolamento definitivo, per la Camera subalpina<br />

si mantenne sino all'Unità quello provvisorio, con secondari adattamenti,<br />

e ad una revisione organica si verrà solo nel 1863. Ma come lo Statuto<br />

albertino, per il suo doppio connotato tecnico di flessibilità e di elasticità,<br />

potè negli anni successivi prestarsi a modificazioni anche incisive<br />

del regime, vuoi per il sopravvenire di leggi ordinarie costituzionalmente<br />

rilevanti vuoi per l'affermarsi di nuovi principi costituzionali<br />

non scritti, così anche il regolamento del 1848 risultò profondamente<br />

influenzato nell'applicazione da massime generali di diritto pubblico patrio<br />

e da precedenti stranieri variamente autorevoli, dando luogo a una<br />

prassi che venne a mano a mano configurandosi secondo uno schema suo<br />

proprio, e che sarà alla base della sistemazione post-unitaria. L'esempio<br />

più noto è nei rapporti fra esecutivo e legislativo, non chiaramente regolati<br />

dallo Statuto, il quale in ogni caso non prevedeva la responsabilità<br />

politica del Gabinetto nei confronti delle Camere. Invece, dopo soli<br />

quattro mesi dalla sua concessione il governo Balbo si dimetterà in<br />

seguito alla caduta di un proprio emendamento a un disegno di legge<br />

di netto rilievo politico, avviando sul terreno del diritto parlamentare<br />

una consuetudine di diritto pubblico tale, da qualificare il regime<br />

statutario in uno dei suoi elementi-cardine. Nelle discussioni del Parlamento<br />

subalpino è continuo, del resto, il richiamo a regole non scritte<br />

di correttezza costituzionale, e a principi di diritto parlamentare generalissimi<br />

ricavati non tanto dagli articoli del regolamento, quanto dalla<br />

stessa idea e natura del « governo parlamentare », cioè da tendenze del<br />

diritto pubblico comuni, o ritenute comuni, all'Europa del tempo. Ad<br />

essi si riconducono anche le proposte di riforma, come quella più avanzata,<br />

sostenuta da Cavour, di rendere elettiva anche la seconda Camera,<br />

prendendo a modello per alcuni aspetti il Senato belga e per altri quello<br />

degli Stati Uniti, secondo uno schema del pari e anzi meglio adatto,<br />

a suo giudizio, al fine sostanziale di « dividere il potere legislativo tra<br />

due assemblee, nell'una delle quali l'elemento popolare, la forza motrice<br />

predomini, mentre nell'altra l'elemento conservatore, coordinatore eserciti<br />

una larga influenza. Respingiamo l'idea dell'equilibrio, vogliamo<br />

costituire la grande macchina politica in modo che l'impulso acceleratore<br />

sia combinato con la forza moderatrice, vogliamo, accanto alla molla<br />

che spinge, il pendolo che regola e rende il moto uniforme ».<br />

Quanto al regolamento della Camera in senso stretto, la dottrina<br />

prevalente ne desumeva la natura dal principio dell'equilibrio, dell'indipendenza<br />

e del mutuo rispetto fra i corpi dello Stato, nonché dalla<br />

5.


66 La storia del diritto parlamentare<br />

massima generalissima « cui jurisdictio data est, ea quoque concessa<br />

esse videntur, sine qui bus jurisdictio explicari non potest ». I punti essenziali<br />

erano regolati, in modo uniforme per i due rami del Parlamento,<br />

dallo Statuto: ma la disciplina ulteriore della loro attività non avrebbe<br />

potuto essere dettata con legge senza implicare un'influenza dell'una<br />

(nonché di altre istituzioni costituzionali: il Governo del Re e, in sede<br />

di promulgazione, la Corona) sull'ordinamento interno dell'altra e sull'interpretazione<br />

delle sue prerogative. Un corollario di questa posizione<br />

di autonomia fu la sistemazione data ai problemi del bilancio e della<br />

gestione finanziaria. Il primo progetto di legge presentato dal Ministero<br />

costituzionale Balbo fu quello che stanziava sul bilancio del dicastero<br />

degli interni per il 1848 « una categoria con l'indicazione: Spesa per il<br />

Senato e la Camera dei Deputati », determinata rispettivamente in centomila<br />

e duecentomila lire. Ciò implicava però una limitazione grave<br />

dell'autonomia delle Camere, i cui Questori nelle prime legislature subalpine<br />

non potevano emettere mandati di pagamento, ma solo richiederne<br />

l'emissione da parte dell'Intendente generale dell'« azienda » degli<br />

interni (fino alla legge sarda del 1853, che riveste la massima importanza<br />

per l'esercizio concreto del controllo parlamentare sull'esecutivo,<br />

e che dall'esigenza di tale controllo fu principalmente ispirata, i ministri<br />

non erano i capi gerarchici delle amministrazioni, le quali restavano organizzate<br />

in « aziende » e corpi autonomi, sui quali essi, assistiti da un<br />

piccolo staff, avevano poteri di vigilanza e di indirizzo), e ad esso intendente<br />

dovevano poi in ogni caso rendere conto della gestione. Ma<br />

con l'esercizio finanziario 1851 le dotazioni dei due rami del Parlamento<br />

trovarono posto fra le spese generali dello Stato, a fianco della dotazione<br />

della Corona, e ciascuna Camera ebbe un proprio bilancio interno approvato<br />

in seduta segreta, non sottoposto al voto dell'altro né alla sanzione<br />

sovrana. In virtù di una regola non scritta, l'altra Camera non<br />

muoveva osservazioni all'ammontare globale da iscrivere nel bilancio<br />

dello Stato, mentre poi l'esame dei consuntivi era egualmente di competenza<br />

delle assemblee in seduta segreta: la Giunta del bilancio della<br />

Camera, ad esempio, rifiutò fin dagli inizi di entrare nel merito sindacando<br />

le erogazioni avvenute. Che in queste materie deliberasse la Camera<br />

riunita in comitato segreto fu dapprima solo una consuetudine:<br />

la Giunta del bilancio provvedeva poi a sostituire alla cifra fissata nel<br />

disegno di legge sul bilancio delle spese generali, quella eventualmente<br />

diversa che il comitato segreto avesse riconosciuto necessaria. Sempre<br />

per una consuetudine che faceva capo a un precedente del 27 febbraio


La storia del diritto parlamentare 67<br />

1851, erano materia di comitato segreto i problemi dei servizi e del personale<br />

della Camera: già nello Statuto, del resto, non era ammesso il<br />

voto per alzata e seduta né quello per divisione, ma solo lo scrutinio segreto<br />

« per la votazione del complesso di una legge, e per ciò che concerne<br />

il personale » (art. 63), introducendo un preciso elemento di garanzia<br />

nello status dei dipendenti delle assemblee legislative.<br />

Il tema regolamentare che sia nel Parlamento subalpino, sia poi<br />

nei primi decenni di vita del Parlamento italiano diede luogo ai più<br />

acuti contrasti, fu il sistema degli « uffici » per l'esame preliminare<br />

delle leggi, derivato dalla Francia della Restaurazione e della monarchia<br />

di luglio. Per verità l'articolo 55 dello Statuto parlava di « Giunte<br />

che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii » :<br />

ma il testo francese, pubblicato per la contea di Nizza e il Ducato di<br />

Savoja, e che faceva egualmente fede, traduceva tale articolo con le<br />

parole : « Toute proposition de hi doit d'abord ètre examinée par les<br />

Bureaux qui seront nommés ecc. ». Alla Camera, gli uffici erano sette<br />

(diverranno nove nel 1860), formati per sorteggio ogni mese (più tardi<br />

ogni due) fra tutti i deputati in seduta pubblica; non era previsto, come<br />

invece in Senato, che potessero sedere insieme nella o conferenza degli<br />

Uffici riuniti », sorta di « comitato generale » all'uso inglese. Ciascun ufficio<br />

esaminava separatamente gli stessi progetti absque formis, senza<br />

procedure definite di discussione e di voto, rimesse alla discrezione del<br />

suo Presidente; quando almeno quattro sui sette uffici avevano esaurito<br />

l'esame, uno o più raramente due commissari designati da ciascuno di<br />

essi andavano a formare una commissione unica (in Senato, l'Ufficio<br />

centrale); questa designava il relatore o i relatori per la stesura di un<br />

rapporto a stampa destinato all'Assemblea e la sua illustrazione, e poteva<br />

anche autorizzare una relazione a parte della minoranza; ma prima<br />

di concludere ascoltava l'autore della proposta, o qualsiasi deputato volesse<br />

sottoporre sue considerazioni o suggerire emendamenti e aggiunte.<br />

L'alternativa a questo sistema era quello inglese delle « tre letture »,<br />

che era stato accolto nelle assemblee rivoluzionarie francesi ed anche in<br />

alcune costituzioni italiane: la Camera dei Comuni, cioè, in prima lettura<br />

ammetteva semplicemente il provvedimento all'esame, ciò che non<br />

veniva mai rifiutato, analogamente alla « presa in considerazione » continentale;<br />

in seconda lettura si pronunciava invece sulle sue linee generali,<br />

cioè sul principio informatore e sull'opportunità politica, e se il<br />

voto non era favorevole il bill era caduto per la durata di quella sessione;<br />

se il voto era favorevole, si passava a un esame libero, absque<br />

formis, da parte del « Comitato generale » o privato, cioè di un mi-


68 La storia del diritto parlamentare<br />

nimo di venti deputati selezionato dalla spontanea astensione dei non<br />

competenti o non interessati alla materia, che lavoravano sotto la direzione<br />

non più dello Speaker dei Comuni, ma di un Chairman, su un<br />

piano quasi di conversazione, allontanato il pubblico dalle tribune e<br />

senza resoconto; il progetto, con gli eventuali emendamenti, era discusso<br />

sempre in sede di seconda lettura articolo per articolo dai Comuni; la<br />

terza lettura, a distanza di tempo, era per il coordinamento e il voto<br />

finale. Il sistema mirava a riunire i vantaggi di un esame meditato a<br />

più riprese e quelli di una discussione informale e quasi confidenziale,<br />

ma sulla base di un chiaro e precostituito indirizzo politico dell'assemblea<br />

sul fondo del problema esaminato. Come tale, ebbe sostenitori già<br />

nel Parlamento subalpino, e per la sua adozione si impegnarono allora<br />

e poi tenaci battaglie parlamentari. Vi era poi anche un'altra alternativa<br />

teorica, quella dei comitati permanenti del Congresso americano, con<br />

competenza specializzata per singole materie: ma si temeva che espropriassero<br />

l'assemblea dei suoi poteri, divenendo arbitri della sorte dei<br />

progetti di legge. Di fatto, nei due progetti organici di riforma deb regolamento<br />

discussi alla Camera, l'uno e l'altro su relazione Torelli, nel<br />

1850 e 1856 ma mai giunti al voto, proposte in questo senso non furono<br />

accolte, orientandosi invece per contaminazioni del sistema inglese, o<br />

per la nomina di commissioni ad hoc che esaurissero il proprio compito<br />

nell'esame di un singolo progetto. Va ricordato invece che un deputato<br />

e giurista fra i più attivi anche in tema di regolamenti, Matteo Pescatore,<br />

avanzò il 3 novembre 1848, e riprese più volte in seguito, l'idea di<br />

un'unica Commissione permanente di legislazione (alla quale il Guardasigilli<br />

Pinelli oppose che avrebbe fatto concorrenza per un verso agli<br />

Unici, per l'altro al Consiglio di Stato), atta a promuovere e seguire un<br />

programma a lungo termine di riforme nei vari settori dell'ordinamento,<br />

che era da adattare parte a parte ai nuovi principi affermati dallo Statuto.<br />

« È d'uopo, dunque - sosteneva -, che una commissione permanente<br />

tenga l'occhio fisso all'insieme della legislazione, ed a tale progresso sociale,<br />

prima che la società la quale sorte dalle mani del despotismo possa<br />

paragonarsi a una città regolarmente costrutta. Sappiamo per riformare<br />

poi queste città come se la piglia un governo: concepisce idealmente,<br />

che queste società siano tutte spianate al suolo, ne fa un piano<br />

generale, e quindi a mano a mano si presentano le occasioni si ingiunge<br />

ai proprietari di costruire secondo il lineamento, e ne riforma una interamente.<br />

Ma in entrambe le ipotesi è pur d'uopo conoscere il piano<br />

generale, altrimenti si procede a caso, e dopo mille ricostruzioni la città<br />

sarà ancora irregolarmente ricostrutta ».


La storia del diritto parlamentare 69<br />

6. - L'assunto stesso di un'esposizione dei « precedenti » del vigente<br />

diritto parlamentare italiano esclude di per sé una considerazione tutta<br />

storicizzante dei vari periodi interni nei quali si potrebbe suddistinguere,<br />

ad esempio, il ciclo che dall'unità nazionale conduce fino alla crisi delle<br />

libertà statutarie. Ne uscirebbe, è vero, singolarmente illustrata quella<br />

costante « correlazione fra eventi politici e vicende regolamentari » (Tosi)<br />

in forza della quale queste ultime ora riflettono sensibilmente, ora precisano<br />

modificazioni del regime politico e dei rapporti interorganici ai vertici<br />

dello Stato. Ma, da un lato, si deve trascurare qui quanto ha ormai interesse<br />

meramente storico, come le lunghe controversie sulla preferibilità<br />

del metodo degli « uffici » o di quello delle « tre letture » o quelle, più<br />

strettamente collegate ai presupposti costituzionali del tempo, sul giuramento<br />

dei deputati di indirizzo antimonarchico, sui conflitti fra Camera<br />

e Senato, sul Senato costituito in Alta Corte di Giustizia, o sui diversi<br />

criteri volta a volta suggeriti per una riforma di tale consesso. Dall'altro<br />

lato, si dovrebbe inevitabilmente ricorrere a periodizzazioni diverse per<br />

questo o quel « blocco » di istituti, e ciò aprirebbe la via a discorsi di<br />

complessità anche maggiore sulla natura e gli sviluppi successivi del regime<br />

costituzionale retto dallo Statuto albertino. Mancano quasi del tutto,<br />

del resto, ricerche condotte con criterio storico sul vario destino, e la<br />

diversa interpretazione che norme regolamentari, regole di correttezza<br />

costituzionale e politica e l'intero complesso delle pratiche parlamentari<br />

affermatesi nel Parlamento subalpino subirono nel « salto » ad un<br />

organismo parlamentare anche numericamente tanto dilatato, e chiamato<br />

a esprimere l'indirizzo politico e a provvedere alle necessità legislative<br />

di uno Stato tanto più vasto.<br />

Una esposizione per problemi, e con riferimento a quei principi e<br />

istituti che in qualche modo pur si ricollegano alla situazione odierna,<br />

appare dunque preferibile. Del resto., mentre richiami al più lontano<br />

punto d'appoggio storico delle varie regole nella tradizione parlamentare<br />

italiana si trovano sia nel classico lavoro di Mancini e Galeotti (1887)<br />

sia ora in quello di Longi e Stramacci (1958): una « Storia dei regolamenti<br />

dal 1848 ad oggi » condotta come storia esterna delle fonti sia<br />

per la Camera sia per il Senato si può trovare nel commentario di<br />

Astraldi e Cosentino (1950). Queste tre opere rappresentano strumenti<br />

di consultazione essenziali per chiunque intenda orientarsi sui precedenti<br />

storici del diritto parlamentare vigente: molti richiami di precedenti,<br />

pure anteriori al 1948, si troveranno del resto anche nei diversi<br />

capitoli e sezioni del presente lavoro collettivo. Quanto alle date<br />

essenziali, gioverà solamente ricordare che la nuova base del diritto


70 La storia del diritto parlamentare<br />

della Camera nello Stato unitario si fissò con i regolamenti del 1863<br />

e del 1868, che fra l'altro creava la giunta delle elezioni sul modello<br />

inglese (ma proprio in quell'anno, con il Parliamentary Elections Act,<br />

l'organo corrispondente veniva abolito in seno alla Camera dei Comuni,<br />

attribuendo la competenza in materia ai giudici ordinari); che dopo<br />

l'avvento della Sinistra al potere e il trasformismo, la costituzione con<br />

il 1887 di una commissione per il regolamento quale organo permanente<br />

segna il passaggio dall'idea di una riforma d'insieme a quella di successive<br />

modificazioni alla legge interna della Camera; che a seguito<br />

degli avvenimenti politici degli anni 1898-1900 e del prolungato ostruzionismo<br />

parlamentare si ha dapprima il regolamento restrittivo imposto<br />

con un colpo di forza dal Pelloux e poi, nel corso dello stesso<br />

anno 1900, quello liberale approvato sotto gli auspici del governo Zanardelli-Giolitti.<br />

Redatto sulla scorta delle più avanzate esperienze<br />

parlamentari straniere, meglio studiate e conosciute negli anni precedenti<br />

specialmente per merito di un funzionario parlamentare e poi deputato<br />

giolittiano, il Brunialti, segnò una tappa decisiva nella precisazione<br />

dei diritti delle opposizioni e per la sua organicità forma tuttora<br />

la « base del nostro diritto parlamentare scritto » (Tosi); che infine, con<br />

il suffragio universale, fu introdotto nel 1912 il principio dell'indennità<br />

per i deputati (alquanto più tardi, anche per i senatori). Parallelamente, si<br />

ha anche uno sviluppo di conoscenze e di elaborazioni teoriche che<br />

accanto agli studi comparativi del Brunialti e a quelli che oggi hanno<br />

un grande valore di testimonianza storica di altri due funzionari della<br />

Camera, il Galeotti e il Mancini, registra almeno altri due contributi<br />

di notevole importanza sui rispettivi piani: i classici Principi del<br />

Miceli (1910, 2 a ediz. 1913) e l'acutissimo scritto di teoria generale di<br />

Santi Romano « Sulla natura dei regolamenti delle Camere parlamentari<br />

» (1906).<br />

Durante l'età statutaria, per lunghi periodi il Presidente della Camera<br />

fu eletto da una maggioranza politica in contrasto con il candidato<br />

dell'opposizione. Lo stesso Presidente del Senato parve a lungo quasi<br />

un « ministro per i rapporti con il Parlamento » della Corona (si veda<br />

il Diario di fine secolo del Farini), senza dire che lo stesso Governo<br />

ebbe una sempre più netta influenza sulla sua scelta. I due Presidenti,<br />

in ogni caso, non rappresentando consigli di Presidenza multipartitici,<br />

assicuravano essi stessi un costante collegamento con l'azione del governo,<br />

che non si pose mai il problema di un organo apposito al proprio<br />

interno bensì quello di un Ministero della Presidenza del Consiglio,<br />

lungamente invocato e progettato, che avrebbe potuto disporre anche


La storia del diritto parlamentare 71<br />

di funzionari che seguissero in modo più organico le questioni e i rapporti<br />

parlamentari.<br />

In ordine invece alla questione di fiducia alcuni punti sono da sottolineare.<br />

E innanzitutto la stessa linea di politica istituzionale, che veniva<br />

dal Parlamento siciliano ma trovò sostenitori anche nell'età della<br />

Destra, secondo la quale nelle questioni che importassero fiducia i membri<br />

del Governo dovevano astenersi dal voto. Benché per ragioni ovvie<br />

prevalesse l'opposta consuetudine, tuttavia restò almeno ferma la regola<br />

di correttezza costituzionale per la quale i ministri si astenevano<br />

sempre, nella Camera alla quale appartenessero, sulle delibere che<br />

riguardavano la costituzione o le prerogative della Camera stessa. Si<br />

discuteva poi se avesse carattere fiduciario il voto sui bilanci (e la questione<br />

ha un'ampia letteratura in questo dopoguerra, sia in rapporto alle<br />

Camere del Parlamento, sia ad esempio al Parlamento della Regione siciliana):<br />

si ebbe in effetti un caso nel quale la reiezione di un singolo<br />

stato di previsione importò le dimissioni del singolo ministro, senza investire<br />

la compagine del Ministero.<br />

Su due punti peraltro (che, senza che se ne facesse una vera e propria<br />

tesi giuridica, sono però tornati ad affiorare anche in questo dopoguerra)<br />

l'esperienza statutaria si definì in modo assolutamente univoco.<br />

Il primo, che fosse illimitato il diritto delle Camere di provocare un<br />

voto di fiducia, come era insindacabile quello del Governo di porre la<br />

questione di fiducia su qualsiasi risoluzione considerata tale da investire<br />

il suo indirizzo politico-amministrativo. La formula « tale da investire<br />

» rinviava peraltro ad una norma non scritta che sconsigliava come<br />

parlamentarmente e costituzionalmente non corretto il ricorso allo strumento<br />

della questione fiduciaria su disposizioni o temi marginali e in<br />

modo sistematico. Il secondo, che non si potesse riconoscere alle commissioni,<br />

e in particolare alla più potente tra esse, quella del bilancio,<br />

la possibilità di promuovere voti di sfiducia o comunque indirizzi che<br />

includessero esplicitamente sentimenti di sfiducia: e ciò per una ragione<br />

che va ancora considerata, e cioè che il carattere non pubblico delle<br />

discussioni in seno agli « unici », giunte e commissioni, temporanee o<br />

permanenti toglieva al Capo dello Stato, all'intera Assemblea e alla opinione<br />

pubblica un essenziale termine di apprezzamento dei motivi dell'eventuale<br />

crisi. Per analoghi motivi si sosteneva che persino in tempo<br />

di guerra un eventuale mutamento di Governo non avrebbe potuto<br />

nascere da un voto di sfiducia né perfezionarsi con un voto di fiducia<br />

da parte del « comitato segreto ».


72 La storia del diritto parlamentare<br />

Quella che è stata considerata la più nefasta conseguenza dell'istituto<br />

della sessione in età statutaria, la caducazione cioè dell'intero lavoro<br />

parlamentare precedente secondo il sistema inglese e americano (ma<br />

contrariamente al sistema belga), aveva però anche un aspetto che può<br />

presentare oggi un qualche interesse: quello cioè di rendere più realistico<br />

l'ordine del giorno, richiedendo ad ogni inizio di sessione un nuovo<br />

e positivo atto di volontà del Governo o dei membri delle Camere perché<br />

una questione figurasse sull'agenda generale dei lavori, e soprattutto<br />

che l'esame di ogni provvedimento dovesse essere portato a termine<br />

oppur no nell'ambito di un ciclo temporale ben definito. È<br />

quanto dire che si approdava ad un calendario legislativo e parlamentare<br />

di lungo periodo, con una sua tendenziale organicità, e ad uno<br />

sgombero periodico di progetti destinati in caso diverso a trascinarsi figurativamente<br />

nell'o.d.g. delle Camere da un capo all'altro della legislatura.<br />

Il che valeva, inoltre, per l'esame delle petizioni, e secondo<br />

un'opinione diffusa, delle stesse registrazioni con riserva della Corte dei<br />

conti, nonché per bloccare l'attività di speciali Commissioni nei periodi<br />

di sessione chiusa (esiste peraltro qualche raro precedente del Senato,<br />

che deliberò di riprendere l'esame di dati provvedimenti nello stato e<br />

grado in cui si trovavano nella legislatura precedente, e ciò in ragione<br />

della sua composizione che restava immutata: ma a parte la infrequenza<br />

del procedimento e le contestazioni di cui fu oggetto, questa stessa<br />

ragione rende tali precedenti meno invocabili oggi).<br />

Quanto alla formazione dell'ordine del giorno delle singole sedute,<br />

alcuni punti dell'esperienza statutaria vanno senz'altro attentamente<br />

considerati. In primo luogo, i rapporti del Presidente con gli esponenti<br />

parlamentari e con il governo per la sua determinazione (articolo 10 del<br />

regolamento del 1863: «Il Presidente della Camera tiene gli opportuni<br />

concerti coi Presidenti dei singoli uffìzi e coi ministri affinché siano portate<br />

in discussione le leggi proposte dalla Camera »). In particolare,<br />

verso fine sessione o fine legislatura più volte si ricorse a contatti fra<br />

Presidenti dell'una e dell'altra Camera e Presidente del Consiglio per<br />

determinare quali argomenti dovessero avere la precedenza, e il Presidente<br />

della Camera si faceva in tale sede interprete anche delle istanze<br />

dell'opposizione. Altra norma di semplice correttezza che tutelava i diritti<br />

della opposizione era quella, più volte invocata dai Presidenti, che<br />

una semplice e contingente convenienza di maggioranza non dovesse<br />

autorizzare l'inversione dell'ordine del giorno, alterando precedenze stabilite<br />

con evidente maggior riguardo a quest'ultima, la quale essendo già<br />

in ciò favorita non poteva poi (tanto meno sistematicamente) revocare


La storia del diritto parlamentare 73<br />

in dubbio quanto alla minoranza era stato nella stessa sede assicurato.<br />

Una terza regola, sia di delicatezza sia di economia dei lavori legislativi,<br />

precludeva poi in massima che un tema legislativo in discussione<br />

in una Assemblea fosse contemporaneamente affrontato per la deliberazione<br />

anche dall'altra, sia pure sulla base di progetti diversi: ciò, ovviamente,<br />

con riferimento alla sola aula, e non anche alle giunte e uffici,<br />

o - più vicino a noi - alle Commissioni referenti.<br />

Ma soprattutto avevano importanza le regole consuetudinarie che<br />

fissavano la precedenza di certi argomenti rispetto ad altri: e così ad<br />

esempio i bilanci, la votazione dei progetti di legge già approvati, la<br />

discussione di quelli per i quali fosse stata chiesta e ottenuta l'urgenza,<br />

nonché poi ogni genere di questioni attinenti la costituzione e le prerogative<br />

delle Camere, le autorizzazioni a procedere, la verifica dei poteri<br />

ecc. (nonché, all'epoca, la relazione sul numero dei deputati impiegati,<br />

vincolato nel massimo, e le conseguenti deliberazioni).<br />

L'imparzialità del Presidente della Camera, nonostante il fatto dell'elezione<br />

a maggioranza talora ristretta, fu ripetutamente affermata in<br />

linea di principio: il che non toghe che nella prassi fosse una lenta conquista,<br />

e che solo ad esempio nel 1876 il primo Presidente eletto dopo<br />

la caduta della Destra, Crispi, disponesse la cancellazione del suo nome<br />

dall'elenco per la chiama nelle votazioni. Per converso va osservato che<br />

molte delle questioni agitate in quel tempo inerivano ad aspetti dell'azione<br />

del Presidente strettamente connessi con l'attuazione del programma<br />

legislativo del Governo, aspetti che l'attuale dottrina è tornata<br />

a considerare come necessari, e perfettamente conciliabili con l'osservanza<br />

dei doveri di imparzialità. Il parametro dello speaker della Camera<br />

dei Comuni, con le sue peculiari caratteristiche, faceva qui necessariamente<br />

perdere di vista la diversa funzione che il Presidente poteva<br />

assumere in altro sistema, senza con ciò ferire i principi liberali.<br />

In età statutaria venne, in genere, esclusa un'attività di controllo<br />

da parte degli uffici, riservandola all'aula: ma non mancano le esperienze<br />

in senso contrario. Le più importanti sono la Giunta per l'esame<br />

delle registrazioni con riserva della Corte dei Conti alla Camera e la<br />

Commissione di finanza al Senato: benché i risultati della loro attività<br />

non si possano dire estremamente penetranti, giunsero però a occasionare<br />

proposte di un certo interesse, come quella che la trasmissione<br />

da parte della Corte fosse quindicinale anziché annuale, e che questa<br />

attività di controllo avesse carattere continuativo senza arrestarsi di<br />

fronte alla chiusura delle sessioni.<br />

5*.


74 La storia del diritto parlamentare<br />

La questione dell'organizzazione dei servizi parlamentari ebbe raramente<br />

in età statutaria l'onore di una discussione in seno alle Camere.<br />

La circostanza ha una sua spiegazione nel fatto che sembrava trattarsi<br />

in larghissima misura di questioni pratiche ed empiriche da lasciare alla<br />

prudente discrezione dei Questori e, per alcune questioni, della Presidenza<br />

delle due Assemblee. L'ottica del tempo era quella di una buona<br />

cura della verbalizzazione, del cerimoniale, della polizia interna e di<br />

alcune infrastrutture materiali delle Camere, mentre da un lato non<br />

emergevano (per meglio dire, non si aveva intera coscienza della loro<br />

emersione) i compiti poi così rapidamente sviluppati di consulenza e assistenza<br />

tecnico-legislativa; dall'altro funzioni poi passate in parte alla<br />

burocrazia erano disimpegnate in più larga misura e direttamente da<br />

membri dell'Assemblea.<br />

Merita solo attenzione la circostanza che in diversi periodi - alla<br />

Camera dal 1868 al 1927 - la nomina di certi funzionari (ad es., Estensore<br />

del processo verbale e Bibliotecario) era di competenza delle Assemblee.<br />

Ma le norme relative erano poi solo il correlato della parziale<br />

e imperfetta affermazione della concezione garantista della funzione presidenziale,<br />

essendo rimasta a lungo l'elezione del Presidente un fatto<br />

di maggioranza politica, fino al punto di motivare le dimissioni del<br />

Governo in caso di insuccesso del candidato da esso appoggiato. Solo<br />

nel 1876, si è detto, con l'avvento della Sinistra al potere il nuovo Presidente<br />

della Camera, Crispi, si fece cancellare dall'elenco per la chiama<br />

nelle votazioni, intendendo affermare un ruolo del Presidente sotto più<br />

aspetti affine a quello dello Speaker inglese: ma a tale configurazione<br />

propriamente non si giunse mai. Parve dunque per lungo tempo naturale<br />

che, non trovandosi collocato il Presidente in tutto e per tutto super<br />

partes (e d'altro canto essendo il Presidente in Senato di nomina regia),<br />

le due Assemblee rafforzassero le proprie garanzie a livello burocratico<br />

mediante designazioni sì elettive, ma per loro natura spoliticizzate, e<br />

che in ogni caso offrivano ai funzionari che ne fossero investiti una base<br />

morale e giuridica di indipendenza. Via via però che la Presidenza accentuava<br />

il suo carattere imparziale, tali norme sembrarono sempre più<br />

anacronistiche: si addivenne a deleghe dei propri poteri in materia,<br />

e la stessa figura dell'Estensore del processo verbale perse rilievo.<br />

Due punti speciali dell'esperienza statutaria meritano ancora considerazione.<br />

Il primo, la compilazione dei bilanci da parte dei Questori<br />

e la loro discussione in Comitato segreto, consentiva un più penetrante<br />

esame della gestione interna e la formulazione di rilievi e censure destinati<br />

almeno ad attenuarsi quando li si sapesse destinati non solo ai col-


La storia del diritto parlamentare 75<br />

leghi chiamati a deciderne, ma all'opinione, pubblica nazionale. In regime<br />

di pubblicità della discussione sui bilanci è invece naturale che<br />

essa acquisti un diverso pregio, e si converta in un dibattito sugli indirizzi<br />

di organizzazione dei servizi e sulla stessa funzionalità delle Camere,<br />

perdendo invece rilievo l'esame analitico delle poste di bilancio<br />

e dei consuntivi.<br />

Un capitolo a sé meriterebbero le norme sui controlli amministrativi<br />

e contabili interni della Camera e del Senato in età statutaria. Valgano<br />

per tutte quelle del « Regolamento di amministrazione e contabilità<br />

del Senato » (approvato il 2 luglio 1876) a tenore del quale sia il rendiconto<br />

degli esercizi scaduti sia il progetto di bilancio di quelli futuri<br />

dovevano essere inoltrati dai Questori con motivata relazione alla Presidenza,<br />

e da questa trasmessi con le eventuali osservazioni ad altro organo,<br />

la Commissione di contabilità interna eletta dal Senato, che a sua<br />

volta li sottoponeva all'Assemblea convocata in seduta segreta corredati<br />

di propria relazione, come in Francia. In corso d'esercizio, poi,<br />

ogni nuova spesa eccedente la disponibilità del fondo per spese impreviste<br />

doveva essere a sua volta autorizzata dall'Assemblea.<br />

Uno dei temi più discussi in età statutaria fu quello del regime<br />

speciale delle « leggi organiche », stante la constatazione che con pochissime<br />

eccezioni i codici, le grandi leggi amministrative e le leggi angolari<br />

in materie importanti e di rilievo anche costituzionale che fossero<br />

di qualche mole e complessità tecnica non potevano essere opera<br />

del Parlamento. Di fatto, si era ricorso ai pieni poteri (leggi del '59) o<br />

alla delega al governo (leggi del '65) o comunque a procedure anomale<br />

che evitassero la discussione e gli emendamenti articolo per articolo.<br />

Quando non si ricorresse a questi mezzi, le Camere riuscivano incapaci<br />

a far procedere l'opera delle leggi organiche oltre i primi articoli, e finivano<br />

col ricorrere a « stralci ». In qualche caso (codice di commercio<br />

in Senato nel 1880, codice della marina mercantile alla Camera nel<br />

1877) poteva soccorrere l'espediente di porre in discussione solo quegli<br />

articoli, sui quali fossero state avanzate proposte di emendamento; o<br />

anche all'altro di proporre un articolo unico e il codice in allegato, volando<br />

solo gli emendamenti all'allegato; in ogni caso era spesso giocoforza<br />

delegare il Governo a far norme transitorie e di attuazione e a<br />

procedere al coordinamento con altre leggi e istituti. Ma, si notava<br />

« questa specie di disinteresse delle Assemblee legislative nei lavori di<br />

codificazione trascina seco peraltro la necessità di accordare al Governo<br />

delle facoltà eccezionali » (Mancini e Galeotti).


76 La storia del diritto parlamentare<br />

Già Pellegrino Rossi nel suo Traiti de droit penai (1829) suggeriva<br />

un dibattito generale e di principi da parte del Parlamento, che prefiggesse<br />

criteri direttivi ad una commissione (o anche a un singolo codificatore)<br />

nominata dall'esecutivo. La verifica della conformità dei suoi lavori<br />

ai criteri fissati doveva essere opera di una Commissione parlamentare<br />

ad hoc che procedesse di concerto con la prima ai necessari aggiustamenti<br />

e li sottoponesse all'Assemblea per un voto capitolo per capitolo,<br />

così da non porre a rischio l'organicità del sistema legislativo da<br />

introdurre.<br />

Verso la fine del secolo si portò l'attenzione sul metodo adottato<br />

per la compilazione del Codice civile spagnolo del 1889, per il quale<br />

le Cortes avevano votato una « legge delle basi » dopo aver preso conoscenza<br />

dell'avanprogetto governativo, restando demandato ad una Commissione<br />

costituita presso l'esecutivo, ma con particolari garanzie, di sottoporre<br />

al Parlamento un progetto definitivo conforme a tale espressione<br />

di volontà: procedimento ritenuto superiore a quello di delegazione legislativa<br />

al governo, in ragione sia della previa conoscenza della portata<br />

che questo intendeva dare ai principi legislativi enunciati, sia della maggior<br />

ampiezza e precisione delle « basi » rispetto alle ordinarie leggi di<br />

delega (non assoggettate in regime statutario all'onere di una precisa<br />

definizione di criteri, e di fatto spesso con indicazione più che generica<br />

dell'oggetto), sia infine della speciale composizione delle commissioni di<br />

redazione che garantiva una certa autonomia anche nei confronti dell'esecutivo,<br />

implicita del resto nel fatto stesso di appoggiare le proprie<br />

conclusioni alle « basi ». Ancora nel 1923, discutendosi una legge di<br />

delega in materia di codici, la speciale Commissione della Camera italiana<br />

presieduta dal Meda si dichiarerà favorevole a tale procedura.<br />

Tutte queste restarono, ad ogni modo, proposte. In linea di fatto<br />

sembrano da ricordare almeno due vicende esemplari riguardanti le due<br />

massime tra le leggi organiche, i Codici civile e penale. Il primo venne<br />

discusso nei due rami del Parlamento e l'apposita Commissione del Senato<br />

ne stilò anche apposita relazione: ma la Camera, anche in ragione<br />

del trasferimento della capitale a Firenze (1865), che creava una ragione<br />

assoluta di urgenza, dovette limitarsi a un esame di principi informatori.<br />

Con leggi di delega si autorizzò il Governo a pubblicare i codici<br />

e alcune grandi leggi organiche, specialmente amministrative, e a ciò<br />

esso provvide avvalendosi di una Commissione formata di parlamentari,<br />

magistrati, consiglieri di Stato e giuristi a livello universario, articolata<br />

in singole sottocommissioni, ma con diritto di ogni membro a sottoporre<br />

proposte e rilievi a ciascuna di esse. Si ebbe così in pratica a titolo tem-


La storia del diritto parlamentare 77<br />

poraneo, ma per un complesso di leggi fondamentali che sotto molti<br />

aspetti integrarono o modificarono la costituzione dello Stato, un ufficio<br />

di drafting di tipo abbastanza moderno. La garanzia del Parlamento risiedeva<br />

qui nel fatto che - ad esempio - la sottocommissione più importante,<br />

quella per il Codice civile, fosse presieduta dallo stesso Presidente<br />

della Camera, mentre fra i membri a titolo pieno figuravano tre<br />

deputati e sei senatori (alcuni dei quali erano poi anche magistrati ordinari<br />

e amministrativi) su quattordici membri complessivi. L'articolazione<br />

ulteriore era data da uno staff tecnico di membri segretari, e dall'eventuale<br />

utilizzazione di esperti (ad esempio, di un gruppo di ingegneri<br />

per la materia dell'alluvione), oltre alla possibilità per singoli corpi<br />

e cittadini di inviare memorie e suggerimenti.<br />

In difetto di una procedura speciale, si può considerare esemplare<br />

la vicenda del Codice penale del 1889, il primo che avesse vigore nell'intero<br />

territorio del Regno, Toscana inclusa. Per condurre a termine<br />

l'impresa, il Governo fece ricorso (come altre volte, prima e in seguito)<br />

all'espediente di minacciare il ritiro dell'intero progetto se fossero<br />

stati mantenuti emendamenti della prima Camera, dopo che ne<br />

aveva già introdotti il Senato. La Camera allora si piegò limitandosi<br />

a raccomandazioni per il coordinamento e ad ordini del giorno,<br />

ma 1) il deputato Chimirri, per riaffermare in via teorica i diritti del<br />

Parlamento, ne mantenne a titolo figurativo uno, facendolo respingere;<br />

2) la legge fu approvata autorizzando il Governo non solo al coordinamento,<br />

ma a modificare l'allegato in cui consisteva il Codice come<br />

tale, « tenendo conto delle discussioni parlamentari ». Si ottenne così<br />

un risultato sotto molti aspetti analogo a quello testé ricordato del<br />

1865, e che offrì un ulteriore argomento a quanti sostenevano che solo<br />

per queste vie si sarebbe potuto dare al paese una serie di grandi corpi<br />

organici di leggi, e che meglio fosse per il Parlamento garantirsi istituzionalmente<br />

circa determinate procedure di drafting anziché attenderle<br />

di volta in volta dal senso di equilibrio e di correttezza costituzionale<br />

del Governo cui si accordasse la delega. Va anche ricordato che gli<br />

emendamenti del Senato non avevano, all'epoca, valore analogo a<br />

quelli odierni, trattandosi di un corpo di alti magistrati in esercizio<br />

di funzioni, consiglieri di Stato, servitori attuali e in quiescenza dello<br />

Stato, ecc., che da tale sua particolare composizione faceva discendere<br />

una sorta di specializzazione, ancora una volta, nel drafting. Pertanto<br />

i progetti presentati dal Governo originariamente in quella sede per un<br />

verso vi ricevevano una miglior veste tecnica, per l'altro, stante la prevalenza<br />

politica della Camera elettiva, vi subivano spesso modifiche che


78 La storia del diritto parlamentare<br />

avevano, mutatis mutandis, un valore intermedio fra quelle che oggi<br />

risulterebbero dalla consultazione governativa del Consiglio di Stato<br />

e da quella del C.N.E.L. La specializzazione tendenziale del Senato suppliva<br />

così doppiamente (e di qui l'autorità sostanziale e il riconosciuto pregio<br />

tecnico delle relazioni del suo Ufficio centrale) alla mancanza di un efficiente<br />

organo di consulenza e redazione legislativa che il Governo fosse<br />

tenuto ad utilizzare, e a quella presso le Camere di qualcosa di paragonabile<br />

a ciò che oggi sono il Legislative Council statunitense e il Legislative<br />

Rejerence Service britannico. Il Parlamento disponeva cioè<br />

istituzionalmente, nella sua complessiva organizzazione, di un organo in<br />

grado di assicurare tale essenziale funzione ed anche di compensare<br />

l'affievolimento, che si registrò in più periodi, dello stesso coordinamento<br />

dell'iniziativa legislativa del Governo.<br />

7. - L'ingresso dell'Italia nella guerra europea, voluto contro la<br />

maggioranza parlamentare da un Governo che aveva però il sostegno<br />

attivo della piazza, segnò anche il vero inizio di una fase di grandi<br />

trasformazioni nel funzionamento del sistema parlamentare, e di tutta<br />

una nuova fase dei dibattiti ad esso relativi. Sotto il profilo del fondamentale<br />

rapporto politico fiduciario fra Parlamento e Governo, si può<br />

dire che restassero ferme le regole non scritte consolidate al riguardo<br />

nell'età precedente, con la conseguenza dapprima della formazione del<br />

Ministero Boselli di unità nazionale in luogo del Ministero Salandra<br />

e poi, dopo il formale voto di sfiducia della Camera del 25 ottobre<br />

1917, del Ministero Orlando. Anche i verbali dei « Comitati segreti J><br />

di Montecitorio sulla condotta di guerra, recentemente pubblicati dalla<br />

Camera stessa, mostrano come il Parlamento sapesse rivendicare, e potesse<br />

concretamente esercitare in tali occasioni, le sue fondamentali prerogative<br />

politiche.<br />

Le alterazioni o piuttosto, come è stato detto, disfunzioni del sistema<br />

parlamentare nel corso della guerra (Perticone) riguardano piuttosto<br />

l'attività legislativa e quella di controllo sull'amministrazione. Si<br />

verifica qui un processo che non ha riscontro nei grandi Parlamenti<br />

delle nazioni alleate, vuoi in ragione di un mancato e pur necessario<br />

aggiornamento dei congegni di procedura parlamentare, e vuoi per un<br />

diverso uso degli strumenti procedurali esistenti. In Francia, in Inghilterra,<br />

si manifestò l'orientamento a sedere quasi in permanenza, per<br />

offrire una costante collaborazione ai rispettivi Governi impegnati nello<br />

sforzo di guerra e controllarne l'attività: riferendosi alle sole sedute<br />

d'aula, fra il 1915 e il 1917 la Camera italiana ne tenne 150, quel'a


La storia del diritto parlamentare 79<br />

francese 371, la Camera dei Comuni 423; la proporzione fu analoga<br />

per le rispettive Camere alte (Tittoni). Ma, soprattutto, il Parlamento<br />

italiano definì su base diversa fin dall'inizio i suoi rapporti con l'esecutivo,<br />

votando - con 407 voti contro 74 alla Camera - la legge sui<br />

pieni poteri 22 maggio 1915, per la quale « il Governo del Re ha facoltà,<br />

in caso di guerra e durante la guerra medesima di emanare disposizioni<br />

aventi valore di legge per quanto sia richiesto dalla difesa<br />

dello Stato, dalla tutela dell'ordine pubblico e da urgenti e straordinari<br />

bisogni dell'economia nazionale ». Tale delegazione di poteri legislativi<br />

da un lato ebbe rilievo ben diverso da quelle analoghe, il cui uso<br />

fu del pari soggetto a censure di incostituzionalità, avutesi in occasione<br />

di campagne di guerra nel 1848, nel 1859 e nel 1866, e ciò,<br />

s'intende, a causa della lunga durata della guerra. Dall'altro, Governo<br />

e burocrazia diedero alla delega significato amplissimo, fino a legiferare<br />

in materie che avevano scarso o nessun collegamento con la situazione<br />

bellica. La possibilità di controllo e di intervento del Parlamento<br />

era tanto più ridotta, in quanto esso non poteva contare sull'attività<br />

metodica e articolata delle commissioni del Congresso americano, né di<br />

quelle della Camera francese, o delle quasi trecento commissioni ad hoc<br />

per speciali argomenti, eventualmente integrate da tecnici, che furono<br />

nominate dal Parlamento inglese in occasione della guerra. Anzi, lo stesso<br />

controllo esercitabile fino allora in base alle registrazioni con riserva<br />

della Corte dei Conti venne semiparalizzato a causa dell'impossibilità<br />

per quest'ultima di far fronte alla situazione determinata dall'economia<br />

bellica e dal nuovo regime normativo, ostacolo ai controlli e strumento<br />

della « dittatura di guerra » (Maranini) o « dell'esecutivo » (Perticone).<br />

Anche in Italia, riprendendo una vecchia proposta avanzata dal<br />

senatore Nigra in sede di discussione sui poteri straordinari per la prima<br />

guerra di indipendenza, nel giugno 1916 una commissione di senatori<br />

e deputati si recò dal Presidente del Consiglio Salandra chiedendo<br />

instantemente la creazione di Commissioni parlamentari: fu anche<br />

per non averle accettate che il Salandra cadde. Sembrò però che con<br />

la costituzione di un Ministero « nazionale » a larghissima base di rappresentatività<br />

fossero assorbite le esigenze cui si era pensato di far<br />

fronte mediante speciali Commissioni tecniche investite di un potere<br />

di controllo (e, si noti, in via eccezionale con riferimento alla straordinaria<br />

situazione di guerra, non come riforma permanente). Nel giugno<br />

1917 il Governo, presentandosi al Parlamento riaperto, annunciò il<br />

suo proposito di formare una grande Commissione, ed anzi con successivo<br />

decreto luogotenenziale ne venne anche nominato il Presidente,


80 La storia del diritto parlamentare<br />

ma differendo nomina e insediamento della Commissione ad un futuro,<br />

che non venne mai. Nel mese successivo, le Camere votarono addirittura<br />

una legge che istituiva una Commissione speciale per collaborare<br />

con il Governo per i provvedimenti urgenti in materia doganale: ma<br />

la legge rimase lettera morta, né si procedette all'elezione dei commissari.<br />

Tutt'altro carattere ebbe la Commissione « per i problemi del dopoguerra<br />

» formata ad iniziativa del Governo, seppure con larga presenza<br />

di elementi parlamentari delle più varie tendenze.<br />

Sostanzialmente, il regolamento della Camera, così come quello del<br />

Senato, non subì alterazioni; le stesse riunioni in « comitato segreto »<br />

convocate nel giugno e nel dicembre del 1917 per discutere le comunicazioni<br />

del Governo su questioni militari e di politica estera, sull'esempio<br />

di quanto si era praticato in Inghilterra, non diedero luogo a<br />

inconvenienti gravi sotto il profilo procedurale. Venne in luce, però,<br />

l'antica lacuna di una disciplina di questo tipo di sedute, che non si<br />

tenevano da cinquantun anni se si astrae da quelle, consuetudinarie, per<br />

i bilanci. Ma proprio per queste ultime una relazione Brunialti del<br />

1907 aveva denunciato che « La discussione segue disordinata e confusa.<br />

Si direbbe che per essa sono sospese tutte le norme del regolamento,<br />

e menomata persino l'autorità del Presidente. Le proposte più<br />

arrischiate possono così trovare accoglienza, senza alcuna di quelle<br />

guarentigie che il regolamento ha sancite, e ne derivano, come qualche<br />

volta è avvenuto, tali conseguenze che la Presidenza della Camera neppure<br />

si è trovata in grado di eseguirne le deliberazioni » : laddove invece,<br />

ad esempio, la Camera dei Comuni prevedeva per tali occasioni uno<br />

speciale presidente e apposite norme di procedura. Il lamento per la lacuna<br />

era, del resto, anche più antico. Prima ancora che finisse la guerra,<br />

la Giunta del regolamento presentò alcune proposte per regolamentare<br />

la materia: altre di carattere più generale, che tenevano conto delle<br />

critiche e dei suggerimenti avanzati in quegli anni da diversi parlamentari,<br />

ne presentò il 30 novembre 1918. Ma, nonostante la XXIV legi- *<br />

slatura fosse stata prorogata oltre il termine di cinque anni fissato<br />

dall'art. 42 dello Statuto, mancarono il tempo e l'attenzione necessari<br />

per deliberare in materia.<br />

L'intero problema del regolamento della Camera era posto del<br />

resto implicitamente su nuove basi dalla riforma della legge elettorale<br />

politica che introdusse la proporzionale per le elezioni del 1919, e più<br />

in generale dalla stessa atmosfera nella quale i partiti di sinistra e la<br />

Confederazione del lavoro reclamavano una Costituente, ed anche esponenti<br />

della classe di governo tradizionale come Giolitti volevano, ad


La storia del diritto parlamentare 81<br />

esempio, una revisione dell'art. 5 dello Statuto che rimuovesse i limiti<br />

alla sovranità parlamentare nella sfera della politica estera (già durante<br />

la guerra reiteratamente era stata proposta una Commissione parlamentare<br />

permanente che affiancasse il Governo in questa speciale<br />

materia). La proporzionale, come subito notarono i più sagaci osservatori<br />

della costituzione materiale, aveva come immediato riflesso una<br />

trasformazione di fondo del Governo di Gabinetto, per la quale il Presidente<br />

del Consiglio non era più il capo della maggioranza parlamentare,<br />

ma piuttosto l'arbitro di una coalizione formata sulla base di programmi<br />

precostituiti dai partiti, i quali designavano le proprie delegazioni<br />

nel Governo facendo cadere l'elemento di intuitus personae<br />

fiduciario fra Presidente e personalità chiamate a far parte del Governo.<br />

Già allora la prassi delineò l'istituto non scritto del comitato parlamentare<br />

di maggioranza, quale organo di collegamento fra i direttivi<br />

dei gruppi parlamentari e l'esecutivo, e di controllo su quest'ultimo per<br />

l'attuazione del programma concordato.<br />

Ma se « la trasformazione del regime parlamentare era, dunque,<br />

già avvenuta con la semplice adozione della rappresentanza proporzionale<br />

del corpo elettorale, divenne più marcata e definitiva con la riforma<br />

dell'ordinamento interno della Camera » (Ambrosini), la quale<br />

seguì con le modificazioni discusse il 24 e 26 luglio e il 6 agosto 1920.<br />

Per esse, la vecchia e ormai di fatto archiviata controversia tra i<br />

fautori del sistema degli uffici e di quello delle « tre letture » veniva<br />

definitivamente a cadere. In luogo dei nove « uffici », rinnovati a sorte<br />

ogni due mesi, si istituivano altrettante Commissioni parlamentari con<br />

competenza specializzata per una serie di materie [1): affari interni,<br />

ordinamento politico e amministrativo, igiene e sanità; 2): rapporti<br />

politici con l'estero e le colonie; 3): finanze e tesoro; 4): esercito e marina<br />

militare; 5): lavori pubblici e comunicazioni; 6): economia nazionale;<br />

7): legislazione di diritto privato, affari di giustizia e culto,<br />

autorizzazioni a procedere; 8): istruzione pubblica e belle arti; 9): legislazione<br />

sul lavoro, emigrazione, previdenza sociale]. Esse apparivano<br />

inoltre dotate di maggiore stabilità, essendo nominate per un anno<br />

sulla base di designazioni dei gruppi parlamentari, che prendevano il<br />

nome di « uffici », con un « ufficio promiscuo » per i gruppi che non<br />

raggiungessero venti aderenti e gli isolati. È notevole però che il limite<br />

fosse abbassato a dieci per i « partiti » (figura da noi per la prima volta<br />

costituzionalmente rilevante) ai quali si riconoscesse una organizzazione<br />

unitaria nel paese, norma di favore della quale beneficiarono allora<br />

i socialisti riformisti e i repubblicani. Le attribuzioni delle Commis-


82 La storia del diritto parlamentare<br />

sioni concernevano essenzialmente l'esame preventivo dei disegni e delle<br />

proposte di legge: ma nella prassi, attraverso il cosiddetto « diritto di<br />

notizie », esse si orientarono immediatamente nel senso di un controllo<br />

metodico sui vari rami dell'azione di Governo, configurandosi, come fu<br />

detto, quali « organi intermedi di collegamento fra Camere e Governo ».<br />

Collaborando con essi, si costituivano come suoi interlocutori necessari<br />

: « Il Governo, in sostanza, si trova ora di fronte le Commissioni<br />

e non solamente l'Assemblea, anzi le Commissioni prima dell'Assemblea<br />

e come avanguardia dell'Assemblea, che riproduce le divisioni e gli<br />

atteggiamenti dell'Assemblea su scala ridotta, ma con ogni chiarezza »<br />

(Perticone). Ancora una volta, si attuava così o si concretava sul terreno<br />

dei regolamenti parlamentari (anzi di quello della sola Camera,<br />

perché il Senato si limitò a introdurre, finalmente, gli istituti dell'interrogazione<br />

e della mozione in Aula, e ad istituire una Commissione<br />

per la politica estera) una rilevante modificazione dell'ordinamento costituzionale<br />

per quanto attiene al tema vitale dei rapporti fra esecutivo<br />

e legislativo.<br />

L'esperienza del nuovo sistema portò a un primo aggiornamento<br />

di queste disposizioni aggiuntive, consegnato in 10 articoli, già dopo<br />

un anno e mezzo dal primo insediamento delle Commissioni permanenti,<br />

che si era avuto il 30 novembre 1920. Con deliberazione del<br />

22 giugno 1922, la V Commissione fu suddivisa in due, rispettivamente<br />

per i lavori pubblici e per le comunicazioni, e la VI in altre due per<br />

l'agricoltura, e per l'industria e commercio. Ne fu aggiunta, infine,<br />

una a carattere transitorio per le terre liberate e redente, con che il<br />

numero delle Commissioni saliva a dodici, e furono rafforzati i poteri<br />

della Commissione finanze e tesoro. Tutti i deputati dovevano ora far<br />

parte di una Commissione, e a questo scopo il numero dei componenti<br />

di ciascuna (tolta quella degli esteri) era portato a circa 44, elevando<br />

contemporaneamente da un quinto ad un quarto il quorum necessario<br />

per autoconvocazioni su determinati argomenti consentite già nel 1920,<br />

parallelamente all'introduzione di un procedimento di autoconvocazione<br />

dell'Assemblea ad iniziativa della maggioranza dei suoi componenti, o<br />

di cinque Commissioni. La Commissione finanze e tesoro assumeva<br />

un ruolo centrale e dominante, dovendo esaminare tutti i progetti di<br />

legge, nonché gli emendamenti, che comunque implicassero nuove entrate<br />

e spese, o loro aumenti e diminuzioni. Il quadro di questo nuovo<br />

avvio del diritto parlamentare italiano non sarebbe completo, se non si<br />

aggiungesse che ad iniziativa del Presidente del Consiglio Giolitti si<br />

ebbe nel 1920 la formazione di una Commissione parlamentare di in-


La storia del diritto parlamentare 83<br />

chiesta sul complesso delle pubbliche amministrazioni, fatto senza precedenti<br />

nella storia parlamentare italiana, e che consentì un'ampia e<br />

globale rilevazione di fatti e la formulazione di proposte organiche<br />

che saranno in parte riprese, dopo la marcia su Roma, nel nuovo<br />

quadro dei pieni poteri per la riforma burocratica.<br />

Modificazioni di portata minore, ma non indifferenti, furono introdotte<br />

dalla Giunta del regolamento nella stessa giornata del 22 e<br />

nella successiva del 23 giugno 1922. Esse sono importanti perché fissano<br />

l'ultimo stato del regolamento della Camera elettiva prima degli<br />

avvenimenti dell'ottobre 1922: quello cui si riferiranno sia la Consulta,<br />

sia l'Assemblea costituente sia, da ultimo, la Camera dei deputati nella<br />

prima legislatura repubblicana per riaffermare in modo concreto la propria<br />

continuità con il regime liberale prefascista. Fra l'altro, per riparare<br />

a un inconveniente rivelato dall'esperienza dell'anno e mezzo trascorso,<br />

venne fissato alle Commissioni un termine di due mesi entro<br />

il quale riferire all'Assemblea, e contro le deliberazioni di sorpresa in<br />

materia legislativa fu attribuito al Governo, alla Commissione competente<br />

o a dieci deputati il diritto di richiedere il rinvio al giorno successivo<br />

della discussione di emendamenti o articoli aggiuntivi. Vi fu<br />

però scarso campo a verificare la funzionalità concreta del nuovo sistema<br />

perché, con la delega legislativa conferita al Governo sorto dai<br />

fatti dell'ottobre, l'attività delle Commissioni venne subito a ridursi a<br />

ben poca cosa. Resta, in ogni caso, che questo delle Commissioni permanenti,<br />

collegato con il riconoscimento formale dei gruppi parlamentari,<br />

fu l'ultimo ed unico aggiornamento in profondità del diritto parlamentare<br />

in età liberale, anche se formalmente non potè concretarsi<br />

in un nuovo testo regolamentare organico, ma fu attuato con singole<br />

modificazioni.<br />

Il nuovo sistema non venne condotto fino alle sue naturali conseguenze<br />

almeno in due punti essenziali. Non ebbe vita, infatti, un organo<br />

simile a quella « conferenza dei Presidenti » che la vicina Francia<br />

conosceva già dal 1911, e che appartiene in Italia all'esperienza del<br />

secondo dopoguerra. Venne, d'altra canto, mantenuto contraddittoriamente<br />

l'istituto degli ordini del giorno al termine della discussione generale<br />

in Aula dei progetti di legge, che aveva un qualche senso solo<br />

con il sistema delle tre letture (del quale costituiva una reminiscenza<br />

storica) ma non ne manteneva alcuno nel quadro di quello degli uffici,<br />

e in ogni caso era perfettamente incompatibile con quello delle Commissioni<br />

permanenti. Esso dava luogo, del resto, a gravissimi dubbi<br />

costituzionali in relazione al principio stesso del bicameralismo: nel


84 La storia del diritto parlamentare<br />

sistema delle tre letture, infatti, un ordine del giorno poteva vincolare<br />

l'ulteriore esame da parte della stessa Camera e quello del comitato<br />

generale, fissandone una direttiva politica. In ogni altro contesto poteva<br />

assumere un certo valore morale e anche politico nei confronti del<br />

Governo, che non poteva non tenere conto, seppure in debolissima misura,<br />

del voto di un ramo del Parlamento; ma non concorrendovi l'altro<br />

ramo, non poteva certo assurgere a quel significato quasi di previa<br />

interpretazione autentica delle leggi che spesso i parlamentari proponenti,<br />

e molto più raramente la dottrina, volevano accordargli. È<br />

appena il caso di ricordare che con le Commissioni permanenti veniva<br />

a subire un ulteriore e forse definitivo colpo l'idea di un qualsiasi significato<br />

e valore interpretativo, rilevante per l'interprete e in particolare<br />

pei tribunali, del complesso dei lavori preparatori delle leggi. Idea<br />

del resto da tempo discreditata in dottrina, in ragione del tramonto<br />

àéNécole de l'éxégèse e in Italia, in particolare, sull'autorità dello<br />

scritto assai penetrante di uno dei maggiori civilisti, nonché senatore<br />

del Regno, Vittorio Polacco, intitolato « Penombre e sorprese nella<br />

formazione delle leggi » (1912, ma pubbl. nel 1914).<br />

8. - Le vicende del diritto parlamentare fra il 1922 e il 1943 non<br />

si possono mettere interamente fra parentesi, come vorrebbe certa<br />

storiografia, tra perché alcuni istituti allora introdotti, e principalmente<br />

il sistema decentrato di approvazione delle leggi in Commissione e il<br />

carattere non pubblico delle sedute relative, nonché modificazioni di<br />

un certo rilievo dell'ordinamento dei servizi interni, furono mantenuti<br />

o ripresi nel periodo costituzionale transitorio e poi dalle Camere repubblicane;<br />

e tra perché alcune riforme di quegli anni possono ricollegarsi<br />

con dibattiti e progettazioni attuali. D'altra parte, sarebbe improprio<br />

e non utile dilungarsi in questa sede su pur incisive modificazioni<br />

del regolamento della Camera che hanno una grandissima importanza<br />

per la storia costituzionale del periodo fra le due guerre, ma<br />

essenzialmente sono poi da ricondurre ai nuovi presupposti di regime<br />

allora posti in essere, primo fra tutti lo spostamento del centro di gravitazione<br />

del sistema non tanto dalle Camere al Governo, quanto e<br />

proprio al Capo del Governo, e la correlativa degradazione del Parlamento<br />

ad organo secondario e periferico nel sistema, con compiti<br />

di collaborazione tecnica alla formazione delle leggi, restando la consulenza<br />

politica riservata semmai al Gran Consiglio del fascismo. Così,<br />

ad esempio, le modificazioni elettorali che dapprima introdussero il<br />

premio di maggioranza accordando il 60 per cento dei seggi alla Ca-


La storia del diritto parlamentare 85<br />

mera alla lista che avesse riportato almeno il 26 per cento dei voti<br />

(legge Acerbo); poi reintrodussero sulla carta il collegio uninominale<br />

sostituendolo, prima che avesse attuazione, con un collegio unico nazionale<br />

sulla base di una sola Usta formata dal Gran Consiglio del<br />

fascismo sulla base di designazioni del P.N.F. e di associazioni e categorie<br />

diverse; e infine dettero vita alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni,<br />

non hanno lasciato traccia alcuna di sé nel nuovo ordinamento<br />

repubblicano. Alla stessa stregua, è da considerare al più una<br />

curiosità storica il fatto che fino all'ultimo continuasse a funzionare<br />

in seno alla seconda Camera un gruppo parlamentare di partito, Y Unione<br />

fascista del Senato, regolato dall'allegato n. 5 allo statuto del P.N.F.:<br />

organo o, secondo altre interpretazioni, ente pubblico a sé, la cui<br />

esistenza si rendeva necessaria in ragione di poche decine di senatori<br />

privi della tessera del partito. Essa provvedeva a indicare i nominativi<br />

per ogni genere di designazioni di spettanza dell'Assemblea, nonché<br />

più tardi, quando con il 1939 si adottò anche in Senato il sistema delle<br />

Commissioni legislative, a indicarne i componenti, ottenendo il pratico<br />

risultato dell'esclusione anche formale dell'elemento afascista dalla<br />

maggior parte dell'attività legislativa.<br />

Altre vicende possono essere invece utilmente ricordate. E prima<br />

in ordine di tempo quella applicativa della legge 31 gennaio 1926,<br />

n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche,<br />

che mentre da un lato codificava la pratica dei decreti-leggi, dall'altro<br />

tentava anche di limitarne il campo di applicazione mediante una procedura<br />

che si direbbe oggi di « delegificazione », configurando un vero<br />

e proprio domaine du réglement anche in materie precedentemente regolate<br />

con legge. Si rovesciava così la linea patrocinata da autorevoli<br />

parlamentari dell'età precedente, e in particolare dal Sonnino, che per<br />

frenare la continua espansione degli uffici e servizi pubblici si erano<br />

battuti non senza successi per la necessità dell'approvazione con legge<br />

dei relativi provvedimenti: linea che aveva ovviamente perduto quasi<br />

ogni senso con la pratica bellica ed anche post-bellica del ricorso su<br />

larga scala ai decreti-legge, di sostanziale emanazione burocratica. Oltre<br />

ai regolamenti di esecuzione di leggi, anche quelli indipendenti e interni,<br />

o di organizzazione, sempre più spesso fino allora sostituiti da<br />

leggi, erano ricondotti alla potestà regolamentare dell'esecutivo : « Se<br />

si sfoglia infatti la Gazzetta ufficiale, i nove decimi dei decreti-legge<br />

che vi sono pubblicati concernono appunto l'ordinamento degli uffici,<br />

gli organici, l'esercizio delle aziende statali, le loro tariffe, ecc.: tutte<br />

materie che in un grande Stato, che è anche in pratica una grande


86 La storia del diritto parlamentare<br />

amministrazione, non è concepibile che siano regolate con legge. Neanche<br />

in una grande società anonima l'ordinamento degli uffici, il trattamento<br />

del personale, i prezzi delle merci vendute o dei servizi resi al<br />

pubblico sono sottoposti all'assemblea dei soci, ma sono, di regola,<br />

materie riservate alla Direzione o, al più, al Consiglio di amministrazione<br />

» (relazione del Guardasigilli Rocco alla Camera). Per questa<br />

via, dunque, si pensava a limitare l'area della legge, e in concreto del<br />

decreto-legge. Solo che la pratica dei vari Ministeri si orientò allora<br />

e poi nel senso opposto, per due decisive ragioni. La prima, che per<br />

l'esercizio della potestà regolamentare era prescritto il parere di corpi<br />

consultivi dell'amministrazione, e soprattutto del Consiglio di Stato,<br />

che per le circostanze politiche di questa fase era praticamente più<br />

temibile, e tecnicamente fondato su un esame più approfondito, che<br />

non la sanzione delle Camere legislative. La seconda è che i regolamenti,<br />

come fonte formale subordinata, dovevano poi ricondursi in via<br />

interpretativa nei limiti segnati dalle leggi vigenti, mentre con i decjetilegge,<br />

muniti della forza formale di legge, era dato travolgere norme<br />

e principi previgenti. Le ripetute circolari e richiami del Capo del Governo<br />

e del Guardasigilli non sortirono effetto, tanto che con legge 4 settembre<br />

1940, n. 1547, fu necessario emanare una ulteriore norma di<br />

delegificazione, con riferimento anche alle leggi emanate nel frattempo<br />

(Aquarone).<br />

Una seconda novità tecnica di rilievo fu data dall'apparizione nell'ordinamento<br />

italiano della categoria delle leggi costituzionali in senso<br />

formale, che si ebbe con la legge del 1928 sul Gran Consiglio del fascismo.<br />

Alla vaga e fluttuante categoria delle « leggi organiche », che<br />

in età statutaria liberale erano considerate connesse con la costituzione<br />

fondamentale, ma al pari di questa erano poi modificabili nelle<br />

forme del procedimento legislativo ordinario (tutt'al più si poneva in<br />

dottrina, e in sede politica, la questione se ne fosse lecita l'emanazione<br />

o la modifica sulla base di poteri straordinari delegati al Governo)<br />

si sostituiva così un definito catalogo di materie nelle quali il Governo<br />

e il Parlamento non potevano legiferare se non seguendo un procedimento<br />

« aggravato », che esigeva un parere del Gran Consiglio<br />

del fascismo. Tali erano: 1) la successione al Trono e le attribuzioni<br />

e prerogative della Corona; 2) la composizione e il funzionamento<br />

del Gran Consiglio, del Senato del Regno e della Camera dei deputati;<br />

3) le attribuzioni e prerogative del Capo del Governo; 4) la facoltà<br />

del potere esecutivo di emanare norme giuridiche; 5) l'ordinamento<br />

sindacale e corporativo; 6) i rapporti tra lo Stato e la Santa


La storia del diritto parlamentare 87<br />

Sede; 7) i trattati internazionali che importassero variazione al territorio<br />

dello Stato o delle colonie, ovvero anche rinuncia all'acquisto di<br />

territori. È appena il caso di ricordare che questo procedimento si<br />

inseriva nel quadro dell'altro, per il quale in ogni caso il Capo del<br />

Governo doveva a autorizzare » l'ordine del giorno delle Camere, nel<br />

quale nessun argomento poteva essere inserito senza il suo consenso.<br />

Con successiva legge del 1939 si precisò che la menzione del parere<br />

reso dal Gran Consiglio doveva essere inclusa nella formula di promulgazione<br />

delle leggi costituzionali, e precedere quella dell'approvazione<br />

da parte delle due Camere.<br />

Dopo la riforma regolamentare del 1924, seguita alle elezioni indette<br />

con il sistema del premio di maggioranza, e che fra l'altro segnò<br />

l'accantonamento anche formale del sistema delle Commissioni permanenti<br />

per tornare a quello degli uffici (mai abbandonato dal Senato),<br />

e dopo il nuovo regolamento del 1929 che si uniformava al principio<br />

della lista unica di partito adottato per la Camera della XXVIII legislatura<br />

(mentre il Senato introduceva più limitate modifiche, abolendo<br />

però a sua volta l'unica Commissione in precedenza istituita, quella per<br />

gli affari esteri), la vera riforma di grande momento nelle procedure parlamentari<br />

si ebbe a seguito della creazione nel 1939 della Camera dei fasci<br />

e delle corporazioni, i cui membri erano tali ope legis e ratione muneris<br />

in virtù delle posizioni ricoperte nel partito e nelle organizzazioni<br />

del regime, senza più bisogno di periodico rinnovo. Maggior significato<br />

giuridico, anche in relazione all'attualità, ha il sistema unico<br />

al mondo delle Commissioni deliberanti in sede legislativa, con esclusione<br />

per altro del voto segreto anche in questa sede. Le Commissioni,<br />

nominate direttamente dal Presidente della Camera senza alcuna designazione,<br />

erano come nel 1922 dodici, ma con diversa competenza per<br />

materia [1) affari esteri; 2) affari interni; 3) Africa italiana; 4) giustizia;<br />

5) forze armate; 6) educazione nazionale; 7) lavori pubblici e comunicazioni<br />

(di nuovo riunite); 8) agricoltura; 9) industria; 10) scambi<br />

commerciali e legislazione doganale; 11) cultura popolare (distinta dall'educazione<br />

nazionale); 12) professioni ed arti]. Vi era nel regolamento<br />

una sorta di riserva di legge d'aula, che sottraeva una serie di materie<br />

enumerate alla competenza legislativa delle Commissioni, singole<br />

o riunite: ma anche questa limitazione era superabile con decisione<br />

del Capo del Governo per qualsiasi legge, anche costituzionale. La<br />

riunione congiunta di più Commissioni doveva essere presieduta dal<br />

Presidente o da un Vicepresidente della Camera; una volta esaurito<br />

Yiter legislativo, la formula di promulgazione doveva menzionare espres-


88 La storia del diritto parlamentare<br />

samente l'approvazione da parte della Camera dei fasci e delle corporazioni<br />

e del Senato « a mezzo delle loro Commissioni legislative »<br />

(art. 2 della legge 5 maggio 1939, n. 660).<br />

Con le leggi e i regolamenti del 1939, che ebbero per altro limitata<br />

applicazione a causa del sopravvenire dello stato di guerra, furono<br />

apportate modificazioni di rilievo al regime della produzione normativa,<br />

talune tuttora in vigore, altre a vario titolo interessanti. L'ordinamento<br />

della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato, già nella<br />

legge del 1926 coperto da riserva di legge, fu presidiato dall'ulteriore<br />

garanzia di un iter legislativo proceduralmente aggravato dalla necessità<br />

del preventivo parere di questi due corpi, emesso rispettivamente<br />

a sezioni riunite o in adunanza generale. La sia pur relativa riserva<br />

di legge d'aula sopra indicata venne in ogni caso ad includere le<br />

leggi costituzionali, l'ordinamento giudiziario, la competenza dei giudici,<br />

l'ordinamento del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, le<br />

garanzie dei magistrati e degli altri funzionari inamovibili, le deleghe<br />

legislative a carattere generale, « i progetti di bilancio e i rendiconti<br />

consuntivi dello Stato, delle Aziende autonome di Stato e degli enti<br />

amministrativi di qualsiasi natura », nonché tutti gli altri provvedimenti<br />

per i quali tale sede fosse richiesta dalle Commissioni, che avevano<br />

al riguardo compiti istruttori, dalle Assemblee delle due Camere o dal<br />

Governo stesso, e fosse autorizzata dal Capo del Governo. Per contro,<br />

le « norme corporative » e gli accordi economici collettivi che importassero<br />

contribuzioni a carico delle categorie potevano essere sottoposti<br />

dal Capo del Governo, dopo l'esame dell'organo corporativo di vertice,<br />

alle Commissioni legislative competenti perché li approvassero, o<br />

proponessero a loro volta emendamenti da votarsi dalle Assemblee. In<br />

questo caso come in quello di progetti di legge vere e proprie, qualora<br />

le Commissioni non deliberassero nel termine assegnato, il Governo poteva<br />

provvedere con decreto-legge.<br />

È anche da segnalare che la legge istitutiva della Camera dei fasci e<br />

delle corporazioni prescriveva, all'articolo 15, l'obbligo delle votazioni<br />

palesi, contravvenendo così in modo formale alla regola dello Statuto<br />

albertino per la quale era prescritto tassativamente il voto segreto per<br />

i disegni di legge nel loro complesso.<br />

Nel complesso, tutte queste regole procedimentali non configuravano<br />

limiti assoluti alla volontà dell'esecutivo, o meglio del Capo del<br />

Governo, nel quale l'esecutivo politicamente e costituzionalmente si compendiava.<br />

Si trattava di limiti elastici, ma non privi di una loro effettività:<br />

tanto più se poi si aggiunge che il carattere non pubblico dei


La storia del diritto parlamentare 89<br />

lavori delle Commissioni restituiva loro, nel quadro e nelle circostanze<br />

dell'epoca, margini di autonomia che erano invece da considerare esclusi<br />

per Assemblee tuttora sedenti e deliberanti in regime di pubblicità.<br />

Di più, la stessa procedura decentrata di approvazione delle leggi si<br />

configurava, in qualche modo, anche come una risposta del legislativo<br />

alle necessità tecniche di dilatata e più articolata produzione normativa<br />

che erano state alla base della pratica dei decreti-legge. Né va<br />

sottovalutata l'importanza, non fosse che tendenziale, dell'esame in<br />

Commissione e dell'approvazione in Assemblea plenaria dei bilanci e<br />

consuntivi delle aziende di Stato e degli enti pubblici.<br />

Tutto ciò si dava nel quadro di una funzione parlamentare ridotta<br />

a « collaborare » in senso tecnico con l'esecutivo, anche se « in modo<br />

più proficuo e più serio » (Calamandrei) nelle commissioni, e se tornarono<br />

ad assumere una certa importanza in questa fase l'istituto dell'interrogazione<br />

ed altri strumenti di sindacato parlamentare. La coincidenza<br />

che si verificò da ultimo nella persona di Dino Grandi fra la<br />

carica di Guardasigilli e quella di Presidente della Camera dei fasci<br />

e delle corporazioni rende plasticamente evidente questo rapporto, né<br />

fu priva di conseguenze quando una Commissione parlamentare prevista<br />

da leggi di delega del 1923 e del 1925 venne nominata dal Presidente<br />

della Camera per pronunciarsi su un'opera legislativa di grande respiro<br />

quale la nuova codificazione civile predisposta dal ministro Guardasigilli.<br />

La dottrina giuridica più autorevole del tempo invocava contro<br />

la tesi dell'incompatibilità, fra gli altri, il caso per verità alquanto<br />

diverso del Vicepresidente degli Stati Uniti che presiede quel Senato,<br />

ma concludendo con sostanziale esattezza, alla luce dei principi istituzionali<br />

del regime : « date certe premesse che delineano un istituto<br />

giuridico, bisogna trarne le logiche conseguenze. Avrà il legislatore voluto<br />

marcare la fisionomia di un'Assemblea con un forte rilievo di autonomia?<br />

E allora si arriverà fino al punto di lasciare affatto libera<br />

l'Assemblea di scegliersi il Presidente senza influenze di nessun genere,<br />

neanche politiche. Avrà inteso il legislatore di dare all'Assemblea una<br />

autonomia limitata? E allora sarà il Re che potrà scegliere il Presidente<br />

con vari sistemi di proposte di terne da parte dell'Assemblea,<br />

e così via. Avrà infine creduto il legislatore di caratterizzare l'Assemblea<br />

come organo strettamente collegato al Governo, secondo che avviene<br />

nel presente caso? E allora il Presidente sarà di liberissima<br />

scelta del Governo; e in tale scelta, non legata da nessun principio<br />

e da nessun criterio contrario, il Governo sarà libero di far cadere la<br />

scelta anche su un suo membro, quando creda che ciò giovi al coordi-


90 La storia del diritto parlamentare<br />

namento degli organi e delle funzioni, oppure ritenga che la persona<br />

sia particolarmente adatta all'ufficio » (Luigi Rossi). Né mancava poi<br />

la riprova storica: in regime liberale prefascista la nomina del Presidente<br />

e dei Vicepresidenti del Senato era stata dapprima di pertinenza<br />

della Corona e più tardi - a far data almeno dal decreto Zanardelli-<br />

Giolitti del 1901 sulle attribuzioni collegiali del Consiglio dei ministri<br />

che, limitando la prerogativa regia, aveva rappresentato il « manifesto<br />

normativo » del nuovo corso politico (De Cesare) - deliberata in Consiglio<br />

dei ministri.<br />

Scompaiono, ovviamente, dal regolamento della Camera come da<br />

quello del Senato (ma qui con l'eccezione del Segretario generale) le<br />

norme sopra ricordate, che prevedevano la nomina da parte dell'Assemblea<br />

di determinati funzionari.<br />

9. - A pochi giorni di distanza dal 25 luglio, con regio decreto<br />

2 agosto 1943, n. 705, la Camera dei fasci e delle corporazioni era<br />

sciolta. È notevole però la formula: «La XXX legislatura è chiusa»,<br />

che inseriva quel ciclo di vita parlamentare affatto atipico nella serie<br />

ordinaria delle legislature del Regno. Per quanto riguarda il Senato,<br />

si ebbe a lungo una situazione di incertezza giuridica per quanto riguarda<br />

la permanenza se non delle sue attribuzioni (il decreto del '43<br />

prevedeva la convocazione di una nuova Camera entro quattro mesi<br />

dalla cessazione dello stato di guerra, e implicitamente confermava il<br />

pieno diritto della seconda Camera), di una cittadinanza nell'ordinamento<br />

che, specialmente dopo il decreto legislativo luogotenenziale<br />

25 giugno 1944, n. 151, che abrogava la statuizione relativa alla<br />

nuova Camera per prevedere l'elezione di un'Assemblea Costituente<br />

« per deliberare la nuova Costituzione dello Stato », diede luogo a curiose<br />

controversie politiche, e poi anche giudiziarie.<br />

Tuttavia a poche settimane di distanza il Governo Bonomi, nato<br />

dal compromesso fra la Corona e i partiti del C.L.N., provvedeva a<br />

invitare uno dei Presidenti della Camera prefascista, Vittorio Emanuele<br />

Orlando, ad assumere i poteri presidenziali a norma dell'art. 16 del<br />

suo Regolamento interno considerato, dunque, tuttora vigente. Era posto<br />

così il primo pilone del ponte di continuità che si voleva ricollegasse<br />

le nuove all'antica Assemblea. Resta tuttora dubbia la natura<br />

di quella deliberazione 15 luglio 1944 del Consiglio dei ministri, che<br />

secondo una possibile, ma alquanto riduttiva interpretazione si vorrebbe<br />

in sostanza ricondurre al tipo allora frequente della nomina di


La storia del diritto parlamentare 91<br />

un commissario: nella specie, il commissario all'ente amministrativo<br />

« Camera dei deputati », distinto dall'assemblea politica. È in ogni<br />

caso certo che principi non solo amministrativi del regolamento della<br />

Camera ebbero in quell'intermezzo applicazione ad opera del Presidente<br />

Orlando: il quale, in particolare, si appellò con successo alla<br />

posizione di organo costituzionale sovrano della Camera per escludere<br />

che collegi esterni fossero abilitati a procedere all'epurazione del suo<br />

personale, rivendicando la competenza della Presidenza ad applicare<br />

in questo ambito le leggi epuratrici, e in particolare il decreto legislativo<br />

luogotenenziale 9 marzo 1945, n. 716, relativo ai funzionari pubblici<br />

« anche se inamovibili, appartenenti ai primi cinque gradi della<br />

classificazione del personale statale, e dei gradi corrispondenti delle<br />

amministrazioni statali con ordinamento autonomo », che potevano essere<br />

collocati a riposo « a prescindere dalla pendenza o dall'esaurimento<br />

del giudizio di epurazione », senza che al riguardo fosse ammesso<br />

« alcun gravame, sia in via amministrativa, sia in via giudiziaria<br />

» (art. 1).<br />

Con successivo decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1946,<br />

n. 146, veniva istituita la « Consulta nazionale » con compiti di affiancamento<br />

consultivo del Governo. Le nomine a consultore avvennero<br />

fra tre categorie : designati dai maggiori partiti politici antifascisti; esponenti<br />

di categorie e organizzazioni sindacali, culturali e di reduci;<br />

ex parlamentari antifascisti, ai quali poi si aggiunsero antichi ministri,<br />

sottosegretari ed alti commissari di governo dell'età prefascista. Specialmente<br />

quest'ultima categoria è da considerare, perché la sua autorità<br />

ed esperienza risultò per più punti, decisiva nel configurare la<br />

nuova tradizione politico-parlamentare democratica. Molti fra questi<br />

consultori vennero rieletti alla Costituente e nelle prime Camere repubblicane,<br />

altri entrarono a far parte, quali membri di diritto, del<br />

Senato della Repubblica per gli anni 1948-1953, Si attuò per questa<br />

via una ulteriore saldatura di generazioni, che dava un contenuto concreto<br />

alla riaffermata continuità regolamentare.<br />

È ancora notevole il fatto che la Consulta, nonostante contrasti<br />

e rimostranze in ordine all'esame consultivo in sede di Commissione<br />

(e cioè, nuovamente, in sede non pubblica) dei progetti per i quali il<br />

suo parere era obbligatorio, avesse dieci Commissioni permanenti. La<br />

esperienza di queste Commissioni forma un importantissimo precedente<br />

sia rispetto alle Commissioni dell'Assemblea Costituente che, restando<br />

riservati per quasi tutte le materie i poteri legislativi al Governo, die-


92 La storia del diritto parlamentare<br />

dero però vita ad una forma di legislazione sostanzialmente concertata<br />

fra Commissioni e Governo; sia, soprattutto, alle ristabilite Commissioni<br />

permanenti del Parlamento repubblicano, che non ebbero, come<br />

nel 1922, attribuzioni puramente consultive ma, come nel 1939, attribuzioni<br />

legislative. Per il momento, la Consulta si limitò a porre in<br />

essere forme sperimentali ed empiriche di attività: furono riservate all'Aula,<br />

ad esempio, le leggi elettorali mentre restava affidata alle Commissioni<br />

la più minuta legislazione finanziaria; per i bilanci dello<br />

Stato si fece ricorso all'esame consultivo congiunto da parte della<br />

Commissione competente per lo specifico Ministero e di quella Finanze<br />

e Tesoro. Le Commissioni potevano in ogni caso chiedere al Governo<br />

di deferire all'Assemblea plenaria la discussione in ordine a dati pareri,<br />

ma di fatto non si avvalsero mai di tale facoltà.<br />

Per quanto riguarda i servizi, il decreto legislativo luogotenenziale<br />

31 agosto 1945, n. 539, stabilì che « La Consulta, per il suo funzionamento,<br />

si avvale dei locali e dei servizi della Camera dei deputati. Agli<br />

eventuali servizi che non possono essere prestati dalla Camera, provvede<br />

il Ministero per la Consulta nazionale» (art. 13), fermi restando<br />

i poteri del Presidente della Camera dei deputati, Orlando. In relazione<br />

a tale disposizione, un apposito stanziamento doveva figurare nel<br />

bilancio del Ministero per la Consulta nazionale, appena istituito con<br />

il compito di elaborare e promuovere l'emanazione delle norme giuridiche<br />

regolanti la Consulta nazionale, e di « predisporre ed attuare<br />

le misure necessarie per la costituzione e il funzionamento della Consulta,<br />

provvedendo all'organizzazione dei relativi servizi tecnici ed amministrativi<br />

» (art. 2 decreto legislativo luogotenenziale 31 luglio 1945,<br />

n. 443). Di fatto, il ministro per la Consulta venne ad assumere un ruolo<br />

sotto più aspetti simile a quello del ministro senza portafoglio per i rapporti<br />

con il Parlamento fiorito poi in periodo repubblicano, seppure per<br />

il brevissimo periodo fino al dicembre dello stesso anno, quando venne<br />

costituito presso la Presidenza del Consiglio un apposito « Ufficio per le<br />

relazioni con la Consulta nazionale ».<br />

Per l'articolo 29 del citato decreto legislativo dell'agosto, la Consulta<br />

disponeva tuttavia di potestà regolamentare, tuttoché subordinata<br />

a una approvazione del Governo: è del più alto interesse seguire<br />

i modi e le forme in cui essa venne esercitata. L'articolo recitava:<br />

« Fino a che la Consulta nazionale non avrà elaborato il proprio regolamento<br />

interno, per quanto non disposto dal presente decreto si osservano,<br />

in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel regolamento


La storia del diritto parlamentare 93<br />

della Camera dei deputati in vigore prima del 28 ottobre 1922. Il regolamento<br />

interno previsto dal comma precedente sarà presentato al<br />

Governo per l'approvazione ». Si gettava così un terzo pilone di continuità,<br />

creando una base sulla quale però si accesero subito vivaci contrasti.<br />

Già il 10 gennaio del 1946 un consultore del partito d'Azione,<br />

il grande storico Adolfo Omodeo, chiedeva che la Consulta potesse<br />

autoconvocarsi, e il giorno dopo impegnava uno scontro radicale in argomento<br />

con il ministro Lussu, che pur apparteneva allo stesso partito.<br />

Era in gioco la risoluzione delle crisi di governo da portare di fronte<br />

alla Consulta, ma Omodeo invocava anche la lezione delle assemblee<br />

parlamentari ancien regime, progressivamente esautorate e poi soppresse<br />

dall'assolutismo precisamente sfruttando la mancanza di un tale<br />

diritto. Il punto fu risolto negativamente, con 214 voti contro 89, schierandosi<br />

azionisti e demolaburisti a favore della tesi Omodeo, contro<br />

tutti gli altri partiti dell'esarchia. La Consulta fu egualmente solidale<br />

con il ministro Lussu nel respingere un emendamento all'articolo 76, che<br />

intendeva introdurre il diritto di mozione, presentato dal consultore<br />

repubblicano Boeri, ex-parlamentare prefascista.<br />

Un'altra significativa battaglia si impegnò in quegli stessi giorni<br />

sull'articolo 52, dove il consultore Fenoaltea fece prevalere di stretta<br />

misura (127 voti contro 90) un emendamento per il quale « Nel concorso<br />

di diverse domande, quella dell'appello nominale prevale su tutte<br />

le altre; quella dello scrutinio segreto prevale sulla domanda di votazione<br />

per divisione ». Così la Consulta, pur mantenendo la vecchia<br />

regola dell'età statutaria, della votazione segreta finale sui progetti di<br />

legge, faceva cadere il principio generale della prevalenza di questa<br />

forma di scrutinio nel concorso di più richieste al riguardo. Furono favorevoli<br />

socialisti, comunisti, azionisti e demolaburisti, contrari democristiani<br />

e liberali (sia alla Costituente sia in Senato, invece, la democrazia<br />

cristiana avrebbe sostenuto la posizione contraria al voto segreto,<br />

invertendo le parti rispetto all'opposizione di sinistra). La Consulta si<br />

caratterizzò allora come l'unica assemblea parlamentare italiana, dove<br />

il voto palese fosse affermato in via prioritaria.<br />

Va da ultimo ricordato che in periodo repubblicano si sono avute<br />

varie proposte tendenti a riconoscere la Consulta, per il contributo da<br />

essa dato all'opera legislativa del primissimo dopoguerra, quale prima<br />

legislatura della Repubblica. Fra l'altro, su relazione di V. E. Orlando,<br />

essa approvò con 172 voti contro 50 lo schema di decreto legislativo<br />

De Gasperi sul referendum istituzionale e l'attribuzione dei poteri normativi<br />

al Governo per la durata dell'Assemblea costituente, e la di-


94 La storia del diritto parlamentare<br />

sciplina di quest'ultima. La replica finale di Orlando, per la quale tornò<br />

a echeggiare il vecchio grido di « Affissione ! » del Parlamento prefascista,<br />

concludeva nell'invocazione: « Dio vi aiuti, Dio salvi l'Italia!».<br />

La relazione alla proposta di legge presentata al riguardo nel ventennale<br />

della Consulta, il 20 aprile 1965, da esponenti dei principali gruppi<br />

politici della Camera, così motiva conclusivamente : « È giusto e degno<br />

che in quest'anno, ventesimo dalla Liberazione, il Parlamento repubblicano<br />

dia atto della natura e delle funzioni di quella prima assemblea popolare,<br />

ricollegandola formalmente, come idealmente e storicamente essa<br />

è collegata, alle successive Assemblee parlamentari della Repubblica ».<br />

10. - Ogni fase della storia unitaria dell'Italia, inclusa la parentesi<br />

di regime fra le due guerre, ha dunque dato un suo apporto alla complessa<br />

stratificazione di norme, consuetudini, precedenti e regole di correttezza<br />

delle quali consta il diritto parlamentare vigente, molti punti del<br />

quale solo storicamente possono ricevere una vera illuminazione. Anche<br />

la Costituente - anticipando la successiva e analoga deliberazione formale<br />

della prima Camera repubblicana nonché, sostanzialmente, l'elaborazione<br />

regolamentare del primo Senato - volle ricollegarsi al regolamento<br />

della Camera del 1900, con le modifiche fino a tutto il 1922, non<br />

tenendo anzi conto dei dibattiti e delle soluzioni della Consulta. Anche<br />

la Costituente, mentre le era riservato l'esame dei disegni di legge in<br />

materia costituzionale e assimilata, delle leggi elettorali e di quelle di<br />

ratifica di trattati internazionali, affiancò con proprie commissioni l'opera<br />

legislativa che per il resto rimaneva affidata al Governo, sviluppando<br />

ancor più che non avesse fatto la Consulta, sulla base del diritto di interpellanza,<br />

l'attività di sindacato politico. Anche alla Costituente ebbe<br />

grande importanza l'autorità dei parlamentari provenienti dalle legislature<br />

prefasciste: non solo nella preparazione della Carta del '48 (dove<br />

la loro mentalità normalmente bicameralista ebbe, ad esempio, un'influenza<br />

primaria), ma anche e più immediatamente nella formazione della<br />

nuova tradizione e stile parlamentare. Anche alla Costituente, infine,<br />

fu rivendicato un diritto di intervento dell'assemblea nella soluzione<br />

delle crisi di Governo.<br />

Un cenno particolare merita il sistema delle Commissioni parlamentari,<br />

che esaminarono 1368 schemi legislativi del Governo, dando<br />

parere favorevole per la loro emanazione, e altri quaranta circa ne rinviarono<br />

all'Assemblea. Benché ne fossero istituite ora solo quattro, con<br />

competenza per gruppi di Ministeri (politici, finanziari, economici e


La storia del diritto parlamentare 95<br />

« tecnici »), anche questa esperienza va considerata come preparatoria<br />

a quella delle Commissioni della prima legislatura della Repubblica.<br />

Si può concludere questo rapido ed essenziale profilo storico confermando<br />

il giudizio richiamato in apertura circa la continuità del regime<br />

e del diritto parlamentare in Italia. Il metodo dei cauti e progressivi<br />

innesti sul tronco del regolamento del 1900 ha dato in più tempi,<br />

fino a quest'anno 1968, frutti notevoli consentendo sperimentazioni e<br />

flessibili innovazioni. Il problema di un eventuale ripensamento organico<br />

del diritto parlamentare in funzione dei nuovi presupposti costituzionali<br />

e della nuova realtà dello Stato di partiti non appartiene alla<br />

competenza dello storico, ma a quella del promotore di un eventuale<br />

jus condendum. Ma qualsiasi riforma che prescindesse dalle molteplici<br />

possibilità suggerite da una così ricca e autorevole tradizione parlamentare,<br />

in una parola dalla lunga lezione dell'esperienza, potrebbe anche<br />

rischiare di non conseguire i benefici astrattamente sperati. Avvertimento,<br />

se ben si considera, che non contraddice ma piuttosto integra e<br />

precisa quello che, secondo Chandernagor compendia tutta la lunga saggezza<br />

della « madre dei Parlamenti » : Non c'è che una tradizione parlamentare<br />

: l'adattamento.<br />

[PAOLO UNGARI]<br />

Per rispettare i limiti di spazio, e la natura stessa di questo profilo schematico,<br />

è parso opportuno non appesantirlo di note, rinviando anche per gli autori<br />

citati nel testo, e in genere per la storiografìa sul Parlamento, all'ampia bibliografia<br />

ragionata che si troverà al termine dell'opera. Sempre per ragioni di economia interna<br />

dell'opera si è preferito insistere, soprattutto nel paragrafo 6, su quei temi, ai quali<br />

non fossero già dedicati richiami storici nel quadro di altri capitoli. Le ragioni,<br />

infine, del maggior rilievo dato ai precedenti della Camera rispetto a quelli del Senato<br />

regio sono accennate nel corso del capitolo, e del resto evidenti di per sé.


CAPO IV<br />

FORMAZIONE DELLA <strong>CAMERA</strong> - STATO GIURI­<br />

DICO DEL DEPUTATO - LA VERIFICA <strong>DEI</strong> POTERI<br />

- L'AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE - L'ACCUSA<br />

PARLAMENTARE<br />

6.<br />

di Andrea Manzella


CAPO IV.<br />

FORMAZIONE DELLA <strong>CAMERA</strong> - STATO GIURIDICO DEL<br />

DEPUTATO - LA VERIFICA <strong>DEI</strong> POTERI - L'AUTORIZZAZIONE<br />

A PROCEDERE - L'ACCUSA PARLAMENTARE<br />

SOMMARIO: La formazione della Camera.<br />

Lo stato giuridico del deputato e il principio di eguaglianza.<br />

La prerogativa della verifica dei poteri: 1. La proclamazione; la convalida.<br />

— 2. Procedimento di convalida: le successive fasi davanti alla Giunta<br />

delle Elezioni e davanti all'Assemblea; rapporti fra Giunta e Assemblea.<br />

— 3. Le cause di invalidazione del mandato parlamentare. Le cause impeditive<br />

della convalida: a) irregolarità delle operazioni elettorali; b) cause<br />

di ineleggibilità originarie. — 4. Le cause di decadenza: a) irregolarità<br />

delle operazioni elettorali emerse per successive verifiche; b) le e. d. cause<br />

di ineleggibilità sopraggiunte; e) le cause di incompatibilità: procedimento<br />

per l'accertamento. — 5. Le incompatibilità « di esercizio » e lo<br />

status economico del parlamentare.<br />

La prerogativa ex articolo 68 della Costituzione; significato politico-costituzionale<br />

dell'istituto: 6. La garanzia dell'insindacabilità. — 7. La garanzia<br />

dell'inviolabilità. — 8. La procedura davanti alla Giunta per l'autorizzazione<br />

a procedere e davanti all'Assemblea. — 9. Natura dell'attività<br />

posta in essere dalla Camera nell'esercizio della prerogativa.<br />

La prerogativa ex articoli 90 e 96 della Costituzione; significato di prerogativa<br />

dell'istituto dell'accusa parlamentare: 10. La Commissione inquirente<br />

per i giudizi d'accusa. — 11. Rapporti tra Commissione inquirente<br />

e Autorità giudiziaria ordinaria. — 12. Gli atti introduttivi del<br />

procedimento. — 13. Il procedimento davanti alla Commissione inquirente:<br />

le varie ipotesi di decisione. — 14. Il procedimento davanti al<br />

Parlamento in seduta comune.<br />

LA FORMAZIONE DELLA <strong>CAMERA</strong>.<br />

È stato esattamente osservato (1) che nel complesso procedimento elettorale<br />

che sfocia nella formazione della Camera, concorrono in varia funzione<br />

e in distinti momenti tutti i poteri dello Stato-persona (oltre, naturalmente,<br />

la maggiore espressione dello Stato-comunità che è lo stesso corpo<br />

elettorale). Ciò avviene non solo « per soddisfare l'esigenza di funzionalità<br />

di una organizzazione complessa, ma anche per realizzare il sistema di<br />

reciproci controlli e limiti, a tutela di tutti i diritti e di tutte le libertà ».<br />

Essenziale in tale procedimento l'intervento iniziale del Capo dello<br />

Stato, al quale secondo l'art. 87 Cost. spetta il potere-dovere di indire<br />

(1) FERRARI, Elezioni politiche (ordinamento), in « Encicl. del dir.», voi. XIV,<br />

pag. 731.


100 Formazione della Camera - Prerogative<br />

le elezioni delle nuove Camere e di fissarne la prima riunione. L'uno e<br />

l'altro potere esercitabile nei termini definiti dal combinato disposto<br />

artt. 60 e 61 Cost.: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica<br />

sono eletti per cinque anni e la durata di ciascuna Camera non può<br />

essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra; le elezioni<br />

delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle<br />

precedenti e la prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno<br />

dalle elezioni.<br />

Si tratta, quindi, come è stato detto, di una « potestà del tutto vincolata<br />

nell'art, nel quid, nel quomodo, come nel luogo e nel tempo, cioè<br />

un'assoluta vincolatezza ed assoluta doverosità (...). Una simile potestà<br />

su cui poggia, in fondo, la dialettica maggioranza-minoranza, cioè l'effettiva<br />

possibilità, caratterizzante un ordinamento democratico, dell'alternarsi<br />

delle forze politiche al potere, richiede assoluta garanzia e certezza<br />

della propria attuazione, e non poteva pertanto essere affidata che<br />

ad un potere al di fuori di ogni altro potere, che desse pieno affidamento<br />

di retto e corretto esercizio della funzione. E tale nel nostro ordinamento<br />

è configurato appunto il Capo dello Stato » (2).<br />

Da questo atto dovuto dal Presidente della Repubblica si determina,<br />

in base alla legge, a carico di una serie di organi dello Stato, l'obbligatorietà<br />

di precisi comportamenti nello spazio di termini perentori.<br />

Entro tre giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei<br />

comizi elettorali deve costituirsi l'ufficio centrale nazionale presso la Corte<br />

di cassazione (art. 12 T. U. 1957), entro 10 giorni gli uffici circoscrizionali<br />

(art. 13 T. U. 1957), entro 30 giorni si deve effettuare la nomina<br />

dei presidenti delle sezioni elettorali (art. 35 T. U. 1957), entro 7 giorni<br />

devono essere presentati al Ministero dell'interno i contrassegni di lista<br />

(art. 16 T. U. 1957) e così via.<br />

Non si descriverà in questa sede tutto il procedimento elettorale: i<br />

richiami fatti consentono di definirne la rigorosa automaticità, garantita<br />

oltre che dalla previsione di immediati interventi sostitutivi, in caso di<br />

omissioni di attività, anche dalla minuta serie di sanzioni penali previste<br />

per i comportamenti dolosi.<br />

Interessa cogliere piuttosto le fasi finali: quella in cui il presidente<br />

dell'ufficio circoscrizionale proclama eletti per ogni lista, nei limiti dei<br />

posti a questa spettanti, i primi in graduatoria, inviando un « attestato<br />

ai candidati proclamati », e dandone « notizia alla segreteria della Camera<br />

», nonché alle singole prefetture del collegio, che provvedono a<br />

(2) FERRARI, op. cit., pag. 736.


Formazione della Camera - Prerogative 101<br />

darne notizia al pubblico (articoli 76-80 T. U. 1957) e quella in cui<br />

lo stesso organo, ricevuta notizia dall'ufficio centrale nazionale dei risultati<br />

relativi alla ripartizione dei seggi fra le liste che abbiano riportato<br />

il maggior numero di « resti », proclama eletto il candidato della<br />

lista, che risulta aver ottenuto la maggiore cifra elettorale, dopo i candidati<br />

che erano già stati proclamati in sede circoscrizionale (articoli<br />

83-84 T. U. 1957).<br />

Secondo autorevoli dottrine (3) è a questo punto che possono dirsi<br />

« formate » le nuove Camere, ancorché non ancora riunite, e simmetricamente<br />

cessata la prorogatio dei poteri delle precedenti.<br />

La tesi sembra trovare conforto nella lettera dell'articolo 1 Regolamento<br />

della Camera per cui: « I deputati per il solo fatto dell'elezione<br />

entrano immediatamente nel pieno esercizio delle loro funzioni con la<br />

proclamazione » (4).<br />

Sembra ugualmente possibile che nel tempo intercorrente fra la<br />

proclamazione dell'ultimo, in ordine cronologico, dei deputati eletti con<br />

i resti e il giorno della prima riunione delle Camere (giorno che, nel<br />

rispetto del termine di cui all'articolo 61 Costituzione, deve essere precisato<br />

nel decreto presidenziale di convocazione dei comizi elettorali:<br />

cfr. articolo 11 T. U. 1957) possa esercitarsi sia da parte del Presidente<br />

della Repubblica sia da parte di 210 proclamati (che abbiano<br />

ricevuto il relativo « attestato » ex articolo 80 T. U. 1957) il potere di<br />

convocazione straordinaria della Camera ex articolo 62, comma 2, Cost.<br />

(prima cioè del giorno fissato nel decreto di convocazione).<br />

Si deve però precisare che l'ipotesi è del tutto marginale (5) e comunque<br />

non può dirsi che dal giorno della (ultima) proclamazione cessi<br />

la prorogatio della vecchia Camera in virtù della teorica possibilità di<br />

riunione della nuova.<br />

Tale affermazione contrasterebbe con la chiara lettera della Costituzione<br />

(art. 61 : « finché non sono riunite le nuove Camere sono prorogati<br />

i poteri delle precedenti ») la quale subordina la cessazione della<br />

(3) MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, voi. I, Milano 1967, pag. 410; ELIA,<br />

Amministrazione ordinaria degli organi costituzionali, in « Enc. del diritto », voi. II,<br />

pag. 229; Tosi, Lezioni di diritto parlamentare, Firenze 1966, p. 77 (che parla di<br />

« errore materiale » in cui sarebbe incorso il Costituente nella formulazione della<br />

norma).<br />

(4) Si veda la più chiara formulazione del corrispondente articolo 1 del Regolamento<br />

del Senato : « I Senatori acquistano le prerogative della carica e tutti i<br />

diritti inerenti alle loro funzioni, per il solo fatto della elezione (...) dal momento<br />

della proclamazione ».<br />

(5) Per la IV legislatura, ad esempio, tra il giorno dell'ultima proclamazione in<br />

ordine cronologico (12 maggio 1963) e la prima riunione delle Camere (16 maggio)<br />

intercorsero solo 3 giorni.


102 Formazione della Camera - Prerogative<br />

prorogatio ad una riunione effettiva e non meramente teorica o allo stato<br />

diffuso (6).<br />

Probabilmente la situazione giuridica che si verifica può venire<br />

descritta con le figure proprie della successione dei titolari in uno stesso<br />

organo: titolarità effettiva del vecchio personale politico sino a che<br />

non scada il termine del primo giorno di riunione; ius ad officium<br />

del nuovo personale politico. Con l'essenziale aggiunta che per volontà<br />

di un terzo dei proclamati o del Presidente della Repubblica il termine<br />

suddetto può essere anticipato.<br />

Non contraddice con questa costruzione il rilievo che i proclamati<br />

siano definiti dall'art. 1 Regolamento Camera « nel pieno esercizio delle<br />

loro funzioni » : in effetti nella situazione giuridica in esame il primo<br />

atto di esercizio delle proprie funzioni dovrebbe essere la richiesta di<br />

riunione ex art. 62 comma 2 della Costituzione. Senza di questo atto<br />

preliminare ogni eventuale altro atto del deputato sarebbe inutiliter<br />

datum, fino al giorno della riunione precedentemente fissata nel decreto<br />

presidenziale.<br />

È appunto nella prima riunione infatti che, eleggendosi l'Ufficio di<br />

Presidenza, si stabilisce il centro di propulsione formativa dell'intero<br />

ordinamento camerale (si vedano i fondamentali: art. 27 Regolamento<br />

Camera sulla costituzione dei gruppi parlamentari e art. 8 sulla nomina<br />

dei componenti delle tre Giunte principali). Da questo momento<br />

può veramente dirsi che la Camera è formata o costituita, come dice<br />

l'art. 7 del regolamento: « Quando la costituzione della Camera è compiuta,<br />

il Presidente ne informa il Presidente della Repubblica e il Senato ».<br />

LO STATO GIURIDICO DEL DEPUTATO E <strong>IL</strong> PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA.<br />

L'art. 3 della Costituzione stabilisce il principio fondamentale dell'eguaglianza<br />

: « Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali<br />

davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,<br />

di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali ».<br />

Questo significa che il nostro ordinamento generale rifiuta il principio<br />

di distinzione tra i componenti la propria collettività: distinzione<br />

che fino al secolo XVIII era basata sul concetto di status personale:<br />

a seconda della classe giuridica, del sesso, della natio, ecc. (7).<br />

(6) Non si dimentichi che il luogo di riunione è essenziale per la legalità dell'attività<br />

della Camera, in forza della prerogativa materiale che circonda le sedi consuete.<br />

(7) M. S. GIANNINI, Corso di diritto amministrativo, Milano 1965, pag. 135


Formazione della Camera - Prerogative 103<br />

Gli articoli della Costituzione dal 65 al 69 non rappresentano una<br />

eccezione al principio fondamentale dell'articolo 3 ma devono rettamente<br />

interpretarsi come norme dirette a stabilire le necessarie incidenze<br />

personali della posizione garantita all'organo Camera nell'ordinamento<br />

costituzionale generale.<br />

Il concetto era stato già colto dalla dottrina, vigente lo Statuto<br />

albertino, contrapponendo la nozione di privilegio, quale istituto d'eccezione<br />

nel sistema, predisposto alla tutela dell'interesse del singolo, e<br />

l'istituto della prerogativa la cui titolarità spetta all'organo costituzionale<br />

di cui tutela il funzionamento.<br />

Nell'attuale Costituzione la suddetta interpretazione risulta ancor<br />

più fondata. In linea generale, la costruzione del concetto di sovranità<br />

ricavabile dall'articolo 1 che ne stabilisce l'appartenenza permanente<br />

ai popolo, viene a confermare la posizione giuridicamente paritaria<br />

fra organi costituzionali nel nostro ordinamento; posizione ribadita<br />

dall'introduzione dell'istituto del conflitto di attribuzioni fra poteri dello<br />

Stato, di cui all'articolo 134 della Costituzione.<br />

In linea specifica, in riferimento alle più tipiche norme di tutela<br />

(artt. 68, 65, 66) è da rilevare la posizione del tutto nuova assunta<br />

nella Costituzione dall'ordine giudiziario, posizione sostanzialmente paritaria<br />

rispetto a quella degli altri organi sovrani, con la conseguente<br />

necessità di una delimitazione obiettiva di ambiti e di sfere fra Parlamento<br />

e potere giudiziario.<br />

Nella descrizione della posizione soggettiva del parlamentare, l'uso<br />

di termini quale prerogativa e immunità avrà perciò un significato atecnico,<br />

di omaggio alla tradizione terminologica, restando fermo il concetto<br />

che nell'ordinamento generale esiste una serie di garanzie funzionali<br />

dell'organo rispetto a cui le norme riguardanti i singoli parlamentari<br />

adempiono una funzione strumentale. Non esistono invece posizioni<br />

soggettive autonome ed eccezionali rispetto al diritto comune.<br />

In conclusione, se si vuole accedere ad una nozione di status del<br />

parlamentare si deve far capo propriamente all'ordinamento particolare<br />

della Camera: in questo ambito è possibile quella soggettivazione in<br />

senso tecnico che ha effetti solo indiretti nell'ordinamento generale, informato<br />

al principio di uguaglianza fra cittadini e fra organi di esercizio<br />

della sovranità.<br />

In conseguenza di questa sua posizione, il deputato non è titolare<br />

nell'ordinamento generale di un autonomo potere d'azione a garanzia<br />

del proprio status, ma può fare valere la sua posizione soggettiva soltanto<br />

nell'ambito dell'ordinamento interno della Camera. D'altra parte


104 Formazione della Camera - Prerogative<br />

è solo l'organo Camera nella condizione giuridica di esercitare determinati<br />

poteri da cui derivano particolari situazioni nell'ordinamento<br />

esterno: quali la convalida della qualità di deputato o la concessione<br />

dell'autorizzazione a procedere.<br />

LA PREROGATIVA DELLA VERIFICA <strong>DEI</strong> POTERI.<br />

1. - L'atto mediante il quale viene attribuito ad un cittadino la<br />

qualità di deputato, e si determina il suo inserimento nell'organo Camera,<br />

è la proclamazione. « I deputati - detta l'art. 1 del Regolamento<br />

Camera - per il solo fatto dell'elezione entrano immediatamente nel<br />

pieno esercizio delle loro funzioni con la proclamazione ». Si distinguono<br />

due tipi di proclamazione. La prima è quella compiuta dall'autorità<br />

elettorale competente al momento delle elezioni generali (si tratta del<br />

presidente dell'ufficio centrale circoscrizionale (8) che agisce, in base<br />

all'art. 78 T. U. leggi elezioni Camera dei deputati, quando la proclamazione<br />

riguarda candidati eletti direttamente in sede circoscrizionale<br />

o in base all'art. 84 stesso T. U., quando la proclamazione riguarda<br />

candidati eletti attraverso il meccanismo di utilizzazione dei resti). Il<br />

secondo tipo di proclamazione è quella successiva o dei subentranti. Essa<br />

viene compiuta direttamente dal Presidente della Camera (cfr. art. 18,<br />

comma 1, Regolamento Giunta elezioni) ed interviene quando, rimasto<br />

vacante un seggio per qualsiasi causa, si deve procedere alla sostituzione<br />

in base alla procedura di cui all'art. 86 T. U. 1957: cioè attribuendo<br />

il seggio al candidato che, nella stessa lista e circoscrizione,<br />

segue immediatamente l'ultimo eletto.<br />

Con la proclamazione, il deputato acquista, come si è detto, le<br />

prerogative della carica e tutti i diritti inerenti alle sue funzioni: partecipazione<br />

alle sedute della Camera e delle Commissioni, presentazione<br />

di progetti di legge ed emendamenti, partecipazione alle votazioni, iscrizione<br />

ad un gruppo parlamentare, ecc.<br />

La pienezza di poteri che viene riconosciuta al deputato con la<br />

proclamazione non equivale, però, a definitività della sua posizione.<br />

Perché ciò avvenga e la posizione del deputato risulti perfetta è<br />

necessaria un'altra pronuncia da parte della Camera: la convalida.<br />

(8) Uufficio centrale circoscrizionale, composto di tre magistrati, dei quali uno<br />

con funzioni di appello, è costituito, entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto<br />

di convocazione dei comizi, presso la corte d'appello o il tribunale nella cui giurisdizione<br />

è il comune capoluogo del collegio (articolo 13, T. U. 1957).


Formazione della Camera - Prerogative 105<br />

Si tratta di una pronuncia che fa seguito ad un procedimento instaurato<br />

presso un organo della Camera a ciò espressamente costituito:<br />

la Giunta delle elezioni (9).<br />

Il giudizio di convalida, che non può intervenire prima che siano<br />

trascorsi 20 giorni dalla proclamazione, termine in cui è possibile l'inoltro<br />

delle contestazioni, o proteste elettorali » e reclami da parte di cittadini<br />

del relativo collegio o di candidati che vi ottennero voti (art. 87<br />

T. U. 1957, art. 18 Regolamento Camera), si svolge interamente all'interno<br />

della Camera. La delibera che vi mette fine non è impugnabile<br />

presso alcun organo esterno, a differenza di altri paesi dove le<br />

pronunce dell'organo parlamentare di « verifica dei poteri » sono appellabili<br />

presso la suprema magistratura. È appunto questo rilievo che<br />

conduce all'anzidetta deduzione secondo la quale nell'ordinamento generale<br />

non possa parlarsi di status del deputato in senso tecnico.<br />

Le fonti normative sono chiarissime al riguardo. La Costituzione<br />

all'art. 66 dispone che « Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione<br />

dei suoi componenti ». Il T. U. 1957 precisa all'art. 87: « Alla<br />

Camera dei deputati è riservata la convalida della elezione dei propri<br />

(9) La Giunta delle elezioni si compone di 30 deputati scelti dal Presidente<br />

della Camera (articolo 8, b), del Regolamento Camera), sulla base di ufficiose designazioni<br />

dei gruppi parlamentari e tenuto conto di criteri di rappresentanza proporzionale.<br />

I deputati scelti dal Presidente a costituire la Giunta non possono rifiutare la<br />

nomina, né dare le loro dimissioni, e, quand'anche siano date, il Presidente non le<br />

comunica alla Camera. Qualora però la Giunta non rispondesse per un mese alla<br />

convocazione, sebbene ripetutamente fatta dal suo presidente, o non fosse possibile<br />

raccogliere durante lo stesso tempo il numero legale (che è di 12 membri, articolo 19<br />

Regolamento Camera; articolo 2 Regolamentc Giunta elezioni), il Presidente della<br />

Camera provvedere a rinnovarla (articolo 16 Regolamento Camera).<br />

Quest'ultima disposizione è stata, nella IV legislatura, ritenuta estensibile anche<br />

a casi singoli, e il Presidente della Camera ha provveduto a sostituire nella<br />

seduta del 2 ottobre 1964 tre membri della Giunta per ripetuto assenteismo, « in<br />

virtù dei principi contenuti nel secondo comma dell'articolo 16 del Regolamento<br />

della Camera ».<br />

La Giunta delle elezioni si riunisce entro 24 ore dalla sua nomina, per invito<br />

del Presidente della Camera, ed elegge nel suo seno un presidente, due vicepresidenti<br />

e tre segretari (articolo 1, comma 1).<br />

La Giunta delle elezioni gode di parziale autonomia regolamentare, in virtù<br />

di rinvio operato dall'articolo 25 del Regolamento Camera. Attualmente la sua<br />

attività è disciplinata dal Regolamento interno adottato il 12 dicembre 1962. Le norme<br />

in esso contenute, come osserva ELIA, « si pongono su un piano gerarchicamente inferiore<br />

rispetto a quelle contenute nel capo V del Regolamento della Camera ».<br />

La Giunta gode anche di autonomia contabile: nel bilancio interno della Camera<br />

viene iscritto un apposito capitolo di spesa la cui amministrazione compete al<br />

Presidente della Giunta, con i normali controlli amministrativi interni.<br />

6*.


106 Formazione della Camera - Prerogative<br />

componenti. Essa pronuncia giudizio definitivo sulle contestazioni, le<br />

proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati » (10).<br />

Poiché in materia elettorale si controverte di diritti ed interessi<br />

legittimi è qui evidente la sottrazione alle ordinarie magistrature di una<br />

importante zona di giurisdizione. Tale sottrazione viene spiegata con la<br />

necessità di salvaguardare, di fronte ad altri poteri, il diritto della Camera<br />

alla verifica della propria composizione. Non si può però tacere<br />

della eventualità che tale sottrazione possa far dipendere dalle decisioni<br />

di un organo politico la stessa esistenza nel mondo del diritto<br />

di incontrovertibili dati di fatto e porsi in contraddizione con le posizioni<br />

garantite dall'art. 51 della Costituzione: « Tutti i cittadini dell'uno<br />

e dell'altro sesso possono accedere (...) alle cariche elettive in condizioni<br />

di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge » (11).<br />

2. - Si esamineranno ora le varie fasi del procedimento di convalida<br />

delle elezioni avvertendo che la stessa struttura procedimentale trova applicazione<br />

anche per l'esame delle cause di ineleggibilità (su cui infra) (12).<br />

(10) Da notare che in seno alla Costituente si delinearono due tendenze. L'una<br />

sostenuta dal relatore Conti, favorevole alla tradizionale prerogativa della Camera;<br />

l'altra, sostenuta dal relatore Mortati, tendente a costituire un tribunale elettorale<br />

di tipo weimeriano, con prevalenza di giudici togati. U testo Mortati suonava così:<br />

« Presso la Camera dei deputati è istituito un Tribunale per la verifica delle elezioni.<br />

Esso è composto da cinque membri che rimangono in carica per la durata della<br />

legislatura, designati uno per ciascuno dai cinque uffici parlamentari che hanno il<br />

maggior numero di membri, scelti fuori del proprio seno, da cinque consiglieri di<br />

Stato scelti a sorte (oppure su votazione del consiglio in assemblea plenaria) e presieduto<br />

dal Presidente della Corte di cassazione. Le decisioni sono prese a maggioranza<br />

con la procedura che sarà fissata da apposita legge » (cfr. Atti Assemblea Costituente,<br />

Commissione per la Costituzione, seconda sottocommissione, 19 settembre<br />

1946, pag. 215). Da tale testo scaturì poi un emendamento che lo stesso Mortati<br />

presentò il 10 ottobre 1947 all'Assemblea e in cui, come nota I'ELIA, il modello<br />

più che quello weimeriano, apparve quello inglese : « Un tribunale elettorale, composto<br />

in numero pari di magistrati della Cassazione, del Consiglio di Stato e di<br />

membri eletti dalle due Camere, e presieduto dal Primo Presidente della Cassazione,<br />

giudica del possesso dei requisiti per la nomina a membro del Parlamento, nonché<br />

delle questioni relative alla perdita del mandato. Compete a ciascuna Camera la pronuncia<br />

definitiva sull'ammissione dei propri membri e sulla loro cessazione ». Tale<br />

emendamento fu respinto.<br />

(11) Esempio di decisione della Camera in materia elettorale, contrastante<br />

con dati di fatto che in base alla legge avrebbero dovuto portare ad una diversa<br />

deliberazione, è stato nella IV legislatura il caso del deputato Franchi, la cui elezione<br />

fu convalidata dalla Camera nella seduta del 30 gennaio 1964 sebbene il predetto<br />

deputato avesse riportato nelle elezioni politiche del 1963 trentanove voti in<br />

meno rispetto al candidato che lo seguiva.<br />

(12) Si tenga però presente la norma del tutto eccezionale che contrassegna<br />

tale procedimento per l'ipotesi di casi di ineleggibilità riconosciuti all'unanimità dei<br />

presenti. In tal caso « si può prescindere dal procedimento di contestazione, ma la<br />

proposta dell'annullamento della elezione deve essere presentata alla Camera con relazione<br />

stampata » (articolo 14, comma 2, Regolamento Giunta elezioni).


Formazione della Camera - Prerogative 107<br />

In linea generale, si deve tener presente che l'attività di verifica<br />

può « prescindere completamente dalla esistenza di una lite od anche<br />

da una partecipazione degli interessati alla fase del procedimento ispirata<br />

al principio del contraddittorio » (13).<br />

D rilievo riguarda soprattutto la fase cosiddetta di delibazione:<br />

quella consistente nell'attività di indagine e di studio documentale condotta<br />

da un deputato-relatore o da un apposito comitato di indagine<br />

e che sfocia nella proposta di contestazione o non contestazione della<br />

elezione.<br />

Quando delibera sull'ammissibilità della contestazione, la Giunta<br />

pronuncia normalmente (salvo che non ritenga di dover procedere alla<br />

nomina di un Comitato inquirente, ex artt. 7, 16 e 17 Regolamento<br />

Giunta elezioni) senza l'audizione delle parti. Le conseguenze sono gravi<br />

nel caso in cui la Giunta deliberi di respingere in limine la contestazione.<br />

In tal maniera, infatti, sulla base del solo esame dei documenti<br />

e senza obbligo di motivare la propria decisione, la Giunta preclude<br />

al ricorrente la garanzia del pubblico contraddittorio (cfr. art. 7 Regolamento<br />

Giunta elezioni : « Il relatore, presi in esame i documenti della<br />

circoscrizione e le eventuali proteste, propone la convalida o la contestazione<br />

delle elezioni »).<br />

Naturalmente sussiste la possibilità che la Camera si opponga alla<br />

dichiarazione di convalida che il Presidente si accinga a fare in seguito<br />

alla « comunicazione » in tal senso della Giunta.<br />

Giova avvertire che si tratta però di ipotesi del tutto straordinaria.<br />

Normalmente la fase in Assemblea del procedimento di convalida è ridotta<br />

ad una mera « presa d'atto » e la formulazione adottata negli<br />

atti parlamentari non prevede, neppure sotto la tradizionale annotazione<br />

formale della mancanza di « obiezioni », una specifica manifestazione<br />

di volontà assembleare (14).<br />

(13) Cosi ELIA, Elezioni politiche (contenzioso), in « Enc. del diritto», voi. XIV,<br />

pag. 747 e segg. (ibidem i riferimenti di cui alle note 9 e 10).<br />

(14) La formula rituale di convalida letta dal Presidente della Camera è la<br />

seguente : « La Giunta delle Elezioni ha verificato non essere contestabile la seguente<br />

elezione e, concorrendo nell'eletto le qualità richieste dalla legge, l'ha dichiarata valida:<br />

(nome del deputato convalidato). Do atto alla Giunta di questa comunicazione<br />

e dichiaro convalidata la suddetta elezione ».<br />

Questa formula ripete la sua origine dal disposto dell'articolo 11, comma 3,<br />

Regolamento Giunta elezioni: «Se la elezione è convalidata, ne è data immediata<br />

comunicazione alla Presidenza della Camera ». Argomentando da tale disposizione,<br />

è stata a più riprese sostenuta la tesi della < esclusività » della competenza<br />

della Giunta a convalidare le elezioni non contestate. Si tratta, in realtà, di<br />

una tesi che attribuisce un plusvalore alla prassi corrente che vede, come è detto<br />

nel testo, la Camera limitarsi ad una semplice presa d'atto delle elezioni dichiarate


108 Formazione della Camera - Prerogative<br />

La posizione del ricorrente sarebbe, pertanto, certamente meglio<br />

tutelata dalla possibilità di immediato contraddittorio dinanzi all'organo<br />

cui compete la sostanziale decisione sull'ammissibilità del reclamo.<br />

Nella contraria ipotesi che il reclamo venga ammesso e l'elezione<br />

venga quindi dichiarata contestata, si apre invece una fase caratterizzata<br />

da ampie garanzie giurisdizionali.<br />

Vi è, innanzitutto, la garanzia dell'udienza pubblica di cui viene<br />

dato annunzio con apposito avviso comunicato alle parti e affisso nell'albo<br />

del Palazzo di Montecitorio. Dal giorno dell'affissione a quello<br />

della discussione devono passare non meno di dieci giorni interi (art. 23<br />

Regolamento Camera; art. 12 Regolamento Giunta elezioni).<br />

Vi è, in secondo luogo, la garanzia del contraddittorio, sia nella<br />

fase pregiudiziale sia nel corso dell'udienza. Le parti possono infatti<br />

presentare nuovi documenti e deduzioni fino al quinto giorno prece-<br />

non contestabili dalla Giunta. A parte infatti che vi sono nell'esperienza statutaria<br />

almeno due casi (20 giugno 1879, 20 febbraio 1880) in cui la Camera dichiarò contestate<br />

due elezioni dichiarate incontestabili dalla Giunta, è da osservarsi che manca<br />

qualsiasi fondamento logico-giuridico ad una differenziazione dei poteri dell'Assemblea<br />

a seconda che si tratti o meno di elezione contestata. Se mai una differenziazione<br />

di tal genere potesse ipotizzarsi, essa dovrebbe essere esattamente in senso<br />

contrario a quella che viene sostenuta: cioè sarebbe più logico che l'Assemblea intervenisse<br />

proprio sulle elezioni dichiarate non contestate (con il discutibile procedimento<br />

di cui nel testo) e si limitasse, invece, ad una semplice presa d'atto delle<br />

conclusioni della Giunta sulle elezioni contestate (conclusioni adottate con le ampie<br />

garanzie procedimentali che saranno descritte).<br />

Poiché l'Assemblea non rinuncia al suo potere di dire l'ultima parola in materia<br />

di verifica di poteri neppure in presenza di vere e proprie pronunce di tipo<br />

giurisdizionale, non sembra potersi attribuire al disposto dell'articolo 11, comma 3,<br />

del Regolamento Giunta delle elezioni, un significato superiore a quello che la logica<br />

suggerisce. La convalida di cui all'articolo 11 va pertanto intesa come espressione<br />

di un giudizio della Giunta, di natura (proposta) analoga a quello espresso dopo<br />

il procedimento pubblico di contestazione, e quindi non sottratto alla possibilità<br />

di intervento contestativo dell'Assemblea nel momento in cui il Presidente della<br />

Camera ne dà comunicazione. Concorda ELIA : e Non si può dire che l'intervento<br />

dell'Assemblea si risolva in un semplice prender atto o prender conoscenza, ma, se<br />

mai, in una non opposizione al deliberato della Giunta che, del resto, acquista la<br />

sua efficacia soltanto con la dichiarazione del presidente dell'Assemblea ». Lo stesso<br />

A. propone che in sede regolamentare si stabilisca l'ammissibilità solo di una « opposizione<br />

sufficientemente motivata », e che ove la Giunta sostenesse nuovamente<br />

la convalida, un secondo rinvio alla Giunta vincolerebbe questa a dichiarare la contestazione,<br />

op. ult. cit. pag. 768-769.<br />

Circa gli effetti dell'intervento contestativo dell'Assemblea la dottrina è infatti<br />

divisa: da qualche autore si ritiene che il diniego di convalida della Camera obblighi<br />

la Giunta ad indire la pubblica udienza di discussione (così MAZZIOTTI, Osservazioni sulla<br />

natura dei rapporti fra la Giunta delle elezioni e la Camera dei Deputati, in « Giur.<br />

Cost. » 1958, pag. 421 e segg.) ; si obietta da altri che il diniego di convalida della Camera<br />

non potrebbe avere se non il limitato effetto di rinvio degli atti alla Giunta per un


Formazione della Camera - Prerogative 109<br />

dente la discussione pubblica (15); la Giunta ammette alla sua presenza<br />

tanto i sottoscrittori della protesta quanto il deputato eletto: è<br />

ammessa la rappresentanza processuale e la produzione di testimoni<br />

(art. 20 Regolamento Camera). L'udienza si apre con un'esposizione<br />

del relatore il quale riassume i fatti e le questioni senza esprimere<br />

giudizi. Dopo di lui parla un solo rappresentante di ciascuna delle<br />

parti. È consentita una breve replica (art. 15 Regolamento Giunta elezioni).<br />

Non sono ammessi a patrocinare innanzi alla Giunta i deputati<br />

del Parlamento, salvo quando si tratti di difendere la propria elezione<br />

(art. 30 Regolamento Camera).<br />

Vi è, in terzo luogo, la garanzia della concentrazione processuale.<br />

Chiusa la discussione, la Giunta si riunisce, infatti, immediatamente in<br />

camera di consiglio per la decisione che deve essere adottata subito o,<br />

in casi eccezionali, non oltre 24 ore (16). La decisione è subito dopo<br />

comunicata dal presidente della Giunta in udienza (art. 15 Regolamento<br />

Giunta elezioni).<br />

Vi è, infine, la garanzia della motivazione. La decisione della Giunta<br />

dopo l'udienza pubblica, letta dal Presidente, contiene una breve parte<br />

motiva che viene poi conglobata e sviluppata nella relazione per l'Aula.<br />

Anche in questo caso, infatti, la procedura di convalida si concluderà<br />

con una delibera della Camera, adottata sulle conclusioni motivate<br />

della Giunta (art. 23 Regolamento Camera). Sarà pertanto possibile<br />

che la decisione della Camera (che può essere preceduta da un<br />

dibattito ma anche consistere in una pura e semplice votazione sulle<br />

nuovo esame (così COSENTINO, La verifica dei poteri in Parlamento; la convalida,<br />

in « La politica parlamentare», 1953, pag. 110 e segg.). In quest'ultimo senso si<br />

orientò la Presidenza della Camera per una questione sorta su una deliberazione di<br />

convalida della Giunta il 22 giugno 1948. La proposta di rinvio alla Giunta, posta<br />

ai voti, fu respinta.<br />

(15) La norma dell'articolo 13 Regolamento interno Giunta elezioni («le<br />

parti possono presentare nuovi documenti e deduzioni, fino al quinto giorno precedente<br />

la discussione pubblica; trascorso questo termine, non possono essere<br />

ammessi altri documenti») ha dato luogo a viva discussione circa l'ammissibilità<br />

di documenti nuovi in Assemblea. Si contrastano la tendenza, ispirata<br />

a garantismo di tipo processuale, per cui la produzione documentale deve essere valutata<br />

nella sua consistenza in un lasso di tempo sufficientemente congruo rispetto<br />

alla decisione e la tendenza volta all'accertamento della verità senza remore procedurali.<br />

Il problema, discusso nella seduta della Camera del 23 febbraio 1961, non ha<br />

avuto soluzione nella pratica. Sembra per altro che la linea di raccordo fra le due<br />

esigenze sopra illustrate debba passare per la procedura del rinvio alla Giunta per un<br />

supplemento istruttorio e una nuova udienza pubblica ove i nuovi elementi prodotti<br />

non risultino manifestamente irrilevanti.<br />

(16) È da avvertire che la prassi della Camera prevede in camera di consiglio<br />

l'assistenza normale dei funzionari parlamentari addetti alla Giunta.


no<br />

Formazione della Camera - Prerogative<br />

conclusioni della Giunta) sia di avviso contrario o diverso da quello<br />

della Giunta.<br />

Si tratta di una eventualità non troppo remota, come insegna la<br />

storia parlamentare che ha registrato clamorosi casi di discrasia tra<br />

Camera e Giunta, prevalendo nel collegio minore un rigorismo giuridico<br />

che può essere invece perduto nella più vasta Assemblea ove questa<br />

giudichi che sussista una ragione politica che debba prevalere sui criteri<br />

normali della interpretazione giuridica.<br />

Questa discrasia risulta particolarmente grave ove si controverta<br />

non su criteri interpretativi, ma più semplicemente l'Assemblea rifiuti<br />

di prendere atto, senza contestarlo nel merito, dell'accertamento di dati<br />

di fatto compiuti dalla Giunta delle elezioni con le garanzie sopra<br />

ricordate.<br />

Nonostante i numerosi tentativi di razionalizzazione che l'esperienza<br />

parlamentare in periodo statutario e in periodo repubblicano (17) ha<br />

registrato, non si è però mai riusciti a pervenire ad una ripartizione<br />

tale da rendere inappellabile il giudizio della Giunta su determinate<br />

questioni. La ragione è risieduta principalmente, come è intuibile, nella<br />

difficoltà di stabilire una precisa individuazione dei dati di fatto non suscettibili<br />

di diversa valutazione (18).<br />

Si deve osservare al riguardo che, secondo una parte della dottrina,<br />

la Giunta, procedendo alle indagini e agli esami di sua competenza,<br />

ha gli stessi poteri (e incontra le stesse limitazioni) dell'autorità<br />

giudiziaria. A tale conclusione si arriva attraverso l'interpretazione si-<br />

(17) II tentativo più recente è quello contenuto nella proposta di modifica<br />

al Capo V del Regolamento della Camera presentato dal Presidente della Giunta<br />

delle elezioni, Scalfaro, il 5 gennaio 1966 (Doc. X, n. 11 - A. P. Camera, IV legislatura).<br />

Sul punto specifico vi è in tale proposta un articolo 25-ter, sui « poteri<br />

dell'Assemblea», il quale così recita: «L'Assemblea delibera su proposta della Giunta.<br />

Quando lo ritenga necessario, rinvia gli atti alla Giunta per ulteriori indagini.<br />

Qualora le conclusioni della Giunta discendano esclusivamente da risultati di accertamenti<br />

numerici, l'Assemblea si limita a prenderne atto».<br />

(18) Anche un dato numerico, quale l'età minima per essere eletto deputato,<br />

potè essere oggetto di diverso giudizio, quando mutato il sistema elettorale dal<br />

principio uninominale a quello proporzionale, la Camera si trovò dinanzi alle diverse<br />

conseguenze prodotte dalla pronuncia di decadenza. Dinanzi alla prospettiva di una<br />

esclusione per l'intera legislatura dell'eletto che possedesse il requisito al momento<br />

della convalidazione ma non al momento della proclamazione, la Camera si indusse<br />

a convalidare tali elezioni contro la lettera della legge e contro la precedente prassi<br />

(che aveva però la limitata conseguenza d'annullamento della elezione nel collegio<br />

con possibilità di ripresentazione dell'escluso che avesse regolarizzato la propria posizione).<br />

Si v. sulla questione un intervento di V. E. Orlando nella tornata del 2 giugno<br />

1922 (ora in Discorsi parlamentari di V. E. Orlando, voi. IV, pag. 1548, Roma,<br />

Tipografia della Camera dei Deputati, 1965).


Formazione della Camera - Prerogative 111<br />

stematica di due articoli della Costituzione: Fart. 66 che attribuisce alle<br />

Camere la funzione di verifica e l'art. 82 che, trattando delle inchieste<br />

parlamentari, indica il tipo di strumenti e di poteri che la Camera potrebbe<br />

utilizzare anche nelle inchieste elettorali (19). Il fatto che l'Assemblea<br />

rifiuti di prendere atto dell'accertamento di dati di fatto compiuto<br />

dalla Giunta risulta pertanto fortemente difforme dai principi<br />

generali che informano il sistema.<br />

La possibilità di una diversa valutazione fra Giunta e Assemblea<br />

non elide però, secondo l'opinione pressocché unanime della dottrina,<br />

la natura sostanzialmente giurisdizionale delle deliberazioni della Camera<br />

sulle elezioni contestate.<br />

Si verifica, in effetti, in materia una ripartizione di competenza fra<br />

Giunta ed Assemblea, analoga a quella che intercone fra una giurisdizione<br />

di primo grado e una di secondo grado, o, con più puntuale<br />

paragone, fra una sezione istruttoria e l'organo giudicante. È stato proposto<br />

anche il suggestivo richiamo al rapporto esistente fra organo di<br />

giustizia amministrativa e organo sovrano in regime di justice retarne.<br />

« In entrambi i casi si ha infatti un organo sovrano, cui spetta di decidere<br />

su questioni in cui esso è direttamente interessato - la Camera,<br />

perché le contestazioni elettorali riguardano la sua stessa composizione;<br />

il capo dello Stato perché il contenzioso amministrativo riguarda l'attività<br />

del potere esecutivo di cui egli è titolare. Nell'un caso e nell'altro<br />

il sovrano, per adempiere a questa sua funzione giurisdizionale, si avvale<br />

di un altro organo, regolato prevalentemente con norme emanate dallo<br />

stesso sovrano e organizzato come un tribunale. Esso giudica le varie<br />

questioni e ne prepara la decisione, mentre il sovrano si riserva soltanto<br />

il potere di dare o negare ad esse la sua approvazione e, in casi più o<br />

(19) Cfr. ELIA, op. cit., pag. 765. Il rilievo è importante specie per quanto riguarda<br />

i poteri dei comitati inquirenti di cui agli articoli 16 e 17 del Regolamento<br />

interno della Giunta delle Elezioni. La sfera in cui si muovono tali comitati è<br />

infatti di tipo chiaramente giurisdizionale. Importanti per tale conclusione < seguenti<br />

punti: la garanzia del contraddittorio in tutto l'arco dell'attività istruttoria; il<br />

potere riduttivo delle liste di testimoni presentati dalle parti; la facoltà di interrogare<br />

tutti i testimoni che si ritenga utili all'istruttoria, anche se non compresi nelle<br />

liste presentate dalle parti, trasferendosi, ove occorra, sul luogo delle indagini; la<br />

segretezza, anche rispetto agli altri componenti della Giunta, dell'attività del comitato<br />

(cfr. articolo 17, ultimo comma: « I verbali di inchiesta sono riservati esclusivamente<br />

ai componenti del Comitato, salva espressa deliberazione della Giunta da<br />

prendersi caso per caso. Di essi non è ammessa comunicazione ad alcuna autorità»).<br />

La Giunta delle Elezioni della Camera ha fatto già uso del potere di citare<br />

testimoni, sotto la minaccia di sanzioni penali previste dall'articolo 650 del codice<br />

penale (cfr. Atti pari. Cam. Dep„ I leg., relaz. Avanzini sulla elezione contestata<br />

di Ricciardi Mario; doc. VII, n. 6, % 3).


112 Formazione della Camera - Prerogative<br />

meno rari, di modificarle. A quest'analogia di situazioni e di strutture<br />

corrisponde l'identità della causa, per la quale la decisione definitiva<br />

delle controversie non viene stabilmente delegata all'organo che, per<br />

la sua composizione e il suo funzionamento, appare più adatto a svolgerla,<br />

e cioè la volontà del sovrano di non essere tenuto ad osservare<br />

decisioni diverse dalle proprie » (20).<br />

La posizione di indipendenza di tipo giurisdizionale in cui così agisce<br />

la Giunta delle elezioni, confermata dai concreti moduli di svolgimento<br />

della sua attività (21), determina alcune importanti conseguenze:<br />

a) incompatibilità fra la natura di organo giurisdizionale della<br />

Giunta (sia pure non esauriente totalmente la funzione giurisdizionale<br />

della Camera in materia elettorale) e una eventuale prefissazione da parte<br />

della Camera di principi interpretativi in base a cui far svolgere la successiva<br />

attività della Giunta. È stato sul punto osservato che « se si ammette<br />

che i criteri interpretativi della legge possano essere prefissati dall'Assemblea<br />

alla Giunta, non soltanto si viola l'indipendenza di questa,<br />

ma, dettandole dei canoni di giudizio conformi alla volontà di una maggioranza<br />

politica, si fa in modo che le singole questioni vengano portate<br />

dinanzi all'Assemblea già colorate della tinta politica che la maggioranza<br />

desidera e che è tanto più intensa, in quanto una deliberazione,<br />

come quella di cui si tratta, viene presa senza le garanzie che circondano<br />

il procedimento legislativo e quelle che tutelano l'esercizio della funzione<br />

giurisdizionale sulla verifica dei poteri » (22);<br />

b) possibilità che con decisione autonoma della Giunta delle elezioni<br />

(cioè, indipendentemente dall'intervento dell'Assemblea) si sollevi<br />

questione di legittimità costituzionale su una legge elettorale, secondo<br />

i principi di rilevanza regolanti il relativo procedimento. In tal caso,<br />

il giudizio rimarrà sospeso sino alla pronuncia della Corte costituzionale<br />

in materia. In caso di pronuncia d'accoglimento, la Camera dovrà<br />

evidentemente provvedere « nelle forme costituzionali » (cfr. art. 136,<br />

(20) MAZZIOTTI, op. cit., pag. 433.<br />

(21) Nonostante i rilievi che si sono esposti in precedenza, anche il e. d.<br />

giudizio di delibazione della Giunta, cioè il giudizio preliminare che sfocia nella<br />

deliberazione se l'elezione debba essere o meno contestata, sembra. che debba essere<br />

considerato di carattere sostanzialmente giurisdizionale. Tale attività rientrerebbe infatti<br />

nel tipo di controlli-giudizi (su cui FERRARI, Gli organi ausiliari, Milano 1956,<br />

pag. 275) costituenti una specie di < giurisdizione sfumata », caratterizzata dall'imparzialità<br />

dell'organo e dal fatto che la dichiarazione che li conclude non è una dichiarazione<br />

di volontà di tipo politico-amministrativo, ma una effettiva decisione conclusiva<br />

del giudizio, emessa sulla base degli elementi in esso raccolti (di natura simile: il<br />

«visto» della Corte dei Conti). Sulla questione si v. MAZZIOTTI, op. cit., pag. 431.<br />

(22) MAZZIOTTI, op. cit., pag. 440.


Formazione della Camera - Prerogative 113<br />

comma 2, della Costituzione) per permettere alla Giunta di concludere<br />

il proprio giudizio (23);<br />

e) ammissibilità dell'istituto dell'astensione. La prassi non ha ritenuto<br />

contrastante con il carattere indeclinabile proprio della carica di<br />

membro della Giunta ex art. 16 Regolamento Camera, la possibilità di<br />

un'astensione dall'esercizio delle relative funzioni in presenza di apprezzabili<br />

motivi di opportunità.<br />

A tal riguardo è da leggersi come espressione di un principio generale<br />

l'art. 6 comma 2 del Regolamento Giunta elezioni (la cui collocazione<br />

sembra riferirsi alla sostituzione di taluno dei relatori per il<br />

giudizio-controllo preliminare che si instaura per tutte le circoscrizioni<br />

subito dopo le elezioni). In base al predetto articolo, in « qualsiasi » caso<br />

« si rendano necessarie sostituzioni, ad esse provvede il Presidente dandone<br />

comunicazione alla Giunta con l'indicazione dei motivi ».<br />

La latitudine di tale previsione normativa consente di ritenere non<br />

scorretta la prassi che registra astensioni di singoli membri della Giunta<br />

da determinati procedimenti o attività.<br />

(23) L'eventualità di un rinvio alla Corte costituzionale per accertare la legittimità<br />

delle norme vigenti in materia di utilizzazione dei resti in relazione alla<br />

successiva legge costituzionale 9 febbraio 1963, n. 2, è stata presa in considerazione<br />

e respinta dalla Giunta delle elezioni della Camera nella seduta del 30 gennaio 1964<br />

« in base ai principi generali sull'autonomia degli organi costituzionali e sulle loro<br />

competenze ». Si deve al riguardo rilevare che il giudizio della Corte sulla legittimità<br />

della norma da applicare è evidentemente estraneo sia all'esplicarsi dell'autonomia<br />

della Giunta e della Camera (non riguardando norme destinate ad operare<br />

nei rispettivi ordinamenti interni, ma norme vigenti nell'ordinamento generale), sia<br />

all'esercizio delle rispettive competenze (che non possono consistere - se non in via<br />

cautelativa e di parere rispetto a progetti di legge, come la prassi riscontra nell'attività<br />

della Commissione Affari costituzionali - nel dichiarare la legittimità o l'illegittimità<br />

costituzionale di una norma di legge vigente). Dovrebbe soltanto essere esclusa<br />

nei confronti della Giunta e della Camera la operatività di una sentenza del tipo<br />

e. d. interpretativo: ammesso infatti che la Corte costituzionale possa emettere<br />

sentenze di questo tipo, è certo da escludere che esse possano vincolare Giunta e<br />

Camera nella loro autonoma interpretazione della legge.<br />

È importante al riguardo osservare che poco tempo dopo l'accennata decisione<br />

della Giunta delle elezioni della Camera, il Senato, nella seduta del 10 marzo<br />

1964, ha ritenuto la possibilità di sollevare la questione di legittimità costituzionale<br />

nel procedimento di verifica ed ha accolto l'opinione che, almeno in relazione alle<br />

norme di legge richiamate nella specie, il potere di sollevare la questione spettasse<br />

all'Assemblea e non alla Giunta.<br />

Sul punto scrive I'ELIÀ (op. cit., pag. 790) : « Appare particolarmente grave<br />

negare la possibilità che una quaestio legitìmitatis arrivi alla Corte partendo dalle<br />

Camere, giacché, mentre impugnando le deliberazioni dei consigli comunali, si perviene<br />

ad instaurare giudizi presso organi che hanno sicuramente natura giurisdizionale<br />

e che possono quindi funzionare come giudici a quo, nulla di tutto questo è<br />

possibile per i giudizi elettorali davanti alle Camere. Pertanto o si riesce a investire<br />

la Corte passando attraverso la verifica dei poteri, o altrimenti il supremo organo<br />

di giustizia costituzionale potrà sindacare la conformità a Costituzione delle sole<br />

leggi elettorali amministrative e non già di quelle politiche: che è conclusione quanto<br />

meno conturbante ».


114 Formazione della Camera - Prerogative<br />

Benché parte della dottrina (24) ne parli come conseguenza necessaria<br />

della natura giurisdizionale della Giunta, non sembra invece potersi<br />

ammettere istanza di ricusazione nei confronti di taluno dei membri<br />

della Giunta.<br />

Deve ritenersi, al riguardo, che sussista a favore dei membri<br />

della Giunta, nell'ordinamento interno della Camera, una presunzione<br />

assoluta di imparzialità. Questa presunzione nasce con il particolare<br />

procedimento di nomina da parte del Presidente della Camera (art. 8<br />

del Regolamento): il quale è un procedimento perfettamente libero, non<br />

sottoposto a vincoli né a condizioni e quindi non contestabile da parte<br />

dell'Assemblea; ed è confermata dall'indeclinabilità della carica, da interpretarsi<br />

nel senso che l'equilibrio impresso dalla Presidenza alla composizione<br />

dell'organo (equilibrio in cui è la maggiore garanzia di imparzialità<br />

per un collegio di essenza politica) non può essere alterato<br />

con rinunce da parte dei nominati.<br />

Questa presunzione assoluta di imparzialità copre quindi l'intero<br />

Collegio e ciascuno dei suoi componenti: incompatibile con essa risulterebbe<br />

dunque un diritto di ricusazione che potrebbe scaturire anche<br />

da motivazioni strettamente politiche e alterare la composizione del<br />

collegio (si deve infatti osservare che le norme regolamentari in vigore<br />

non contemplano la nomina di membri supplenti per la Giunta, come<br />

invece è previsto, ad esempio, dalle norme vigenti in materia di procedimento<br />

d'accusa per la relativa Commissione inquirente: cfr. artt. 2<br />

e 5 del Regolamento parlamentare per i procedimenti d'accusa in relazione<br />

all'art. 4, commi 2 e 3 : « I commissari non possono essere ricusati.<br />

Hanno tuttavia facoltà di astenersi, con il consenso del Presidente<br />

della Camera dei deputati, nei casi in cui il codice di procedura penale<br />

ammette la ricusazione del giudice o quando esistono gravi ragioni di<br />

convenienza »).<br />

3. - La posizione giuridica del deputato, conseguente alla proclamazione<br />

può essere invalidata per due ordini di ragioni: a} per irregolarità<br />

delle operazioni elettorali; b) per cause di ineleggibilità originarie.<br />

Tuttavia, anche lo status perfetto conseguente alla convalida può essere<br />

attaccato e ciò può avvenire: a) per irregolarità delle operazioni elettorali<br />

venute alla luce per successive verifiche; b) per cause di ineleggibilità<br />

sopravvenute; e) per cause di incompatibilità.<br />

(24) MAZZIOTTI, op. cit., pag. 430; VXRGA, La verifica dei poteri, Palermo (s. d.),<br />

pag. 64.


Formazione della Camera - Prerogative 115<br />

Prima di dare paratamente ragione delle varie fattispecie, sembra<br />

opportuno valutare quale sia il concreto ambito di discrezionalità della<br />

Giunta nell'accertamento e nella valutazione dei casi di patologia della<br />

posizione del deputato.<br />

Il criterio definitorio della competenza è dato dall'art. 65 della Costituzione<br />

per cui « la legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità<br />

con l'ufficio di deputato o di senatore ». Sarebbe pertanto<br />

incostituzionale una norma del regolamento della Camera che pretendesse<br />

definire in via autonoma casi di ineleggibilità e casi di incompatibilità.<br />

Lo stesso rilievo, anche in mancanza di una norma esplicita<br />

della Costituzione, deve valere per quanto concerne la procedura elettorale:<br />

nel senso che non potrebbe la Camera prescindere da quanto<br />

dispone la legge in materia elettorale, imponendo propri criteri valutativi<br />

(25). È da ritenersi però che valgano diverse considerazioni ove<br />

si tratti di legge immediatamente esecutiva della parte normativa tassativamente<br />

definita dalla Costituzione. In questo caso è da ritenersi che<br />

il sistema giurisdizionale Giunta-Camera potrebbe disapplicare la norma<br />

che apparisse in contrasto con la Costituzione e risolvere il caso<br />

concreto con la diretta applicazione di tali norme (26).<br />

Ugualmente la Camera potrebbe risolvere il caso concreto, secondo<br />

i principi dell'analogia legis o dell'analogia iuris, ove il sistema elettorale<br />

presentasse lacune (27).<br />

(25) Si ricordi che le leggi in materia elettorale sono soggette all'obbligatorio<br />

regime della procedura in Assemblea (art. 72, comma 2, Cost.).<br />

(26) Nella ricordata decisione del 30 gennaio 1964 la Giunta delle Elezioni<br />

dopo avere escluso, in base alle considerazioni sopra esposte, il rinvio alla Corte<br />

costituzionale, ammise peraltro la astratta possibilità di far ricorso ad un eventuale<br />

« criterio legislativo e comunque unico, anche in sede di interpretazione o applicazione<br />

analogica » da sostituire ad una normativa giudicata incostituzionale.<br />

(27) Un caso macroscopico di lacuna legislativa fu dato riscontrare nella IV<br />

legislatura a seguito della morte del deputato eletto nel collegio uninominale della<br />

Val d'Aosta. La legge elettorale non prevede infatti un meccanismo di sostituzione<br />

; al riguardo la Giunta delle Elezioni adottò nella seduta del 3 maggio 1966<br />

una « raccomandazione » del seguente tenore : < La Giunta delle Elezioni, esaminate<br />

le questioni relative alla vacanza determinatasi nel collegio uninominale della Valle<br />

d'Aosta ; ritenuto che a norma dell'articolo 56 della Costituzione è urgente provvedere<br />

alla reintegra del plenum della Camera; rilevato che non esiste una specifica<br />

disposizione legislativa che disciplini la surroga in caso di vacanza nel predetto<br />

collegio uninominale ; osservato che il sistema del collegio uninominale senza collegamento<br />

di candidature, proprio della Valle d'Aosta, consente di colmare la vacanza<br />

unicamente con il ricorso ad elezioni suppletive; esprime l'opinione che il<br />

ricorso a elezioni politiche suppletive appare possibile in base a generali principi<br />

del diritto elettorale vigente in relazione al richiamato articolo 56 della Costituzione<br />

». Tale « raccomandazione » rimase per altro senza seguito e, non essendo<br />

giunto all'approvazione un apposito disegno istitutivo del meccanismo suppletivo, la<br />

Camera rimase sino alla fine della IV legislatura con un deputato in meno.


116 Formazione della Camera - Prerogative<br />

a) La regolarità delle operazioni elettorali si definisce in relazione<br />

all'osservanza delle norme contenute nella legge elettorale e alla conformità<br />

al vero dei risultati resi noti dopo le operazioni compiute dalle<br />

sezioni elettorali.<br />

Perché eventuali irregolarità possano incidere sulla proclamazione<br />

del deputato è però necessario che non si tratti di difformità meramente<br />

formali dai comportamenti indicati nella normativa elettorale vigente,<br />

bensì di illegittimità incidenti sul risultato elettorale, tali da falsarlo o<br />

comunque da renderne impossibile l'esatta conoscenza. D'altro canto,<br />

anche l'errore o il fatto doloso che incidano sulla conformità al vero dei<br />

risultati espressi dopo le operazioni compiute dagli uffici elettorali, hanno<br />

rilevanza solo se la loro portata quantitativa è tale da alterare la graduatoria<br />

fra i candidati o addirittura la stessa distribuzione dei seggi fra<br />

le varie liste.<br />

Questo criterio del « risultato politico » che deve necessariamente<br />

guidare un controllo che si estende ad oltre 64 mila sezioni elettorali,<br />

in zone del paese culturalmente e socialmente non omogenee, non esclude<br />

però la responsabilità personale di quanti, addetti agli uffici elettorali,<br />

abbiano reso possibile per mancanza di diligenza o per fatto doloso le<br />

irregolarità riscontrate, se pure non incidenti sul risultato.<br />

Tale principio di distinzione fra responsabilità personali e esattezza<br />

sostanziale del risultato si trova affermato all'art. 10 del Regolamento<br />

interno della Giunta delle elezioni. La norma generale secondo cui la<br />

Giunta, ove sussistano fondati motivi per ritenere che, in occasione di<br />

elezioni siano stati commessi fatti costituenti reato, trasmette gli atti<br />

all'autorità giudiziaria sospendendo la convalida, è derogata infatti dal<br />

secondo comma del predetto art. 10 secondo il quale ove la Giunta<br />

« ritenga che detti fatti non influiscano in maniera determinante sulla<br />

validità della elezione, può procedere alla convalida nonostante la remissione<br />

degli atti alla autorità giudiziaria » (28).<br />

(28) Si osservi che il preminente interesse del « risultato politico » si trova,<br />

anche, in uno specifico obbligo di informazione che incombe sull'autorità giudiziaria<br />

penale. L'autorità giudiziaria, alla quale siano stati rimessi per deliberazione<br />

della Camera dei deputati atti di elezioni contestate, deve infatti ogni tre<br />

mesi informare la Presidenza della Camera delle proprie pronunce definitive o<br />

indicare sommariamente i motivi per i quali i giudizi non sono ancora definiti (articolo<br />

114 T. U. 1957). Un caso di rilevante gravità per la estensione e la capillarità<br />

delle irregolarità, e tuttavia ininfluente, per una sorta di « distribuzione » equilibrata<br />

di voti inesistenti fra i vari candidati, fu denunciato dalla Giunta delle elezioni della<br />

Camera il 27 febbraio 1964 per il collegio XXII (Napoli-Caserta). Attraverso la<br />

verifica di tutte le schede valide la Giunta accertò infatti che si erano verificate irregolarità<br />

nella determinazione dei voti di preferenza dei candidati di alcune liste, in


Formazione della Camera - Prerogative 117<br />

Il sistema elettorale vigente, proporzionale con liste concorrenti,<br />

consente, d'altra parte, l'applicazione del principio utile per inutile vitiatur.<br />

Si veda al riguardo il comma 2 dell'articolo 87 T. U. 1957: «I<br />

voti delle sezioni, le cui operazioni siano annullate, non hanno effetto »<br />

(29).<br />

L'accertamento delle irregolarità delle operazioni elettorali può avvenire<br />

o su base documentale o mediante il controllo generale di tutti<br />

i voti validi espressi nella sezione o nell'intero collegio. L'esperienza dei<br />

casi più importanti è nel senso di far susseguire le due fasi.<br />

Il riscontro documentale può offrire, infatti, in linea di massima,<br />

elementi sintomatici in ordine ad avvenute irregolarità che il successivo<br />

esame delle schede permetterà di accertare in via definitiva e incontrovertibile<br />

(30).<br />

I documenti base su cui ruota la verifica elettorale della Giunta<br />

sono il verbale sezionale, il verbale dell'ufficio centrale circoscrizionale,<br />

il verbale dell'ufficio centrale nazionale.<br />

Del verbale sezionale si redigono due esemplari, uno (cui sono<br />

annessi proteste e reclami, le buste con le schede nulle, bianche e contestate<br />

e gli altri documenti presentati al seggio) viene rimesso all'ufficio<br />

centrale, che dopo averne tratto gli elementi per i suoi computi,<br />

lo trasmette alla Camera; l'altro viene custodito presso il comune. Lo<br />

ufficio centrale circoscrizionale redige in duplice esemplare il verbale<br />

delle proprie operazioni. Uno degli esemplari, con i documenti annessi<br />

ben 528 sezioni del collegio predetto. Tuttavia la Giunta accertò «la ininfluenza delle<br />

irregolarità medesime sulla situazione complessiva delle graduatorie » in questione.<br />

Nella stessa delibera la Giunta decise di segnalare « alle competenti autorità governative<br />

e giudiziarie le sezioni (in cui si erano verificate irregolarità) in modo che,<br />

a prescindere dall'accertamento di eventuali responsabilità penali di esclusiva competenza<br />

della Magistratura, i componenti di seggi di tali sezioni siano comunque<br />

considerati inidonei a ricoprire nel futuro tali incarichi, e ne siano quindi esclusi».<br />

Sempre per tener conto delle più recenti esperienze parlamentari, la Giunta ha seguito<br />

un opposto indirizzo per le irregolarità accertate in 64 sezioni del collegio<br />

XXIX (Palermo), sospendendo la convalida del deputato Barbaccia contestualmente<br />

alla presentazione di una denuncia all'autorità giudiziaria. Per altro la definizione<br />

penale del caso non è stata possibile prima della fine della IV legislatura.<br />

(29) Osserva I'ELIA : < Il legislatore non ha preso in considerazione (ritenendola<br />

impossibile) l'ipotesi, pur astrattamente formulabile, che l'annullamento in un certo<br />

numero di sezioni (magari la maggioranza) richieda elezioni suppletive a seguito<br />

dell'annullamento delle operazioni elettorali dell'intero collegio o circoscrizione », op.<br />

cit. pag. 762.<br />

(30) Si rammenti al riguardo l'articolo 72 T. U. 1957 nel quale viene disposto<br />

che un plico contenente le schede corrispondenti a voti validi e una copia delle<br />

tabelle di scrutinio « deve essere depositato nella Cancelleria della Pretura (...) e<br />

conservato per le esigenze inerenti alla verifica dei poteri » : per il tempo, cioè, di<br />

durata della legislatura cui quel materiale elettorale si riferisce.


118 Formazione della Camera - Prerogative<br />

(e con i verbali sezionali di cui sopra si è detto) deve essere inviato<br />

« subito dal Presidente dell'Ufficio centrale alla Segreteria della Camera<br />

dei deputati, la quale ne rilascia ricevuta ». Il secondo esemplare del<br />

verbale è depositato presso la cancelleria della corte di appello o del<br />

tribunale (art. 81 T. U. 1957).<br />

Il verbale dell'ufficio centrale nazionale contiene le operazioni relative<br />

all'attribuzione dei resti, secondo la particolare procedura di cui<br />

all'art. 83 T. U. 1957, e viene anch'esso rimesso alla Camera.<br />

La cosiddetta « verifica dei poteri » è quindi preceduta da una fase<br />

meramente preparatoria svolta dagli uffici della Camera.<br />

Di tale fase è implicita la sussistenza nel disposto dell'art. 3 del<br />

Regolamento interno della Giunta delle elezioni, secondo il quale : « All'inizio<br />

della legislatura, il Segretario generale della Camera raccoglie<br />

tutti i documenti concernenti ciascuna circoscrizione e procede a un<br />

esame sommario di essi. Provvede a predisporre, per ogni circoscrizione,<br />

un prospetto contenente: a) il numero degli iscritti e dei votanti, dei voti<br />

di lista ed individuali nonché delle schede nulle, contestate o bianche<br />

secondo il verbale dell'Ufficio centrale; b) l'elenco delle sezioni nelle<br />

quali vi siano state proteste ed un riassunto di queste; e) la indicazione<br />

riassuntiva delle proteste presentate all'Ufficio centrale e di quelle pervenute<br />

direttamente alla Camera; d) le eventuali osservazioni sollevate<br />

in merito ai voti di lista ed individuali, nel corso del controllo preliminare<br />

dei dati elettorali compiuto dagli Uffici della Camera.<br />

I prospetti sono affidati esclusivamente e riservatamente ai membri<br />

della Giunta ».<br />

Si ha cioè innanzitutto un riscontro meramente contabile dei calcoli<br />

eseguiti dall'ufficio circoscrizionale sulla base dei verbali sezionali e<br />

dall'ufficio centrale nazionale sulla base delle cifre elettorali circoscrizionali<br />

e della somma dei voti residuati in tutte le circoscrizioni ai fini<br />

della attribuzione dei seggi con i « resti ». In tale sede è quindi possibile<br />

il rilievo di errori materiali computistici o di errori di trascrizione<br />

dei dati numerici dai verbali sezionali.<br />

Succede, quindi, una volta accertata la esattezza numerica delle<br />

operazioni compiute dagli uffici elettorali, la fase preparatoria a quel<br />

« giudizio definitivo » che la Giunta deve dare come dice la legge:<br />

« sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati<br />

agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all'Ufficio centrale durante<br />

la loro attività o posteriormente » (art. 87 T. U. 1957).<br />

Si tratta di un giudizio che non viene alterato da precedenti valutazioni<br />

degli uffici elettorali in quanto la discrezionalità di questi risulta


Formazione della Camera - Prerogative 119<br />

molto limitata dalla legge. La potestà maggiore che spetta all'ufficio<br />

circoscrizionale è quella di procedere, per ogni sezione, al riesame delle<br />

schede contenenti voti contestati e provvisoriamente non assegnati e di<br />

decidere, tenendo presenti le annotazioni riportate a verbale e le proteste<br />

e i reclami presentati in proposito, ai fini della proclamazione,<br />

sull'assegnazione o meno dei voti relativi (cfr. art. 76, n. 2, T. U. 1957).<br />

Al di là di questa attribuzione, soggetta per altro come ogni altra<br />

al potere di controllo della Giunta delle elezioni, la legge fa espresso<br />

divieto all'ufficio centrale circoscrizionale « di deliberare, o anche di<br />

discutere, sulla valutazione dei voti, sui reclami, le proteste e gli incidenti<br />

avvenuti nelle sezioni, di variare i risultati dei verbali e di occuparsi<br />

di qualsiasi altro soggetto che non sia di sua competenza » (art. 79<br />

T. U. 1957).<br />

Pertanto la fase preparatoria di cui si è detto consisterà nella rilevazione,<br />

sezione per sezione, di tutti i sintomi di patologia delle operazioni<br />

elettorali, al fine di offrire alla Giunta e, per essa, ai singoli relatori<br />

per circoscrizione, la possibilità di istituire e concludere il cosiddetto<br />

giudizio-controllo preliminare di delibazione (31).<br />

Da quando si è detto, si può rilevare che la fase preparatoria è<br />

caratterizzata da un'automaticità ex officio (32). In sostanza, le irregolarità<br />

cagionate da errore o colpa degli uffici elettorali, possono essere<br />

fatte valere dalla Giunta indipendentemente dall'esistenza di proteste<br />

o reclami (anche se, ovviamente, è questo il caso più frequente).<br />

Questo principio ha validità assoluta per quel che riguarda la regolarità<br />

dell'attribuzione di voti alle varie liste e dell'assegnazione dei seggi<br />

in sede circoscrizionale o in sede di collegio unico nazionale. È meno<br />

rigoroso per quanto riguarda l'attribuzione dei voti preferenziali, nel<br />

senso che un controllo ex officio viene effettuato, in virtù di una prassi<br />

consolidata (anche se per taluni versi discutibile) quando la differenza<br />

di voti tra il primo dei non eletti e l'ultimo degli eletti per la stessa<br />

lista nel medesimo collegio sia inferiore alla cifra convenzionale di 500<br />

voti (cosiddetto « margine di sicurezza », la cui fissazione è frutto,<br />

com'è evidente, di un criterio arbitrario e variabile secondo le circostanze).<br />

In tutti gli altri casi, invece, occorre che la Giunta sia sollecitata, da un<br />

(31) Si veda la procedura nel Regolamento interno della Giunta delle elezioni<br />

(articolo 5) : « Il Presidente della Giunta distribuisce a ciascun membro per<br />

turno, in ragione di età e seguendo l'ordine numerico delle circoscrizioni, i verbali<br />

delle elezioni per riferirne alla Giunta ».<br />

(32) Nella I legislatura l'elezione del deputato Candido Grassi fu contestata<br />

e annullata senza che contro di lui (e in generale in tutta la circoscrizione) fosse<br />

stato presentato reclamo (seduta Camera 10 febbraio 1949).


120 Formazione della Camera - Prerogative<br />

reclamo elettorale (33), all'onerosa attività di accertare la esatta attribuzione<br />

dei voti preferenziali tra candidati di una stessa lista (previo sempre<br />

il « giudizio preliminare » sull'apertura o meno della contestazione) (34).<br />

La differenza di trattamento a seconda che sia in giuoco l'esatta<br />

forza parlamentare di un partito politico o che invece si tratti di stabilire<br />

la precedenza fra candidati all'interno della stessa lista, si spiega logicamente<br />

con i principi propri di un regime a « Stato di partiti » (35).<br />

Come si è accennato, quando la Giunta non sia in grado di accertare<br />

la regolarità del risultato elettorale sulla base di un riscontro dei<br />

verbali sezionali e dei verbali dell'ufficio circoscrizionale nonché dei<br />

documenti ad essi allegati, prowederà a richiamare dalle rispettive preture<br />

i plichi con le schede valide (le schede bianche, nulle e contestate<br />

sono già in suo possesso) per procedere ad una ricostruzione integrale<br />

del risultato elettorale.<br />

Si tratta di un provvedimento di carattere straordinario (cfr. art. 9<br />

del Regolamento interno della Giunta delle elezioni : « La Giunta può<br />

anche, in casi particolari, disporre la revisione delle schede valide »), *e<br />

tuttavia non raro nella prassi parlamentare (36).<br />

(33) Le proteste elettorali debbono essere firmate o da cittadini del collegio,<br />

o da candidati che vi ottennero voti; le firme debbono essere legalizzate dal sindaco<br />

del comune dove i firmatari hanno domicilio, o del comune dove avvenne l'elezione<br />

(articolo 18 Regolamento Camera). Le proteste o i reclami non presentati agli<br />

uffici delle sezioni o all'ufficio centrale devono essere trasmessi alla Segreteria della<br />

Camera dei Deputati entro il termine di 20 giorni dalla proclamazione fatta dall'ufficio<br />

centrale (cfr. articolo 87 T. U. 1957). Spetta alla Segreteria della Camera respingere<br />

al mittente gli atti presentati fuori termine (cfr. articolo 4 Regolamento interno<br />

Giunta elezioni); per gli atti non in regola ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento<br />

della Camera sembrerebbe più corretto che rirricevibilità fosse dichiarata dalla<br />

stessa Giunta.<br />

(34) Si ricordi che in base all'articolo 81 del T. U. 1957 e l'organo di verifica<br />

dei poteri accerta anche, agli effetti dell'articolo 86, l'ordine di precedenza dei<br />

candidati non eletti e pronuncia sui relativi reclami ».<br />

(35) Può però accadere che per scissioni dell'originario gruppo politico, le<br />

questioni fra candidati della stessa lista assurgano all'importanza di un rapporto fra<br />

liste diverse. Si ricordi quanto è avvenuto nella IV legislatura, prima con la scissione<br />

del gruppo del PSI e la costituzione del gruppo del PSIUP e poi con la riunifìcazione<br />

dei gruppi del PSI e del PSDI. (Particolarmente aspre le polemiche in<br />

relazione al caso Permeili, v. seduta della Camera del 20 maggio 1965).<br />

(36) Nella IV legislatura la revisione delle schede valide fu disposta per i<br />

collegi di Napoli, Bari, Venezia, Verona e Palermo. Tale larga esperienza sembra<br />

aver suggerito esigenze di razionalizzazione, leggibili nella citata iniziativa Scalfaro<br />

di modifiche regolamentari in cui è proposto che un rappresentante dei gruppi parlamentari<br />

interessati eventualmente alla verifica assista alle operazioni di revisione e<br />

possa presentare una propria relazione alla Giunta. Nella relazione al predetto documento<br />

veniva anche fatto cenno della più radicale ipotesi di pervenire all'inizio<br />

della legislatura, allo scopo di stabilire una « certezza reale » del risultato politico, alla<br />

revisione totale delle schede sotto la responsabilità della Giunta delle elezioni, ipotesi<br />

però considerata inattuale, in assenza di sistemi di meccanizzazione elettorale, per<br />

l'enorme massa di personale che sarebbe necessaria.


Formazione della Camera - Prerogative 121<br />

b) Oltre che per irregolarità delle operazioni elettorali, la convalida<br />

può mancare per avere il candidato versato in una delle cause previste<br />

dalla legge come ostative all'elezione. Si parlerà qui di tali cause<br />

di ineleggibilità definendole originarie in quanto considerate come afferenti<br />

vizio alla proclamazione, con l'avvertenza che alcune di queste<br />

cause possono verificarsi a convalida avvenuta e saranno quindi riconsiderate<br />

nell'apposita sede come cause « sopraggiunte » (si confronti per<br />

questa terminologia l'art. 66 della Costituzione). Si avverte che, benché<br />

le cause di ineleggibilità incidano sulla candidatura, tuttavia l'accertamento<br />

della loro sussistenza non è consentito nella sede della presentazione<br />

di queste, essendo rinviato al momento del giudizio di convalida<br />

dell'elezione (37). A tale principio di carattere generale si fa eccezione<br />

solo per l'età. Secondo l'articolo 22 del T. U. 1957, l'ufficio centrale<br />

circoscrizionale « cancella dalle liste i nomi dei candidati che non abbiano<br />

compiuto o che non compiano il 25° anno di età al giorno delle<br />

elezioni ».<br />

È la legge che determina i casi di ineleggibilità, dice l'art. 65 della<br />

Costituzione: per la ricognizione di tali cause si deve quindi far capo<br />

al vigente T. U. elettorale del 1957, nonché alle norme del T. U. delle<br />

leggi per la disciplina dell'elettorato attivo (D. P. R. 20 marzo 1967,<br />

n. 223).<br />

Per ineleggibilità si intende un «impedimento giuridico a divenire<br />

soggetto passivo del rapporto elettorale, cioè ad essere eletto » (38). In<br />

dottrina si distingue l'ineleggibilità dalla « incapacità elettorale », la quale<br />

comprenderebbe le « situazioni inabilitanti all'esercizio dei diritti politici<br />

comuni anche all'elettorato attivo » (39). Dall'angolo visuale della<br />

ricostruzione dello status del parlamentare tale ultima distinzione non<br />

appare utile, dal momento che, come risulta dall'art. 66 della Costituzione,<br />

anche le cause di cosiddetta incapacità si fanno valere presso<br />

l'organo di verifica dei poteri come cause di ineleggibilità.<br />

Trattando in maniera completa delle cause di ineleggibilità, si dovranno<br />

perciò, come si è detto, tenere presenti non solo le norme del<br />

Capo II del Titolo II del T. U. 1957, ma anche, ed anzi in primo<br />

luogo, le nonne sull'elettorato attivo e le sue successive modificazioni.<br />

Vi è un argomento testuale che sorregge tale interpretazione ed è<br />

l'art. 6 del T. U. 1957 per cui sono eleggibili a deputati gli « elettori »<br />

(37) MORTATI, Istituzioni, cit., voi. I, pag. 384.<br />

(38) MORTATI, Ist., cit., pag. 384.<br />

(39) MORTATI, Ist., cit., ibidem.


122 Formazione della Camera - Prerogative<br />

che abbiano compiuto il venticinquesimo anno di età entro il giorno<br />

delle elezioni.<br />

Non è dunque eleggibile chi « non » è elettore ai sensi della legge<br />

per la disciplina dell'elettorato attivo e dunque: 1) chi non è cittadino<br />

italiano; 2) gli interdetti e gli inabilitati per infermità di mente; 3) i<br />

commercianti falliti, finché dura lo stato di fallimento, ma non oltre<br />

cinque anni dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento; 4) coloro<br />

che sono sottoposti alle misure di prevenzione di cui all'articolo 3<br />

della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, finché durano gli effetti dei provvedimenti<br />

stessi; 5) coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza detentive<br />

o a libertà vigilata a norma dell'articolo 215 del codice penale,<br />

finché durano gli effetti del provvedimento; 6) i condannati a pena che<br />

importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici; 7) coloro che sono<br />

sottoposti all'interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo<br />

della sua durata; 8) per un periodo di cinque anni, ed indifferentemente<br />

dalla pena inflitta, ed anche qualora essa non importi interdizione dai<br />

pubblici uffici, o importi una interdizione di minore durata, coloro che<br />

sono stati condannati per delitti e contravvenzioni elencati nell'articolo<br />

2 della legge elettorale, di particolare odiosità sociale; 9) i condannati<br />

per attività fascista in base alle norme vigenti. Inoltre, per i ricoverati<br />

negli istituti psichiatrici, il diritto al voto è sospeso a decorrere dalla<br />

data del decreto del tribunale che autorizza in via definitiva la loro<br />

ammissione in tali istituti e fino alla data del decreto che disponga il<br />

loro eventuale licenziamento.<br />

Per quanto attiene alla posizione giuridica del deputato già convalidato,<br />

il rilievo di tali ipotesi è nell'eventualità che taluna di queste<br />

cause di cosiddetta incapacità si produca successivamente all'elezione. La<br />

perdita della cittadinanza, il fallimento, le condanne penali previste nella<br />

legge (e di cui il deputato può essere soggetto passivo, ovviamente,<br />

solo dopo che la Camera abbia concesso la specifica autorizzazione a<br />

procedere) devono considerarsi come cause di ineleggibilità sopraggiunte<br />

e come tali determinanti la decadenza dal mandato parlamentare. Di<br />

esse, dunque, si parlerà oltre: qui è stata sufficiente, in sede di elencazione<br />

generale delle cause di ineleggibilità, avvertire l'esigenza della<br />

integrazione delle cause ex T. U. 1957 con le cause ex T. U. 1967<br />

in ragione degli identici effetti che dalle une e dalle altre consegue e<br />

della inesistenza, a' termini di Costituzione, fra cause di ineleggibilità<br />

e di incompatibilità di un tertium genus, quale quello della incacapità<br />

elettorale, come ragione di invalidità del mandato parlamentare.


Formazione della Camera - Prerogative 123<br />

Si deve dare ora ragione delle cause di ineleggibilità ex T. U. del<br />

1957. Che sono: 1) l'età minore dei 25 anni (art. 7); 2) l'analfabetismo<br />

(« la candidatura deve essere accettata con dichiarazione firmata » dice<br />

l'art. 18); 3) l'essere investiti di determinati uffici o non essere posti in<br />

determinati rapporti con lo Stato.<br />

Mentre sono semplici le ipotesi di cui ai punti 1) e 2), particolarmente<br />

complessa risulta la casistica che la legge fa rientrare sotto il<br />

punto 3) in cui sono raggruppate talune posizioni personali cui la norma<br />

riconduce l'astratta potenzialità di turbamento del libero convincimento<br />

elettorale o di interferenza di interessi stranieri o privati.<br />

Una prima distinzione possibile in questo terzo gruppo è quella<br />

che prende per criterio l'ambito di estensione dell'ineleggibilità. Se questo<br />

si estende all'intero territorio nazionale si parla di ineleggibilità « assoluta<br />

» (ed è questo il criterio normale). Se invece la ineleggibilità riguarda<br />

l'ipotesi di candidature solo in un determinato collegio, allora<br />

si parla di ineleggibilità « relativa ».<br />

La carica di magistrato può partecipare dell'uno e dell'altro carattere.<br />

Costituisce causa di ineleggibilità assoluta se il magistrato votato<br />

non si sia trovato all'atto dell'accettazione della candidatura nella posizione<br />

giuridica di aspettativa. Costituisce causa di ineleggibilità relativa<br />

se il magistrato, ancorché in aspettativa, sia stato votato nella circoscrizione<br />

sottoposta, in tutto o in parte, alla giurisdizione dell'ufficio<br />

al quale si trovava assegnato o nel quale aveva esercitato le proprie funzioni<br />

in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione<br />

della candidatura (40).<br />

La carica di ufficiale superiore delle forze armate è causa di ineleggibilità<br />

relativa, nella sola circoscrizione del comando territoriale,<br />

salvo che le funzioni esercitate siano cessate almeno 180 giorni prima<br />

della data di scadenza del quinquennio di durata della Camera.<br />

(40) Per questa ultima fattispecie, la legge formula, come si vede, due ipotesi:<br />

l'assegnazione formale del magistrato ad un ufficio o l'espletamento di funzioni giurisdizionali<br />

nella circoscrizione. Il quesito se si tratti di ipotesi di per sé autonome,<br />

tali cioè da configurare ciascuna separatamente causa di ineleggibilità ovvero di ipotesi<br />

sussidiarie, tali cioè che il criterio dell'assegnazione formale non possa di per<br />

sé erigersi a causa di ineleggibilità ove non concorra il criterio sostanziale dell'esercizio<br />

di funzioni elettorali nella circoscrizione dove il magistrato è stato votato, è<br />

stato risolto nel secondo senso dalla Camera. Questa, nella seduta del 23 febbraio<br />

1961, convalidò l'elezione del deputato Valiante sebbene risultasse che questi fosse<br />

rimasto assegnato come magistrato, per alcun tempo, nei sei mesi antecedenti l'accettazione<br />

della candidatura, ad un ufficio giudiziario con competenza nella circoscrizione<br />

dove aveva ottenuto voti (non avendovi però di fatto esercitato funzioni<br />

giurisdizionali). La Giunta aveva proposto l'annullamento dell'elezione (III Legislatura,<br />

Doc. IX, n. 1).


124 Formazione della Camera - Prerogative<br />

Tutte le altre cause di ineleggibilità sono da considerarsi « assolute » :<br />

esse però vengono meno quando sia cessato il rapporto che ne è all'origine.<br />

È appunto sul termine utile per far cessare tale rapporto che è<br />

possibile una seconda differenziazione, questa volta all'interno delle ineleggibilità<br />

« assolute ».<br />

1) Vi è un primo gruppo di tali cariche (elencate nell'art. 7 T. U.<br />

1957) per cui, come si è già visto per gli ufficiali delle forze armate, è<br />

sufficiente per rendere legale la candidatura, cessare dalle relative funzioni<br />

almeno 180 giorni prima della scadenza del quinquennio di durata<br />

della Camera.<br />

Tale gruppo comprende tre cariche elettive: i « deputati regionali »<br />

o « consiglieri regionali; presidenti delle Giunte provinciali; sindaci dei<br />

comuni con popolazione superiore ai 20 mila abitanti ». Per tali cariche<br />

oltre che la « effettiva astensione da ogni atto inerente all'ufficio rivestito<br />

», la legge richiede la preventiva « formale presentazione delle dimissioni<br />

». In ogni caso, comunque, l'accettazione della candidatura comporta<br />

la decadenza da esse (con l'ovvia conseguenza che il candidato<br />

non in regola con la legge non solo rischia l'invalidazione dell'elezione<br />

a deputato ma viene senz'altro estromesso dalla carica elettiva fin lì ricoperta)<br />

(41).<br />

Nello stesso gruppo, figurano cariche non elettive: « capo e vicecapo<br />

della polizia e ispettori generali di pubblica sicurezza; capi di gabinetto<br />

dei ministri; prefetti e rappresentanti del governo presso le regioni a statuto<br />

speciale; viceprefetti e funzionari di pubblica sicurezza ». Per tali<br />

cariche è sufficiente l'astensione effettiva da ogni atto inerente all'ufficio<br />

rivestito entro 180 giorni dalla scadenza della Camera.<br />

È da avvertire che tutte le volte in cui la legge fa riferimento ad<br />

un termine entro il quale dismettere la carica costituente causa di ineleggibilità,<br />

essa ha per riferimento la data di scadenza della durata<br />

normale delle Camere. Il quinquennio relativo decorre dalla data della<br />

(41) La ratio di queste cause di ineleggibilità è da ricercarsi nel pericolo, che<br />

si vuole evitare, di precostituite cariche pubbliche elettive come strumento di varia<br />

pressione elettorale. Tale ratio ha subito varie critiche, basate giuridicamente soprattutto<br />

sulla considerazione dell'omogeneità fra cariche elettive e sulla compatibilità<br />

con il sistema di un cursus honorum che inizi dalle istanze democratiche locali per<br />

concludersi, senza soluzione di continuità, in Parlamento. Vi è poi una serie di critiche<br />

secondo criteri di scienza politica che giungono a negare la convenienza di una<br />

disgiunzione fra cariche elettorali locali e mandato parlamentare, ricordando da un<br />

lato la prestigiosa esperienza straniera dei deputati-sindaco e dall'altro l'utilità che<br />

nel personale parlamentare vi siano esperti dei grandi problemi metropolitani, ormai<br />

centrali nella nostra epoca


Formazione della Camera - Prerogative 125<br />

prima riunione dell'Assemblea fissata, non oltre il 20° giorno dalle elezioni,<br />

nello stesso decreto del Presidente della Repubblica che convoca<br />

i comizi elettorali (cfr. combinato disposto art. 61 Cost., art. 11 T. U. 1957).<br />

La legge, per altro, dispone che in caso di scioglimento anticipato<br />

della Camera dei deputati, le cause di ineleggibilità « non hanno effetto<br />

se le funzioni esercitate siano cessate entro i sette giorni successivi alla<br />

data del decreto di scioglimento ».<br />

Tali disposizioni sono state fonti di gravi perplessità nella nostra<br />

esperienza parlamentare in relazione al fatto che la prassi costituzionale<br />

repubblicana ha registrato finora conclusioni delle legislature con lieve<br />

anticipo rispetto al giorno preciso della scadenza del quinquennio senza<br />

che, tuttavia, esse siano state giudicate politicamente come conseguenze<br />

dell'esercizio del potere di scioglimento ex art. 88 della Costituzione. Si<br />

è infatti parlato sempre di « scioglimento tecnico », motivato da considerazioni<br />

amministrative attinenti al miglior periodo per far svolgere le<br />

elezioni (42).<br />

Tuttavia, dinanzi al dato di fatto di una conclusione anticipata della<br />

legislatura, i precedenti parlamentari sono nel senso di ritenere valide<br />

le elezioni di candidati che abbandonarono le cariche, costituenti cause<br />

di ineleggibilità, sette giorni dopo lo scioglimento « tecnico » senza rispettare<br />

il prescritto più ampio termine preventivo di 180 giorni (43).<br />

Tale soluzione è di fatto prevalsa contro una tesi interpretativa secondo<br />

la quale scioglimento anticipato è solo quello che precede di 180<br />

giorni la fine naturale della legislatura, mentre ogni scioglimento nei<br />

180 giorni non può essere considerato anticipato in senso vero e proprio.<br />

(42) La I legislatura repubblicana invece dell'8 maggio 1953 si concluse il<br />

4 aprile 1953 (D. P. R., n. 174). La II legislatura invece del 25 giugno 1958 si<br />

concluse il 17 marzo 1958 (D. P. R., n. 153). La III legislatura invece del 25 maggio<br />

1963, si concluse il 18 febbraio 1963 (D. P. R., n. 62). La IV legislatura invece del<br />

16 maggio 1968, si è conclusa 1*11 marzo 1968 (D. P. R., n. 128).<br />

(43) I precedenti consistono: 1) nel caso del deputato Marino, già deputato<br />

regionale siciliano, che non aveva adempiuto l'obbligo di dimissioni 90 giorni prima<br />

della « data del decreto di convocazione dei comizi » (come con formulazione ancora<br />

più equivoca della vigente, diceva il T. U. 5 febbraio 1948, n. 26; prefissando un<br />

termine a quo praticamente non identificabile); la Giunta propose a maggioranza<br />

l'annullamento della elezione, la Camera, nella seduta del 27 febbraio 1958, pochi<br />

giorni prima della fine della II legislatura, la convalidò; 2) nel caso del deputato<br />

Marras, già consigliere regionale della Sardegna, che non aveva adempiuto l'obbligo<br />

di dimissioni 180 giorni prima dello spirare naturale del quinquennio di legislatura,<br />

ma rientrava nei termini previsti per lo scioglimento anticipato ; la Giunta propose<br />

la convalida della elezione, la Camera nella seduta del 15 ottobre 1964 convalidò;<br />

3) nel caso del deputato Corrao, già deputato regionale della Sicilia, nella stessa<br />

situazione giuridica dell'on. Marras. ma della cui elezione la Giunta aveva chiesto<br />

l'annullamento, la Camera nella stessa seduta del 15 ottobre 1964 convalidò.


126 Formazione della Camera - Prerogative<br />

Solo nel primo caso si potrebbe perciò legittimamente invocare l'ultimo<br />

comma dell'art. 7 T. U. 1957 (44).<br />

2) Il secondo gruppo di cause di ineleggibilità assoluta riguarda<br />

coloro che siano soggetti di rapporti con governi esteri o di rapporti<br />

economici con lo Stato (cfr. artt. 9 e 10 T. U. 1957). Termine utile per<br />

la cessazione di tali rapporti e per rendere legale la candidatura si considera<br />

dalla dottrina la presentazione di questa.<br />

Si tratta da un lato dei funzionari e degli ufficiali addetti alle ambasciate,<br />

legazioni e consolati esteri, con il permesso del governo italiano,<br />

e dall'altro: a) di coloro che risultino vincolati con lo Stato per contratti<br />

di opere o di somministrazioni oppure per concessioni o autorizzazioni<br />

amministrative di notevole entità economica; b) di preposti ad imprese<br />

private « sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative » (esclusi<br />

i dirigenti di cooperative e di consorzi di cooperative); e) i consulenti<br />

legali e amministrativi delle imprese predette.<br />

La ratio dell'ineleggibilità è nell'intento di evitare la turbativa che<br />

potrebbe apportare nella consultazione elettorale l'intervento di interessi<br />

stranieri o economici.<br />

Come si è detto, si deve ritenere con la dottrina (45) che tali cause<br />

di ineleggibilità vengano meno con la cessazione del rapporto al momento<br />

della presentazione delle candidature.<br />

Causa di ineleggibilità assoluta originaria deve considerarsi la carica<br />

di giudice costituzionale in base all'art. 7, cpv., della legge 11 marzo<br />

1953, n. 87, che pone un preciso divieto di candidatura, in elezioni amministrative<br />

o politiche. Naturalmente, anche in questo caso, le dimissioni<br />

e l'astensione effettiva dalle funzioni al momento dell'accettazione<br />

della candidatura conseguiranno l'effetto di eliminare tale causa di ineleggibilità.<br />

4. - Si dovrà ora parlare di quelle cause che incidono sullo status<br />

del deputato quando questo è già perfetto dopo la convalida. Si disse al<br />

numero precedente che ciò può avvenire: a) per irregolarità delle operazioni<br />

elettorali venute alla luce per successive verifiche; b) per cause<br />

di ineleggibilità sopraggiunte; e) per cause di incompatibilità.<br />

Per quanto attiene al punto sub a), il principio regolante la materia<br />

è attualmente quello sancito all'art. 9 del Regolamento interno della<br />

(44) Questa tesi fu sostenuta dall'oli. Amatucci nella seduta del IS ottobre<br />

1964 ; contro, nella stessa seduta le osservazioni dell'on. Laconi.<br />

(45) MORTATI, op. cit., pag. 385.


Formazione della Camera - Prerogative 127<br />

Giunta delle elezioni: « La Giunta può "sempre" disporre la revisione<br />

dei risultati elettorali delle singole sezioni ed il controllo delle schede<br />

nulle, bianche e contestate allegate ai verbali delle sezioni stesse. La<br />

Giunta può anche, in casi particolari, disporre la revisione delle schede<br />

valide ».<br />

Si desume da questa norma che la convalida non dispiega un effetto<br />

paragonabile a quello della cosa giudicata: la posizione giuridica del deputato<br />

è sempre attaccabile, direttamente o indirettamente, fino al termine<br />

della legislatura (46).<br />

Direttamente, ove la Giunta ex officio, come consente il suddetto<br />

art. 9, disponga una nuova revisione elettorale. Indirettamente - e questa<br />

è l'ipotesi più probabile - « perché il riesame delle preferenze relative<br />

ad altri candidati della lista può portare, di riflesso, modifiche anche<br />

alla sua cifra preferenziale e scardinare la graduatoria » (47). Può cioè<br />

accadere che al subentrare di un candidato per una vacanza verificatasi<br />

in corso di legislatura, i reclami proposti contro il subentrato nei venti<br />

giorni dalla proclamazione da parte del Presidente della Camera, possano<br />

provocare accertamenti tali da travolgere le posizioni già convalidate.<br />

Cause di ineleggibilità sopraggiunte che, come tali, provocano la<br />

decadenza del deputato dal mandato parlamentare, devono considerarsi<br />

quelle elencate a pag. 112, in base al T. U. 1967 sull'elettorato attivo.<br />

Tn quella sede si è detto che il prodursi di un evento quale: la perdita<br />

della cittadinanza, l'interdizione o l'inabilitazione per infermità mentale,<br />

il fallimento, l'incorrere in misure di prevenzione o di sicurezza detentive<br />

o nella libertà vigilata, l'interdizione dai pubblici uffici perpetua o tem-<br />

(46) Secondo l'art. 20 del Regolamento interno della Giunta delle elezioni,<br />

l'esame delle elezioni generali dovrebbe essere compiuto entro diciotto mesi dal giorno<br />

della nomina della Giunta. La disposizione è stata però intesa nel senso, che in tale<br />

termine dovesse essere espletata la verifica di base; mentre per le questioni particolari<br />

insorte, l'esame si è spesso protratto sino al termine della legislatura.<br />

(47) Così il Presidente della Giunta Scalfaro nella cit. proposta di modifica<br />

regolamentare (Doc. X, n. 11 - IV legislatura - 5 gennaio 1966). Per ovviare a questa<br />

permanente incertezza veniva in tale documento proposto un termine perentorio per<br />

tutti i ricorsi, riguardino essi candidati eletti o non eletti : « I ricorsi possono essere<br />

presentati contro qualsiasi candidato anche non eletto da ogni candidato della<br />

stessa lista o da 10 elettori del collegio non oltre i 20 giorni successivi alla proclamazione<br />

degli eletti da parte degli Uffici centrali circoscrizionali. Trascorso tale termine<br />

nessun ricorso può essere presentato, neppure contro le proclamazioni compiute successivamente<br />

dalla Camera ». Nello stesso ordine di problemi e di risoluzioni, l'iniziativa<br />

Scalfaro proponeva che venisse imposto alla Giunta il termine perentorio di<br />

un anno per svolgere la revisione delle cifre elettorali di lista e individuali. Dopo<br />

questo termine la Giunta non avrebbe potuto iniziare alcuna altra indagine, salvo il<br />

caso in cui fosse venuta a conoscenza di elementi certi che avrebbero potuto costituire<br />

reato elettorale. In tal caso avrebbe dovuto trasmettere gli atti alla Magistratura.


128 Formazione della Camera - Prerogative<br />

poranea, la condanna per delitti e contravvenzioni di cui all'art. 2 della<br />

predetta legge, il ricovero in istituti psichiatrici, viene a configurare appunto,<br />

quando già lo status del parlamentare è perfetto con la convalida,<br />

una causa di ineleggibilità sopraggiunta che incide sulla appartenenza del<br />

deputato all'organo Camera (48).<br />

In tutti questi casi l'ordinamento Camera recepisce gli effetti di atti<br />

amministrativi o giurisdizionali posti in essere da poteri ad esso estranei.<br />

Un'adeguata valutazione dei principi in materia di autonomia costituzionale<br />

conduce perentoriamente alla conclusione che tale recezione non<br />

può considerarsi in alcun caso automatica.<br />

Ciascuna Camera « giudica » - dice l'art. 66 della Costituzione -<br />

delle cause sopraggiunte di ineleggibilità riguardanti i suoi componenti.<br />

Questo giudizio dovrà perciò inevitabilmente esercitarsi anche sugli atti<br />

amministrativi o giurisdizionali che elidendo requisiti personali di eleggibilità,<br />

indirettamente pongono le premesse di una rottura del rapporto<br />

Camera-deputato. È questa una conseguenza gravissima che perciò non<br />

può essere disgiunta dalla libera e completa valutazione che la Camera<br />

faccia della causa di ineleggibilità, nella sua entità materiale e nella sua<br />

espressione formale (49).<br />

Queste affermazioni sono pacifiche per quanto riguarda le sentenze<br />

penali di condanna che, in virtù della prerogativa di cui all'art. 68 Cost.,<br />

non possono essere pronunciate né eseguite senza apposita autorizzazione<br />

della Camera.<br />

Medesimi principi devono però essere applicati anche ai provvedimenti<br />

promananti da autorità amministrative o da giudici non penali,<br />

(48) Nella casistica relativamente limitata di tali cause di ineleggibilità, sopraggiunte,<br />

spicca il caso del deputato Ottieri, verificatosi nella IV legislatura. L'Ottieri,<br />

dichiarato fallito con sentenza del tribunale di Napoli del 31 agosto 1966, fu dichiarato<br />

decaduto dal mandato parlamentare dalla Camera nella seduta del 13 aprile 1967.<br />

Tale pronuncia della Camera avvenne in stretta applicazione della lettera della legge<br />

elettorale del 1947 (« non sono elettori... i commercianti falliti, finché dura lo stato<br />

di fallimento, ma non oltre cinque anni dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento<br />

») prendendosi quindi a base della delibera lo stato di fallimento in cui<br />

era incorso l'Ottieri, senza attendere l'esito del giudizio di opposizione contro la<br />

declaratoria fallimentare e non ritenendosi di natura costitutiva la reiscrizione nelle<br />

liste elettorali che l'Ottieri, argomentando sulla non definitività della declaratoria<br />

fallimentare, aveva ottenuto con successiva decisione della Commissione elettorale<br />

mandamentale di Napoli, confermata dalla competente corte di appello. La Giunta<br />

in questa occasione ritenne per altro non automatica l'operatività della decisione<br />

giurisdizionale nell'ordinamento Camera, nel senso precisato nel testo. Sulla questione:<br />

AMATUCCI, L'imprenditore deputato e la legge fallimentare, in « Riv. dir. civ. »,<br />

1967, pag. 284.<br />

(49) Sul punto si v. ORLANDO, Immunità parlamentari ed organi sovrani {A proposito<br />

del caso di un giudizio d'interdizione contro un membro del Parlamento), in<br />

«Diritto pubblico generale», Milano 1954, pag. 461 e segg. (specie pag. 468).


Formazione della Camera - Prerogative 129<br />

contrastando con la chiara lettera della Costituzione l'ipotesi che la Camera<br />

debba accettare di essere privata di un proprio membro per effetto<br />

di una automatica operatività dell'atto di un potere ad essa estraneo.<br />

Naturalmente il giudizio che, anche al di fuori del campo penalistico,<br />

la Camera deve compiere non entrerà nel merito della fattispecie se non<br />

per trarne gli elementi idonei al convincimento della Camera stessa che<br />

l'attività promanante da un potere estraneo si sia mantenuta nella sfera<br />

propria di questo e non configuri un attentato alla libertà politica del deputato.<br />

Non è da escludere che in particolari fattispecie l'esame della Camera,<br />

prima di rendere operativa, nel proprio ordinamento, la pronuncia<br />

di altro organo si volga ad accertare se con essa concorrano elementi tali<br />

da rendere tranquillante il giudizio di delibazione che essa si accinge<br />

a compiere. Potrà, per esempio, nella fattispecie del fallimento, vivamente<br />

discussa in dottrina e giurisprudenza (50), spingere la propria indagine<br />

ad accertare se nello stato fallimentare dedotto in giudizio sussista l'elemento<br />

della « indegnità morale » di cui parla l'art. 48 Cost., come fattore<br />

giustificativo delle limitazioni dei diritti elettorali: pronunciando la decadenza<br />

ove ne accerti l'esistenza ed omettendo tale delibera ove il deputato<br />

sia incorso nello stato fallimentare del tutto incolpevolmente.<br />

Per alcune di tali cause si prospetta, per altro, un importante quesito,<br />

riguardando esse fatti che possono essere solo temporaneamente<br />

elisori della eleggibilità: tali l'interdizione per infermità mentale, l'interdizione<br />

temporanea dai pubblici uffici, la sottoposizione a misure di sicurezza,<br />

lo stato fallimentare, ecc. È evidente che in tal caso la pronuncia di<br />

decadenza della Camera che ad esse si ricollegasse verrebbe a trasformare<br />

in permanenti (almeno nella vita della Camera come collegio concreto,<br />

commisurata alla legislatura) effetti per loro natura temporanei.<br />

(SO) Si v. la sentenza della Corte di Cassazione, 10 maggio 1958, n. 1547 (in<br />

« Giurispr. Costituz. », 1959, pag. 507) che ha dichiarato manifestamente infondata<br />

l'eccezione di illegittimità costituzionale contro la norma che esclude dall'elettorato<br />

attivo i commercianti falliti : « L'art. 48 Cost. ha inteso demandare alla legge comune<br />

l'elencazione dei casi di incapacità elettorale derivanti da indegnità morale, con riferimento<br />

al significato comune della espressione nella vita sociale, avuto riguardo all'attuale<br />

momento storico. Tale giudizio morale, in quanto riferito alla massa indiscriminata<br />

dei cittadini, non consente distinzioni qualitative rispetto a singoli casi, sicché<br />

se anche talvolta la situazione di insolvenza può non essere imputabile al fallito, il<br />

legislatore ha potuto ugualmente e correttamente considerare il fallito colpito da indegnità<br />

morale, come conseguenza obiettiva della sentenza di fallimento e non delle<br />

cause che l'hanno determinata».<br />

Ìbidem, note contrarie di GROSSI, La limitazione del diritto di voto per il fallito<br />

e i prìncipi costituzionali sull'elettorato attivo e di MORTATI, Ancora sulla « manifesta<br />

infondatezza ».<br />

7.


130 Formazione della Camera - Prerogative<br />

La questione, teoricamente ardua (51), non presenta altrettante difficoltà<br />

in linea politica in virtù del meccanismo sostitutorio proprio del sistema<br />

di lista per il quale, in linea normale, l'immediato subentro di un candidato<br />

ad un altro nella stessa lista non altera la forza politica dei gruppi<br />

nella Camera.<br />

Accanto a tali cause di ineleggibilità sopraggiunte ex T. U. 1967<br />

sull'elettorato attivo (cause che, come si è avvertito, si identificano per<br />

la maggior parte con quelle che una parte della dottrina definisce,<br />

nel momento genetico, « incapacità elettorali »), non sembra che possa<br />

annoverarsi alcuna delle cause di cui agli articoli da 6 a 10 del<br />

T. U. del 1957. Ciò risulta sia dalla natura di alcune di tali cause sia dal<br />

fatto che, secondo una razionalizzazione compiuta dalla prassi parlamentare,<br />

le altre cause di ineleggibilità originaria quando sopraggiungono<br />

a mandato già convalidato (esempi: elezione di un deputato a consigliere<br />

regionale o a sindaco di comune superiore a 20 mila abitanti; nomina di<br />

un deputato a prefetto o a giudice costituzionale; inizio di rapporti economici<br />

con lo Stato o impiego da un governo estero, ecc.) si vengono *a<br />

trasformare in cause di incompatibilità e seguono la disciplina di cui<br />

alle pagine seguenti (necessità di opzione a pena di decadenza) (52).<br />

(51) Un vecchio autore, il Nocrro, prospettando la questione in una voce del<br />

« Digesto Italiano » {Alta Corte di Giustizia), pag. 680, la risolveva, sembra non scorrettamente,<br />

come riconosce I'ORLANDO nell'op. cit. affermando che, annullata la elezione<br />

per effetto di una pronuncia, espressione essa pure di sovranità popolare, sarebbe<br />

occorso, per il ristabilimento dello status quo ante, una nuova elezione.<br />

(52) La legge regionale siciliana 18 febbraio 1958, n. 6 (recante modifica alla<br />

legge elettorale 20 marzo 1951, n. 29) impone ai deputati nazionali che vogliano presentarsi<br />

candidati alle elezioni per l'Assemblea regionale, la cessazione effettiva delle<br />

funzioni di deputato nazionale e in conseguenza di dimissioni od altra causa, almeno<br />

novanta giorni prima del compimento di un quadriennio dalla data della precedente<br />

elezione regionale, ovvero, in caso di scioglimento anticipato della Assemblea regionale<br />

siciliana, entro dieci giorni dalla data del decreto di convocazione dei comizi elettorali ».<br />

L'esame della norma, in relazione all'indirizzo giurisprudenziale della Corte costituzionale,<br />

confermato in recenti sentenze, consente però di avanzare gravi dubbi di<br />

costituzionalità sulla predetta legge della regione siciliana.<br />

Si ricorda che l'articolo 3 dello statuto della regione siciliana prevede che i<br />

deputati della regione siano eletti < secondo la legge emanata dall'Assemblea regionale<br />

in base ai princìpi fìssati dal Costituente in materia di elezioni politiche ».<br />

Ora è appunto nella Costituzione fissato il principio della riserva di legge statale<br />

per quanto riguarda « i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di deputato<br />

e di senatore ». Sembra evidente che questa riserva di legge statale debba valere<br />

non solo per la mera enucleazione delle ipotesi di ineleggibilità e di incompatibilità<br />

ma anche per la concreta determinazione degli strumenti e delle procedure per farle<br />

valere.<br />

Ciò soprattutto per la considerazione che è la pratica regolamentazione delle<br />

singole ipotesi quella che concretamente dà la misura della limitazione posta al diritto<br />

d'elettorato passivo, potendo questa limitazione variare dalla necessità di adempiere<br />

un mero onere formale sino all'impossibilità di assumere la carica, a seconda delle<br />

condizioni poste dalla legge.


Formazione della Camera - Prerogative 131<br />

Nella legge 6 febbraio 1948, n. 29, recante norme per la elezione<br />

del Senato della Repubblica viene sancita (art. 29) la decadenza dal<br />

mandato parlamentare nel caso che, non essendo contemporanee le elezioni<br />

per il Senato e per la Camera, il membro della Camera ancora in<br />

funzione accetta la candidatura per l'altra Camera.<br />

Si tratta di un singolare caso di decadenza automatica ex lege, assimilabile<br />

solo per gli effetti, ma non per la natura, alle cause di ineleggibilità<br />

sopraggiunte, ma di cui qui si è dato conto per comodità espositiva,<br />

fra le cause di possibile rottura del rapporto deputato-Camera.<br />

La posizione giurìdica di deputati, dopo la convalida, può venir<br />

meno per effetto di una causa di incompatibilità. Secondo una classica<br />

Appare perciò anomalo che sia una legge regionale, violando la predetta riserva<br />

di legge statale, a venire ad incidere sulla regolamentazione delle ineleggibilità parlamentari:<br />

anticipando, per così dire, una necessità di opzione che, invece, per il parlamentare<br />

in carica sorgerebbe secondo la legge statale, solo al momento della effettiva<br />

elezione e non addirittura più di tre mesi prima della presentazione della<br />

candidatura.<br />

Decisivi argomenti sembra apportare in merito la sentenza della Corte costituzionale<br />

del 20 giugno 1966, n. 60, che ha dichiarato l'« illegittimità costituzionale » di<br />

una legge della regione Trentino-Alto Adige che stabiliva l'incompatibilità della carica<br />

di consigliere comunale nei comuni della regione con la carica di senatore e deputato.<br />

Ha osservato in proposito la Corte che a nulla rileva il fatto che l'ente regionale<br />

abbia competenza normativa per il regolamento dei propri organi e per la procedura<br />

di elezione. « In ogni caso la statuizione di una incompatibilità presuppone<br />

logicamente la posizione di un divieto di cumulo di due uffici ed implica, di conseguenza,<br />

una incidenza, anche se indiretta, sulla disciplina dell'uno e dell'altro. L'articolo<br />

65 Cost. è da intendersi perciò nel senso che non è consentito che una fonte<br />

diversa dalla legge statale possa comunque vietare il cumulo di due cariche, delle<br />

quali una sia quella di membro del Parlamento: la legge regionale impugnata, elevando<br />

l'ufficio di deputato e di senatore a causa di incompatibilità con quello di<br />

consigliere comunale, finisce inevitabilmente con l'introdurre un effetto che si ricollega<br />

al primo e ciò facendo viola l'esclusiva competenza dello Stato. Né giova rilevare che<br />

l'opzione concessa dalla legge rimette in definitiva alla libera scelta dell'interessato<br />

la conservazione dell'una o dell'altra carica; va infatti considerato che in una disciplina<br />

siffatta non entra in gioco solo l'interesse e la posizione del singolo ma anche<br />

l'interesse dell'organo alla sua composizione, e deve essere osservato che, ove il deputato<br />

o il senatore opti per la carica di consigliere comunale, le sue dimissioni trovano<br />

il loro motivo unico e determinante nel precetto imposto dalla regione. Il che conferma<br />

che la legge in esame viene a spiegare effetti in una materia che, estranea alla<br />

competenza regionale, non può essere disciplinata che dalla legge dello Stato ».<br />

L'applicazione di analoghi argomenti al caso siciliano sembra immediata: la<br />

legge regionale siciliana sancendo un preventivo obbligo di dimissioni per i deputati<br />

nazionali che vogliono candidarsi utilmente alle elezioni regionali, viene ad immutare<br />

nell'ordinamento predisposto dalla legge statale e lede l'interesse della Camera « alla<br />

sua composizione », come dice la Corte.<br />

Sembra altresì che la potestà normativa della regione siciliana in materia elettorale<br />

debba considerarsi subordinata all'altro principio fissato in Costituzione all'articolo<br />

51 : il principio di eguaglianza nell'accesso alle cariche elettive. « Tutti i cittadini<br />

dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche<br />

elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge».<br />

Da questa norma si desume, come osserva la Corte nella predetta sentenza,<br />

che vi è una « riserva da riferirsi alla legge statale tutte le volte in cui il riconosci-


132 Formazione della Camera - Prerogative<br />

definizione (53), per incompatibilità deve intendersi « l'inconciliabilità<br />

dell'ufficio di membro del Parlamento con altro ufficio o occupazione,<br />

tenuti dalla medesima persona nel medesimo tempo ». È stato esattamente<br />

osservato (54) che l'incompatibilità consiste in una inconciliabilità<br />

obiettiva tra titoli e funzioni, piuttosto che in un requisito negativo<br />

di carattere soggettivo, e cioè riferito alla persona investita della<br />

carica.<br />

L'osservazione consente di delineare una prima distinzione fra cause<br />

di ineleggibilità e cause di incompatibilità. L'incompatibilità può esistere<br />

solo fra due uffici dei quali l'uno, quello parlamentare, deve essere già<br />

ricoperto legalmente, e l'altro deve pure essere acquisito in maniera definitiva.<br />

La ineleggibilità può derivare invece o da cause di elisione della<br />

capacità elettorale o dalla titolarità di determinate cariche o rapporti al<br />

momento della presentazione della candidatura. (Nell'un caso e nell'altro<br />

si ha, dunque, una situazione giuridica soggettiva che viene in evidenza<br />

e non la attuale contitolarità di due cariche oggettivamente ritenute dalla<br />

legge contrastanti).<br />

Sul piano dell'ordinamento parlamentare, la distinzione ha due conseguenze.<br />

La prima è che il rilievo delle cause d'incompatibilità può farsi<br />

solo quando lo status del deputato si è « consolidato » con la convalida<br />

(55). Questa, infatti, avviene indipendentemente dall'accertamento di<br />

eventuali incompatibilità con le cariche dichiarate dal deputato o accertate<br />

d'ufficio dalla Giunta delle elezioni, in quanto la convalida non può<br />

consistere in altro che nel riconoscimento della validità dei titoli di ammissibilità<br />

del deputato e della validità della sua elezione. Vi è un argo­<br />

mento di una potestà legislativa alla Regione, consentendo un regime differenziato per<br />

situazioni eguali, metterebbe in pericolo l'uguaglianza di tutti i cittadini ».<br />

Ora è evidente che una simile disciplina della ineleggibilità in vigore per una<br />

sola regione - e non per tutte le regioni - creerebbe una situazione di diseguaglianza<br />

nella posizione dei parlamentari ai fini della loro partecipazione alla lotta politica<br />

regionale.<br />

« Ammettere una potestà regionale in materia - secondo la Corte - significa compromettere<br />

quel fondamentale principio di eguaglianza che l'articolo SI vuol salvaguardare<br />

e consentire la violazione dell'unità dello Stato ».<br />

(53) MICELI, Incompatibilità parlamentari, in « Enciclopedia giuridica ».<br />

(54) LONGI, Incompatibilità parlamentari, in «Rassegna Parlamentare», 1960,<br />

pag. 1391 e segg. Di questo scritto si terrà qui ampiamente conto.<br />

(55) È però da rilevare che l'art. 18 del Regolamento interno della Giunta<br />

delle elezioni dispone che < ai fini dell'accertamento di eventuali incompatibilità con<br />

il mandato parlamentare, entro 30 giorni dalla proclamazione da parte degli Uffici<br />

circoscrizionali o nazionale, ovvero dalla proclamazione effettuata direttamente dal<br />

Presidente della Camera, i deputati sono tenuti a trasmettere alla Giunta delle elezioni<br />

l'elenco delle cariche ed uffici da essi ricoperti. Analoga comunicazione essi<br />

sono tenuti a trasmettere per le cariche che vengano successivamente a rivestire».


Formazione della Camera - Prerogative 133<br />

mento testuale che conferma questa logica successività dell'accertamento<br />

della incompatibilità (e del conseguente obbligo di opzione, di cui poi<br />

si dirà) rispetto alla convalida ed è l'art. 85 del T. U. 1957 per cui « il<br />

deputato eletto in più Collegi (...) deve dichiarare alla Presidenza della<br />

Camera dei deputati, entro otto giorni "dalla convalida" delle elezioni,<br />

quale Collegio prescelga » (56).<br />

La seconda conseguenza è che le cause di ineleggibilità ex artt. 7-10<br />

del T. U. 1957 relative a cariche ricoperte o a titolarità di particolari<br />

rapporti con lo Stato italiano o con Stati esteri, quando intervengono a<br />

elezione effettuata (sia o no stata effettuata nel frattempo la convalida)<br />

non si possono più porre come situazioni giuridiche ostative alla presentazione<br />

della candidatura bensì, eventualmente, come situazioni contraddittorie<br />

con lo status parlamentare. L'univoca prassi della Camera al<br />

riguardo è nel senso della trasformazione di tali cause di ineleggibilità<br />

in cause di incompatibilità (con conseguente obbligo di opzione) quando<br />

esse intervengono in un momento successivo alla elezione.<br />

Alcuni dubbi si sono avanzati contro questa prassi, soprattutto sulla<br />

base della ratio legis che muterebbe, mutando il tempo della coincidenza<br />

in testa ad una medesima persona del mandato parlamentare e di determinate<br />

posizioni giuridiche. Il rilievo vale soprattutto per le cariche elettive<br />

essendo di ben difficile dimostrazione, ad esempio, che l'essere sindaco<br />

di un comune superiore a 20 mila abitanti potrebbe avere per la<br />

elezione a deputato la stessa influenza che la qualità di deputato potrebbe<br />

avere per essere eletto sindaco d'un comune superiore a 20 mila<br />

abitanti. Comunque, la prassi si è consolidata nel corso di tutte le le-<br />

(56) Il riferimento testuale, il quale conserva tutta la sua validità sistematica,<br />

non deve però far dimenticare che questa norma è di fatto desueta. In realtà l'esigenza<br />

di assicurare fin dall'inizio il plenum assembleare ed evidenti motivi di opportunità<br />

politica all'interno dei partiti, concorrono a far sì che questo tipo di opzione avvenga<br />

in realtà nei primi giorni di legislatura e « prima », quindi, della convalida dei deputati<br />

interessati, i quali si vedono cosi esposti al rischio di vedersi invalidare l'elezione<br />

nel collegio prescelto, dopo aver rinunciato alla valida attribuzione di seggio in altro<br />

collegio. In linea pratica l'ipotesi è di difficile realizzazione, in quanto il caso di<br />

plurielezione riguarda in genere personalità preminenti dei partiti, normalmente capilista<br />

deUa graduatoria degli eletti.<br />

La situazione giuridica che la prassi in materia è venuta a- creare è, dunque,<br />

da assimilarsi alla fattispecie di cui all'art. 28 della legge 6 febbraio 1948, n. 29,<br />

secondo la quale : « il candidato che sia proclamato eletto tanto per il Senato quanto<br />

per la Camera dei deputati, deve optare per l'uno o per l'altra "non più tardi del<br />

giorno precedente quello della convocazione dei due rami del Parlamento " ». È la<br />

legge in questo caso a imporre l'opzione prima della convalida con il rischio per il<br />

plurieletto di rimaner fuori da una Camera e dall'altra: dalla prima per rinuncia, dall'altra<br />

per eventuale invalidazione della elezione.


134 Formazione della Camera - Prerogative<br />

gislature repubblicane e appare ormai insuperabile, salvo diversi orientamenti<br />

normativi (57).<br />

A monte delle riferite differenziazioni attinenti alla natura dei fatti<br />

giuridici in esame, deve considerarsi la fondamentale distinzione del regime<br />

giuridico che regola le cause di ineleggibilità e quelle di incompatibilità.<br />

Mentre gli effetti invalidanti delle prime sono regolati dalla<br />

legge, indipendentemente da ogni considerazione della volontà dell'interessato<br />

(volontà, d'altra parte, che in talune fattispecie, come quella<br />

dell'interdizione per infermità mentale può essere viziata); nelle cause<br />

di incompatibilità, riguardando esse l'ufficio e non la persona, la manifestazione<br />

del deputato che in una di esse incorra, è considerata dalla<br />

legge come strumento idoneo ad eliminare, con un atto di opzione, gli<br />

effetti invalidanti. Questi, quindi, seguiranno soltanto ove opzione non<br />

vi sia.<br />

Circa il contenuto dell'atto di opzione la normativa parlamentare,<br />

in mancanza di esplicite disposizioni della legge fondamentale in materia<br />

(legge 15 febbraio 1953, n. 460) si è adeguata ai criteri indicati (e<br />

già prima esaminati) nell'art. 7, terzo comma, del T. U. del 1957. In base<br />

all'art. 19 del Regolamento interno della Giunta delle elezioni « la opzione<br />

per il mandato parlamentare è valida se sia accompagnata da una dichiarazione<br />

di dimissioni dalla carica riconosciuta incompatibile e vi sia<br />

effettiva astensione dalle funzioni inerenti alla carica stessa » (58).<br />

È sorta varie volte la questione, nell'esperienza parlamentare, se<br />

l'opzione debba sempre consistere in atto esplicito o possa essere implicita,<br />

desumibile da fatti concludenti.<br />

Il problema naturalmente non sorge per le incompatibilità sancite<br />

dalla legge ordinaria: in quanto per queste è necessario seguire la apposita<br />

procedura parlamentare la quale, si è detto, prevede un esplicito<br />

atto di opzione. È sorto per le incompatibilità sancite dalla Costituzione:<br />

deputati nominati senatori a vita, deputati nominati giudici costituzionali,<br />

deputati nominati presidenti della Repubblica, deputati nominati membri<br />

del Consiglio superiore della Magistratura. Si è chiesto se anche per tali<br />

(57) Si osserva, per completezza espositiva, che l'alternativa alla prassi vigente,<br />

dovrebbe essere quella di considerare pienamente legittima la contitolarità, prodottasi<br />

successivamente, delle cariche, salvo che non si tratti di casi rientranti per specifica<br />

previsione della legge in casi di incompatibilità. Si vedano le osservazioni in questo<br />

senso dell'on. Moro nella seduta del 5 dicembre 1952 contro Spoleti, relatore per la<br />

maggioranza della Giunta (il caso era quello della dichiarazione di incompatibilità degli<br />

on.li La Pira e Colombo, sindaci di comuni con popolazione superiore a 20 mila<br />

abitanti e degli on.li Angelucci e Fanelli, presidenti di giunte provinciali).<br />

(58) Cfr. LONGI, op. cit., pag. 1412.


Formazione della Camera - Prerogative 135<br />

ipotesi fosse necessaria un'apposita dichiarazione d'intenzioni del deputato<br />

interessato. Correttamente, la prassi si è orientata nel senso di ammettere<br />

valore sostanziale di opzione all'eventuale atto di adesione alla<br />

nuova carica (ad es. giuramento per il Presidente della Repubblica e per<br />

i giudici costituzionali).<br />

In mancanza di tale atto o in unione con esso, si è recepito però<br />

anche un atto formale di dimissioni (59).<br />

Si dovrà ora dar conto dei vari casi di incompatibilità e si seguirà<br />

per l'elencazione il criterio delle diverse fonti giuridiche che le prevedono<br />

(60).<br />

Vi sono innanzitutto le incompatibilità previste dalla legge elettorale<br />

come condizioni negative di eleggibilità e che, come si è visto, la<br />

prassi fa rientrare nelle incompatibilità vere e proprie ove sopravvengano<br />

dopo l'elezione. Tra di esse le ipotesi di cui agli arti, da 6 a 10<br />

del T. U. del 1957, riguardanti le cariche di: deputati o consiglieri<br />

regionali; presidenti di giunte provinciali; sindaci di comuni con popolazione<br />

superiore a 20.000 abitanti; alti funzionari di polizia; capi di<br />

gabinetto dei Ministri; rappresentanti del governo o commissari dello<br />

Stato presso le regioni, i prefetti e chi ne fa le veci; vice prefetti e funzionari<br />

di pubblica sicurezza; varie categorie di ufficiali delle forze armate,<br />

eventualmente nominati nella circoscrizione in cui furono eletti;<br />

magistrati, con le limitazioni di funzioni e di circoscrizione territoriale<br />

già esaminate; diplomatici o addetti a rappresentanze straniere; coloro<br />

che ricadono sotto il disposto dell'art. 10 del T. U. perché vincolati con<br />

lo Stato per contratti vari o concessioni amministrative, o siano rappresentanti,<br />

amministratori o dirigenti di società o imprese sussidiate dallo<br />

Stato, o siano consulenti legali o amministrativi di detti enti.<br />

Come si è detto in precedenza, non tutte le cause di ineleggibilità<br />

possono trasformarsi, sopravvenendo dopo l'elezione, in cause di incompatibilità,<br />

ma solo quelle che riguardano cariche o uffici, mai quelle che<br />

(39) Si veda, per la sostituzione di deputati nominati Presidenti della Repubblica:<br />

per Fon. Gronchi, la seduta del 24 maggio 19SS; per l'on. Segni, la seduta<br />

del 16 maggio 1962; per l'on. Saragat, la seduta del 20 gennaio 1965. Per la nomina<br />

a giudici costituzionali di deputati, le dimissioni degli on.li Cappi e Castelli Avolio<br />

nella seduta del 15 dicembre 1955. Per la nomina a senatore a vita del deputato<br />

Leone, la comunicazione dell'interessato nella seduta del 21 settembre 1967. Per la<br />

nomina a membro del Consiglio Superiore della magistratura del deputato Amatucci,<br />

l'inizio del normale procedimento per la dichiarazione di incompatibilità di cui al<br />

comunicato della Giunta pubblicato nel Bollettino delle Giunte e Commissioni del<br />

7 marzo 1968.<br />

(60) Cfr. LONGI, op. cit, pag. 1390 e segg.


136 Formazione della Camera - Prerogative<br />

si riferiscono alla capacità. Così, la perdita dell'elettorato attivo per condanna<br />

penale, perdita della cittadinanza o altri motivi previsti dalla<br />

legge si deve considerare non già causa di incompatibilità ma causa di<br />

ineleggibilità sopraggiunta il cui accertamento può dare luogo ad una<br />

pronuncia di decadenza da parte della Camera senza possibilità di opzione.<br />

Un altro gruppo di incompatibilità parlamentari è quello che deriva<br />

sia da esplicite norme della Costituzione, sia da leggi di immediata attuazione<br />

costituzionale. In tale gruppo si possono annoverare le incompatibilità<br />

previste dalla Costituzione agli articoli 65, secondo comma<br />

(tra membro della Camera e del Senato); 84, secondo comma (tra Presidente<br />

della Repubblica e qualsiasi altra carica, quindi anche parlamentare);<br />

122, secondo comma (tra parlamentari e membri dei consigli<br />

regionali); 104, ultimo comma (tra parlamentari e membri del Consiglio<br />

superiore della magistratura); 135, quinto comma (tra parlamentari<br />

e giudici della Corte Costituzionale). Tra le incompatibilità stabilite<br />

da leggi di immediata attuazione della Costituzione, si possono ricordare<br />

quella sancita dall'art. 5, terzo comma, della legge 5 gennaio 1957, n. 33",<br />

riguardante i membri del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.<br />

Vi sono poi alcune incompatibilità parlamentari previste da trattati<br />

internazionali, o da norme costitutive di enti sopranazionali (61).<br />

Infine vi è il gruppo più importante di incompatibilità parlamentari,<br />

quelle previste dalla legge 15 febbraio 1953, n. 60, specificamente diretta<br />

a dare applicazione all'art. 65, primo comma, della Costituzione: « la<br />

legge determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l'ufficio di<br />

deputato o di senatore ».<br />

La legge predetta contiene i seguenti principi generali sulle incompatibilità:<br />

a) Incompatibilità per causa di nomina governativa. Essa è generale,<br />

nel senso che si estende alle cariche di qualsiasi natura, sia negli<br />

enti pubblici sia in quelli privati (art. 1).<br />

Le nomine in enti culturali e assistenziali, di culto e fieristici, le<br />

nomine nelle Università e istituti di istruzione superiore e le nomine su<br />

designazione delle organizzazioni di categorie non danno luogo ad in-<br />

(61) II 1° ottobre 1957 furono accettate le dimissioni da deputato deli'on. Benvenuti,<br />

nominato segretario generale del Consiglio d'Europa, il cui statuto, approvato<br />

con trattato internazionale, prevede appunto, all'articolo 36, l'incompatibilità con<br />

il mandato parlamentare nazionale. Analoga ragione ebbero il 7 luglio 1967 le dimissioni<br />

deli'on. Edoardo Martino, nominato membro dell'esecutivo unico delle Comunità<br />

europee.


Formazione della Camera - Prerogative 137<br />

compatibilità. L'art. 1 della legge fa per altro salvo quanto disposto<br />

dall'art. 3 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261 in materia di cumulo<br />

delle indennità parlamentari: vietato in relazione ad assegni, indennità<br />

o altre remunerazioni derivanti da incarichi particolari.<br />

Le difficoltà maggiori nella interpretazione di questo art. 1 derivano<br />

dalla necessità di definizione degli enti assistenziali. L'esperienza ha dimostrato<br />

la quasi impossibilità, specie per taluni enti parastatali, di separare<br />

il carattere assistenziale dall'attività finanziaria e patrimoniale di<br />

istituto (62).<br />

b) Incompatibilità per cariche in enti o associazioni che gestiscono<br />

servizi per conto dello Stato o delle pubbliche Amministrazioni,<br />

o ai quali lo Stato contribuisca in via ordinaria, direttamente o indirettamente.<br />

Le cariche sono quelle di amministratore (e quindi membro<br />

del consiglio di amministrazione), presidente, liquidatore, sindaco o revisore,<br />

direttore generale o centrale, consulente legale o amministrativo.<br />

Questo tipo di incompatibilità vale anche se la nomina non proviene<br />

dal governo o da organi dell'amministrazione dello Stato, e ad<br />

(62) Sulle difficoltà interpretative dell'art. 1 si veda la fondamentale testimonianza<br />

del Presidente della Giunta delle elezioni Scalfaro nel più volte citato documento<br />

del 5 gennaio 1966: « Occorrerebbe togliere le eccezioni previste dall'art. 1,<br />

secondo comma. Per gli Enti fiera: non esiste motivo alcuno perché l'eccezione possa<br />

rimanere, trattandosi di tali complessi di affari e di interessi per cui nessuno può<br />

essere convinto della opportunità che tale carica venga ricoperta da un parlamentare.<br />

Per gli enti assistenziali: ve ne sono taluni minimi (asili, orfanotrofi, ricoveri di vecchi),<br />

per i quali la presenza di un parlamentare non può essere motivata dalla indispensabilità<br />

di una protezione che consenta a iniziative tanto povere di raggiungere gli<br />

scopi istituzionali, essendo sperabile che gli uomini politici abbiano sufficiente sensibilità<br />

per interessarsi di tali istituzioni anche senza averne responsabilità diretta; ve ne<br />

sono altri di considerevoli e, a volte, di enorme portata (Opera assistenza profughi<br />

giuliani e dalmati, O.N.M.I., i grandi ospedali), nei quali il parlamentare si trova<br />

ad amministrare ingenti sostanze e frequentemente anche denaro pubblico. In definitiva,<br />

anche in questi casi non si vede la ragione della eccezione, così come non la<br />

si vede per gli enti di culto, per gli stessi enti culturali e per le cariche conferite nelle<br />

università e negli istituti di istruzione superiore, fatta eccezione per le cariche elettive.<br />

Le ragioni di fondo stanno nel fatto che appare inopportuna una commistione di<br />

motivazioni politiche con le normali ragioni che conducono alle nomine di cui si è<br />

parlato e pare inopportuno anche soltanto il sospetto che fattori puramente politici<br />

entrino in modo determinante nella scelta di persone per le responsabilità di cui<br />

si è parlato.<br />

« Tra le difficoltà di interpretazione della legge sulle incompatibilità parlamentari<br />

basterebbe ricordare quella che ha portato ad opposta applicazione alla Camera<br />

e al Senato, riguardante gli enti previdenziali per i quali la Giunta della Camera,<br />

unanime, ha riconosciuto la incompatibilità, mentre il Senato ha confermato la compatibilità.<br />

In questo caso non vi è solo una inopportuna diversità di interpretazione<br />

con conseguenza di trattamenti diversi per deputati e senatori, ma vi è anche confusione<br />

per i cittadini che constatano come un deputato facente parte del consiglio di<br />

amministrazione di un ente previdenziale è costretto a dimettersi, mentre un senatore<br />

può rimanervi».<br />

7*.


138 Formazione della Camera - Prerogative<br />

esso si applicano le eccezioni del solo secondo comma dell'art. 1, e cioè<br />

il carattere culturale, assistenziale, di culto, fieristico o scolastico dell'ufficio,<br />

ma non quelle del terzo comma, che riguarda le designazioni<br />

di categoria. Pertanto in presenza di cariche in enti che gestiscono servizi<br />

per conto dello Stato o della pubblica Amministrazione, o ai quali lo<br />

Stato contribuisca in via ordinaria, la designazione di categoria non<br />

elimina l'incompatibilità.<br />

e) Incompatibilità per le cariche direttive rivestite negli istituti<br />

bancari o in società per azioni con prevalente esercizio di attività finanziarie<br />

(art. 3). Questo tipo di incompatibilità non ammette che una eccezione,<br />

e cioè gli istituti di credito a carattere cooperativo che non operino<br />

fuori della loro sede.<br />

A parte i tre tipi generali di incompatibilità sopra riferiti, la legge<br />

del 1953 stabilisce alcune norme di carattere particolare.<br />

Innanzitutto è sancito il divieto di patrocinio professionale, assistenza<br />

o consulenza ad imprese di carattere finanziario o economico in<br />

vertenze o rapporti di affari con lo Stato (art. 4). Questa norma non<br />

configura incompatibilità in senso tecnico perché non individua un « ufficio<br />

» ricoperto dal parlamentare, rispetto al quale questi incontra un<br />

onere di opzione (che, anzi, in taluni casi appare del tutto inipotizzabile :<br />

es. consulenza una tantum già cessata). Diverso è il caso dei consulenti<br />

legali o amministrativi di società o imprese vincolate con lo Stato, che<br />

svolgano la loro opera con carattere permanente. La loro posizione ricade<br />

sia sotto le norme dell'art. 2 della legge n. 60, sia sotto il disposto di<br />

cui al n. 3 dell'art. 10 del T. U. 1957, che prevede questo ufficio come<br />

precisa causa di ineleggibilità.<br />

Vi sono poi, agli artt. 5 e 6, divieti particolari per i membri del<br />

Governo. Queste norme non hanno in realtà nulla a che vedere con le<br />

incompatibilità parlamentari, anche se derivano il loro significato politico<br />

e morale dagli stessi concetti ispiratori. Si tratta, innanzitutto, del<br />

divieto (art. 5) di assegnazione di indennità o compensi per cariche in<br />

enti o aziende dipendenti direttamente o indirettamente dai ministeri<br />

di cui fanno parte gli interessati, nella qualità di ministri o di sottosegretari.<br />

Inoltre (art. 6) è fatto divieto agli ex membri del governo di<br />

assumere le cariche che praticamente danno luogo ad incompatibilità parlamentare<br />

nell'anno successivo alla cessazione dalle loro funzioni di<br />

governo.<br />

Tutto ciò è, peraltro, di problematica attuazione, e manca completamente<br />

di sanzione. Si è osservato infatti, che sul piano parlamentare<br />

le disposizioni in parola possono essere prive di rilievo, per il


Formazione della Camera - Prerogative 139<br />

semplice motivo che i membri del governo possono essere anche estranei<br />

alle Camere. L'art. 6 precisa, comunque, che il divieto sussiste anche se<br />

gli ex membri del governo siano cessati dal mandato parlamentare:<br />

ma il principio potrà forse avere una qualche conseguenza in sede amministrativa<br />

limitatamente agli enti pubblici; non certo per le imprese<br />

e gli incarichi privati (63).<br />

Particolare rilievo merita la procedura di accertamento e di decisione<br />

sui casi di incompatibilità.<br />

La legge 15 febbraio 1953 dispone all'art. 8 che « gli accertamenti<br />

e le istruttorie sulle incompatibilità previste dalle leggi sono di competenza<br />

della Giunta della Camera dei deputati o del Senato, che è investita<br />

del caso dalla Presidenza della rispettiva Assemblea ».<br />

Questa norma ha sollevato problemi interpretativi in ordine alla<br />

natura degli « accertamenti » devoluti dalla legge alla Giunta.<br />

(63) Sul mediocre rendimento complessivo della legge sulle incompatibilità, si<br />

intendano nella loro gravità le considerazioni del Presidente Scalfaro nel documento<br />

ult. cit. : « Si è più volte constatato che il deputato il quale mantenga responsabilità<br />

in cariche extra parlamentari finisce per trovarsi in posizioni faticose (posizioni non<br />

tutte previste ed assorbite dalla formula « controllori-controllati ») che, oltre tutto,<br />

creano intorno alla attività parlamentare un alone meno nobile di interessi, di affari,<br />

di compromessi, di contaminazioni, o quanto meno di sospetto. Si tratta di attività<br />

a volte certamente necessarie o quanto meno utili, ma che sommandosi ed intersecandosi<br />

a responsabilità pubbliche determinano una grave confusione in settori della<br />

vita nazionale e soprattutto incidono negativamente sulla fiducia del cittadino nei confronti<br />

del Parlamento.<br />

« Si può, da ultimo, osservare che i parlamentari gravati da eccessivi impegni<br />

fuori del Parlamento collaborano a quell'assenteismo che viene giustamente e largamente<br />

lamentato e che non si riferisce soltanto all'Aula più o meno deserta ma,<br />

anzitutto, al lavoro delle Commissioni, il più normale, il più delicato ed il più vasto<br />

per la vita del deputato, che richiede preparazione adeguata e diligente presenza.<br />

« La Giunta delle elezioni si è trovata ad affrontare le questioni più diverse<br />

sotto il tema generale delle incompatibilità e a dover superare le difficoltà nascenti<br />

dalla imprecisione della legge e dalla varietà delle ipotesi prese in esame, non sempre<br />

facilmente riconducibili al dettato della norma. La difficoltà fondamentale si incontra<br />

se si considera la ratio della legge: la sola esistenza di una legge sulle incompatibilità,<br />

pur essendo legge limitativa e quindi da interpretarsi in modo non estensivo,<br />

porta alla considerazione che la volontà del legislatore fu di impedire al parlamentare<br />

la totale libertà nell'assunzione di compiti, funzioni ed attività non confacenti<br />

al mandato parlamentare e ciò ad evidente difesa della dignità di tale mandato. Fa<br />

contrasto con questa ispirazione e con questa finalità della norma l'imbattersi in cariche<br />

che non rientrano esattamente nelle parole della legge ma che senza dubbio<br />

rientrano nel suo spirito e nei suoi scopi. La Giunta non sempre è riuscita a superare<br />

questi contrasti perché avrebbe dato alla norma una interpretazione senza dubbio<br />

vera nella sostanza, ma estesa nella lettera. Anche per questi motivi, la Giunta<br />

delle elezioni ha ritenuto che il mezzo migliore per raggiungere lo scopo voluto sia<br />

disporre un divieto totale per i parlamentari di amministrare direttamente o indirettamente<br />

denaro pubblico. È evidente che per approvare una norma di questo genere<br />

è indispensabile una maggioranza con una chiara e consapevole volontà politica e<br />

convinta che l'istituto parlamentare debba essere difeso anche in questi settori ».


140 Formazione della Camera - Prerogative<br />

Secondo la valutazione trasfusa poi nel Regolamento interno della<br />

Giunta delle elezioni, con la parola « accertamenti » si è inteso attribuire<br />

alla Giunta la potestà di decidere dei casi di incompatibilità con<br />

decisione autonoma rispetto a quella dell'Assemblea: di talché il deputato<br />

che non compia l'opzione entro 30 giorni dalla comunicazione che<br />

della decisione della Giunta gli viene fatta dal Presidente della Camera va<br />

incontro ad una successiva delibera di decadenza da parte dell'Assemblea<br />

(64).<br />

La testuale dizione dell'art. 19 del Regolamento interno della Giunta<br />

delle elezioni (« quando la Giunta " accerta " la incompatibilità ») non<br />

lascia dubbi sul valore decisorio che l'attività della Giunta riveste in<br />

questo caso (65).<br />

La struttura del procedimento davanti alla Giunta per giungere all'accertamento<br />

delle incompatibilità si distingue radicalmente, e senza<br />

apparente giustificazione, da quella propria delle procedure per far valere<br />

vizi derivanti da irregolarità nelle operazioni elettorali o da cause di<br />

ineleggibilità.<br />

Ci si trova di fronte ad una sorta di procedimento monitorio in<br />

base al quale la Giunta decide, inaudita altera parte, su questioni involgenti<br />

diritti patrimoniali, interessi sociali e politici spesso di rile-<br />

(64) I casi specifici nella materia sono quello del deputato La Pira dichiarato decaduto<br />

con comunicazione del Presidente della Camera senza votazione da parte dell'Assemblea<br />

(seduta del 22 dicembre 1952: si tratta quindi di un caso anteriore all'entrata<br />

in vigore della legge sulle incompatibilità del 1953) e quelli dei deputati Montanari<br />

e Pucci dichiarati decaduti, senza votazione, per mancata opzione « entro i termini di<br />

legge ad essi assegnati dalla Presidenza della Camera >, nella seduta del 14 febbraio<br />

1963. La formula usata in questa occasione, che deve considerarsi l'unico precedente<br />

valido, fu : (la Giunta, accertata tale mancata opzione ha, all'unanimità, dichiarato la<br />

decadenza dal mandato parlamentare (...). Do atto alla Giunta di questa comunicazione<br />

e dichiaro decaduti i deputati, ecc. ».<br />

Nonostante questi precedenti è però ancora fortemente controverso che alla Giunta<br />

spetti nella materia un potere decisionario definitivo idoneo a privare la Camera di uno<br />

dei suoi componenti, senza possibilità di intervento dell'Assemblea (cfr., per dubbi di<br />

costituzionalità sulla procedura affermata dalla Giunta, la proposta di legge n. 763 - IV<br />

legislatura - Camera, dei deputati Scalia e Sinesio, diretta a devolvere all'Assemblea l'accertamento<br />

dell'incompatibilità; contro: la citata proposta Scalfaro per la quale trascorso<br />

invano il termine per l'opzione « la Giunta ne dà comunicazione all'Assemblea che<br />

constata la decadenza del deputato dal mandato parlamentare »).<br />

(65) Secondo contraria opinione, invece, gli accertamenti, da parte della Giunta,<br />

di cui parla la legge, si riferirebbero solo alla titolarità di determinate cariche da parte<br />

dei deputati e non consisterebbero in un accertamento decisorio, che sarebbe negato<br />

alla Giunta in ragione della sua natura di organo istruttorio. Così Di CIOLO, Incompatibilità<br />

parlamentari e conflitto fra poteri, in « Giur. Cost. » 1966, pag. 662 e segg.<br />

Sembra però che la questione debba risolversi con gli stessi criteri adottati per la<br />

convalida di elezioni non contestate: nel senso cioè che debba attribuirsi all'Assemblea<br />

una ampia potestà di decisione sulla decadenza, e quindi sia la possibilità di<br />

non approvare quella che deve considerarsi una proposta implicita della Giunta, sia<br />

quella di rinviare la questione alla Giunta con richiesta di riesame.


Formazione della Camera - Prerogative 141<br />

vantissima entità. Sebbene, anche in ragione di tali considerazioni, si sia<br />

ritenuto nella logica del sistema che al deputato che rifiuti l'opzione<br />

sia concesso di esporre in Assemblea (al momento della decisione sulla<br />

decadenza) le proprie ragioni, sembrano fondate le critiche avanzate per<br />

la non omogeneità della struttura di questo procedimento con la procedura<br />

propria alla rimanente attività della Giunta (66).<br />

5. - Accanto alla incompatibilità in senso tecnico che, come si è<br />

detto, si configura in una incompatibilità di « titolarità » fra due cariche,<br />

il T. U. 1957 prevede all'art. 88 (poi modificato, nelle disposizioni di<br />

dettaglio, dall'art. 4 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261) una particolare<br />

specie di incompatibilità che può definirsi incompatibilità « di<br />

esercizio ».<br />

In base a tali norme, « i dipendenti dello Stato e di altre pubbliche<br />

amministrazioni, nonché i dipendenti degli Enti ed istituti di diritto<br />

pubblico sottoposti alla vigilanza dello Stato, che siano eletti deputati<br />

o senatori, sono collocati d'ufficio in aspettativa per tutta la durata del<br />

mandato parlamentare ».<br />

Il dipendente collocato in aspettativa per la sua elezione a deputato<br />

non può, per tutta la durata del mandato parlamentare, conseguire promozioni<br />

se non per anzianità. Allo stesso sono regolarmente attribuiti,<br />

alla scadenza normale, gli aumenti periodici di stipendio.<br />

Nei confronti del parlamentare dipendente o pensionato che non<br />

ha potuto conseguire promozioni di merito a causa del divieto di cui<br />

sopra, è adottato, all'atto della cessazione, per qualsiasi motivo, dal mandato<br />

parlamentare, provvedimento di ricostruzione di carriera con inquadramento<br />

anche in soprannumero.<br />

Il periodo trascorso in aspettativa per mandato parlamentare è considerato<br />

a tutti gli effetti periodo di attività di servizio ed è computato<br />

per intero ai fini della progressione in carriera, dell'attribuzione degli<br />

aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e di previdenza.<br />

Durante tale periodo il dipendente conserva inoltre, per sé e<br />

per i propri familiari a carico, il diritto all'assistenza sanitaria e alle altre<br />

forme di assicurazione previdenziale di cui avrebbe fruito se avesse effettivamente<br />

prestato servizio.<br />

(66) Le critiche, di cui è cenno nel testo, risultano tenute presenti nel ricordato<br />

documento del Presidente della Giunta Scalfaro. Qui è previsto infatti che «qualora<br />

la Giunta ritenga che sussista incompatibilità, dopo averla dichiarata, fissa un<br />

termine di 30 giorni perché il parlamentare interessato provveda all'opzione oppure<br />

chieda che si inizi procedura di contestazione nei suoi confronti». Con la contestazione<br />

si rientra, come si è detto a suo luogo, nell'ambito di garanzie proprie di un<br />

procedimento giurisdizionale.


142 Formazione della Camera - Prerogative<br />

Il tema qui trattato si collega d'altro canto a quello generale del<br />

trattamento economico del deputato. Secondo l'art. 69 della Costituzione:<br />

« I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge ».<br />

La legge regolante la materia è la cit. legge 31 ottobre 1965, n. 1261.<br />

L'indennità parlamentare è costituita da quote mensili comprensive anche<br />

del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza.<br />

Spetta agli uffici di Presidenza delle due Camere - secondo una<br />

disposizione che a taluno è parsa non perfettamente conforme al dettato<br />

costituzionale di cui sopra - determinare l'ammontare di dette quote<br />

in misura tale che non superino il dodicesimo del trattamento complessivo<br />

massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di<br />

sezione della Corte di cassazione ed equiparate.<br />

Ai membri del Parlamento è corrisposta inoltre una diaria a titolo<br />

di rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Gli uffici di Presidenza<br />

delle due Camere ne determinano l'ammontare sulla base di 15 giorni di<br />

presenza per ogni mese ed in misura non superiore all'indennità di missione<br />

giornaliera prevista per i magistrati con funzioni di presidente di'<br />

sezione della Corte di cassazione ed equiparate. Le Presidenze possono<br />

altresì stabilire le modalità e le ritenute da effettuarsi per ogni assenza<br />

dalle sedute dell'Assemblea e delle Commissioni.<br />

Con l'indennità parlamentare non possono cumularsi assegni o indennità,<br />

comunque derivanti da incarichi di carattere amministrativo,<br />

conferiti dallo Stato, da enti pubblici, da banche di diritto pubblico, da<br />

enti privati concessionari di pubblici servizi, da enti privati con azionariato<br />

statale ed enti privati aventi rapporti di affari con lo Stato, le<br />

regioni, le province ed i comuni.<br />

L'indennità parlamentare non è inoltre cumulabile con stipendi, assegni<br />

o indennità derivanti da rapporti di pubblico impiego, salvo un<br />

rapporto di conguaglio stabilito nella stessa legge n. 1261.<br />

L'indennità parlamentare mensile è soggetta ad una imposta unica<br />

speciale, sostitutiva di quelle di ricchezza mobile, complementare e relative<br />

addizionali, con aliquota globale pari al 16 per cento, alla cui riscossione<br />

si provvede mediante ritenuta diretta. È altresì assoggettata ad<br />

una imposta speciale, sostitutiva dell'imposta di famiglia, alla cui riscossione<br />

si provvede mediante ritenuta diretta, con aliquota forfettaria<br />

pari all'8 per cento; l'importo corrispondente è devoluto ai comuni presso<br />

i quali ciascun membro del Parlamento ha la residenza.<br />

La diaria per il rimborso delle spese di soggiorno è invece esente<br />

da qualsiasi tributo: come l'indennità mensile non può essere sequestrata<br />

o pignorata.


Formazione della Camera - Prerogative 143<br />

LA PREROGATIVA EX ARTICOLO 68 DELLA COSTITUZIONE:<br />

SIGNIFICATO POLITICO-COSTITUZIONALE DELL'ISTITUTO.<br />

Il concetto di prerogativa parlamentare è, com'è noto, di carattere<br />

storico-positivo e non di teoria generale del diritto. Esistono infatti ordinamenti<br />

in cui l'istituto della immunità per i membri del Parlamento è<br />

sconosciuto e l'equiparazione di fronte alla legge comune è senza eccezioni.<br />

È proprio tale natura che spiega come la giustificazione politicocostituzionale<br />

data all'istituto debba essere diversa da tempo a tempo<br />

e da ordinamento ad ordinamento. Anzi i più gravi rischi di fraintendimento<br />

della prerogativa nascono proprio quando si cerca di spiegarla,<br />

di difenderla o criticarla, alla luce di tralaticie impostazioni che, mutando<br />

il contesto costituzionale, hanno perso gran parte del loro significato.<br />

Per quanto riguarda il nostro ordinamento, risultano dunque non<br />

del tutto soddisfacenti le giustificazioni che se ne davano vigente lo Statuto<br />

albertino, anche se la formulazione letterale dei commi secondo e<br />

terzo dell'art. 68 della Costituzione non è molto diversa da quella del<br />

corrispondente articolo dello Statuto del 1848.<br />

Mutata la situazione costituzionale, formule come: assicurare la libera<br />

esplicazione del mandato parlamentare contro procedimenti penali<br />

o provvedimenti coercitivi della sfera di libertà personale, rispettivamente<br />

iniziati o adottati per motivi di persecuzione politica; garantire<br />

il plenum assembleare, ecc., servono ancora a riassumere taluni aspetti<br />

della prerogativa, e sono ancora utili a descriverla in termini di scienza politica.<br />

Dal punto di vista giuridico-costituzionale, invece, l'istituto non può<br />

non ricevere una spiegazione diversa, essendo intervenuti almeno due fatti<br />

fondamentali; a) l'autonomia costituzionale del potere giudiziario, soggetta<br />

solo alla legge (cfr. art. 68 Statuto: La giustizia emana dal Re ed<br />

è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce); b) l'organizzazione<br />

del Parlamento in gruppi derivanti dai partiti politici (cfr. art. 72<br />

comma 3 e art. 82 comma 2; nessuna norma analoga nello Statuto).<br />

In uno Stato policentrico, caratterizzato da organi compartecipi<br />

all'esercizio della sovranità popolare, il cui equilibrio è affidato in Costituzione<br />

alla previsione di appositi congegni di garanzia (in primo<br />

luogo, quello dell'art. 134 che vede la Corte Costituzionale come organo<br />

di chiusura del sistema, giudice di conflitti di attribuzione tra i poteri


144 Formazione della Camera - Prerogative<br />

dello Stato; e poi quelli dell'art. 90, dell'art. 96, dell'art. 100, 3° comma,<br />

dell'art. 107) la ed. immunità parlamentare si risolve, senza residui,<br />

appunto in uno strumento garantista di natura oggettiva e funzionale.<br />

La tutela è rivolta direttamente alla sfera di attività e non all'agente<br />

e neppure all'organo (che ne godono solo in via riflessa). Tale attività<br />

d'altra parte, non può essere circoscritta nello stretto ambito parlamentare<br />

dato il rapporto giuridico esistente tra membri del Parlamento,<br />

gruppi e partiti politici. L'esercizio delle funzioni parlamentari non è<br />

dunque soltanto quello che si svolge nelle aule delle Camere ma anche<br />

quello che si attua con la presenza politica nel paese.<br />

L'istituto dell'autorizzazione mira dunque, in definitiva, ad impedire<br />

che di una tale attività venga data da parte di organi esterni al<br />

Parlamento una valutazione che si tradurrebbe in una invasione di potere<br />

nella sfera parlamentare.<br />

In base a tali considerazioni il voler limitare l'indagine della Camera<br />

alla ricerca del fumus persecutionis, secondo la tradizionale impo- ^<br />

stazione, si risolverebbe nella impropria soggettivazione di un esame che<br />

deve tendere piuttosto ad accertare nella loro obiettività due elementi:<br />

1) la sussistenza sostanziale, in relazione al fatto, di un esercizio<br />

di funzioni parlamentari;<br />

2) la esistenza di elementi idonei a configurare una condotta privata,<br />

unica o concorrente con quella politica, giuridicamente rilevante<br />

in ordine alla richiesta di autorizzazione.<br />

Questo schema procedimentale risulta convalidato se dell'articolo 68<br />

Cost. si compie una ricostruzione unitaria tale da non isolare il concetto<br />

di insindacabilità di cui al primo comma con il concetto di inviolabilità<br />

di cui ai restanti commi.<br />

Si osserva al riguardo che dalia previsione di cui al primo comma<br />

dell'articolo 68 risultano esclusi i fatti materiali commessi nell'esercizio<br />

delle funzioni parlamentari. La procedibilità in ordine a tali fatti è evidentemente<br />

subordinata alla concessione dell'autorizzazione a procedere<br />

: a meno di non volere ipotizzare per essi un assurdo vuoto normativo.<br />

Il sistema non esclude dunque che l'esame della Camera in ordine<br />

alla concessione dell'autorizzazione a procedere possa riguardare anche<br />

fatti commessi nell'esercizio delle funzioni parlamentari. L'adesione ad<br />

una nozione sostanziale e non formale di tale esercizio ha permesso poi<br />

alla giurisprudenza parlamentare di pervenire alle conclusioni accennate:<br />

l'istituto dell'autorizzazione a procedere è diretto ad evitare invasioni<br />

nella sfera di attività politica propria della Camera attraverso la tutela


Formazione della Camera - Prerogative 145<br />

della libera esplicazione del mandato parlamentare da parte dei singoli<br />

membri dell'Assemblea.<br />

In ordine ai fatti portati alla conoscenza della Camera si tratta<br />

dunque di sceverare quanti di essi siano in rapporto di inerenza con la<br />

esplicazione del mandato parlamentare e quanti invece da tale intima<br />

connessione prescindano riferendosi alla condotta uti civis del parlamentare<br />

(esclusa sempre la sussistenza di un animus persecutionis dell'Autorità<br />

procedente).<br />

Questo cambiamento rispetto alla vecchia impostazione (riecheggiata<br />

d'altra parte in sede di Assemblea Costituente) non è stato senza<br />

sensibili oscillazioni. La giurisprudenza della Camera prospetta, in<br />

effetti, una gamma di atteggiamenti che vanno da quello tradizionale<br />

della ricerca del fumus persecutionis, prescindendo dalla valutazione politica<br />

del fatto contestato, alla valutazione di indiretti ed eventuali riflessi<br />

politici di fattispecie di per sé prive di ogni attinenza con l'esplicitazione<br />

del mandato parlamentare.<br />

6. - Si compierà, ora, patitamente per commi, un esame della<br />

norma costituzionale al fine di riscontrare il contenuto e l'ambito di concreta<br />

operatività della garanzia. La trattazione dovrà riguardare, poi, la<br />

procedura con cui la garanzia stessa viene fatta valere.<br />

Dice dunque il primo comma dell'art. 68 Cost.: « I membri del Parlamento<br />

non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti<br />

dati nell'esercizio delle loro funzioni ».<br />

Già si è visto che la qualità di « membro del Parlamento », si acquista,<br />

come dice l'art. 1 Reg. Camera, « con la proclamazione », con<br />

l'atto cioè dichiarativo del « fatto dell'elezione ». Da questo momento,<br />

la prerogativa propria dell'organo viene a coprire l'attività del membro<br />

neo-eletto.<br />

Si ricorderà, per altro, che poiché in base all'art. 61 Cost., « finché<br />

non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti<br />

», nel periodo intercorrente fra la proclamazione dell'ultimo dei<br />

deputati eletti e la prima riunione delle nuove Camere, la prerogativa<br />

copre di fatto i deputati eletti nella vecchia Camera e i neo-proclamati.<br />

Situazione che non può sorprendere considerata la natura obiettiva<br />

della prerogativa che copre chi venga in un determinato rapporto con<br />

l'organo Camera e può quindi legittimamente estendersi nel periodo transitorio<br />

ai vecchi come ai nuovi deputati, una volta che in tale periodo<br />

sia gli uni sia gli altri hanno la potenziale capacità di far uso dei poteri<br />

parlamentari.


146 Formazione della Camera - Prerogative<br />

Oltre che per lo scioglimento della Camera, i deputati possono cessare<br />

dal mandato parlamentare per la serie di cause prima esaminate:<br />

è evidente che la prerogativa viene meno solo con la pronuncia di decadenza<br />

o di annullamento della Camera o con l'accettazione delle dimissioni.<br />

Benché il presupposto di tali atti della Camera possa essersi verificato<br />

in epoca anteriore, e sia pure con carattere di necessità, è da escludere<br />

per le ragioni già esaminate che la Camera possa recepire, come automaticamente<br />

operativi, fatti giuridici verificatisi al di fuori del proprio<br />

ordinamento prima che essa stessa li « giudichi » legittimi come vuole<br />

l'art. 66 Cost.<br />

Il contenuto di questa garanzia, che la tradizione dottrinale qualifica<br />

come dell'« irresponsabilità » o dell'» insindacabilità » consiste in un « divieto<br />

assoluto di persecuzione giuridica » per le opinioni espresse e i voti<br />

dati nell'esercizio delle funzioni parlamentari.<br />

L'esclusione riguarda dunque sia le ipotesi di responsabilità penale<br />

(non possono essere perseguiti, ad esempio, fatti aventi la materiale<br />

oggettività della diffamazione) sia quelle di responsabilità civile<br />

(il danno morale ed economico che dichiarazioni rese nella Camera<br />

possa arrecare all'altrui sfera giuridica) sia quelle di responsabilità amministrativa<br />

(che possono derivare dal fatto che il deputato con le sue<br />

dichiarazioni leda il prestigio del « corpo » amministrativo a cui, per<br />

ipotesi, sia pure in stato di aspettativa, appartenga).<br />

Un particolare caso di responsabilità disciplinare potrebbe riguardare<br />

la posizione del deputato libero professionista nei confronti del<br />

proprio ordine professionale.<br />

Non vi è dubbio che la rilevanza dell'ordinamento generale rispetto<br />

a questi ordinamenti particolari, configuri una precisa causa di illegittimità<br />

delle sanzioni adottate nei confronti del membro dell'ordine<br />

in forza di opinioni espresse o voti dati in Parlamento, ancorché per<br />

ipotesi obiettivamente lesivi degli interessi del suo ordine.<br />

Tuttavia un profilo di responsabilità non è estraneo all'attività dei<br />

deputati in Parlamento: si tratta della responsabilità disciplinare che<br />

per ciascun membro della Camera incombe per il solo fatto di appartenenza<br />

a quel particolare ordinamento regolamentare. Si vedrà, in altre<br />

parti del presente lavoro, che le norme sulla disciplina delle sedute sono<br />

accompagnate da un preciso apparato sanzionatorio (67).<br />

(67) Si vedano gli artt. da 54 a 56 del Reg. Camera.


Formazione della Camera - Prerogative 147<br />

La contraddizione fra ordinamento generale costituzionale e ordinamento<br />

particolare della Camera è solo apparente. Già una classica dottrina<br />

(68) ha rilevato che l'insindacabilità costituzionale di ordine generale<br />

non esclude « quella sindacabilità, che è un presupposto perché lo<br />

ufficio, cui è affidato il potere disciplinare della Camera stessa, possa<br />

esercitare tale potere ». A questa esatta impostazione del problema, vi<br />

è solo da aggiungere che il controllo disciplinare sulle « opinioni espresse<br />

e i voti dati » dal deputato non può consistere che in un controllo esterno<br />

ed attenere appunto all'esternazione puramente formale dell'atto senza<br />

alcun rilievo per il suo contenuto, pena l'insanabile contrasto con l'art. 68<br />

della Costituzione. Basti al riguardo por mente alle ipotesi di responsabilità<br />

disciplinare enucleate nel regolamento della Camera: parole sconvenienti,<br />

turbative della libertà delle discussioni o dell'ordine delle sedute,<br />

ingiurie, provocazione di violenze o di tumulti, minacce o vie di<br />

fatto, per intendere che in alcun caso il potere disciplinare della presidenza<br />

può riferirsi, per esplicarsi legittimamente, al contenuto ideologico<br />

o morale dell'intervento di un deputato.<br />

La prassi sembra attenuare la rigidità di questo divieto ove il contenuto<br />

del discorso involga principi di responsabilità costituzionale di altri<br />

organi dello Stato: in particolare, la responsabilità del Presidente<br />

della Repubblica e quella dell'altro ramo del Parlamento o quella di<br />

magistrati a causa dell'esercizio di loro funzioni. In tali materie, il potere<br />

disciplinare del Presidente acquista una particolare penetratività per<br />

garantire il rispetto di norme non scritte di correttezza costituzionale e<br />

lo stesso principio di irresponsabilità politica del Capo dello Stato (art. 89,<br />

comma 1 Cost.). Il costume parlamentare è anche, per il principio<br />

opposto della responsabilità ministeriale, nel senso di escludere, in<br />

linea di massima, la critica diretta e personale nei confronti di funzionari<br />

della pubblica amministrazione, gerarchicamente subordinati al<br />

ministro.<br />

Si è recentemente aperta la discussione sui limiti in cui l'insindacabilità<br />

ex primo comma art. 68 Cost. possa essere invocata per la rivelazione<br />

che un deputato faccia in Aula, in seduta pubblica, di segreti privati<br />

o di Stato.<br />

Sembra che per quanto riguarda la violazione di un segreto di natura<br />

privatistica (di corrispondenza, professionale, scientifico, industriale, ban-<br />

(68) S. ROMANO, Natura giuridica dei regolamenti delle Camere parlamentari,<br />

in « Archivio giurìdico » 1906, ora in « Scritti minori », I, 1950.


148 Formazione della Camera - Prerogative<br />

cario) il deputato potrebbe essere perseguito penalmente, previa ovviamente<br />

autorizzazione a procedere, se e in quanto la rivelazione di segreto<br />

non fosse in rapporto necessario di conseguenzialità con la manifestazione<br />

di una opinione e con l'espressione di un voto.<br />

Di gran lunga più delicata la situazione giuridica per il caso di rivelazione<br />

di segreti di Stato. In questa ipotesi, argomentando dalla struttura<br />

delle norme penali e di procedura penale che disciplinano la materia<br />

(cfr. artt. 256 codice penale; 352 codice di procedura penale), non<br />

sembra potersi precludere al deputato una valutazione dell'interesse politico<br />

dello Stato e dello stesso concetto di sicurezza dello Stato, eventualmente<br />

confligente con quella che ne dà la pubblica amministrazione<br />

o il governo.<br />

Si versa infatti in un terreno di valutazioni essenzialmente politiche,<br />

che come tali rientrano sicuramente nell'ambito della insindacabilità<br />

costituzionale. Una persecuzione penale del deputato che abbia violato<br />

in Aula un segreto di Stato sarebbe ipotizzabile, naturalmente sempre<br />

previa autorizzazione a procedere, solo ove si riuscisse a dimostrare if<br />

dolo specifico di nuocere alla sicurezza dello Stato e la inesistenza di<br />

una connessione fra la rivelazione e la normale esplicazione del mandato<br />

parlamentare.<br />

Altra questione è se il deputato abbia il diritto di rivelare segreti,<br />

specie di Stato, in seduta pubblica. Argomentando dall'art. 38, ultimo<br />

comma, del Regolamento (« La Commissione decide quali dei suoi lavori,<br />

nell'interesse dello Stato, debbano rimanere segreti ») sembra potersi<br />

escludere l'esistenza di un diritto in tal senso. Su richiesta del governo,<br />

del Presidente dell'Assemblea o di un qualsiasi deputato, l'Assemblea<br />

potrà decidere quindi di adunarsi o continuare la discussione in<br />

seduta segreta, ai sensi dell'art. 64, comma 2, della Costituzione, ogni<br />

qualvolta un deputato inizi o preannunci la rivelazione di segreti di<br />

Stato (69).<br />

Come si è accennato, la prerogativa della « irresponsabilità » riferendosi<br />

alle « opinioni espresse ed ai voti dati nell'esercizio delle loro<br />

funzioni » esclude che possa coprire fatti materiali di violenza o minacce<br />

perpetrati nelle aule parlamentari.<br />

(69) Il problema è connesso per materia a quello dei limiti ai poteri delle<br />

Commissioni parlamentari d'inchiesta (artt. 351 e 352 del codice di procedura<br />

penale): per il quale si rimanda all'apposita trattazione dedicata al controllo. Si<br />

v. intanto però il Dibattito sulle inchieste parlamentari, in « Giur. Cost. », 1959,<br />

pag. 598 e segg. (specie pagg. 602 e 620).


Formazione della Camera - Prerogative 149<br />

A parte le sanzioni disciplinari di cui si è detto, ove questi fatti<br />

configurino ipotesi di responsabilità civile o penale, non vi è dubbio<br />

che essi siano perseguibili secondo le normali procedure (e quindi previa<br />

autorizzazione a procedere da parte della stessa Camera, in caso di processo<br />

penale).<br />

Un più complesso discorso impone l'ambito di estensione della prerogativa.<br />

La Costituzione parla di atti compiuti dai deputati « nell'esercizio<br />

delle loro funzioni ». In dottrina si è quasi sempre sostenuto (70),<br />

che per esercizio delle proprie funzioni si debba intendere il compimento<br />

specifico di atti tipici dell'ufficio di deputato (votazioni, presentazione<br />

di interrogazioni, mozioni, interpellanze, emendamenti, ordini<br />

del giorno, proposte di legge, relazioni, dichiarazioni, ecc.) anche se compiuti<br />

fuori delle Camere, come può avvenire in caso di inchiesta parlamentare<br />

o nell'attività di Commissioni nella cosiddetta sede politica o<br />

partecipando a deputazioni, e così via.<br />

Tuttavia si è già detto che una prassi parlamentare sempre più costante<br />

tende ad estendere in linea di fatto la sfera in cui opera la prerogativa<br />

dell'insindacabilità, a tutta l'attività politica che il deputato comunque<br />

esplichi.<br />

L'estensione avviene attraverso un procedimento indiretto: cioè<br />

mediante il diniego delle autorizzazioni a procedere per fatti rientranti<br />

nella sfera oggettivamente così definita, ancorché compiuti fuori dal<br />

Parlamento o per mezzo della stampa.<br />

Deve però rilevarsi che questo tipo di insindacabilità indiretta viene<br />

applicata non solo ai reati che potrebbero provenire da dichiarazioni<br />

orali dei deputati nel corso della loro attività politica, ma anche da fatti<br />

materiali avvenuti nel corso di manifestazioni politiche o sindacali, comizi,<br />

cortei, scioperi, ecc. (fra essi tipici: le riunioni in luogo pubblico<br />

non autorizzate, interruzione di pubblico servizio, resistenza a pubblico<br />

ufficiale, blocco stradale).<br />

La descrizione di questa prassi consente di ritenere superato il quesito<br />

dibattuto in dottrina sulla punibilità delle opinioni espresse dal deputato<br />

in Assemblea qualora esse venissero ripetute fuori dell'ambito<br />

parlamentare. La dottrina (71) ammette la punibilità di tali opinioni;<br />

in pratica sarà ben difficile che la Camera acconsenta alla relativa au-<br />

(70) Ma si veda, per una importante eccezione: CAPALOZZA, L'immunità parlamentare<br />

e l'artìcolo 68, comma 1, della Costituzione, in « Montecitorio », anno III,<br />

n. 7, pag. 4.<br />

(71) Cfr. LOJACONO, Le prerogative dei membri del Parlamento, Milano 1954,<br />

pag. 62.


150 Formazione della Camera - Prerogative<br />

torizzazione. Il caso in esame mostra però con sufficiente nitidezza la<br />

estrema difficoltà di porre un preciso limite all'estensione della prerogativa,<br />

almeno nei casi in cui non si rilevi prima facie la natura privata<br />

e non politica dei fatti in discussione (72).<br />

È evidente però che in tutti i casi esaminati di « insindacabilità »<br />

impropria, le conseguenze giuridiche sono radicalmente diverse rispetto<br />

a quelle della « insindacabilità » in senso proprio. Mentre, infatti, in questo<br />

caso non sorge l'antigiuridicità del fatto, nel caso della « insindacabilità<br />

» impropria, la situazione è caratterizzata dalla esistenza di un fatto<br />

antigiuridico che non può essere perseguito per assenza di una condizione<br />

processuale di proseguibilità. Ne consegue che mentre il deputato coperto<br />

da insindacabilità in senso proprio, cioè in conformità alla lettera del<br />

primo comma dell'art. 68, non potrà essere perseguito alla scadenza del<br />

suo mandato, lo stesso non potrà dirsi del deputato nei cui confronti<br />

sia stata negata l'autorizzazione a procedere.<br />

In quest'ultimo caso, infatti, alla scadenza del mandato parlamentare,<br />

concorrendo le altre condizioni previste dalla legge, nessun ostacolo *<br />

si frapporrà al proseguimento dell'azione penale.<br />

7. - Passando ora nell'ambito della cosiddetta prerogativa dell'inviolabilità<br />

di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 68 viene in analisi la prima<br />

parte del primo comma che recita: a Senza autorizzazione della Camera<br />

alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto<br />

a procedimento penale ».<br />

La ratio dell'istituto è quella, come si è detto, di evitare che mediante<br />

la sottoposizione di deputati a procedimenti penali, altri poteri<br />

dello Stato vengano di fatto ad incidere sulla sfera di autonomia politico-costituzionale<br />

della Camera.<br />

Si deve infatti fin d'ora precisare che la prerogativa dell'inviolabilità<br />

non si esaurisce nell'ambito del processo penale. L'art. 68, dopo la<br />

più generale previsione di questa prima parte del secondo comma, si<br />

riferisce ad altre due ipotesi specifiche: provvedimenti di coercizione<br />

personale o domiciliare (secondo comma, seconda parte); provvedimen-<br />

(72) Si pensi che in tutta una vasta zona del nostro paese, funestata dal fenomeno<br />

della «mafia», nullificata di fatto dalle condizioni ambientali e sociali la<br />

persecuzione penale, la denuncia dei delitti e dei loro presunti mandanti è stata possibile<br />

fare solo in sede parlamentare. (Si veda l'attività dell'apposita Commissione<br />

d'inchiesta contro la mafia, istituita con legge 20 dicembre 1962, n. 1720; cfr. da<br />

ultimo le polemiche circa la pubblicità dei suoi lavori alla Camera il 9 marzo, e al<br />

Senato il 10 marzo 1968). Tuttavia non sembra dubbio che in simili casi il deputato<br />

debba avere la possibilità di sostenere la propria denuncia anche in altre sedi, dopo<br />

averla avanzata in sede parlamentare.


Formazione della Camera - Prerogative 151<br />

to di arresto in esecuzione di sentenza (terzo comma). La prerogativa si<br />

estende quindi a fasi che sono successive o anche estranee ad un procedimento<br />

penale: essa mira a tutelare la libera esplicazione del mandato<br />

parlamentare contro qualsiasi tipo di azioni coercitive che possano<br />

essere poste in essere da un potere estraneo a quello legislativo.<br />

Per quanto attiene alla prima parte del comma 2 il giudizio della<br />

Camera, secondo le modalità che saranno a suo luogo precisate, dovrà<br />

riguardare non già la materia del reato ascritto al deputato ma solo<br />

il momento della rilevanza del procedimento sulla sfera della sua autonomia<br />

(che viene ovviamente lesa, ogniqualvolta è lesa la libera esplicazione<br />

del mandato in uno solo dei suoi membri).<br />

Si può ripetere con l'Orlando: « La Camera non può né deve arrogarsi<br />

i poteri del magistrato per migliorare o aggravare la condizione<br />

dell'imputato ». La Camera deve solo esprimere un giudizio sulla « serietà<br />

della ragione » che può rendere possibile una limitazione di libertà,<br />

quale è sempre la sottoposizione a procedimento penale, evitando ogni<br />

altra invasione nei poteri del giudice naturale precostituito per legge.<br />

L'autorizzazione a procedere che, come ha dimostrato la più recente<br />

dottrina, risulta dal punto di vista dell'autorità che la concede un « atto<br />

politico » (in quanto « predisposto per il soddisfacimento di interessi<br />

pubblici attinenti alla vita dello Stato considerato nella sua unità ») si<br />

inserisce però con i suoi effetti nel processo (come negozio giuridico processuale,<br />

secondo taluni; come fatto giuridico processuale, secondo altri).<br />

L'autorizzazione agisce anzi da « condizione di efficacia » rispetto<br />

agli atti che vengono compiuti prima che venga concessa e da « presupposto<br />

di validità » per gli atti che vengono compiuti dopo di essa (il<br />

Leone infatti la costruisce come condizione di « proseguibilità » della<br />

azione penale).<br />

La dottrina unanime ritiene che una sentenza pronunciata in carenza<br />

di autorizzazione sia affetta da nullità rilevabile in ogni stato e<br />

grado del procedimento.<br />

Di qui si è rilevata la necessità di rendere la struttura di questo istituto<br />

parlamentare omogenea con i principi che reggono il compimento<br />

di atti e la verifica di fatti processuali.<br />

A tal fine è importante l'individuazione del punto del procedimento<br />

su cui incide l'autorizzazione. 11 combinato disposto dell'art. 15 del codice<br />

di procedura penale (« Nei procedimenti per i quali è necessaria l'autorizzazione,<br />

questa è richiesta dal pubblico ministero, prima che sia emesso<br />

alcun mandato ») e dell'art. 68 della Cost. (« senza autorizzazione...


152 Formazione della Camera - Prerogative<br />

nessun membro del Parlamento può essere "sottoposto" a procedimento<br />

penale ») indica che la richiesta di autorizzazione si impone nel momento<br />

in cui debba essere elevata formale imputazione o si debba compiere<br />

un atto istruttorio che richieda la presenza dell'imputato o dei<br />

suoi difensori.<br />

L'autorizzazione esplica dunque normalmente i suoi effetti nel processo<br />

durante la fase istruttoria: quando già l'azione penale è iniziata<br />

con il compimento di atti che manifestano la volontà dell'organo di<br />

pubblico ministero (titolare del relativo potere-dovere costituzionale:<br />

art. 112 della Costituzione «Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare<br />

l'azione penale ») di chiedere al giudice una decisione su una<br />

determinata notitia criminis.<br />

Perché questa azione sia proseguita è necessario che si incardini<br />

nell'istruttoria questo ulteriore fatto, che quindi, benché posto in essere<br />

in sede diversa da quella processuale, deve obbedire alla logica costituzionale<br />

(vedi artt. 25, 27, 101) che vuole particolarmente tutelato in ma;<br />

teria penale il generale principio di uguaglianza fra i cittadini e quindi<br />

l'uniforme applicazione di regole e norme giuridiche.<br />

Deve osservarsi che il tipo di prerogativa in esame si pone come<br />

condizione di proseguibilità esclusivamente nei confronti del processo penale,<br />

ancorché provvedimenti coercitivi della libertà personale possano<br />

scaturire da procedimenti civili (come quello di interdizione o fallimentare)<br />

e amministrativi.<br />

La ratio della differenziazione sembra da ricercarsi, oltre che nella<br />

particolare gravità del processo penale, nel fatto che è proprio in quella<br />

sede che il deputato potrebbe più facilmente essere sottoposto a sindacato<br />

su fatti attinenti alla propria condotta politica. È perciò prevista<br />

qui una garanzia preventiva che, invece, nelle altre ipotesi normative<br />

non si rinviene, apprestandosi invece una garanzia successiva (seconda<br />

parte, secondo comma) per il caso di inflizione di misure coercitive della<br />

libertà personale.<br />

L'ampia dizione usata dal legislatore costituente, « procedimento<br />

penale », consente di non ritenere proponibile nell'ordinamento repubblicano<br />

la questione che fu a lungo dibattuta nella vigenza dello Statuto<br />

albertino. Il riferimento che questo faceva alla « materia criminale » fu<br />

interpretato da parte della dottrina come esclusivo dei procedimenti per<br />

contravvenzione. Una proposta limitativa in tal senso fu respinta dalla<br />

Assemblea Costituente, ravvisandosi anche nel processo penale per contiavvenzione<br />

la sussistenza della ratio della prerogativa.


Formazione della Camera - Prerogative 153<br />

Circa l'operatività della prerogativa, secondo i concetti già esposti,<br />

essa deve intendersi iniziare al momento dell'elezione del deputato con<br />

il conseguente effetto di sospendere il processo penale eventualmente<br />

già in corso contro il candidato risultato eletto, e con l'obbligo per l'autorità<br />

procedente di avanzare richiesta di autorizzazione alla Camera.<br />

Analogamente, la prerogativa torna a farsi valere qualora il deputato,<br />

contro cui sia stato concessa l'autorizzazione a procedere, venga<br />

eletto nella nuova Camera. È necessario in tal caso che la nuova Assemblea<br />

venga investita ex novo della richiesta di autorizzazione a procedere.<br />

Si dovrà ora esaminare la seconda parte del secondo comma dell'art.<br />

68: [Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun<br />

membro del Parlamento] « può essere arrestato o altrimenti privato<br />

della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare,<br />

salvo che sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale<br />

è obbligatorio il mandato o l'ordine di cattura ».<br />

Il primo quesito attiene al rapporto sistematico fra la prima parte<br />

del secondo comma, sopra esaminato, e questa seconda parte. Si chiede<br />

se i provvedimenti coercitivi di cui sopra siano coperti dalla garanzia<br />

solo in quanto inerenti ad un procedimento penale ovvero siano da comprendersi<br />

in una previsione autonoma.<br />

La recente prassi parlamentare si è orientata nel secondo senso<br />

(73), contro l'opinione della maggior parte della dottrina che invece<br />

(73) Nella seduta del 6 dicembre 1966, la Giunta per le autorizzazioni a procedere<br />

approvava il seguente « parere » :<br />

« La Giunta per le autorizzazioni a procedere,<br />

- esaminato il caso di un deputato sottoposto a provvedimenti coercitivi della<br />

sfera di libertà personale in esecuzione di sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata<br />

nei di lui confronti;<br />

- rilevato che nessuna richiesta di autorizzazione è pervenuta al riguardo da<br />

parte dell'Autorità giudiziaria competente;<br />

- ritenuto che per la natura di misure preventive di carattere afflittivo dei predetti<br />

provvedimenti, tali da incidere sul plenum assembleare e comunque ostativi alla<br />

libera esplicazione del mandato parlamentare, la loro legittimità deve ritenersi condizionata<br />

alla preventiva autorizzazione a procedere da parte della Camera;<br />

- osservato che è del tutto irrilevante che i predetti provvedimenti coercitivi<br />

derivino da atto della giurisdizione civile e non da quella penale, essendo la ratio<br />

dell'articolo 68 della Costituzione quella della tutela delle libertà personali dei membri<br />

delle Camere;<br />

- ritenuto, pertanto, che anche l'esecuzione di quanto stabilito dagli articoli 48<br />

e 49 della legge fallimentare, deve essere autorizzata dal Parlamento;<br />

- considerata la necessità di impedire lo stabilirsi di un pericoloso precedente<br />

ai danni delle prerogative parlamentari di cui riafferma la natura di obiettiva garanzia<br />

funzionale e non di privilegio personale;


154 Formazione della Camera - Prerogative<br />

limita l'operatività della garanzia al campo penalistico (74). Tale prassi<br />

parlamentare sembra fondata su una sicura base esegetica. Innanzitutto<br />

la lettera della norma sembra avvalorare una previsione disgiuntiva fra<br />

provvedimenti coercitivi della libertà personale e domiciliare e ipotesi<br />

processuale penale. Come già si è accennato, l'argomento che la tutela<br />

contro l'azione penale non può non essere preventiva in forza della particolare<br />

gravità del fatto stesso della imputazione, non può essere utilizzato<br />

per escludere la garanzia nei confronti di provvedimenti coercitivi<br />

non promananti da procedimento penale.<br />

Logicamente, infatti, la garanzia preventiva nei confronti del procedimento<br />

penale rappresenta il limite massimo di espansione della prerogativa.<br />

Ma il nucleo minimo indeclinabile di questa è la garanzia contro<br />

l'offesa attuale: il provvedimento coercitivo da qualsiasi parte provenga<br />

e da qualunque autorità sia emanato. Come sarebbe errato argomentare<br />

dal fatto della possibilità che provvedimenti coercitivi possano<br />

provenire da procedimenti civili e amministrativi, l'estensione a processi<br />

di questo tipo della tutela preventiva ex art. 68, secondo comma, priiria<br />

parte; così appare logicamente viziato il ragionamento che dal fatto della<br />

esplicita previsione del processo penale come limite massimo di espansione<br />

della prerogativa, volesse dedurre l'inapplicabilità della garanzia<br />

a provvedimenti coercitivi di natura non penale. In effetti la frontiera<br />

del processo penale è quella più lontana, per quanto riguarda l'operatività<br />

della garanzia, non per la natura della materia (sicché materie civili<br />

o amministrative fuoriuscirebbero da quell'ambito) ma per il fatto che<br />

in materia penale la garanzia opera in via preventiva, attiene al procedimento<br />

e non solo ai provvedimenti coercitivi che ne scaturiscono.<br />

Si tratta dunque di una garanzia aggiuntiva rispetto a quella fondamentale<br />

che copre l'intero arco dei provvedimenti coercitivi. H che<br />

sembra dimostrato dal fatto che essa non ha carattere assorbente nei<br />

confronti dei provvedimenti penali restrittivi di libertà: se nel corso del<br />

procedimento il giudice emetta taluno di questi provvedimenti è necessaria<br />

infatti una nuova richiesta di autorizzazione.<br />

- esprìme il parere che sarebbe auspicabile una pronta regolarizzazione del procedimento<br />

in corso, attraverso la normale richiesta di autorizzazione da parte dell'Autorità<br />

giudiziaria competente ». (Cfr. Bollettino delle Giunte e delle Commissioni,<br />

6 dicembre 1966, pag. 1).<br />

(74) Si veda però in senso contrario, autorevolmente, ORLANDO, in Immunità<br />

parlamentari ed organi sovrani (A proposito del caso di un giudizio di interdizione<br />

contro un membro del Parlamento), ora in « Diritto pubblico generale », Milano 1954,<br />

pag. 460 e segg., nonché LOJACONO, Le prerogative dei membri del Parlamento, Milano<br />

1954, pagg. 188-189.


Formazione della Camera - Prerogative 155<br />

Ugualmente, una nuova autorizzazione - e con questo rilievo si<br />

viene alFesame del terzo ed ultimo comma dell'art. 68 - « è richiesta<br />

per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento<br />

in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile ».<br />

Sembra potersi concludere dall'esame dell'art. 68, conformemente<br />

ai precedenti parlamentari, che base dell'interpretazione della norma debba<br />

essere la parte seconda del comma 2: il divieto di privazione, in qualsiasi<br />

modo questa possa avvenire, della libertà personale (75) del singolo<br />

parlamentare senza autorizzazione della Camera a cui appartenga.<br />

(75) La questione si è posta, di fatto, nella IV legislatura, per le limitazioni<br />

subite ope legis nella propria sfera di libertà personale dal deputato Ottieri (poi dichiarato<br />

decaduto), a seguito di declaratoria fallimentare pronunciata nei suoi confronti.<br />

Le limitazioni riguardavano la libertà di corrispondenza (articolo 48, legge fallimentare<br />

16 marzo 1942, n. 267: «La corrispondenza diretta al fallito deve essere<br />

consegnata al curatore, ecc. »), e la libertà di circolazione (articolo 49 legge cit. : « Il<br />

fallito non può allontanarsi dalla sua residenza senza permesso del giudice delegato<br />

(...). Il giudice può fare accompagnare il fallito dalla forza pubblica, se questi non<br />

ottempera all'ordine di presentarsi»). Come si è visto alla nota n. 73, la Giunta per<br />

le autorizzazioni a procedere della Camera sostenne la necessità che anche per tale<br />

tipo di limitazioni fosse necessaria apposita autorizzazione a procedere.<br />

La decisione, oltre che per le ragioni generali esposte nel testo, sembra sostenibile<br />

anche con altre specifiche argomentazioni. Benché, infatti, la norma dell'articolo<br />

68 non parli espressamente di tutela della libertà di circolazione e della libertà<br />

di corrispondenza del deputato è da osservare che la dizione usata nell'articolo (« o<br />

altrimenti privato della libertà personale») è di tale ampiezza da permettere di intendere<br />

il riferimento della garanzia ad una autonoma e completa sfera di libera determinazione<br />

del deputato. In sostanza, l'articolo 68 rifonde, globalmente e non per<br />

specifici richiami, le ipotesi che sono a diverso titolo contemplate, ad esempio, negli<br />

articoli 13 (libertà personale), 14 (libertà di domicilio) e 21 (libertà d'opinione) della<br />

Costituzione. Il fatto che in una norma così strutturata, non vi sia il* riferimento<br />

letterale esplicito ai diritti di cui agli articoli 15 e 16, non è quindi in alcun modo<br />

probante ai fini della loro esclusione dalla particolare garanzia di cui all'articolo 68.<br />

Al contrario, una connessione necessaria non pare dubbia solo se si pensi a quale<br />

illusoria cosa si ridurrebbe la tutela della « libera » esplicazione del mandato parlamentare<br />

- a cui la norma in questione è intesa - quando a un deputato potessero<br />

essere limitate e la libertà di circolazione e la libertà di corrispondenza in forza<br />

di un provvedimento giudiziario di cui la Camera non abbia avuto contezza.<br />

Il CRISAFULLI ha già sostenuto in proposito che la disciplina della libertà personale<br />

non si esaurisce per intero nella sola disposizione dell'articolo 13 della Costituzione<br />

essendo integrata da altre disposizioni del testo costituzionale, rispetto a cui<br />

l'articolo 13 si porrebbe come norma di genus.<br />

La stessa Corte costituzionale, che pure ha assegnato alla nozione di libertà<br />

personale un àmbito estremamente ristretto ha, a più riprese, disatteso il rigido criterio<br />

di riferimento ai provvedimenti limitativi della libertà fisica, cioè al concetto<br />

tradizionalmente definito mWhabeas corpus cui, argomentando dal termine « privazione<br />

», una parte della dottrina àncora la sua interpretazione dell'articolo 68.<br />

È sufficiente ricordare per tutte: la sentenza n. 11 del 1956 che dichiarò costituzionalmente<br />

illegittimo, in relazione all'articolo 13, l'istituto dell'ammonizione di<br />

polizia perché imponendo all'ammonito tutta una « serie di obblighi di fare e di non<br />

fare », pur non dando necessariamente vita a forme di coercizione fisica della persona,<br />

si risolveva in « una sorta di degradazione giuridica » ; la sentenza n. 68 del<br />

1964 che, riprendendo e chiarendo il concetto di degradazione giuridica, testualmente


156 Formazione della Camera - Prerogative<br />

La prerogativa non è quindi limitata alla materia penale: questa<br />

viene in rilievo solo ai fini della garanzia preventiva nei confronti del<br />

procedimento.<br />

Se invece si accedesse ad una diversa opinione, si giungerebbe oltretutto<br />

alla conseguenza invero abnorme che i deputati sarebbero tutelati<br />

rispetto al giudice penale anche per reati contravvenzionali di infima<br />

entità, mentre sarebbero esposti a ben più gravi lesioni della personalità<br />

per effetto della decisione di un giudice amministrativo o civile<br />

(si richiamano ancora le conseguenze che la legge connette alla sentenza<br />

declaratoria di fallimento, cfr. art. 48 e 49 legge fallimentare) o di una<br />

autorità amministrativa. Una tale distinzione, che non ha convincente<br />

fondamento normativo, urterebbe oltretutto con il concetto dell'unitarietà<br />

della giurisdizione affermato nella Costituzione (76).<br />

Coerentemente con tali premesse, la dottrina che sostiene una interpretazione<br />

della norma non ristretta alla materia penale ma comprensiva<br />

di « qualsiasi atto di coercizione che privi della libertà personale,<br />

indipendentemente dal motivo che lo impone, dalla sede in cui^è<br />

disposto e dal mezzo con cui è posto in essere », ritiene rientrare fra i<br />

provvedimenti contro cui si pone la prerogativa: l'internamento in manicomio<br />

(art. 420 codice civile), i provvedimenti disciplinari, restrittivi<br />

della libertà personale, che sono previsti dai regolamenti militari, e an-<br />

diceva : « Per aversi degradazione giuridica come uno degli aspetti di restrizione della<br />

libertà personale ai sensi dell'articolo 13 della Costituzione, occorre che il provvedimento<br />

provochi una menomazione o mortificazione della dignità o del prestigio<br />

della persona, tale da poter essere equiparata a quell'assoggettamento all'altrui potere<br />

in cui si concreta la violazione del principio dell'habeas corpus ».<br />

Anche dunque seguendo il criterio di ristrettissima interpretazione che del concetto<br />

di « libertà personale » dà la Corte costituzionale, si perviene alla stessa conclusione<br />

cui conducono l'interpretazione logica e quella sistematica.<br />

A nessun caso, infatti, come a quello del deputato costretto ad esplicare il<br />

proprio mandato - costituzionalmente garantito - affidandosi al beneplacito di un<br />

giudice per essere presente o meno alla Camera e subendo l'interferenza di altra<br />

persona nelle proprie comunicazioni epistolari, comprese quelle che per avventura<br />

abbia con il proprio gruppo parlamentare, con il proprio partito, o con il Presidente<br />

della Camera, potrebbe meglio applicarsi il concetto di « degradazione giuridica »<br />

coniato dalla Corte.<br />

(76) Se poi si guarda all'orìgine storica dell'istituto dell'autorizzazione a procedere,<br />

si ricorda che nel diritto inglese la prerogativa non era prevista, come non<br />

lo è tuttora, per i provvedimenti coercitivi derivanti da reati, ma era invece limitata<br />

proprio a quelli derivanti da cause civili L'estensione alla materia penale è un portato<br />

delle costituzioni rivoluzionarie francesi e delle europee che le seguirono. Da notare<br />

che lo Statuto albertino (articolo 46), disponendo in materia per molti aspetti vicina<br />

a quella fallimentare, non ammetteva l'arresto per debiti, neppure con l'autorizzazione<br />

della Camera, durante la sessione. Questa rigidità originaria nei confronti<br />

di provvedimenti coercitivi per cause civili si spiega evidentemente con l'ulteriore necessità<br />

di evitare che la libera esplicazione del mandato parlamentare potesse essere<br />

soggetta ad atti di vendetta privata (e nessuno può ignorare quali possibilità obiettive<br />

offra in merito, ad esempio, la nostra attuale procedura fallimentare).


Formazione della Camera - Prerogative 157<br />

che l'arresto dell'estradando nelle varie forme in cui può essere disposto<br />

(art. 663 codice di procedura penale) (77).<br />

Vari dubbi ha suscitato invece, anche nella dottrina che accoglie<br />

una interpretazione estensiva dell'articolo 68, il reale fondamento del<br />

divieto di perquisizione personale e domiciliare di cui all'articolo 68 (78).<br />

Si è parlato di una sorta di « estraterritorialità » riferite alla casa del<br />

parlamentare con conseguente « diritto di asilo », inammissibile con i presupposti<br />

generali dell'ordinamento giuridico. Si è infatti osservato che,<br />

salvo l'ipotesi di flagranza in relazione ad un delitto per il quale sia<br />

obbligatorio il mandato o l'ordine di cattura, le perquisizioni sarebbero<br />

escluse sia per reati contravvenzionali da chiunque commessi; sia per i<br />

delitti per i quali non sia obbligatoria l'emissione del mandato di cattura,<br />

da chiunque commessi; sia per gli atti di perquisizione da disporre<br />

in occasione di delitti per cui il mandato di cattura è obbligatorio, commessi<br />

da persone estranee alle Camere, ovvero da parlamentari diversi<br />

da quello cui appartiene il domicilio o sulla cui persona si abbia motivo<br />

di ritenere possa ritrovarsi elementi di reato.<br />

Si deve probabilmente a questa tendenza dottrinale per una interpretazione<br />

restrittiva di tale aspetto della prerogativa, il verificarsi di<br />

qualche vistosa difformità nella pratica (79).<br />

(77) Così LOJACONO, op. cit., pag. 189. Per quanto riguarda l'internamento in<br />

manicomio, già aveva sostenuto la necessità dell'autorizzazione ORLANDO, in Immunità<br />

pari., cit<br />

(78) Si v. LOJACONO, op. cit., pag. 159 e segg. ; STELLACCI, Problemi nuovi sulle<br />

immunità dei membri del Parlamento, in « La Giustizia penale », 1951, I, 68.<br />

(79) Il riferimento è all'episodio che nella IV legislatura vide protagonista il<br />

deputato Dossetti Ermanno. D procuratore della Repubblica di Reggio Emilia, nel<br />

dicembre 1963, avendo ricevuto informazioni circa alcune frasi pronunciate dal predetto<br />

deputato in un congresso provinciale del suo partito, frasi che potevano costituire<br />

vilipendio dell'ordine giudiziario, aveva emesso un decreto di perquisizione dell'ufficio<br />

e del domicilio del parlamentare, senza che fosse stata richiesta l'autorizzazione<br />

della Camera, al fine di acquisire un nastro magnetico, sul quale sarebbero<br />

state incise le frasi pronunciate dal deputato. La perquisizione di fatto non avvenne<br />

perché l'onorevole Dossetti, pur protestando per la violazione delle sue prerogative,<br />

si indusse a consegnare il nastro per impedire l'ingresso del commissario di P.S.<br />

incaricato dell'esecuzione del decreto. Il ministro di grazia e giustizia, ravvisando in<br />

tale fatto una evidente e ingiustificata disapplicazione della garanzia costituzionale<br />

ex articolo 68, chiedeva al procuratore generale presso la Corte di cassazione d'iniziare<br />

procedimento disciplinare contro il magistrato in questione per violazione dei<br />

suoi doveri professionali.<br />

Il procuratore della Repubblica incolpato si difese dinanzi alla sezione disciplinare<br />

del Consiglio superiore della magistratura adducendo una interpretazione restrittiva<br />

della prerogativa ex articolo 68. Con sentenza del gennaio 1965 la predetta<br />

sezione disciplinare assolse il magistrato che aveva emesso l'ordine di perquisizione<br />

con una motivazione che si riporta nei suoi passi più significativi in ordine al problema<br />

proposto.<br />

«In relazione al caso in «pftjp», la Sezione dfctfclinare ritiene che l'errore<br />

sussiste, ma che esso non sia stato determinato da scarsa diligenza del magistrato


158 Formazione della Camera - Prerogative<br />

Circa l'operatività temporale della prerogativa, le prassi parlamentare<br />

e giurisprudenziale concordano per quanto attiene alla sorte dei<br />

provvedimenti di arresto preventivo emanati o eseguiti contro i membri<br />

del Parlamento prima della loro elezione o nomina.<br />

In caso di mandato di cattura non ancora eseguito, esso deve essere<br />

revocato dall'Autorità giudiziaria che l'ha emesso, richiedendosi alla<br />

nuova Camera l'autorizzazione a riemetterlo oltre che, ovviamente, l'autorizzazione<br />

a procedere.<br />

nell'esame della situazione di fatto e di diritto che importò l'emissione dell'ordine di<br />

perquisizione.<br />

« Non v'è ragione di escludere la possibilità dell'errore interpretativo in questa<br />

materia. Non gioverebbe richiamare in contrario il vecchio criterio di ermeneutica,<br />

che « in claris non fit interpretatio », per sostenere che la disposizione dell'articolo 68,<br />

comma 2 della Costituzione, è così chiara da non ammettere l'errore, poiché tale<br />

criterio non è più accolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Invero l'errore può<br />

incidere sull'ambito di applicazione della norma, secondo quanto si è detto circa<br />

la possibilità di configurare la violazione di essa solo a causa dell'emissione dell'ordine<br />

di perquisizione, indipendentemente dalla sua esecuzione. Ma esso può riguardare<br />

un punto di carattere ancor più generale, che attiene al coordinamento dell'articolo<br />

68, comma 2, con l'articolo 3 della Costituzione, che proclama l'uguaglianza<br />

di tutti i cittadini davanti alla legge. E che tale questione possa essere ragionevolmente<br />

proposta si ricava ormai dalla recente sentenza della Corte costituzionale che,<br />

in applicazione del citato articolo 3, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle<br />

norme che stabilivano la e. d. garanzia amministrativa. Si tratta, ben vero, di una<br />

situazione diversa, in quanto il rapporto si poneva, in tal caso, fra norme ordinarie<br />

ed una norma costituzionale, mentre, nel caso in esame, esso è fra le due norme<br />

della Costituzione; ma ciò non esclude la possibilità del dubbio circa la compatibilità<br />

e la eventuale prevalenza fra i citati articoli della Costituzione. Inoltre può<br />

sorgere questione circa l'applicabilità della norma nel caso in cui la perquisizione sia<br />

disposta dal pubblico ministero nella fase degli atti di polizia giudiziaria, per ragioni<br />

di particolare urgenza, e quando la perquisizione stessa sia diretta al sequestro di<br />

cose pertinenti ad un reato.<br />

« Tale situazione ricorreva nella specie e v'è ragione di ritenere che il magistrato<br />

abbia emesso l'ordine di perquisizione nell'erronea convinzione che esso<br />

fosse legittimo e non lesivo delle prerogative del parlamentare. Infatti, nella motivazione<br />

del provvedimento si premette che si versa nella fase degli atti di polizia giudiziaria<br />

; si accenna alla necessità di acquisire la prova del reato di vilipendio in<br />

danno dell'Autorità giudiziaria, prova che sarebbe risultata dalla registrazione su un<br />

nastro magnetico di un discorso dell'onorevole Dossetti; si giustifica il provvedimento<br />

con la considerazione " che trattasi di accertamento di urgenza non coperto<br />

da immunità parlamentare ", e si ordina la perquisizione " al solo fine di acquisire<br />

detto nastro ". Ora, dalle citate espressioni chiaramente risulta che il magistrato<br />

non trascurò di porsi l'indagine circa la legittimità del provvedimento in relazione<br />

all'articolo 68 della Costituzione, ma la risolse in senso positivo nella convinzione<br />

che non fosse " coperto da immunità parlamentare " l'atto di perquisizione<br />

disposto in via di urgenza al fine limitato ed esclusivo di acquisire il predetto nastro<br />

contenente la prova del supposto reato. Il convincimento è indubbiamente erroneo,<br />

in quanto il precetto è assoluto nel porre il divieto di perquisizione. Ma ciò non<br />

esclude sia che l'interprete si possa proporre il quesito circa la sua applicazione<br />

nel caso concreto, sia che egli ragionevolmente lo risolva in senso negativo in considerazione<br />

dell'urgenza e del fine connesso all'atto di perquisizione, nonché del suo<br />

carattere istantaneo e della ritenuta inidoneità ad incidere negativamente sul prestigio<br />

del parlamentare e sulla libera esplicazione del suo mandato ».<br />

Per questi motivi la Sezione disciplinare ritenne che il fatto addebitato non fosse<br />

suscettibile di sanzione disciplinare.


Formazione della Camera - Prerogative 159<br />

Nel caso di detenzione preventiva, il deputato eletto dovrà essere<br />

scarcerato e dovrà ugualmente richiedersi alla Camera una duplice autorizzazione:<br />

l'una a procedere, l'altra a riarrestarlo.<br />

8. - Si dovrà ora esaminare il procedimento attraverso il quale la<br />

Camera dei deputati perviene alla pronuncia sull'autorizzazione a procedere.<br />

L'ordinamento regolamentare prevede uno speciale organo preparatorio<br />

del materiale da sottoporre alle decisioni dell'Assemblea: la Giunta<br />

per le autorizzazioni a procedere (80).<br />

La Giunta è composta di 21 deputati scelti dal Presidente della<br />

Camera (liberamente, ma di fatto su designazione dei gruppi e sulla base<br />

di un ovvio anche se non rigoroso criterio di proporzionalità). Non vi è<br />

per i membri della Giunta per le autorizzazioni il divieto di dimissioni<br />

che invece sussiste per i componenti della Giunta delle elezioni (cfr. art.<br />

16 Reg. Camera), sebbene la logica che presiede quel divieto sembrerebbe<br />

qui sussistere a più forte ragione (81). La Giunta elegge nel suo<br />

seno un presidente, due vicepresidenti e due segretari.<br />

A questo organo il Presidente della Camera trasmette le richieste<br />

di autorizzazione a procedere che gli pervengono dal ministro di grazia<br />

e giustizia che, a sua volta, le ha ricevute dall'autorità giudiziaria competente.<br />

Come si vede, la prassi, anche oltre la lettera dell'art. 42 Reg.<br />

Camera (che sembra alludere piuttosto ad una ipotesi di intervento successivo<br />

del Guardasigilli, volto a favorire l'attività istruttoria della<br />

Giunta) continua a mantenere fermo lo schema proprio dell'ordinamento<br />

statutario, per cui fra Camere e ordine giudiziario, punto di passaggio<br />

intermedio è il ministro di grazia e giustizia.<br />

Questo schema apparte fortemente obsoleto nell'attuale ordinamento<br />

costituzionale stante la piena indipendenza raggiunta dai giudici (cfr.<br />

(80) La « Giunta per l'esame delle domande di autorizzazione a procedere in<br />

giudizio» (art. 8 Reg. Camera) trova una del tutto insufficiente regolamentazione<br />

nell'art. 42 Reg. Nella IV legislatura il Presidente della Giunta Amatucci ha presentato<br />

una proposta di modificazioni al Regolamento, volta ad introdurvi un Capo<br />

V-bis composto da 8 articoli, interamente dedicati alla disciplina del procedimento<br />

(Doc. X, n. 13). La proposta non ha però avuto seguito per l'intervenuta fine della<br />

legislatura.<br />

(81) Si veda infatti la cit. proposta del Presidente Amatucci che prevede un<br />

preciso termine per la possibilità di dimissioni : « I deputati prescelti possono dimettersi<br />

entro dieci giorni dalla nomina: il Presidente della Camera, valutati i motivi<br />

delle dimissioni, può respingerle». Per altro «il deputato che non partecipa per tre<br />

riunioni consecutive ai lavori della Giunta e senza giustificato motivo può essere<br />

sostituito dal Presidente della Camera su segnalazione del Presidente della Giunta».


160 Formazione della Camera - Prerogative<br />

art. 101 e segg. Cost.) e l'istituzione, come ente esponenziale dell'ordine<br />

giudiziario, « autonomo e indipendente da ogni altro potere », del Consiglio<br />

superiore della magistratura (art. 104 Cost.). Le competenze di<br />

questo organo appaiono senz'altro preponderanti rispetto a quelle del<br />

ministro di grazia e giustizia (82).<br />

In particolare, sebbene sia ancora discusso il grado di rilevanza<br />

costituzionale del Consiglio superiore della magistratura, sembrerebbero<br />

dovere spettare a quest'organo le funzioni di collegamento nei riguardi<br />

di altri poteri dello Stato. Ugualmente, se è del tutto controverso in<br />

dottrina a quale organo esponenziale della magistratura spetti il potere<br />

di elevare conflitto di attribuzione (e nessuna materia come quella delle<br />

autorizzazioni a procedere sembra più proclive all'insorgere di conflitti<br />

fra potere giudiziario e Parlamento): tuttavia, sia che si opini sulla sua<br />

spettanza al Consiglio superiore o alla Corte di cassazione o si consideri<br />

come un potere diffuso fra i giudici, è però da escludere che esso possa<br />

spettare al ministro di grazia e giustizia.<br />

La prassi, comunque, come si è detto, si è mantenuta attestata sul<br />

vecchio modulo, ed eventuali richieste di autorizzazione che pervengano<br />

alla Camera direttamente dalla magistratura procedente vengono rinviate<br />

al mittente con l'invito di utilizzare il tramite del ministero. La cosa<br />

non ha mancato di suscitare qualche inconveniente pratico (83).<br />

Pervenuta la domanda di autorizzazione a procedere, essa viene stampata<br />

(84) e quindi assegnata ad un relatore nominato ad insindacabile giu-<br />

(82) Cfr. art. HO Cost.: e Ferme le competenze del Consiglio superiore della<br />

magistratura, spettano al ministro della giustizia l'organizzazione e il funzionamento<br />

dei servizi relativi alla giustizia ».<br />

(83) Si veda il Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del<br />

6 aprile e del 28 giugno 1967 che sembrano attestare una certa discrasia fra le procedure<br />

concordate fra Camera e Ministero di grazia e giustizia in ordine agli effetti<br />

dell'amnistia sulle domande di autorizzazione pendenti e la procedura richiesta da<br />

vari giudici procedenti. La proposta Amatucci prima ricordata non è però innovativa<br />

su questo punto ; al contrario il suo articolo 25-bis ribadisce che la Giunta « esprìme<br />

all'Assemblea il proprio motivato parere in ordine alle richieste avanzate dall'Autorità<br />

giudiziaria competente, tramite il Ministero di grazia e giustizia ».<br />

(84) La stampa e la pubblicazione delle domande di autorizzazione a procedere<br />

in giudizio fra i documenti ufficiali della Camera, ha aperto un grave e apparentemente<br />

insanabile problema in relazione alla tutela del segreto istruttorio. Al riguardo,<br />

si riporta la chiara impostazione del problema contenuta nella più volte citata proposta<br />

Amatucci, insieme con utili indicazioni di soluzione. < L'inserimento dell'autorizzazione<br />

a procedere nella fase istruttoria processuale pone un'altra importante<br />

esigenza: la tutela del segreto istruttorio. Tale esigenza presenta due aspetti: l'uno a<br />

difesa delle caratteristiche dell'istruttoria penale, quale è attualmente regolata dalla<br />

legge e quale la magistratura è obbligata costituzionalmente a osservare; l'altro a<br />

difesa del diritto alla riservatezza dell'imputato, tanto più rilevante nella fattispecie<br />

in cui interviene la richiesta di autorizzazione a procedere, ovverosia nei casi in cui<br />

l'imputato sia un « uomo politico ». Queste due esigenze meritano tutta la tutela che


Formazione della Camera - Prerogative 161<br />

dizio del Presidente della Giunta. La prassi vede però, di regola, la nomina<br />

cadere su un membro della Giunta appartenente ad un gruppo parlamentare<br />

e ad un collegio diverso da quelli ai quali appartiene il deputato<br />

nei cui confronti sia stata richiesta autorizzazione a procedere (85).<br />

Comincia in questo momento quella che può definirsi la duplice<br />

fase istruttoria in seno alla Giunta: monocratica in un primo tempo, collegiale<br />

nella fase finale della decisione.<br />

Attraverso il Presidente della Giunta, il relatore può avanzare al<br />

Ministero di grazia e giustizia la richiesta di documenti di cui all'articolo<br />

42 del Regolamento della Camera; non è invece previsto in tutto<br />

l'arco del procedimento davanti alla Giunta l'intervento a chiarimenti<br />

del deputato-imputato. Si tratta di una lacuna che rende difficile l'omo-<br />

sia possibile accordare, una volta soddisfatta la necessità di conoscenza dei precisi termini<br />

del reato da parte della Camera. Una rottura, senza precise indispensabili ragioni,<br />

del segreto istruttorio, dovrebbe considerarsi come un eccesso di potere da<br />

parte della Camera, sia nei confronti dell'ordine giudiziario, sia nei confronti del<br />

parlamentare imputato. Di qui l'opportunità, avvertita da taluni, di contemperare le<br />

ragioni di pubblicità normalmente proprie delle procedure parlamentari con le ragioni<br />

di segretezza consigliate dall'incidenza dell'autorizzazione nella fase istruttoria<br />

del processo penale.<br />

«Tuttavia occorre tener presente che il dibattito, sia in sede di Giunta e<br />

soprattutto in sede di Assemblea si accentra su una valutazione della presenza di<br />

certi elementi di carattere politico che si inquadrano, naturalmente, sugli elementi<br />

di fatto e di diritto dedotti dalla procura. Di conseguenza, è su questi ultimi che<br />

il segreto istruttorio deve e ha ragione di esistere (...).<br />

« Si impone, pertanto, anzitutto il mantenimento della segretezza del fascicolo<br />

processuale il quale può essere preso in visione soltanto dai membri della Giunta<br />

con esclusione di qualsiasi altro membro della Camera e tanto più dello stesso deputato<br />

imputato. Per la Camera in genere la pubblicità dovrebbe limitarsi all'editto<br />

criminis e agli elementi essenziali per colorare il fatto ai fini del giudizio politico dell'Assemblea.<br />

Ma, soprattutto, è indispensabile che la lettera ufficiale di richiesta della<br />

procura, indirizzata al Presidente della Camera tramite il ministro di grazia e giustizia<br />

e che dovrà comparire nel documento pubblico stampato dalla Camera, contenga<br />

solo gli estremi essenziali di individuazione della partecipazione del deputato<br />

alla fattispecie penale concreta con riferimento, per quanto riguarda gli elementi di<br />

fatto e di diritto, alla documentazione del fascicolo processuale che accompagna la<br />

richiesta medesima. In tal caso, verrebbe ad essere contemperato il principio della<br />

pubblicità degli atti parlamentari e quello della segretezza degli atti processuali istruttori.<br />

La finalità potrebbe essere raggiunta completamente o attraverso una disposizione<br />

di carattere generale emanata dal ministro a tutte le procure della Repubblica<br />

o in sede parlamentare, con l'effettuazione di un estratto della richiesta medesima<br />

tramite anche un formulario tipo. Per una maggiore rispondenza ai principi generali<br />

della suddivisione dei poteri e per rispetto dell'autenticità degli atti ci sembra preferibile<br />

il primo accorgimento. Naturalmente tale modifica essenziale non ha bisogno<br />

di alcuna menzione nel regolamento interno, ma soltanto di un accordo tra la Presidenza<br />

della Camera e il Ministero di grazia e giustizia».<br />

(85) Sembra evidente che precise esigenze di razionalizzazione consiglino anche<br />

qui una normativa che consolidi e razionalizzi la prassi esistente. Si ricordi, ad<br />

esempio, che i relatori della Giunta delle Elezioni (cfr. articolo 5 Regolamento interno<br />

della Giunta delle Elezioni) vengono nominati in base ad un criterio obiettivo.<br />

La citata proposta Amatucci non innova, per altro in questo punto.<br />

8.


162 Formazione della Camera - Prerogative<br />

geneizzazione di questa procedura con i principi del processo penale<br />

sul quale, pure, incide (86).<br />

La Giunta, una volta che la questione sia stata posta al proprio<br />

ordine del giorno (87), vota sulle proposte del relatore, se la questione<br />

appare sufficientemente istruita; in caso contrario, può deliberare l'acquisizione<br />

di ulteriori elementi di giudizio (88).<br />

(86) Risponde a tale esigenza l'articolo 25-quinquies della più volte richiamata<br />

proposta Amatucci, secondo il quale : « La Giunta, qualora risulti che il deputato<br />

non si sia avvalso della facoltà di cui all'articolo 250 del codice di procedura penale,<br />

può invitare il deputato stesso nei cui confronti è richiesta l'autorizzazione a procedere<br />

in giudizio, a fornire chiarimenti ». Corredano tale articolo alcune puntuali considerazioni<br />

della relazione : « Si pone, anzitutto, l'interrogativo se la decisione della<br />

Camera sulla richiesta di autorizzazione a procedere sia opportunamente emanata al<br />

di fuori di un sistema di contestazione e di contraddittorio, owerossia senza una,<br />

sia pur minima, partecipazione del deputato contro il quale l'autorizzazione è diretta.<br />

Il fatto che la titolarità della prerogativa spetti alla Camera e non al parlamentare<br />

potrebbe continuare a giustificare l'attuale procedura che non prevede l'intervento<br />

del parlamentare-imputato nel procedimento della Giunta. Tuttavia, ad un<br />

più approfondito esame, si scorge che la mancanza del contraddittorio costituisce una<br />

possibile causa di incompleta conoscenza dei termini della richiesta di autorizzazione,<br />

di cui la Camera conosce solo il profilo offerto dall'autorità giurisdizionale inquirente.<br />

L'esigenza del contraddittorio si pone, cioè, non solo e non tanto a garanzia del<br />

parlamentare-imputato, ma a garanzia della stessa autorità che deve decidere sulla<br />

concessione dell'autorizzazione. Non altrimenti i diritti di difesa dell'imputato - che<br />

la Corte costituzionale vuole, nella nota sentenza, garantiti anche nell'istruttoria sommaria<br />

(vedasi l'articolo 392 del codice di procedura penale) - sono posti a garanzia<br />

dell'obiettiva verità processuale. Giova al riguardo notare che il regolamento interno<br />

della Corte costituzionale prevede appunto all'articolo 15 una procedura in contraddittorio<br />

per la concessione dell'autorizzazione a procedere. Si deve, però, concludere,<br />

in considerazione non solo della titolarità della prerogativa ma, anche, della<br />

natura giuridica di essa - la quale da un punto di vista processuale si pone tome<br />

una condizione per il proseguimento dell'azione penale e non tocca minimamente<br />

il merito e, quindi, la posizione processuale del deputato-imputato - che la partecipazione<br />

di questo ultimo all'esame da parte della Camera della richiesta di autorizzazione<br />

deve essere ridotta al minimo e limitata alla fase istruttoria della Giunta per<br />

le autorizzazioni. In altri termini, tale partecipazione, per quanto sopra detto, deve<br />

essere giustificata dal fine di contribuire ad acquisire alla Giunta medesima ulteriori<br />

elementi di conoscenza e porre pertanto la Giunta in grado di riferire con cognizione<br />

di causa all'Assemblea. Sarà, pertanto, in facoltà della Giunta di invitare il deputatoimputato<br />

a fornire, verbalmente o per iscritto, chiarimenti circa la propria posizione<br />

nella fattispecie penale concreta prospettata dall'organo della magistratura inquirente ».<br />

(87) La formazione dell'ordine del giorno rientra nella piena discrezionalità del<br />

presidente della Giunta, in analogia a quanto avviene per i presidenti delle Commissioni<br />

parlamentari. Si tratta di una situazione già sul piano generale oggetto di gravi<br />

critiche da parte dell'opposizione e che, sul piano specifico, non sembrerebbe compatibile<br />

con la fissazione di termini per l'esame che fa il Regolamento: fissazione<br />

che farebbe pensare piuttosto ad un sistema di formazione meramente cronologico<br />

dell'ordine del giorno della Giunta.<br />

(88) Il Regolamento della Camera non fissa un quorum per la validità delle<br />

riunioni e delle delibere della Giunta per le autorizzazioni (a differenza di quanto<br />

fa per la Giunta delle elezioni: art. 19 Reg. Camera; art. 2 del Regolamento interno<br />

della Giunta delle Elezioni). La prassi fissa il quorum di un quarto dei componenti<br />

(6 deputati) per la validità della riunione e della metà più uno (12 deputati) per la<br />

validità delle deliberazioni. Queste vengono adottate a maggioranza dei votanti.


Formazione della Camera - Prerogative 163<br />

Nel caso che la maggioranza non condivida le conclusioni del relatore,<br />

la prassi è nel senso che la relazione all'Assemblea venga redatta<br />

da un membro della Giunta nominato dal Presidente in seno alla maggioranza<br />

emersa nella votazione. È ammessa in ogni caso la presentazione<br />

di una relazione di minoranza.<br />

L'art. 42 del Regolamento prescrive al comma terzo che « la<br />

Giunta deve riferire alla Camera nel termine di 15 giorni dalla trasmissione<br />

fatta dal Presidente della Camera. Quando sia trascorso il termine<br />

senza che la relazione sia stata presentata, il Presidente annunzia<br />

alla Camera che la domanda sarà iscritta senz'altro all'ordine del giorno,<br />

con precedenza assoluta su qualsiasi altro argomento, dopo le interrogazioni<br />

».<br />

Si tratta di norma del tutto desueta sia per la esiguità del termine<br />

a disposizione (sia pure computato tale termine sulla base di 15 giorni<br />

di lavori parlamentari) sia per le gravi questioni politiche che si collegano<br />

alla materia dell'immunità (89).<br />

Un termine speciale è posto dalla legge (T. U. elettorale 1957), e<br />

non dal regolamento parlamentare, per il caso di arresto di un deputato<br />

colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il<br />

mandato o l'ordine di cattura. Secondo la legge, in tal caso la Camera<br />

decide, entro dieci giorni, se l'arresto debba essere mantenuto.<br />

La norma suscita vari problemi sia in relazione alla sua reale efficacia<br />

nell'ordinamento interno della Camera; sia in relazione alle conseguenze<br />

giuridiche di una inottemperanza della Camera interessata a<br />

(89) In termini di rendimento dell'istituto, si può affermare che l'esperienza repubblicana,<br />

pur contrassegnata da gravi crisi di legittimità, ha registrato una positiva<br />

operatività di questa garanzia costituzionale, impedendo, specie con l'applicazione<br />

indiretta del concetto di insindacabilità, l'esasperazione della lotta politica (che sarebbe<br />

fatalmente discesa dalla rigorosa applicazione del codice penale nella materia<br />

dei reati cosiddetti politici). Accanto a queste positive osservazioni, si devono però<br />

annotare obiettivamente le occasioni di sconcerto nella opinione pubblica determinate<br />

da procedimenti penali per fatti inerenti al non risolto problema del finanziamento<br />

dei partiti politici e, in genere, più che da decisioni di diniego dell'autorizzazione, da<br />

ripetute omissioni di deliberazione. Proposte sono state avanzate negli ultimi tempi,<br />

de jure condendo, dalla dottrina in ordine alla possibilità di dar vita ad una sorta<br />

di istituto di silenzio-concessione: la mancata delibera della Camera su una richiesta<br />

di autorizzazione a procedere dovrebbe equivalere, trascorso un certo tempo,<br />

alla concessione dell'autorizzazione. Sul punto cfr. / controlli sul potere, Firenze<br />

1967 (specie l'intervento di Tosi, pag. 130; v. anche pag. 137). La proposta Amatucci<br />

cit. è nel senso di prolungare gli attuali termini, rendendoli rispettabili; cfr.<br />

articolo 25-octies: «La relazione all'Assemblea deve essere presentata entro sessanta<br />

giorni dalla trasmissione fatta dal Presidente della Camera. Qualora ricorrono<br />

particolari motivi la Giunta può chiedere alla Presidenza della Camera la proroga del<br />

termine che in ogni caso non può superare i trenta giorni».


164 Formazione della Camera - Prerogative<br />

questo obbligo di decidere. La prassi non ha però, fortunatamente, offerto<br />

occasioni concrete per vagliare il rendimento di questa norma.<br />

L'Assemblea viene investita, come si è detto, della domanda di autorizzazione<br />

quando questa viene posta all'ordine del giorno dell'Aula<br />

accompagnata da una o due relazioni della Giunta.<br />

La procedura in Assemblea segue il modulo tipico della discussione<br />

generale dei disegni di legge: dopo gli eventuali interventi parlerà il<br />

relatore. Se i relatori sono due, parlerà sempre per ultimo il relatore che<br />

chiede il diniego di autorizzazione, sia che rappresenti la maggioranza<br />

sia che rappresenti la minoranza della Giunta.<br />

Segue la votazione che, in caso di due contrastanti proposte, si effettuerà<br />

per prima sulla proposta di minoranza, considerandosi questa<br />

emendativa rispetto alla proposta base della maggioranza (90).<br />

(90) Una delicata questione di coordinamento Camera-Senato sorge ogniqualvolta<br />

la domanda di autorizzazione a procedere concerna un unico procedimento<br />

penale a carico di senatori e deputati ovvero la richiesta di autorizzazione attiva per<br />

il caso di cui all'articolo 290 del codice penale: vilipendio delle Assemblee legislative.<br />

In tali ipotesi, come esattamente viene detto nella più volte citata proposta<br />

Amatucci « due principi fondamentali si trovano in conflitto : 1) il principio dell'unitarietà<br />

processuale; 2) la reciproca indipendenza costituzionale di ciascuna delle due<br />

Camere. Per quanto riguarda il primo punto non vi è dubbio che la stessa logica<br />

processuale viene alterata nel momento in cui, intervenendo le decisioni sulla richiesta<br />

dell'autorizzazione a procedere, l'azione penale può proseguire nei confronti di determinati<br />

imputati e non nei confronti di altri. La situazione diviene più gravemente<br />

anomala nel momento in cui una Camera afferma, per esempio, l'esistenza del vilipendio<br />

e concede l'autorizzazione e l'altra, invece, la ritiene insussistente e la diniega.<br />

Il processo penale - di cui si può dire che ogni norma del codice di procedura<br />

afferma l'unitarietà - può, in effetti, subire stralci e divisioni, ma solo in relazione<br />

a fatti obiettivi normativamente previsti e di natura straordinaria. Nel caso in specie,<br />

la rottura dell'unitarietà processuale avviene per la contraddittoria volontà del potere<br />

parlamentare: le conseguenze in ordine alla certezza del diritto, al principio di eguaglianza,<br />

ai rapporti tra ordine giudiziario e potere politico, non possono essere sottovalutate.<br />

Per quanto riguarda il secondo punto si può ricordare che l'esigenza della<br />

reciproca indipendenza delle due Camere, è un basilare principio del nostro sistema<br />

parlamentare. Principio che dovrebbe, anzi, essere rafforzato, per salvaguardare il<br />

concetto di bicameralismo, che ha una sua ragion d'essere solo quando le differenziazioni<br />

fra le due Camere siano effettive, nell'ordine formale e in quello sostanziale.<br />

Si deve, però, aggiungere che l'autonomia reciproca deve essere rettamente intesa nel<br />

suo significato (...). La materia in esame non sembrerebbe per la sua sostanza rientrare<br />

tra quelle in cui sia necessario l'atto bicamerale. Al contrario, in queste ipotesi<br />

il potere parlamentare dovrebbe esprimersi univocamente nei confronti del fatto unitario<br />

processuale, tenendo anche conto dei rapporti con l'ordine giudiziario (rispetto<br />

a cui è senza dubbio anormale che Camera e Senato si presentino portatori di contrapposti<br />

provvedimenti). Il disposto però dell'articolo 68 della Costituzione prevede<br />

che l'autorizzazione a procedere contro un membro del Parlamento deve essere concessa<br />

dalla Camera « alla quale appartiene » e la ratio legis di tale norma è il<br />

fondamento politico-giuridico sopra richiamato: la titolarità della prerogativa spetta<br />

alla Camera, in quanto organo costituzionale e sovrano a sé stante (...). Ne deriva<br />

logicamente che non si può fare riferimento ad un organo comune delle due Ca-


Formazione della Camera - Prerogative 165<br />

9. - Le notazioni che precedono sembrano confermare quanto si è<br />

detto in premessa: essere cioè essenzialmente politica e non giurisdizionale<br />

la natura di questa attività che la Camera svolge attraverso la<br />

Giunta, prima, e in Assemblea plenaria, poi.<br />

La valutazione che la Camera dà in ordine ai criteri di concessione<br />

o diniego dell'autorizzazione a procedere non può essere agevolmente<br />

iscritta in criteri prefissati. Si sono indicate all'inizio le tendenze d'ordine<br />

generale a coprire con la garanzia tutta l'ampia area di esplicazione di<br />

attività politica del deputato, escludendo solo i reati di carattere « comune<br />

». Tuttavia una delimitazione rigida in tal senso non sarebbe possibile,<br />

dato che anche nelle imputazioni di carattere « comune » si dovrà<br />

ricercare se esse non siano state elevate per persecuzione di carattere<br />

politico che abbia trovato un facile travestimento. Le condizioni di grande<br />

prestigio e di autonomia conseguite dall'ordine giudiziario con la Costituzione<br />

repubblicana non sono di per sé sufficienti ad escludere pericoli<br />

di tal genere.<br />

Sicché, in definitiva, l'esperienza parlamentare attesta che la Camera<br />

combina nei suoi giudizi con il prevalente criterio della natura<br />

politica del reato anche il tradizionale criterio del fumus persecutionis.<br />

Si intersecano due ordini di ricerca: l'uno di carattere soggettivo, volto<br />

ad accertare se nell'imputazione di un reato comune a deputato non sia<br />

riscontrabile un intento persecutorio dell'organo procedente; l'altro, di<br />

carattere oggettivo, volto ad accertare se l'attività incriminata non rientri,<br />

nella sua materialità, nella sfera di esplicazione del mandato parlamentare,<br />

intesa in lato senso.<br />

Della difficoltà di addivenire ad una definizione univoca di criteri<br />

discriminanti è prova una discussione svoltasi nella IV legislatura presso<br />

la Giunta per le autorizzazioni (91). Dopo aver riconosciuto la « opportunità<br />

di un approfondimento degli elementi che, per ambiente e<br />

motivazione, possono caratterizzare politicamente ogni reato », e di « fis-<br />

mere o all'organo Parlamento quale soluzione che possa permettere l'emanazione di<br />

una dichiarazione di volontà univoca nella materia in questione. In questo caso la<br />

migliore soluzione si può trovare nel carattere di flessibilità e di elasticità tipico della<br />

norma regolamentare interna di una Camera parlamentare».<br />

E infatti la proposta conclude con l'indicazione di una norma (articolo 25-septies)<br />

per cui nei casi sopra indicati «la Giunta può incaricare uno o più suoi componenti<br />

per un preventivo comune esame con rappresentanti della competente Commissione<br />

del Senato della Repubblica».<br />

(91) Si v. Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, 16 e 30 novembre<br />

1966.


166 Formazione della Camera - Prerogative<br />

sare dei criteri obiettivi e generali di valutazione di determinate categorie<br />

di reati (...) al fine di costituire una prassi costante ed univoca », la<br />

Giunta riconobbe soltanto di poter pervenire a « direttive di ordine generale<br />

» senza possibilità di una più rigida casistica.<br />

LA PREROGATIVA EX ARTICOLI 90 E 96 DELLA COSTITUZIONE:<br />

SIGNIFICATO DI PREROGATIVA DELL'ISTITUTO DELL'ACCUSA PARLAMENTARE.<br />

Ai fini del presente lavoro gli articoli 90 e 96 della Costituzione<br />

vengono letti nel loro significato di prerogativa del Parlamento in seduta<br />

comune diretta a far valere in via esclusiva la responsabilità penale del<br />

Presidente della Repubblica e dei membri del Governo, derogando al naturale<br />

sistema giurisdizionale.<br />

Si versa, nonostante le risonanze analogiche, in una situazione giuridico-costituzionale<br />

diametralmente opposta rispetto a quella della richiesta<br />

di autorizzazione a procedere. In questa è la Camera che si pone,<br />

per la necessità della sua preventiva valutazione politica della imputazione<br />

o del provvedimento coercitivo emessi a carico di un deputato,<br />

come diaframma alla proseguibilità dell'azione penale o all'esecutività<br />

del provvedimento; nel procedimento d'accusa è invece la Camera ad<br />

avere la titolarità dell'azione penale.<br />

Ne segue una profonda diversità di natura dell'attività che la Camera<br />

pone in essere nell'un caso e nell'altro. Nel caso dell'autorizzazione,<br />

l'attività si concreta in una valutazione politica di carattere negativo:<br />

volta cioè ad accertare l'assenza, nel procedimento penale o nel<br />

provvedimento coercitivo pendenti a carico di un deputato, di ogni interferenza,<br />

soggettiva o obiettiva, di altri poteri nella sfera di autonomia<br />

politica in cui si esplica il mandato parlamentare. Nel caso del procedimento<br />

inquirente, l'attività si concreta nella ricerca tipicamente giurisdizionale<br />

degli elementi concretanti la fattispecie delittuosa: lì l'indagine<br />

è esterna al fatto, i cui elementi possono venire assunti per colorare<br />

la situazione giuridica nella quale o per la quale si chiede d'instaurare<br />

un rapporto di soggezione fra un deputato ed altri poteri dello<br />

Stato; qui l'indagine è volta invece ad accertare il fatto e a qualificarlo<br />

penalmente (92).<br />

(92) Nel corso del primo caso di procedimento d'accusa sfociato nella discussione<br />

in Assemblea, era affacciata e largamente condivisa - anche se da altri<br />

vivacemente avversata - la tesi secondo cui vi sarebbe una profonda sostanziale affinità<br />

fra la procedura di accusa e quella della autorizzazione a procedere, perché in


Formazione della Camera - Prerogative 167<br />

10. - L'organizzazione interna delle Camere prevede un organo di<br />

decentramento istruttorio per l'esercizio della funzione d'accusa. Si<br />

tratta della Commissione inquirente per i procedimenti d'accusa composta<br />

di 20 membri (10 deputati e 10 senatori) eletti dalle rispettive<br />

Camere, ogni volta che si rinnovano (legge costituzionale 11 marzo<br />

1953, n. 1).<br />

La composizione della Commissione è proporzionale: il Presidente<br />

della Camera e il Presidente del Senato, intesi i presidenti dei gruppi<br />

parlamentari e consultatisi fra di loro, determinano la ripartizione dei<br />

seggi di commissario in modo da rispecchiare proporzionalmente la forza<br />

politica dei vari gruppi.<br />

Su indicazione degli stessi gruppi viene quindi, sulla base del criterio<br />

numerico precedentemente fissato, formata una lista di candidati<br />

su cui la Camera vota a scrutinio segreto.<br />

Si tratta, per così dire, di un'elezione « guidata » da parte delle<br />

Assemblee, dovendosi relegare fra le pure ipotesi di scuola, quella di<br />

Assemblee che esprimano candidature contrastanti con le liste sottoposte<br />

dalle Presidenze.<br />

In pratica, la situazione sostanziale non è dissimile da quella propria<br />

della formazione di organi del tipo della Giunta delle elezioni e<br />

della Giunta per le autorizzazioni. Vi è però la differenza formalmente<br />

rilevante della « elezione » della Commissione : un dato che potrebbe<br />

porre quest'organo in una posizione di spiccata autonomia rispetto allo<br />

stesso Parlamento in seduta comune. Senonché la previsione in legge costituzionale<br />

dell'elezione della Commissione e, implicitamente, della sua<br />

sfera di autonomia non è stata corredata da un contemporaneo conferimento<br />

di conseguenti poteri. Al contrario, la stessa legge costituzionale<br />

prevede una natura meramente referente della Commissione : « La messa<br />

in stato d'accusa (...) è deliberata dal Parlamento in seduta comune " su<br />

relazione" di una Commissione costituita di dieci deputati e di dieci<br />

senatori ». I poteri, notevolissimi, sono stati invece attribuiti alla Commissione<br />

mediante semplici norme regolamentari. Non si è potuto per-<br />

entrambi i casi si tratterebbe di proteggere da eventuali persecuzioni, o più in generale<br />

da turbative pregiudizievoli per una normale efficienza, nell'un caso la funzione ministeriale<br />

(o presidenziale) nell'altro la funzione parlamentare. La differenza fra le<br />

due situazioni nascerebbe poi, cioè dopo questa fondamentale affinità, e consisterebbe<br />

nella circostanza che mentre nell'un caso viene direttamente promossa dal Parlamento<br />

l'azione penale, nell'altro caso esso provvede solamente a rimuovere un ostacolo all'esercizio<br />

dell'azione da parte del giudice ordinario. Ai fini dell'identificazione del<br />

grado di certezza che il Parlamento dovrebbe raggiungere, pertanto, nei due casi non<br />

vi sarebbero rilevanti differenze. (Cfr. Le norme sul procedimento di accusa parlamentare,<br />

Camera dei Deputati - Segretariato Generale, Roma 1967, pag. 47).


168 Formazione della Camera - Prerogative<br />

ciò evitare la critica di una illegittima ultroneità di queste norme rispetto<br />

al disposto costituzionale. Questo non sopporterebbe, secondo tali critiche,<br />

l'attribuzione di poteri decidenti in materia ad un organo che non<br />

sia il Parlamento in seduta comune (93).<br />

Come avviene anche per la Giunta delle elezioni, vi è un divieto di<br />

dimissioni da membro della Commissione inquirente (art. 3 Regolamento<br />

parlamentare): tuttavia è qui prevista la possibilità di rifiutare<br />

la nomina, dandone comunicazione al Presidente dell'Assemblea entro<br />

tre giorni dall'awenuta elezione.<br />

Il Regolamento parlamentare dopo aver recepito all'articolo 4 quello<br />

che è un principio generale dell'ordinamento parlamentare, l'incompatibilità<br />

fra cariche governative e cariche nell'organizzazione interna<br />

delle Camere, aggiunge l'importante disposizione per cui si impone<br />

l'astensione ai commissari che abbiano ricoperto la carica di Presidente<br />

del Consiglio, di ministro, di sottosegretario o di commissario del governo<br />

nel periodo in cui si sono verificati i fatti per cui si procede (94).<br />

I commissari non possono essere ricusati. Hanno tuttavia facoltà<br />

di astenersi, con il consenso del Presidente della Camera dei Deputati<br />

(95), nei casi in cui il codice di procedura penale ammette la ricusazione<br />

del giudice o quando esistono gravi ragioni di convenienza.<br />

Nei casi di rifiuto della nomina, cessazione dall'ufficio, astensione<br />

o impedimento, i commissari effettivi sono sostituiti da commissari sup-<br />

(93) Si v. BAR<strong>IL</strong>E, La messa in stato d'accusa dei ministri, in « La sinistra davanti<br />

alla crisi del Parlamento», Milano 1967, pag. 211 e segg. Questo A. aderisce<br />

alla tesi secondo cui « la Commissione, che dura in carica quanto le Camere stesse<br />

ed è quindi indipendente sia da loro, sia dal Parlamento in seduta comune, e che<br />

ha il potere di arrestare il potere di messa in stato di accusa spettante al Parlamento,<br />

è oggi diventata un potere, sia pure illegittimamente » con la conseguenza, indicata<br />

dal MAZZIOTTI, / conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, Milano 1962, pag. 217,<br />

che potrebbe profilarsi un conflitto di attribuzione « non soltanto fra la Commissione<br />

e il Parlamento in seduta comune, ma anche fra la Commissione e l'autorità giudiziaria<br />

ordinaria ».<br />

(94) Questa norma sembra fornire un sicuro argomento testuale, in aggiunta<br />

a quelli, notevolissimi, di natura logica, contro la tesi che vorrebbe ristretta la procedura<br />

inquirente per il solo caso di ministri in attualità di carica (su cui MARANINI,<br />

in / controlli sul potere, cit. pag. 63 e segg.) escludendola per gli ex-ministri. La<br />

applicazione dell'articolo implica infatti necessariamente la ipotesi di un cambiamento<br />

della struttura governativa e quindi l'inesistenza della condizione dell'attualità<br />

della carica per gli inquisiti, i quali sebbene ancora ministri avrebbero, infatti, col<br />

mutare del Governo, mutato il titolo di preposizione al dicastero (a parte, ovviamente,<br />

la ipotesi invero marginale di commissari dimissionari da un governo che si trovino<br />

a giudicare propri ex-colleghi ancora in attualità di carica).<br />

(95) Benché la Commissione inquirente sia propriamente per sua origine e composizione<br />

un organo intercamerale, la sua disciplina trova punti di riferimento in quella<br />

dell'organo Parlamento in seduta comune, presieduto, com'è noto, dal Presidente della<br />

Camera dei deputati (art. 63, comma 2 Cost.).


Formazione della Camera - Prerogative 169<br />

pienti. Questi, in numero pari a quello dei commissari effettivi e con<br />

le stesse modalità, sono eletti dalle due Camere, al momento della elezione<br />

degli effettivi. La prassi ha però già registrato un caso di elezione<br />

non simultanea di commissari supplenti ad integrazione dell'originario<br />

collegio, decurtato da vacanze di varia origine (96).<br />

È interessante osservare che il subentro dei commissari supplenti<br />

a quelli effettivi appartenenti allo stesso gruppo, non avviene, come parrebbe<br />

naturale, secondo la graduatoria formata al momento dell'elezione<br />

ma « secondo l'ordine di designazione del gruppo ». Una norma, questa<br />

dell'articolo 5 del Regolamento parlamentare, che sembra porsi in una<br />

linea di ricezione delle più moderne teoriche del rapporto gruppo parlamentare-singolo<br />

parlamentare.<br />

La Commissione inquirente elegge nel suo seno un presidente, due<br />

vice presidenti e due segretari.<br />

Di grande rilievo appare il ruolo del presidente sia per il potere<br />

(derivantegli dall'articolo 5 della legge 26 gennaio 1962, n. 20) di adottare,<br />

in caso di necessità ed urgenza, in via provvisoria, i provvedimenti<br />

di competenza della Commissione (97), sia per la disposizione invero<br />

straordinaria nella prassi parlamentare, e vieppiù in materia di tanta<br />

delicatezza, secondo la quale in caso di parità di voti è il voto del presidente<br />

a determinare il risultato della decisione (98).<br />

Le sedute della Commissione non sono valide se non è presente la<br />

maggioranza dei suoi componenti (11 membri) e le deliberazioni vengono<br />

adottate a maggioranza dei presenti. I commissari non possono<br />

astenersi dal voto: tuttavia, non sembra che la presidenza possa impedire<br />

l'allontanamento dall'Aula o la preordinata assenza dalla seduta allo<br />

scopo di sottrarsi ad una imminente votazione.<br />

11. - A differenza di quanto si affermò ripetutamente nella dottrina<br />

e in giurisprudenza durante la vigenza dello Statuto albertino (99),<br />

la competenza del Parlamento (e quindi della Commissione inquirente)<br />

(96) Cfr. elezione di due membri supplenti, seduta del 5 luglio 1967 della<br />

Camera, e quattro al Senato, seduta del 12 luglio 1967.<br />

(97) Ma vi è obbligo di riferire immediatamente alla Commissione. In caso di<br />

mancata convalida, i provvedimenti si intendono revocati.<br />

(98) Per effetto di tale disposizione, le votazioni in seno alla Commissione inquirente<br />

devono svolgersi in forme palesi: conseguenza anche questa eccezionale nella<br />

prassi parlamentare che vede segrete le votazioni riguardanti persone (cf. art. 76, ult.<br />

comma Reg. Senato: «Nelle questioni comunque riguardanti persone, la votazione è<br />

fatta a scrutinio segreto»).<br />

(99) Si v. al riguardo il volume Le norme sul procedimento di accusa, cit.<br />

8*.


170 Formazione della Camera - Prerogative<br />

nella materia di reati imputati al Presidente della Repubblica o ai membri<br />

del governo, non è concorrente rispetto a quella della magistratura<br />

ordinaria ma risulta esclusiva.<br />

Precise norme sostengono questa proposizione che del resto la esperienza<br />

non ha fin qui contraddetto. Dopo qualche ondeggiamento, si è<br />

venuto anzi affermando il criterio che vuole la magistratura pressoché<br />

inattiva rispetto a notizie di reati che interessino membri del governo<br />

e semplice tramite della notitia criminis alla Presidenza della Camera.<br />

Come si è però accennato la previsione normativa è chiara nel<br />

senso che quando la Commissione inquirente ha notizia di un procedimento<br />

innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria o militare, a carico di<br />

alcuna delle persone indicate negli articoli 90 e 96 della Costituzione<br />

e ritiene che il fatto integra alcuna delle ipotesi previste dagli stessi articoli,<br />

ne informa il Presidente della Camera dei deputati, il quale richiede<br />

all'autorità giudiziaria la trasmissione degli atti del procedimento.<br />

Se l'autorità giudiziaria richiesta ritiene la propria competenza, trasmette<br />

gli atti alla Corte costituzionale perché questa si pronunci sulla<br />

competenza. La Corte costituzionale decide con sentenza in camera di<br />

consiglio, nella composizione prevista per i giudizi di accusa, sentito<br />

un rappresentante della Commissione inquirente (legge 1962, articoli<br />

11 e 13).<br />

Analoghe norme vigono per il caso in cui sia la Commissione inquirente<br />

sia l'Autorità giudiziaria dichiarino la propria incompetenza:<br />

sarà la Corte costituzionale a fissare inappellabilmente il giudice.<br />

Un problema di competenza sorge anche nei confronti delle Commissioni<br />

parlamentari di inchiesta, per ipotesi nominate da una o da<br />

entrambe le Camere, con l'incarico di indagare sugli stessi fatti che formano<br />

oggetto di una inchiesta di accusa o ad essi connessi. L'art. 23<br />

del Regolamento parlamentare dispone che tali Commissioni di inchiesta<br />

« debbono sospendere la propria attività e trasmettere gli atti alla<br />

Commissione inquirente non appena ricevano comunicazione dalla Commissione<br />

stessa dell'inizio delle indagini ».<br />

Se il Parlamento in seduta comune delibera la messa in stato d'accusa,<br />

la Commissione parlamentare d'inchiesta decade dal proprio ufficio.<br />

In tutti gli altri casi la Commissione riprende la sua attività, ma è<br />

vincolata ai fatti accertati e alle decisioni prese dalla Commissione inquirente<br />

o dal Parlamento.<br />

Queste norme regolamentari possono offrire spunto a critica sotto<br />

due profili. Il primo riguarda la possibilità che con un regolamento parlamentare<br />

si incida sull'attività e sulla stessa esistenza di Commissioni


Formazione della Camera - Prerogative 171<br />

d'inchiesta anche quando queste siano nominate con legge (come esplicitamente<br />

è previsto nel citato art. 23) (100).<br />

Il secondo attiene alla logica interna del complesso normativo che<br />

regola l'attività della Commissione inquirente. Il fatto, di cui alla successiva<br />

esposizione, che l'ordinanza di archiviazione della Commissione,<br />

quando viene approvata con il voto favorevole di meno dei quattro<br />

quinti dei suoi componenti, non viene comunicata alle Camere, non si<br />

vede come possa conciliarsi con il vincolo che incombe alle eventuali<br />

Commissioni di inchiesta di attenersi ai fatti accertati e alle decisioni<br />

prese dalla Commissione inquirente. In tali casi, infatti, come risulta<br />

dalla prassi, non viene esternato neppure il fatto della pendenza e della<br />

chiusura del procedimento, qualora la stessa Commissione inquirente<br />

non chieda ai Presidenti delle due Camere di dare comunicazione alle<br />

rispettive Assemblee della trasmissione degli atti relativi ad un eventuale<br />

procedimento (cfr. art. 14 del Regolamento parlamentare).<br />

12. - Il potere-dovere di promuovere l'inizio del procedimento d'accusa<br />

spetta al Presidente della Camera il quale, ricevuto un rapporto,<br />

un referto o una denuncia relativi a un fatto previsto dagli artt 90<br />

e 96 Cost. e « accertatane, se del caso, l'autenticità » lo trasmette<br />

alla Commissione inquirente, dandone notizia al Presidente del Senato.<br />

Nello stesso modo provvede quando gli atti gli siano trasmessi<br />

dall'Autorità giudiziaria ove questa, soltanto nel corso della istruzione<br />

preliminare o sommaria, abbia ritenuto che il fatto integri la fattispecie<br />

di cui sopra e quando gli pervenga denuncia da parte di un<br />

deputato o, tramite il Presidente del Senato, da parte di un senatore.<br />

È da rilevare che la norma regolamentare dell'art. 14 sembra<br />

conferire al Presidente della Camera un potere di deliberazione circa<br />

l'autenticità della sottoscrizione. Si tratta di disposizione ritenuta assai<br />

discutibile dal punto di vista della gerarchia delle fonti, dato che né la<br />

legge costituzionale del 1953 né la legge ordinaria del 1962 prevedono<br />

la possibilità di un diaframma di questo tipo al promovimento dell'azione<br />

penale da parte della Commissione inquirente, e si dubita<br />

della legittimità della sua instaurazione attraverso una norma regolamentare.<br />

(100) Il rilievo è però facilmente superabile in via pratica, ove si pensi che la<br />

norma regolamentare, di dubbia efficacia oggettiva, può produrre però la sua operatività<br />

nei confronti dei singoli parlamentari che fanno parte della Commissione di<br />

inchiesta, vincolandoli all'ottemperanza.


172 Formazione della Camera - Prerogative<br />

Non risultano però dalla prassi casi di applicazione di tale disposizione<br />

(101): che comunque potrebbe essere intesa come permissiva di<br />

una mera attività amministrativa da parte del Presidente della Camera<br />

per completare l'informazione preliminare della Commissione, senza<br />

che esiti negativi circa gli accertamenti disposti eludano il dovere di trasmissione<br />

degli atti alla Commissione.<br />

Il promuovimento o la prosecuzione dell'azione penale da parte<br />

della Commissione inquirente non sono, d'altra parte, precluse, per<br />

espressa disposizione di legge, né dalla necessità di eventuali autorizzazioni<br />

previste dal codice di procedura penale o da leggi speciali né dall'esigenza<br />

dell'autorizzazione a procedere di cui all'art. 68 Cost. per il<br />

caso che imputato sia un parlamentare (art. 1 legge del 1962).<br />

Quest'ultima esenzione ha provocato dubbi di costituzionalità: si<br />

è infatti osservato che non può una legge ordinaria rendere inoperante<br />

una garanzia espressamente prevista da una norma costituzionale (102).<br />

Ricevuti il rapporto, il referto o la denuncia ad essa trasmessi, la<br />

Commissione inquirente « comincia » il procedimento per la messa in stato<br />

d'accusa (così l'art. 13 del Regolamento parlamentare): la precisazione<br />

vale al fine di fare includere anche le sommarie indagini che possono prevedere<br />

una archiviazione nell'ambito del procedimento vero e proprio.<br />

H Presidente della Commissione inquirente convoca la Commissione<br />

entro dieci giorni dalla ricezione degli atti iniziali di un procedimento<br />

(art. 15 del Regolamento parlamentare). È da avvertirsi al riguardo che<br />

i dieci giorni, secondo la prassi parlamentare, vengono intesi come dieci<br />

giorni di « Camere aperte » e che la convocazione della Commissione<br />

inquirente può risolversi in una semplice presa d'atto del nuovo procedimento<br />

iscritto in ruolo, rinviandosi il compimento di atti istruttori<br />

ad altro momento.<br />

(101) Si ricordi che l'anonimato della notitia criminis non è, nel nostro ordinamento<br />

processuale penale, preclusivo di indagini volte ad accertare la verità dei fatti<br />

denunciati. L'azione penale (art. 1 codice procedura penale) è iniziata d'ufficio in seguito<br />

a rapporto, referto, denuncia, « o ad altra notizia di reato ». Se l'art. 141 codice<br />

procedura penale dispone che « gli scrìtti anonimi non possono essere uniti agli atti<br />

del procedimento, né può farsene alcun uso processuale » esso è però interpretato<br />

dalla giurisprudenza nel senso che non preclude al giudice la facoltà di giovarsi delle<br />

legittime fonti di prova emerse dalle indagini cui abbia dato origine una lettera anonima.<br />

(102) BAR<strong>IL</strong>E, op. cit., pag. 214: «Indubbiamente la ratio delle esenzioni dall'immunità<br />

parlamentare è in qualche modo giustificabile, nel senso che per i ministri<br />

parlamentari che debbono essere messi sotto accusa per reati ministeriali, mal si giustifica<br />

una deliberazione che debba essere compiuta in sede di autorizzazione a procedere:<br />

ma, di fronte al disposto dell'art. 68 Cost, è difficile poter consentire che<br />

la deroga avvenga con legge ordinaria ».


Formazione della Camera - Prerogative 173<br />

13. - H procedimento instaurato davanti, alla Commissione inquirente<br />

può sfociare in una delle seguenti soluzioni:<br />

a) dichiarazione di incompetenza: se la Commissione inquirente<br />

ritiene che il fatto sia diverso da quelli previsti dagli articoli 90 e 96<br />

della Costituzione dichiara la propria incompetenza e ordina la trasmissione<br />

degli atti all'autorità giudiziaria;<br />

b) ordinanza di archiviazione, approvata con il voto favorevole<br />

di « almeno i 4/5 » dei componenti della Commissione, quando questa,<br />

esperite sommarie indagini, ritenga la notizia del fatto manifestamente<br />

infondata: in questo caso il procedimento è definitivamente concluso,<br />

salvo il potere di riaprirlo in presenza di nuove prove a carico dell'imputato<br />

(cfr. art. 402 del codice di procedura penale; il potere di riapertura<br />

istruttoria deve essere riconosciuto alla Commissione inquirente<br />

come minus rispetto al poziore potere di chiedere la revisione della sentenza<br />

irrevocabile della Corte costituzionale che le compete ex art. 29<br />

legge del 1962);<br />

e) ordinanza di archiviazione, approvata con il voto favorevole<br />

di « meno dei 4/5 » dei componenti della Commissione nell'ipotesi sub<br />

b): in questo caso, se entro 6 giorni dalla comunicazione che i Presidenti<br />

delle due Camere devono fare dell'avvenuta archiviazione, la maggioranza<br />

dei membri del Parlamento lo richieda in forma scritta, l'archiviazione<br />

è revocata e la Commissione procede all'inchiesta;<br />

d) deliberazione di non doversi procedere approvata a « maggioranza<br />

di 3/5 » dei componenti della Commissione quando questa, compiuta<br />

l'inchiesta, non ritenga di proporre al Parlamento la messa in stato<br />

d'accusa: in questo caso il procedimento è definitivamente concluso,<br />

salvo il potere di riapertura istruttoria di cui sub b);<br />

e) deliberazione di non doversi procedere approvata « con il voto<br />

favorevole di meno tre quinti » dei componenti della Commissione, nell'ipotesi<br />

sub b): in questo caso la Commissione presenta una relazione<br />

al Parlamento contenente la enunciazione del fatto e del titolo del reato,<br />

l'indicazione delle prove raccolte, la esposizione dei motivi di fatto e<br />

di diritto della deliberazione, le conclusioni; entro cinque giorni dalla<br />

distribuzione della relazione, la maggioranza assoluta dei componenti del<br />

Parlamento può chiedere al Presidente della Camera dei deputati, mediante<br />

la presentazione di un ordine del giorno inteso a disporre la messa<br />

in stato d'accusa, che la deliberazione di non doversi procedere sia rimessa<br />

all'esame del Parlamento in seduta comune; il Presidente della<br />

Camera, sentito il Presidente del Senato, convoca il Parlamento in seduta<br />

comune entro 10 giorni dalla presentazione della richiesta;


174 Formazione della Camera - Prerogative<br />

f) proposta di messa in stato d'accusa, è contenuta in una relazione<br />

della Commissione al Parlamento in seduta comune, recante la<br />

enunciazione del fatto e del titolo del reato, l'indicazione delle prove<br />

raccolte, la esposizione dei motivi di fatto e di diritto della deliberazione,<br />

infine le conclusioni che devono riportare l'indicazione degli addebiti<br />

e delle prove su cui l'accusa di fonda.<br />

La descrizione della tipologia decisionale riscontrabile nell'attività<br />

della Commissione inquirente sembra far ritenere attendibile la tesi che<br />

vuole la natura di questo organo assimilabile a quella di un giudice<br />

istruttore. Vale, in particolare, il rilievo attinente ai poteri che ha la<br />

Commissione: di archiviazione e di proscioglimento istruttorio (in proposito<br />

si deve ricordare che dopo la modifica dell'art. 74 del nostro codice<br />

processuale penale, il potere di archiviazione non spetta più al<br />

pubblico ministero; questi, se al termine dell'istruzione sommaria reputi<br />

che per il fatto non si debba promuovere l'azione penale, richiede al<br />

giudice istruttore di emanare il relativo decreto).<br />

Della natura di giudice istruttore dovrebbe partecipare però anche<br />

il Parlamento in seduta comune quando delibera sulla richiesta di messa<br />

in stato d'accusa. Basti al riguardo notare che il Parlamento in seduta<br />

comune può rinviare a giudizio con una decisione il cui effetto principale,<br />

come per la normale sentenza di rinvio a giudizio (cfr. art. 477 del<br />

codice di procedura penale), è quello di fissare in modo immutabile il<br />

contenuto dell'accusa (v. art. 27 legge 25 gennaio 1962, n. 20: « La Corte<br />

costituzionale può conoscere soltanto i reati compresi nell'atto di accusa<br />

». Se dichiara la connessione per un reato non compreso nell'atto<br />

d'accusa, ne dà comunicazione al Presidente della Camera : « in tal caso<br />

il giudizio innanzi alla Corte costituzionale è sospeso sino alla definizione<br />

davanti al Parlamento del procedimento per il reato connesso »).<br />

La costruzione, come si vede, è abbastanza complicata, dovendosi<br />

per essa prevedere un organo complesso istruttorio Commissione inquirente-Parlamento<br />

a competenze ripartite. I dubbi manifestati in proposito<br />

sono dunque comprensibili, specie se si pensa che un'ulteriore istruzione<br />

prima del giudizio viene compiuta dal giudice relatore nominato dal<br />

Presidente della Corte costituzionale (art. 22 legge del 1962) (103).<br />

(103) Cosi nel cit. volume Le norme sul procedimento, ecc. si descrìvono i<br />

diversi orientamenti emersi nella unica seduta del Parlamento dedicata alla materia:<br />

« La questione sulla quale però può affermarsi che maggiore sia stato l'impegno dei<br />

parlamentari è quella relativa al tipo di convincimento da raggiungere, circa la colpevolezza<br />

dell'inquisito, al fine di deliberare o meno la messa in stato d'accusa. Al<br />

raggiungimento di una persuasiva e soddisfacente conclusione in proposito miravano i


Formazione della Camera - Prerogative 175<br />

Ma i dubbi più gravi sono quelli attinenti sia alla costituzionalità delle<br />

norme che conferiscono poteri decisori alla Commissione inquirente sia<br />

alla costituzionalità dei quorum superiori alla maggioranza assoluta prescritti,<br />

come si è visto, per revocare la delibera d'archiviazione e la delibera<br />

di non doversi procedere approvata rispettivamente con maggioranza<br />

inferiore ai quattro quinti e ai tre quinti dei membri.<br />

In effetti è stato osservato che la legge e i regolamenti parlamentari<br />

hanno trasformato la Commissione da referente, quale era prevista dalla<br />

legge costituzionale n. 1 del 1953, in deliberante, mettendola in grado<br />

di contrapporsi allo stesso Parlamento in seduta comune e di arrestare<br />

il procedimento d'accusa (104). Gli autori sostenitori della tesi dellincostituzionalità<br />

ammettono in effetti che alla Commissione potevano essere<br />

attribuiti il potere di archiviazione e il potere di emettere una deliberazione<br />

di non doversi procedere: ma sia all'archiviazione sia alla<br />

delibera di non doversi procedere non avrebbe potuto in alcun caso attribuirsi<br />

un carattere definitivo. Si tratterebbe dunque di situazioni in<br />

sicuro contrasto con la Costituzione, la quale non ha preveduto organi<br />

di deliberazione che possano bloccare le deliberazioni dell'unico organo<br />

competente che è il Parlamento.<br />

In ogni caso, le speciali maggioranze richieste sarebbero in contrasto<br />

con l'art. 64, comma 3 Cost, dalla lettera del quale taluni opinano<br />

doversi dedurre che solo la Costituzione e non fonti di grado<br />

minore potrebbero richiedere maggioranze speciali. Quest'ultimo argomento<br />

è stato anche e soprattutto esteso alla norma dell'art. 27 del<br />

molteplici tentativi di inquadramento generale della funzione del Parlamento nell'ambito<br />

del procedimento d'accusa, fatti da quasi tutti gli oratori intervenuti. In sostanza si<br />

trattava di stabilire se la decisione dovesse fondarsi sulla certezza della responsabilità<br />

dell'inquisito, ovvero solamente sul raggiungimento di elementi sufficienti perché la<br />

Corte Costituzionale - giudice naturale - fosse investita dell'esame dei fatti sotto<br />

specie di reato. Da alcuni il Parlamento era ritenuto un pubblico ministero collegiale;<br />

da altri un giudice istruttore o una sezione istruttoria. Da alcuni veniva sottolineata<br />

la natura squisitamente giudiziaria della funzione svolta dal Parlamento, dalle cui valutazioni<br />

dovevano dunque prescindere elementi, come l'opportunità politica, che non<br />

avessero una stretta rilevanza giuridica ; da altri, viceversa, l'affermato carattere di<br />

giustizia politica dell'intera procedura d'accusa (financo nella fase di Corte Costituzionale),<br />

carattere del resto avente anche scopo di garanzia nei confronti del prevenuto,<br />

veniva assunto a sostegno dell'opinione che dovesse valutarsi complessivamente, sotto<br />

tutti i profili, la vicenda in esame per giungere alla semplice conclusione se vi fossero<br />

o meno elementi sufficienti per giustificare il rinvio a giudizio davanti alla Corte Costituzionale;<br />

né si mancava di rilevare d'altronde come l'insufficienza di prove sul dolo<br />

non avrebbe dovuto in ogni caso far rinunciare all'accusa poiché neppure il giudice<br />

istruttore, secondo la Cassazione, potrebbe prosciogliere per motivi del genere ma dovrebbe<br />

rimettere la decisione al collegio. Maggiore o minore rigore giuridico dunque,<br />

del giudizio; maggiore o minore approfondimento delle prove».<br />

(104) BAR<strong>IL</strong>E, op. cit., pag. 214 e segg. ; MAZZIOTTI, op. cit., pag. 215.


176 Formazione della Camera - Prerogative<br />

Regolamento parlamentare che, equiparando ai fini della maggioranza<br />

due ipotesi che la Costituzione vuole concettualmente distinte, quella<br />

dell'art. 90 e quella dell'art. 96, richiede anche per quest'ultima, per la<br />

validità della deliberazione di messa in stato d'accusa, la maggioranza<br />

assoluta dei componenti del Parlamento (105).<br />

La natura istruttoria dell'attività posta in essere dalla Commissione<br />

è confermata dal rigido regime di segretezza che circonda gli atti del<br />

procedimento (art. 35 legge del 1962). I membri della Commissione inquirente,<br />

gli addetti al suo ufficio di segreterìa e ogni altra persona che<br />

collabori con la Commissione stessa o che compia o concorra a compiere<br />

atti dell'inchiesta o ne abbia conoscenza per ragioni di ufficio o<br />

servizio, sono obbligati al segreto per tutto ciò che riguarda gli atti medesimi<br />

e i documenti acquisiti al procedimento.<br />

Salvo che il fatto costituisca un delitto più grave, la violazione del<br />

segreto è punita a norma dell'art. 326 del codice penale.<br />

Le stesse pene si applicano a chiunque pubblichi, in tutto o in parte,<br />

anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti del procedimento<br />

d'inchiesta, salvo che per il fatto siano previste pene più gravi.<br />

(105) A queste osservazioni replicò il Presidente del Parlamento, a conclusione<br />

della seduta comune 16-20 luglio 1965 : « Le riserve (...) manifestate non solo in aula,<br />

come risulta dagli atti, ma anche in una riunione dei capigruppo circa la costituzionalità<br />

del requisito della maggioranza assoluta dei componenti il Parlamento prescritta<br />

dall'articolo 27 del regolamento per la messa in stato d'accusa non mi paiono<br />

fondate; e pertanto, per doverosa chiarezza, non deve essere nemmeno sfiorato il dubbio<br />

di illegittimità sul risultato - quale che esso sia - della votazione che mi accingo<br />

ad indire. È vero che la Costituzione non prescrive nell'articolo 96, per la messa in<br />

stato d'accusa di membri del Governo, la maggioranza assoluta del Parlamento in<br />

seduta comune, maggioranza che è invece stabilita nell'articolo 90 per i giudizi nei<br />

confronti del Presidente della Repubblica; è vero altresì che l'articolo 64 della Costituzione<br />

sancisce che le deliberazioni delle Camere, anche riunite " sono valide se adottate<br />

a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza<br />

speciale " ; ma non è meno vero che sembra difficile attribuire a tale riserva di maggioranza<br />

speciale un significato diverso da quello che si deduce dalla sua stessa formulazione<br />

letterale: nel senso cioè che sia garantita in ogni caso l'efficacia delle norme<br />

costituzionali che prevedono una maggioranza speciale di fronte a quella normale preveduta<br />

dal medesimo articolo 64; il quale, ben si noti, non afferma già che le deliberazioni<br />

delle Camere " debbono " essere adottate a maggioranza dei presenti, ma si<br />

limita a prescrivere, agli effetti della loro validità, il requisito mìnimo del predetto<br />

quorum. La norma dell'articolo 64, nella sua ultima parte, là dove dice " salvo che<br />

la Costituzione prescriva una maggioranza speciale ", si riferisce, in sostanza, ai casi<br />

in cui risulta già determinata la necessità di deliberare con una maggioranza speciale,<br />

ma non stabilisce affatto che soltanto ed unicamente in quei casi è possibile deliberare<br />

con una maggioranza diversa da quella dei presenti. La potestà regolamentare del Parlamento,<br />

riconosciuta per attribuzione costituzionale di competenza, trova quindi un<br />

limite minimo di validità in materia di deliberazioni, che è più elevato in alcune fattispecie<br />

disciplinate direttamente da norme costituzionali, ma non trova alcun limite<br />

massimo se non nella propria autonoma sfera di determinazione che, trattandosi di<br />

organo costituzionale primario superiorem non recognoscens, presenta tutti i caratteri<br />

della sovranità».


Formazione della Camera - Prerogative 177<br />

Secondo l'art. 3 della legge del 1962 i poteri della Commissione inquirente<br />

sono quelli attribuiti al pubblico ministero nell'istruzione sommaria<br />

(106). La Commissione dispone direttamente della polizia giudiziaria<br />

e della forza pubblica, può richiedere l'impiego delle altre forze<br />

armate. Se ritiene necessario assicurare la custodia dell'inquisito, la di*<br />

spone indicando il luogo in cui deve essere eseguita.<br />

I pubblici ufficiali chiamati a testimoniare davanti alla Commissione<br />

non possono rifiutarsi di rispondere adducendo il vincolo del segreto<br />

d'ufficio, politico o militare; analogamente devono consegnare atti<br />

e documenti anche in originale senza possibilità di dichiarare l'esistenza<br />

del segreto.<br />

È da ricordare che in caso di necessità e di urgenza il Presidente<br />

della Commissione può adottare, in via provvisoria, i provvedimenti di<br />

competenza collegiale, riferendone immediatamente alla Commissione<br />

stessa. Se questa non li convalida, essi si intendono revocati.<br />

La Commissione può inoltre delegare a uno o più commissari il<br />

compimento di determinati atti istruttori: tali commissari delegati in<br />

caso di necessità e di urgenza hanno le stesse facoltà, sopra indicate, del<br />

Presidente.<br />

A rafforzamento dei poteri della Commissione, l'articolo 9 della<br />

legge del 1962 prescrive che l'azione penale contro i funzionari addetti<br />

alla Commissione, contro gli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria o<br />

della forza pubblica, per fatti compiuti in esecuzione di ordini della<br />

Commissione o della Corte, è condizionata ad una previa autorizzazione<br />

a procedere da concedersi da parte della stessa Commissione inquirente<br />

(107).<br />

Si noti che i poteri istruttori della Commissione possono esercitarsi<br />

anche dopo che la questione sia stata rimessa al Parlamento in seduta comune,<br />

quando ne facciano richiesta, prima che sia esaurita la discussione<br />

generale, cinquanta membri del Parlamento in seduta comune.<br />

In questa richiesta, che si risolve nell'incarico dato alla Commissione<br />

di compiere ulteriori indagini assegnando un congruo termine, il<br />

Parlamento delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti.<br />

(106) Anche l'assegnazione di poteri coercitivi alla Commissione è stata dedotta<br />

in dubbio di costituzionalità per contrasto con la legge costituzionale del 1953, n. 1,<br />

che prevede la natura meramente referente di tale Commissione.<br />

(107) Anche di questa disposizione potrebbe dedursi in dubbio la costituzionalità<br />

specie dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 94 del 1963 e n. 4 del 1965,<br />

rispettivamente abolitive delle autorizzazioni a procedere richieste dagli articoli 15 e 16<br />

del codice di procedura penale.


178 Formazione della Camera - Prerogative<br />

La Commissione, adempiuto l'incarico, presenta una relazione suppletiva<br />

scritta.<br />

14. - Come si è accennato, il Parlamento in seduta comune è convocato<br />

dal Presidente della Camera, sentito il Presidente del Senato,<br />

entro dieci giorni dalla distribuzione della relazione della Commissione<br />

inquirente che propone la messa in stato d'accusa o dalla presentazione<br />

dell'ordine del giorno di accusa da parte della maggioranza assoluta<br />

dei componenti del Parlamento (art. 24 del Regolamento parlamentare).<br />

Quando il Parlamento è riunito in seduta comune per un procedimento<br />

di accusa non sono ammessi rinvìi, ma soltanto brevi sospensioni<br />

della seduta disposte insindacabilmente dal Presidente (art. 29 del Regolamento<br />

parlamentare).<br />

La discussione inizia con la relazione orale della Commissione:<br />

questa norma (art. 25 comma 1 del Regolamento parlamentare) risulta<br />

evidentemente difettosa per il caso che il Parlamento sia stato convocato<br />

a seguito di richiesta della maggioranza assoluta dei suoi componenti<br />

in contraddittorio con le conclusioni di proscioglimento della Commissione.<br />

Infatti, come si è puntualmente verificato nell'unico caso di procedimento<br />

sfociato in Assemblea, l'ipotesi normale è che, in tali circostanze,<br />

un dibattito contestativo delle conclusioni della Commissione<br />

venga introdotto da un relatore naturalmente contrario all'ordine del<br />

giorno che ha dato origine alla seduta.<br />

Meno difforme dal sistema, sarebbe forse che nel caso in esame la<br />

discussione si aprisse proprio con la illustrazione di questo ordine del<br />

giorno (che rivestirebbe, nonostante il nomen juris, un sostanziale carattere<br />

di mozione) da parte del primo firmatario o d'altro dei proponenti.<br />

Esaurita la discussione generale, il Presidente pone in votazione le<br />

conclusioni della relazione della Commissione quando queste propongono<br />

la messa in stato di accusa. Se le conclusioni della Commissione<br />

propongono invece il non doversi procedere, viene posto in votazione<br />

l'ordine del giorno inteso a disporre la messa in stato di accusa.<br />

Sulle conclusioni della Commissione che propongono la 1 messa in<br />

stato d'accusa e sull'ordine del giorno non è consentita la presentazione<br />

di emendamenti né di ordini del giorno. La votazione, però, può essere<br />

disposta per parti separate ed ha luogo a scrutinio segreto.<br />

Come si è detto, la deliberazione di messa in stato d'accusa è adottata<br />

a maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento.<br />

La legge costituzionale del 1953, n. 1, ha disposto all'art. 13 che il<br />

Parlamento in seduta comune, nel porre in stato di accusa il Presidente


Formazione della Camera - Prerogative 179<br />

della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri, o i ministri,<br />

elegge anche tra i suoi componenti, uno o più commissari per sostenere<br />

l'accusa. L'elezione di tali commissari avviene a scrutinio segreto. Ogni<br />

membro del Parlamento vota per un numero di persone pari a quello<br />

dei commissari da eleggere : tale numero è previamente determinato dallo<br />

stesso Parlamento, si ritiene per analogia con casi assimilabili, su proposta<br />

della Presidenza. Si intendono nominati coloro che ottengono il<br />

maggior numero di voti.<br />

Quando i commissari eletti dal Parlamento per sostenere l'accusa<br />

sono più di due, essi, subito dopo la loro elezione, si costituiscono in collegio<br />

d'accusa eleggendo fra loro il presidente. Il collegio d'accusa può<br />

nominare tra i suoi componenti uno o più commissari delegati a prendere<br />

la parola nel dibattimento e a formulare le richieste secondo l'atto<br />

di accusa e le deliberazioni del collegio stesso.<br />

I commissari d'accusa esercitano infatti davanti alla Corte le funzioni<br />

di pubblico ministero ed hanno facoltà di assistere a tutti gli atti<br />

istruttori.<br />

Eventuali impedimenti o cause di incompatibilità che sopravvengano<br />

a carico di uno dei commissari di accusa non determinano un procedimento<br />

di sostituzione, sempre che rimanga in carica almeno uno dei<br />

commissari di accusa. ,<br />

Nel caso di rifiuto della nomina, di cessazione dall'ufficio o di impedimento<br />

di tutti i commissari, il Parlamento è riunito in seduta comune<br />

entro dieci giorni per provvedere alla loro sostituzione.<br />

II Presidente della Camera dei deputati, entro due giorni dalla deliberazione<br />

del Parlamento in seduta comune, trasmette l'atto di accusa<br />

al Presidente della Corte costituzionale, unitamente alla relazione della<br />

Commissione inquirente e agli atti e documenti del procedimento.<br />

Come si è detto, per la garanzia processuale della connessione fra<br />

deciso e contestato, la Corte costituzionale può conoscere soltanto i reati<br />

compresi nell'atto di accusa. Può altresì dichiarare la connessione per<br />

un reato previsto dagli articoli 90 e 96 della Costituzione e non compreso<br />

nell'atto di accusa, dandone comunicazione al Presidente della Camera<br />

dei deputati. In tal caso il giudizio innanzi alla Corte costituzionale<br />

è sospeso sino alla definizione davanti al Parlamento del procedimento<br />

per il reato connesso. Si inizierà in questo caso il normale iter<br />

con l'intervento preventivo istruttorio della Commissione inquirente.<br />

[ANDREA MANZELLA]


CAPO V<br />

GLI ORGANI DELLA <strong>CAMERA</strong><br />

di Gian Franco Ciaurro


CAPO V.<br />

GLI ORGANI DELLA <strong>CAMERA</strong><br />

SOMMARIO: La Presidenza'. 1. Modalità di elezione della Presidenza della<br />

Camera. — 2. Il Presidente della Camera come organo di rilevanza esterna.<br />

— 3. Le funzioni interne del Presidente. — 4. Autonomia e responsabilità<br />

del Presidente. — 5. I Vicepresidenti. — 6. I Segretari di Presidenza. —<br />

7. I Questori. — 8. L'Ufficio di Presidenza come organo collegiale. —<br />

9. La Conferenza dei Presidenti.<br />

/ Gruppi parlamentari: 10. Origini e natura dei Gruppi parlamentari. —<br />

11. La costituzione dei Gruppi. — 12. Le funzioni dei Gruppi.<br />

Le Commissioni parlamentari: 13. Origini e natura delle Commissioni. —<br />

14. La costituzione delle Commissioni permanenti. — 15. Il funzionamento<br />

delle Commissioni permanenti. — 16. Le Commissioni speciali. — 17. Le<br />

Commissioni speciali per l'esame di progetti di legge. — 18. Le Commissioni<br />

di indagine. — 19. Le Commissioni di inchiesta. — 20. La Commissione<br />

inquirente per i procedimenti di accusa. — 21. Le Commissioni<br />

di vigilanza. — 22. Le Commissioni consultive.<br />

Le Giunte: 23. Origini e natura delle Giunte. — 24. La Giunta per il<br />

Regolamento. — 25. La Giunta delle elezioni. — 26. La Giunta per le<br />

autorizzazioni a procedere.<br />

La Camera, che è un organo complesso, ricomprende nel suo ambito<br />

altri organi, singoli e collegiali, permanenti o temporanei, ai quali<br />

la Costituzione, il Regolamento o le consuetudini parlamentari attribuiscono<br />

determinate funzioni direttamente o indirettamente rilevanti<br />

nell'ordinamento generale (1).<br />

I principali organi della Camera sono:<br />

l'Ufficio di Presidenza, che è formato dal Presidente della Camera,<br />

dai Vicepresidenti, dai Segretari e dai Questori, che costituiscono<br />

poi a loro volta altrettanti organi, ai quali sono attribuite funzioni diverse<br />

da quelle esercitate dall'Ufficio di Presidenza nella sua collegialità;<br />

l'Assemblea plenaria, che non va confusa - nonostante ciò si<br />

faccia nel linguaggio corrente - con la « Camera », di cui è soltanto una<br />

delle articolazioni organizzatone, anche se la più importante (dell'Assemblea<br />

plenaria, comunque, dato il suo particolare rilievo, non ci oc-<br />

(1) Sui concetti di organo semplice e complesso, di attribuzione di funzioni, ecc.<br />

vedi specialmente: GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, Milano 1950,<br />

pagg. 90-91, 136-137.


184 Gli organi della Camera<br />

cuperemo in questo capitolo, ma nel successivo, ad essa specialmente<br />

dedicato);<br />

i Gruppi parlamentari;<br />

le Commissioni permanenti o speciali;<br />

le Giunte permanenti (per il Regolamento, delle elezioni, delle<br />

autorizzazioni a procedere).<br />

LA PRESIDENZA.<br />

1. - Il primo atto cui la Camera provvede dopo l'elezione è, di<br />

regola, quello della sua «costituzione»: che è il termine regolamentare<br />

con cui si designa il procedimento per la nomina del Presidente, e dei<br />

quattro Vicepresidenti, degli otto Segretari e dei tre Questori che con<br />

lui compongono l'Ufficio di Presidenza. È questo un atto al quale la<br />

Camera è strettamente tenuta, non solo perché la Presidenza è l'organo<br />

primario che, in base al Regolamento, deve assicurare il libero e ordinato<br />

svolgimento dei suoi lavori, ma anche perché al Presidente della<br />

Camera (e in qualche caso agli altri membri dell'Ufficio di Presidenza)<br />

sono attribuite nel nostro ordinamento funzioni di notevolissimo rilievo,<br />

anche esterne alla Camera e di carattere costituzionale. Per questi motivi<br />

l'atto in parola è oggetto di una specifica garanzia nella Carta costituzionale,<br />

che all'art. 63, 1° comma, stabilisce esplicitamente: «Ciascuna<br />

Camera elegge tra i suoi componenti il Presidente e l'Ufficio di<br />

Presidenza ».<br />

Anche questo iniziale procedimento costitutivo non sarebbe però<br />

possibile senza una qualche forma preliminare di direzione e di organizzazione<br />

tecnica dei lavori dell'Assemblea. A ciò provvedono le disposizioni<br />

regolamentari per la designazione di un Ufficio provvisorio,<br />

le cui funzioni - rilevanti nel passato, specialmente prima del 1868, quando<br />

esso estendeva la sua competenza a tutta la prima fase dei lavori<br />

parlamentari, fino al completamento della verifica dei poteri - sono oggi<br />

ridotte a quelle di un mero strumento formale di transizione per consentire<br />

l'elezione dell'Ufficio di Presidenza definitivo: elezione che ha<br />

luogo nella prima seduta dell'Assemblea di ogni legislatura (la cui data<br />

è di norma stabilita dal Presidente della Repubblica nel decreto di convocazione<br />

dei comizi elettorali, e comunque non può andare oltre il<br />

ventesimo giorno dalle elezioni, a norma dell'art. 61 Cost), o al massimo<br />

in quelle immediatamente successive.<br />

La designazione di questo Ufficio provvisorio avviene - com'è naturale,<br />

in un'Assemblea non ancora « costituita » - sulla base di criteri


Gli organi della Camera 185<br />

puramente automatici. Funge da Presidente uno dei Vicepresidenti delle<br />

Camere anteriori, scelto in ordine di legislatura (a cominciare dalle più<br />

recenti) e, all'interno di ogni legislatura, in ordine di anzianità di nomina<br />

(a cominciare dal più anziano di nomina; in caso di pari anzianità,<br />

prevale il Vicepresidente che sia stato eletto con maggior numero di<br />

voti). Solo ove non sia presente in Assemblea alcun Vicepresidente di<br />

Camere anteriori, presiede il deputato più anziano d'età (art. 2 Reg.<br />

Camera). Collaborano con il Presidente sei Segretari provvisori, designati<br />

con gli stessi criteri tra i Segretari delle Camere precedenti; in mancanza,<br />

si scelgono i deputati più giovani d'età (art. 3 Reg. Camera).<br />

Questi criteri per la designazione dell'Ufficio provvisorio derogano<br />

dunque parzialmente dalla tradizione tipica degli organi assembleari che<br />

vuole alla presidenza, nella fase costitutiva, il decano per età, assistito<br />

dai membri più giovani dell'assemblea, che fungono da segretari; così<br />

com'è stabilito dal Regolamento del Senato, e com'era stabilito anche<br />

dal Regolamento della Camera prima della riforma del 1868. La ragione<br />

della deroga deve evidentemente ricercarsi nell'opportunità di assicurare<br />

alla Presidenza della Camera nella delicata fase preliminare - per quanto<br />

possibile - l'apporto dell'esperienza di persone già collaudate nella direzione<br />

tecnica dei lavori parlamentari; ed anche di evitare di sottoporre<br />

ad un eccessivo sforzo il deputato più anziano conferendogli la funzione<br />

di Presidente provvisorio (2).<br />

La costituzione dell'Ufficio provvisorio rappresenta un presupposto<br />

di procedibilità per gli ulteriori lavori della Camera e, in particolare,<br />

per l'elezione del Presidente, dei Vicepresidenti, dei Segretari e dei Questori<br />

dell'Ufficio di Presidenza definitivo.<br />

Questa elezione avviene mediante successive votazioni per schede,<br />

indette, di norma, subito dopo l'insediamento dell'Ufficio di Presidenza<br />

provvisorio. Valgono per esse speciali regole, intese a contemperare<br />

l'esigenza di una rapida conclusione dell'iniziale fase costitutiva dei lavori<br />

della Camera con quella di procedere ad una scelta ragionata e as­<br />

ci) La questione era particolarmente delicata nella Camera prefascista, quando<br />

la Presidenza si rinnovava ad ogni sessione. Si legge a questo proposito nel Mancini-<br />

Galeotti che con la riforma del 1868 « fu tolto il gravissimo inconveniente che la<br />

Camera nell'agitazione dei primi giorni fosse diretta dal meno atto per energia fìsica.<br />

Evidentemente imponevasi per tal modo al più degno di riguardo uno sforzo, che fu<br />

probabilmente la cagione per la quale il deputato Quaglia, nel 4 aprile 1860, presiedendo<br />

l'Assemblea quale decano, fu colto da uno svenimento che precedette di poco<br />

la sua morte > (MANCINI-GALEOTTI, Norme ed usi del Parlamento italiano, Roma<br />

1887, pag. 92).


186 Gli organi della Camera<br />

sistita dal più largo consenso, in considerazione dell'importanza dei compiti<br />

attribuiti - normalmente, per l'intera legislatura - ai deputati che<br />

risulteranno eletti.<br />

Per l'elezione a Presidente è necessaria, alla prima votazione, una<br />

particolare maggioranza: cioè la maggioranza assoluta dei voti comunque<br />

espressi, computando tra questi ultimi anche le schede bianche (art. 4<br />

Reg. Camera). Non si adotta, pertanto, il sistema della maggioranza<br />

« fissa », calcolata sul numero complessivo dei componenti l'Assemblea,<br />

presenti o assenti che siano (sistema adottato, ad esempio, per l'elezione<br />

del Presidente della Repubblica, e che qui è forse sembrato eccessivamente<br />

rigido); ma si esclude anche espressamente che le schede bianche<br />

possano essere parificate alle astensioni, e quindi non considerate - secondo<br />

una discussa prassi della Camera - ai firn" del calcolo della maggioranza<br />

« mobile » (legata cioè al numero dei votanti).<br />

Com'è noto, la questione del computo delle schede bianche ai fini<br />

del calcolo del quorum di maggioranza è controversa in dottrina e incerta<br />

nella pratica; né si tratta di una questione di importanza soltanto<br />

teorica, poiché, escludendo le schede bianche dal computo, il quorum<br />

di maggioranza si abbassa, e l'elezione viene facilitata. Questa proprio<br />

sembra la ragione per la quale, in questo caso di particolare rilievo, il<br />

Regolamento dirime direttamente ogni difficoltà interpretativa e stabilisce<br />

che la maggioranza sia calcolata sul numero di coloro che hanno<br />

preso parte alla votazione deponendo la scheda nell'urna, indipendentemente<br />

dal contenuto della scheda stessa. Si vuole infatti escludere che<br />

le schede bianche - le quali rappresentano, in definitiva, una espressione<br />

di sfiducia verso tutti i designati alla candidatura - contribuiscano comunque<br />

all'elezione del Presidente della Camera, sia pure facilitandola<br />

indirettamente con l'abbassamento del quorum di maggioranza.<br />

Considerazioni similari valgono per le schede nulle, che esprimono<br />

chiaramente, del resto, una volontà di votare, anche se non in modo conforme<br />

alle regole che disciplinano la votazione: per cui le schede nulle<br />

andrebbero sempre considerate come voti espressi - pur in forma particolare<br />

- e quindi computate ai fini del calcolo del quorum di maggioranza<br />

(3).<br />

Lo spoglio delle schede per la nomina del Presidente si fa in seduta<br />

pubblica (art. 6 Reg. Camera). Le schede vengono prima numerate, sia<br />

(3) Sulla questione del computo delle schede bianche e nulle, v. LONOI-STRA-<br />

MACCI, // Regolamento della Camera dei Deputati illustrato con i lavori preparatori,<br />

Milano 19S8, pag. 161 ; MUSCARA, Manuale del deputato, Roma 1964, pagg. S91-S92.


Gli organi della Camera 187<br />

per verificare il numero legale, sia per accertare la corrispondenza tra i<br />

votanti e il numero delle schede. Se questa corrispondenza non si riscontra,<br />

l'esito della votazione non è inficiato qualora il numero delle schede<br />

sia inferiore a quello dei votanti (il che avviene quando taluno dei votanti<br />

non abbia deposto la sua scheda nell'urna); ove invece il numero<br />

delle schede superi quello dei votanti, si procede alla cosiddetta « prova<br />

di resistenza », che consiste nel sottrarre al candidato che ha riportato<br />

la maggioranza un numero di voti corrispondente alle schede eccedenti.<br />

Se anche con tale sottrazione il candidato mantiene la maggioranza richiesta,<br />

è proclamato eletto; in caso contrario, si dovrà rinnovare la votazione<br />

(4).<br />

Qualora nella prima votazione nessun candidato riporti la maggioranza<br />

richiesta, l'Assemblea « procede nel giorno stesso o nel giorno<br />

successivo ad una nuova elezione libera » (art. 4 Reg. Camera, 2° comma)<br />

(5) : cioè ad una seconda votazione che si svolge in tutto e per tutto<br />

con gli stessi criteri della prima, sia per il computo della maggioranza,<br />

sia perché i deputati restano liberi di votare per qualsiasi membro dell'Assemblea.<br />

Con queste due votazioni successive, identicamente disciplinate, il<br />

Regolamento vuol favorire l'elezione di un Presidente che abbia il più<br />

largo consenso della Camera, cioè la maggioranza effettiva di tutti i voti<br />

comunque espressi: se questo risultato fosse fallito al primo scrutinio,<br />

ben si potrà conseguirlo nel secondo, o con un nuovo candidato, o con<br />

spostamenti di voti sui candidati precedentemente votati, e la cui forza<br />

elettorale è pertanto già nota. Ma se nemmeno nella seconda votazione<br />

la volontà della maggioranza dell'Assemblea si orienta in modo univoco,<br />

(4) Cfr. MOHRHOFF, Trattato di diritto e procedura parlamentare, Roma<br />

1948, pag. 75.<br />

(5) L'uso dell'aggettivo « libera » nel contesto dell'art. 4 Reg. Camera ha<br />

fatto ritenere al MUSCARÀ (Manuale del deputato, cit, pag. 592 e pagg. 658-659) che<br />

nella seconda votazione non si debba tener conto né del criterio della maggioranza<br />

assoluta né di quello del computo delle schede bianche tra i votanti: questi criteri<br />

sarebbero eccezionali, ed avrebbero pertanto valore limitato alla prima votazione. Ma,<br />

se cosi fosse, la seconda votazione sarebbe comunque decisiva, bastando per l'elezione<br />

la maggioranza relativa dei voti (salvo il caso eccezionalissimo e quasi scolastico<br />

di due candidati a parità di voti); e la successiva disposizione per la votazione di ballottaggio<br />

non avrebbe senso. L'aggettivo « libera » va dunque contrapposto non ai<br />

criteri che regolano il computo della maggioranza nella prima votazione, ma al sistema<br />

del ballottaggio che vincola la terza votazione. Lo conferma, del resto, l'origine storica<br />

della norma, introdotta nel 1907 a seguito di difficoltà interpretative sul punto se dovesse<br />

procedersi subito a votazioni di ballottaggio, qualora nessun candidato raggiungesse<br />

la maggioranza assoluta al primo scrutinio: scrisse allora il relatore on. Brunialti<br />

che per tali ipotesi «è preferibile che il Regolamento della Camera sanzioni quel che<br />

già la coscienza di ogni designato riconoscerebbe necessario, cioè una nuova elezione<br />

"libera"». E nello stesso senso è la costante prassi interpretativa della Camera.


188 Gli organi della Camera<br />

il Regolamento fa prevalere l'esigenza che la Camera abbia subito il suo<br />

Presidente, e possa pertanto iniziare la parte sostanziale dei suoi lavori:<br />

e stabilisce che in tal caso « nel giorno stesso si procede eventualmente<br />

al ballottaggio tra i due candidati che hanno conseguito il maggior numero<br />

di voti e si proclama eletto quello che consegua la maggioranza<br />

relativa » (art. 4 Reg. Camera, 2° comma). Per questa terza votazione -<br />

che dovrà essere in ogni caso definitiva (salvo il caso di parità dei voti,<br />

in cui, pur nel silenzio della norma, si deve presumere che la votazione<br />

di ballottaggio vada ripetuta) - si introducono dunque due nuovi e diversi<br />

criteri per l'elezione, strettamente correlativi fra loro: la limitazione<br />

dei candidati ai due che nella seconda votazione abbiano riportato<br />

il maggior numero di voti, e la sufficienza della maggioranza relativa ai<br />

fini della elezione.<br />

Tutto il procedimento per l'elezione del Presidente della Camera<br />

dovrebbe comunque esaurirsi, secondo il meccanismo previsto dal Regolamento,<br />

entro due giorni consecutivi di seduta dell'Assemblea.<br />

L'Ufficio provvisorio resta però ancora in carica per l'elezione degli<br />

altri membri dell'Ufficio di Presidenza. Per le relative votazioni vige il<br />

sistema del voto limitato, in modo da consentire anche alle minoranze<br />

di accedere a tali funzioni: ogni deputato, pertanto, vota per non più<br />

di due nomi per l'elezione dei Vicepresidenti (che sono quattro), per<br />

non più di quattro nomi per l'elezione dei Segretari (che sono otto), per<br />

non più di due nomi per l'elezione dei Questori (che sono tre). Sono<br />

eletti coloro che al primo scrutinio ottengono il maggior numero dei<br />

voti (art. 5 Reg. Camera). Lo spoglio delle schede viene effettuato immediatamente<br />

da dodici scrutatori estratti a sorte; la presenza di sette<br />

scrutatori è necessaria per rendere valida tale operazione (art. 6 Reg.<br />

Camera).<br />

Il principio per cui le minoranze debbono essere rappresentate nell'Ufficio<br />

di Presidenza deriva da una antica e costante tradizione parlamentare<br />

italiana (6), intesa ad assicurare la massima possibile obiettività<br />

e imparzialità nel funzionamento di questo organo direzionale dell'Assemblea.<br />

Il rispetto di questa tradizione, dapprima affidato al fair play<br />

delle forze politiche, è stato assicurato anche dal punto di vista regolamentare<br />

con l'introduzione del sistema del voto limitato (avvenuta nel<br />

1900); ma neppure questo sistema è più sufficiente in una situazione come<br />

(6) «La maggioranza non s'è fatta la parte del leone che una volta sola, e cioè<br />

nel novembre 1874: ma in seguito alle dimissioni dei Segretari, anche allora fu reso<br />

omaggio alla sana consuetudine > (MANCINI-GALEOTTI, op. cit., pagg. 92-93).


Gli organi della Camera 189<br />

quella attuale, dominata dal rìgido inquadramento dei deputati nei Gruppi<br />

parlamentari e dalla costante presenza all'opposizione di Gruppi minoritari<br />

fra loro contrapposti (anche a prescindere dalla considerazione<br />

che l'Ufficio di Presidenza è eletto all'inizio della legislatura, prima della<br />

formazione del Governo, e quindi in un momento in cui - almeno teoricamente<br />

- la maggioranza parlamentare non è ancora costituita, né<br />

è definito lo schieramento dei Gruppi nella maggioranza o nell'opposizione).<br />

Nelle legislature postfasciste si è dunque dovuto ricorrere nuovamente<br />

al fair play per consentire, mediante accordi fra le forze politiche,<br />

che almeno i più consistenti Gruppi parlamentari siano rappresentati<br />

nell'Ufficio di Presidenza.<br />

Va tenuto inoltre presente che le regole ora esposte per l'elezione<br />

dei membri dell'Ufficio di Presidenza valgono anche - nei limiti in cui<br />

siano applicabili - ove si debba procedere alla sostituzione di qualcuno<br />

di essi in corso di legislatura, mancando nel Regolamento norme specifiche<br />

per questa ipotesi (è da notare, a questo proposito, che se qualcuno<br />

degli eletti nell'Ufficio di Presidenza intenda rassegnare le dimissioni,<br />

queste vanno rivolte alla Camera, che può accettarle o respingerle).<br />

Difficilmente, però, in questi casi può applicarsi il sistema del voto limitato<br />

: si pensi alla sostituzione di un singolo membro dell'Ufficio di Presidenza<br />

- che è poi il caso più frequente - alla quale si procede mediante<br />

una normale votazione per schede, con elezione del candidato che<br />

consegue la maggioranza relativa. Anche se applicabile, poi, il sistema<br />

del voto limitato non è di per sé sufficiente nelle elezioni suppletive a<br />

garantire i diritti delle minoranze senza idonei accordi tra le forze<br />

politiche.<br />

La fase iniziale della « costituzione » della Camera si conclude quando,<br />

compiuta e proclamata la nomina della Presidenza definitiva, il Presidente<br />

provvisorio la invita ad insediarsi. È tradizionale, nella Camera<br />

italiana, che questa fase sia suggellata dal rituale abbraccio tra il Presidente<br />

provvisorio e il definitivo.<br />

A questo punto, con l'avvenuto insediamento, il Presidente della<br />

Camera assume la pienezza delle sue funzioni; e, come primo suo atto,<br />

informa il Presidente della Repubblica e il Senato dell'avvenuta « costituzione<br />

> della Camera.<br />

2. - Il Presidente è l'organo che rappresenta e garantisce gli interessi<br />

permanenti e istituzionali della Camera (7). Ad esso sono attri-<br />

(7) V. per un ampio sviluppo di questo concetto: FERRARA, // Presidente di<br />

assemblea parlamentare, Milano 1965.


190 Gli organi della Camera<br />

bvdte funzioni importanti, complesse e di ampio rilievo costituzionale,<br />

non solo per il libero e regolare andamento dei lavori parlamentari, ma<br />

anche per l'ordinato svolgimento delle funzioni statali nel loro insieme,<br />

giacché egli partecipa e contribuisce direttamente al mantenimento<br />

dell'equilibrio dei poteri tra gli organi supremi dello Stato, che è alla<br />

base del nostro sistema costituzionale.<br />

Tra queste funzioni - che derivano al Presidente della Camera in<br />

parte direttamente dalla Costituzione, in parte da leggi, in parte dal Regolamento<br />

o dalle consuetudini parlamentari - vanno dunque anzitutto<br />

distinte, rispetto a quelle interne, le funzioni che ne fanno un vero e proprio<br />

organo di rilevanza costituzionale esterna rispetto all'ordinamento<br />

e all'attività dell'Assemblea che lo elegge. Queste funzioni possono distiguersi<br />

in due gruppi: quelle che il Presidente della Camera esercita<br />

come organo consultivo del Presidente della Repubblica; e quelle che<br />

esercita come Presidente del Parlamento in seduta comune delle due<br />

Camere.<br />

A) Funzioni consultive. Tra le funzioni esterne del Presidente, si<br />

può parlare di una funzione consultiva soprattutto in relazione a tre casi :<br />

a) il parere - obbligatorio, ma non vincolante - che il Presidente<br />

della Repubblica deve chiedere al Presidente della Camera (e a quello<br />

del Senato) in caso di scioglimento di una o di entrambe le Camere<br />

(art. 88 Cost);<br />

b) l'analogo parere che il Presidente della Repubblica deve chiedere<br />

al Presidente della Camera in caso di scioglimento del Consiglio<br />

superiore della magistratura (art. 31 della legge 24 marzo 1958, n. 195);<br />

e) la « consultazione » del Presidente della Camera (e del Presidente<br />

del Senato) da parte del Presidente della Repubblica in occasione<br />

delle crisi di governo, in obbedienza ad una consolidata prassi costituzionale.<br />

Nulla esclude, inoltre, che il Capo dello Stato possa consultare il<br />

Presidente della Camera in forme libere - come di fatto avviene - anche<br />

in altri momenti e su altri aspetti della dialettica politico-parlamentare,<br />

dato che i Presidenti dei due rami del Parlamento sono, nel nostro ordinamento,<br />

i suoi consiglieri d'elezione nei momenti di maggiore importanza<br />

nella vita costituzionale dello Stato. Le figure dei Presidenti delle<br />

Camere assumono in tutti questi casi un rilievo peculiare e in certa misura<br />

autonomo rispetto alle stesse Assemblee, da cui non ripetono un<br />

mandato vincolante e delle quali non manifestano la contingente volontà<br />

politica, ma rappresentano con largo margine di discrezionalità gli inte-


Gli organi della Camera 191<br />

ressi permanenti, legati alle esigenze di stabilità e funzionalità dell'ordinamento<br />

(8).<br />

In particolare, nell'ipotesi di crisi di governo - che può rappresentare<br />

anche la premessa politica di un eventuale scioglimento di una o di<br />

entrambe le Camere - i Presidenti dei due rami del Parlamento vengono<br />

per consuetudine consultati per primi, e possono fornire al Presidente<br />

della Repubblica preziose indicazioni, con l'autorità che deriva loro dal-<br />

Faver seguito all'interno di una delle due Camere lo sviluppo degli avvenimenti<br />

e dalla conseguente possibilità di meglio prevedere, anche sulla<br />

base dei continui contatti che intrattengono con i gruppi politici, l'accoglienza<br />

che il Parlamento farà ad una eventuale nuova formazione governativa,<br />

o viceversa l'opportunità di considerare l'ipotesi dello scioglimento,<br />

per l'obiettiva difficoltà di ricomporre una maggioranza (9). In<br />

tal modo, attraverso quel loro particolare organo che è il Presidente, le<br />

Assemblee legislative - i cui lavori vengono tradizionalmente sospesi<br />

durante le crisi governative - hanno modo di intervenire attivamente sul<br />

procedimento per la formazione del nuovo Governo e di condizionare<br />

in certa misura anche l'eventuale esercizio del potere di scioglimento da<br />

parte del Presidente della Repubblica.<br />

B) Funzioni connesse alla Presidenza delle riunioni del Parlamento<br />

in seduta comune delle due Camere. Com'è noto, nel delicato gioco di<br />

equilibri che caratterizza il bicameralismo italiano spetta al Presidente<br />

del Senato di esercitare le funzioni del Presidente della Repubblica in<br />

ogni caso in cui questi non possa adempierle (art. 86 Cost, 1° comma);<br />

mentre spetta al Presidente della Camera di presiedere le riunioni del<br />

Parlamento in seduta comune (10) (art. 63 Cost., 2° comma; art. 10<br />

Reg. Camera, 2° comma).<br />

La ratio di tale disposizione, oltre che nel rispetto della simmetria<br />

e dell'equilibrio tra gli organi costituzionali, deve probabilmente ricer-<br />

(8) Cfr. FERRARA, op. cit., pagg. 89-90, 177-184; SICA, Rilievi sulla presidenza<br />

delle assemblee politiche, in « Rassegna di diritto pubblico >, 1951, pag. 270 e segg.<br />

(9) V. in argomento: BAR<strong>IL</strong>E, / poteri del Presidente della Repubblica, in<br />

t Rivista trimestrale di diritto pubblico », 1958, pag. 346 e segg. ; CUOCOLO, // Governo<br />

nel vigente ordinamento italiano, Milano 1957, pag. 26 e segg; CUOMO, / poteri del<br />

Presidente della Repubblica nella risoluzione delle crisi di Governo, Napoli 1962,<br />

pag. 169 e segg. ; ELIA, Appunti sulla formazione del Governo, in t Giurisprudenza<br />

costituzionale», 1957, pag. 1178 e segg.; GUARINO, // Presidente della Repubblica, in<br />

« Rivista trimestrale di diritto pubblico », 1951, pag. 957 ; PRETI, // Governo nella Costituzione<br />

italiana, Milano 1954, pag. 156; VIROA, La crisi e le dimissioni del Gabinetto,<br />

Milano 1948, pag. 55.<br />

(10) Sui profili funzionali del Parlamento in seduta comune, v. il successivo capitolo<br />

di questo studio.


192 Gli organi della Camera<br />

carsi nella più ampia capacità rappresentativa materiale della Camera<br />

rispetto al Senato, sia per il numero dei suoi membri (che è circa doppio<br />

rispetto al Senato), sia per la più ampia dimensione del suo corpo<br />

elettorale (11).<br />

È assai controversa in dottrina la natura del Parlamento in seduta<br />

comune, inteso da taluni come organo autonomo e distinto dalle due<br />

Camere (12), da altri come una delle forme di riunione delle Camere<br />

stesse (13), mentre per altri ancora il Parlamento in seduta comune e<br />

ciascuna delle Camere costituiscono organi distinti di un solo organo complesso,<br />

cioè del Parlamento nella sua unitaria configurazione (14). Quel<br />

ch'è certo è che la Costituzione, prescrivendo tassativamente i casi in<br />

cui tali riunioni comuni delle Camere si svolgono (art. 55 Cost.) e limitandoli<br />

ad ipotesi in cui esse funzionano da collegio elettorale o da collegio<br />

giudiziario, espressamente vuole escludere che nelle riunioni stesse<br />

le Camere vadano a formare una Assemblea Nazionale, cioè un potere<br />

unico, un unico organo parlamentare, com'era previsto nel primitivo progetto<br />

della Costituzione e come fu escluso nel dibattito in Assemblea Costituente:<br />

e ciò per evitare una complicata sovrapposizione di competenze,<br />

un'alterazione nell'equilibrio tra i poteri costituzionali e una minacciosa<br />

deviazione dal principio del bicameralismo verso un regime di<br />

assemblea, che è escluso completamente dal nostro ordinamento (15). Ciò<br />

vale anche per il caso in cui ai membri dei due rami del Parlamento si<br />

aggiungono, nella composizione dell'Assemblea, membri estranei (i delegati<br />

delle regioni nell'elezione del Presidente della Repubblica).<br />

Per questo particolare carattere delle riunioni del Parlamento in seduta<br />

comune, in esse non si ha la fase della « costituzione » dell'Assemblea<br />

e dell'elezione dei suoi organi direzionali: ma soltanto l'automatico<br />

insediamento del Presidente e dell'Ufficio di Presidenza della Camera per<br />

assicurare la direzione e il funzionamento delle sedute (art. 63 Cost.,<br />

2° comma). Non si ha neppure una fase di verifica dei poteri, giacché<br />

(11) Cfr. FERRARA, op. cit., pag. 262 e segg.; BALLADORB PALLIERI, Diritto costituzionale,<br />

Milano 1963, pag. 183.<br />

(12) In questo senso: Bozzi, Istituzioni di diritto pubblico, Milano 1965, pag. 89;<br />

CROSA, Diritto costituzionale, Torino 1955, pag. 282; MORTATI, Istituzioni di diritto<br />

pubblico, Padova 1962, pag. 439; PEROOLESI, Diritto costituzionale, Padova 1958,<br />

pag. 299; VIRGA, Diritto costituzionale, Milano 1967, pag. 170.<br />

(13) In questo senso : AMORTH, La Costituzione italiana, Milano 1948, pag. 121 ;<br />

BALLADORE PALLIERI, Diritto costituzionale, cit., pag. 182; CERETI, Diritto costituzionale,<br />

Torino 1955, pag. 318; RUINI, // Parlamento nella nuova Costituzione, Roma 1948,<br />

pag. 415 ; PALADIN, Sulla natura del Parlamento in seduta comune, in « Rivista trimestrale<br />

di diritto pubblico », 1960, pag. 388.<br />

(14) In questo senso: FERRARA, op. cit., pag. 287 e segg.<br />

(15) Cfr. AMORTH, La Costituzione, cit., pag. 121.


Gli organi della Camera 193<br />

il Presidente della Camera sì limita a recepire i documenti di ciascuna<br />

Camera che attestano la rispettiva composizione (e, eventualmente, le<br />

comunicazioni dei Consigli regionali sull'elezione dei rispettivi delegati<br />

per l'elezione del Presidente della Repubblica); né è ammessa alcuna<br />

discussione in seduta comune sulla sussistenza dei titoli o di cause di ineleggibilità<br />

o incompatibilità, questioni che sono tutte riservate alla separata<br />

autonomia di ognuno dei due rami del Parlamento (o dei Consigli<br />

regionali, per quanto concerne i loro delegati). Così pure è escluso che<br />

il Parlamento in seduta comune possa discutere questioni in ordine<br />

alla propria competenza (16) o fruire di una autonomia regolamentare<br />

ed organizza tona : il Regolamento che lo disciplina è quello della<br />

Camera (art 15 Reg. Camera, ultimo comma), e le funzioni organizzatone<br />

e direzionali sono deferite a un organo - la Presidenza della<br />

Camera - che è svincolato rispetto al collegio cui è preposto quanto<br />

a derivazione e quanto a responsabilità. Il Presidente della Camera, in<br />

quanto Presidente del Parlamento in seduta comune, non è infatti responsabile<br />

nei confronti di questo, ma soltanto nei confronti dell'organo<br />

dal quale è stato eletto.<br />

La principale funzione del Presidente della Camera come Presidente<br />

del Parlamento in seduta comune è quella di attivarne il funzionamento<br />

con l'atto di convocazione, ove ricorrano determinate condizioni, in<br />

relazione agli specifici compiti al Parlamento stesso attribuiti (che sono,<br />

come già osservato, principalmente di carattere elettorale o di carattere<br />

giudiziario). Il Presidente della Camera dovrà pertanto convocare il Parlamento<br />

in seduta comune nelle seguenti ipotesi:<br />

1) Elezione del Presidente della Repubblica (art. 83 Cost). L'atto<br />

di convocazione deve essere emanato 30 giorni prima che scada il termine<br />

del settennio iniziato con il giuramento del Presidente della Repubblica;<br />

se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro<br />

cessazione, l'elezione ha luogo entro 15 giorni dall'elezione delle Camere<br />

nuove (art 85 Cost).<br />

In caso di morte, di dimissioni o di impedimento permanente del<br />

Presidente della Repubblica, l'elezione va indetta entro 15 giorni, salvo<br />

il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o se manca meno<br />

di tre mesi dalla loro cessazione (art. 86 Cost.). Nell'ambito di questi termini,<br />

spetta al Presidente della Camera la determinazione del dies idoneus<br />

(16) Proprio per questo la dottrina propende a considerare il Parlamento in<br />

seduta comune come e collegio imperfetto», e non come «collegio perfetto» (sulla<br />

base della distinzione del VITTA, Gli atti collegiali, Roma 1920, pag. 14). Cfr.: Bozzi.<br />

Istituzioni,


194 Gli organi della Camera<br />

per la riunione comune delle due Camere e dei delegati regionali per<br />

l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Nelle ipotesi di dimissioni<br />

o di impedimento permanente, si ritiene spetti anche al Presidente<br />

della Camera, prima di procedere alla convocazione, l'accertamento della<br />

sussistenza dei requisiti formali di validità dei presupposti che determinano<br />

la convocazione stessa: e cioè delle dimissioni e della declaratoria<br />

di impedimento permanente (17).<br />

2) Giuramento del Presidente della Repubblica (art. 91 Cost).<br />

È l'unico caso in cui il Parlamento si riunisce in seduta comune senza<br />

che eserciti - a rigore - funzioni di collegio elettorale o di collegio giudiziario.<br />

Trattasi comunque di una seduta meramente formale, che si<br />

svolge di solito a brevissima distanza dall'avvenuta elezione, e nel<br />

corso della quale è consuetudine che il Presidente della Repubblica indirizzi<br />

anche un messaggio al Parlamento. Dopo il giuramento e il messaggio<br />

la seduta è tolta, senza che possa avere altri svolgimenti. Per la<br />

fissazione della data è corretto che il Presidente della Camera si consulti<br />

con il neo-eletto Presidente della Repubblica, il quale solo con il giuramento<br />

assume effettivamente le sue funzioni.<br />

3) Elezione di un terzo dei giudici della Corte Costituzionale<br />

(art. 135 Cost., modificato dalla legge costituzionale 22 novembre 1967,<br />

n. 2). Anche in questo caso la fissazione del dies idoneus spetta al Presidente<br />

della Camera, che vi provvedere non appena abbia notizia della<br />

vacanza di uno o più giudici di nomina parlamentare, per l'ordinaria<br />

scadenza novennale o per altro motivo.<br />

4) Elezione di un terzo dei membri del Consiglio superiore della<br />

magistratura (art. 104 Cost.). L'elezione deve aver luogo entro tre mesi<br />

dallo scadere del precedente Consiglio, nei giorni stabiliti dai Presidenti<br />

delle due Camere (art. 21 della legge 24 marzo 1958, n. 195). Dalla formulazione<br />

della norma si deduce che in questo caso per la determinazione<br />

del dies idoneus è necessario un concerto con il Presidente del Senato,<br />

pur restando l'atto di convocazione formalmente e sostanzialmente imputabile<br />

soltanto al Presidente della Camera.<br />

5) Messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica per<br />

alto tradimento o attentato alla Costituzione (art. 90 Cost.), o del<br />

Presidente del Consiglio dei ministri o dei singoli ministri per reati<br />

commessi nell'esercizio delle loro funzioni (art. 96 Cost.). Il Parlamento<br />

in seduta comune - che esercita in questi casi una funzione di collegio<br />

giudiziario, ai fini della messa in stato di accusa davanti alla Corte Costi­<br />

ci?) V. in argomento FERRARA, op. ciu, pagg. 273-282, con ampi richiami.


Gli organi della Camera 195<br />

frizionale - va convocato entro dieci giorni dalla distribuzione della relazione<br />

della apposita Commissione inquirente, se questa propone la<br />

messa in stato d'accusa, ovvero dalla richiesta della maggioranza assoluta<br />

dei membri del Parlamento, qualora la Commissione inquirente abbia<br />

deliberato di non doversi procedere con una maggioranza inferiore ai tre<br />

quinti dei suoi componenti (art. 24 Reg. per i procedimenti di accusa).<br />

Entro questo ambito, la fissazione del dies idoneus spetta al Presidente<br />

della Camera, sentito però il Presidente del Senato. La seduta ha luogo<br />

senza interruzione, salvo brevi sospensioni disposte insindacabilmente<br />

dal Presidente (art. 29 Reg. per i procedimenti di accusa). Qualora il<br />

Parlamento deliberi la messa in stato d'accusa, si trasforma in collegio<br />

elettorale per la designazione di uno o più Commissari di accusa,<br />

che esercitano le funzioni del pubblico ministero nel giudizio davanti<br />

alla Corte Costituzionale (art. 13 della legge costituzionale 11 marzo<br />

1953, n. 1).<br />

6) Compilazione dell'elenco delle persone tra le quali sono sorteggiati,<br />

in caso di necessità, i giudici aggregati della Corte Costituzionale<br />

per i giudizi d'accusa contro il Presidente della Repubblica, il Presidente<br />

del Consiglio dei ministri o i ministri (art. 135 Cost, modificato<br />

dalla legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2; art. 9-bis Reg. Camera).<br />

Questo elenco è costituito di 45 persone, aventi i requisiti per<br />

l'eleggibilità a senatore, ed è formato dal Parlamento in seduta comune<br />

ogni 9 anni con le modalità stabilite per l'elezione dei giudici ordinari<br />

della Corte Costituzionale. Con le stesse modalità il Parlamento procede<br />

alle elezioni suppletive qualora per sopravvenute vacanze l'elenco si riduca<br />

a meno di 36 persone (art. 1 Reg. per i procedimenti di accusa). Al<br />

sorteggio dei 16 giudici aggregati, ove sia promosso il giudizio d'accusa,<br />

procede poi la Corte Costituzionale, in pubblica udienza e con la partecipazione<br />

dei Commissari d'accusa (art 21 della legge 25 gennaio 1962,<br />

n. 20). Queste norme sostituiscono l'originario disposto dell'art. 135 Cost,<br />

che prevedeva l'elezione diretta dei 16 giudici aggregati da parte del Parlamento<br />

in seduta comune, all'inizio di ogni legislatura. Nel sistema vigente,<br />

al Presidente della Camera spetta la fissazione del dies idoneus per la<br />

convocazione del Parlamento in seduta comune, una volta accertata la<br />

sussistenza dei presupposti dell'avvenuto scadenza di validità del precedente<br />

elenco per decorso dei termini, o della sua riduzione a meno di<br />

36 persone che rende necessaria l'elezione suppletiva.<br />

L'atto di convocazione non può contenere che uno solo dei possibili<br />

oggetti della riunione del Parlamento in seduta comune: l'art. 55 Cost,<br />

stabilendo che il Parlamento si riunisce in seduta comune « nei soli


196 Gli organi della Camera<br />

casi » stabiliti dalla Costituzione, evidentemente vuol significare che per<br />

ciascuno di tali casi è necessario un atto di convocazione specifico (18).<br />

Né il Parlamento in seduta comune - che, a differenza delle singole<br />

Camere, non può autoconvocarsi, né essere convocato per iniziativa del<br />

Presidente della Repubblica, ma può riunirsi soltanto per iniziativa del<br />

Presidente della Camera - ha facoltà di eventualmente discutere o deliberare<br />

su questioni non iscritte all'ordine del giorno.<br />

Da ciò derivano precisi vincoli per il Presidente e l'Ufficio di Presidenza<br />

della Camera anche in ordine alle funzioni direzionali che<br />

esercitano nel concreto svolgimento dei lavori del Parlamento in seduta<br />

comune: funzioni che non differiscono - salvi gli opportuni adattamenti -<br />

da quelle che analogamente esercitano nello svolgimento dei lavori della<br />

Camera (e di cui ci occuperemo tra poco), eccetto che per essere strettamente<br />

vincolate nel loro espletamento ed esclusivamente finalizzate all'esaurimento<br />

della funzione concreta, elettorale o giudiziaria, per la quale<br />

il Parlamento in seduta comune è convocato.<br />

Le norme che prevedono i casi tipici di convocazione descrivono^<br />

infatti interamente, in modo puntuale e tassativo, le singole fattispecie<br />

e i momenti procedurali nei quali l'attività del Parlamento in seduta<br />

comune può articolarsi; mentre, d'altra parte, la precostituzione dell'organo<br />

di Presidenza rispetto all'Assemblea, che non lo elegge, non lo può<br />

revocare, e davanti alla quale esso non risponde, dà all'organo di Presidenza<br />

stesso una posizione di supremazia non consueta in una Assemblea<br />

democratica, che non può giustificarsi se non appunto in considerazione<br />

del carattere vincolato dell'attività della Presidenza e della esclusiva natura<br />

di collegio elettorale o giudiziario dell'Assemblea stessa.<br />

In particolare, quando il Parlamento si riunisce in seduta comune<br />

come collegio elettorale è persino escluso, per ragioni sistematiche, che<br />

possano svolgersi discussioni di sorta, essendo tutto il procedimento regolato<br />

preventivamente ed espressamente dalla Costituzione e dalla legge.<br />

Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune come collegio giudiziario,<br />

per deliberare la messa in stato di accusa del Presidente della<br />

Repubblica, o del Presidente del Consiglio dei ministri, o di singoli ministri,<br />

una discussione si svolge necessariamente, con una deliberazione<br />

finale che può essere preceduta da altre, strutturalmente ordinate al fine<br />

di conseguirla, e può essere seguita dalla costituzione del collegio d'ac-<br />

(18) Così FERRARA, op. cit., pag. 283, in nota. Contro: PALADIN, Sulla natura del<br />

Parlamento in seduta comune, cit., pag. 403 e segg.


Gli organi della Camera 197<br />

cusa: ma anche in questo caso il procedimento si svolge in canali rigorosamente<br />

predeterminati, che lasciano ben poco spazio alla discrezionalità<br />

della Presidenza, se non nelle parti meramente ordinatorie (per<br />

es., nella possibilità di disporre insindacabilmente brevi sospensioni della<br />

seduta).<br />

Piuttosto, in ordine ai procedimenti d'accusa merita rilievo tutta una<br />

serie di funzioni che sono attribuite al Presidente della Camera per la<br />

sua qualità di Presidente del Parlamento in seduta comune, ma che si<br />

svolgono previamente o successivamente od anche indipendentemente<br />

dalla convocazione del Parlamento stesso.<br />

L'art. 2 della legge 25 gennaio 1962, n. 20, stabilisce così che il rapporto,<br />

il referto o la denuncia relativi a fatti previsti dagli artt. 90 e 96<br />

Cost. devono essere presentati o trasmessi dall'autorità che li riceve al<br />

Presidente della Camera; e l'art. 10 della stessa legge dispone la trasmissione<br />

degli atti al Presidente della Camera, anche d'ufficio, quando<br />

il pubblico ministero, nel corso della istruzione preliminare o sommaria,<br />

o il giudice ordinario o militare, in qualsiasi stato e grado del procedimento,<br />

ritengano che ricorra alcuna delle ipotesi previste negli stessi<br />

artt. 90 e 96 Cost. Il Presidente della Camera, ricevuto un rapporto, un<br />

referto o una denuncia relativi a tali fatti, e accertatane, se del caso,<br />

l'autenticità, lo trasmette alla Commissione inquirente per i procedimenti<br />

d'accusa, dandone notizia al Presidente del Senato. Negli stessi<br />

modi provvede nella ipotesi di trasmissione degli atti da parte dell'autorità<br />

giudiziaria (art. 14 Reg. per i procedimenti di accusa, 1° e 2° comma).<br />

Di queste trasmissioni di atti la Commissione inquirente può chiedere<br />

ai Presidenti delle due Camere di dare comunicazione alle rispettive<br />

Assemblee (art 14 Reg. per i procedimenti di accusa, ultimo comma).<br />

Nei confronti della Commissione inquirente il Presidente della Camera<br />

ha funzioni in comune con il Presidente del Senato - per la ripartizione<br />

tra i gruppi dei 20 seggi di commissario, 10 dei quali spettano<br />

a deputati, e 10 a senatori - e funzioni esclusive, connesse appunto alla<br />

sua qualità di Presidente del Parlamento in seduta comune: quella di<br />

convocarla per la prima volta e ad ogni sua rinnovazione, entro 15 giorni<br />

dall'elezione, perché provveda alla sua « costituzione » con l'elezione di<br />

un Presidente, di due Vicepresidenti e di due Segretari (art. 6 Reg.<br />

per i procedimenti di accusa); quella di autorizzare un commissario<br />

ad astenersi, nei casi in cui il codice di procedura penale ammette<br />

la recusazione, o quando esistono gravi ragioni di convenienza (art. 4<br />

Reg. per i procedimenti di accusa, 3° comma); quella di accertare se<br />

corrisponda alla maggioranza assoluta dei membri del Parlamento il


198 Gli organi della Camera<br />

numero dei deputati e dei senatori che nel previsto termine di 5 giorni<br />

dalla comunicazione richiedano l'apertura dell'inchiesta, quando la Commissione<br />

abbia deliberato l'archiviazione con il voto favorevole di meno<br />

dei quattro quinti dei suoi componenti (arg. ex art. 18 Reg. per i procedimenti<br />

di accusa); quella di ricevere le adesioni dei deputati e dei<br />

senatori all'ordine del giorno motivato che nel previsto termine di 5 giorni<br />

dalla distribuzione della relazione richieda la rimessione al Parlamento<br />

in seduta comune della deliberazione di non doversi procedere approvata<br />

dalla Commissione con il voto favorevole di meno di tre quinti dei suoi<br />

componenti (art. 22 Reg. per i procedimenti di accusa).<br />

Successivamente alla riunione del Parlamento in seduta comune, ove<br />

questo abbia deliberato la messa in stato d'accusa, il Presidente della<br />

Camera trasmette entro due giorni l'atto d'accusa al Presidente della Corte<br />

Costituzionale (art. 17 della legge 25 gennaio 1962, n. 10), insieme con la<br />

relazione della Commissione inquirente e con gli altri atti e documenti del<br />

procedimento. Comunica altresì il nome dei Commissari d'accusa e del<br />

Presidente del Collegio d'accusa previsto dall'art. 18 della legge 25 geni<br />

naio 1962, n. 20 (art. 28 Reg. per i procedimenti di accusa). Il Presidente<br />

della Camera può anche dichiarare poi la decadenza di taluno<br />

dei Commissari d'accusa, in caso d'incompatibilità sopravvenuta o conosciuta<br />

in un momento successivo all'elezione (art. 11 Reg. per i<br />

procedimenti di accusa, ultimo comma). Qualora tutti i Commissari<br />

d'accusa vengano meno, per rifiuto della nomina, cessazione dell'ufficio<br />

o impedimento, il Presidente della Camera deve procedere ad una nuova<br />

convocazione del Parlamento in seduta comune, entro dieci giorni, per<br />

provvedere alla loro sostituzione (art. 12 Reg. per i procedimenti di<br />

accusa).<br />

3. - Se la Costituzione attribuisce al Presidente della Camera, come<br />

abbiamo visto, importanti funzioni esterne rispetto all'ordinamento e<br />

all'attività dell'Assemblea che lo elegge, ciò non toglie che le sue funzioni<br />

più tipiche e tradizionali siano pur sempre quelle che esercita<br />

all'interno della Camera, per la direzione e l'organizzazione dei lavori<br />

parlamentari.<br />

In questo campo, la figura del Presidente della Camera italiana, qual<br />

è venuta storicamente delineandosi e qual è prevista nel Regolamento e<br />

nelle consuetudini parlamentari, ha un carattere diverso e intermedio<br />

rispetto ai tipi più noti di presidenti di assemblea parlamentare, che sono<br />

quelli elaborati dalla tradizione britannica, da quella francese e da quella<br />

americana.


Gli organi della Camera 199<br />

Negli Stati Uniti, come in genere nelle repubbliche presidenziali, m<br />

cui vige una netta separazione tra il potere esecutivo e il potere legislativo,<br />

il Presidente di assemblea ha una funzione politica attiva e si può<br />

considerare il leader della maggioranza parlamentare che lo esprime (funzione<br />

che nei regimi parlamentari è propria del Presidente del Consiglio<br />

dei ministri): non avendo il Governo rapporti diretti con le assemblee<br />

parlamentari, queste ultime debbono infatti trovare nel proprio interno<br />

e al di fuori del Governo gli organi direttivi e le figure più rappresentative<br />

per lo svolgimento dell'attività politico-parlamentare.<br />

Nei regimi parlamentari, invece, il Presidente di assemblea tende a<br />

mantenersi al di fuori della lotta politica: non interviene nei dibattiti, si<br />

occupa del regolare svolgimento dei lavori parlamentari senza interferire<br />

nel merito dei problemi politici sollevati, mantiene una posizione di imparzialità<br />

e di prestigio al di sopra delle parti, proprio perché i rapporti<br />

politici tra Governo, maggioranza e opposizione si concretizzano e si<br />

esauriscono nell'ambito del Parlamento, i ministri quasi sempre fanno<br />

parte del Parlamento, né al Presidente di assemblea compete alcuna funzione<br />

di rappresentanza di forze politiche. Anche in questi regimi, per<br />

altro, la posizione del Presidente di assemblea può variare considerevolmente.<br />

Così in Gran Bretagna lo Speaker della Camera dei Comuni ha la<br />

funzione di vero e proprio magistrato del Parlamento, è unico responsabile<br />

dell'ordine e della libertà delle discussioni, che dirige con poteri<br />

assai ampi e penetranti, e gode di un rispetto assoluto. Per rafforzare la<br />

sua posizione di assoluta imparzialità ed estraneità ad interessi di partito,<br />

è consuetudine che egli sia eletto per unanime accordo, che mantenga<br />

la sua carica indipendentemente dal variare della maggioranza parlamentare<br />

(per cui i dibattiti di una Camera laborista possono essere tranquillamente<br />

diretti da uno Speaker conservatore), e che nel collegio uninominale<br />

in cui si presenta alle «elezioni non vengano presentati altri<br />

candidati concorrenti.<br />

Nella Francia della IV Repubblica, che è un altro tipico esempio<br />

di regime parlamentare, il Presidente di assemblea godeva invece di<br />

poteri assai minori, essendo quasi completamente vincolato nella sua<br />

attività, da una parte dall'Ufficio di Presidenza, e dall'altra dalla Conferenza<br />

dei Presidenti delle Commissioni e dei Gruppi, che era il vero<br />

motore di tutta l'attività legislativa.<br />

In Italia, prima del fascismo, la figura del Presidente della Camera<br />

assumeva un particolare rilievo politico, poiché la sua elezione rappresentava<br />

un atto di volontà di una maggioranza ben determinata : ciò, tuttavia,


200 Gli organi della Camera<br />

non impedì quasi mai al Presidente di porsi al di sopra delle parti nella<br />

direzione dei dibattiti. Questa caratteristica si è accentuata nelle legislature<br />

post-fasciste, nelle quali le maggioranze che hanno eletto i Presidenti<br />

delle Camere sono state in genere assai più ampie delle maggioranze governative,<br />

e si è qualche volta arrivati anche a designazioni assembleari<br />

che hanno fatto convergere su un solo nominativo i voti di quasi tutti<br />

i Gruppi parlamentari, di maggioranza e di opposizione. In Italia, inoltre,<br />

il Presidente di assemblea ha poteri assai ampi per la direzione dei lavori<br />

parlamentari (molto più ampi - ad esempio - dei Presidenti di assemblea<br />

della tradizione francese, pur non arrivando a quelli dello Speaker<br />

della Camera dei Comuni); né è condizionato nella sua azione da organi<br />

come l'Ufficio di Presidenza, la « Conferenza dei Presidenti » o la Giunta<br />

per il Regolamento, che sono semplici strumenti di collaborazione e di<br />

consultazione del Presidente, dal quale dipende la loro stessa convocazione,<br />

mentre le loro decisioni non assumono mai un carattere vincolante<br />

in relazione alle funzioni, di esclusiva pertinenza del Presidente,<br />

per la direzione dei lavori parlamentari.<br />

. Si può dunque affermare, in sintesi, che la posizione del Presidente<br />

della Camera italiana era inizialmente abbastanza vicina a quella del<br />

Presidente di assemblea della tradizione francese, pur ripetendo egli le<br />

sue funzioni da una qualificata maggioranza politica, come negli<br />

Stati Uniti; e che da queste posizioni si è andata e si va tuttora evolvendo<br />

in una direzione tendenzialmente vicina al modello britannico,<br />

che è quello di un arbitro, imparziale e moderatore, dei lavori parlamentari<br />

(19).<br />

Una definizione generale delle funzioni interne del Presidente della<br />

Camera è data dall'art. 10 del Regolamento: « Il Presidente fa osservare<br />

il Regolamento, mantiene l'ordine, assicura il buon andamento dei lavori<br />

della Camera. Concede la facoltà di parlare, dirige e modera la discussione,<br />

pone le questioni, stabilisce l'orbine delle votazioni, ne annunzia il<br />

risultato, è l'oratore della Camera; sorveglia all'adempimento dei doveri<br />

dei Segretari e dei Questori ».<br />

(19) La tendenza generale dei parlamenti moderni è nel senso di rafforzare<br />

ulteriormente l'autorità e i poteri del Presidente, sia mediante il sistema di designazione,<br />

sia con l'esecutività immediata delle sue decisioni, sia accrescendo le sue competenze<br />

in materia di interpretazione del Regolamento, di fissazione dell'ordine del<br />

giorno, di disciplina dei dibattiti. In questo senso si è pronunciata la XLIV Conferenza<br />

interparlamentare, riunita ad Helsinki nel 1955 (V. Bollettino di informazioni<br />

costituzionali e parlamentari, 1953-56, pag. 217). V. anche in argomento: SICA, Rilievi<br />

sulla presidenza delle Assemblee politiche, cit, pag. 238 e segg.


Gli organi della Camera 201<br />

È una definizione ampia (e ricca di importanti spunti, come vedremo<br />

poi), e tuttavia non esauriente, delle molteplici funzioni, diverse per natura,<br />

per contenuto e per struttura, attribuite al Presidente della Camera<br />

dal Regolamento o dalle consuetudini parlamentari.<br />

Di queste funzioni sarebbe difficile e in fondo scarsamente utile<br />

fornire un'elencazione completa e analitica, mentre se ne può tentare una<br />

classificazione in base ai fini cui esse tendono, secondo il criterio adottato<br />

dal Ferrara (20). A questa stregua, le funzioni del Presidente della Camera<br />

possono essere così raggruppate:<br />

a) funzioni di attivazione, che tendono a determinare i presupposti<br />

generici per lo svolgimento dell'attività parlamentare, o i presupposti<br />

specifici di particolari procedimenti parlamentari;<br />

b) funzioni di nomina, che tendono a determinare i presupposti<br />

soggettivi per il funzionamento di particolari organi della Camera, preponendo<br />

loro i rispettivi titolari;<br />

e) funzioni di direzione e di organizzazione dei lavori, che tendono<br />

ad assicurare il regolare svolgimento dell'attività parlamentare;<br />

d) funzioni di controllo e di esternazione, che tendono ad accertare<br />

la legalità di determinati procedimenti parlamentari conclusi con un<br />

atto formale, ad attestare la validità dell'atto formale conclusivo e a darne<br />

eventualmente comunicazione ad altri organi.<br />

A) Le funzioni di attivazione, attraverso le quali il Presidente della<br />

Camera assicura le condizioni necessarie per lo svolgimento dell'attività<br />

parlamentare, si distinguono in quelle che tendono a determinare i presupposti<br />

generici di tale attività, e quelle che tendono a determinare i presupposti<br />

specifici di particolari procedimenti parlamentari.<br />

Tra le funzioni tendenti a determinare i presupposti generici dell'attività<br />

parlamentare ha rilievo primario la convocazione dell'Assemblea,<br />

che attiva l'esercizio delle funzioni parlamentari nel loro complesso.<br />

Su tale argomento, anche per quanto riguarda i poteri del Presidente<br />

della Camera, rimandiamo al capitolo VI che tratta dell'ordinamento<br />

dell'Assemblea.<br />

Un'altra funzione del Presidente della Camera intesa a determinare<br />

i presupposti generici dell'attività parlamentare è la convocazione, simultanea<br />

ma separata, dei deputati appartenenti a ciascun Gruppo parlamentare,<br />

sulla base delle dichiarazioni rese al Segretario generale della<br />

(20) V. FERRARA, op. cit., pag. 91. D Ferrara, per altro, riferisce la sua classificazione<br />

ai «poteri» del Presidente della Camera; noi riteniamo si debba più genericamente<br />

parlare di < funzioni », dato che in molti casi l'attività del Presidente della<br />

Camera è interamente vincolata e « tipizzata ».<br />

9».


202 Gli organi della Camera<br />

Camera, e sempreché siano in numero sufficiente per costituirlo; nonché<br />

dei deputati da iscrivere al Gruppo misto (artt. 26 e 27 Reg. Camera).<br />

Trattasi di un atto interamente vincolato, salvo che per la fissazione del<br />

dies idoneus, il quale peraltro deve cadere entro quattro giorni dalla<br />

prima seduta della Camera.<br />

I Gruppi provvedono in tali riunioni alla loro costituzione (nominando<br />

i propri Presidenti e Uffici di Presidenza) e alla designazione dei<br />

rispettivi delegati nelle Commissioni permanenti, ripartendoli in numero<br />

uguale in ciascuna Commissione; i residui sono assegnati alle varie Commissioni<br />

dall'Ufficio di Presidenza della Camera (art. 27 Reg. Camera,<br />

2° e 3° comma).<br />

L'assegnazione alle Commissioni dei componenti i Gruppi di consistenza<br />

numerica inferiore al numero delle Commissioni permanenti è<br />

effettuata direttamente dal Presidente della Camera, sulla base delle proposte<br />

dei Gruppi stessi, in modo da garantire che in ciascuna Commissione<br />

sia rispecchiata la proporzione esistente in Assemblea tra i Gruppi<br />

parlamentari, e ricorrendo al sorteggio ove i Gruppi in questione designino^<br />

più deputati per la stessa Commissione (art. 28 Reg. Camera, 1° comma).<br />

Sulla base di tali designazioni e assegnazioni - e sempreché le ritenga<br />

legittime e congrue - il Presidente della Camera convoca le Commissioni<br />

permanenti per la loro costituzione, che ha luogo con la nomina<br />

di un Presidente, di due Vicepresidenti e di due Segretari (art. 27 Reg. Camera,<br />

4° comma). La convocazione deve avvenire senza indugio, sebbene<br />

il Regolamento della Camera non preveda un termine preciso. Anche<br />

questa funzione è attribuita al Presidente della Camera per consentire<br />

che si creino le condizioni preliminari per l'esercizio dell'attività parlamentare<br />

(in particolare, in questo caso, per l'esercizio della funzione legislativa).<br />

C'è ancora da osservare che, mentre per la costituzione dei Gruppi<br />

parlamentari il Presidente della Camera esaurisce le sue funzioni con la<br />

convocazione della prima riunione, per la costituzione delle Commissioni<br />

permanenti deve ancora provvedere ad ulteriori adempimenti nel corso<br />

della legislatura: deve invitare senza indugio i Gruppi a provvedere entro<br />

quattro giorni alla sostituzione di quei commissari, già da essi designati,<br />

che per qualsiasi ragione venissero a mancare (art. 29 Reg. Camera, 2°<br />

comma); deve informare i Presidenti delle Commissioni delle richieste di<br />

sostituzione di commissari avanzate dai Gruppi (artt 28 e 29 Reg. Camera);<br />

e deve procedere ad una nuova convocazione, con le stesse modalità<br />

della prima, allo scadere di ogni biennio, quando si procede al rinnovo<br />

delle Commissioni stesse (art. 29 Reg. Camera).


Gli organi della Camera 203<br />

Altre funzioni del Presidente della Camera, che pure rientrano tra<br />

le funzioni di attivazione, tendono a determinare i presupposti specifici<br />

di particolari procedimenti parlamentari. Possiamo ricordare, tra queste:<br />

1) L'annunzio della presentazione di un progetto di legge, che<br />

dà il e via » all'iter legislativo. Il Presidente della Camera, prima di procedere<br />

all'annunzio orale in Assemblea, deve verificare la sussistenza dei<br />

requisiti di validità del disegno o della proposta di legge (21), sia in relazione<br />

al soggetto che ne ha preso l'iniziativa (decreto di autorizzazione<br />

del Presidente della Repubblica, controfirmato dal Presidente del Consiglio,<br />

per i disegni di legge governativi; qualità di membro della Camera<br />

del proponente, per le proposte di legge d'iniziativa parlamentare; quorum<br />

di 50 mila elettori, per i progetti di legge d'iniziativa popolare ex art. 71<br />

Cost; regolarità formale della comunicazione, per i progetti di legge<br />

d'iniziativa del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro ex art 99<br />

Cost. - che sono presentati tramite il Governo - e dei consigli regionali<br />

ex art 121 Cost), sia in relazione al contenuto del progetto (redazione in<br />

articoli; rispetto dell'ambito della competenza per i progetti di legge<br />

del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro ex art. 99 Cost.<br />

e dei Consigli regionali ex art. 121 Cost., che debbono rispettare taluni<br />

limiti e non possono avere per oggetto la disciplina di rapporti che esulino<br />

dall'interesse specifico di questi organi, per il quale è ad essi conferito<br />

il potere d'iniziativa). Si ritiene che questa previa delibazione<br />

debba essere almeno sommariamente effettuata dal Presidente della Camera<br />

anche nel caso della presentazione diretta in aula, che è ammessa<br />

per i soli disegni di legge governativi, e a seguito della quale il Presidente<br />

non annuncia, ma < prende atto » della presentazione stessa.<br />

In tutti i casi in cui il Presidente rilevi la mancanza di requisiti di<br />

validità dell'atto, egli dovrà rifiutare l'annunzio, indicandone specificamente<br />

le ragioni. Negli altri casi l'annunzio è un atto strettamente vincolato,<br />

nel contenuto e anche nel tempo (la prima seduta successiva<br />

all'avvenuta presentazione).<br />

Analogamente il Presidente della Camera procede per i progetti di<br />

legge già approvati dal Senato, e trasmessi alla Camera perché li prenda<br />

in esame: in tal caso, però, l'accertamento dei requisiti di validità si limita<br />

all'accertamento dell'effettiva provenienza del « messaggio » dal Presidente<br />

del Senato (v. infra).<br />

2) // deferimento a Commissione di un progetto di legge, che<br />

apre il procedimento dell'esame in Commissione del progetto stesso, in<br />

(21) V. in argomento: SPAGNA MUSSO, L'Iniziativa nella formazione delle leggi<br />

italiane. Napoli 19S8.


204 Gli organi della Camera<br />

sede referente o in sede legislativa: procedimento che, ai sensi dell'art. 72<br />

Cost, è in ogni caso necessario perché il progetto di legge possa pervenire<br />

ad approvazione (22). Per le proposte di legge d'iniziativa parlamentare,<br />

il deferimento non si può effettuare prima che esse siano state svolte<br />

in Assemblea ai fini della presa in considerazione, salvo che la proposta<br />

non importi onere finanziario e il proponente abbia rinunciato allo svolgimento.<br />

L'atto di deferimento - che è annunziato oralmente in Assemblea -<br />

consente al Presidente della Camera un ampio margine di discrezionalità<br />

sia per l'assegnazione del progetto di legge in sede referente o in sede<br />

legislativa, sia per il suo deferimento all'una o all'altra Commissione.<br />

Sul primo punto, il Presidente incontra il solo limite posto dall'ultimo<br />

comma dell'art. 72 Cost. e dall'ultimo comma dell'art. 40 Reg. Camera,<br />

secondo cui non possono essere deferiti alle Commissioni in sede<br />

legislativa i progetti di legge in materia costituzionale ed elettorale, di<br />

delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali,<br />

di approvazione di bilanci e consuntivi, nonché quelli in materia<br />

tributaria (a questo elenco si ritiene vadano aggiunti, in base all'art. 77<br />

Cost. e ad una prassi pressoché costante, i disegni di conversione in legge<br />

di decreti-legge). Per il resto, l'assegnazione in sede referente o legislativa<br />

dipende dalla discrezionalità del Presidente (23), che nell'esercizio di questa<br />

sua delicatissima funzione dovrà tener conto di svariati fattori, come:<br />

la « normalità » del procedimento di esame in sede referente con susseguente<br />

dibattito in Assemblea, rispetto al quale il procedimento di esame<br />

in sede legislativa dovrà pertanto adottarsi solo ove sussistano particolari<br />

ragioni; il rilievo « politico » del progetto di legge, che ne può consigliare<br />

la discussione in Assemblea, o il suo carattere « tecnico », che può invece<br />

far preferire l'approvazione in Commissione; l'urgenza dell'approvazione;<br />

il carico di lavoro dell'Assemblea; ecc. Se il Presidente opta per il deferimento<br />

in sede referente, ne dà annuncio all'Assemblea, che non può<br />

intervenire su tale decisione. Qualora invece decida per il deferimento<br />

(22) V.: MORTATI. Istituzioni di diritto pubblico, cit., pag. 614. Contro: GA­<br />

LEOTTI, Contributo alla teoria del procedimento legislativo, Milano 1967, pag. 249.<br />

(23) La lettera dell'art. 72 Cost., comma terzo, secondo cui i Regolamenti delle<br />

Camere possono « stabilire " in quali casi " e forme l'esame e l'approvazione dei disegni<br />

di legge sono deferiti a Commissioni», renderebbe necessaria una precisazione<br />

anche positiva delle ipotesi in cui il deferimento in sede legislativa è possibile. Senonché,<br />

dati gli ostacoli che si frapponevano a stabilire una riserva d'Assemblea e una<br />

riserva di Commissione con norme regolamentari, si è preferito ripiegare sulla scelta<br />

operata caso per caso dal Presidente di ciascuna Camera (così ELU, Commissione<br />

parlamentare, in «Enciclopedia del diritto», pag. 898). V. anche: Tosi, Modificazioni<br />

tacite della Costituzione attraverso il diritto parlamentare, Milano 1959, pagg. 81-83.


Gli organi della Camera 205<br />

in sede legislativa, l'annunzio va dato entro 48 ore dalla presentazione<br />

(o va comunicato ai singoli deputati almeno 8 giorni prima della convocazione<br />

della Commissione competente, durante i periodi di aggiornamento);<br />

e l'Assemblea, all'atto dell'annunzio, può fare opposizione (24)<br />

(art. 40 Reg. Camera, 1° e 2° comma).<br />

Una volta che il progetto di legge sia stato deferito in sede referente<br />

o in sede legislativa, né il Presidente della Camera né l'Assemblea, di<br />

solito, intervengono ulteriormente a modificare Yiter così avviato (salvo<br />

le ipotesi di conflitti di competenza, che esamineremo tra poco).<br />

In caso di deferimento in sede referente, tuttavia, la Commissione<br />

investita ha facoltà di chiedere il trasferimento in sede legislativa, cui<br />

l'Assemblea può opporsi all'atto dell'annunzio.<br />

In caso di deferimento in sede legislativa, poi, il progetto di legge<br />

viene automaticamente rimesso all'Assemblea - restando perciò assegnato<br />

alla Commissione competente soltanto in sede referente - ove<br />

lo richiedano il Governo, o un decimo dei componenti la Camera,<br />

o un quarto dei componenti la Commissione (art. 72 Cost, 3° comma;<br />

art. 40 Reg. Camera, 12° comma). Se i richiedenti successivamente rinunciano<br />

a tale domanda, il provvedimento, sempre automaticamente, ritorna<br />

alla Commissione in sede legislativa.<br />

Il Presidente della Camera non ha invece parte nell'assegnazione di<br />

un progetto di legge alla Commissione competente in sede redigente.<br />

Questo procedimento, previsto dall'art. 85 Reg. Camera - e divenuto<br />

desueto nella più recente pratica parlamentare - viene avviato esclusivamente<br />

per decisione dell'Assemblea (pur non potendosi escludere che<br />

il Presidente ne faccia proposta).<br />

Per quanto concerne il deferimento del progetto di legge all'una o<br />

all'altra Commissione, occorre anzitutto precisare che la competenza per<br />

materia delle Commissioni permanenti - stabilita dall'art. 30 Reg. Camera<br />

- ha nel nostro ordinamento un rilievo meramente interno e strumentale,<br />

sicché eventuali deroghe ad essa non possono incidere sulla<br />

regolarità e sulla validità dell'/ter legislativo. Secondo la lettera del primo<br />

comma dell'art. 31 Reg. Camera, parrebbe anzi addirittura che su questo<br />

punto possa decidere la volontà del proponente: la norma dice infatti<br />

che l'assegnazione alle Commissioni avviene « secondo il criterio di competenza,<br />

che viene indicato dal proponente, o, in mancanza, stabilito dal<br />

(24) Si noti che l'Assemblea può opporsi al deferimento in sede legislativa annunziato<br />

dal Presidente, ma non può essa stessa procedervi, ove fl Presidente non sia<br />

favorevole. Ciò conferma la natura esclusiva di questa funzione presidenziale.


206 Gli organi della Camera<br />

Presidente, salvo diversa deliberazione della Camera ». È da notare tuttavia<br />

che tale disposizione - che secondo un'interpretazione letterale implicherebbe<br />

un intervento del Presidente della Camera per rassegnazione<br />

solo ove manchi un'indicazione del proponente - è praticamente caduta<br />

in desuetudine: nella prassi parlamentare, il proponente non fa indicazioni<br />

di sorta per l'assegnazione a Commissione, e questa è decisa discrezionalmente<br />

dal Presidente, salvo opposizione della Camera (che per<br />

altro di fatto si manifesta ben raramente).<br />

Nell'ipotesi di un progetto di legge che comprenda materie di competenza<br />

di varie Commissioni, il Presidente della Camera potrà adottare<br />

una delle seguenti soluzioni:<br />

a) deferirne l'esame a due o più Commissioni riunite (la procedura<br />

a Commissioni riunite, per altro, può essere adottata anche successivamente<br />

per concorde decisione delle Commissioni interessate: art. 37<br />

Reg. Camera, 3° comma);<br />

b) deferirne l'esame ad una Commissione con competenza pri«<br />

maria, con il parere delle altre che risultino competenti per singole parti<br />

o aspetti del progetto stesso. Questa procedura va obbligatoriamente seguita<br />

per il disegno di legge sul bilancio di previsione dello Stato, che, in<br />

base all'art. 32 Reg. Camera, deve essere deferito per l'esame alla Commissione<br />

bilancio, con il parere delle Commissioni competenti per materia<br />

sui singoli stati di previsione (è questo il solo caso in cui l'atto di deferimento<br />

del Presidente è interamente vincolato). La Commissione con<br />

competenza primaria ha poi sempre facoltà di chiedere il parere di altre<br />

Commissioni, indipendentemente dalla decisione del Presidente (art 37<br />

Reg. Camera, 2° comma). Il parere della Commissione bilancio deve<br />

essere obbligatoriamente richiesto per i disegni o le proposte di legge<br />

deferiti in sede legislativa ad altra Commissione, che implichino nuove<br />

entrate o spese; e così quello della Commissione affari costituzionali per<br />

i disegni o le proposte di legge in materia di pubblico impiego. Ove la<br />

Commissione investita in competenza primaria dell'esame del progetto<br />

di legge non ritenga di aderire al parere della Commissione bilancio (o<br />

della Commissione affari costituzionali, nel secondo caso), e questa insista,<br />

il Presidente della Camera deciderà se far procedere a Commissioni riunite<br />

l'esame degli articoli sui quali verte la questione, o deferire all'Assemblea<br />

l'esame dell'intero progetto di legge (art. 40 Reg. Camera, 7°,<br />

8° e 9° comma);<br />

e) deferirne l'esame ad una Commissione composta in modo da<br />

rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Il Presidente può


Gli organi della Camera 207<br />

sempre decidere la costituzione di una Commissione speciale per l'esame<br />

in sede referente o legislativa di uno o più progetti di legge (art. 31 Reg.<br />

Camera, ultimo comma; art. 40 Reg. Camera, 1° comma); ma, se ciò<br />

avviene per l'esame in sede legislativa, l'Assemblea può opporsi all'atto<br />

dell'annunzio. Comunque, una volta che la Commissione speciale sia costituita,<br />

il Presidente può deferirle l'esame di altri progetti di legge, in sede<br />

referente o legislativa, con la stessa procedura in uso per i deferimenti<br />

alle Commissioni permanenti. Anche questa procedura conferma quanto<br />

abbiamo già notato, che cioè la competenza in materia delle Commissioni<br />

permanenti, salvo casi particolari, non è esclusiva né inderogabile.<br />

Questioni e conflitti di competenza possono tuttavia insorgere o<br />

essere sollevati dalle Commissioni interessate in relazione all'atto di deferimento.<br />

In tali casi, mentre il Regolamento del Senato devolve senz'altro<br />

la soluzione del conflitto al Presidente, che decide, sentiti i Presidenti<br />

delle Commissioni interessate (art. 28 Reg. Senato), il Regolamento e la<br />

consuetudine della Camera prevedono un procedimento più complesso.<br />

Quando una Commissione ritenga che un progetto di legge deferito<br />

al suo esame sia di competenza di altra Commissione, può chiedere all'Assemblea<br />

che sia rinviato all'esame della Commissione competente<br />

(art 37 Reg. Camera, 1° comma). La decisione, in tal caso, spetta evidentemente<br />

all'Assemblea. Quando invece ima Commissione chiamata a dare<br />

il parere affermi la propria competenza primaria ad esaminare un progetto<br />

di legge già deferito ad altra Commissione in sede legislativa, il<br />

Presidente potrà far procedere a Commissioni riunite l'esame degli articoli<br />

su cui verta la questione o quello dell'intero provvedimento; oppure<br />

rimettere all'Assemblea l'esame del provvedimento stesso (art 40 Reg. Camera,<br />

10° comma).<br />

A parte queste ipotesi, su un piano più generale la Commissione<br />

che sollevi un conflitto di competenza (positivo o negativo che sia) può<br />

chiedere al Presidente della Camera di modificare l'atto di deferimento.<br />

Se il Presidente della Camera non lo modifichi, o se, una volta modificatolo,<br />

si manifesti l'opposizione di un'altra Commissione, il Presidente<br />

della Camera deve deferire la questione alla Giunta per il Regolamento,<br />

e successivamente annunciarne all'Assemblea le decisioni. Ove anche<br />

una sola Commissione non si acqueti alle decisioni della Giunta, il Presidente<br />

della Camera deve portare la questione all'Assemblea, che decide<br />

definitivamente sull'assegnazione votando per alzata e seduta, uditi i Presidenti<br />

delle Commissioni, non più di due membri di ciascuna Commissione,<br />

uno a favore e uno contro, e non più di quattro deputati, due a<br />

favore e due contro (art. 37 Reg. Camera, 4° e 5° comma).


208 Gli organi della Camera<br />

3) L'assegnazione alla Commissione di un termine per riferire e<br />

la iscrizione di un progetto di legge all'ordine del giorno dell'Assemblea<br />

senza relazione. Il Presidente della Camera può assegnare alla Commissione<br />

un termine - indipendentemente da quello ordinario di due mesi,<br />

non comprese le vacanze, o di un mese, in caso di procedura d'urgenza,<br />

di cui all'art. 35 Reg. Camera (25) - per la presentazione della relazione<br />

su un progetto di legge ad essa assegnato in sede referente. Questo termine<br />

può essere prorogato dalla Camera su richiesta di un decimo dei<br />

componenti la Commissione. Scaduto il termine, il Presidente della<br />

Camera iscrive il disegno o la proposta di legge all'ordine del giorno dell'Assemblea,<br />

che lo discute sul testo del proponente, qualora non proroghi<br />

il termine ordinario o quello precedentemente fissato, a seguito di<br />

conforme richiesta della Commissione (art. 65 Reg. Camera). In tal modo<br />

il Presidente della Camera può determinare i presupposti specifici perché<br />

un progetto di legge venga discusso in Assemblea, rimuovendo l'ostacolo<br />

rappresentato dall'inerzia della Commissione cui era stato assegnato<br />

in sede referente. È da rilevare, per altro, che sono stati espressa<br />

dubbi sulla costituzionalità della disposizione, che, al limite, può consentire<br />

alla Camera l'approvazione di un progetto di legge senza che questo<br />

sia stato previamente esaminato in Commissione, in contrasto con quanto<br />

previsto dall'art. 72 Cost.<br />

4) La trasmissione di una petizione alla Commissione competente.<br />

Il procedimento per l'esame delle petizioni è attivato dal Presidente<br />

della Camera, che, dopo la loro lettura in sunto da parte di un<br />

Segretario, le trasmette alla Commissione competente (art. 31, penultimo<br />

comma, e art. 49 Reg. Camera). I criteri sono gli stessi che abbiamo già<br />

visto per i progetti di legge; salvo che qui è comunque esclusa ogni indicazione<br />

da parte del proponente in relazione alla competenza, mentre il<br />

Presidente è vincolato a trasmettere le petizioni che abbiano attinenza<br />

con progetti di legge alle Commissioni che li hanno in esame (art. 109<br />

Reg. Camera, 1° comma).<br />

5) La trasmissione alle Commissioni dei decreti registrati con<br />

riserva e l'iscrizione all'ordine del giorno dell'Assemblea delle relative<br />

relazioni. Il procedimento per quella particolare forma di controllo parlamentare<br />

sull'attività del Governo che è l'esame dei decreti registrati<br />

con riserva dalla Corte dei Conti è attivato dal Presidente della Camera<br />

con la trasmissione di detti decreti, dopo la comunicazione della Corte<br />

dei Conti, alla Commissione competente per materia (art. 31 Reg. Camera,<br />

(25) Termine, per altro, che è pressoché generalmente inosservato, e si pud<br />

considerare caduto in desuetudine.


Gli organi della Camera 209<br />

penultimo comma). Trattasi di un atto vincolato, salvo che per l'individuazione<br />

della Commissione competente; per altro, a quest'ultimo proposito<br />

si ritiene che quando il decreto sia imputabile formalmente o sostanzialmente<br />

ad un solo Ministero, la Commissione competente sia individuata<br />

automaticamente, dato che la distribuzione delle materie alle Commissioni<br />

corrisponde, nelle grandi linee, alla ripartizione dell'Amministrazione<br />

dello Stato in Ministeri, i cui stati di previsione sono appunto<br />

da esse esaminati (26).<br />

Per le altre ipotesi, nella determinazione della Commissione competente<br />

il Presidente della Camera seguirà gli stessi criteri che abbiamo<br />

illustrato per il deferimento dei progetti di legge.<br />

Le Commissioni devono riferire su ciascun decreto registrato con<br />

riserva nel termine di un mese dalla trasmissione (27). Il Presidente della<br />

Camera deve mettere subito tale relazione all'ordine del giorno; e la discussione<br />

di essa seguirà, in luogo delle interrogazioni e innanzi a ogni<br />

altra materia, nel primo martedì successivo (art. 43 Reg. Camera).<br />

6) La trasmissione alla Giunta competente delle domande di autorizzatone<br />

a procedere e Vannunzio della loro iscrizione alt'ordine del<br />

giorno dell'Assemblea. H procedimento per la concessione o il diniego<br />

delle autorizzazioni a procedere in giudizio viene attivato dal Presidente<br />

della Camera con la trasmissione alla Giunta per le autorizzazioni a<br />

procedere delle domande dell'autorità giudiziaria volte a tal fine. La<br />

Giunta deve riferire alla Camera nel termine di 15 giorni dalla trasmissione<br />

(28); trascorso detto termine, il Presidente della Camera deve annunciare<br />

l'iscrizione della domanda di autorizzazione a procedere all'ordine<br />

del giorno dell'Assemblea (anche se non sia stata presentata la relazione<br />

da parte della Giunta), con precedenza su qualsiasi altro argomento,<br />

dopo le interrogazioni (art. 42 Reg. Camera). Tutti questi atti del<br />

Presidente della Camera in relazione alle autorizzazioni a procedere debbono<br />

considerarsi atti vincolati.<br />

B) Le funzioni di nomina del Presidente della Camera tendono a determinare<br />

i presupposti soggettivi per il funzionamento di taluni organi<br />

della Camera, preponendo loro i rispettivi titolari. In particolare, il Presidente<br />

della Camera esercita funzioni di nomina per i seguenti organi:<br />

a) Giunta per il Regolamento. Il Presidente della Camera, nella<br />

seduta successiva a quella della sua nomina, deve comunicare i nomi<br />

(26) Così FERRARA, op. cit., pag. 154.<br />

(27) Questi termini non sono, per altro, solitamente rispettati nella prassi parlamentare.<br />

(28) V. nota precedente.


210 Gli organi della Camera<br />

di dieci deputati da lui scelti per costituire la Giunta permanente per il<br />

Regolamento, che è da lui stesso presieduta, e che può ulteriormente integrare<br />

- sentita la Giunta stessa - con non più di altri due membri<br />

(art. 8 Reg. Camera, lettera a).<br />

b) Giunta delle elezioni. Sempre nella seduta successiva a quella<br />

della sua nomina, il Presidente della Camera deve comunicare i nomi di<br />

trenta deputati da lui scelti per costituire la Giunta delle elezioni (art. 8<br />

Reg. Camera, lettera b). Questi deputati non possono rifiutare la nomina,<br />

né dare le dimissioni; ma, se la Giunta non rispondesse per un<br />

mese a ripetute convocazioni, o non fosse possibile raccogliere nello<br />

stesso tempo il numero legale, il Presidente della Camera provvedere a<br />

rinnovarla (art. 16 Reg. Camera).<br />

e) Giunta per le autorizzazioni a procedere. Sempre nella seduta<br />

successiva a quella della sua nomina, il Presidente della Camera deve<br />

comunicare i nomi di ventuno deputati da lui scelti per costituire la Giunta<br />

per l'esame delle domande di autorizzazione a procedere in giudizio<br />

(art. 8 Reg. Camera, lettera e).<br />

d) Commissione d'indagine sulle accuse rivolte a un deputato.<br />

Quando nel corso di una discussione un deputato sia accusato di fatti<br />

che ledano la sua onorabilità, il deputato offeso può chiedere al Presidente<br />

della Camera di nominare una Commissione per giudicare la fondatezza<br />

dell'accusa (art. 74 Reg. Camera).<br />

e) Commissione d'inchiesta. La Camera può delegare al suo Presidente<br />

la nomina dei membri delle Commissioni d'inchiesta. La Commissione<br />

è nominata in modo che la sua composizione rispecchi la proporzione<br />

dei Gruppi parlamentari (art. 136 Reg. Camera).<br />

f) Comitato di vigilanza sulla biblioteca. Il Presidente della Camera<br />

nomina due deputati nel Comitato di vigilanza sulla biblioteca della<br />

Camera (di cui fanno parte altresì il Presidente della Commissione istruzione,<br />

e un Vicepresidente, due Questori e due Segretari di Presidenza<br />

designati dall'Ufficio di Presidenza) (art. 142 Reg. Camera).<br />

g) Commissari vari. Quando l'Assemblea debba procedere alla<br />

nomina di commissari previsti dalla Costituzione o da leggi speciali, in<br />

numero di uno o due, può deferirne la nomina al suo Presidente (art. 9<br />

Reg. Camera, ultimo comma).<br />

h) Deputazioni. Le deputazioni sono composte dal Presidente in<br />

modo che siano rappresentati tutti i Gruppi parlamentari; di esse fa sempre<br />

parte il Presidente stesso, o uno dei Vicepresidenti (art. 138 Reg.<br />

Camera).


Gli organi della Camera 211<br />

L'atto di nomina è in tutti questi casi ampiamente discrezionale,<br />

non nel tempo della sua emanazione, che è in genere esplicitamente o<br />

implicitamente vincolato, ma nel suo contenuto. La ratio delle disposizioni<br />

regolamentari o dell'atto di delega dell'Assemblea che attribuiscono<br />

al Presidente della Camera una tale funzione è infatti quello di sottrarre<br />

la composizione di taluni organi alle determinazioni dei Gruppi o a decisioni<br />

meramente contingenti; anche se è evidente che il Presidente della<br />

Camera, nell'esercizio del suo potere discrezionale, dovrà tener conto delle<br />

esigenze connesse alle funzioni attribuite a detti organi, nonché della necessità<br />

- anche quando questo vincolo non sia esplicitamente stabilito -<br />

di rispettare una certa proporzionalità con la ripartizione dei Gruppi politici<br />

nell'Assemblea.<br />

In altri casi la composizione di determinati organi della Camera è<br />

pure di fatto solitamente affidata al Presidente, nonostante che una funzione<br />

di nomina non gli sia formalmente attribuita da disposizioni regolamentari.<br />

È questo il caso delle Commissioni speciali ex art. 31 Reg.<br />

Camera, ultimo comma, e di altre Commissioni previste dalla Costituzione<br />

o da leggi speciali, che debbono essere composte in modo da rispecchiare<br />

la proporzione dei Gruppi parlamentari. Secondo una prassi<br />

interpretativa affermatasi nel generale consenso, in questi casi non si<br />

ritiene applicabile il limite di cui al ricordato art. 9 Reg. Camera, ultimo<br />

comma (< Quando si debbano nominare soltanto uno o due commissari,<br />

può la Camera deferirne la nomina al suo Presidente»): limite<br />

che sembrerebbe escludere la possibilità di deferire al Presidente la nomina<br />

di commissari in numero maggiore di due. Questo limite, infatti,<br />

va riferito al contesto dell'art. 9 Reg. Camera, che prevede una speciale<br />

procedura per assicurare la presenza delle minoranze nelle Commissioni<br />

attraverso il voto limitato (29); mentre questa presenza è già naturalmente<br />

garantita nelle Commissioni per le quali è prescritta una composizione<br />

proporzionale ai Gruppi parlamentari. In quest'ultimo caso,<br />

dunque - salvo opposizione dell'Assemblea - la nomina della Commis-<br />

CW) È da notare, comunque, che l'art. 9 Reg. Camera non è stato applicato<br />

neppure per quanto concerne l'elezione dei rappresentanti italiani nelle Assemblee<br />

soprannazionali europee ; questi rappresentanti non sono stati considerati e commissari»<br />

in senso tecnico, e pertanto sono stati eletti a maggioranza assoluta, cioè con<br />

voto non limitato e quindi con esclusione di alcuni Gruppi della minoranza (deliberazione<br />

della Camera del 18 luglio 19S2). Trattasi di un comportamento della Camera<br />

divenuto consuetudinario e prevalente sulla norma regolamentare. (V. COSENTINO, Note<br />

sui princìpi della procedura parlamentare, in «Studi sulla Costituzione», Milano 1958,<br />

voi. II, pagg. 408-409). È da notare, comunque, che la recisa opposizione di alcuni<br />

Grappi a continuare ad applicare questa procedura ha praticamente impedito, nella<br />

IV legislatura, il rinnovo della rappresentanza italiana nell'Assemblea consultiva del<br />

Consiglio d'Europa e nel Parlamento europeo.


212 Gli organi della Camera<br />

sione è di solito deferita al Presidente della Camera, che vi provvede<br />

sulla base di una « rosa » di nomi indicati dai Gruppi.<br />

Una procedura sostanzialmente analoga, anche se formalmente diversa,<br />

è esplicitamente canonizzata per quanto concerne la Commissione<br />

inquirente per i procedimenti d'accusa, per la quale i dieci membri deputati<br />

sono eletti a scrutinio segreto dall'Assemblea all'inizio di ogni legislatura,<br />

insieme ad altrettanti supplenti, sulla base di una lista di candidati<br />

formata dal Presidente della Camera (in conformità della ripartizione<br />

tra i Gruppi concordata con il Presidente del Senato e con i Presidenti<br />

dei Gruppi parlamentari) e su designazione dei Gruppi parlamentari<br />

stessi (art. 2 Reg. per i procedimenti d'accusa). È evidente che<br />

qui il voto della Camera - che può soltanto approvare o respingere<br />

la lista proposta dal Presidente, ma non modificarla - ha soltanto il valore<br />

di un avallo formale, mentre il momento decisionale effettivo ricade<br />

nella competenza del Presidente della Camera.<br />

Alle funzioni di nomina che spettano al Presidente della Camera<br />

vanno aggiunte quelle che si riconnettono all'ordinamento interno dei servizi<br />

e del personale, in base al quale spetta al Presidente di proporre all'Ufficio<br />

di Presidenza la nomina del Segretario generale (art. 4 Reg. dei<br />

Servizi e del Personale, 1° comma), da cui dipendono i servizi e il personale<br />

della Camera (art. 147 Reg. Camera, ultimo comma); e di nominare,<br />

su proposta di questi, e su deliberazione dell'Ufficio di Presidenza,<br />

il Vicesegretario generale (art. 5 Reg. dei Servizi e del Personale,<br />

1° comma) e l'Estensore del processo verbale (che è la denominazione<br />

tradizionale, recentemente ripristinata, del funzionario incaricato di redigere<br />

il processo verbale delle sedute dell'Assemblea: art. 139 Reg. Camera,<br />

art. 6 Reg. dei Servizi e del Personale).<br />

C) Le funzioni per la direzione e l'organizzazione dei lavori parlamentari<br />

sono attribuite al Presidente per assicurare il libero e regolare<br />

svolgimento dei lavori della Camera. Alcune di tali funzioni<br />

derivano dalla generica potestà di sovrintendenza, conferitagli dal Regolamento<br />

e dalle consuetudini parlamentari, su tutto ciò che inerisce<br />

all'ordinamento della Camera e al funzionamento dei suoi organi (30);<br />

altre si riferiscono invece alle sue specifiche attribuzioni di Presidente<br />

dell'Assemblea plenaria, e come tali vengono automaticamente delegate al<br />

Vicepresidente che assume in sua vece la presidenza dell'Assemblea stessa.<br />

(30) Così si esprime il Presidente della Camera Leone in una circolare del<br />

28 gennaio 1958, riportata nella pubblicazione: Circolari e disposizioni interpretative<br />

del Regolamento emanate dal Presidente della Camera (1948-1964), edita nel 1965 dal<br />

Segretariato generale della Camera (pag. 65).


Gli organi della Camera 213<br />

Sulla base della ricordata, generalissima potestà di sovrintendenza<br />

si ritiene competano al Presidente della Camera, oltre alle funzioni specificamente<br />

sancite dal Regolamento - come quella di ripartire le attribuzioni<br />

di vigilanza sui vari servizi della Camera tra i Vicepresidenti, i<br />

Segretari e i Questori, e di sorvegliare l'adempimento dei loro doveri<br />

(art. 10 Reg. Camera; art. 1 Reg. dei Servizi e del Personale) - anche<br />

funzioni di sorveglianza e di intervento per assicurare il corretto<br />

svolgimento dei lavori delle Commissioni permanenti e speciali, delle<br />

Giunte e degli altri organi parlamentari, particolarmente per quanto attiene<br />

all'osservanza delle norme procedurali, regolamentari e consuetudinarie.<br />

In alcuni casi le funzioni del Presidente a questi fini sono anche regolamentarmente<br />

canonizzate : così dicasi per l'attribuzione ratione officii<br />

della presidenza di alcuni organi della Camera, come l'Ufficio di Presidenza,<br />

la « Conferenza dei Presidenti » di cui all'art. 13-bis Reg. Camera,<br />

la Giunta per il Regolamento (art. 8 Reg. Camera), le deputazioni<br />

della Camera (art. 138 Reg. Camera); per le competenze sugli uffici<br />

della Camera, che, in base all'art. 147 Reg. Camera, « dipendono<br />

dal Segretario generale, che ne risponde al Presidente »; per la disposizione<br />

dell'art. 137 Reg. Camera, secondo cui compete al Presidente<br />

della Camera di dare facoltà alle Commissioni d'inchiesta di trasferirsi<br />

o di inviare propri componenti fuori della sede del Parlamento;<br />

per gli interventi di cui abbiamo parlato sopra, in relazione alle funzioni<br />

di deferimento o di trasmissione alle Commissioni di determinati<br />

atti e procedimenti; ecc.<br />

In altri casi, queste funzioni del Presidente della Camera, non fissate<br />

nel Regolamento, si esplicano in forme più libere, sia attraverso<br />

interventi preventivi - dettando istruzioni, dando disposizioni e fornendo<br />

interpretazioni delle disposizioni regolamentari, per assicurare un corretto,<br />

armonico e coordinato svolgimento dell'attività parlamentare in<br />

tutte le sedi in cui questa si esplichi (31) - sia attraverso interventi suc-<br />

(31) La lettura delle circolari raccolte nella pubblicazione di cui alla nota precedente<br />

dimostra che i Presidenti della Camera delle legislature post-fasciste si sono<br />

avvalsi di tale facoltà con notevole ampiezza, specie nei confronti dei Presidenti delle<br />

Commissioni, dettando loro precise disposizioni per evitare concomitanze di sedute tra<br />

l'Assemblea e le Commissioni in sede legislativa, per stimolarne l'attività, per evitare<br />

difformità procedurali, ecc. A quest'ultimo proposito merita rilievo, proprio in relazione<br />

alle facoltà del Presidente della Camera, la circolare Leone del 30 luglio 19S8 (riportava<br />

a pag. 71 della citata pubblicazione), secondo cui in sede legislativa « nei casi non<br />

previsti dal Regolamento le Commissioni non possono adottare usi che non siano<br />

strettamente conformi a quelli già in vigore nell'Assemblea; e, ove già non ne esistano,<br />

è necessario evitare di introdurre precedenti senza il preventivo consenso del<br />

Presidente della Camera ed eventualmente della Giunta per il Regolamento».


214 Gli organi della Camera<br />

cessivi di tipo conciliativo o anche di tipo autoritativo, che nei casi più<br />

gravi possono giungere a modificare la convocazione e l'ordine del giorno<br />

di organi collegiali minori, o ad annullarne le deliberazioni od intere<br />

sedute (32). Naturalmente, queste facoltà vanno esercitate con particolare<br />

moderazione e prudenza, per non vulnerare il principio regolamentare<br />

per cui la convocazione, l'ordine del giorno e l'andamento dei lavori degli<br />

organi collegiali minori, e delle Commissioni in particolare, appartengono<br />

alla competenza esclusiva dei loro Presidenti, sicché l'intervento<br />

del Presidente della Camera - seppure legittimo sulla base di una potestà<br />

più generale - è concretamente giustificabile solo in presenza di circostanze<br />

di particolare gravità.<br />

Dagli stessi princìpi derivano le funzioni del Presidente per organizzare<br />

i lavori dell'Assemblea: funzioni che si sono andate continuamente<br />

sviluppando nelle legislature post-fasciste, e che sembrano destinate<br />

ad ampliarsi ancora.<br />

Queste funzioni si svolgono in modo prevalentemente informale, attraverso<br />

i contatti che il Presidente della Camera intrattiene con i Presidenti<br />

delle Commissioni e dei Gruppi parlamentari, con il Governo e<br />

con i singoli deputati; ma assumono anche un rilievo formale almeno<br />

nei seguenti tre casi:<br />

1) La proposta all'Assemblea dell'ordine del giorno della seduta<br />

successiva. Per la formazione dell'* ordine del giorno » dell'Assemblea<br />

- cioè dell'elenco degli argomenti da discutere, nell'ordine in cui debbono<br />

essere successivamente affrontati - il Regolamento non detta regole<br />

precise. Soccorre peraltro una prassi ormai secolare, in forza della<br />

quale il difetto di normativa è colmato dall'applicazione di due principi :<br />

quello che riserva al Presidente della Camera la formazione dell'ordine<br />

del giorno; e quello - fondamentale per ogni libero Parlamento - per<br />

cui la Camera è sempre padrona del proprio ordine del giorno, e può<br />

quindi decidere in modo difforme dalla proposta del Presidente.<br />

In esecuzione a questi princìpi, ove non sussistano le intese di cui<br />

all'articolo 13-bis Reg. Camera (v. infra), la consuetudine - pur<br />

formatasi tra inevitabili contrasti - è nel senso che al termine di<br />

ogni seduta deU'Assemblea il Presidente (33) propone alla Camera<br />

(32) I Presidenti della Camera delle legislature post-fasciste non si sono stancati<br />

di rivendicare tali facoltà in tutta la loro ampiezza - come risulta dalle circolari riportate<br />

nella pubblicazione di cui alle precedenti note - pur essendosi in genere astenuti<br />

dall'esercitarle in concreto.<br />

(33) La formulazione dell'ordine del giorno è sempre di competenza del Presidente<br />

della Camera, anche se ad annunciarlo concretamente in aula sia il Vicepresidente<br />

che presiede in quel momento l'Assemblea.


Gli organi della Camera 215<br />

l'ordine del giorno della seduta successiva (e solo di essa). Se l'Assemblea<br />

non fa obiezioni, l'ordine del giorno s'intende approvato secondo la<br />

proposta presidenziale; in caso contrario, l'Assemblea è chiamata a decidere<br />

con la procedura dell'art. 79 Reg. Camera (possono parlare cioè<br />

un oratore contro ed uno in favore per non più di quindici minuti ciascuno,<br />

e l'Assemblea vota poi per alzata e seduta). Se si è al termine di<br />

un periodo di lavori parlamentari, e la successiva seduta verrà convocata<br />

a domicilio, il Presidente non procede a questo annunzio, ma fissa<br />

direttamente l'ordine del giorno all'atto della convocazione a domicilio,<br />

eventualmente conformandosi a precedenti indicazioni della Camera sull'ordine<br />

dei lavori: libera sempre l'Assemblea, quando poi si riunirà,<br />

di decidere diversamente, o modificando l'ordine degli argomenti con<br />

la già accennata procedura dell'art. 79 Reg. Camera, oppure - qualora<br />

intenda discutere su materie non all'ordine del giorno - con la procedura<br />

dell'art. 69 Reg. Camera (votazione per scrutinio segreto, con maggioranza<br />

dei tre quarti).<br />

Queste funzioni relative alla formazione dell'ordine del giorno costituiscono<br />

una prerogativa tradizionale del Presidente, e la più antica<br />

forma con la quale egli partecipa all'organizzazione dei lavori dell'Assemblea.<br />

Trattasi di funzioni di grande rilievo, giacché attengono alla<br />

funzionalità stessa dell'Assemblea e impongono una scelta oculata, sulla<br />

base della situazione politico-parlamentare, delle materie da discutere.<br />

La proposta del Presidente è parzialmente vincolata solo in pochi casi:<br />

precedenti deliberazioni sulla data di una determinata discussione (sulla<br />

quale l'Assemblea, comunque, può sempre ritornare, dato che il Regolamento<br />

prevede una fissazione di data con carattere vincolante solo per<br />

la discussione di una mozione: art. 125 Reg. Camera); iscrizione di un<br />

disegno di legge qualora sia scaduto il termine per la presentazione<br />

della relazione da parte della Commissione (art. 65 Reg. Camera, ultimo<br />

comma); iscrizione prioritaria delle relazioni delle Commissioni sui decreti<br />

registrati con riserva dalla Corte dei Conti e delle autorizzazioni a<br />

procedere in giudizio (v. sopra); iscrizione delle interrogazioni, nell'ordine<br />

della loro presentazione, all'ordine del giorno della seconda seduta<br />

dopo la presentazione e delle seguenti fino ad esaurimento (art. 112 Reg.<br />

Camera, ultimo comma); iscrizione delle interpellanze all'ordine del<br />

giorno della seduta successiva all'annunzio e delle seguenti fino ad esaurimento<br />

(art. 119 Reg. Camera, ultimo comma). C'è da notare, tuttavia,<br />

che gran parte di questi vincoli sono concretamente caduti in desuetudine.


216 Gli organi della Camera<br />

L'ordine del giorno della seduta successiva è annunciato oralmente<br />

dal Presidente, ed è poi affisso in aula in forma scritta (art. 46 Reg. Camera).<br />

Nel caso di convocazione a domicilio, è incorporato in questo<br />

atto. La sua palese p tacita approvazione, naturalmente, non comporta<br />

per l'Assemblea l'obbligo di esaurire nella seduta successiva tutti gli argomenti<br />

che vi sono iscritti: che anzi, in genere, l'Assemblea si limita<br />

ad occuparsi del primo o dei primi punti dell'ordine del giorno, il quale<br />

di solito comprende una serie di argomenti che possono essere esauriti<br />

soltanto in un lungo periodo di attività parlamentare.<br />

2) La convocatone della « Conferenza dei Presidenti » per Vorganizzazione<br />

dei lavori parlamentari. Alla funzione di proporre l'ordine<br />

del giorno della seduta successiva si ricollega la facoltà attribuita dal<br />

Regolamento al Presidente della Camera (sulla base di una prassi consolidatasi<br />

nelle legislature post-fasciste) di prendere iniziative per una<br />

più ampia organizzazione dei lavori parlamentari, convocando in una<br />

apposita conferenza l'Ufficio di Presidenza, i Presidenti delle Commissioni<br />

permanenti e i Presidenti dei Gruppi parlamentari (34), alla presenza<br />

di un membro del Governo (art. 13-bis Reg. Camera, comma 1°).<br />

Ove si raggiunga un accordo, il Presidente lo comunicherà nella seduta<br />

successiva all'Assemblea, che tuttavia resta libera di disporre diversamente<br />

dei suoi lavori (ipotesi, questa, piuttosto improbabile, data la organizzazione<br />

per Gruppi della Camera attuale).<br />

Con la convocazione della a Conferenza dei Presidenti », il Presidente<br />

della Camera viene pertanto a porre in opera gli strumenti necessari<br />

per fissare dettagliatamente l'andamento dei lavori parlamentari non<br />

solo per una seduta, ma per tutto un ampio periodo di tempo.<br />

3) La convocazione della « Conferenza dei Presidenti » per Vorganizzazione<br />

di un determinato dibattito. Un'altra forma di organizzazione<br />

preventiva dei lavori parlamentari è quella che si riferisce non ad<br />

un determinato lasso di tempo, ma ad un determinato dibattito. Dopo<br />

il terzo giorno dall'iscrizione di un argomento all'ordine del giorno, il<br />

Presidente della Camera può proporre che la discussione di esso sia<br />

« organizzata » : ove la Camera accetti tale proposta - che è votata per<br />

alzata e seduta, sentiti un oratore contro e uno in favore per non più<br />

di 15 minuti ciascuno - il Presidente convoca la Conferenza di cui al<br />

precedente punto 2), per stabilire, sentiti gli iscritti a parlare non rap-<br />

(34) L'importanza che hanno ovviamente in queste riunioni i Presidenti dei<br />

Gruppi fa spesso impropriamente parlare di «Conferenza dei capigruppo», specie nel<br />

linguaggio giornalistico. Ma, data la composizione dell'organo, deve considerarsi più<br />

esatto il nome di «Conferenza dei Presidenti».


Gli organi della Camera 217<br />

presentati da un Gruppo politico, l'ordine degli interventi, il numero<br />

prevedibile delle sedute necessarie e la loro data. In tal caso nessuna<br />

nuova iscrizione potrà essere ammessa durante la discussione, restando<br />

salve le dichiarazioni di voto (art. 13-bis Reg. Camera).<br />

Altre funzioni di organizzazione e di direzione dei lavori parlamentari<br />

sono esercitate dal Presidente della Camera come Presidente dell'Assemblea<br />

plenaria, o dal Vicepresidente che presiede l'Assemblea<br />

stessa in sua vece (pertanto, più che di funzioni proprie del Presidente<br />

della Camera, deve correttamente parlarsi in questo caso di funzioni del<br />

Presidente di Assemblea).<br />

Il Presidente di Assemblea:<br />

- dichiara aperta la seduta della Camera, nel giorno e nell'ora<br />

previsti dall'atto di convocazione;<br />

- sottoscrive il processo verbale, insieme con uno dei Segretari<br />

dopo che sia stato letto senza osservazioni, o l'Assemblea lo abbia approvato<br />

per alzata e seduta (artt 47 e 140 Reg. Camera);<br />

- annuncia le richieste di congedo avanzate dai deputati per la<br />

seduta in corso, che s'intendono accolte, se non sorga opposizione (in<br />

caso di opposizione, la Camera decide per alzata e seduta, senza discussione:<br />

art. 52 Reg. Camera);<br />

- comunica le lettere, i messaggi, i documenti pervenuti alla Presidenza<br />

di cui debba essere data notizia all'Assemblea; comunica altresì<br />

le deliberazioni del Presidente della Camera o di altri organi parlamentari<br />

di cui l'Assemblea debba essere informata;<br />

- dà notizia all'Assemblea dei progetti di legge approvati dalle<br />

Commissioni in sede legislativa (art. 40 Reg. Camera, 11° comma);<br />

- enuncia l'argomento da discutere, sulla base dell'ordine del<br />

giorno contenuto nell'atto di convocazione;<br />

- concede o nega la facoltà di parlare in base al Regolamento<br />

(artt 10 e 54 Reg. Camera); fa rispettare la durata degli interventi prevista<br />

dal Regolamento o concordata; toglie la parola, interdicendola<br />

anche per il resto della seduta in quella discussione, quando un oratore»<br />

richiamato due volte all'argomento, seguiti a discostarsene (questa<br />

decisione del Presidente è discrezionale, ma l'oratore può ricorrere all'Assemblea,<br />

che decide senza discussione, per alzata e seduta: art. 76<br />

Reg. Camera);<br />

- decide sull'esistenza del « fatto personale » di chi abbia chiesto<br />

la parola a questo titolo (se il Presidente non riconosce l'esistenza del<br />

fatto personale, e il deputato insiste, la Camera decide senza discussione,<br />

per alzata e seduta: art. 73 Reg. Camera);


218 Gli organi della Camera<br />

- dirige e modera la discussione (art. 10 Reg. Camera);<br />

- « pone le questioni », precisando i termini del dibattito, l'estensione<br />

e la portata delle manifestazioni di volontà che la Camera è chiamata<br />

ad esprìmere, affinché discussione e deliberazioni abbiano un<br />

oggetto concreto e ben individuato (art. 10 Reg. Camera);<br />

- esercita con assoluta discrezionalità i poteri di polizia nella<br />

Camera: e allo scopo dà alla guardia di servizio gli ordini necessari<br />

(art. 58 Reg. Camera, 1° comma), impartisce disposizioni per il mantenimento<br />

dell'ordine ed eventualmente per lo sgombero delle tribune<br />

del pubblico (artt. 61 e 62 Reg. Camera), sospende o scioglie la seduta<br />

in caso di tumulto (art. 57 Reg. Camera), ordina l'ingresso della forza<br />

pubblica nell'aula, sempreché la seduta sia sospesa o tolta (art. 58<br />

Reg. Camera, 2° comma), dispone l'arresto e la traduzione davanti all'autorità<br />

competente dell'estraneo che si sia reso colpevole di oltraggio<br />

alla Camera o a qualunque suo membro (art. 64 Reg. Camera); per<br />

l'esercizio di tutte queste funzioni il Presidente si avvale della collaborazione<br />

dei deputati Questori (artt. 13 e 56 Reg. Camera);<br />

- esercita funzioni disciplinari, e conseguentemente richiama all'ordine<br />

il deputato che pronunci parole sconvenienti o turbi con il suo<br />

contegno la libertà delle discussioni o l'ordine delle sedute (il deputato<br />

richiamato all'ordine, ove intenda dare spiegazioni del suo atto o delle<br />

sue parole, avrà la parola alla fine della seduta, o anche subito, a giudizio<br />

del Presidente: art. 55 Reg. Camera); propone all'Assemblea<br />

- che decide senza discussione, per alzata e seduta, udite le spiegazioni<br />

dell'interessato - l'esclusione dall'aula per il resto della seduta del deputato<br />

che ricorra ad ingiurie contro uno o più colleghi o membri del<br />

Governo (dopo un secondo richiamo all'ordine avvenuto nello stesso<br />

giorno, o anche indipendentemente, nei casi più gravi); propone all'Assemblea<br />

- che decide come nel caso precedente - la censura con l'interdizione<br />

di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo da 2 a<br />

15 giorni di seduta, per il deputato che faccia appello alla violenza,<br />

o provochi tumulti, o trascorra a minacce o vie di fatto verso colleghi<br />

o membri del Governo, od offenda il prestigio delle istituzioni o del<br />

Capo dello Stato; vieta al deputato censurato, nei casi più gravi, l'accesso<br />

al palazzo della Camera per un periodo da 2 a 8 giorni; sospende<br />

la seduta e impartisce ai deputati Questori le istruzioni necessarie per<br />

far eseguire i suoi ordini, ove il deputato censurato si rifiuti di ottemperare<br />

al suo invito di lasciare l'aula; raddoppia la durata dell'esclusione<br />

ove il deputato censurato tenti di rientrare nell'aula prima che<br />

sia spirato il termine prescritto; propone all'Assemblea - sentito l'Uf-


Gli organi della Camera 219<br />

fido di Presidenza - la censura con interdizione dai lavori parlamentari<br />

e il divieto di accesso al palazzo per fatti di eccezionale gravità<br />

che si svolgano nel recinto del palazzo della Camera, ma fuori dell'aula<br />

(art. 56 Reg. Camera);<br />

- accerta la proponibilità regolamentare, e, sulla base di tale<br />

accertamento, dichiara improponibili o viceversa annunzia e sottopone<br />

all'Assemblea le questioni incidentali formali sollevate nel corso di una<br />

discussione (questione pregiudiziale e questione sospensiva ex art. 89<br />

Reg. Camera; richiami per l'ordine del giorno, o al Regolamento, o<br />

per la priorità delle votazioni ex art. 79 Reg. Camera);<br />

- decide inappellabilmente sulla richiesta di rinvio a breve termine<br />

della discussione di un progetto di legge costituzionale in seconda<br />

deliberazione, quando non sono più ammesse le questioni pregiudiziali<br />

o sospensive (art. 107-ter Reg. Camera);<br />

- accerta la proponibilità regolamentare degli ordini del giorno,<br />

degli emendamenti e degli articoli aggiuntivi, e conseguentemente li dichiara<br />

improponibili se formulati con frasi sconvenienti, o relativi ad<br />

argomenti estranei all'oggetto della discussione, o altrimenti viziati (35)<br />

(nel qual caso il proponente può insistere, e, solo se il Presidente ritiene<br />

opportuno di consultare l'Assemblea, questa decide per alzata e<br />

seduta; altrimenti la decisione del Presidente è definitiva : art. 90 Reg. Camera),<br />

oppure li accetta e li sottopone all'esame e alla votazione dell'Assemblea<br />

nelle forme e secondo le modalità previste dal Regolamento;<br />

- dichiara precluso o assorbito da precedenti deliberazioni un<br />

determinato punto o documento che dovrebbe essere altrimenti discusso<br />

o posto in votazione (questa funzione, pur non essendo regolamentarmente<br />

sancita, è ampiamente riconosciuta nella prassi parlamentare (36), per evitare<br />

che siano adottate deliberazioni contraddittorie o inutili rispetto a manifestazioni<br />

di volontà già espresse dall'Assemblea sullo stesso oggetto);<br />

- stabilisce l'ordine delle votazioni, le indice (37), ne controlla<br />

la regolarità, ne ordina la ripetizione - con lo stesso sistema o con un<br />

(35) Per es., nella seduta del 29 ottobre 1958, discutendosi 0 bilancio della pubblica<br />

istruzione, il Presidente della Camera on. Leone non mise in votazione alcuni ordini<br />

del giorno che sollecitavano il Governo a presentare disegni di legge, e in quanto ogni<br />

deputato può in questo caso valersi del proprio diritto di iniziativa legislativa ».<br />

(36) Cfr. ASTRALDI-COSBNTINO, / nuovi regolamenti del Parlamento italiano,<br />

Roma 1950, pag. 161.<br />

(37) Per consuetudine, il Presidente non partecipa alle votazioni Secondo il<br />

MANCINI-GALEOTTI (op. cit., pag. 96), questa consuetudine fu inaugurata dall'on. Crispi,<br />

che nel 1877, essendo Presidente della Camera, fece cancellare il suo nome dalla<br />

t chiama » : « e i suoi successori trovarono così corretto quell'atto, che vi si uniformarono<br />

sempre scrupolosamente».


220 Gli organi della Camera<br />

sistema diverso che garantisca risultati più sicuri - quando vi siano<br />

dubbi sull'esito o sia constatata una irregolarità; ne annunzia infine<br />

il risultato;<br />

- può rinviare ad altra seduta la votazione finale per scrutinio<br />

segreto di un disegno di legge, o far procedere contemporaneamente<br />

alla votazione di più disegni di legge, non oltre il numero di tre (art. 103<br />

Reg. Camera, 2° comma), od anche in numero superiore, se la Camera<br />

vi consenta;<br />

- dispone la verifica del numero legale, quando ciò sia richiesto<br />

da dieci deputati dopo l'approvazione del processo verbale, e la Camera<br />

sia per procedere a votazione per alzata e seduta o per divisione<br />

(la verifica del numero legale non può chiedersi quando la votazione<br />

debba svolgersi per alzata e seduta per espressa disposizione del Regolamento:<br />

art. 50 Reg. Camera);<br />

- rinvia la seduta ad altra ora dello stesso giorno, con un intervallo<br />

non minore di un'ora, o la scioglie (nel qual caso la Camera<br />

s'intende automaticamente convocata per il successivo giorno non> festivo,<br />

o anche per il successivo giorno festivo ove la Camera abbia<br />

già prima deliberato di tenere seduta, alla stessa ora del giorno precedente),<br />

quando si sia verificata la mancanza del numero legale (art SI<br />

Reg. Camera, 3° comma);<br />

- sospende e rinvia una discussione o sospende la seduta, di<br />

sua iniziativa o per deliberazione dell'Assemblea;<br />

- accerta la proponibilità regolamentare delle interrogazioni, delle<br />

interpellanze e delle mozioni, e conseguentemente le dichiara improponibili<br />

ove siano formulate con frasi sconvenienti o ricorrano altre<br />

condizioni di improponibilità (nel qual caso il proponente può insistere<br />

e, se il Presidente ritiene opportuno consultare l'Assemblea, questa<br />

decide senza discussione per alzata e seduta: art. 90 Reg. Camera);<br />

oppure le accetta e le annuncia, con il che è vincolato ai successivi<br />

atti intesi a creare le condizioni perché questi strumenti possano conseguire<br />

gli effetti per i quali sono preordinati (trasmissione al Governo<br />

delle interrogazioni a risposta scrìtta, iscrizione all'ordine del giorno<br />

delle interrogazioni a risposta orale e delle interpellanze e successiva<br />

fissazione delle date per il loro svolgimento nei modi previsti dal Regolamento,<br />

promozione del procedimento per la fissazione della data<br />

di discussione delle mozioni nei modi previsti dal Regolamento);<br />

- interessa il Governo per la discussione di mozioni e per lo<br />

svolgimento di interpellanze o di interrogazioni a seguito dei solleciti<br />

che, secondo una prassi invalsa, i deputati fanno al termine delle sedute;


Gli organi della Camera 221<br />

- toglie la seduta, di sua iniziativa o per deliberazione dell'Assemblea;<br />

questo atto conclusivo è preceduto dall'annunzio del giorno,<br />

dell'ora e dell'ordine del giorno della seduta successiva (ovvero dall'annunzio<br />

che la Camera sarà convocata a domicilio), nonché dalla lettura<br />

delle interrogazioni, delle interpellanze e delle mozioni presentate.<br />

Contro tutte le decisioni del Presidente - salvo quelle esplicitamente<br />

dichiarate inappellabili, e sempreché non sia prevista dal Regolamento<br />

una diversa procedura - ogni deputato può appellarsi all'Assemblea,<br />

che decide per alzata e seduta (art. 94 Reg. Camera).<br />

Per questa votazione non è ammessa la richiesta di verifica del numero<br />

legale (art. 50 Reg. Camera, 2° comma).<br />

Quando non vi è appello alla Camera, ogni decisione presidenziale<br />

crea un precedente valido non soltanto incidenter tantum, ma anche<br />

per l'avvenire e senza alcuna riserva (principio enunciato dal Presidente<br />

della Camera on. Leone nella seduta del 29 febbraio 1956).<br />

Nella preparazione dei lavori parlamentari e nello svolgimento delle<br />

sedute dell'Assemblea e del Parlamento in seduta comune, il Presidente<br />

è assistito dal Segretario generale della Camera, o, in sua assenza, dal<br />

Vicesegretario generale. Il Segretario generale provvede alla conservazione<br />

degli atti della Camera riunita in seduta segreta (art. 4 Reg.<br />

dei Servizi e del Personale) (38). Collabora altresì con il Presidente, dal<br />

punto di vista tecnico, il Servizio dell'Assemblea, che cura la preparazione<br />

delle sedute, la registrazione e la stampa dei documenti parlamentari,<br />

la redazione dell'ordine del giorno, il coordinamento e la stampa dei<br />

documenti di seduta, l'annotazione delle iscrizioni a parlare, il coordinamento<br />

dei testi dei progetti di legge approvati dall'Assemblea; e formula<br />

pareri sulle assegnazioni dei progetti di legge (art 9 Reg. dei<br />

Servizi e del Personale). H Servizio dei resoconti cura invece la redazione,<br />

la revisione e la pubblicazione del resoconto sommario delle<br />

sedute dell'Assemblea (che viene pubblicato immediatamente, e non ha<br />

valore ufficiale) e, insieme con il Servizio della stenografia, la redazione,<br />

la revisione e la pubblicazione del resoconto stenografico (che, a seguito<br />

di una recente benemerita iniziativa, viene pubblicato il giorno successivo).<br />

Questi servizi svolgono le anzidette funzioni anche per le riunioni<br />

(38) La Camera può riunirsi in seduta segreta (e così il Parlamento in seduta<br />

comune) per propria deliberazione, a norma dell'art. 64 Cosi, secondo comma. Deve<br />

sempre farlo in sede di discussione del bilancio interno, ove lo richiedano la Presidenza<br />

della Camera o 10 deputati, o si tratti di questioni riguardanti singole persone<br />

(art. 92 Reg. Camera, secondo comma). Durante le sedute segrete l'Estensore si ritira,<br />

eccetto che l'Assemblea non deliberi altrimenti; l'Assemblea può anche decidere che<br />

della seduta segreta non vi sia processo verbale (art. 141 Reg. Camera).


222 Gli organi della Camera<br />

del Parlamento in seduta comune delle due Camere (artt. 15 e 16 Reg.<br />

dei Servizi e del Personale).<br />

D) Funzioni di controllo e di esternazione. Compete al Presidente<br />

della Camera di accertare la legalità dei procedimenti parlamentari conclusi<br />

con un atto formale; di attestare la validità dell'atto formale stesso;<br />

e di darne eventualmente comunicazione ad altri organi, ove ciò sia<br />

richiesto dalla natura dell'atto o da specifiche disposizioni.<br />

Com'è naturale, l'accertamento della legalità del procedimento deve<br />

limitarsi ai dati estrinseci e formali, e ha di norma un carattere sommario,<br />

avendo riguardo alla competenza dell'organo, alla sua regolare<br />

costituzione, al rispetto degli adempimenti formali richiesti, all'autenticità<br />

o all'assenza di vizi evidenti dell'atto formale conclusivo. Sulla<br />

base di tali elementi, il Presidente della Camera attesta la validità dell'atto<br />

formale conclusivo, e, ove sia necessario, lo comunica a chi di<br />

dovere.<br />

Questa funzione del Presidente ha carattere generale e si riferisce<br />

a tutti i procedimenti parlamentari, qualunque sia l'organo presso il qiìale<br />

si sono svolti. I casi che qui si citano vogliono avere pertanto solo un<br />

valore esemplificativo.<br />

1) Costituzione della Camera. Il Presidente della Camera informa<br />

il Presidente della Repubblica e il Presidente del Senato dell'avvenuta<br />

costituzione della Camera, e ne attesta la regolarità (art. 7<br />

Reg. Camera).<br />

2) Convalida dei deputati. Il procedimento per la convalida dei<br />

deputati, che afferisce all'importantissimo tema della regolare composizione<br />

soggettiva della Camera, è nel nostro ordinamento di esclusiva<br />

competenza della Giunta per le elezioni. I deputati, comunque, per il<br />

solo fatto dell'elezione entrano immediatamente nel pieno esercizio delle<br />

loro funzioni con la proclamazione (art. 1 Reg. Camera); però, mentre<br />

la proclamazione subito dopo le elezioni è fatta dal presidente dell'ufficio<br />

centrale circoscrizionale o nazionale, le successive proclamazioni<br />

in surrogazione sono fatte dal Presidente della Camera in Assemblea<br />

plenaria, su proposta vincolante della Giunta per le elezioni.<br />

Non prima di 20 giorni dalla proclamazione, la Giunta convalida<br />

l'elezione e ne dà « immediata comunicazione » alla Presidenza della<br />

Camera (art. 11 Reg. della Giunta delle elezioni): questa disposizione è<br />

stata costantemente interpretata nel senso che al Presidente della Camera<br />

non competa altra funzione - a parte il consueto accertamento sommario<br />

di legalità formale - se non quella di dichiarare convalidata la<br />

elezione e di darne comunicazione all'Assemblea, la quale, dal canto


Gli organi della Camera 223<br />

suo, si limita a prendere atto senza votazione delle decisioni della<br />

Giunta. Se invece la Giunta dichiara l'elezione contestata, il Presidente<br />

deve investire della convalida l'Assemblea, comunicandole le conclusioni<br />

motivate della Giunta (art. 23 Reg. Camera): in questo ultimo<br />

caso l'atto finale del procedimento è rappresentato dalla dichiarazione<br />

di convalida - o di non convalida - effettuata dal Presidente sulla base<br />

del risultato della relativa votazione.<br />

Ove la Giunta accerti un caso di incompatibilità, ne informa il Presidente<br />

della Camera, al quale compete di darne comunicazione all'interessato.<br />

Se questi opta per il mandato parlamentare, deve far pervenire<br />

entro 30 giorni al Presidente della Camera una dichiarazione di<br />

dimissioni dalla carica ritenuta incompatibile; il Presidente della Camera<br />

la trasmette alla Giunta delle elezioni, che, accertata la tempestività<br />

dell'opzione, ne prende atto (artt. 18 e 19 Reg. della Giunta<br />

delle elezioni).<br />

3) Approvazione di progetti di legge. Il Presidente della Camera,<br />

nell'esercizio della sua funzione di controllo sulla regolarità del procedimento<br />

di approvazione dei progetti di legge, può, per difetti di rilevante<br />

gravità, invitare la Camera a riprendere in esame provvedimenti<br />

legislativi già approvati (39).<br />

A parte questa rara ipotesi, il Presidente attesta l'avvenuta approvazione<br />

di un progetto di legge trasmettendolo con un apposito « messaggio<br />

» al Presidente del Senato (se il progetto di legge deve essere<br />

ancora approvato da quel Consesso) o al Governo perché lo sottoponga<br />

al Presidente della Repubblica per la promulgazione (se il progetto di<br />

legge ha concluso alla Camera il suo iter parlamentare).<br />

Quando il progetto di legge è stato approvato da una Commissione<br />

in sede legislativa, il Presidente della Camera prima del « messaggio »,<br />

ed una volta controllata l'assenza di vizi nel procedimento svoltosi in<br />

sede decentrata, deve darne comunicazione all'Assemblea.<br />

Il Presidente della Camera (o quello della Commissione, in caso di<br />

progetto di legge approvato in questa sede) può anche essere autorizzato<br />

al coordinamento formale del testo approvato: in tal caso eseguirà<br />

il coordinamento - naturalmente, prima del « messaggio » - con la collaborazione<br />

del relatore e del ministro competente, collazionando le<br />

singole disposizioni approvate (testo base ed emendamenti) e correlandole<br />

tra loro, anche mediante correzioni, che tuttavia non debbono<br />

(39) Cfr. MUSCARÀ, Manuale del deputato, càt, pagg. 223-224, con richiami di<br />

precedenti.


224 Gli organi della Camera<br />

essere tali da alterare il contenuto sostanziale delle manifestazioni di<br />

volontà espresse con le varie votazioni, nemmeno quando così facendo<br />

il testo conservi incongruenze o contraddizioni (ma in quest'ultimo<br />

caso, se tali incongruenze o contraddizioni siano di rilevante gravità, il<br />

Presidente potrà invitare la Camera ad una nuova deliberazione: v.<br />

sopra) (40).<br />

Il «messaggio», pur non essendo direttamente disciplinato dal Regolamento,<br />

è un atto ormai completamente tipizzato nella prassi parlamentare.<br />

Trattasi di un documento scritto, che nella prima parte contiene:<br />

l'intestazione della Camera; l'attestazione dell'avvenuta approvazione<br />

da parte dell'Assemblea o di una Commissione in sede legislativa;<br />

l'indicazione del proponente o dei proponenti del progetto di legge (41);<br />

la descrizione sommaria dell'/Ver seguito (se trattasi di un progetto esaminato<br />

soltanto dalla Camera, o già approvato dal Senato, nel quale<br />

caso viene precisato se con l'approvazione attestata risulti modificato<br />

il testo trasmesso dal Senato); la data in cui si è proceduto all'approvazione<br />

finale del testo. Nella seconda parte del documento è riprodotto<br />

il titolo dell'atto legislativo e il testo delle disposizioni che ne<br />

costituiscono il contenuto. Segue, infine, la firma del Presidente della<br />

Camera e la data dell'avvenuta attestazione.<br />

Se si tratta di un progetto di legge costituzionale approvato in seconda<br />

deliberazione con la maggioranza dei due terzi dei membri della<br />

(40) Una parte della dottrina ritiene che il coordinamento, come atto inerente<br />

al processo di formazione della legge, dovrebbe essere seguito da una manifestazione<br />

di volontà della Camera sul nuovo testo, nella forma voluta dalla Costituzione, cioè<br />

nella forma della votazione: il sistema attualmente seguito, pertanto, configurerebbe<br />

una violazione costituzionale. V. per tutti Tosi, op. cit., pag. 113 e segg. Siffatta opinione<br />

è stata per altro disattesa dalla Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 9 del 1959<br />

ha ritenuto che il cooordinamento, purché non superi i limiti di una revisione meramente<br />

formale, non configura una violazione dell'art. 72 Cost., né dell'art 91 Reg.<br />

Camera, in quanto la prassi parlamentare consente il coordinamento formale anche<br />

senza una successiva approvazione definitiva della Camera, che pertanto non può considerarsi<br />

come un requisito indispensabile ad substantiam.<br />

(41) A questo proposito possono sorgere contestazioni, in caso di più progetti<br />

di legge di proponenti diversi abbinati nella discussione (art. 133 Reg. Camera, ultimo<br />

comma): contestazioni che il Presidente della Camera è competente a risolvere. Il<br />

Presidente on. Leone, con circolare del 18 dicembre 19S6, ha stabilito in proposito i seguenti<br />

criteri: se dopo la discussione generale abbinata la Commissione scelga un<br />

testo base per la discussione degli articoli, rispetto al quale gli altri progetti di legge<br />

debbano considerarsi come emendamenti, l'intestazione del messaggio dovrà recare soltanto<br />

l'indicazione del nome del proponente del progetto prescelto, sia che si tratti di<br />

iniziativa parlamentare, sia che si tratti di iniziativa governativa; ove invece la<br />

Commissione decida di procedere alla redazione concordata di un testo unificato,<br />

nell'intestazione del messaggio dovranno essere indicati i nomi di tutti i proponenti<br />

(Cfr. Circolari e disposizioni interpretative, ecc., cit., pagg. 52-53).


Gli organi della Camera 225<br />

Camera, il « messaggio » deve contenerne espressa menzione, per gli<br />

effetti previsti dall'art. 138 Cost, ultimo comma (in questo caso, infatti,<br />

la legge costituzionale approvata non può essere sottoposta a referendum<br />

popolare).<br />

Il « messaggio » è il solo strumento di esternazione della volontà<br />

legislativa della Camera; e il Presidente è in via esclusiva abilitato ad<br />

effettuarlo. Esso ha insieme effetti dichiarativi della avvenuta conclusione<br />

del procedimento di esame di un progetto di legge da parte di<br />

questo ramo del Parlamento e del suo definitivo contenuto, ed effetti<br />

costitutivi nei confronti del Senato, creando il presupposto perché questo<br />

lo esamini a sua volta, ovvero nei confronti del Presidente della Repubblica,<br />

vincolandolo a promulgare il provvedimento che ha completato<br />

il suo iter, qualora non intenda esercitare il suo potere di rinvio<br />

ex art. 74 Cost. (42). Sia gli effetti dichiarativi sia gli effetti costitutivi dell'atto<br />

non sembra possano essere oggetto di sindacato da parte di qualsivoglia<br />

organo esterno, per il tradizionale principio della insindacabilità<br />

degli interna corporis, che, nonostante certe recenti tendenze della<br />

dottrina (43), costituisce tuttora una garanzia generale per gli organi costituzionali,<br />

derivante dal principio della loro equiordinazione e della<br />

loro irresponsabilità reciproca nell'esercizio delle rispettive funzioni (44).<br />

Si ritiene che questo principio continui a conservare validità nel nostro<br />

ordinamento anche in presenza di una contraria giurisprudenza della<br />

Corte Costituzionale, che in alcune sue pronunce ha affermato che oggetto<br />

del suo controllo di legittimità costituzionale « può essere il processo<br />

formativo di una legge; e ciò non è precluso dall'esistenza del<br />

messaggio con cui il Presidente di una Camera trasmette un testo di<br />

legge al Presidente dell'altra Camera o al Capo dello Stato» (45): e<br />

che perciò ha ritenuto, in base all'art. 134 Cost., la propria competenza<br />

ad accertare l'effettiva conformità del testo approvato a quello riportato<br />

nel messaggio. La validità di questo principio non è stata mai riconosciuta<br />

dal Parlamento, che anzi ha tenuto più volte a riaffermare<br />

(42) Cfr. GIANNINI, Accertamento, in « Enciclopedia del diritto », pag. 221<br />

e segg.<br />

(43) V. per tutti Tosi, op. cit., pag. 101 e segg., con ampi riferimenti di dottrina.<br />

(44) Così FERRARA, op. cit., pag. 174. V. anche in argomento COSENTINO, Note<br />

sui princìpi della procedura parlamentare, cit., pagg. 416-417.<br />

(45) Cosi la sentenza della Corte costituzionale 3 marzo 1959, n. 9. Nello<br />

stesso senso è la sentenza 16 gennaio 1957, n. 3. La Corte Costituzionale non ha<br />

comunque mai tratto in concreto le conseguenze ultime ed estreme di questa presa<br />

di posizione. V. sull'argomento lo studio del MOHRHOFF, Competenza della Corte Costituzionale<br />

a controllare il procedimento di formazione delle leggi, in « Rassegna<br />

parlamentare», n. 6, 1959, pag. 159 e segg.<br />

10.


226 Gli organi della Camera<br />

l'insindacabilità del procedimento interno di approvazione della legge,<br />

la cui regolarità è attestata dal Presidente, insieme con il testo definitivo,<br />

con lo strumento del « messaggio », che è il solo atto ufficiale<br />

relativo al procedimento parlamentare di formazione di una legge (46),<br />

e sul quale soltanto si può esercitare un eventuale sindacato esterno da<br />

parte degli organi a ciò preposti dalla Costituzione.<br />

4) / provvedimenti riguardanti il personale della Camera. Il Presidente<br />

formalizza e rende esecutivi con propri decreti tutti i provvedimenti<br />

dell'Ufficio di Presidenza in relazione alle sue competenze sui<br />

servizi e sul personale della Camera (art. 2 Reg. dei Servizi e del Personale,<br />

ultimo comma).<br />

5) // Presidente come « oratore » della Camera. Funzione soltanto<br />

di esternazione - senza che ad essa si ricolleghi una funzione di<br />

controllo, come nelle ipotesi precedenti - è quella del Presidente come<br />

« oratore » della Camera (art. 10 Reg. Camera). L'espressione regolamentare<br />

è evidentemente ripresa dall'inglese Speaker; ma ha assunto<br />

nel nostro ordinamento il senso che il Presidente è la « voce » della<br />

Camera, l'unico abilitato ad esternarne il pensiero e la volontà. Ciò vale<br />

non solo, estensivamente, per le funzioni di cui abbiamo detto sopra,<br />

ma anche in senso più diretto. H Presidente della Camera, pur se non<br />

interviene nelle discussioni di merito (47), può prendere la parola in<br />

(46) Così si espresse il Presidente della Camera on. Leone nel respingere la richiesta<br />

del giudice relatore Perassi (nel corso del giudizio davanti alla Corte Costituzionale<br />

conclusosi poi con la sentenza n. 9 del 1959, e vertente sulla legittimità<br />

costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168) di ottenere copia conforme dei verbali<br />

delle sedute delle Commissioni riunite interni e industria in cui quella legge era<br />

stata discussa. In altra precedente occasione (seduta dell'11 giugno 1952), avendo il<br />

deputato Roberti rilevato sostanziali differenze tra un testo di legge approvato dal<br />

Senato e il testo risultante dal « messaggio », il Presidente di turno dell'Assemblea<br />

on. Gaetano Martino affermò il principio che la Camera non possa sindacare la legittimità<br />

degli atti compiuti nell'altro ramo del Parlamento, per cui senza entrare nel<br />

merito deve attenersi « al testo del messaggio presidenziale >. Questo principio fu<br />

ribadito dal Presidente della Camera on. Gronchi nella seduta del 17 giugno 1952. Attribuiscono<br />

questo valore al «messaggio» del Presidente della Camera, fra gli altri:<br />

BISCARETTI DI RUFFIA, Diritto costituzionale, 1958, pag. 493; Bozzi, Istituzioni di diritto<br />

pubblico, cit., pag. 93 ; ESPOSITO, La Costituzione italiana, Padova 1954, pag. 274 ;<br />

In., La Costituzione in Parlamento, in « Giurisprudenza costituzionale», 1959, pag. 629<br />

e segg. ; FERRARA, op. cit., pag. 168 e segg. ; GALEOTTI, Contributo alla teoria del procedimento<br />

legislativo, cit., pag. 308 e segg.; TESAURO, La promulgazione, in e Rassegna<br />

di diritto pubblico», 1956, pag. 200 e segg. Contro (cioè per la sindacabilità<br />

almeno parziale degli interna corporis della Camera): BARTHOLINI, La promulgazione,<br />

Milano 1955, pag. 442 e segg. ; GUELI, in « Rassegna parlamentare », 1959, n. 4,<br />

pag. 131 e segg.; Tosi, op. cit., pag. 108 e segg.<br />

(47) Non era così nei primi anni di vita del Parlamento italiano, quando i<br />

Presidenti prendevano invece parte assai attiva alle discussioni. Secondo il MANCINI-<br />

GALEOTTI (op. cit., pag. 95), l'ultimo discorso politico che sia stato fatto da un<br />

Presidente della Camera è quello memorabile dell'on. Lanza (6 agosto 1868) contro<br />

la proposta per la Regìa dei tabacchi, la cui approvazione lo costrinse a dimettersi.


Gli organi della Camera 227<br />

Assemblea, in nome della Camera ed interpretandone il sentimento,<br />

in occasione di commemorazioni, celebrazioni di ricorrenze, indirizzi,<br />

dichiarazioni su gravi sciagure o fatti che abbiano commosso l'opinione<br />

pubblica, ecc. Inoltre, poiché rappresenta la Camera nei rapporti<br />

esterni, presiede le deputazioni (salvo che non deleghi un Vicepresidente:<br />

art. 138 Reg. Camera) e ne è l'oratore: questo ufficio gli<br />

impone il massimo riserbo e il dovere di non esprimere se non idee<br />

e concetti intorno ai quali non possa esservi dissenso (48).<br />

4. - Da questa descrizione, sia pur sommaria, delle funzioni del<br />

Presidente della Camera risulta chiaramente il suo carattere di organo<br />

autonomo rispetto agli altri organi della Camera, compresi quelli cui<br />

partecipa e che eventualmente presiede: la sua attività, infatti, non è<br />

imputabile ad alcuno di questi organi, ma è preordinata al fine di determinare<br />

le condizioni necessarie poiché essi svolgano « legalmente »<br />

le loro funzioni. Il Presidente, perciò, è un organo autonomo e indipendente<br />

rispetto alla stessa Assemblea che lo elegge, ed anche rispetto<br />

all'Ufficio di Presidenza, che, in quanto tale, esercita altre funzioni (come<br />

vedremo poi): nel nostro ordinamento, infatti, non è accolto il principio<br />

della Presidenza collegiale, ma quello del Presidente come organo<br />

personale e autonomamente responsabile.<br />

Peraltro, in tema di responsabilità del Presidente della Camera<br />

mancano dati normativi espliciti nei testi costituzionali e regolamentari.<br />

Che ad una autonomia di funzioni debba corrispondere una correlativa<br />

responsabilità è certamente indubbio; così come è indubbio,<br />

nel caso specifico, che non si tratta di una responsabilità meramente<br />

tecnica, ma squisitamente politica, conseguente all'investitura fiduciaria<br />

che l'Assemblea gli conferisce con l'elezione.<br />

Abbiamo già visto come nel nostro ordinamento il Presidente della<br />

Camera non sia soltanto il magistrato o il notaio dell'Assemblea: eletto<br />

deputato in una lista politica, egli è portato alla Presidenza della Camera<br />

da una maggioranza politica (anche se non necessariamente coincidente,<br />

ed anzi di solito più larga della maggioranza governativa). Politico<br />

è il carattere peculiare di molte delle sue funzioni, a cominciare<br />

da quelle che abbiamo qualificato come consultive; ed il più largo margine<br />

di discrezionalità connesso in genere all'esercizio di esse può far<br />

legittimamente parlare di una « linea politica » del Presidente della Ca-<br />

(48) Cosi il MANCINI-GALEOTTI, op. cìt., pag. 57.


228 Gli organi della Camera<br />

mera, anche se non come lìnea di intervento nella politica attiva, ma<br />

come modo d'intendere la sua fondamentale posizione costituzionale, di<br />

supremo garante dei diritti della maggioranza e di quelli dell'opposizione<br />

nella dialettica parlamentare.<br />

Se così è, non sembra dubbio che tra la Camera e il suo Presidente<br />

intercorre un rapporto politico di fiducia, non strutturalmente diverso<br />

da quello che intercorre tra Parlamento e Governo; rapporto di fiducia<br />

che dopo la votazione iniziale si presume perdurare in mancanza di<br />

fatti concludenti che dimostrino il contrario, come appunto accade nei<br />

rapporti tra Parlamento e Governo. Confermano in questa analogia il<br />

carattere indeterminato della durata in carica del Presidente della Camera,<br />

che normalmente trova il suo solo limite nella fine della legislatura<br />

e della relativa prorogatio dei poteri: così come accade per il<br />

Governo.<br />

Certo, è di fatto assai più facile che la Camera revochi la sua fiducia<br />

al Governo, con il quale il Parlamento è in continuo rapporto<br />

dialettico, piuttosto che al suo Presidente, che costituisce la garanzia<br />

del suo stesso funzionamento. Ad ogni modo, non sembra dubbio<br />

che ove la Camera volesse revocare la fiducia al Presidente dovrebbe<br />

ricorrere a strumenti analoghi (anche se non altrettanto tipizzati) di<br />

quelli cui ricorre per revocare la fiducia al Governo: o adottando atti<br />

concludenti che implicitamente suonino sfiducia al Presidente, e lo costringano<br />

pertanto a dimettersi; o esplicitamente approvando un documento<br />

parlamentare in questo senso (per esempio, un ordine del giorno<br />

che inviti il Presidente a rassegnare le dimissioni) (49).<br />

Questo sembra essere l'unico modo con il quale far valere la responsabilità<br />

politica del Presidente della Camera nel nostro ordinamento.<br />

Deve invece ritenersi escluso che questa responsabilità possa<br />

essere fatta valere da organi esterni alla Camera, nemmeno in relazione<br />

alle funzioni di carattere esterno esercitate dal Presidente (funzione<br />

consultiva, presidenza del Parlamento in seduta comune): infatti anche<br />

di queste funzioni egli risponde esclusivamente all'Assemblea che lo<br />

ha eletto.<br />

È parimenti escluso che nei confronti del Presidente della Camera<br />

possa farsi valere una speciale responsabilità penale del tipo di quella<br />

(49) In questo senso FERRARA, op. cit., pag. 77, in nota. Il Ferrara ritiene che<br />

in questo caso l'ordine del giorno di revoca della fiducia dovrebbe essere votato<br />

con le stesse regole prescritte per l'elezione del Presidente: scrutinio segreto e approvazione<br />

a maggioranza assoluta dei voti, computando tra i votanti anche le schede<br />

bianche.


Gli organi della Camera 229<br />

prevista per il Presidente della Repubblica, per il Presidente del Consiglio<br />

dei ministri e per i ministri dagli aitt. 90 e 96 Cost: la competenza<br />

della Corte Costituzionale per i reati di alto tradimento e di<br />

attentato alla Costituzione e per i cosiddetti « reati ministeriali » non è<br />

infatti suscettibile, per la sua stessa natura eccezionale, di essere estesa<br />

al di là dei limiti soggettivi ed oggettivi descritti dalle disposizioni costituzionali<br />

citate (50).<br />

5. - I Vicepresidenti - che la Camera elegge in numero di quattro<br />

- sono iscritti nell'elenco dell'Ufficio di Presidenza nell'ordine, secondo<br />

il numero dei voti ottenuti quando siano stati eletti in uno stesso<br />

scrutinio (a cominciare da quello che ha ottenuto più voti), o secondo<br />

la data di nomina, se eletti in scrutini successivi (a cominciare da quello<br />

che è stato eletto anteriormente). È questa la cosiddetta « anzianità » dei<br />

Vicepresidenti, che non ha peraltro effetti di grande rilievo nel nostro<br />

ordinamento, a differenza di quanto accade in altri paesi: non c'è<br />

infatti nella Camera italiana un « primo » o un « secondo » Vicepresidente,<br />

e così via, ma essi si alternano a sostituire il Presidente, in caso<br />

di sua assenza o impedimento, senza che questa sostituzione sia regolata<br />

da norme precise.<br />

Il principale effetto dell'anzianità dei Vicepresidenti previsto dal<br />

Regolamento è quello di costituire criterio di scelta, nella successiva<br />

legislatura, per la designazione a Presidente provvisorio (come abbiamo<br />

visto), finché la Camera non abbia provveduto alla propria « costituzione<br />

».<br />

I Vicepresidenti non hanno funzioni proprie; ma possono sostituire<br />

il Presidente della Camera nell'esercizio delle sue. Il Presidente<br />

della Camera, inoltre, può attribuire loro funzioni di vigilanza sui servizi<br />

della Camera (art. 1 Reg. dei Servizi e del Personale).<br />

Nonostante che i Vicepresidenti esistano nella Camera dei deputati<br />

fin dai suoi inizi, delle loro attribuzioni non si parlava affatto nel Regolamento<br />

fino all'introduzione dell'attuale articolo 11, approvato nel<br />

1949, che così stringatamente le definisce : « I Vicepresidenti sostituiscono<br />

il Presidente in caso di assenza o di impedimento ».<br />

(50) Contro FERRARA, op. cit., pag. 79 e segg., il quale ritiene che la Corte<br />

Costituzionale potrebbe conoscere per connessione reati commessi dal Presidente della<br />

Camera in violazione dell'articolo 289, n. 2, codice penale (fatti diretti ad impedire,<br />

in tutto o in parte, anche temporaneamente, o soltanto a turbare le funzioni<br />

di una Assemblea legislativa), ove fossero inquadrabili in un disegno criminoso plurimo<br />

al quale abbiano partecipato il Presidente della Camera e uno dei soggetti per<br />

i quali è competente la Corte Costituzionale in sede penale.


230 Gli organi della Camera<br />

Ma anche questa norma lascia aperti diversi quesiti: la sostituzione<br />

avviene in toto, o solo per una parte delle funzioni presidenziali ?<br />

Come si accerta l'impedimento? E, ove manchi una precisa designazione<br />

del Presidente impedito, come si sceglie quello dei quattro Vicepresidenti<br />

che dovrà sostituirlo?<br />

In mancanza di precise norme regolamentari, per rispondere a tali<br />

quesiti occorrerà fare riferimento alla consuetudine parlamentare e ai<br />

princìpi generali. Dovranno pertanto distinguersi due ipotesi: quella<br />

della sostituzione nelle funzioni di Presidente dell'Assemblea plenaria<br />

(alla quale è sostanzialmente assimilata la sostituzione nelle funzioni<br />

di Presidente dell'Assemblea del Parlamento in seduta comune), e quella<br />

della sostituzione nelle altre funzioni proprie del Presidente della Camera<br />

(funzione consultiva, funzioni di attivazione, funzioni di nomina,<br />

funzioni di direzione e di organizzazione dei lavori della Camera o del<br />

Parlamento in seduta comune che esulino dalle competenze proprie del<br />

Presidente dell'Assemblea, funzioni di controllo e di esternazione).<br />

Nella prima ipotesi la sostituzione nelle funzioni di Presidente dell'Assemblea<br />

plenaria avviene consuetudinariamente senza particolari forme,<br />

sulla base di una designazione del Presidente o anche di « turni »<br />

concordati tra i Vicepresidenti e tacitamente accettati dal Presidente:<br />

trattasi infatti di funzioni che si considerano normalmente delegabili,<br />

non potendosi ovviamente pretendere dal Presidente una presenza continua<br />

al suo seggio, considerate anche la continuità e la durata dei<br />

lavori parlamentari. È questa, del resto, la funzione tipica e peculiare<br />

dei Vicepresidenti nella nostra prassi parlamentare. Va comunque notato<br />

che in qualunque momento il Presidente può riassumere la Presidenza<br />

dei lavori dell'Assemblea, di cui ha la responsabilità primaria,<br />

semplicemente presentandosi in aula: in tal caso, il Vicepresidente che<br />

in quel momento lo sostituisce si alza dal seggio presidenziale, sul quale<br />

si siede il Presidente, senza altre formalità. Nello stesso modo avvengono<br />

gli altri « cambi » di Presidenza tra Vicepresidenti, o tra il Presidente<br />

e un Vicepresidente, che in una stessa seduta si succedano al<br />

seggio presidenziale.<br />

Di tutti i « cambi » di Presidenza va tenuta nota nel processo verbale<br />

e nei resoconti della seduta, in modo che i singoli atti del Presidente<br />

dell'Assemblea possano essere imputati alla persona fisica che<br />

li ha compiuti e che ne risponde. È da ritenere, infatti, che per gli atti<br />

compiuti come Presidente dell'Assemblea anche i Vicepresidenti rispondano<br />

alla Camera che li ha eletti (e non al Presidente, rispetto al quale


Gli organi della Camera 231<br />

non sono in rapporto di subordinazione gerarchica), negli stessi modi<br />

e forme che abbiamo visto per il Presidente della Camera.<br />

H Regolamento stabilisce, inoltre, che un Vicepresidente può sempre<br />

sostituire il Presidente, su sua designazione, nella presidenza delle<br />

deputazioni della Camera (art. 138 Reg. Camera).<br />

Più complesso è il caso delle altre funzioni, che in via normale<br />

possono essere esercitate soltanto dal Presidente della Camera. Sulla<br />

base dei princìpi generali, si ritiene che per queste funzioni il Presidente<br />

possa essere sostituito da un Vicepresidente soltanto in caso<br />

di assenza « qualificata » o di impedimento : per intendersi, in casi analoghi<br />

a quelli che consentono la sostituzione del Presidente del Senato<br />

al Presidente della Repubblica nelle funzioni di quest'ultimo, anche<br />

se la sostituzione avviene con un diverso meccanismo procedurale.<br />

In caso, dunque, di assenza « qualificata » o di impedimento, il<br />

Presidente della Camera può discrezionalmente delegare l'esercizio di<br />

sue specifiche funzioni a uno o all'altro dei Vicepresidenti, od anche<br />

conferire ad uno dei Vicepresidenti una delega generale temporanea di<br />

tutte le sue funzioni. Qualora invece il Presidente non sia in grado di<br />

manifestare la propria volontà, o non voglia prendere atto della causa<br />

di impedimento, l'Ufficio di Presidenza appare come l'organo più idoneo<br />

ad assumere i provvedimenti del caso, sia per accertare l'impedimento,<br />

sia per provvedere alla sostituzione temporanea del Presidente con uno<br />

dei Vicepresidenti, in attesa che cessi la causa dell'impedimento stesso,<br />

o che la Camera assuma diverse determinazioni. In questi casi, l'Ufficio<br />

di Presidenza sarà convocato e presieduto dal Vicepresidente anziano,<br />

al quale pure spetta per consuetudine di ricevere le dimissioni del Presidente<br />

della Camera, nonché di prendere le iniziative necessarie per la<br />

sua sostituzione in caso di dimissioni o di morte. Ove l'Ufficio di<br />

Presidenza accerti l'esistenza di un impedimento permanente, dovrà,<br />

una volta presi gli indicati provvedimenti provvisori, riferirne alla Camera,<br />

cui spetta di prendere una decisione definitiva ai fini dell'eventuale<br />

elezione di un nuovo Presidente.<br />

6. - Le funzioni dei Segretari di Presidenza della Camera, che sono<br />

in numero di otto, sono descritte con sufficiente precisione dall'art. 12<br />

Reg. Camera. Sulla falsariga di esso diremo pertanto che i Segretari:<br />

- sovrintendono alla redazione del processo verbale, che deve<br />

contenere soltanto le deliberazioni e gli atti della Camera, e ne danno<br />

lettura all'inizio di ogni seduta; dopo che la Camera l'abbia tacitamente


232 Gli organi della Camera<br />

o esplicitamente approvato, uno dei Segretari lo sottoscrive, insieme con<br />

il Presidente, certificandone così l'autenticità (art. 140 Reg. Camera);<br />

- tengono nota, secondo l'ordine, dei deputati che hanno chiesto<br />

la parola;<br />

- danno lettura delle proposte e dei documenti;<br />

- tengono nota delle deliberazioni;<br />

- fanno le chiame e registrano, quando occorra, i singoli voti:<br />

in particolare, decidono insieme con il Presidente del risultato delle<br />

votazioni per alzata e seduta, che sono ripetute se i Segretari non sono<br />

d'accordo sul loro esito (cosiddetta « controprova »), e, se permane incertezza,<br />

eseguite per divisione; prendono nota dei votanti di ciascuna<br />

parte nelle votazioni per divisione nell'aula (art. 96 Reg. Camera);<br />

prendono nota dei voti e delle astensioni nelle votazioni per appello<br />

nominale (art. 97 Reg. Camera); numerano i voti nelle votazioni per<br />

scrutinio segreto (art. 98 Reg. Camera); accertano il numero e il nome<br />

dei votanti e degli astenuti (artt. 104 e 105 Reg. Camera, che riferiscono<br />

impropriamente tale compito all'Ufficio di Presidenza);<br />

- vegliano perché il resoconto (stenografico) sia pubblicato nel<br />

termine prescritto dal Presidente, e non vi sia alterazione nei discorsi<br />

(51); eguale funzione spetta loro per la sorveglianza dei resoconti<br />

delle sedute delle Commissioni (art. 1 Reg. dei Servizi e del Personale);<br />

- verificano il testo dei progetti di legge e quant'altro viene deliberato<br />

dalla Camera, e vi appongono la loro firma;<br />

~ concorrono al buon andamento dei lavori secondo gli ordini<br />

del Presidente, che può anche attribuire loro funzioni di vigilanza sui<br />

servizi della Camera (art. 1 Reg. dei Servizi e del Personale).<br />

Trattasi, come si vede, di funzioni di collaborazione con il Presidente,<br />

prevalentemente volte al controllo e alla certificazione degli atti<br />

e delle deliberazioni dell'Assemblea. Particolarmente importanti e delicate<br />

sono le funzioni concernenti l'esito delle votazioni, la verifica del testo<br />

dei progetti di legge e delle altre deliberazioni della Camera, (il cui<br />

esatto adempimento è condizione del buon espletamento delle funzioni<br />

di controllo e di esternazione attribuite in proposito al Presidente della<br />

Camera), la sorveglianza sul processo verbale e sui resoconti.<br />

(51) Afferma il MOHRHOFF (Trattato di diritto e procedura parlamentare, cit.,<br />

pag. 90) che la proposta di affidare ai Segretari anche la vigilanza sulla composizione<br />

e regolare pubblicazione del Resoconto sommario dei lavori della Camera non fu<br />

mai accolta, perché non si volle mai attribuire a tale documento un carattere ufficiale,<br />

da cui derivasse una responsabilità.


Gli organi della Camera 233<br />

Per il migliore adempimento di tutte queste funzioni, occorre che<br />

i Segretari osservino la massima imparzialità, anche esteriore: essi dovranno<br />

perciò lasciare il banco della Presidenza, qualora vogliano prendere<br />

parte alle votazioni per alzata e seduta, o vogliano applaudire, o<br />

vogliano interrompere altri deputati.<br />

È necessario altresì che qualche Segretario sia sempre presente<br />

alle sedute dell'Assemblea plenaria: a tal fine, i Segretari sogliono stabilire<br />

particolari turni. Ove nessun Segretario sia comunque presente in<br />

aula, il Presidente chiamerà a fungere provvisoriamente da Segretario un<br />

deputato da lui designato, scegliendolo in genere tra i più giovani di età.<br />

7. - I deputati Questori, che sono in numero di tre, hanno il compito<br />

di sovrintendere - secondo l'art. 13 Reg. Camera - « al cerimoniale,<br />

alla polizia, al servizio e alle spese della Camera », la cui erogazione<br />

- precisa l'art. 1 Reg. dei Servizi e del Personale - « è fatta nella<br />

misura fissata dagli articoli di bilancio e secondo le norme stabilite<br />

nel Regolamento di amministrazione e contabilità ».<br />

In realtà, nella prassi parlamentare le funzioni dei Questori sono<br />

più vaste, specie in campo amministrativo, e tendono ad ampliarsi ancora:<br />

anzi, alla Camera essi costituiscono ormai un collegio - il Collegio<br />

dei Questori - che è l'effettivo centro motore di tutto l'apparato<br />

amministrativo, e l'organo di istruttoria e di proposta per le deliberazioni<br />

che sono di competenza (come vedremo) dell'Ufficio di Presidenza (52).<br />

Spetta ai Questori la presentazione alla Camera dei bilanci preventivi<br />

e dei conti consuntivi interni (predisposti con la collaborazione<br />

tecnica del Servizio della tesoreria: art. 17 Reg. dei Servizi e del Personale);<br />

questi documenti sono accompagnati da una loro relazione<br />

scritta e sottoposti all'Assemblea. Durante la relativa discussione - che<br />

ha luogo in seduta secreta quando lo richiedano l'Ufficio di Presidenza<br />

o 10 deputati, o quando si tratti di questioni riguardanti singole persone<br />

(art. 92 Reg. Camera) - i Questori siedono al banco del Governo,<br />

e rispondono alle eventuali osservazioni e critiche mosse dai deputati<br />

sui documenti stessi, sul funzionamento tecnico degli uffici e in genere<br />

sull'amministrazione della Camera.<br />

Due Questori fanno parte del Comitato di vigilanza sulla biblioteca<br />

della Camera (art. 142 Reg. Camera). Il Presidente può inoltre<br />

(52) Della preparazione delle sedute e dei verbali del Collegio dei Questori<br />

si occupa il Servizio del personale della Camera (art. 18 Reg. dei Servizi e del Personale).<br />

Le funzioni di segretario del predetto collegio sono svolte dal Capo Servizio<br />

dell'amministrazione e provveditorato (art. 19 Reg. dei Servizi e del Personale).<br />

10*.


234 Gli organi della Camera<br />

attribuire ai Questori funzioni di vigilanza su altri servizi della Camera<br />

(art. 1 Reg. dei Servizi e del Personale).<br />

I Questori coadiuvano il Presidente per il mantenimento dell'ordine<br />

durante le sedute, e curano che le sue disposizioni vengano eseguite,<br />

specialmente in caso di tumulti e quando un deputato si rifiuti<br />

di ottemperare all'invito del Presidente di lasciare l'aula (art. 56 Reg.<br />

Camera, 5° comma).<br />

In base all'art. 14 Reg. Camera, i Questori rimangono in carica<br />

nell'intervallo tra la fine di una legislatura e l'elezione dei loro successori<br />

nella legislatura seguente: le loro funzioni sono cioè prorogate,<br />

assicurando la continuità dell'azione amministrativa della Camera.<br />

8. - L'Ufficio di Presidenza - di cui fanno parte il Presidente, che<br />

lo presiede, i Vicepresidenti, i Segretari e i Questori - nella sua composizione<br />

collegiale ha funzioni limitate, prevalentemente di carattere<br />

consultivo, per la direzione e l'organizzazione dei lavori parlamentari;<br />

mentre ha funzioni proprie di notevole rilievo per quanto riguardaci<br />

servizi e il personale della Camera.<br />

A) Funzioni per la direzione e l'organizzazione dei lavori parlamentari.<br />

L'Ufficio di Presidenza è un corpo consultivo generale del<br />

Presidente nell'esercizio delle sue funzioni direzionali dell'attività parlamentare;<br />

ma, a parte questa attribuzione, la cui attivazione è rimessa<br />

alla discrezionalità del Presidente, le funzioni specificamente devolutegli<br />

dal Regolamento in questo campo non sono tali da poter incidere<br />

direttamente sulla sostanza dei lavori della Camera. Del resto, si tratta<br />

di funzioni puntuali, difficilmente riconducibili a categorie unitarie; per<br />

cui sarà sufficiente elencarle sommariamente.<br />

L'Ufficio di Presidenza:<br />

- autorizza eccezionalmente la costituzione di un Gruppo parlamentare<br />

con meno di 20 deputati, purché il Gruppo rappresenti un<br />

partito organizzato nel paese che abbia presentato proprie liste di candidati<br />

in tutte le circoscrizioni (ad eccezione della Valle d'Aosta) aventi<br />

il medesimo contrassegno, le quali abbiano ottenuto almeno un quoziente<br />

in una circoscrizione ed una cifra elettorale nazionale di almeno<br />

300 mila voti di lista validi (art. 26 Reg. Camera);<br />

- risolve gli eventuali reclami circa la costituzione o la convocazione<br />

dei Gruppi (art. 27 Reg. Camera, ultimo comma);<br />

- assegna alle Commissioni permanenti i residui di ciascun<br />

Gruppo dopo le designazioni fatte dai Gruppi stessi per le varie Commissioni<br />

(art. 27 Reg. Camera, 3° comma);


Gli organi della Camera 235<br />

- deve essere consultato dal Presidente quando questi intenda<br />

proporre sanzioni disciplinari a carico di deputati per fatti di eccezionale<br />

gravità che abbiano avuto luogo nel recinto del palazzo della Camera,<br />

ma fuori dell'aula (art. 56 Reg. Camera, ultimo comma);<br />

- se lo richiede, può far discutere il bilancio della Camera dall'Assemblea<br />

in seduta segreta (art. 92 Reg. Camera, 2° comma);<br />

- approva il processo verbale dell'ultima seduta della legislatura.<br />

B) Funzioni concernenti i servizi e il personale della Camera. In questa<br />

materia, l'Ufficio di Presidenza ha anzitutto una competenza regolamentare<br />

generale, che deriva direttamente dall'art. 14 Reg. Camera, secondo<br />

cui « l'Ufficio di Presidenza provvede con apposito Regolamento<br />

a tutti i servizi della Camera », e dall'art. 147 Reg. Camera, che precisa :<br />

« Le norme relative all'amministrazione e alla contabilità interna, all'ordinamento<br />

dei servizi, alla carriera, al trattamento economico e di<br />

quiescenza e alla disciplina dei dipendenti della Camera sono stabilite<br />

con regolamenti approvati dall'Ufficio di Presidenza ed emanati dal Presidente.<br />

All'Ufficio di Presidenza spetta in ogni caso la decisione definitiva<br />

sui ricorsi che attengono alla posizione e alla carriera giuridica<br />

ed economica di tutti i dipendenti della Camera ».<br />

Il Regolamento dei servizi e del personale attualmente vigente, che<br />

è stato approvato nel 1964, fissa all'art. 2 i modi di esercizio delle ulteriori<br />

funzioni dell'Ufficio di Presidenza in questa materia, stabilendo<br />

che ad esso spettano:<br />

a) l'esame del bilancio preventivo e del rendiconto consuntivo della<br />

Camera predisposto dai Questori (con la collaborazione tecnica del<br />

Servizio della tesoreria), prima della presentazione all'Assemblea;<br />

b) le deliberazioni su quanto attiene alla posizione giuridica ed<br />

economica del Segretario generale e dei Consiglieri della Camera e qualifiche<br />

equiparate, nonché le deliberazioni concernenti la posizione disciplinare<br />

dei funzionari direttivi di tutte le qualifiche e carriere (53);<br />

(53) D personale della Camera si ripartisce nelle seguenti carriere:<br />

1) carriera direttiva', comprende il Segretario generale, il Vicesegretario generale,<br />

l'Estensore del processo verbale, i Consiglieri della Camera, i Primi Referendari,<br />

i Referendari, i Vicereferendari. Accanto al ruolo generale esistono un ruolo di stenografìa<br />

e un ruolo di biblioteca, con corrispondenti qualifiche;<br />

2) carriera di concetto (ruolo di ragioneria, ruolo di segreteria, ruolo di biblioteca,<br />

ruolo tecnico) ;<br />

3) carriera esecutiva (ruolo servizi archivio, ruolo servizi stenodattilografici, ruolo<br />

servizi di biblioteca, ruolo servizi tecnici);<br />

4) carriera del personale ausiliario (ruolo aula e sale, ruolo tecnico, ruolo servizi<br />

vari).<br />

Il personale della Camera è distribuito nei seguenti servizi: Segretariato generale;<br />

Prerogative e immunità; Assemblea; Commissioni parlamentari; Studi, legista-


236 Gli organi della Camera<br />

e) il giudizio definitivo sui ricorsi dei dipendenti contro le decisioni<br />

del Consiglio dei Capi Servizio della Camera;<br />

d) le altre deliberazioni previste dal Regolamento della Camera<br />

e dal Regolamento dei servizi e del personale.<br />

All'Ufficio di Presidenza compete altresì la vigilanza sulla biblioteca<br />

della Camera, che esercita attraverso un Comitato composto da un<br />

Vicepresidente, due Questori, due Segretari di Presidenza (designati dall'Ufficio<br />

di Presidenza stesso), dal Presidente della Commissione istruzione<br />

della Camera e da due deputati scelti dal Presidente della Camera<br />

(art. 142 Reg. Camera). A questo Comitato spetta la scelta dei libri,<br />

carte, giornali e documenti che debbono far parte del patrimonio della<br />

biblioteca (art. 143 Reg. Camera); nonché l'indicazione annuale dei libri<br />

che non possono essere dati a prestito (art. 145 Reg. Camera, 2° comma).<br />

Uno dei membri del Comitato è, per turno, più specialmente incaricato<br />

della sorveglianza sulla biblioteca (art. 144 Reg. Camera, 1° comma).<br />

Il Comitato è assistito nelle sedute dal Bibliotecario della Camera (cioè<br />

dal funzionario Capo del Servizio di biblioteca), che svolge funzioni di*<br />

segretario (54).<br />

Tutti i provvedimenti dell'Ufficio di Presidenza sono resi esecutivi<br />

- come abbiamo già rilevato - con decreti del Presidente (art. 2 Reg. dei<br />

Servizi e del Personale, ultimo comma).<br />

L'ordine del giorno dell'Ufficio di Presidenza è formato dal Presidente;<br />

ma ciascun membro dell'Ufficio di Presidenza può chiedere che<br />

sia inserita all'ordine del giorno la trattazione di materie previste dal<br />

Regolamento dei servizi e del personale (art. 2 Reg. dei Servizi e del<br />

Personale, 3° comma).<br />

I verbali dell'Ufficio di Presidenza della Camera sono redatti dal<br />

Segretario generale, che partecipa alle sue sedute con voto consultivo<br />

zìone e inchieste parlamentari; Archivio; Documentazione e statistiche parlamentari;<br />

Biblioteca; Resoconti; Stenografia; Tesoreria; Personale; Amministrazione e provveditorato;<br />

Cerimoniale. I Consiglieri della Camera con funzioni di Capo Servizio, insieme<br />

con il Segretario generale, il Vicesegretario generale e l'Estensore del processo<br />

verbale, compongono il Consiglio dei Capi Servizio, che è presieduto da un Vicepresidente<br />

della Camera designato dal Presidente e ha le seguenti funzioni:<br />

- delibera sulle questioni relative al personale con qualifica inferiore a Consigliere<br />

della Camera ;<br />

- esprime il parere su tutte le questioni sulle quali sia richiesto dal Presidente<br />

o dall'Ufficio di Presidenza ;<br />

- ha competenza disciplinare sul personale delle carriere di concetto, esecutiva<br />

e ausiliaria.<br />

(54) Questa regolamentazione, recentemente introdotta, sostituisce quella tradizionale,<br />

in base alla quale esisteva una vera e propria Commissione di vigilanza sulla<br />

biblioteca, nominata dal Presidente della Camera e composta da tre deputati e due<br />

Questori.


Gli organi della Camera 237<br />

(art. 4 Reg. dei Servizi e del Personale). Collabora alla preparazione<br />

delle sedute e dei verbali il Servizio del personale della Camera (art. 18<br />

Reg. dei Servizi e del Personale).<br />

L'Ufficio di Presidenza rimane in carica nell'intervallo tra una Camera<br />

e l'altra (art. 14 Reg. Camera). La prorogatio dei poteri dell'Ufficio<br />

di Presidenza è stata sancita nel 1949; ma era già prevista per i<br />

soli Questori sin dal 1863.<br />

Ricordiamo ancora che l'Ufficio di Presidenza della Camera funge<br />

da Ufficio di Presidenza del Parlamento quando questo si riunisce in<br />

seduta comune delle due Camere (art. 63 Cost.).<br />

9. - La « Conferenza dei Presidenti » di cui all'art. 13-bis Reg. Camera<br />

è un istituto sorto gradualmente nella prassi della Costituente e<br />

della prima legislatura repubblicana, e introdotto nel Regolamento nel<br />

1950 sotto la spinta della realtà di un Parlamento organizzato in Gruppi<br />

e nel quale l'attività delle Commissioni permanenti è andata continuamente<br />

crescendo d'importanza (55).<br />

Spetta al Presidente della Camera, come abbiamo visto, l'armonizzazione<br />

delle diverse e spesso contrastanti esigenze che nel Parlamento<br />

si esprimono: le esigenze dei Gruppi di maggioranza e del Governo per<br />

l'attuazione del programma governativo, le esigenze dei Gruppi di opposizione<br />

per contrastare tale attuazione e per controllare l'attività del<br />

Governo, le esigenze tecniche dell'organizzazione dei lavori parlamentari<br />

in Assemblea e nelle singole Commissioni, ecc. Ma è certo che in<br />

determinate circostanze queste esigenze meglio possono essere soddisfatte,<br />

mediate e contemperate in un ristretto organo collegiale, in cui<br />

siano rappresentati tutti gli interessi che le esprimono.<br />

Così è sorta la « Conferenza dei Presidenti », che non è un organo<br />

a struttura e attività continuativa, ma piuttosto uno strumento di collaborazione<br />

dei Gruppi politici all'organizzazione dei lavori parlamentari,<br />

con la partecipazione del Governo e delle Commissioni permanenti e<br />

sotto la direzione del Presidente della Camera.<br />

(55) Già in Assemblea Costituente l'on. Mortati aveva proposto, nella seconda<br />

Sottocommissione (seduta del 9 novembre 1946; v. anche seduta dell'Assemblea del<br />

18 settembre 1947), di prevedere nella Costituzione un « Consiglio dei Presidenti»,<br />

composto dall'Ufficio di Presidenza di ogni Camera e dai Presidenti dei Gruppi parlamentari,<br />

con il compito di riferire all'Assemblea plenaria sull'opportunità del deferimento<br />

a Commissioni di leggi che non presentassero importanza tale da richiedere<br />

la discussione e l'approvazione in aula. Sulle varie fasi attraverso le quali si è poi<br />

giunti all'approvazione dell'attuale articolo U-bis Reg. Camera, v. SAVIGNANO, / Gruppi<br />

parlamentari, Napoli 1965, pagg. 171-178.


238 Gli organi della Camera<br />

Strutturalmente, trattasi una riunione comune dell'Ufficio di Presidenza<br />

con i titolari della Presidenza di altri organi - Commissioni permanenti<br />

e Gruppi parlamentari (56) - per un fine specifico ed esclusivo:<br />

l'organizzazione dei lavori parlamentari, o per un certo arco temporale,<br />

o per la discussione di un determinato argomento, nei modi che abbiamo<br />

già esaminato occupandoci delle funzioni del Presidente della Camera,<br />

al quale soltanto appartiene Finiziativa della sua convocazione.<br />

Del giorno e dell'ora della riunione il Presidente della Camera è<br />

tenuto a dare avviso al Governo, perché questo possa far assistere alla<br />

Conferenza un suo rappresentante (che è in genere il Ministro senza<br />

portafoglio incaricato dei rapporti tra Governo e Parlamento). La partecipazione<br />

del Governo trova il suo fondamento nell'interesse dell'esecutivo<br />

a conoscere l'ordine dei lavori della Camera e a fare in modo,<br />

per quanto possibile, che esso sia coordinato con l'attività governativa<br />

(57) : tuttavia il suo rappresentante si limita ad « assistere » alle sedute<br />

della Conferenza, senza concorrere - almeno formalmente - alle<br />

sue eventuali deliberazioni finali, opponendosi a ciò lo schema formale,*<br />

accolto dalla Costituzione, della netta separazione tra organi dello Stato<br />

appartenenti a poteri diversi (58).<br />

Quando la Conferenza provvede ad organizzare il calendario parlamentare<br />

per un certo periodo di tempo, deve pervenire a conclusioni<br />

unanimi, che assumano il carattere di « accordi » tra i gruppi (art. 13-bis<br />

Reg. Camera, 2° comma). Solo in tale ipotesi le conclusioni della Conferenza<br />

sono comunicate all'Assemblea dal Presidente, nella seduta immediatamente<br />

successiva (59); l'Assemblea, tuttavia, resta sovrana di decidere<br />

sulla propria attività in modo difforme (60).<br />

(56) Come abbiamo già osservato, a sottolineare la preminente importanza che<br />

assumono in questa Conferenza i Presidenti dei Gruppi sta il fatto che nel linguaggio<br />

parlamentare corrente essa viene solitamente indicata come « Conferenza dei capigruppo<br />

».<br />

(57) Cfr. CUOMO, Unità ed omogeneità nel Governo parlamentare, Napoli 1957,<br />

pag. 200.<br />

(58) Cfr. SA VIGNANO, op. cit., pag. 111.<br />

(59) « Quando un Presidente di Gruppo è contrario all'accordo, il Presidente<br />

della Camera non dà seguito alla comunicazione di cui al 2° comma dell'art. 13-bis » :<br />

così l'on. Ambrosini nella seduta del 17 marzo 1950, discutendosi l'introduzione dello<br />

stesso art. 13-bis nel Regolamento. V. su questo punto FERRARA, op. cit., pag. 89 (in<br />

nota); SA VIGNANO, op. cit., pagg. 178-179.<br />

(60) Precedenti in questo senso sono riportati in « Giurisprudenza costituzionale »,<br />

1958, pag. 791. In senso contrario si pronunciò il Presidente della Camera on. Leone<br />

nella seduta del 20 febbraio 1960, affermando che il calendario dei lavori fissato dalla<br />

Conferenza dei Presidenti « non può essere modificato dall'Assemblea senza previa<br />

riconvocazione della Conferenza stessa». (Cfr. MOHRHOFF, Procedura parlamentare -<br />

Dottrina e massimario, Roma 1963, pag. 89).


Gli organi della Camera 239<br />

Quando invece si tratta di organizzare un particolare dibattito, la<br />

proposta del Presidente per la convocazione della Conferenza può essere<br />

fatta soltanto dopo il terzo giorno dell'iscrizione dell'argomento all'ordine<br />

del giorno e deve essere previamente approvata dall'Assemblea,<br />

che vota per alzata e seduta, sentiti un oratore contro e uno in favore,<br />

per non più di 15 minuti ciascuno. Anche in questo caso la Conferenza<br />

(61) deve cercare, per quanto possibile, di pervenire a decisioni confortate<br />

da un accordo unanime tra i Gruppi sul numero prevedibile delle<br />

sedute, sulla loro data, sugli interventi e sulla loro durata; ma può anche<br />

deliberare a maggioranza, senza che i Gruppi eventualmente dissenzienti<br />

o i singoli deputati abbiano il diritto di sottrarsi all'organizzazione<br />

della discussione così stabilita. Le decisioni della Conferenza sono<br />

infatti, in questa ipotesi, vincolanti per l'Assemblea, che ad essa ha in<br />

sostanza delegato con votazione preventiva la disciplina del dibattito in<br />

questione, svincolandolo dalle norme regolamentari che ordinariamente<br />

lo disciplinano.<br />

In questo caso anche gli interventi sono rigorosamente condizionati<br />

(salvo che per le dichiarazioni di voto) alle designazioni dei Gruppi parlamentari,<br />

a causa del divieto di nuove iscrizioni nel corso della discussione.<br />

Né si ritiene che possa essere ulteriormente usato lo strumento<br />

della chiusura della discussione di cui all'art 82 Reg. Camera: questo<br />

strumento, di solito impiegato a sfavore delle minoranze, viene infatti<br />

vantaggiosamente sostituito da questo che il Presidente della Camera<br />

on. Gronchi definì, nella seduta del 17 marzo 1950, come « un sistema<br />

concordato di autolimitazione », tale da snellire la discussione, e insieme<br />

da consentire a tutti i Gruppi di far sentire la loro voce.<br />

La « Conferenza dei Presidenti » può anche concordare norme particolari<br />

per l'esame in Commissione degli ordini del giorno e degli emendamenti<br />

al disegno di legge sul bilancio di previsione dello Stato (art. 32<br />

Reg. Camera, 5° comma).<br />

I verbali della « Conferenza dei Presidenti » sono redatti dal Segnano<br />

generale della Camera (art. 4 Reg. dei Servizi e del Personale).<br />

(61) Non sembra avere fondamento la tesi del SAVIGNANO {pp. ciu, pagg. 111-<br />

112), secondo cui in questo caso alla Conferenza non dovrebbe assistere il rappresentante<br />

del Governo: vi osta, infatti, oltre alla prassi della Camera, la lettera dell'art.<br />

U-bis Reg. Camera, che al 3° comma (quello che regola appunto tale ipotesi)<br />

opera un rinvio al 1° comma, il quale chiaramente prevede che alla Conferenza assista<br />

il rappresentante del Governo.


240 Gli organi della Camera<br />

La « Conferenza dei Presidenti » - che nella pratica parlamentare<br />

si è riunita spesso, specie per organizzare il calendario dei lavori per un<br />

certo periodo di tempo, assai utilmente contribuendo al buon andamento<br />

dell'attività parlamentare - non ha affatto assunto nel nostro ordinamento<br />

quel carattere di crescente vincolatività e di conseguente progressivo<br />

esautoramento delle funzioni del Presidente, che ha avuto l'analogo<br />

organo nella IV Repubblica francese. Le sue competenze non sono<br />

infatti tali da poter comunque pregiudicare quelle rigorosamente riservate<br />

dalla Costituzione e dal Regolamento al Presidente della Camera<br />

(62), che, del resto, la presiede, e la convoca soltanto quando lo ritiene<br />

opportuno.<br />

Lo conferma esplicitamente l'ultimo comma dell'art. 13-bis Reg.<br />

Camera, secondo cui, anche in presenza delle decisioni della Conferenza<br />

dei Presidenti, « restano fermi tutti i poteri del Presidente per assicurare,<br />

a norma dell'art. 10, il buon andamento dei lavori della Camera ».<br />

I GRUPPI PARLAMENTARI.<br />

10. - Lo Stato disegnato dalla Costituzione è insieme uno Stato parlamentare<br />

e uno Stato di partiti. La Costituzione ha riconosciuto nei<br />

partiti gli strumenti di elezione perché i cittadini possano « concorrere<br />

con metodo democratico a determinare la politica nazionale » (art. 49<br />

Cost). Il Parlamento è l'organo nel quale si manifestano, si raccolgono<br />

e si contrappongono le idee e le forze che, sorgendo dalle profondità della<br />

vita della nazione e facendosi valere attraverso i partiti, aspirano ad<br />

assumere la direzione dello Stato; e nel Parlamento i partiti, esprimendo<br />

volta a volta la maggioranza da cui trae vita il Governo, possono giungere<br />

pacificamente alla direzione della vita collettiva ed esercitarla, senza<br />

inibire ad alcuna altra idea o forza di operare legalmente per raggiungere<br />

lo stesso risultato (63).<br />

L'organo di collegamento e di sutura tra partito e Parlamento è il<br />

Gruppo parlamentare, in cui si riuniscono deputati di una stessa corrente<br />

politica per dare il massimo di efficacia alla loro azione nella Ca-<br />

(62) Contra MOHRHOFF, secondo il quale « la Presidenza da organo deliberante<br />

viene trasformata in organo esecutivo delle decisioni del Comitato dei Presidenti di<br />

Gruppo » (in Introduzione a uno studio degli aspetti storico-politici, giuridico-costituzionali<br />

e regolamentari-consuetudinari dell'istituto presidenziale nel Parlamento italiano<br />

(1848-1963), Roma 1963, pag. 61). Nel senso del testo LONGI-STRAMACCI, // Regolamento<br />

della Camera, cit., pag. 29.<br />

(63) Cfr. VALITUTTI, / partiti politici e la libertà, Roma 1966, pag. 195.


Gli organi della Camera 241<br />

mera cui appartengono. H Gruppo parlamentare, pertanto, è collocato<br />

nel punto più delicato e nevralgico del sistema: organo di una Camera,<br />

è contemporaneamente considerato un organo di partito nell'ordinamento<br />

interno dei partiti stessi (64); strumento per introdurre in una Camera<br />

la voce dei partiti, è insieme anche strumento per inibire ogni rilevanza<br />

parlamentare ai partiti come tali, che sono ignorati dai Regolamenti<br />

delle Camere, e le cui decisioni e determinazioni non possono influire<br />

sull'attività del Parlamento, se non vengono recepite e fatte proprie dai<br />

Gruppi parlamentari.<br />

I Gruppi parlamentari furono introdotti nel Regolamento della Camera,<br />

insieme con le Commissioni permanenti, con le modifiche regolamentari<br />

approvate nella seduta antimeridiana del 26 luglio 1920 (e con<br />

i numerosi emendamenti approvati nella seduta pomeridiana del 6 agosto<br />

1920 e nelle sedute antimeridiane del 22 e 23 giugno 1922). Si trattò<br />

di un naturale portato dell'introduzione del sistema proporzionale per le<br />

elezioni dei deputati, avvenuta con l'elezione del 1919 (65): avuto il<br />

suo riconoscimento in sede elettorale, la realtà dei partiti non poteva<br />

non essere subito dopo riconosciuta anche in sede parlamentare.<br />

La Camera dei deputati subì allora una profonda trasformazione<br />

strutturale. Precedentemente, con le elezioni per collegi uninominali, la<br />

Camera era politicamente poco differenziata, e la personalità di ogni<br />

deputato indipendente da quella dell'altro, e con essa fungibile: e la<br />

principale articolazione interna - ai fini soprattutto dell'esame preliminare<br />

dei progetti di legge - era rappresentata dagli « Uffici » a competenza<br />

indifferenziata (nove nel 1900), ai quali tutti i deputati erano<br />

iscritti per sorteggio all'inizio di ogni sessione. Questo sistema, nonostante<br />

autorevoli critiche (tra cui quelle del Cavour e del Crispi), era<br />

durato più o meno immutato appunto fino al 1920, quando si introdusse<br />

- sulla base di precedenti proposte dell'on. Modigliani (66) - la fondamentale<br />

innovazione di costituire gli Uffici non più per estrazione a sorte,<br />

ma per volontaria adesione politica. Nascevano così i Gruppi parlamentari,<br />

i quali, anche se inizialmente continuarono a chiamarsi con il<br />

(64) Considera ì Gruppi parlamentari esclusivamente organi di partito il RE-<br />

SCIGNO (L'attività di diritto privato dei Gruppi parlamentari, in « Giurisprudenza costituzionale<br />

», 1961, pag. 295). Ma aveva già osservato su questo punto il VIRGA: «Considerare<br />

il Gruppo parlamentare come un semplice organo del partito politico significa<br />

non solo confondere figure giurìdiche del tutto distinte, ma disconoscere la peculiare<br />

posizione che al deputato, quale membro di un organo statale, l'ordinamento costituzionale<br />

riserva ». (// partito politico nell'ordinamento giuridico, Milano 1948, pag. 183).<br />

(65) V. in argomento AMBROSINO Partiti politici e Gruppi parlamentari dopo<br />

la proporzionale, Firenze 1921.<br />

(66) V. ASTRALDI-COSENTINO, / nuovi regolamenti, cit., pag. 66.


242 Gli organi della Camera<br />

nome di « Uffici », anche se non ebbero subito la precisa individuazione<br />

politica che posseggono attualmente e presentarono ancora per qualche<br />

tempo quella vaga caratterizzazione che derivava dalla lunga tradizione<br />

del collegio uninominale, determinarono comunque la formazione in<br />

Parlamento di Gruppi di deputati eletti nelle stesse liste e politicamente<br />

omogenei, in logica correlazione con l'evoluzione dello Stato verso un<br />

regime proporzionalistico e pluripartitico.<br />

In un primo tempo, la funzione dei Gruppi parlamentari (o Uffici)<br />

fu soltanto quella di designare a scrutinio segreto i loro rappresentanti<br />

(67) in appositi organi, che furono contestualmente creati per l'esame<br />

preliminare dei progetti di legge: le Commissioni permanenti, specializzate<br />

per materia e formate in modo da garantire in ciascuna di esse<br />

una equa distribuzione delle forze politiche, proporzionale a quella esistente<br />

nell'Assemblea.<br />

Le limitate funzioni assegnate ai Gruppi (o Uffici) indussero a dettare<br />

soltanto poche norme sulla loro organizzazione interna e sul potere<br />

di designazione loro attribuito. Ma non mancò, fin dal primo momento*<br />

qualche previsione sul loro futuro sviluppo e sul possibile ampliamento<br />

delle loro funzioni: anzi, in sede di discussione di tali modifiche regolamentari<br />

si propose addirittura di conferire ai Gruppi (o Uffici) il compito<br />

di procedere ad un esame preliminare dei progetti di legge, in modo<br />

da conferire un preciso mandato ai loro rappresentanti nelle Commissioni,<br />

evitando che questi imponessero le proprie soggettive opinioni (68).<br />

La proposta fu però respinta, per lasciare nettamente distinte le funzioni<br />

dei Gruppi (o Uffici), come organi di designazione politica, da<br />

quelle delle Commissioni permanenti, come organi istruttori i quali - osservò<br />

il relatore on. Modigliani (69) - « saranno certamente influenzati<br />

dal pensiero vivo e continuativo dei Gruppi che li hanno creati », e daranno<br />

« alla formazione istruttoria dei disegni di legge quel carattere<br />

di interpretazione diretta del pensiero dei vari Gruppi, che varrà a rendere<br />

l'istruttoria parlamentare più sollecita, più viva e più coordinata ».<br />

Questo sistema fu abrogato con l'avvento al potere del fascismo:<br />

la Camera eletta il 9 aprile 1924 con un sistema prevalentemente maggioritario<br />

approvò, tra i primi suoi atti, una mozione Grandi in questo<br />

(67) Disse pittorescamente il relatore di queste modifiche regolamentari, on. Modigliani,<br />

nella seduta del 24 luglio 1920 : < Vi sono degli animali che hanno dalla natura<br />

questa funzione, di procreare e di morire. L'Ufficio, cosi come sarà costituito,<br />

procrea e muore ». I Gruppi eleggevano nelle Commissioni un delegato per ogni<br />

20 deputati iscrìtti (o frazione di 20 superiore a 10).<br />

(68) Questa proposta fu avanzata dall'on. Camera nella seduta del 24 luglio 1920.<br />

(69) Nella seduta del 24 luglio 1920.


Gli organi della Camera 243<br />

senso, e tornò al sistema degli Uffici composti per sorteggio. L'on. Grandi<br />

espresse in quella occasione l'opinione dei due terzi dei deputati<br />

(quelli cioè della maggioranza), che non intendevano - egli disse -<br />

« essere ascrìtti ad alcun Ufficio politico né assumere qualificazione diversa<br />

da quella di sostenitori tenaci e collaboratori fedeli dell'opera del<br />

Governo » : e la sua proposta fu approvata, nonostante molti interventi<br />

contrari - tra cui quelli degli on.li Labriola, Matteotti, Modigliani, Tupini<br />

~ e un ordine del giorno Guarino-Amelia che sosteneva non potersi<br />

prescindere dal sistema dei partiti e dei Gruppi politici nel procedimento<br />

per l'esame preliminare dei progetti di legge.<br />

Dopo il periodo fascista, l'Assemblea Costituente (come poi la nuova<br />

Camera) adottò il Regolamento della Camera dei deputati approvato<br />

il 10 luglio 1900, con le successive modificazioni fino al 1922: si ripristinò,<br />

cioè, il sistema dei Gruppi parlamentari (ancora chiamati « Uffici<br />

», fino al coordinamento del 1949) e delle Commissioni permanenti.<br />

Nelle legislature post-fasciste, come il centro di interesse del fatto<br />

elettorale si è sempre più spostato dal singolo candidato alla lista di<br />

partito, così i Gruppi parlamentari hanno assunto un'importanza sempre<br />

maggiore nella organizzazione e nell'attività delle Camere (70); ne<br />

è divenuta via via più rigorosa la disciplina interna; dal punto di vista<br />

normativo, ne è aumentata la rilevanza nel Regolamento e soprattutto<br />

nella prassi parlamentare. I Gruppi hanno praticamente esteso il loro<br />

intervento su tutta l'attività del Parlamento, con implicazioni della massima<br />

importanza, specie in ordine ai mutamenti che ciò ha comportato<br />

nello status dei deputati e nei loro tradizionali rapporti con la Presidenza.<br />

Questa realtà dei Gruppi ha ottenuto anche un liconoscimento costituzionale:<br />

la Costituzione menziona infatti espressamente i Gruppi parlamentari<br />

all'art. 72, in tema di Commissioni in sede legislativa, e all'art<br />

82, in tema di Commissioni di inchiesta, stabilendo che per la composizione<br />

di questi organi tipici per l'esercizio delle più importanti funzioni<br />

parlamentari - la legislativa e l'ispettiva - deve essere rispettata<br />

la proporzione tra i Gruppi (71).<br />

(70) Il SAVIGNANO {pp. cit., pag. 224) afferma addirittura che in tal modo il<br />

Parlamento « si è trasformato in un'associazione di Gruppi parlamentari».<br />

(71) « I Gruppi parlamentari - disse il sen. Persico nella seduta del Senato<br />

del 3 giugno 1948 - sono entrati nella Costituzione a bandiere spiegate; questa costituisce<br />

una delle caratteristiche più salienti della nostra Costituzione, ed io ricordo<br />

che quando si fece la discussione sulla relazione dei 75, ci fu chi si lamentò che non<br />

si era data abbastanza importanza alla divisione del paese in partiti e alla loro funzione<br />

e che sarebbe stata opportuna una regolamentazione della vita dei partiti, perché<br />

la vita politica dello Stato era ormai basata su questa nuova attività ».


244 Gli organi della Camera<br />

11. - Il nostro ordinamento non prevede l'automatico travaso in un<br />

Gruppo parlamentare degli eletti in una determinata lista: e ciò anche<br />

in conseguenza del principio generale per cui i deputati rappresentano<br />

la nazione ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato<br />

(art. 67 Cost). Pertanto anche se, normalmente, la candidatura in una<br />

determinata Usta comporta l'appartenenza al partito che quella lista esprime,<br />

e ha per conseguenza dopo l'elezione l'adesione al Gruppo parlamentare<br />

di quel partito, ciò può anche non avvenire (72) : perciò il Regolamento<br />

della Camera esige una esplicita manifestazione di volontà del<br />

deputato eletto, che entro due giorni dalla prima seduta dell'Assemblea<br />

deve precisare al Segretario generale della Camera a quale Gruppo politico<br />

sia iscritto (art. 26 Reg. Camera, 1° comma). Questa dichiarazione<br />

è obbligatoria: dal che si deduce che anche la costituzione dei Gruppi<br />

parlamentari deve ritenersi parimenti obbligatoria (73).<br />

Sulla base delle dichiarazioni dei deputati possono verificarsi le seguenti<br />

ipotesi:<br />

a) se almeno venti deputati dichiarino di aderire allo stesso Gruj><br />

pò, si può procedere senz'altro alla sua costituzione;<br />

b) i deputati iscritti a un Gruppo che non raggiunga il numero di<br />

venti aderenti possono unirsi a un Gruppo affine, purché assieme raggiungano<br />

il numero di venti aderenti: anche in questo caso si può procedere<br />

senz'altro alla costituzione del Gruppo, restando la valutazione<br />

dell'« affinità » esclusivamente rimessa ai Gruppi unificandi;<br />

e) i deputati iscritti ad un Gruppo che non raggiunga il numero<br />

di venti aderenti possono chiedere di costituire egualmente il Gruppo<br />

stesso, purché esso rappresenti un partito organizzato nel paese che abbia<br />

presentato liste di candidati in tutte le circoscrizioni - ad eccezione della<br />

Valle d'Aosta - aventi il medesimo contrassegno, le quali abbiano ottenuto<br />

almeno un quoziente in una circoscrizione e una cifra elettorale<br />

nazionale di almeno 300 mila voti di lista validi (74): in tale ipotesi si<br />

(72) Alcuni statuti di partito prescrivono esplicitamente per i propri iscritti eletti<br />

alle Camere l'obbligo di aderire ai rispettivi Gruppi parlamentari. Trattasi comunque<br />

di un obbligo irrilevante per l'ordinamento della Camera. Tra i due fatti non esiste<br />

una precisa correlazione giuridica: si ricorda, per esempio, che il 24 luglio 1947<br />

l'on. Corbino si dimise dal Gruppo liberale, di cui era Presidente, dichiarando che<br />

non intendeva peraltro uscire dal Partito liberale italiano, di cui quel Gruppo era<br />

emanazione.<br />

(73) Cfr. SAVIGNANO, op. cìt., pagg. 28-31.<br />

(74) Sono le stesse condizioni poste dalla legge elettorale del 1957 perché una<br />

lista possa partecipare alla utilizzazione dei « resti » in sede nazionale. Prima di queste<br />

disposizioni, introdotte nel 1964, la formazione di un Gruppo parlamentare in deroga<br />

al numero minimo prescritto di componenti era consentita a condizione che esso<br />

rappresentasse un partito organizzato nel paese e comprendesse almeno 10 iscritti.


Gli organi della Camera 245<br />

potrà « eccezionalmente » procedere alla costituzione del Gruppo su autorizzazione<br />

dell'Ufficio di Presidenza, che dovrà valutare l'effettiva eccezionalità<br />

del caso e potrà anche negare tale autorizzazione, specie per<br />

evitare la formazione incontrollata di Gruppi di scarsa consistenza;<br />

d) i deputati che non abbiano fatto la dichiarazione di iscrizione<br />

ad un Gruppo, o abbiano aderito ad un Gruppo che non ha i requisiti<br />

per costituirsi, o abbiano dichiarato di non voler aderire ad alcun Gruppo,<br />

vanno a formare un unico « Gruppo misto », che si costituisce con<br />

le stesse formalità degli altri (art. 26 Reg. Camera, 4° comma).<br />

La formazione del « Gruppo misto » è una naturale conseguenza del<br />

principio dell'obbligatorietà per tutti i deputati di far parte di un Gruppo<br />

parlamentare, che è sancito nel Regolamento, e che ha anche importanti<br />

riflessi - come vedremo - nella composizione delle Commissioni.<br />

Il « Gruppo misto », riunendo i deputati indipendenti dai Gruppi<br />

politici o aderenti a Gruppi politici di consistenza così esigua da non<br />

poter costituire un autonomo Gruppo parlamentare, fa salva l'unitarietà<br />

del sistema e permette nel contempo ai suoi componenti di esercitare<br />

pienamente il mandato parlamentare, a parità di diritti con gli altri<br />

deputati.<br />

Il « Gruppo misto » non è però, ovviamente, un Gruppo politico in<br />

senso proprio, mancando in esso l'omogeneità politica e la volontarietà<br />

dell'iscrizione, che avviene d'ufficio. Per questo, nonostante che il Gruppo<br />

misto abbia le stesse funzioni ed operi esattamente come gli altri,<br />

nella pratica si cerca di tener conto di queste sue particolari caratteristiche<br />

che lo differenziano dai Gruppi politici veri e propri, anche per<br />

evitare che l'iscrizione ad esso comprima eccessivamente la pienezza di<br />

esercizio del mandato parlamentare (75). Ciò vale sia per quanto riguarda<br />

la composizione delle Commissioni, che deve avvenire in modo<br />

da non alterare l'equilibrio tra maggioranza e opposizione (mentre nel<br />

Gruppo misto vi possono essere deputati dell'uno e dell'altro schieramento);<br />

sia nell'organizzazione vera e propria dei lavori (lo stesso Regolamento<br />

stabilisce in un caso di particolare rilevanza - quello dell'organizzazione<br />

di un dibattito ai sensi dell'art. 13-6/s Reg. Camera, 3° comma<br />

- che i deputati iscritti a parlare e non rappresentati da un Gruppo<br />

politico debbano essere « sentiti » dalla Conferenza dei Presidenti, nonostante<br />

che di questa faccia parte il Presidente del Gruppo misto).<br />

(75) Sulle critiche e sulle proposte di soppressione del Gruppo misto, e sui<br />

relativi dibattiti, v. SAVIGNANO, op. cit., pagg. 55-57 (specialmente in nota) e pag. 106.<br />

V. anche LONGI-STRAMACCI, Il Regolamento della Camera, cit., pagg. 61-62.


246 Gli organi della Camera<br />

Entro quattro giorni dalla prima seduta dell'Assemblea, il Presidente<br />

della Camera indice le convocazioni, simultanee ma separate, dei<br />

deputati appartenenti ai Gruppi già formatisi sulla base delle quattro<br />

ipotesi sopra ricordate. L'invito di convocazione è, per prassi, rivolto<br />

genericamente a tutti gli aderenti ai Gruppi, e non specificamente indirizzato<br />

ai singoli deputati.<br />

Ciascun Gruppo riunito in Assemblea procede alla propria costituzione,<br />

nominando il Presidente e l'Ufficio di Presidenza (art. 27 Reg.<br />

Camera, 1° comma). Per l'elezione di queste cariche il Regolamento<br />

della Camera non detta norme precise: valgono dunque per esse le autonome<br />

determinazioni dei Gruppi (spesso canonizzate in propri statuti<br />

e regolamenti), sia per quanto concerne le modalità della votazione, sia<br />

per le cariche da eleggere (76).<br />

È peraltro sempre necessaria l'elezione di un Presidente, espressamente<br />

prevista dall'art. 27 Reg. Camera. Il Presidente provvede poi a<br />

convocare le riunioni dell'Assemblea del Gruppo successive alla prima.<br />

Quanto alle altre sue funzioni, egli dovrebbe essere più che altro un<br />

primus Inter paresi in questo spirito alcuni statuti di Gruppo prevedono<br />

che, ove siano in conflitto diverse tesi nell'Assemblea di Gruppo e si<br />

voti, il Presidente debba astenersi, salvo il caso di parità di voti, in cui<br />

il suo voto prevale. I Presidenti dei Gruppi partecipano inoltre alla<br />

« Conferenza dei Presidenti » di cui all'art. 13-bis Reg. Camera, nella<br />

quale esprimono la volontà del Gruppo che li ha eletti. In un altro caso<br />

il Regolamento dà ai Presidenti dei Gruppi la funzione di esprimere la<br />

volontà di questi, con rilevanti effetti per la procedura da seguire nei lavori<br />

dell'Assemblea: l'art. 15 Reg. Camera, 2° comma, prevede che, su<br />

richiesta di un Presidente di Gruppo, le proposte di modificazioni o aggiunte<br />

al Regolamento debbano ottenere la maggioranza assoluta dei voti<br />

dei componenti l'Assemblea per poter essere approvate. Ai Presidenti<br />

(76) Le norme regolamentari inizialmente approvate nel 1920 prevedevano invece<br />

che i Gruppi venissero convocati dal Presidente della Camera entro otto giorni<br />

dall'apertura della legislatura, e sempreché fossero pervenuti almeno i due terzi delle<br />

dichiarazioni di iscrizione dei singoli deputati ai Gruppi (o t Uffici »). La riunione<br />

era presieduta provvisoriamente dal più anziano di deputazione, mentre il più giovane<br />

di età fungeva da Segretario. Si doveva procedere all'elezione di un Presidente,<br />

di un Vicepresidente, di un Segretario e di un Vicesegretario. Le sedute non erano<br />

valide se, dopo un'ora dalla convocazione, non vi fosse intervenuto almeno un terzo<br />

dei deputati iscritti; in difetto, il Presidente della Camera doveva convocare il Gruppo<br />

(o « Ufficio ») entro i due giorni successivi per una seconda convocazione, valida qualunque<br />

fosse il numero degli intervenuti. In seguito si è preferito lasciare ai Gruppi,<br />

per i motivi accennati nel testo, una più ampia autonomia normativa.


Gli organi della Camera 247<br />

dei Gruppi competono inoltre funzioni rappresentative in particolari cerimonie<br />

e in altre occasioni formali.<br />

Oltre al Presidente, l'Assemblea di Gruppo può nominare Vicepresidenti<br />

e Segretari (anche Segretari amministrativi), in numero variabile.<br />

In qualche Gruppo si elegge un Comitato direttivo, le cui<br />

funzioni dovrebbero essere limitate al lavoro organizzativo, tecnico e<br />

preparatorio, giacché, se esso impartisse disposizioni vincolanti per i deputati,<br />

finirebbe per violare il divieto di mandato imperativo di cui all'articolo<br />

67 Cost. I deputati, infatti, non possono essere tenuti all'osservanza<br />

di deliberazioni che non abbiano essi stessi contribuito a formare:<br />

nei Gruppi, pertanto, ha funzioni deliberanti soltanto l'Assemblea<br />

plenaria dei deputati iscritti.<br />

Una volta che abbiano proceduto alla propria costituzione, i Gruppi,<br />

a mezzo dei loro organi direttivi, ne danno notizia al Presidente della<br />

Camera, informandolo anche dell'esito delle elezioni del Presidente e<br />

dell'Ufficio di Presidenza. Gli stessi adempimenti sono previsti per il<br />

caso di variazioni nel corso della legislatura. Di tutti questi atti il Presidente<br />

della Camera dà comunicazione all'Assemblea.<br />

Il numero e la composizione dei Gruppi possono variare nel corso<br />

della legislatura (77), ma sempre per libera e autonoma determinazione<br />

dei loro componenti, non avendo formalmente alcun rilievo a questo riguardo,<br />

come abbiamo già detto, le decisioni dei partiti politici cui i<br />

Gruppi stessi siano eventualmente collegati. Pertanto, così come un deputato<br />

che lasci il partito nelle cui liste è stato eletto non perde il suo mandato,<br />

nello stesso modo l'espulsione o altre misure disciplinari adottate<br />

dal partito a carico di un deputato non hanno effetto nel Gruppo se questo<br />

non le faccia proprie.<br />

Il deputato che abbandoni un Gruppo, ove non si iscriva ad altro<br />

Gruppo, è assegnato d'ufficio al Gruppo misto. I Gruppi possono anche<br />

fondersi tra loro e procedere ad una nuova costituzione del Gruppo così<br />

allargato; inversamente, quando un certo numero di deputati già appartenenti<br />

ad uno o più Gruppi decida di formarne uno nuovo, può farlo alle<br />

condizioni e nei modi previsti per la costituzione di un Gruppo all'inizio<br />

della legislatura.<br />

(77) Il SAVIGNANO (op. cit., pagg. 59-61), con ampi richiami ai lavori preparatori<br />

dell'attuale art. 26 Reg. Camera, sostiene che esso implicitamente esclude l'ammissibilità<br />

della formazione di Gruppi parlamentari nel corso della legislatura: ma, a parte<br />

ogni altra considerazione, la prassi della Camera è in senso del tutto contrario (vedasi<br />

la formazione del Gruppo parlamentare del Partito democratico italiano, annunciata<br />

alla Camera il 16 aprile 1959, e quella del Gruppo parlamentare del Partito<br />

socialista italiano di unità proletaria, annunciata alla Camera il 20 gennaio 1963).


248 Gli organi della Camera<br />

Se poi, a seguito di dimissioni, un Gruppo scenda al di sotto del numero<br />

di componenti prescritto per la sua formazione, il Gruppo stesso<br />

- ove non si fonda con altro Gruppo affine, o non ottenga dall'Ufficio di<br />

Presidenza l'autorizzazione di cui all'ultimo comma dell'art. 26 Reg. Camera<br />

- va sciolto, e i suoi componenti iscritti d'ufficio al Gruppo misto<br />

(sempreché non si iscrivano individualmente ad altri Gruppi).<br />

In mancanza di una precisa disciplina di tali ipotesi nel Regolamento,<br />

si deve ritenere, per analogia, che per dare attuazione a questi atti sia<br />

sufficiente che i deputati o i Gruppi interessati ne diano formale comunicazione<br />

al Segretario generale della Camera (salvo il caso della costituzione<br />

di un nuovo Gruppo con meno di venti iscritti, che deve essere previamente<br />

autorizzata dall'Ufficio di Presidenza).<br />

Di questi atti il Presidente della Camera informa poi l'Assemblea, per<br />

una prassi ormai consolidata, in modo che la composizione dei Gruppi sia<br />

sempre certa e nota.<br />

Su tutti gli eventuali reclami circa la costituzione e la convocazione<br />

dei Gruppi è competente a decidere l'Ufficio di Presidenza della Camera<br />

(art. 27 Reg. Camera, ultimo comma).<br />

12. - Il Regolamento non dà precise indicazioni sulle funzioni dei<br />

Gruppi parlamentari, limitandosi a stabilire che essi concorrono alla formazione<br />

di altri organi: anzitutto delle Commissioni permanenti, che<br />

sono formate in base alle loro designazioni (78), come vedremo meglio<br />

trattando specificamente di questi organi (artt. 27, 28, 29 Reg. Camera);<br />

delle Commissioni speciali (art. 31 Reg. Camera) e delle Commissioni<br />

di inchiesta (art. 136 Reg. Camera), che devono essere composte, come<br />

prescrive la Costituzione, rispettando la proporzionalità fra i Gruppi;<br />

della Commissione inquirente per i procedimenti di accusa (nei modi<br />

previsti dall'art. 2 Reg. per i procedimenti d'accusa); della « Conferenza<br />

dei Presidenti », cui intervengono i Presidenti dei Gruppi<br />

(art. 13-bis Reg. Camera); delle deputazioni della Camera, in cui tutti<br />

i Gruppi debbono essere rappresentati (art. 138 Reg. Camera). Né il Regolamento<br />

si occupa delle norme procedurali che debbono valere all'interno<br />

dei Gruppi, lasciandoli liberi di deliberare un proprio regolamento<br />

o di seguire, in difetto, le norme di quello della Camera, in quanto applicabili.<br />

(78) Sulla correlazione tra il precetto costituzionale che sancisce semplicemente<br />

il principio della rappresentanza proporzionale dei Gruppi nelle Commissioni deliberanti<br />

e d'inchiesta, e la designazione dei commissari da parte dei Gruppi sancita nei<br />

Regolamenti parlamentari, e sui relativi dibattiti, v. SAVIGNANO, op. cit., pagg. 26-28.


Gli organi della Camera 249<br />

La ragione è evidente: i Gruppi, più che funzioni di carattere giuridico,<br />

hanno funzioni di carattere politico, che sfuggono ad una precisa<br />

previsione normativa, e rispetto alle quali risponde anzi ad un principio<br />

garantista lasciare loro - una volta fìssati determinati caposaldi -<br />

il massimo di autorganizzazione e di autodisciplina (79).<br />

In conseguenza di questi princìpi, le deliberazioni dei Gruppi sono<br />

sottratte a qualsiasi controllo da parte di altri organi della Camera (fatta<br />

eccezione per il procedimento di convocazione e di costituzione, sul quale<br />

è possibile, come abbiamo visto, un controllo dell'Ufficio di Presidenza).<br />

I deputati possono pertanto ricorrere contro presunte illegittimità di tali<br />

deliberazioni soltanto davanti ad organi interni del Gruppo, ove ciò sia<br />

previsto dall'ordinamento del Gruppo stesso.<br />

I deputati, iscrivendosi ad un Gruppo, si sottopongono infatti al<br />

suo ordinamento interno, che comporta l'obbligo di partecipare alle sedute<br />

e di uniformarsi alle decisioni che l'Assemblea del Gruppo adotta<br />

sulle varie questioni, ordinariamente con votazioni a maggioranza (per<br />

queste votazioni, in mancanza di esplicite norme degli statuti interni,<br />

valgono le norme del Regolamento della Camera sul funzionamento degli<br />

organi collegiali in genere). I deputati debbono anche rispondere dell'adeguamento<br />

della loro attività in seno alle Commissioni agli indirizzi<br />

politici del Gruppo che ad esse li ha designati (80).<br />

La mancata osservanza dei doveri di gruppo dà solitamente luogo<br />

a sanzioni disciplinari (richiami, sospensioni, espulsione dal Gruppo).<br />

La subordinazione alla disciplina di gruppo non contravviene di<br />

per sé al divieto di mandato imperativo, giacché i parlamentari si assoggettano<br />

liberamente a decisioni alle quali non restano estranei, ma che<br />

anzi concorrono a formare, nel rispetto della regola della maggioranza<br />

che presiede ai lavori di tutti i corpi collegiali (81). Unica eccezione è il<br />

dovere dei deputati iscritti ai Gruppi di uniformarsi alle decisioni dei<br />

Presidenti in materia di organizzazione dei lavori prese in sede di « Conferenza<br />

dei Presidenti » : ma lo status delle deliberazioni della « Conferenza<br />

dei Presidenti » è, come abbiamo visto, del tutto singolare.<br />

Diverso sarebbe se il Gruppo fosse invece tenuto ad uniformarsi<br />

alle decisioni di organi esterni di partito: che in tal caso il « mandato<br />

(79) Scrive in proposito il MANZELLA (Note sull'organizzazione parlamentare, in<br />

«Tempi moderni», n. 32, 1967-68, pag. 30): «La sistemazione istituzionale del Gruppo<br />

parlamentare è, tutto sommato, ancora da inventare; per intanto gli statuti dei Gruppi<br />

continuano a rimanere documenti riservati, e recentemente si è dovuto rinunciare ad<br />

un tentativo di organica raccolta».<br />

(80) V. in argomento SAVIGNANO, op. cit., pagg. 188-190.<br />

(81) Cfr. VIRGA, // partito politico, cit., pag. 182.


250 Gli organi della Camera<br />

imperativo » rischierebbe di divenire una realtà di fatto. È da notare<br />

tuttavia che alcuni statuti di Gruppo prevedono che il Gruppo parlamentare<br />

sia vincolato alle direttive politiche della direzione del partito:<br />

in questi casi il Gruppo - pur conservando sempre una certa autonomia<br />

nel dare esecuzione in sede parlamentare a tali direttive - tende ad inserirsi<br />

nell'organizzazione gerarchica di partito e a divenire un mero<br />

organo tecnico di esso. Nota tuttavia esattamente il Sartori che la disciplina<br />

del Gruppo alle direttive del partito non è mai così sottomessa<br />

come può sembrare all'esterno, ma è spesso « frutto di trattative e transazioni,<br />

nel corso delle quali tutti hanno dovuto concedere per ottenere<br />

» (82).<br />

In altri casi gli statuti, senza prevedere espressamente la subordinazione<br />

del Gruppo al partito, prevedono forme di controllo indirette:<br />

per esempio, attraverso il diritto attribuito a titolari di organi di partito<br />

a partecipare alle riunioni del Gruppo parlamentare, anche con voto<br />

deliberativo.<br />

In ogni caso, l'indipendenza del deputato dal vincolo di grappolo<br />

pur sempre assicurata dalla possibilità di chiedere al Gruppo una dispensa<br />

dalla disciplina interna per una particolare questione (richiesta<br />

che per solito è discussa dall'Assemblea del Gruppo); di prendere la<br />

parola in Assemblea o in Commissione « a titolo personale », e di votare<br />

in difformità dalle decisioni del Gruppo; infine, di uscire dal Gruppo<br />

stesso. È questa una materia che attende ancora una sua organica sistemazione,<br />

in relazione al delicatissimo tema delle implicazioni che non<br />

può non avere il riconoscimento costituzionale dei partiti come strumenti<br />

di elezione perché i cittadini concorrano con metodo democratico<br />

a determinare la politica nazionale (art. 49 Cost), in rapporto al divieto<br />

di mandato imperativo di cui all'art. 67 Cost. (83).<br />

Occorre tuttavia rilevare che, se la funzione precipua dei Gruppi è<br />

certamente quella di esprimere in Parlamento la voce dei partiti organizzati<br />

nel paese (84), nelle forme e nei modi da essi liberamente scelti,<br />

l'attività dei Gruppi è tutt'altro che marginale e irrilevante anche per la<br />

(82) SOMOGYI-LOTTI-PREDIERI-SARTORI, // Parlamento italiano (1946-1963), Napoli<br />

1963, pag. 332.<br />

(83) V. in argomento NEGRI, Profili giuridici della disciplina di partito, in<br />

«Studi politici», 1960, pag. 312, con richiami agli statuti di partito.<br />

(84) La dottrina più recente considera i Gruppi parlamentari come proiezione<br />

o rappresentazione parlamentare dei partiti politici. V., tra gli altri: GALEOTTI, Note<br />

sui partiti nel diritto italiano, in «Justitia», 1958, pag. 256; GUELI, Parlamento e<br />

partiti come problema attuale della democrazia, Milano 1964, pag. 52; SAVIGNANO,<br />

op. cit., pagg. 196-208.


Gli organi della Camera 251<br />

disciplina dei lavori parlamentari, sia attraverso la partecipazione dei loro<br />

Presidenti alla « Conferenza dei Presidenti » per l'organizzazione e l'attività<br />

della Camera, sia in altri modi previsti con crescente frequenza<br />

nel Regolamento e soprattutto nella prassi parlamentare. Così, quando<br />

un dibattito viene « organizzato », il tempo da impiegare nella discussione<br />

viene di solito contingentato e proporzionalmente ripartito tra i<br />

Gruppi, che provvedono poi a farlo rispettare ai loro iscritti; sui richiami<br />

per l'ordine del giorno o al Regolamento, come sulle questioni pregiudiziali<br />

o sospensive, il Presidente suole dare la parola a un rappresentante<br />

per Gruppo, anche in deroga ai limiti posti agli interventi dagli artt. 79<br />

e 89 Reg. Camera.; ecc.<br />

Ma, al di là di queste ipotesi, è evidente l'implicita semplificazione<br />

rappresentata per i lavori della Camera dalle discussioni interne in sede<br />

di Gruppo, che decantano preventivamente le posizioni sulle questioni<br />

che sono poi oggetto di dibattito in Assemblea o nelle Commissioni, e<br />

dagli altri atipici modi con i quali i Gruppi parlamentari agiscono in un<br />

ordinamento pluripartitico, come quello italiano, nel quale la mediazione,<br />

la trattativa, il compromesso rappresentano elementi insostituibili per<br />

la funzionalità del sistema. Come ha felicemente scritto nel 1950 il Presidente<br />

della Camera on. Gronchi, « si può ragionevolmente ritenere che<br />

quanto più e meglio funzioneranno i Gruppi parlamentari e quanto più<br />

questi potranno attendere a un esame preventivo dei provvedimenti e ad<br />

un coordinamento interno delle opinioni, tanto più il lavoro complessivo<br />

della Camera e delle Commissioni guadagnerà in ordine e in rapidità<br />

» (85).<br />

LE COMMISSIONI PARLAMENTARI.<br />

13. - Le Commissioni parlamentari sono organi collegiali ristretti<br />

che riproducono in miniatura la composizione del collegio maggiore<br />

(cioè dell'Assemblea plenaria), rispetto al quale svolgono funzioni preparatorie<br />

o funzioni di decentramento.<br />

Per quanto concerne le funzioni preparatorie, quasi tutti i Parlamenti,<br />

nel complesso quadro delle loro attività, sogliono deferire a collegi<br />

minori almeno una parte di quell'attività istruttoria che sarebbe<br />

difficile espletare nella pletorica sede assembleare (fa parzialmente ecce-<br />

(85) Da una circolare del Presidente della Camera on. Gronchi del 5 febbraio<br />

1950 (pubblicata in Circolari e disposizioni interpretative del Regolamento, cit. pagina<br />

17).


252 Gli organi della Camera<br />

zione il sistema inglese, che affida l'elaborazione preliminare delle leggi<br />

alla stessa Camera riunita in Comitato, cui tutti i deputati possono<br />

partecipare). La Camera italiana, anche per espressa disposizione costituzionale<br />

(art. 72 Cost), non può discutere progetti di legge né altri argomenti<br />

se non dopo un previo esame e in base ad una relazione di una<br />

sua Commissione: si ritiene infatti che l'Assemblea plenaria non possieda<br />

le caratteristiche necessarie per poter deliberare su un determinato<br />

argomento - specialmente su un progetto articolato, destinato a tradursi<br />

in norme giuridiche - senza una adeguata fase preparatoria, che è appunto<br />

quella delle Commissioni in sede referente. La sola eccezione a tale regola<br />

si ha nel campo del sindacato politico-amministrativo, nel quale<br />

l'Assemblea è direttamente investita dei dibattiti su particolari strumenti<br />

parlamentari, come le interrogazioni, le interpellanze e le mozioni: ma<br />

non mancano le proposte per attribuire de iure condendo una competenza<br />

alle Commissioni anche in questo campo.<br />

H punto invece in cui l'ordinamento italiano si distacca completamente<br />

da quello degli altri parlamenti è nella possibilità di decentrare<br />

a collegi minori - appunto, le Commissioni - tutte le competenze del<br />

collegio maggiore in relazione ad un determinato argomento: in genere,<br />

l'esame, la discussione e l'approvazione di un progetto di legge (cosiddetta<br />

« sede legislativa » : art. 72 Cost., terzo comma). Vediamo dunque<br />

come si è arrivati storicamente a questo sistema, la cui originalità, naturalmente,<br />

porta a qualche difficoltà di sistemazione dommatica, specie<br />

per la definizione del tipo di rapporto che così si instaura tra l'organo<br />

Commissione e l'organo complesso Camera (86).<br />

Prima della già accennata riforma regolamentare del 1920, nella<br />

Camera italiana il compito di esaminare in via preliminare i progetti<br />

di legge spettava agli Uffici, estratti a sorte all'inizio di ogni sessione;<br />

ogni Ufficio, per ciascun progetto di legge, nominava un Commissario,<br />

e l'insieme dei Commissari costituiva la Commissione che riferiva alla<br />

Camera (sistema evidentemente ispirato a quello inglese degli Standing<br />

Committees costituiti per ogni progetto di legge; e che comprendeva,<br />

come quello inglese, la possibilità di adottare la procedura delle « tre<br />

letture »).<br />

Le Commissioni permanenti, elette per tutta la sessione, costituivano<br />

un'eccezione: la più importante tra queste - e l'unica competente<br />

(86) V. in argomento: ELIA, Commissioni parlamentari, cit., pag. 900 e segg.,<br />

con ampi riferimenti di dottrina.


Gli organi della Camera 253<br />

in ordine a procedimenti legislativi - era la Commissione dei bilanci e<br />

dei rendiconti consuntivi.<br />

Subentrato nel 1920 il criterio della composizione politica degli Uffici,<br />

l'esame preliminare dei progetti di legge fu affidato a nove Commissioni<br />

permanenti, designate dagli Uffici stessi, proporzionalmente alla<br />

loro consistenza, e con competenza ripartita per materie. Si voleva così<br />

attribuire agli organi istruttori dei lavori dell'Assemblea la stessa fisionomia<br />

politica che questa aveva assunto con l'introduzione della proporzionale,<br />

e nello stesso tempo una fisionomia tecnica specializzata.<br />

Il regime fascista, che inizialmente (come abbiamo visto) aveva eliminato<br />

il sistema delle Commissioni permanenti, in quanto collegate ai<br />

Gruppi parlamentari, e quindi considerate espressione tipica di un ordinamento<br />

pluripartitico, le ripristinò poi con la legge 19 gennaio 1939,<br />

n. 129, istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni. Come è noto,<br />

questa Camera aveva essa stessa carattere « permanente », non rinnovandosi<br />

che per singoli membri : ciò facilitò il ritorno al sistema delle Commissioni<br />

permanenti, che naturalmente non avevano alcun riferimento ai<br />

Gruppi, i quali non esistevano più, ma venivano nominate direttamente<br />

dal Presidente della Camera. A queste Commissioni furono attribuite,<br />

oltre alle tradizionali funzioni referenti, ampie funzioni legislative, equiparando<br />

a tal fine, a tutti gli effetti, le deliberazioni delle Commissioni<br />

a quelle dell'Assemblea; con il temperamento però dei poteri commessi<br />

al Capo del Governo per il trasferimento dei disegni di legge dalla competenza<br />

delle Commissioni a quella dell' Assemblea e viceversa (87).<br />

Questa importante innovazione di tecnica legislativa è stata poi recepita<br />

- sia pure tra perplessità e incertezze - dal legislatore costituente,<br />

dopo la restaurazione democratica (88). Mentre si ricostituiva, perciò,<br />

il sistema delle Commissioni permanenti collegate con i Gruppi parlamentari<br />

e formate proporzionalmente su loro designazione, si attribuivano<br />

con l'art. 72 Cost. alle Commissioni stesse (o a Commissioni speciali,<br />

costituite sempre rispettando la proporzione tra i Gruppi), oltre<br />

alle tradizionali funzioni referenti, anche funzioni legislative delibe-<br />

(87) V. ROMANO, Corso di diritto costituzionale, Padova 1943, pag. 293.<br />

(88) V. LONGI-STRAMACCI, Le Commissioni parlamentari e la Costituzione, Milano<br />

1953, pag. 19 e segg. Nella Consulta nazionale le Commissioni avevano avuto<br />

soltanto funzioni consultive, come del resto l'Assemblea plenaria (il potere legislativo<br />

spettava allora soltanto al Governo); mentre nell'Assemblea Costituente si ebbero diverse<br />

Commissioni - a cominciare a quella detta « dei 75 », che preparò il progetto<br />

di Costituzione - ma tutte e soltanto con funzioni referenti.


254 Gli organi della Camera<br />

ranti (89), sia pure in un ambito più ristretto di quello previsto dalla<br />

legge del 1939.<br />

L'esperienza delle legislature post-fasciste ha dimostrato che si<br />

trattò di una decisione positiva e lungimirante. L'attività delle Commissioni<br />

in sede legislativa ha alleviato notevolmente il lavoro gravante sull'Assemblea<br />

e ha consentito di fronteggiare le accresciute esigenze della<br />

produzione normativa senza un eccessivo ricorso alla decretazione d'urgenza;<br />

ed anche il livello tecnico della legislazione si è avvantaggiato,<br />

per il carattere di maggiore serenità dei dibattiti in Commissione, che si<br />

svolgono senza pubblicità e tra persone in genere informate e competenti<br />

sulla materia trattata. Il rovescio della medaglia è rappresentato dai frequenti<br />

conflitti di competenza, da una certa tendenza a soddisfare interessi<br />

settoriali più che l'interesse generale (con il fenomeno delle cosiddette<br />

« leggine »), a impiantare rapporti di do ut des tra le forze politiche<br />

e tra queste e l'alta burocrazia, a moltiplicare eccessivamente il<br />

numero delle leggi (90). Ma, nel complesso, il bilancio è nettamente positivo,<br />

e la tendenza attuale è verso un ulteriore decentramento di funzioni<br />

dall'Assemblea alle Commissioni.<br />

14. - Le Commissioni permanenti si distinguono sulla base della<br />

competenza per materia loro attribuita (91). In base all'art. 30 Reg.<br />

Camera, esse sono attualmente le seguenti:<br />

I. - Affari costituzionali - Organizzazione dello Stato - Regioni -<br />

Disciplina generale del rapporto di pubblico impiego.<br />

(89) Nella seduta del 18 settembre 1947 dell'Assemblea Costituente, l'on. Mortati<br />

cosi rispose all'obiezione secondo cui la Camera, con le funzioni deliberanti attribuite<br />

alle Commissioni, avrebbe in sostanza assunto la responsabilità di progetti<br />

di legge che non aveva esaminato : « L'obiezione può essere, se non vinta, almeno<br />

attenuata dalla considerazione che nelle Commissioni sono rappresentati proporzionalmente<br />

i vari Gruppi della Camera e c'è quindi un riflesso perfetto della composizione<br />

politica di questa ». Abbiamo già notato che la Costituzione impone la composizione<br />

proporzionale ai Gruppi parlamentari solo per le Commissioni deliberanti e d'inchiesta;<br />

ma il Regolamento della Camera ha esteso tale principio a tutte le Commissioni.<br />

(90) Cfr. ELIA, Commissioni parlamentari, cit., pagg. 904-905, che propone la<br />

adozione di correttivi per eliminare gli inconvenienti lamentati: determinazione di<br />

una competenza per valore (commisurata alle conseguenze finanziarie dei disegni di<br />

legge), al fine di limitare i poteri deliberanti delle Commissioni; ovvero esclusione<br />

dalla procedura decentrata di tutte le proposte di legge d'iniziativa parlamentare (k><br />

propone anche I'ASTRALDI, nel suo scritto: L'iniziativa parlamentare e la necessità<br />

di una più rigida disciplina, in « Roma economica », 1952, pag. 481), o almeno di<br />

quelle concernenti materie particolari, come il rapporto di pubblico impiego.<br />

(91) Sul valore da attribuire alla competenza per materia delle Commissioni<br />

permanenti, v. sopra, nella parte relativa alle funzioni del Presidente della Camera<br />

per il deferimento alle Commissioni dei progetti di legge.


Gli organi della Camera 255<br />

II. - Affari della Presidenza del Consiglio - Affari interni e di culto -<br />

Enti pubblici.<br />

III. - Affari esteri - Emigrazione.<br />

IV. - Giustizia.<br />

V. - Bilancio e Partecipazioni statali.<br />

VI. - Finanze e tesoro.<br />

VII. - Difesa.<br />

VIII. - Istruzione e belle arti.<br />

IX. - Lavori pubblici.<br />

X. - Trasporti e aviazione civile - Poste e telecomunicazioni - Marina<br />

mercantile.<br />

XI. - Agricoltura e foreste.<br />

XII. - Industria e commercio - Artigianato - Commercio con l'estero.<br />

XIII. - Lavoro - Assistenza e previdenza sociale - Cooperazione.<br />

XIV. - Igiene e sanità pubblica.<br />

Come si vede, la ripartizione delle competenze tra le Commissioni<br />

permanenti è sagomata sulla ripartizione delle competenze tra i Ministeri<br />

dell'Amministrazione dello Stato, ma non in modo rigido, in modo<br />

cioè che ad ogni Ministero corrisponda una Commissione (92): vi sono<br />

invece Commissioni la cui competenza si estende a quella di più Ministeri.<br />

In quest'ultimo caso, le Commissioni possono dividersi in Sottocommissioni<br />

corrispondenti alla competenza di ciascun ramo dell'Amministrazione,<br />

riservando però sempre la definitiva deliberazione alla Commissione<br />

plenaria; le relazioni di ciascuna Sottocommissione vengono<br />

distribuite a tutti i componenti la Commissione e ritenute approvate se<br />

nessuno di essi chieda, entro due giorni dalla deliberazione, che siano<br />

sottoposte alla deliberazione della Commissione plenaria (art. 30 Reg. Camera,<br />

2° comma).<br />

Per la costituzione delle quattordici Commissioni permanenti (93),<br />

all'inizio di ogni legislatura (e successivamente allo scadere di ogni biennio)<br />

ciascun Gruppo parlamentare designa i propri delegati che ne andranno<br />

a far parte, ripartendoli in ognuna di esse in numero uguale (94).<br />

(92) Afferma l'Elia che una ripartizione del genere avrebbe accentuato un pericolo<br />

insito sul sistema delle Commissioni specializzate: cioè la tendenza a trascurare<br />

gli aspetti politici dei problemi a profitto di più limitate visuali di settore (V. ELIA,<br />

Commissioni parlamentari, cit., pag. 897).<br />

(93) Il numero delle Commissioni permanenti è stato portato da 11 a 14<br />

nel 1958.<br />

(94) Per la designazione dei delegati non è più richiesto, come in origine, lo<br />

scrutinio segreto, ma ciascun Gruppo vi provvede nel modo che ritiene più opportuno.


256 Gli organi della Camera<br />

Le designazioni dei Gruppi sono comunicate dai rispettivi Uffici di Presidenza<br />

al Segretario generale della Camera, e non sono revocabili (95).<br />

Oltre a queste designazioni, concorrono a completare la composizione<br />

delle Commissioni permanenti - come abbiamo già osservato - le<br />

assegnazioni disposte dall'Ufficio di Presidenza e dal Presidente della Camera:<br />

il primo, infatti, dispone l'assegnazione alle Commissioni dei deputati<br />

residui, dopo le designazioni paritarie effettuate dai Gruppi (art. 27<br />

Reg. Camera, 3° comma); il secondo provvede ad assegnare alle Commissioni<br />

i deputati dei Gruppi di consistenza numerica inferiore al numero<br />

delle Commissioni permanenti (cioè con un numero di iscritti inferiore<br />

a 14), sulla base delle proposte dei Gruppi stessi, e ricorrendo al<br />

sorteggio quando questi designino più deputati per una stessa Commissione<br />

(art. 28 Reg. Camera, 1° comma). A dette assegnazioni l'Ufficio<br />

di Presidenza e il Presidente dovranno procedere in modo da non alterare<br />

sostanzialmente i rapporti di forza esistenti in Assemblea fra gli<br />

schieramenti politici; e tenendo comunque presente che tutti i deputati<br />

debbono far parte di una Commissione permanente, e soltanto di -una.<br />

Le designazioni dei Gruppi, integrate con le assegnazioni disposte<br />

dall'Ufficio di Presidenza o dal Presidente, sono direttamente ed immediatamente<br />

produttive di effetti giuridici ai fini della costituzione delle<br />

Commissioni: non è infatti necessaria, per questi atti, una ratifica formale<br />

da parte dell'Assemblea. Essi devono pertanto ritenersi sottoposti<br />

soltanto al consueto, sommario controllo di legittimità e di congruità da<br />

parte del Presidente della Camera; il quale procede poi senza indugio<br />

alla convocazione delle Commissioni così composte, chiamandole ad<br />

eleggere un Presidente, due Vicepresidenti e due Segretari (art. 27 Reg. Camera,<br />

4° comma). Per queste elezioni valgono, per quanto applicabili, le<br />

stesse regole vigenti per l'elezione dell'Ufficio di Presidenza da parte dell'Assemblea:<br />

viene pertanto costituita con analoghe modalità una Presidenza<br />

provvisoria, che procede alle formalità elettorali; il Presidente è<br />

eletto a maggioranza assoluta; un Vicepresidente e un Segretario sono<br />

eletti tra i commissari dei Gruppi di opposizione, mediante il sistema<br />

del voto limitato.<br />

Una volta costituite, le Commissioni permanenti divengono - con<br />

l'osservanza delle procedure e delle garanzie relative - veri e propri organi<br />

della Camera, limitando i loro rapporti con i Gruppi che le hanno formate<br />

alle materie espressamente indicate nel Regolamento; materie che<br />

(95) V. su questo punto: SAVIGNANO, op. cit., pagg. 167-168.


Gli organi della Camera 257<br />

riguardano soprattutto i mutamenti nella composizione delle Commissioni<br />

stesse che possono sopravvenire dopo la loro prima costituzione.<br />

Questi mutamenti hanno luogo, in linea generale, nei seguenti casi:<br />

a) sostituzione pura e semplice del commissario che sia venuto<br />

e per qualsiasi ragione » a mancare : in tal caso il Gruppo cui il commissario<br />

apparteneva deve procedere entro quattro giorni ad una nuova<br />

designazione, su invito del Presidente della Camera (art. 29 Reg. Camera,<br />

2° comma). È da notare, comunque, che causa della sostituzione non<br />

può essere un'eventuale modificazione nella composizione dei Gruppi, che<br />

non ha effetto sulla designazione dei componenti le Commissioni permanenti<br />

se non dopo compiuto il periodo biennale (art. 29 Reg. Camera,<br />

ultimo comma);<br />

b) scambio tra deputati di uno stesso Gruppo. Più deputati di<br />

uno stesso Gruppo possono chiedere alla Presidenza del Gruppo stesso<br />

di sostituirsi vicendevolmente nelle Commissioni di appartenenza: la Presidenza<br />

del Gruppo, se vi aderisce, ne informa la Presidenza della Camera,<br />

che comunica senz'altro il mutamento avvenuto alla Presidenza<br />

delle rispettive Commissioni. Il deputato che abbia fatto un cambio non<br />

può però farne un secondo nel corso dello stesso anno finanziario (art. 29<br />

Reg. Camera, 3° comma): ciò per evitare che frequenti mutamenti nella<br />

composizione delle Commissioni compromettano il regolare svolgimento<br />

delle loro attività e il loro stesso carattere di Commissioni « permanenti »;<br />

e) sostituzione dei commissari chiamati a far parte del Governo<br />

È un caso di sostituzione necessaria, che va eseguita dal Gruppo di appartenenza<br />

del commissario nominato Ministro o Sottosegretario, mediante<br />

la designazione di un sostituto (art. 28 Reg. Camera, 2° comma)<br />

(96). In questo caso, però, né il sostituto né il sostituito cessano di<br />

far parte della Commissione cui erano stati originariamente designati: il<br />

sostituto continua normalmente a partecipare ai lavori della Commissione<br />

di appartenenza, e in più sostituisce nell'altra Commissione il commissario<br />

nominato Ministro o Sottosegretario; il sostituito torna automaticamente<br />

pieno iure nella Commissione di appartenenza appena cessi di far<br />

parte del Governo. Se però il commissario sostituito era Presidente, o<br />

Vicepresidente, o Segretario della Commissione, il sostituto subentra soltanto<br />

nelle funzioni di commissario, e non anche in tali cariche, per le<br />

quali la Commissione dovrà comunque eleggere un nuovo titolare;<br />

(96) La Giunta per il Regolamento della Camera, con parere del 23 gennaio<br />

1958, ha ritenuto che la carica di Sottosegretario di Stato sia da ritenersi incompatibile<br />

con la partecipazione a qualsiasi Commissione parlamentare o mista, quand'anche<br />

tale partecipazione non sia vietata da norme di legge o di regolamento.<br />

11.


258 Gli organi della Camera<br />

d) sostituzione per la discussione di un singolo disegno di legge.<br />

Ogni Gruppo può, per la discussione di un singolo disegno di legge, sostituire<br />

uno o più commissari con altri di diversa Commissione, previo<br />

semplice avviso alla Presidenza della Camera, che ne dà comunicazione<br />

alla Presidenza della Commissione (art. 28 Reg. Camera, 2° comma) (97);<br />

e) sostituzione in sede referente. Solamente in sede referente (98),<br />

il deputato che non possa intervenire ad una seduta della propria Commissione<br />

può eccezionalmente farsi sostituire da un collega del suo stesso<br />

Gruppo appartenente ad altra Commissione, previo assenso - di norma,<br />

verbale - del Presidente della Commissione (art. 28 Reg. Camera, 3°<br />

comma), il quale è pertanto tenuto a valutare l'opportunità della sostituzione,<br />

in relazione soprattutto agli argomenti in discussione. Non è richiesto<br />

l'assenso del Gruppo di appartenenza: trattasi cioè di una delega<br />

personale, che consente ai deputati di farsi sostituire da loro colleghi che<br />

garantiscano l'esatta riproduzione del loro orientamento sul progetto di<br />

legge in esame. Di queste sostituzioni si dà notizia nel verbale della<br />

seduta.<br />

Per connessione di argomento, riteniamo utile ricordare qui anche<br />

i casi in cui è consentito a deputati estranei di partecipare alle sedute<br />

delle Commissioni:<br />

a) il Presidente della Commissione bilancio può intervenire personalmente<br />

o delegare altro deputato ad intervenire nelle sedute in sede<br />

referente di altra Commissione (previ accordi con il Presidente di questa),<br />

per esporre i motivi di un parere di rilevante importanza, espresso dalla<br />

Commissione bilancio (art. 31 Reg. Camera, 6° comma). I motivi del<br />

parere, in caso di disaccordo, sono poi riportati dal relatore nella relazione<br />

alla Camera. Questa prassi è stata ritenuta estensibile, per analogia,<br />

ai pareri di rilevante importanza espressi da tutte le Commissioni,<br />

anche per i progetti di legge esaminati da altra Commissione in sede legislativa<br />

(99);<br />

(97) È dubbio che possa procedersi a tale tipo di sostituzione anche nel corso<br />

della seduta della Commissione. In: Circolari e disposizioni interpretative del Regolamento,<br />

cit., è riportata una circolare del Presidente della Camera on. Gronchi dell'8<br />

marzo 1950 (pag. 20), che esclude tale possibilità; e una del Presidente della<br />

Camera on. Leone, del 13 aprile 1961 (pag. 88), che invece l'ammatte.<br />

(98) Il divieto di sostituzione di deputati nelle Commissioni in sede legislativa,<br />

* sancito dall'ultimo comma dell'art. 28 Reg. Camera, è però scarsamente rispettato<br />

nella pratica. V. in proposito: Tozzi CONDIVI, Sulla modifica dell'art. 27 del Regolamento<br />

della Camera dei deputati, in « Montecitorio », 1963, n. 6, pag. 44. V. anche<br />

la circolare del Presidente della Camera on. Gronchi dell'8 marzo 1950, in: Circolari e<br />

disposizioni interpretative del Regolamento, cit., pag. 20.<br />

(99) V. circolare del 17 dicembre 1956 del Presidente della Camera on. Leone, riportata<br />

in: Circolari e disposizioni interpretative del Regolamento, cit., pag. 50.


Gli organi della Camera 259<br />

b) l'autore di una proposta di legge non appartenente alla Commissione<br />

chiamata ad esaminarla, in sede referente o in sede legislativa,<br />

deve essere avvertito della convocazione e può assistere alle sedute, senza<br />

voto deliberativo; la Commissione può anche nominarlo relatore (art. 39<br />

Reg. Camera, 1° comma). Di tale intervento è presa nota nel verbale<br />

della seduta;<br />

e) in sede referente, ogni deputato può trasmettere alle Commissioni<br />

emendamenti o articoli aggiuntivi ai progetti di legge, e chiedere o<br />

essere richiesto di illustrarli davanti ad esse. Le Commissioni ne danno<br />

notizia alla Camera nelle loro relazioni (art. 39 Reg. Camera, 2° comma).<br />

Se il deputato chiede di essere ascoltato dalla Commissione, è sufficiente<br />

per esservi ammesso il consenso orale del Presidente della Commissione,<br />

di cui si prende nota nel verbale della seduta;<br />

d) in sede redigente, ogni deputato, anche non appartenente alla<br />

Commissione incaricata dall'Assemblea di redigere gli articoli di un progetto<br />

di legge, ha diritto di presentare emendamenti e di partecipare ai<br />

lavori per la loro discussione, logicamente senza diritto di voto (art. 85<br />

Reg. Camera, 2° comma);<br />

è) in sede legislativa, ogni deputato - previa comunicazione al Presidente<br />

della Camera - può partecipare a sedute di Commissioni diverse<br />

da quella di appartenenza, senza voto deliberativo, ma evidentemente<br />

con la facoltà di presentare emendamenti o articoli aggiuntivi (art. 40<br />

Reg. Camera, 6° comma) (100). Anche di questi interventi si prende nota<br />

nel verbale della seduta.<br />

Allo scadere di ogni biennio, le Commissioni permanenti vengono<br />

rinnovate e si procede a nuove designazioni dei Gruppi e a nuove convocazioni<br />

per la costituzione di esse, negli stessi modi previsti per la loro<br />

formazione all'inizio della legislatura (art. 29 Reg. Camera, 1° comma).<br />

In pratica, poiché i componenti delle Commissioni possono essere riconfermati,<br />

alla scadenza regolamentare i Gruppi si limitano di solito a<br />

qualche sostituzione parziale: la scadenza, comunque, consente di tener<br />

conto di eventuali mutamenti intervenuti nella distribuzione delle forze<br />

politiche esistenti all'interno della Camera.<br />

15. - La disciplina dei lavori delle Commissioni permanenti non<br />

sempre coincide con quella dei lavori dell'Assemblea plenaria: anzi,<br />

spesso ne diverge sensibilmente, nonostante la tendenza del minor collegio<br />

a riprodurre in miniatura organi e procedure del collegio maggiore.<br />

(100) Questa facoltà non è concessa in sede referente perché il concorso di<br />

tutti i deputati all'elaborazione dei progetti di legge è comunque assicurato, in tal<br />

caso, dalla discussione in Assemblea.


260 Gli organi della Camera<br />

Le principali differenze riguardano, da un lato, i larghissimi poteri<br />

discrezionali attribuiti al Presidente della Commissione nell'organizzazione<br />

dei lavori, poteri che sono senz'altro superiori a quelli del Presidente<br />

della Camera rispetto all'Assemblea plenaria; e dall'altro la speciale<br />

procedura adottata dalle Commissioni per alcuni procedimenti di<br />

loro peculiare competenza.<br />

Quanto al primo punto, converrà osservare che, se le funzioni dei<br />

Vicepresidenti e dei Segretari corrispondono grosso modo, nell'ambito<br />

delle Commissioni permanenti, a quelle dei Vicepresidenti e dei Segretari<br />

nell'ambito dell'Assemblea, le funzioni dei Presidenti delle Commissioni<br />

sono così ampie da farne spesso gli esclusivi arbitri dell'attività delle<br />

Commissioni stesse. Vediamo in sintesi come si configurino queste funzioni,<br />

tenendo come punto di riferimento le funzioni corrispondenti del<br />

Presidente della Camera, secondo la classificazione che abbiamo sopra<br />

proposto.<br />

A) Funzioni di attivazione. Il primo comma dell'art. 38 Reg. Camera<br />

stabilisce che « le Commissioni sono convocate dai loro Presidenti<br />

per mezzo del Segretario generale della Camera ». La funzione di convocare<br />

le Commissioni, dopo la prima seduta costitutiva, è pertanto di<br />

esclusiva pertinenza dei rispettivi Presidenti, che la esercitano discrezionalmente,<br />

senza che su ciò possano intervenire altri organi della Camera<br />

(ivi compresa l'Assemblea plenaria) o deliberazioni della stessa Commissione<br />

(101). Solo il Presidente della Camera potrebbe intervenire in speciali<br />

circostanze - per esempio, per « sconvocare » le sedute di Commissioni<br />

in sede legislativa che coincidano con impegnativi lavori dell'Assemblea<br />

- in forza della sua generalissima potestà di sovrintendenza su<br />

tutto ciò che inerisce al funzionamento degli organi della Camera (102).<br />

Alla rigidità di questo principio il Regolamento pone una sola eccezione:<br />

la convocazione straordinaria di una Commissione permanente<br />

durante i periodi di aggiornamento della Camera, per iniziativa di un<br />

(101) A norma dell'art. 38 Reg. Camera, 7° comma, il Governo « può chiedere<br />

» che le Commissioni siano convocate per dare loro comunicazioni (v. infra):<br />

ma anche in questo caso la formulazione stessa della disposizione regolamentare esclude<br />

che sia posto un limite alla discrezionalità del Presidente sul quando e anche sull'art<br />

della convocazione.<br />

(102) V. sopra, nella parte relativa alle funzioni del Presidente della Camera<br />

per la direzione e l'organizzazione dei lavori parlamentari. Il Presidente della Camera<br />

può intervenire anche in via preventiva: il Presidente della Camera on. Leone,<br />

per esempio, con circolare del 30 luglio 1958 sottolineò l'opportunità che le convocazioni<br />

delle Commissioni fossero diramate normalmente con un anticipo di 48<br />

ore sulla data delle riunioni, salvo casi eccezionali che si riservava di autorizzare volta<br />

per volta (V. Circolari e disposizioni interpretative del Regolamento, cit., pag. 73).


Gli organi della Camera 261<br />

quinto dei suoi componenti; in tal caso, spetterà ancora al Presidente<br />

di convocare la Commissione, ma egli sarà vincolato a scegliere il dies<br />

idoneus entro il decimo giorno da quando gli sia pervenuta la richiesta,<br />

e in modo che tra l'arrivo della convocazione e il giorno della riunione<br />

intercorrano almeno cinque giorni Uberi (art. 44 Reg. Camera).<br />

B) Funzioni di nomina. Il terzo comma dell'art. 40 Reg. Camera<br />

dispone che nel procedimento di esame di un progetto di legge in sede<br />

legislativa il relatore sia nominato dal Presidente della Commissione. La<br />

prassi ha interpretato estensivamente questa norma, nel senso di attribuire<br />

al Presidente la nomina del relatore anche per tutti gli altri affari,<br />

in cui invece spetterebbe alla Commissione (art. 34 Reg. Camera: « Ogni<br />

Commissione nomina per ciascun affare un relatore »).<br />

Al Presidente della Commissione è anche affidata, per consuetudine,<br />

la nomina dei Presidenti delle Sottocommissioni ex art. 30 Reg. Camera<br />

(v. sopra), nel silenzio del Regolamento, che non prevede l'obbligo di<br />

procedere allo scrutinio per la costituzione delle Sottocommissioni (103).<br />

Q Funzioni di direzione e di organizzazione dei lavori. Com'è<br />

esclusivo arbitro della convocazione della Commissione, così il suo Presidente<br />

è arbitro anche della fissazione dell'ordine del giorno (salvo il<br />

caso di convocazione straordinaria in periodi di aggiornamento ex art. 44<br />

Reg. Camera, in cui anche l'argomento da discutere è fissato dai proponenti).<br />

Secondo l'interpretazione generalmente accolta, nemmeno un<br />

esplicito voto della Commissione potrebbe limitare la sua discrezionalità<br />

in questo campo: ciò è confermato dal fatto che mai nelle Commissioni<br />

il Presidente annuncia in fine di seduta l'ordine del giorno della seduta<br />

successiva, come si fa in Assemblea, con la conseguenza di una possibile<br />

decisione della Camera in difformità della proposta del Presidente.<br />

Per di più, non si ritiene applicabile alle Commissioni l'art. 69 Reg.<br />

Camera per la discussione di materie non all'ordine del giorno, considerato<br />

che è necessaria la preventiva pubblicità degli ordini del giorno<br />

delle sedute delle Commissioni per consentire le sostituzioni ad rem e<br />

le partecipazioni alle sedute di deputati estranei nei casi previsti dal<br />

Regolamento (104).<br />

In Commissione - come ha autorevolmente chiarito nel 1958 il Presidente<br />

della Camera on. Leone - si può bensì discutere sull'ordine dei<br />

(103) V. la lettera del Presidente della Camera on. Leone del 22 ottobre 1958,<br />

pubblicata in Circolari e disposizioni interpretative del Regolamento, cit., pag. 75.<br />

(104) V. la circolare del Presidente della Camera on. Leone del 30 luglio<br />

1958, in Circolari e disposizioni interpretative del Regolamento, cit., pagg. 73-74.


262 Gli organi della Camera<br />

lavori: « ma non, come in Assemblea, per giungere ad una decisione<br />

formale in opposizione alla proposta del Presidente, bensì per far presenti<br />

alla Presidenza della Commissione medesima, dalle varie parti politiche,<br />

esigenze e desiderata in merito alle future convocazioni » (105).<br />

Che il Presidente della Commissione tenga conto di tali indicazioni<br />

risponde certamente ad un criterio di opportunità; ma, allo stadio attuale<br />

della regolamentazione della materia, egli non è certamente tenuto a<br />

farlo (106).<br />

Il Presidente dirige poi le sedute della Commissione, esercitando<br />

funzioni analoghe a quelle del Presidente dell'Assemblea plenaria. In<br />

queste funzioni può farsi sostituire da un Vicepresidente. Nel caso di<br />

seduta congiunta di più Commissioni riunite, presiede l'uno o l'altro<br />

dei loro Presidenti, senza che esista una regola fissa di preferenza (può<br />

prevalere l'anzianità parlamentare, il rilievo della Commissione, ecc.; o<br />

si può procedere semplicemente per turno).<br />

Un funzionario del Servizio Commissioni parlamentari assiste il<br />

Presidente durante le sedute, oltre a curare la preparazione di esse, la<br />

compilazione del processo verbale, l'eventuale revisione e pubblicazione<br />

dei resoconti stenografici, la redazione dei comunicati alla stampa e del<br />

Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari (art. 10 Reg.<br />

dei Servizi e del Personale). Questo Bollettino, pubblicato a cura del Segretariato<br />

generale della Camera, assicura la pubblicità di tutti i lavori<br />

delle Giunte e delle Commissioni permanenti e speciali (art. 41 Reg.<br />

Camera), delle quali riporta in sintesi le discussioni e le deliberazioni.<br />

Rispetto al Presidente dell'Assemblea plenaria, il Presidente della<br />

Commissione ha qualche minore potere soltanto per quanto concerne<br />

le funzioni disciplinari: in questo campo egli può richiamare all'argo-<br />

(105) Così il Presidente della Camera on. Leone in una circolare del 28 gennaio<br />

1958 pubblicata in Circolari e disposizioni interpretative del Regolamento, cit.,<br />

pagg. 64-65, dove è anche riportato in nota un precedente contrario.<br />

(106) I larghissimi poteri conferiti ai Presidenti delle Commissioni per il calendario<br />

dei lavori, praticamente avulsi da ogni controllo della Commissione, dell'Assemblea<br />

e della Presidenza della Camera, sono stati più volte oggetto di critica,<br />

sia in sede dottrinale, sia in sede politica. La Giunta per il Regolamento, sul finire<br />

della II legislatura (febbraio 1958), aveva proposto una radicale modifica degli articoli<br />

38 e 65 Reg. Camera, in modo da attribuire al Presidente della Camera, sempre<br />

e in ogni caso, il potere di convocare le Commissioni e di fissarne l'ordine del giorno,<br />

nonché di assegnare alle Commissioni in sede legislativa un termine per ultimare<br />

l'esame di un provvedimento, decorso il quale porlo all'ordine del giorno dell'Assemblea<br />

senza relazione: ma queste modifiche furono allora accantonate, né più<br />

riprese nelle due successive legislature.


Gli organi della Camera 263<br />

mento un oratore o richiamare all'ordine gli indisciplinati, ma non potrebbe<br />

proporre sanzioni più gravi - esclusione dall'aula, censura, ecc. -<br />

che sono di esclusiva competenza del Presidente della Camera. Per il<br />

resto, il Presidente della Commissione opera in modo assai meno vincolato,<br />

sia per quanto concerne le regole procedurali da applicare (come<br />

vedremo meglio occupandoci dei vari tipi di procedimenti che si svolgono<br />

in Commissione), sia per quanto concerne l'accertamento del numero<br />

legale (che può eseguire d'ufficio, essendo la presenza di un quarto<br />

dei componenti una condizione di validità delle sedute: art. 38 Reg.<br />

Camera, 2° comma), sia per quanto concerne la partecipazione alle discussioni:<br />

a differenza del Presidente dell'Assemblea plenaria, infatti, il<br />

Presidente della Commissione suole entrare nel merito degli argomenti<br />

discussi, e molto spesso partecipa al voto (107).<br />

Dopo ogni seduta il Presidente della Commissione dovrebbe comunicare<br />

i nomi degli assenti al Presidente della Camera e questi informarne<br />

l'Assemblea (art. 38 Reg. Camera, 4° comma): ma la disposizione è largamente<br />

desueta.<br />

È inoltre da rilevare che ai Presidenti delle Commissioni permanenti<br />

sono anche attribuite funzioni per l'organizzazione dei lavori della<br />

Camera in generale, attraverso la partecipazione, assieme ai Presidenti<br />

dei Gruppi parlamentari, alla « Conferenza dei Presidenti » (art. ì3-bis<br />

Reg. Camera; vedi sopra).<br />

D) Funzioni di controllo e di esternazione. Compete al Presidente<br />

della Commissione, accertata la legalità di un procedimento svoltosi<br />

in Commissione e conclusosi con un atto formale, attestarne la validità<br />

e trasmetterlo, ove occorra, ad altri organi della Camera stessa<br />

(in genere, ad altra Commissione, o al Presidente della Camera, che<br />

ne dà comunicazione all'Assemblea plenaria). Queste funzioni assumono<br />

un diverso rilievo a seconda dei vari procedimenti tipici in cui si articola<br />

l'attività delle Commissioni:<br />

- nel procedimento in sede consultiva, l'atto finale è rappresentato<br />

dal cosiddetto « parere », che di solito è elaborato in una Sottocommissione,<br />

o affidato a un commissario con mandato fiduciario;<br />

il « parere » può essere redatto e trasmesso in forma scritta, ma nei casi<br />

più rilevanti il Presidente della Commissione deve sostenerlo oralmente<br />

- di persona, o a mezzo di un suo delegato - in seno alla Commissione<br />

competente in via primaria (arg. ex art. 31 Reg. Camera, 6° comma:<br />

v. sopra);<br />

(107) Cfr. ELIA, Le Commissioni parlamentari, cit., pag. 897.


264 Gli organi della Camera<br />

- nel procedimento in sede referente, il Presidente della Commissione<br />

deve trasmettere al Presidente della Camera il testo del progetto<br />

di legge elaborato in Commissione (o nel « Comitato dei nove »: art.<br />

30-bis Reg. Camera), insieme con la relativa relazione e, ove del caso,<br />

con le relazioni di minoranza, ed eventualmente difenderlo in Assemblea<br />

nella sua qualità di necessario partecipe del « Comitato dei nove » di<br />

cui al penultimo comma dell'art. 30 Reg. Camera (qualora invece la<br />

Commissione chieda il rigetto in foto del progetto di legge, il Presidente<br />

dovrà trasmettere questa proposta, sempre accompagnata dalla<br />

relativa relazione);<br />

- nel procedimento in sede redigente, il Presidente della Commissione<br />

deve trasmettere al Presidente della Camera gli articoli del<br />

disegno di legge nella loro formulazione definitiva decisa in Commissione<br />

in base all'art. 85 Reg. Camera;<br />

- nel procedimento in sede legislativa, il Presidente della Commissione<br />

attesta l'avvenuta approvazione di un progetto di legge, cura<br />

l'eventuale coordinamento del testo (con la collaborazione tecnica del<br />

Servizio Commissioni parlamentari: art. 10 Reg. dei Servizi e del Personale)<br />

e predispone la bozza del « messaggio », che, trasmesso al Presidente<br />

della Camera e da questi fatto proprio, viene inviato al Presidente<br />

del Senato o al Governo;<br />

- nei procedimenti in sede cosiddetta « politica », in quello di<br />

indagine conoscitiva preliminare e negli altri procedimenti non tipizzati<br />

(vedi infra), il Presidente della Commissione cura la trasmissione al Presidente<br />

della Camera di eventuali relazioni, proposte, ordini del giorno<br />

od altri documenti approvati.<br />

È da notare, inoltre, che i Presidenti delle Commissioni permanenti,<br />

personalmente o a mezzo di un Vicepresidente da essi delegato, hanno<br />

facoltà di intervenire, senza diritto di voto, alle riunioni del Consiglio<br />

nazionale dell'economia e del lavoro e delle sue Commissioni (art. 15<br />

della legge 15 gennaio 1957, n. 33).<br />

Circa l'autonomia delle funzioni del Presidente di Commissione permanente<br />

e la sua responsabilità nei confronti della Commissione che lo<br />

ha eletto, valgono, in linea generale, le considerazioni che abbiamo svolto<br />

sopra in ordine al Presidente della Camera e alla relazione che lo lega<br />

all'Assemblea plenaria; aggiungendo solo che il Presidente di Commissione<br />

è tuttavia sottoposto nella sua attività anche all'alta sovrintendenza<br />

del Presidente della Camera, nei modi e con i limiti che abbiamo più<br />

volte accennato.


Gli organi della Camera 265<br />

Abbiamo testé ricordato i vari procedimenti tipici attraverso i quali<br />

le Commissioni permanenti svolgono le loro funzioni. La completa trattazione<br />

della maggior parte di essi rientra nei successivi capitoli concernenti<br />

Yiter legislativo, al quale i lavori delle Commissioni sono in assoluta<br />

prevalenza dedicati. In questa sede faremo soltanto cenno alle più<br />

rilevanti differenze procedurali nell'attività delle Commissioni, per l'uno<br />

o per l'altro dei procedimenti indicati; con qualche più approfondita notazione<br />

per quelli che non rientrano propriamente nell'ambito dell'/ter<br />

legislativo.<br />

A) Sede consultiva o referente. Quando le Commissioni agiscono in<br />

sede consultiva o referente, il procedimento è organizzato e diretto dal<br />

Presidente senza particolari vincoli, con una procedura sommaria e accelerata<br />

quanto basta per una valutazione complessiva del provvedimento<br />

e per la formazione di una opinione di maggioranza ed eventualmente<br />

di una opinione di minoranza.<br />

In sede referente, in particolare, devono ritenersi improponibili mezzi<br />

procedurali come la pregiudiziale, la sospensiva e l'ordine del giorno di<br />

non passaggio agli articoli, che hanno come presupposto il potere deliberante<br />

dell'organo: laddove la Commissione in sede referente non ha<br />

alcun potere deliberante, poiché il suo compito è soltanto quello di studiare,<br />

istruire, preparare la discussione davanti alla Camera. Anche la<br />

eccezione che prospetti l'incostituzionalità di un progetto di legge va<br />

esaminata col merito; pertanto la Commissione in sede referente potrà<br />

farla propria nella relazione di maggioranza o esporla in quella di minoranza,<br />

ma sempre come questione da sottoporre all'Assemblea, senza<br />

che ciò possa comunque arrestare l'esame in sede di Commissione. Sono<br />

parimenti da escludere, nella sede referente, tutti quegli istituti regolamentari<br />

che si riferiscono alla fase decisoria, e non istruttoria, della discussione<br />

di un progetto di legge: come la rigida separazione delle due<br />

fasi della discussione - generale e degli articoli - le mozioni d'ordine,<br />

le votazioni nominali e segrete, gli ordini del giorno (108), ecc.<br />

Nella fase che l'art. 30-bis Reg. Camera definisce di « esame preliminare<br />

» di un progetto di legge, la Commissione deve nominare un relatore<br />

(art. 34 Reg. Camera; ma in pratica la nomina del relatore è effettuata<br />

dal Presidente della Commissione: v. sopra). Il relatore deve presentare<br />

nei termini di cui all'art. 35 Reg. Camera una relazione scritta;<br />

ma può anche riferire oralmente all'Assemblea, ove questa lo deliberi<br />

per ragioni d'urgenza (art. 36 Reg. Camera).<br />

(108) La presentazione di ordini del giorno è tuttavia consentita nell'esame preliminare<br />

in Commissione della legge di bilancio.<br />

11*.


266 Gli organi della Camera<br />

Una volta concluso l'esame preliminare, la Commissione nomina per<br />

la discussione del progetto di legge davanti all'Assemblea, un « Comitato<br />

dei nove » composto in modo da garantire la partecipazione della minoranza,<br />

e comprendente in ogni caso il Presidente della Commissione e i<br />

relatori (art. 30 Reg. Camera, 3° e 4° comma); e può anche affidare<br />

a questo Comitato un ulteriore esame del progetto di legge per la formulazione<br />

definitiva degli articoli da proporre all'Assemblea (art. 30-bis<br />

Reg. Camera).<br />

In ogni caso, qualora un disegno di legge d'iniziativa del Governo<br />

sia approvato integralmente e all'unanimità, tanto nelle sue disposizioni<br />

quanto nella motivazione della relazione ministeriale, la Commissione<br />

può chiedere alla Camera che si discuta sul testo del ministro senza<br />

relazione parlamentare (art. 38 Reg. Camera, 8° comma).<br />

Per il resto, cioè per l'andamento concreto del dibattito, la Commissione<br />

è tenuta solo alle disposizioni regolamentari in materia di numero<br />

legale (art. 38 Reg. Camera, 2° comma), di termini per i pareri<br />

(art. 31 Reg. Camera) e per la presentazione delle relazioni (art. >35<br />

Reg. Camera), di preventiva distribuzione dei testi dei progetti di legge<br />

originari o rielaborati (art. 65 Reg. Camera); nonché al principio generale<br />

per cui ogni decisione deve essere adottata a maggioranza dei votanti.<br />

Le stesse norme valgono quando un progetto di legge, già deferito<br />

ad una Commissione in sede legislativa, sia successivamente rimesso all'Assemblea<br />

a norma dell'art. 40 Reg. Camera, 12° comma, e la Commissione<br />

debba iniziare un nuovo esame in sede referente (109).<br />

B) Sede legislativa. Quando le Commissioni agiscono in sede legislativa,<br />

in base all'art. 40 Reg. Camera, 3° comma, deve essere sempre presente<br />

un rappresentante del Governo, e si applicano - sia pure con gli<br />

opportuni adattamenti - le norme prescritte per i dibattiti in Assemblea,<br />

fatta eccezione per quelle che pongono limiti alla presentazione degli<br />

emendamenti e articoli aggiuntivi (art. 86 Reg. Camera, commi 1°, 2° e<br />

3°) e per quelle concernenti il numero dei firmatari delle richieste di<br />

verifica del numero legale, di appello nominale e di votazione segreta (per<br />

(109) V. su tutti questi punti le lettere e circolari dei vari Presidenti della<br />

Camera nella pubblicazione cit. Circolari e disposizioni interpretative del Regolamento,<br />

e in particolare: le lettere e circolari del Presidente della Camera on. Gronchi<br />

del 10 marzo 1949 (pagg. 9-10), del 5 febbraio 1950 (pagg. 17-18), del 18 marzo 1951<br />

(pagg. 29-30), del 1* luglio 1954 (pagg. 40-41); del Presidente della Camera on. Leone<br />

del 28 gennaio 1958 (pagg. 64-65) e del 30 luglio 1958 (pagg. 70-71); del Presidente<br />

della Camera on. Bucciarelli Ducei del 18 ottobre 1963 (pagg. 96-97) e del 3 ottobre<br />

1964 (pagg. 104-105).


Gli organi della Camera 267<br />

le prime due richieste sono sufficienti in Commissione quattro deputati;<br />

per l'ultima cinque : art. 40 Reg. Camera, 4° comma). Bisogna però notare<br />

che nella pratica si sono consolidate nelle Commissioni consuetudini derogatorie:<br />

per esempio quella per cui gli ordini del giorno possono essere<br />

votati al termine della discussione sugli articoli, anziché dopo la discussione<br />

generale, come prescrive l'art. 81 Reg. Camera (110).<br />

La pubblicità dei lavori delle Commissioni in sede legislativa - le<br />

cui sedute, a differenza di quelle dell'Assemblea plenaria, non si svolgono<br />

alla presenza del pubblico - è assicurata dalla redazione, oltre che<br />

del processo verbale, di un resoconto stenografico dei dibattiti (art. 40<br />

Reg. Camera, 5° comma). È da notare, comunque, che a norma dell'art. 38<br />

Reg. Camera, ultimo comma, tutte le Commissioni possono sempre<br />

decidere che i loro lavori debbano restare segreti, nell'interesse dello<br />

Stato.<br />

O Sede redigente. Il Regolamento non prescrive particolari forme<br />

per la « sede redigente » prevista dall'art. 85 Reg. Camera. A prevalente<br />

giudizio della dottrina, questo procedimento non instaura un'attività deliberante<br />

della Commissione, da assimilarsi a quella della sede legislativa,<br />

prevista dal 3° comma dell'art. 72 della Costituzione, che investe completamente<br />

Yiter di un disegno di legge fino all'approvazione o alla reiezione<br />

finale: ma si inserisce nella procedura normale, come procedimento abbreviato<br />

(in base al 1° e 2° comma dello stesso articolo); e la Commissione,<br />

nel redigere gli articoli per mandato dell'Assemblea, esercita soltanto<br />

una funzione referente ad effetti rinforzati, giacché in aula i testi<br />

non si potranno poi più modificare, ma soltanto approvare o respingere.<br />

Questo ultimo effetto, come afferma l'Elia, non dipende da un potere speciale<br />

attribuito alla Commissione, ma dalla limitazione che si è imposta la<br />

Assemblea (111). Se così è, anche il procedimento da seguire in Commissione<br />

durante l'esame in sede redigente dovrebbe assimilarsi a quello<br />

della sede referente, svincolato da eccessivi impacci rituali, anziché a<br />

quello della sede legislativa, per il quale soltanto il Regolamento prevede<br />

il rigoroso rispetto delle norme regolamentari previste per la discussione<br />

in Assemblea (112). È da notare tuttavia che la prassi è in senso<br />

opposto; e che delle sedute in sede redigente - tra l'altro - si esegue un<br />

resoconto stenografico, come per quelle in sede legislativa.<br />

(HO) V. la circolare del Presidente della Camera on. Leone del 30 luglio<br />

19S8 (pag. 71 della pubblicazione ult. cit.). V. anche, in generale sul procedimento<br />

in sede legislativa delle Commissioni, la circolare dello stesso Presidente della Camera<br />

on. Leone del 23 ottobre 1957 (pag. 62 della pubblicazione ult. cit.).<br />

(Ili) V. ELIA, Commissioni parlamentari, cit., pag. 905.<br />

(112) Contro LONGI-STRAMACCI, Le Commissioni, cit., pag. 44.


268 Gli organi della Camera<br />

In tutti i procedimenti inerenti all'iter legislativo, due Commissioni<br />

permanenti possono deliberare in comune {procedura a Commissioni riunite),<br />

o per decisione del Presidente della Camera in sede di deferimento<br />

(in tal caso le Commissioni riunite possono essere anche più di<br />

due), o per successivo accordo tra le Commissioni stesse (art. 37 Reg.<br />

Camera, 3° comma), o, nella sola sede legislativa, per decisione del Presidente<br />

della Camera, quando la Commissione competente in via primaria<br />

non intenda aderire al parere obbligatorio della Commissione bilancio<br />

sulle conseguenze finanziarie o della Commissione affari costituzionali<br />

sui rapporti di pubblico impiego (art. 40 Reg. Camera, 8° comma).<br />

11 procedimento a Commissioni riunite ha lo scopo di evitare o di risolvere<br />

conflitti di competenza tra Commissioni, senza ricorrere a più pesanti e<br />

complesse procedure; e soprattutto di avvalersi di esperienze e competenze<br />

tecniche presumibilmente diffuse nei membri di entrambe le Commissioni.<br />

Le Commissioni riunite funzionano come un unico collegio, seguendo<br />

la stessa procedura che abbiamo testé illustrato per le varie sedi in<br />

cui si può svolgere l'esame dei progetti di legge in Commissione. Quando<br />

operano in sede referente, la relazione all'Assemblea può essere fatta<br />

però da tanti relatori quante sono le Commissioni che hanno congiuntamente<br />

esaminato il provvedimento.<br />

D) Funzioni non legislative delle Commissioni. Un discorso a parte<br />

meritano le funzioni delle Commissioni permanenti che non hanno riferimento<br />

all'iter di progetti di legge. Tali funzioni trovano il loro fondamento<br />

normativo generale nell'art. 38 Reg. Camera, che ai commi 5°,<br />

6° e 7° così recita:<br />

« Le Commissioni presentano sulle materie di loro competenza, di<br />

cui all'art. 30, le relazioni e le proposte che credessero del caso o che<br />

dalla Camera fossero loro richieste, procurandosi a tale effetto, dai competenti<br />

ministeri, informazioni, notizie e documenti.<br />

« Hanno inoltre facoltà di chiedere l'intervento dei ministri per domandar<br />

loro chiarimenti su questioni di amministrazione e di politica<br />

in rapporto alla materia della loro singola competenza.<br />

« Il Governo può altresì chiedere che le Commissioni siano convocate<br />

per dar loro comunicazioni ».<br />

Da questa norma si deduce che sulle materie di loro competenza<br />

le Commissioni permanenti hanno, oltre alle funzioni concernenti Yiter<br />

legislativo:<br />

- la funzione di promuovere - o di svolgere su richiesta dell'Assemblea<br />

plenaria - un'attività istruttoria complessa su determinati argo-


Gli organi della Camera 269<br />

menti, procurandosi informazioni, notizie e documenti dall'Amministrazione,<br />

e concludendo con la presentazione all'Assemblea di relazioni e<br />

di proposte, sulle quali l'Assemblea stessa può eventualmente basare sue<br />

successive pronunce;<br />

- la funzione di discutere questioni politiche e amministrative, indipendentemente<br />

da ogni connessione con i lavori dell'Assemblea, su propria<br />

iniziativa (nel quale caso possono chiedere l'intervento dei<br />

ministri per domandare loro chiarimenti) o su iniziativa del Governo<br />

(nel quale caso la Commissione discuterà sulle comunicazioni del<br />

Governo).<br />

Entrambi questi gruppi di funzioni, oltre a poter dare luogo a fattispecie<br />

del tutto atipiche, hanno originato nelle legislature post-fasciste<br />

procedimenti che hanno assunto o vanno assumendo caratteristiche di<br />

tipicità.<br />

Tra questi spiccano, nel primo gruppo di funzioni sopra accennate,<br />

le « indagini conoscitive », che, dopo qualche primo timido tentativo,<br />

si sono definitivamente affermate nella quarta legislatura nella prassi<br />

della Camera come procedimenti dotati di precise caratteristiche proprie.<br />

Anzitutto, nell'oggetto della indagine, che è in genere lo « stato » di un<br />

problema sul quale si prevede che debbano svilupparsi iniziative legislative<br />

(sono state svolte indagini del genere sui problemi della prevenzione<br />

antinfortunistica, sullo stato della finanza locale, sullo stato della<br />

ricerca scientifica e tecnologica, ecc.), oppure l'applicazione di determinate<br />

leggi di cui si prevede necessaria la modificazione (di questo tipo<br />

sono state le indagini sull'applicazione della legge n. 167 in materia<br />

edilizia, sull'approvazione delle leggi per le calamità naturali che hanno<br />

colpito la zona del Vajont e l'Irpinia, ecc.). In secondo luogo, per questi<br />

procedimenti è stato adottato un metodo di lavoro già largamente adottato<br />

in altri paesi, particolarmente negli Stati Uniti: quello cioè di<br />

udienze (hearings) delle Commissioni permanenti, nella sede parlamentare<br />

od anche fuori, con la partecipazione di esperti, alti funzionari, dirigenti<br />

di enti pubblici e di enti locali, rappresentanti sindacali, operatori<br />

economici privati, ecc. (113), al fine di consentire alle Commissioni stesse<br />

una più esatta informazione intorno ai problemi in questione nella fase<br />

prelegislativa.<br />

(113) È da osservare tuttavia che non si tratta comunque di public hearings,<br />

come negli Stati Uniti. In Italia le sedute delle Commissioni anche in questa sede non<br />

sono pubbliche, pur se vi sono eccezionalmente ammesse - e solo in questo caso —<br />

persone estranee in qualità di advisers su determinati argomenti.


270 Gli organi della Camera<br />

Il Presidente della Camera on. Bucciarelli Ducei, in una lettera del<br />

settembre 1966 al Presidente della Commissione interni on. Sullo (114),<br />

ha affermato che questo tipo di indagine deve anzitutto « rispettare rigidamente<br />

la sfera di attività del Governo e dei singoli ministri, rispetto<br />

che è il fondamento della responsabilità del Governo di fronte al Parlamento<br />

». Si deve poi tener conto che « la Commissione non ha i poteri<br />

della Commissione d'inchiesta, né esercita la funzione ispettiva. Essa<br />

esplica in questa sede un'attività informativa e di studio necessaria alla<br />

elaborazione di norme di legge; ne consegue che i privati cittadini che<br />

saranno convocati come esperti o ad altro titolo saranno sempre liberi<br />

di accettare o meno le convocazioni della Commissione e di rispondere<br />

ai quesiti nei limiti che riterranno opportuni ». A questi fini, in una precedente<br />

occasione lo stesso on. Bucciarelli Ducei aveva disposto che la<br />

richiesta di convocazione in sede non formale di dirigenti di enti pubblici<br />

da parte delle Commissioni permanenti debba essere previamente sottoposta<br />

al Presidente della Camera, che ne informa il Ministro nella cui<br />

sfera di competenza essi esercitano la loro attività, com'è opportuno<br />

« sotto il profilo dell'indispensabile unità di indirizzo che ogni Ministro<br />

deve garantire al settore affidato alla propria sovrintendenza » (115).<br />

Per il resto, anche in questo caso il Presidente della Commissione<br />

gode di ampia libertà nella conduzione concreta del procedimento, che<br />

si svolge senza precostituiti impacci rituali. Delle più importanti indagini<br />

conoscitive viene solitamente eseguito il resoconto stenografico di tutte<br />

le sedute.<br />

Alle indagini conoscitive possono essere latu sensu assimilati i<br />

« viaggi di studio » che compiono talvolta le Commissioni permanenti<br />

all'interno o anche all'esterno, sempre a fini conoscitivi e di indagine.<br />

Questi viaggi debbono sempre essere autorizzati dal Presidente della<br />

Camera.<br />

Nel secondo gruppo di funzioni che abbiamo precedentemente indicato<br />

rientrano invece le sedute delle Commissioni permanenti nella cosiddetta<br />

« sede politica ». Beninteso, l'attività delle Commissioni e dell'Assemblea<br />

è sempre, direttamente o indirettamente, un'attività politica :<br />

tuttavia questa espressione è entrata nell'uso corrente per designare quelle<br />

sedute delle Commissioni permanenti in cui si svolgono dibattiti sulle<br />

materie di rispettiva competenza, indipendentemente da ogni connessione<br />

(114) Di questa lettera è stata data lettura nella seduta del 27 settembre 1966<br />

della Commissione interni, iniziandosi l'indagine sullo stato della finanza locale in Italia.<br />

(115) Circolare del 27 aprile 1964 del Presidente della Camera on. Bucciarelli<br />

Ducei, pubblicata in Circolari e disposizioni interpretative del Regolamento, cit., pag. 98.


Gli organi della Camera 271<br />

effettiva, od anche soltanto potenziale, con Yiter legislativo o con i lavori<br />

dell'Assemblea.<br />

Questa attività è stata detta « politica » per la sua immediata connessione<br />

con gli sviluppi della situazione politica, interna o internazionale;<br />

ma gli argomenti discussi possono anche essere di carattere tecnicoamministrativo.<br />

Come abbiamo già detto, queste sedute possono svolgersi per iniziativa<br />

delle Commissioni, che in tal caso hanno facoltà di chiedere lo<br />

intervento dei ministri, per domandare loro chiarimenti (la richiesta<br />

di intervento di un ministro deve essere rivolta per il tramite del Presidente<br />

della Camera); o viceversa per iniziativa del Governo o di un<br />

ministro che intende dare determinate comunicazioni alla Commissione,<br />

sulle quali può aprirsi un dibattito (la richiesta di convocazione della<br />

Commissione per ascoltare le comunicazioni del Governo va rivolta dal<br />

ministro interessato direttamente al Presidente della Commissione). In<br />

ambo i casi la procedura non è legata ad altre particolari formalità ed<br />

è in genere aperta da una esposizione di un ministro (o di un sottosegretario)<br />

su questioni inerenti all'attività del suo dicastero, sulla quale<br />

intervengono i vari commissari.<br />

Nella pratica, queste sedute si svolgono soprattutto nelle Commissioni<br />

competenti in materia economico-finanziaria, o in Commissione affari<br />

esteri, quando si debbono discutere problemi che, per ragioni di riservatezza<br />

o di opportunità, non si vogliono portare all'esame dell'Assemblea<br />

in seduta pubblica. In particolare, come si fa anche in molti<br />

Parlamenti stranieri, in Commissione affari esteri si svolgono spesso discussioni<br />

di politica internazionale, indipendentemente dall'esame di documenti<br />

legislativi.<br />

Si è discusso sulla possibilità che il dibattito in sede « politica » -<br />

che non è soltanto informativo, ma finalizzato ad un giudizio, in certo<br />

modo sostitutivo di quello che dovrebbe dare l'Assemblea nell'esercizio<br />

delle sue facoltà di controllo sull'esecutivo - possa concludersi con un<br />

voto. La prassi della Camera è stata qualche volta favorevole (il documento<br />

tipico sul quale la Commissione vota è di solito un ordine del<br />

giorno); contraria quella del Senato (116). Comunque, il procedimento<br />

in sede « politica » non è per sua natura finalizzato ad una votazione, ma<br />

all'esplicazione di un'attività di controllo e di giudizio politico, sulla<br />

base di uno scambio di vedute tra potere legislativo ed esecutivo; oltre<br />

(116) V. ELIA, Commissioni parlamentari, cit., pag. 906. V. anche MUSCARA,<br />

Manuale del deputato, cit., pag. 111.


272 Gli organi della Camera<br />

ad assumere un valore di documentazione per eventuali ulteriori dibattiti<br />

nella stessa sede o in Assemblea.<br />

Il Regolamento prevede altri due procedimenti attinenti al funzionamento<br />

delle Commissioni permanenti al di fuori dall'iter legislativo:<br />

l'esame delle petizioni, che presenta analogie con l'esame dei progetti<br />

di legge in sede referente, e qualche volta si inserisce in esso; e l'esame<br />

dei decreti registrati con riserva dalla Corte dei Conti, in cui si esplica<br />

una delle poche funzioni di controllo attribuite alle Commissioni permanenti,<br />

rawicinabile al procedimento in sede « politica » di cui ci siamo<br />

testé occupati.<br />

1) L'esame delle petizioni. L'istituto delle petizioni, conosciuto<br />

in Inghilterra fin da tempi remoti, e che ebbe molta importanza nell'attività<br />

parlamentare (anche in Italia) quando era pressoché l'unico mezzo<br />

di comunicazione tra l'elettorato e i suoi rappresentanti, è oggi poco più<br />

di una sopravvivenza storica, nonostante il riconoscimento costituzionale<br />

del diritto di tutti i cittadini di rivolgere petizioni alle Camere « per<br />

chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità » (art. 50<br />

Cost.) (117).<br />

Ad ogni modo, le petizioni inviate alle Camere, se hanno attinenza<br />

a progetti di legge, sono trasmesse alle Commissioni che li hanno in<br />

esame (art. 109 Reg. Camera); in caso diverso sono inviate alle Commissioni<br />

permanenti competenti per materia (art. 31 Reg. Camera, 9° comma).<br />

Le Commissioni accertano anzitutto se il postulante possiede la qualità<br />

di cittadino italiano richiesta dall'art. 50 della Costituzione per esercitare<br />

il diritto di petizione. La qualità di cittadino si dà per accertata<br />

ove ricorra almeno una delle seguenti condizioni:<br />

che la petizione sia accompagnata dalla fede di nascita del postulante<br />

e dal certificato di cittadinanza;<br />

che sia legalizzata dal sindaco del comune dove il postulante<br />

dimora;<br />

che sia presentata alla Segreteria della Camera da un deputato.<br />

Il postulante ha però il diritto di valersi anche di altre prove legali<br />

(art. 108 Reg. Camera).<br />

Accertata questa condizione di procedibilità, le Commissioni permanenti<br />

cui sia trasmessa una petizione attinente ad un progetto di legge<br />

(117) U legislatore costituente escluse espressamente che le petizioni potessero<br />

essere presentate, come avveniva tradizionalmente, anche per interessi puramente personali<br />

(V. FALZONE-PALERMO-COSENTTNO, La Costituzione della Repubblica italiana illustrata<br />

con i lavori preparatori, Roma 1948, pag. 98).


Gli organi della Camera 273<br />

al loro esame possono tenerne conto nel corso della discussione del progetto<br />

di legge stesso.<br />

Negli altri casi, le Commissioni permanenti cui siano trasmesse petizioni<br />

debbono esaminarle in modi analoghi a quelli previsti per i progetti<br />

di legge in sede referente, e riferirne ogni mese all'Assemblea. Le<br />

relative relazioni sono messe all'ordine del giorno dell'Assemblea del<br />

successivo lunedì, e in quel giorno hanno la precedenza su ogni altra<br />

materia in luogo delle interrogazioni (questi termini, peraltro, sono<br />

caduti in desuetudine). Dopodiché possono verificarsi le seguenti<br />

ipotesi :<br />

- l'Assemblea, su proposta della Commissione o di un deputato,<br />

può deliberare di prendere in considerazione la petizione, decidendo di<br />

inviarla al Ministero o alla Commissione parlamentare interessati (perché<br />

ne tengano conto, nell'ambito delle rispettive competenze), oppure agli<br />

archivi della Camera, per essere eventualmente utilizzata al momento opportuno<br />

(quest'ultima soluzione è adottata quando non si preveda prossima<br />

la discussione alla Camera dell'argomento oggetto della petizione;<br />

ma poi, in concreto, ben difficilmente la petizione viene richiamata dagli<br />

archivi);<br />

- uno o più deputati possono presentare, su una o più petizioni,<br />

un ordine del giorno, che va letto immediatamente, si considera come<br />

una mozione e ne segue in tutto la procedura (è questo il solo caso in<br />

cui una petizione può determinare una specifica pronuncia del Parlamento<br />

sull'argomento per il quale è stata presentata);<br />

- l'Assemblea, su proposta della Commissione o di un deputato,<br />

può deliberare di passare all'ordine del giorno; ipotesi che equivale ad<br />

un rifiuto della Camera a prendere in considerazione la petizione.<br />

2) L'esame dei decreti registrati con riserva dalla Corte dei Conti.<br />

La Corte dei Conti - come disse Quintino Sella alla Camera il 13 maggio<br />

1863 - deve considerarsi come una specie di « braccio » del Parlamento,<br />

per compiere quel riscontro della legittimità degli atti del potere esecutivo<br />

e della loro conformità alla legge di bilancio che il Parlamento non è in<br />

grado di eseguire, e che rappresenta tuttavia un'indispensabile presupposto<br />

per attivare le funzioni parlamentari di controllo sulla pubblica<br />

amministrazione.<br />

A questa attivazione contribuiscono soprattutto le relazioni della<br />

Corte dei Conti al Parlamento sul rendiconto generale dello Stato e sulla<br />

gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria<br />

(art. 100 Cost.), che restano a disposizione dei deputati per le iniziative


274 Gli organi della Camera<br />

che questi intendano prendere (118); e le trasmissioni dei decreti registrati<br />

con riserva.<br />

In applicazione dell'art. 26 del testo unico delle leggi sulla Corte dei<br />

Conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, la Corte<br />

dei Conti, ogni 15 giorni, comunica direttamente agli uffici di Presidenza<br />

del Senato e della Camera l'elenco delle registrazioni effettuate<br />

con riserva, insieme con le relative deliberazioni. La comunicazione quindicinale<br />

ha luogo anche se negativa, cioè anche se registrazioni con riserva<br />

non vi siano state nel periodo considerato; ma i Presidenti delle<br />

Camere annunciano alle Assemblee solo le comunicazioni aventi contenuto<br />

positivo.<br />

Le comunicazioni trasmesse durante il periodo di scioglimento delle<br />

Camere sono annunciate alle nuove Camere. Le registrazioni comunicate<br />

dalla Corte dei Conti prima del termine della legislatura, invece,<br />

non sono riportate nella legislatura successiva.<br />

I decreti registrati con riserva, a norma dell'art. 31 Reg. Camera,<br />

9° comma, sono inviati alle Commissioni permanenti, secondo il criterio<br />

di competenza (119). Entro il termine di un mese dalla comunicazione<br />

fatta dal Presidente della Camera (120), la Commissione competente<br />

deve riferire all'Assemblea (art. 43 Reg. Camera, 1° comma): l'esame,<br />

in mancanza di diverse precisazioni, va effettuato come per i progetti<br />

di legge in sede referente dal punto di vista procedurale, ma, dal punto<br />

di vista sostanziale, presenta piuttosto analogie con la cosiddetta « sede<br />

politica ». La Commissione esercita infatti in questa sede una tipica<br />

funzione di sindacato politico: ed è uno dei rari casi in cui ciò avvenga<br />

nel nostro ordinamento, che, nonostante l'esempio di altri paesi e le molte<br />

proposte avanzate fin da quando furono istituite nella Camera italiana<br />

(118) Nota in proposito acutamente il MANZELLA {Note sull'organizzazione dei<br />

lavori parlamentari, in «Tempi moderni», n. 32, 1967-68, pag. 4): «Il Regolamento<br />

della Camera, che pur si occupa dell'ormai scarsamente significativo istituto della registrazione<br />

con riserva, non contiene previsione alcuna sugli organi e sull'attività che<br />

la comunicazione della Corte dovrebbe mettere in moto. Almeno in questo campo<br />

però non sono mancate le sperimentazioni: quali i comitati ad hoc istituiti dalla Commissione<br />

bilancio della Camera; e, soprattutto, il primo esame sistematico delle relazioni<br />

della Corte da parte delle Commissioni del Senato competenti per materia. Ancora<br />

però i risultati non sono chiari e si è lontani da una prefissazione normativa di modalità,<br />

tempi e strumenti d'esame, nonché dei mezzi per far valere le responsabilità<br />

emerse ».<br />

(119) Prima dell'istituzione delle Commissioni permanenti, esisteva una apposita<br />

Commissione per l'esame dei decreti e mandati registrati con riserva dalla Corte dei<br />

Conti; Commissione che era stata istituita nel 1867 (V. // Regolamento della Camera<br />

dei deputati commentato dall'avv. UGO GALEOTTI, Roma 1902, pag. 62 e segg.).<br />

(120) Anche questi termini sono caduti in desuetudine. V. in proposito Tosi,<br />

Modifiche tacite alla Costituzione, cit., pagg. 96-97.


Gli organi della Camera 275<br />

le Commissioni permanenti (121), non attribuisce a questi organi una<br />

funzione permanente di controllo sull'attività del Governo (122).<br />

La relazione della Commissione competente su un decreto registrato<br />

con riserva deve essere messa all'ordine del giorno dell'Assemblea<br />

dal Presidente della Camera, appena gli perviene da parte del Presidente<br />

della Commissione; e la discussione segue in luogo delle interrogazioni<br />

e innanzi ad ogni altra materia, nel primo martedì successivo<br />

(123). Essa si conclude con la votazione della proposta della Commissione<br />

di approvare o meno l'avvenuta registrazione del decreto.<br />

16. - La Costituzione, il Regolamento e leggi speciali prevedono<br />

che la Camera possa o debba istituire altre Commissioni, oltre a quelle<br />

permanenti di cui ci siamo finora occupati, e alle Giunte di cui ci occuperemo<br />

in seguito.<br />

Il Regolamento all'art. 31, ultimo comma, attribuisce alla Camera<br />

una facoltà generalissima di costituire Commissioni speciali, composte<br />

in modo da rispecchiare la composizione dei Gruppi parlamentari. A<br />

queste Commissioni, in base all'art. 72 della Costituzione, 3° comma,<br />

e all'art. 40 Reg. Camera, 1° comma, possono anche essere deferiti<br />

l'esame e l'approvazione di progetti di legge. La Camera può altresì<br />

costituire Commissioni d'indagine, d'inchiesta, o per altri fini non tipizzati,<br />

sempre con sua semplice deliberazione.<br />

Oltre a queste Commissioni « monocamerali » possono essere costituite<br />

- di norma, soltanto per legge - anche Commissioni che escono<br />

dall'esclusivo ambito della Camera, e precisamente:<br />

- Commissioni bicamerali (composte cioè da deputati e senatori),<br />

che possono considerarsi organi di entrambe le Camere, istituiti per<br />

scopi generali dell'ordinamento; esse operano sotto l'alta sovrintendenza<br />

dei due Presidenti delle Camere, e sono in genere regolamentate dalla<br />

legge istitutiva;<br />

(121) AMBROSINI, Partiti politici e gruppi parlamentari dopo la proporzionale,<br />

cit., pag. 126.<br />

(122) È da notare, tuttavia, che le funzioni di controllo politico delle Commissioni<br />

si vanno de facto e quasi fatalmente allargando ; e che da più parti si moltiplicano<br />

le proposte perché si possano discutere in Commissione anche le interpellanze e<br />

le interrogazioni, che sono gli strumenti tipici del controllo politico. È inoltre già<br />

avvenuto che alla Camera siano state approvate in Commissione in sede deliberante<br />

proposte d'inchiesta parlamentare, che costituiscono il più alto grado di espressione<br />

del potere di sindacato sul Governo da parte del Parlamento (Cfr. LONGI-STRAMACCI,<br />

Le Commissioni parlamentari, cit., pag. 48).<br />

(123) Termini, al solito, desueti.


276 Gli organi della Camera<br />

- Commissioni miste (composte cioè da deputati, senatori e membri<br />

estranei, in genere tecnici, studiosi, funzionari della pubblica amministrazione)<br />

: il ricorso a queste Commissioni - di cui è ancora incerta<br />

la sistemazione dommatica, ma che tuttavia conservano certamente il<br />

carattere di organi delle Camere, nel cui ambito sorgono e prevalentemente<br />

operano - si va facendo sempre più frequente, sì da delineare<br />

nuovi tipi di rapporti tra Parlamento e Governo.<br />

Le Commissioni speciali possono così classificarsi, in riferimento<br />

alle finalità tipiche per le quali vengono di solito istituite:<br />

a) Commissioni speciali per l'esame di progetti di legge, in sede<br />

referente o in sede legislativa;<br />

b) Commissioni di indagine su accuse che possono ledere l'onorabilità<br />

di deputati, formulate nel corso di dibattiti parlamentari;<br />

e) Commissioni d'inchiesta parlamentare su materie di pubblico<br />

interesse (monocamerali o bicamerali);<br />

d) Commissione inquirente per i procedimenti d'accusa (bicamerale);<br />

e) Commissioni di vigilanza (bicamerali o miste);<br />

f) Commissioni consultive per pareri al Governo, soprattutto in<br />

materia di norme delegate (bicamerali).<br />

17. - Come abbiamo già visto, l'esame di uno o più progetti di legge,<br />

in sede referente o in sede legislativa, può essere dalla Camera affidato<br />

a Commissioni speciali, composte in modo da rispecchiare la proporzione<br />

dei gruppi parlamentari (art. 72 Cost, 3° comma; art. 40 Reg. Camera,<br />

1° comma). Anzi, la lettera del terzo comma dell'art. 72 della Costituzione<br />

lascerebbe intendere una preferenza, sia pur lieve, del legislatore<br />

costituente per questo procedimento, almeno in sede legislativa, rispetto<br />

al deferimento a Commissioni permanenti.<br />

In pratica, si ricorre ad una Commissione ad hoc, in deroga alla<br />

competenza delle Commissioni permanenti, quando queste non sono ancora<br />

costituite (all'inizio della legislatura, per provvedimenti urgenti),<br />

oppure quando lo consigli la specialità della materia, soprattutto nel caso<br />

di progetti di particolare rilievo, che investano la competenza di più Commissioni<br />

permanenti.<br />

La costituzione di una Commissione speciale, di norma, è decisa dal<br />

Presidente della Camera, al quale pure è in genere deferita - come abbiamo<br />

già detto - la sua composizione, sulla base di « rose » di nomi


Gli organi della Camera 277<br />

designati dai Gruppi. Quando però si tratta di deferire progetti di legge<br />

all'esame di una Commissione speciale in sede legislativa, la Camera può<br />

opporsi all'atto dell'annunzio (art. 40 Reg. Camera, 1° comma).<br />

Le Commissioni speciali per l'esame di progetti di legge in sede referente<br />

o in sede legislativa non differiscono nella loro struttura e nel<br />

loro funzionamento dalle Commissioni permanenti che agiscono nelle<br />

stessi sedi: ad esse si applicano pertanto, con gli opportuni adattamenti,<br />

le regole che abbiamo sopra enunciato, sia per quanto concerne la loro<br />

convocazione da parte del Presidente della Camera per la costituzione,<br />

sia per le funzioni del loro Presidente, dei Vicepresidenti e dei Segretari,<br />

sia per la disciplina dei dibattiti e di tutta la loro attività.<br />

Queste Commissioni speciali, per la loro stessa natura, non sono<br />

soggette ad una scadenza periodica, come le Commissioni permanenti,<br />

ma cessano con l'esaurimento della funzione referente o legislativa per<br />

la quale erano state costituite.<br />

18. - Il deputato che nel corso di una discussione parlamentare<br />

sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità può chiedere al Presidente<br />

della Camera la nomina di una Commissione d'indagine, alla<br />

quale spetta il compito di giudicare la fondatezza dell'accusa e di riferirne<br />

all'Assemblea (art. 74 Reg. Camera).<br />

Le Commissioni d'indagine traggono la loro origine dalle « inchieste<br />

personali » e dai « giurì d'onore », intorno alla cui ammissibilità e<br />

configurazione vi fu molta incertezza nei primi decenni di vita del Parlamento<br />

italiano (124); finché nel 1921 il deputato Colonna di Cesarò<br />

propose la costituzione di una Commissione permanente, la « Corte<br />

d'onore della Camera », « chiamata a giudicare delle vertenze che sorgono<br />

fra deputati per accuse che nel corso della discussione alcuno di<br />

essi possa rivolgere contro suoi colleghi e che ledano l'onorabilità di<br />

questi ultimi », ed anche, su concorde richiesta delle parti, di vertenze<br />

d'onore apertesi fra deputati al di fuori dei dibattiti parlamentari (125).<br />

La Giunta per il Regolamento accolse solo in parte questa proposta; e<br />

(124) V. MANCINI-GALEOTTI, op. cit., pag. 394 e segg., con ampia citazione di<br />

precedenti; FURLANI, Le Commissioni parlamentari d'inchiesta, Milano 1954, pag. 71<br />

e segg.<br />

(125) Doc. VII, n. 1, della Legislatura XXVI, sessione 1921. La costituzione<br />

di una Commissione permanente a questi scopi fu riproposta alla Costituente dall'on.<br />

Calamandrei (articolo aggiuntivo 78-bis al progetto della Costituzione); ma la proposta<br />

non ebbe fortuna.


278 Gli organi della Camera<br />

la Camera nel 1922 introdusse nel Regolamento la disciplina attuale, che<br />

non prevede un apposito organo permanente, cui deferire obbligatoriamente<br />

le questioni del genere insorte nell'ambito parlamentare e facoltativamente<br />

quelle insorte all'esterno, come proponeva l'on. Colonna di<br />

Cesarò, ma un organo temporaneo ad hoc: appunto la Commissione di<br />

indagine.<br />

La Commissione d'indagine, in base al vigente Regolamento, ha<br />

dunque le seguenti caratteristiche:<br />

- è istituita su richiesta del deputato offeso, rivolta al Presidente<br />

della Camera: la sua costituzione, pertanto, non è obbligatoria, né può<br />

derivare da un voto della Camera o da un procedimento d'ufficio instaurato<br />

dal suo Presidente, ma ha per presupposto la manifestazione di volontà<br />

dell'interessato (come nella querela penale, cui viene in sostanza<br />

a sostituirsi, dato il principio delFimperseguibilità dei membri del Parlamento<br />

per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, di cui<br />

all'art. 68 Cost., primo comma);<br />

- può essere richiesta soltanto per accuse lesive dell'onorabilità<br />

di un deputato formulate nel corso di una discussione, in Assemblea<br />

plenaria o in sedute formali di altri organi della Camera (con esclusione,<br />

dunque, delle accuse formulate in sede esterna alla Camera, o anche in<br />

sede interna, ma non nel corso di sedute formali): sulla sussistenza o<br />

meno delle condizioni per procedere alla costituzione della Commissione<br />

d'indagine, sia in relazione al carattere dell'accusa, sia in ordine alla<br />

sede in cui è stata formulata, decide, sull'istanza dell'interessato, il Presidente<br />

della Camera;<br />

- è nominata dal Presidente della Camera, e si costituisce poi<br />

nei modi previsti per le altre Commissioni (126);<br />

- ha un compito rigorosamente circoscritto all'indagine per accertare<br />

se le accuse mosse contro il deputato siano o no fondate: a tal<br />

fine può servirsi degli strumenti propri dell'autorità giudiziaria, senza<br />

tuttavia invadere con ciò la sfera di competenza che a questa è propria,<br />

giacché la sua indagine ha soltanto carattere morale e politico (127),<br />

lascia completamente libera l'autorità giudiziaria di indagare ed eventualmente<br />

di pervenire a conclusioni diverse sugli stessi fatti, e non tende<br />

né perviene ad irrogare sanzioni di sorta;<br />

- nella sua relazione si limita ad affermare o a negare la fondatezza<br />

dell'accusa sulla base dei fatti accertati; il suo giudizio (che solo<br />

(126) Le funzioni di segreterìa di queste Commissioni sono espletate dal Servizio<br />

prerogative e immunità della Camera (art. 8 Reg. dei Servizi e del Personale).<br />

(127) V. MANCINI-GALEOTTI, op. cit., pag. 401.


Gli organi della Camera 279<br />

indirettamente si riflette pertanto sui deputati che quelle accuse hanno<br />

formulato o negato) è considerato come espressione collegiale di un<br />

organo giudicante, e pertanto, anche se adottato a maggioranza, non<br />

consente relazioni di minoranza, ma soltanto una eventuale menzione<br />

del dissenso, senza che i commissari dissenzienti possano riproporne i<br />

motivi in Assemblea;<br />

- cessa dalle sue funzioni nel momento in cui riferisce alla Camera:<br />

a questo proposito può esserle assegnato un termine per riferire;<br />

- il giudizio da essa espresso non è suscettibile di discussione in<br />

Assemblea, né da parte degli stessi commissari, né da parte di deputati<br />

estranei alla vertenza, né da parte degli interessati; pertanto la Camera,<br />

ascoltata la relazione, ne prende atto senza procedere ad alcuna deliberazione<br />

(128).<br />

19. - Tutt'altra cosa dalle Commissioni di indagine sono le Commissioni<br />

d'inchiesta (129), previste dall'art. 82 Cost. (« Ciascuna Camera<br />

può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo<br />

nomina fra i propri componenti una Commissione formata in modo da<br />

rispecchiare la proporzione dei vari Gruppi. La Commissione di inchiesta<br />

procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni<br />

dell'autorità giudiziaria ») e disciplinate dal capo XV del Regolamento<br />

della Camera.<br />

Le Commissioni di inchiesta nella tradizione parlamentare sono<br />

considerate il più importante ed efficace strumento della funzione ispettiva<br />

del Parlamento: pertanto se ne parlerà più propriamente, sotto il<br />

profilo funzionale, nella parte di questo studio a ciò dedicata. Qui accenneremo<br />

soltanto brevemente ad alcune loro caratteristiche strutturali.<br />

Le Commissioni d'inchiesta, dunque:<br />

- possono essere istituite per le materie più varie (« materie di<br />

pubblico interesse », dice l'art. 82 Cost.). Nella prassi, tuttavia, si individuano<br />

due grandi filoni, spesso commisti tra loro: le inchieste per<br />

l'accertamento di manchevolezze e di responsabilità politiche e amministrative<br />

nell'ambito dell'amministrazione pubblica; e quelle per l'esame<br />

di determinate situazioni in vista di possibili riforme legislative. Queste<br />

ultime, più che nella funzione ispettiva, sembrano inserirsi nel proce-<br />

(128) V. su questi punti MUSCARA, Manuale del deputato, cit., pagg. 93-94 (specialmente<br />

in nota), con citazione di precedenti; FURLANI, op. cit., pag. 72; MORTATI,<br />

Istituzioni di diritto pubblico, cit., pag. 603.<br />

(129) Una originale e completa ricostruzione di questo istituto trovasi in ELIA,<br />

Gli atti bicamerali non legislativi, in « Studi sulla Costituzione », Milano 1958, voi. II,<br />

pag. 421 e segg. V. anche: PACELLI, L'inchiesta parlamentare come strumento di controllo<br />

politico, Firenze 1966.


280 Gli organi della Camera<br />

dimento di formazione delle leggi, e presentano piuttosto analogie con<br />

le « indagini conoscitive » delle Commissioni permanenti (vedi sopra)<br />

(130);<br />

- possono essere istituite soltanto sulla base di proposte d'iniziativa<br />

parlamentare, che sono equiparate nel loro iter alle proposte di<br />

legge (131). Tuttavia, per una prassi costantemente seguita, il proponente<br />

non può avvalersi della facoltà di rinunciare alla fase dello svolgimento<br />

(art. 133 Reg. Camera), per cui la Camera deve sempre votare sulla presa<br />

in considerazione (132);<br />

- possono essere monocamerali (133) o bicamerali: in questo secondo<br />

caso la loro costituzione avviene di norma con legge ordinaria<br />

(134), ma il Regolamento prevede anche la possibilità che Camera e<br />

Senato prendano due distinte deliberazioni per inchieste sulla stessa materia<br />

e che le due Commissioni concordino di procedere in comune<br />

(art. 136 Reg. Camera, 4° comma, corrispondente all'art. 115 Reg. Senato,<br />

2° comma);<br />

(130) A questo tipo può ricondursi anche la particolarissima esperienza della<br />

Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico,<br />

artistico e del paesaggio, istituita dalla legge 26 aprile 1964, n. 310, che era<br />

composta di deputati, senatori ed esperti esterni (era cioè una Commissione mista) e<br />

che ha concluso i suoi lavori suggerendo al Parlamento e al Governo tutta una serie<br />

di misure legislative e amministrative in relazione alle situazioni accertate.<br />

(131) Contro: PIERANDREI, Inchiesta parlamentare, in « Nuovissimo Digesto italiano<br />

», Torino 1962, voi. Vili, pag. 519; PACELLI, op. cit., pagg. 33-34; FURLANI,<br />

op. cit., pagg. 65-68. Effettivamente l'art. 135 Reg. Camera dice che « le proposte per<br />

inchieste parlamentari sono equiparate a qualsivoglia altra proposta d'iniziativa parlamentare»,<br />

e non che sono equiparate alle proposte di legge: da ciò il Furlani<br />

(richiamando anche una dichiarazione dell'on. Rattazzi nella seduta del 10 marzo 1871)<br />

deduce che gli articoli del Regolamento sulle proposte di legge d'iniziativa parlamentare<br />

non sono tassativamente e sempre applicabili alle proposte d'inchiesta, potendosi<br />

queste discutere ed approvare anche nei modi previsti per gli emendamenti, gli ordini<br />

del giorno, le mozioni. In questo senso è la prassi parlamentare francese, dove le<br />

inchieste furono quasi sempre approvate mediante semplici risoluzioni, talora votate lo<br />

stesso giorno della presentazione, senza preventivo esame degli Uffici e relazione della<br />

Commissione ; ed anche la prassi del Parlamento italiano nel secolo scorso. La nostra<br />

recente prassi parlamentare è però nel senso di equiparare completamente le proposte<br />

di inchiesta parlamentare, ai fini procedurali, alle proposte di legge d'iniziativa parlamentare.<br />

(132) Cfr. MUSCARA, Manuale del deputato, cit., pag. 496.<br />

(133) La possibilità di costituire Commissioni d'inchiesta da parte di una sola<br />

Camera suscitò varie obiezioni in seno all'Assemblea Costituente, che furono tuttavia<br />

superate facendo riferimento alla costante tradizione parlamentare italiana e al principio<br />

generale per cui gli strumenti di controllo politico del Parlamento sul Governo possono<br />

esaurirsi nell'ambito di una sola Assemblea, senza implicare il concorso di entrambe<br />

le Camere. V. FURLANI, op. cit., pagg. 61-62.<br />

(134) Cfr. VIROA, Diritto costituzionale, Palermo 1955, pag. 243. Contro, nel<br />

senso di ritenere che anche in questo caso le Camere possano procedere con una<br />

« risoluzione bicamerale » avente carattere di atto complesso : ELIA, Gli atti bicamerali<br />

non legislativi, cit., pagg. 428-429.


Gli organi della Camera 281<br />

- sono nominate dalla Camera dopo che l'inchiesta è stata deliberata;<br />

ma la Camera può delegarne la nomina al Presidente (ed è questa<br />

la procedura normalmente adottata). In ogni caso, la composizione<br />

delle Commissioni d'inchiesta deve rispettare la proporzione dei Gruppi<br />

parlamentari (art. 82 Cost; art. 136 Reg. Camera, 1° comma). Ovviamente,<br />

quando si tratti di Commissioni bicamerali la Camera nomina,<br />

con gli anzidetti criteri, soltanto i membri deputati;<br />

- si costituiscono come le altre Commissioni (135), e procedono<br />

nelle indagini e negli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni<br />

dell'autorità giudiziaria (art. 82 Cost.; art. 136 Reg. Camera, 3° comma)<br />

(136); possono trasferirsi o inviare loro componenti fuori della<br />

sede della Camera, su autorizzazione del Presidente della Camera<br />

(art. 137 Reg. Camera); debbono sospendere la propria attività e<br />

trasmettere gli atti alla Commissione inquirente per i procedimenti<br />

d'accusa quando questa comunichi loro di aver iniziato indagini per gli<br />

stessi fatti o per fatti connessi a quelli che formano oggetto dell'inchiesta<br />

(se poi il Parlamento in seduta comune delibera la messa in stato<br />

d'accusa, la Commissione d'inchiesta decade dal suo ufficio; negli altri<br />

casi riprende la sua attività, ma è vincolata ai fatti accertati e alle<br />

decisioni prese dalla Commissione inquirente o dal Parlamento) (art. 23<br />

Reg. per i procedimenti d'accusa);<br />

- restano in carica nonostante l'eventuale cessazione delle Camere<br />

che hanno deliberato l'inchiesta, e fino al termine stabilito dalla legge<br />

o dalla deliberazione istitutiva (137);<br />

- concludono i loro lavori con una relazione alla Camera, sulla<br />

quale di norma si apre un dibattito in Assemblea plenaria. La relazione<br />

non determina immediate conseguenze giuridiche, ma può essere di grande<br />

importanza politica, può rimettere in discussione la stessa fiducia al Governo,<br />

può influire sulla futura legislazione, può determinare conseguenze<br />

in campo penale, ecc.<br />

(135) Le funzioni di segreteria delle Commissioni d'inchiesta sono però affidate<br />

al Servizio studi, legislazione e inchieste parlamentari della Camera (art. 11 Reg.<br />

dei Servizi e del Personale).<br />

(136) Prima che la materia fosse definitivamente regolata da queste disposizioni,<br />

il procedimento in seno alla Commissione d'inchiesta era oggetto di molte incertezze<br />

e dubbi, sia in sede teorica, sia in sede pratica. V. MANCINI-GALEOTTI, op. cit.,<br />

pag. 386 e segg.<br />

(137) In questo senso: FALZONE, La prassi nell'ordinamento costituzionale repubblicano,<br />

in « Studi sulla Costituzione », voi. II, Milano 1958, pag. 454. Sui limiti<br />

temporali allo svolgimento dell'inchiesta, particolarmente per l'ipotesi di cessazione della<br />

Camera o delle Camere che l'hanno deliberata, v. PACELLI, op. cit., pagg. 60-64, con<br />

ampi richiami.


282 Gli organi della Camera<br />

20. - La Commissione inquirente per i procedimenti di accusa (legge<br />

costituzionale 11 marzo 1953, n. 1) è un organo bicamerale permanente<br />

cui è commesso l'esame preliminare dei rapporti, dei referti e delle denunce<br />

trasmessi dal Presidente della Camera e relativi a fatti previsti<br />

dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, per riferirne al Parlamento in<br />

seduta comune, oppure, ricorrendone gli estremi, per adottare direttamente<br />

provvedimenti definitivi (dichiarazione di incompetenza, archiviazione,<br />

deliberazione di non doversi procedere). La sua attività è disciplinata<br />

dal Regolamento parlamentare per i procedimenti d'accusa, approvato<br />

dalla Camera nella seduta del 14 luglio 1961 e dal Senato in<br />

quella del 20 luglio 1961.<br />

Anche per questo organo faremo qui soltanto cenno ad alcune sue<br />

caratteristiche strutturali, rinviando per il resto alla parte di questo studio<br />

che si occupa specificamente dei procedimenti d'accusa contro il Presidente<br />

della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri<br />

(138).<br />

La Camera, ogni volta che si rinnova, provvede all'elezione dei> dieci<br />

deputati componenti la Commissione inquirente (i dieci membri senatori<br />

sono eletti dal Senato con analoghe modalità). Il Presidente della Camera,<br />

intesi i Presidenti dei Gruppi parlamentari e il Presidente del Senato,<br />

determina la ripartizione dei dieci seggi di commissario tra i Gruppi, in<br />

modo da rispettarne la proporzione; in conformità a tale ripartizione<br />

e su designazione dei Gruppi stessi, forma una lista di candidati, che<br />

la Camera vota a scrutinio segreto a norma dell'art. 98 Reg. Camera<br />

(il che vuol dire che ai deputati è dato soltanto approvare o respingere<br />

in blocco la lista proposta dal Presidente, ma non modificarne la composizione).<br />

Con le stesse modalità la Camera elegge dieci commissari supplenti<br />

(art. 2 Reg. per i procedimenti di accusa).<br />

I commissari possono rifiutare la nomina, dandone comunicazione<br />

entro tre giorni al Presidente della Camera; ma, decorso tale termine,<br />

non possono dare le dimissioni (art. 3 Reg. per i procedimenti di<br />

accusa). L'ufficio di commissario è incompatibile con la carica di Presidente<br />

del Consiglio, di Ministro, di Sottosegretario di Stato o di Commissario<br />

del Governo.<br />

I commissari non possono essere ricusati; hanno tuttavia facoltà<br />

di astenersi, con il consenso del Presidente della Camera, nei casi in cui<br />

il codice di procedura penale ammette la ricusazione del giudice o quan-<br />

(138) V. anche, in argomento, la pubblicazione: Le norme sul procedimento di<br />

accusa parlamentare, edita dal Segretariato generale della Camera, Roma 1967.


Gli organi della Camera 283<br />

do esistano gravi ragioni di convenienza. Debbono in ogni caso astenersi<br />

i commissari che abbiano fatto parte del Governo nel periodo in cui<br />

si sono verificati i fatti per cui si procede (art. 4 Reg. per i procedimenti<br />

di accusa).<br />

In tutti i casi di rifiuto della nomina, cessazione dall'ufficio, astensione<br />

o impedimento, i commissari effettivi sono sostituiti dai commissari<br />

supplenti appartenenti allo stesso Gruppo, secondo l'ordine di<br />

designazione da parte del Gruppo (art. 5 Reg. per i procedimenti di<br />

accusa).<br />

La Commissione è convocata per la prima volta e ad ogni sua rinnovazione<br />

dal Presidente della Camera, sentito il Presidente del Senato,<br />

entro quindici giorni dall'elezione o dalla rinnovazione parziale; e procede<br />

alla sua costituzione con le regole previste per le Commissioni della<br />

Camera (art. 6 Reg. per i procedimenti di accusa).<br />

Queste valgono anche a disciplinare la successiva attività della Commissione.<br />

Peraltro, per la validità delle sedute è necessaria la presenza<br />

della maggioranza dei commissari, i quali decidono a maggioranza dei<br />

presenti; non è ammessa l'astensione dal voto, e in caso di parità prevale<br />

il voto del Presidente (art. 7 Reg. per i procedimenti di accusa).<br />

La Commissione ha sede presso la Camera dei deputati (art. 9<br />

Reg. per i procedimenti di accusa); le spese per il suo funzionamento<br />

sono ripartite a metà tra le due Camere (art. 30 Reg. per i procedimenti<br />

di accusa). Vi è addetto un ufficio di segreteria composto di dipendenti<br />

della Camera (139) e del Senato, messi a disposizione dai rispettivi Presidenti,<br />

sentito il Presidente della Commissione; durante i lavori della<br />

Commissione e su richiesta del suo Presidente possono anche esservi chiamati<br />

magistrati, cancellieri o segretari degli uffici giudiziari (art. 8 Reg.<br />

per i procedimenti di accusa).<br />

21. - Le Commissioni di vigilanza - che hanno, in genere, carattere<br />

bicamerale - sono costituite per scopi abbastanza eterogenei, ma<br />

riconducibili sempre alle funzioni di controllo del Parlamento sull'Amministrazione.<br />

Una importanza sempre crescente ha assunto, fra esse, la « Commissione<br />

di vigilanza sulle radiodiffusioni » (decreto legislativo del Capo<br />

(139) I dipendenti della Camera addetti alla segreteria della Commissione inquirente<br />

fanno capo al Servizio prerogative e immunità (art 8 Reg. dei Servizi e del<br />

Personale).


284 Gli organi della Camera<br />

provvisorio dello Stato 3 aprile 1947, n. 428; legge 23 agosto 1949,<br />

n. 681), che è composta da 15 deputati e 15 senatori, eletti dalle rispettive<br />

Camere. La generale diffusione delle trasmissioni radiotelevisive, la<br />

loro influenza sull'opinione pubblica, i delicati problemi inerenti alla<br />

disciplina dei programmi aventi direttamente o indirettamente carattere<br />

politico, hanno fatto di quest'organo un ganglio nevralgico dell'attività<br />

politica, sede di accesi dibattiti e strumento per l'esercizio di una funzione<br />

parlamentare di controllo di notevole rilievo (140).<br />

Compito della Commissione è quello di controllare l'uso che la<br />

società concessionaria RAI-TV fa dei mezzi di diffusione radiotelevisivi<br />

e di garantirne l'obiettività informativa, in modo da evitare le deformazioni<br />

dei fatti e la diffusione di notizie false o di interpretazioni tendenziose.<br />

Allo scopo la Commissione - ai sensi dell'art. 7 delle norme sul<br />

suo funzionamento, emanate giusta delega dei Presidenti delle Camere<br />

contenuta nell'art. 14 del decreto legislativo 3 aprile 1947, n. 428 - riceve<br />

tutti i programmi e i testi delle trasmissioni radiotelevisive; e rimette<br />

al Governo le proprie delibere, che debbono ritenersi vincolanti.<br />

Il Presidente del Consiglio, informato il Ministro delle poste e telecomunicazioni<br />

(cui compete la vigilanza sulla RAI-TV in sede amministrativa),<br />

deve impartire al Presidente della RAI-TV le disposizioni per curarne<br />

l'osservanza.<br />

La Commissione è inoltre chiamata ad esprimere il suo parere qualora<br />

il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle poste e telecomunicazioni,<br />

intenda procedere alla revoca della concessione alla<br />

RAI-TV, ove questo ente sia recidivo in gravi inadempienze riguardanti<br />

gli aspetti politici delle trasmissioni (art. 17 del decreto legislativo 3<br />

aprile 1947, n. 428).<br />

Esistono poi alcune Commissioni a carattere misto (composte cioè<br />

di deputati, senatori e membri esterni) per la vigilanza « sulla Cassa depositi<br />

e prestiti e sugli istituti di previdenza » (testo unico 2 gennaio<br />

1913, n. 453), « sull'istituto di emissione e sulla circolazione dei biglietti<br />

di banca » (testo unico 28 aprile 1910, n. 204, modificato dal decreto<br />

luogotenenziale 31 dicembre 1915, n. 1928), « sull'amministrazione del<br />

debito pubblico » (testo unico 14 febbraio 1963, n. 1343). Di ognuna di<br />

queste Commissioni fanno parte tre deputati e tre senatori, che vengono<br />

(140) Le funzioni di segreteria per questa Commissione sono svolte dal Servizio<br />

prerogative e immunità della Camera (art. 8 Reg. dei Servizi e del Personale) ; per le<br />

altre Commissioni di vigilanza, dal Servizio Commissioni parlamentari (art. 10 Reg. dei<br />

Servizi e del Personale).


Gli organi della Camera 285<br />

eletti annualmente dalle rispettive Camere. I membri eletti dalla Camera<br />

dei deputati sono designati con il sistema del voto limitato previsto dall'art.<br />

9 Reg. Camera: ogni deputato vota per due nomi e sono eletti i<br />

tre che ottengono il maggior numero di voti, purché raggiungano l'ottavo<br />

dei votanti; per quelli che non abbiano raggiunto questo quorum,<br />

si procede al ballottaggio.<br />

I commissari presentano alle Camere una relazione annuale, che<br />

viene depositata nelle rispettive Segreterie a disposizione dei deputati<br />

e dei senatori.<br />

22. - In occasione dell'approvazione di alcune leggi di delegazione<br />

al Governo, è invalso l'uso di istituire Commissioni bicamerali consultive,<br />

designate dai Presidenti delle due Camere, per il parere al Governo sulle<br />

norme delegate. In tal modo il Parlamento, oltre ad indicare al Governo<br />

i princìpi e i criteri direttivi per le leggi delegate (art. 76 Cost), non<br />

rinuncia a partecipare anche all'opera di concreta elaborazione delle<br />

relative norme, sia pure attraverso una speciale Commissione che affianca<br />

l'opera del Governo in veste soltanto consultiva. Il Governo deve<br />

sottoporre a queste Commissioni i progetti articolati delle leggi delegate;<br />

e dell'avvenuta consultazione si dà atto nel preambolo del decreto<br />

di approvazione del Presidente della Repubblica.<br />

II Governo non è obbligato ad uniformarsi ai pareri delle Commissioni<br />

parlamentari consultive, ma non può certo trascurarli, anche perché<br />

emanano dalla fonte stessa che gli ha delegato nel caso concreto il potere<br />

legislativo. Pertanto, questo sistema tende a diventare un sistema<br />

atipico di legislazione mista, che finisce per essere elaborata in collaborazione<br />

tra il Parlamento e il Governo (141).<br />

Alla fine della quarta legislatura esistevano Commissioni parlamentari<br />

per il parere al Governo sulle norme delegate « in materia di nuova<br />

tariffa generale dei dazi doganali » (legge 24 dicembre 1949, n. 993, e<br />

successive proroghe e modificazioni); « in materia di acquedotti » (legge<br />

4 febbraio 1963, n. 129, e successiva proroga); « sulla riforma e il miglioramento<br />

dei trattamenti di pensione della previdenza sociale » (legge<br />

21 luglio 1965, n. 903); « sulle norme dirette ad attuare il coordinamento<br />

degli interventi in materia di sistemazione idrogeologica e di difesa del<br />

suolo» (legge 23 dicembre 1966, n. 1142; legge 27 luglio 1967, n. 632).<br />

(141) V. in argomento BALBONI-ACQUA, Le Commissioni parlamentari consultive<br />

previste dalle leggi di delega, in «Giurisprudenza Costituzionale», 1964, pag. 909.


286 Gli organi della Camera<br />

L'attività di queste Commissioni si esaurisce, di regola, quando siano<br />

emanate le norme delegate sulle quali debbono rendere il parere e in<br />

funzione delle quali sono state istituite.<br />

Altre Commissioni consultive sono state istituite per legge anche<br />

in ordine a materie di stretta competenza dell'esecutivo, sulle quali si<br />

ritiene che il Parlamento possa essere utilmente consultato: di questo<br />

tipo è, per esempio, la « Commissione parlamentare per il parere al Governo<br />

sulle direttive e sui criteri di ripartizione degli stanziamenti previsti<br />

per le iniziative di interesse turistico ed alberghiero » (legge 15 febbraio<br />

1962, n. 68) (142).<br />

Un particolare tipo di Commissione consultiva è la « Commissione<br />

parlamentare per le questioni regionali » (art. 126 Cost, 4° comma; legge<br />

10 febbraio 1953, n. 62), che è composta da quindici deputati e quindici<br />

senatori designati dalle Camere con criteri di proporzionalità, e rimane<br />

in carica per la durata della legislatura. Questa Commissione deve essere<br />

sentita quando si intenda procedere allo scioglimento di un Consiglio<br />

regionale; ed ha anche funzioni di proposta in ordine alla nomina Mei<br />

tre Commissari di cui all'art. 126 Cost., ultimo comma, qualora si addivenga<br />

allo scioglimento, nonché su altre questioni di interesse regionale.<br />

LE GIUNTE.<br />

23. - Nell'uso parlamentare italiano il termine di « Giunta » - tradizionalmente<br />

riservato ad alcuni organi tra i più antichi e importanti<br />

della Camera - è stato tuttavia lungamente considerato come sinonimo<br />

del termine « Commissione », e con esso fungibile. In seguito alla riforma<br />

regolamentare del 1920, che istituì il sistema delle Commissioni<br />

permanenti, il termine di « Giunta » è venuto però assumendo un significato<br />

più differenziato, passando ad indicare quegli organi collegiali<br />

permanenti della Camera che, a differenza delle Commissioni, non<br />

sono istituzionalmente investiti di funzioni legislative o di controllo politico,<br />

ma di funzioni tecnico-giuridiche, per l'interpretazione e la modificazione<br />

delle norme regolamentari (Giunta per il Regolamento), per<br />

la verificazione delle elezioni e della legittima composizione della Camera<br />

(Giunta per le elezioni), per la difesa del mandato parlamentare<br />

da ingiuste minacce esterne (Giunta per le autorizzazioni a procedere).<br />

Proprio per questo loro carattere tecnico-giuridico, le Giunte sfuggono<br />

al procedimento di designazione da parte dei Gruppi, con il quale<br />

(142) Le funzioni di segreteria delle Commissioni consultive sono esercitate dal<br />

Servizio Commissioni parlamentari (art. 10 Reg. dei Servizi e del Personale).


Gli organi della Camera 287<br />

si provvede alla composizione delle Commissioni permanenti; ma sono<br />

direttamente nominate dal Presidente della Camera, che in questo caso<br />

- a garanzia della massima imparzialità di tali organi - non è neppure<br />

vincolato al rispetto della proporzione tra i Gruppi esistenti in Assemblea.<br />

Naturalmente, il Presidente della Camera tiene conto, in pratica,<br />

di tale proporzione, seppure in modo non rigoroso; ed anche di eventuali<br />

designazioni ufficiose da parte dei Gruppi. Tuttavia, dal punto di vista<br />

regolamentare il suo potere di nomina è qui vincolato soltanto per il<br />

numero dei deputati da nominare, ed è per il resto assolutamente discrezionale.<br />

Un altro tratto distintivo delle Giunte rispetto alle Commissioni<br />

permanenti è che le prime non si rinnovano ogni biennio come le seconde,<br />

ma sono nominate dal Presidente della Camera, nella seduta successiva<br />

a quella della sua elezione (143), per la durata dell'intera legislatura.<br />

La pubblicità dei lavori delle Giunte è assicurata dal Bollettino<br />

delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, pubblicato a cura del<br />

Segretariato generale della Camera, che ne riporta in sintesi le discussioni<br />

e le deliberazioni (art. 41 Reg. Camera).<br />

24. - Nel 1886 la Camera istituì una Commissione permanente,<br />

« che studi e riferisca » (così ne definì i compiti il relatore on. Cuccia),<br />

« man mano che se ne avvertirà il bisogno, le singole massime che gioverà<br />

introdurre nel nostro Regolamento ».<br />

In precedenza, le modificazioni regolamentari erano affidate a Commissioni<br />

temporanee costituite ad hoc, che difficilmente pervenivano a<br />

concreti risultati. L'istituzione della « Giunta permanente per il Regolamento<br />

interno della Camera » portò invece quasi immediatamente alle<br />

grandi riforme Bonghi, che costituiscono ancora il nucleo essenziale di<br />

molte parti del Regolamento vigente.<br />

Attualmente la Giunta per il Regolamento è composta di 12 membri,<br />

nominati dal Presidente della Camera nel modo che abbiamo visto,<br />

ed è da lui stesso presieduta (a differenza delle altre Giunte, che eleggono<br />

un Presidente tra i propri componenti). Non è prevista la nomina<br />

di Vicepresidenti o di Segretari. I verbali delle sedute sono redatti dal<br />

Segretario generale della Camera (art. 4 Reg. dei Servizi e del Personale).<br />

(143) Nonostante tale disposizione, sancita dall'art. 8 Reg. Camera, per la IV<br />

legislatura il Presidente della Camera on. Leone ha proceduto alla nomina dei componenti<br />

delle Giunte nello stesso giorno della sua elezione (Cfr. Atti parlamentari<br />

della Camera dei deputati, IV legislatura, pag. 11). Quello della «seduta successiva»<br />

va pertanto inteso come un termine massimo.


288 Gli organi della Camera<br />

La Giunta ha una competenza generalissima su tutte le questioni<br />

che direttamente o indirettamente riguardino l'applicazione, l'interpretazione<br />

o la modifica del Regolamento della Camera. Comunque, nell'ambito<br />

di questa competenza le sue funzioni tipiche possono così precisarsi<br />

:<br />

a) una funzione di iniziativa, potendo essa proporre autonomamente<br />

all'Assemblea le modificazioni e le aggiunte al Regolamento che<br />

l'esperienza dimostri necessarie (art. 15 Reg. Camera, 1° comma);<br />

b) una funzione referente, consistente nell'esame preliminare delle<br />

proposte di modificazioni e aggiunte al Regolamento presentate da<br />

deputati (art. 15 Reg. Camera, 3° comma) (144);<br />

e) una funzione consultiva, potendo essa emettere pareri sull'interpretazione<br />

del Regolamento, ma soltanto su richiesta del Presidente<br />

(in genere ciò avviene per questioni o per incidenti procedurali di particolare<br />

rilievo);<br />

d) una funzione arbitrale, per l'esame e la decisione in prima<br />

istanza di conflitti di competenza tra due o più Commissioni permanenti:<br />

in questa ipotesi, come abbiamo già visto, se una Commissione<br />

non si acqueti alla soluzione fissata dalla Giunta, la questione è sottoposta<br />

all'Assemblea, che decide per alzata e seduta, uditi i Presidenti<br />

delle Commissioni, non più di due membri per ciascuna Commissione,<br />

uno a favore e uno contro, e non più di quattro deputati, due a favore e<br />

due contro (artt. 15, 3° comma, e 37, 4° comma Reg. Camera).<br />

Quando la Giunta, di propria iniziativa o riferendo su proposte di<br />

iniziativa parlamentare, sottoponga all'Assemblea modificazioni o aggiunte<br />

al Regolamento, queste dovranno essere approvate a maggioranza<br />

assoluta dei componenti della Camera qualora, prima dell'inizio della<br />

discussione, lo richiedano il Presidente di un Gruppo parlamentare o<br />

dieci deputati (art. 15 Reg. Camera, 2° comma) (145).<br />

(144) Prima ancora dell'istituzione delle Commissioni permanenti, l'esame di tali<br />

proposte seguiva questo iter particolare, sottratto anche al sistema delle « tre letture ».<br />

(145) Questa disposizione, proposta dalla Giunta per il Regolamento e approvata<br />

dall'Assemblea nel 1950,'è valsa a dirimere una complessa questione interpretativa<br />

sulla portata dell'art. 64 Cost., secondo cui « ciascuna Camera adotta il proprio Regolamento<br />

a maggioranza assoluta dei suoi componenti » : norma che per taluni sarebbe<br />

applicabile soltanto alla votazione complessiva di un intero Regolamento, secondo altri<br />

anche alle singole modifiche successive. La disposizione del secondo comma dell'art. 15<br />

Reg. Camera tutela i diritti delle minoranze, che possono sempre chiedere e ottenere,<br />

anche per singole modificazioni, che la votazione si svolga con la particolare maggioranza<br />

prevista dalla Costituzione ; ma consente anche di evitare aggravamenti procedurali<br />

per modifiche di piccolo conto o di significato prevalentemente tecnico. Sulla<br />

costituzionalità dell'art. 15 Reg. Camera la dottrina ha tuttavia sollevato qualche dubbio.<br />

V. in argomento: Tosi, Modificazioni tacite della Costituzione, cit., pagg. 77-79, con<br />

richiami; LONGI-STRAMACCI, // regolamento della Camera dei deputati, cit., pagg. 35-36.


Gli organi della Camera 289<br />

25. — La Giunta delle elezioni fu istituita nel 1868, e rappresentò<br />

per quell'epoca una grossa novità, sia perché era la prima Commissione<br />

di diretta nomina presidenziale, sia perché sottraeva tutta la materia della<br />

verifica dei poteri al complesso e spesso caotico procedimento negli<br />

Uffici (che provocava lunghi ritardi nella convalida dei deputati, da cui<br />

dipendeva allora anche la costituzione dell'Ufficio di Presidenza definitivo<br />

e l'inizio della normale attività parlamentare), attribuendola invece<br />

ad un organo apposito ed autonomo, e immettendo immediatamente i<br />

deputati nell'esercizio delle loro funzioni, anche se non convalidati, salvo<br />

le successive contestazioni. Il sistema allora adottato si ispirava al modello<br />

inglese del tempo, cioè alla Giunta permanente dei Comuni, che<br />

aveva carattere giurisdizionale e le cui decisioni erano inappellabili; ma<br />

non lo seguì completamente (come aveva proposto inizialmente la Commissione<br />

Massari, cui si deve l'iniziativa dell'istituzione di questa Giunta).<br />

L'Assemblea, infatti, non rinunciò ad esprimere il giudizio finale<br />

sulle elezioni contestate (146).<br />

L'attuale Costituzione ha confermato all'art. 66 l'esclusiva competenza<br />

delle Camere a giudicare sulla validità dei titoli di ammissione dei<br />

propri componenti (regolarità delle operazioni elettorali, numero sufficiente<br />

di voti validi, possesso dei requisiti di eleggibilità) e sulle cause<br />

sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità (cioè sulla permanenza<br />

dei requisiti che il deputato deve possedere per non decadere dal mandato).<br />

Questa attività autonoma di controllo, che fu gelosa ed origina'<br />

ria prerogativa di sovranità delle antiche assemblee parlamentari (cosiddetto<br />

« giudizio dei pari »), nel decorso del tempo e in conseguenza<br />

di inconvenienti ed abusi è venuta meno in alcuni paesi, con il trasferimento<br />

della relativa competenza ad organi esterni, in via esclusiva (alla<br />

magistratura ordinaria, in Gran Bretagna; al Consiglio Costituzionale,<br />

nella V Repubblica francese) o in via di appello contro le decisioni dell'Assemblea<br />

(così in Germania si può ricorrere alla Corte Costituzionale<br />

federale contro le decisioni del Bundestag in questa materia). Anche in<br />

Italia in sede di Assemblea Costituente erano state avanzate diverse<br />

proposte per attribuire questa funzione ad organi esterni, come la Suprema<br />

Corte di Cassazione o uno speciale « Tribunale elettorale » composto<br />

di magistrati e di membri delle due Camere: ciò nel timore che<br />

nei procedimenti di convalida le Camere potessero procedere con criteri<br />

politici, magari a danno dei diritti delle minoranze. Questo pericolo, per<br />

(146) V. LONGI-STRAMACCI, // Regolamento della Camera dei deputati, cit.,<br />

pag. 39 e segg.<br />

12.


290 Gli organi della Camera<br />

altro, non si è mai concretamente manifestato nella tradizione parlamentare<br />

italiana. Il legislatore costituente, comunque, preferì conservare alle<br />

Assemblee parlamentari l'esclusivo giudizio sulla legalità della nomina<br />

dei propri membri (147).<br />

Come organo della Camera per la concreta esplicazione di questa<br />

funzione fu conservata la Giunta delle elezioni (148), dove il procedimento<br />

di verifica dei poteri e di esame delle cause sopraggiunte di ineleggibilità<br />

e di incompatibilità è tradizionalmente caratterizzato dalla<br />

massima serenità ed obiettività.<br />

La Giunta delle elezioni è attualmente disciplinata da un Regolamento<br />

interno, da essa approvato il 12 dicembre 1962; ed è composta<br />

di 30 membri, nominati dal Presidente della Camera dopo la sua elezione<br />

nei modi già visti. I deputati scelti dal Presidente non possono rifiutare<br />

la nomina né dare le dimissioni; quand'anche le diano, il Presidente<br />

non le comunica alla Camera. Il Presidente può però rinnovare la Giunta<br />

ove questa non risponda per un mese alla convocazione, sebbene ripetutamente<br />

effettuata, o non sia possibile raccogliere durante lo * stesso<br />

tempo il numero legale (art. 16 Reg. Camera): numero legale che, per la<br />

validità delle riunioni della Giunta, è di 12 membri (art. 19 Reg. Camera;<br />

art. 2 Reg. Giunta delle elezioni).<br />

La Giunta si riunisce entro 24 ore dalla nomina, per invito del Presidente<br />

della Camera, sotto la presidenza provvisoria del membro con<br />

maggiore anzianità di deputazione, o, in caso di parità, del maggiore di<br />

età. Essa procede immediatamente alla propria costituzione, eleggendo<br />

tra i suoi componenti un Presidente, un Vicepresidente e tre Segretari<br />

(149). Per queste elezioni vigono particolari norme (art. 1 Reg.<br />

Giunta delle elezioni), giustificate evidentemente dalla particolare delicatezza<br />

politica delle funzioni che la Giunta è chiamata ad adempiere:<br />

a) per l'elezione del Presidente: viene eletto chi riporti la maggioranza<br />

assoluta dei voti; se nessuno la riporti, si procede a votazione<br />

di ballottaggio tra i due che abbiano riportato il maggior numero dei<br />

(147) Cfr. FALZONE-PALERMO-COSENTINO, op. cit., pag. 120; MOHRHOFF, Trattato,<br />

cit., pagg. 102-113.<br />

(148) II sistema italiano è simile a quello vigente negli Stati Uniti, dove la<br />

Camera dei Rappresentanti è esclusivo giudice delle elezioni, dei poteri e delle qualifiche<br />

dei propri componenti, ed istruisce tutte le questioni riguardanti le elezioni<br />

attraverso il Committee on House Adminìstration, che riferisce all'Assemblea (Cfr. Le<br />

norme sulla verifica dei poteri in Gran Bretagna, Stati Uniti d'America, Francia, Germania<br />

federale, pubblicato dal Segretariato generale della Camera dei deputati,<br />

1966, pag. 6).<br />

(149) Le funzioni di segreteria della Giunta delle elezioni sono esercitate dal<br />

Servizio prerogative e immunità della Camera.


Gli organi della Camera 291<br />

voti : in caso di parità di voti, è proclamato o entra in ballottaggio il più<br />

anziano di deputazione, e, tra egualmente anziani, il maggiore per età;<br />

b) per l'elezione dei due Vicepresidenti: ogni membro della<br />

Giunta vota per un solo nome, e sono proclamati eletti i due che abbiano<br />

riportato il maggior numero di voti, superiore comunque al quarto dei<br />

votanti; in mancanza di tale numero, si procede al ballottaggio, con le<br />

stesse norme fissate per l'elezione del Presidente per le ipotesi di parità;<br />

e) per l'elezione dei tre Segretari: ogni membro della Giunta vota<br />

per due nomi, e sono proclamati eletti i tre che riportino il maggior<br />

numero di voti, superiore comunque al quarto dei votanti; in mancanza<br />

di tale numero, si procede nel modo stabilito per i Vicepresidenti.<br />

Per i singoli procedimenti la Giunta può anche nominare nel suo<br />

seno un Comitato inquirente composto di 3 membri, con facoltà di trasferirsi<br />

sui luoghi e di svolgere tutte le indagini necessarie per la soluzione<br />

del caso (art. 21 Reg. Camera).<br />

Quanto ai profili funzionali dell'attività della Giunta delle elezioni,<br />

rinviamo alla parte di questo stesso studio che si occupa specificamente<br />

della verificazione dei poteri.<br />

26. - La « Giunta per l'esame delle autorizzazioni a procedere in<br />

giudizio » è, tra le Giunte permanenti della Camera, quella di più recente<br />

istituzione (1951). In precedenza, nonostante che un organo del genere<br />

fosse stato ripetutamente proposto (nel 1903 dall'on. Sinibaldi; nel 1907<br />

dall'on. Montagna; nel 1922 dall'on. Meda), per il parere contrario delle<br />

Giunte per il Regolamento del tempo non se ne era fatto nulla, e la<br />

materia delle autorizzazioni a procedere era rimasta affidata, prima agli<br />

Uffici, poi, dopo l'istituzione delle Commissioni permanenti, alla Commissione<br />

giustizia, che aveva creato allo scopo una apposita Sottocommissione<br />

(150).<br />

La Giunta è chiamata ad esercitare le funzioni connesse alla attuazione<br />

dell'art. 68 Cost., che, confermando il tradizionale principio dell'immunità<br />

parlamentare già riconosciuto dall'art. 46 dello Statuto albertino,<br />

stabilisce che « senza autorizzazione della Camera alla quale<br />

appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento<br />

penale; né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà<br />

personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare,<br />

salvo che sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è<br />

obbligatorio il mandato o l'ordine di cattura. Eguale autorizzazione è richiesta<br />

per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del<br />

(150) Un sistema analogo vige tuttora al Senato.


292 Gli organi della Camera<br />

Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile ». Fine essenziale<br />

di questa disposizione costituzionale, com'è noto, è quello di<br />

impedire che un membro del Parlamento sia sottratto all'esercizio del<br />

suo mandato e ristretto in carcere, o altrimenti perseguito o limitato nella<br />

sua libertà, senza che la Camera ne sia stata previamente avvertita e<br />

abbia potuto valutare la congruità dei motivi che giustifichino tali atti,<br />

e soprattutto abbia potuto considerare se non si riscontrino in essi gli<br />

estremi della persecuzione o dell'intimidazione politica.<br />

Allo stesso scopo il primo comma del ricordato art. 68 Cost. stabilisce<br />

che « i membri del Parlamento non possono essere perseguiti per<br />

le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni » : in<br />

questo caso l'immunità non funziona soltanto da limite processuale, ma<br />

anche da limite sostanziale, nel senso che gli eventuali atti che eccedano<br />

il corretto esercizio del mandato parlamentare - ove non costituiscano<br />

più gravi reati (151) - non possono essere perseguiti se non in sede disciplinare<br />

interna, sulla base dei poteri conferiti dal Regolamento al<br />

Presidente e all'Ufficio di Presidenza per assicurare il corretto svolgimento<br />

dei lavori della Camera.<br />

Il principio dell'immunità parlamentare, per entrambi questi profili,<br />

ma soprattutto per il primo, che secondo taluni sembra stabilire in<br />

pratica una sorta di franchigia penale per i parlamentari, è stato in passato<br />

ed è attualmente oggetto di molte critiche e discussioni. A proposito<br />

di queste, come a proposito dei profili funzionali della Giunta per<br />

le autorizzazioni a procedere, rinviamo ad altra parte di questo studio,<br />

e precisamente a quella riguardante lo stato giuridico dei parlamentari.<br />

Ricorderemo qui soltanto che la Giunta si compone di 21 membri,<br />

nominati dal Presidente della Camera dopo la sua elezione nei modi già<br />

visti; che le sue funzioni sono esclusivamente referenti, spettando comunque<br />

alla Camera la deliberazione definitiva sulla concessione o meno<br />

dell'autorizzazione a procedere; e che per la sua costituzione e il suo<br />

funzionamento valgono le norme previste in via generale per le Commissioni<br />

della Camera. La Giunta, pertanto, procede nella sua prima<br />

riunione, convocata dal Presidente della Camera, all'elezione di un Presidente,<br />

due Vicepresidenti e due Segretari e continua poi i suoi lavori<br />

secondo le norme che regolano il funzionamento delle Commissioni, in<br />

quanto applicabili (152).<br />

(151) V. in argomento LONGI-STRAMÀCCI, // Regolamento della Camera, cit.,<br />

pagg. 98-99.<br />

(152) Anche le funzioni di segreteria della Giunta per le autorizzazioni a procedere<br />

sono attribuite al Servizio prerogative e immunità della Camera.


Gli organi della Camera 293<br />

Alla Giunta è anche deferito l'esame delle autorizzazioni a procedere<br />

in giudizio contro i privati cittadini imputati del reato di pubblico vilipendio<br />

delle Assemblee parlamentari o di una di esse (artt. 290 e 313,<br />

3° comma, del codice penale) (153).<br />

L'autorizzazione a procedere è richiesta dal pubblico ministero dell'organo<br />

giurisdizionale competente, tramite il Ministro di grazia e giustizia,<br />

secondo le norme dell'art. 15 del codice di procedura penale; e,<br />

una volta concessa, non può essere revocata.<br />

[GIAN FRANCO CIAURRO]<br />

(153) Non è invece necessaria l'autorizzazione a procedere per altri due reati<br />

egualmente connessi all'attività delle Camere: il reato di oltraggio previsto e punito<br />

dall'art. 342 del codice penale (oltraggio a un Corpo politico o ad una rappresentanza<br />

di esso) e menzionato anche dall'art. 64 Reg. Camera (« In caso di oltraggio fatto<br />

alla Camera o a qualunque dei suoi membri, il colpevole sarà immediatamente arrestato<br />

e tradotto davanti all'autorità competente ») ; e il reato di attentato alle Assemblee<br />

legislative o ad una di esse, previsto e punito dall'art. 289 del codice penale, e consistente<br />

in un fatto diretto ad impedire alle Camere, in tutto o in parte, ed anche<br />

temporaneamente, l'esercizio delle loro funzioni.


CAPO VI<br />

L'ORDINAMENTO DELL'ASSEMBLEA PLENARIA<br />

E DEL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE<br />

di Gino Specchia


CAPO VI.<br />

L'ORDINAMENTO DELL'ASSEMBLEA PLENARIA<br />

E DEL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE<br />

SOMMARIO: 1. Le Assemblee parlamentari. — 2. La convocazione delle Assemblee<br />

parlamentari. — 3. La fissazione dell'ordine del giorno. — 4. Il<br />

processo verbale. — 5. I congedi. — 6. Il numero legale. — 7. La<br />

disciplina delle sedute. — 8. La pubblicità dei lavori. — 9. L'ostruzionismo.<br />

— 10. Il Parlamento in seduta comune. — 11. Le deputazioni.<br />

1. - « Il Parlamento - recita il primo comma dell'art. 55 Cost. - si<br />

compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ».<br />

Il termine « Parlamento » era ignorato dallo Statuto albertino (il<br />

quale si riferiva alle due Camere) anche se l'uso comune, seguendo la<br />

tradizione inglese, ricorreva ad esso.<br />

La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono organi<br />

distinti, anche se hanno la medesima competenza. Essi manifestano la<br />

loro volontà ciascuno per proprio conto e la confluenza delle due volontà<br />

dà luogo all'atto complesso delle deliberazioni legislative.<br />

I loro rapporti, infatti, sono analoghi a quelli che intercorrono fra<br />

due organi costituzionali; ciascuno ha un proprio regolamento, elegge<br />

un proprio Presidente, ha un proprio bilancio; la stessa intestazione<br />

delle leggi : « La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica<br />

hanno approvato » conferma che si tratta di due approvazioni e non<br />

di una (1).<br />

L'art. 60 Cost. stabiliva una diversa durata per la Camera (cinque<br />

anni) e per il Senato (sei anni), ma la legge costituzionale 9 febbraio<br />

1963, n. 2, ha unificato la durata di entrambi in cinque annni, codificando<br />

una prassi costante dal 1948 in poi, dato che le due Camere<br />

sono state sempre sciolte simultaneamente. La stessa legge costituzionale<br />

ha fissato il numero dei deputati in 630 e quello dei senatori<br />

elettivi in 315. Senatori di diritto sono gli ex Presidenti della Repub-<br />

12*.<br />

(1) G. BALLADORE PALLIERI, Diritto costituzionale, 8 a ed., 1965, pagg. 215-216.


298 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

Mica e cinque cittadini nominati dal Presidente della Repubblica « per<br />

altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario ».<br />

Il periodo di vita delle Assemblee si chiama « legislatura ». Secondo<br />

un'antica consuetudine, di origine inglese, l'Assemblea che succede alla<br />

precedente costituisce un corpo a sé, non è la sua continuatrice. La conseguenza<br />

è che scadono gli organi interni, decade tutto il lavoro non<br />

compiuto, decadono i progetti di legge approvati da un solo ramo del<br />

Parlamento (2). Solo il Regolamento parlamentare rimane in vigore, tanto<br />

che la nuova Assemblea non potrebbe disattenderlo senza modificarne,<br />

prima, le norme con le procedure stabilite dalla Costituzione e dal Regolamento<br />

medesimo.<br />

Sotto lo Statuto albertino, la legislatura era divisa in sessioni; la Costituzione<br />

invece non ha accolto tale istituto. La sessione era un periodo<br />

di attività, la cui chiusura era disposta dal Capo dello Stato e provocava<br />

la decadenza del lavoro non ancora compiuto. Ora si dà questo nome al<br />

periodo di lavoro fra la convocazione e l'aggiornamento, deciso dalla<br />

stessa Camera, e che non ha effetti sui lavori stessi.<br />

La prorogatio è stata introdotta dall'art. 61 Cost. Essa consiste nel<br />

prolungamento dei poteri delle Camere dallo scioglimento naturale o formale,<br />

da parte del Presidente della Repubblica, fino alla convocazione<br />

delle nuove Camere.<br />

L'istituto è giustificato formalmente dall'esigenza che le Camere si<br />

riuniscano per la eventuale conversione dei decreti-legge, o l'approvazione<br />

della legge di proroga della loro durata in caso di guerra (art. 60<br />

Cost); tuttavia si ritiene comunemente nella dottrina che, oltre a queste<br />

due ipotesi, potrebbe verificarsi una convocazione delle Camere dopo<br />

lo scioglimento in casi straordinari che richiedano decisioni di assoluta<br />

improrogabilità.<br />

Dal punto di vista regolamentare, la prorogatio ha la conseguenza<br />

di mantenere in carica non solo l'Assemblea, ma anche i suoi organi ordinari.<br />

Il Regolamento della Camera dispone, ad abundantiam, che resta<br />

in carica l'Ufficio di Presidenza (art. 14).<br />

(2) MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, 7 a ed., 1967, tomo I, pag. 406.<br />

Al termine della IV legislatura è stata sollevata la questione della utilizzazione dei lavori<br />

parlamentari non definiti in materia legislativa: vedasi la proposta di modificazione al<br />

Regolamento della Camera presentata dai deputati La Malfa ed altri (Doc. X, n. 14)<br />

che tuttavia non è stata esaminata prima dello scioglimento delle Camere.


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 299<br />

2. - Le due Camere sono organi permanenti in quanto ciascuna di<br />

esse termina la sua esistenza quando comincia a funzionare la successiva.<br />

Ma esse funzionano a intermittenza, perché hanno periodi di lavoro<br />

separati da interruzioni durante i quali non tengono sedute. Ogni periodo<br />

comincia con la « convocazione » e si chiude, al termine dei lavori,<br />

con l'« aggiornamento », che è la temporanea sospensione disposta dalla<br />

Camera stessa, senza effetti sul lavoro in corso. Come organi collegiali,<br />

le Camere per esercitare la loro attività abbisognano di un atto o di un<br />

evento che promuova la loro convocazione.<br />

Le Camere possono essere convocate in via ordinaria e in via<br />

straordinaria. Nel primo caso l'iniziativa è sempre del Presidente dell'Assemblea,<br />

il quale, dopo aver consultato i Gruppi parlamentari e il<br />

Governo, che influisce in modo determinante sul calendario dei lavori,<br />

stabilisce la data e l'ordine del giorno delle sedute.<br />

Alla fine di un determinato periodo di attività, il Presidente dà l'annuncio<br />

che la Camera sarà convocata a domicilio. In tal caso, non sorgendo<br />

opposizioni, il Presidente è delegato a stabilire la data e l'ordine<br />

dei lavori. Ma « la Camera è sempre padrona del suo ordine del giorno »,<br />

e perciò l'annuncio della data e dell'ordine del giorno da parte del Presidente<br />

è una decisione che l'Assemblea può sempre modificare alla<br />

prima riunione successiva.<br />

La vita di ogni Camera comincia dal giorno della sua prima convocazione<br />

che, secondo l'art. 61 Cost, deve avvenire non oltre il ventesimo<br />

giorno da quello delle elezioni. Nel decreto del Capo dello Stato<br />

che indice le elezioni è anche fissata la data della prima riunione; le<br />

elezioni devono avvenire entro il 70° giorno dalla cessazione delle Camere<br />

disciolte.<br />

La convocazione vera e propria è diramata dal Presidente della Camera<br />

precedente, in virtù dell'art. 61, secondo comma, Cost., e dell'art. 14,<br />

secondo comma, Reg. Camera.<br />

A termini dell'art. 62 Cost. di pieno diritto sono le riunioni periodiche<br />

per l'espletamento del normale lavoro parlamentare.<br />

Oltre alle convocazioni ordinarie, vi è la possibilità di promuovere<br />

convocazioni straordinarie per iniziativa del Presidente di ciascuna Camera,<br />

o di un terzo dei rispettivi componenti, o del Presidente della Repubblica.<br />

Naturalmente, ogni tipo di convocazione straordinaria obbedisce a<br />

proprie esigenze. La più importante, poiché il Governo nel regime parlamentare<br />

è il principale propulsore dell'attività delle Camere, è quella per<br />

iniziativa dell'Esecutivo, attraverso un atto del Presidente della Repubblica.


300 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

L'iniziativa di convocazione da parte di un terzo dei membri della<br />

Camera è una forma di tutela dei diritti delle minoranze. Chi convoca<br />

materialmente una Camera è il rispettivo Presidente, il quale è obbligato<br />

a farlo di fronte alle iniziative suddette.<br />

La Costituzione non è molto precisa nell'indicare la differenza tra il<br />

cosiddetto diritto di provocare la riunione e il diritto di convocazione,<br />

che si esplica attraverso un atto di competenza assoluta del Presidente<br />

dell'Assemblea.<br />

Quando vuole indicare il termine massimo entro il quale le Camere<br />

devono effettivamente riunirsi, la Costituzione lo dice esplicitamente;<br />

quando invece stabilisce l'obbligo di convocazione, questo si indirizza<br />

al potere del Presidente dell'Assemblea il quale deve emanare entro il<br />

termine la convocazione e l'ordine del giorno della seduta, la quale può<br />

aver luogo anche successivamente.<br />

Il diritto di provocare la riunione dell'Assemblea non annulla certamente<br />

i principi generali del diritto parlamentare in tale materia, cioè<br />

la responsabilità del Presidente dell'Assemblea, il suo potere di fissare<br />

l'ordine del giorno (salvo diversa decisione dell'Assemblea), il diritto del<br />

plenum, espresso a maggioranza, di discutere o no determinati argomenti.<br />

Il Balladore Pallieri (3) sostiene che l'art. 62 « sembra ammettere<br />

la possibilità di una diretta convocazione delle Camere, ad opera oltreché<br />

del loro Presidente anche del Presidente della Repubblica e dei membri<br />

medesimi delle Camere ». Aggiunge che il primo comma del medesimo<br />

articolo, che parla di convocazione di diritto a date fisse, sembra implicare<br />

che allo scadere della data le Camere siano senz'altro convocate,<br />

senza bisogno di un atto apposito al riguardo.<br />

Il Regolamento del Senato dispone tuttavia (artt. 9 e 34) che il Senato<br />

è sempre convocato dal suo Presidente, il quale fisserà pure l'ordine<br />

del giorno.<br />

Elemento caratteristico del potere di convocazione è la facoltà di<br />

determinare l'ordine del giorno. La differente configurazione giuridica<br />

dell'iniziativa della riunione e della convocazione della Camera investe,<br />

evidentemente, il problema della materia che deve essere discussa.<br />

Per quanto concerne la convocazione ordinaria, come abbiamo già<br />

accennato, le ipotesi sono due. La prima: l'Assemblea, su proposta del<br />

Presidente, delibera la data e l'ordine del giorno della sua riunione più<br />

prossima. In questo caso l'atto di convocazione risulta vincolato nel fine<br />

e nel contenuto dalla deliberazione dell'Assemblea.<br />

(3) G. BALLADORE PALLIERI, Diritto costituzionale, 8 a ed., 1965, pag. 240.


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 301<br />

La seconda: il Presidente pone termine al periodo di aggiornamento<br />

convocando l'Assemblea. L'Assemblea, deliberando l'aggiornamento, su<br />

proposta del Presidente, può stabilire la data della sua successiva riunione<br />

o rimetterla alla valutazione discrezionale del Presidente. Può altresì<br />

stabilire gli argomenti da esaminare alla ripresa dell'attività oppure<br />

lasciare questa parte alla determinazione del Presidente.<br />

Circa la convocazione di diritto, il primo comma dell'art. 62 Cost.<br />

stabilisce che le Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non<br />

festivo di febbraio e di ottobre. Si tratta di una norma di carattere meramente<br />

indicativo. Ovviamente, se le Camere sono già in attività alle<br />

date suddette, non si fa luogo a una convocazione specifica.<br />

La norma costituzionale costituisce una cautela politica per evitare<br />

irregolarità o disfunzioni di carattere contingente del sistema. In tali<br />

casi essa può operare automaticamente riattivando l'attività parlamentare.<br />

Al Presidente dell'Assemblea spetta l'obbligo della convocazione. Il<br />

suo atto è un atto dovuto, vincolato nel fine e nel contenuto, per quanto riguarda<br />

la data, mentre a lui spetta l'individuazione della questione da porre<br />

all'ordine del giorno.<br />

L'ultimo comma dell'art. 62 stabilisce che « in caso di convocazione<br />

straordinaria di una Camera, è convocata di diritto anche l'altra ».<br />

L'atto di convocazione in questo caso risulta interamente vincolato.<br />

La disposizione costituzionale va interpretata nel senso che la convocazione<br />

debba essere contemporanea, ma non simultanea.<br />

La presentazione del Governo al Parlamento impone la convocazione<br />

di ciascuna Camera. L'atto di convocazione risulta vincolato nel<br />

fine e nel contenuto dalla norma dell'art. 94 Cost. Poiché il Governo « si<br />

presenta alle Camere per ottenere la fiducia », il procedimento costitutivo<br />

del rapporto fiduciario Parlamento-Governo si apre per iniziativa del<br />

Governo stesso.<br />

Il Presidente di ciascuna Camera è vincolato, quindi, per quanto<br />

riguarda una componente del contenuto dell'atto (comunicazioni del<br />

Presidente del Consiglio), mentre per l'altra, la data della riunione, egli<br />

ha un margine di discrezionalità nella determinazione. Il regolamento<br />

della Camera (art. 45, secondo comma) e quello del Senato (art. 34, terzo<br />

comma) stabiliscono che i due Presidenti fissano d'intesa la data della<br />

riunione.<br />

Infine, l'art. 77 Cost. fa obbligo al Governo, qualora adotti, in casi<br />

straordinari di necessità e di urgenza, provvedimenti provvisori con forza<br />

di legge, di presentarli nello stesso giorno per la conversione alle Camere.


302 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

Aggiunge che le Camere, anche se sciolte, sono « appositamente » convocate<br />

e si riuniscono entro cinque giorni.<br />

Si possono prevedere tre ipotesi. La prima: il disegno di legge di<br />

conversione di un decreto-legge è presentato durante i periodi di attività<br />

normale delle Camere. In tal caso non sorgono questioni. Il Presidente<br />

dà l'annunzio del disegno di legge di conversione e del suo deferimento<br />

alla Commissione competente, in sede referente.<br />

L'Esposito (4), partendo dal punto di vista che si debba attribuire<br />

grande rilievo alla norma costituzionale che prevede che le Camere sono<br />

« appositamente » convocate, ritiene che essa non sia « integralmente »<br />

rispettata quando all'ordine del giorno di una seduta vi siano anche altri<br />

argomenti, oltre il disegno di legge di conversione.<br />

Il Ferrara (5) ritiene, invece, che l'avverbio « appositamente » si riferisca<br />

logicamente ai soli casi in cui le Camere non tengono seduta.<br />

L'obbligo di presentare alle Camere il disegno di legge di conversione lo<br />

stesso giorno dell'emanazione del decreto-legge raggiunge pienamente<br />

lo scopo di « investire immediatamente e sostanzialmente il Parlamento<br />

della decisione in ordine al mantenimento del decreto-legge e della questione<br />

relativa alla responsabilità del Governo per aver adottato il provvedimento<br />

».<br />

D'altra parte - aggiunge il Ferrara - l'« apposita convocazione » si<br />

esaurirebbe con l'annunzio della presentazione del disegno di legge di<br />

convocazione, non potendosi adottare alcuna deliberazione prima che la<br />

competente Commissione abbia compiuto l'esame preliminare.<br />

La prassi sia del Senato sia della Camera è comunque costante nel<br />

senso che la presentazione del disegno di legge di conversione in periodi<br />

ordinari non dà luogo ad apposita convocazione.<br />

Nella seconda ipotesi la presentazione del disegno di legge di conversione<br />

avviene in periodo di aggiornamento dei lavori delle Camere.<br />

Nella terza, tale presentazione avviene durante la prorogatio.<br />

Solo in queste due ultime ipotesi le Camere debbono essere « appositamente<br />

» convocate per l'instaurazione dell'iter di esame del disegno<br />

di legge di conversione. Al Presidente di ciascuna Camera resta la<br />

discrezionalità per quanto riguarda la determinazione della data della<br />

riunione, pur nei limiti prestabiliti dei cinque giorni dalla presentazione<br />

del disegno di legge stesso.<br />

(4) ESPOSITO, Decreti-legge, in « Enciclopedia del diritto », pag. 859.<br />

(5) FERRARA, // Presidente di Assemblea parlamentare, pag. 127 e nota 10.


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 303<br />

Circa le convocazioni straordinarie, l'art. 62 Cost. conferisce al Presidente<br />

di ciascuna Camera, al Presidente della Repubblica e a un terzo<br />

dei componenti di ciascun ramo del Parlamento un potere di iniziativa<br />

volto a provocare la riunione delle Camere. Tale potere ha per effetto<br />

la produzione dell'atto di convocazione. Il Presidente detiene invece il<br />

potere-dovere di convocazione, il cui effetto è la riunione della Camera<br />

(6).<br />

Se l'iniziativa è esercitata dal Presidente della Repubblica o da un<br />

terzo dei componenti l'Assemblea, l'atto di convocazione è vincolato nel<br />

fine e nel contenuto.<br />

La richiesta di convocazione deve contenere - afferma il Ferrara<br />

(7) - l'indicazione degli argomenti da trattare, altrimenti il potere di<br />

iniziativa perderebbe ogni valore sostanziale: non si tratta semplicemente<br />

di provocare una riunione, ma di investire l'Assemblea di un determinato<br />

problema. L'Assemblea deciderà poi se proseguire o no l'esame<br />

dello stesso.<br />

Il Ferrara ritiene che l'atto di iniziativa debba predisporre integralmente<br />

il contenuto dell'atto che intende produrre: l'argomento e la data<br />

della riunione. Lo deduce dalla lettera dell'art. 62 Cost., cioè dal termine<br />

« convocazione » che indica l'effetto dell'esercizio del potere di iniziativa.<br />

Infatti, in altri casi, quando il contenuto della convocazione risulta<br />

predeterminato dalle norme esplicitamente o implicitamente, la Costituzione<br />

adotta la parola « riunione », cioè fa riferimento all'effetto<br />

della convocazione.<br />

L'atto di convocazione è vincolato nel fine e nel contenuto quando<br />

è effetto della richiesta del Presidente della Repubblica o di un terzo<br />

dei componenti dell'Assemblea. È libero sia nel fine sia nel contenuto<br />

quando l'iniziativa è del Presidente d'Assemblea.<br />

In ogni caso, il diritto riconosciuto dalla Costituzione al Presidente<br />

della Repubblica o a una minoranza della Camera di provocare una<br />

riunione straordinaria, trova il suo limite logico nella assoluta libertà<br />

(6) V. LONGI, Convocazione della Camera, in « Rassegna parlamentare », 1959,<br />

pag. 51 e segg. Contro, Bozzi, Istituzioni, cit., pag. 90, secondo cui, in questi casi,<br />

« se il Presidente dell'Assemblea non emanasse l'atto formale, la riunione potrebbe<br />

aver luogo prescindendo da esso ».<br />

(7) FERRARA, op. cit., pag. 129. È tuttavia da ricordare che nell'unico caso di<br />

convocazione straordinaria finora verificatosi ad iniziativa parlamentare (28 agosto 1968,<br />

per la discussione dei fatti cecoslovacchi), l'ordine del giorno portò « dichiarazioni del<br />

Governo » in quanto il Governo medesimo accettò, aderendo alla proposta di alcuni<br />

gruppi parlamentari, di aprire il dibattito senza che si ponessero formalmente all'ordine<br />

dei lavori le numerose interrogazioni nel frattempo presentate.


304 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

della Assemblea di disattendere con i più svariati strumenti procedurali<br />

(pregiudiziali, sospensive, ecc.) lo scopo per il quale la riunione sia provocata:<br />

ciò in quanto la facoltà di un organo estraneo al Parlamento o<br />

di una minoranza politica non può mai assorbire il fondamentale principio<br />

per il quale l'effettiva discussione di una determinata materia davanti<br />

all'Assemblea legislativa può proseguire e giungere a una logica<br />

conclusione solo se la maggioranza dell'Assemblea medesima ne appoggia<br />

l'iter. In ultima analisi, la Camera mantiene anche in questo caso<br />

eccezionale l'assoluta padronanza del proprio ordine del giorno.<br />

3. - L'ordine dei lavori della Camera è contenuto nell'atto di convocazione.<br />

La fissazione e l'annunzio dell'ordine del giorno dell'Assemblea<br />

spetta al Presidente, il quale vi provvede alla fine di ciascuna seduta.<br />

La Camera, naturalmente, ha la facoltà di decidere in difformità; perciò,<br />

in concreto, la decisione di discutere determinate materie spetta alla maggioranza.<br />

L'ordine del giorno consiste nella elencazione delle materie pronte<br />

per la discussione in Assemblea.<br />

L'agenda annunciata dal Presidente alla fine della seduta può essere<br />

variata attraverso il « richiamo all'ordine del giorno ». Nel corso<br />

della seduta esso è una questione incidentale di carattere formale intesa<br />

ad « invertire » l'ordine delle materie iscritte. La discussione, in tal<br />

caso, è limitata a un intervento prò e uno contro e la votazione è da<br />

tenersi obbligatoriamente per alzata e seduta.<br />

La Camera non può discutere né deliberare su materie che non siano<br />

iscritte all'ordine del giorno, a meno che non vi sia una deliberazione a<br />

scrutinio segreto e a maggioranza dei tre quarti (art. 69 Reg. Camera). È<br />

questa una garanzia importantissima per evitare improvvisi colpi di maggioranza<br />

o di minoranza.<br />

All'inizio della legislatura il Presidente della Camera precedente, in<br />

virtù dell'art. 61 Cost., nonché dell'articolo 14 Reg. Camera, dirama<br />

l'ordine del giorno della prima seduta, fissata dal decreto del Presidente<br />

della Repubblica, e nella quale avviene la elezione del nuovo Presidente<br />

e dell'Ufficio di Presidenza.<br />

In caso di aggiornamento la Camera è convocata a domicilio e l'ordine<br />

del giorno della prima seduta della ripresa dei lavori è fissato dal<br />

Presidente dell'Assemblea.<br />

L'ordine del giorno è preventivamente stampato ed affisso. L'art. 65,<br />

primo comma, del Regolamento stabilisce che in calce all'ordine del


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 305<br />

giorno deve essere data notizia dei disegni e delle proposte di legge presentati<br />

dai ministri e dai parlamentari o trasmessi dal Senato.<br />

Perciò l'ordine del giorno consta di due parti. Nella prima figurano<br />

gli argomenti in discussione in una determinata seduta o nelle successive<br />

fino ad esaurimento; nella seconda figurano: i disegni e le proposte<br />

di legge, nonché le domande di autorizzazione a procedere in giudizio<br />

in stato di relazione; l'elenco dei provvedimenti da assegnare alle<br />

Commissioni; l'elenco delle proposte di modificazioni al Regolamento<br />

presso l'apposita Giunta; le petizioni; l'elenco dei disegni e delle proposte<br />

di legge assegnati alle singole Commissioni in sede referente e in<br />

sede legislativa; l'elenco delle autorizzazioni a procedere in giudizio<br />

presso l'apposita Giunta; l'elenco delle proposte di legge da svolgere;<br />

infine le proposte d'inchiesta parlamentare da svolgere.<br />

4. - La seduta comincia con la lettura del processo verbale della seduta<br />

precedente, che s'intende approvato tacitamente se non vi sono opposizioni.<br />

È consentito di prendere la parola in questa sede solo a chi intenda<br />

proporvi una rettifica o a chi voglia chiarire o correggere il proprio pensiero<br />

espresso nella seduta precedente oppure per fatto personale. In tal<br />

caso la votazione si farà per alzata e seduta per espressa disposizione del<br />

regolamento.<br />

Subito dopo la sua approvazione, il processo verbale viene sottoscritto<br />

dal Presidente e da un Segretario.<br />

5. - L'art. 52 Reg. Camera disciplina la concessione dei congedi, che<br />

è deferita alla Camera. Essi si intendono tacitamente accordati se non vi<br />

è opposizione. Altrimenti, si procede alla votazione per alzata e seduta<br />

senza discussione.<br />

L'elenco dei congedi mira a tenerli in evidenza, in modo da evitare<br />

che appaiano come congedati deputati che invece partecipano a una votazione.<br />

Questo artificio agevolerebbe il raggiungimento del numero legale,<br />

dato che i congedi si sottraggono (fino al massimo di un quinto del<br />

numero dei deputati) dal complesso dei membri sui quali deve essere computato<br />

il numero legale.<br />

Non sono previsti dai regolamenti i motivi sui quali si possa fondare<br />

la domanda di congedo, ma per consuetudine l'ammissibilità si pone<br />

per malattia, ufficio pubblico e ragioni di famiglia.


306 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

6. - La dottrina ha riconosciuto tradizionalmente che è impossibile<br />

l'effettiva presenza di tutti i membri di un'assemblea. Da ciò deriva il<br />

principio di far sì che gli atti degli intervenuti siano attribuiti all'intero<br />

collegio. L'esercizio della funzione deliberante di un'assemblea presuppone<br />

la disciplina della seduta e della sua validità. Perciò deve essere stabilito<br />

il numero dei componenti necessario per il funzionamento della medesima.<br />

Il principio del numero legale è così strettamente connesso con<br />

quello della validità delle deliberazioni assembleari.<br />

Lo Statuto albertino (art. 53) distingueva tra « legalità » delle sedute<br />

e « validità » delle deliberazioni, condizionate entrambe dal numero legale<br />

(8). La Costituzione parla solo di validità delle deliberazioni, condizionate<br />

dalla presenza della maggioranza dei componenti, cioè la metà<br />

più uno dei membri. Questo può significare « legalità » delle sedute, quando<br />

non vengono prese decisioni formali, senza numero legale. Il che è<br />

coerente con la disciplina parlamentare dell'istituto del « numero legale »<br />

che ha condotto al divieto della verifica quando le Camere non siano in<br />

procinto di votare.<br />

La norma costituzionale, infatti, ha per scopo la doppia garanzia di<br />

validità per deliberare: numero legale e quorum di maggioranza. Ma<br />

quando sono prescritte maggioranze speciali qualificate, il problema del<br />

numero legale automaticamente non si pone.<br />

Il numero legale previsto è da noi molto alto, ma oggi esso risponde<br />

alle esigenze connesse con l'assetto politico italiano, caratterizzato dalla<br />

rappresentanza proporzionale e dal pluripartitismo.<br />

La Costituzione ha mantenuto ancorato il numero legale alla « maggioranza<br />

dei componenti », il che sembra contrastare con la interpretazione<br />

regolamentare intesa a dare alla parola « componenti » il senso di<br />

« deputati in grado di funzionare », per cui dal numero dei componenti<br />

dell'Assemblea si sottraggono i seggi eventualmente vacanti, i deputati assenti<br />

per congedo e per missione.<br />

Così viene computato il numero legale per antichissima tradizione<br />

che risale al 1850. Mancini e Galeotti (9) ricordano come i regolamenti<br />

della Camera e del Senato furono costretti a derogare dalla lettera dell'art.<br />

53 dello Statuto che imponeva la definizione del quorum sulla base<br />

dei componenti l'Assemblea senza alcuna detrazione. Il principio del numero<br />

legale computato sui membri in grado di essere presenti fu incluso<br />

(8) V. LONGI, Numero legale, in «Rassegna parlamentare», 1959, n. 7; FUR-<br />

LANI. Numero legale, in «Nuovissimo Digesto Italiano», voi. XI, pag. 511.<br />

(9) MANCINI e GALEOTTI, Norme ed usi del Parlamento italiano, 1887, pag. 126.


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 307<br />

nel Regolamento della Camera tra il 1863 e il 1868, dato che l'esperienza<br />

aveva messo in evidenza che « ostacoli insuperabili » possono impedire a<br />

un certo numero, talvolta rilevante, di membri delle Camere di partecipare<br />

ai lavori parlamentari.<br />

De Gennaro (10) sostiene l'illegittimità di questa consuetudine della<br />

Camera.<br />

« L'art. 64 dispone che " le deliberazioni (adunanze) di ciascuna Camera<br />

e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza<br />

dei loro componenti". Si conferma così il principio maggioritario del<br />

quorum; ma altro non si è fatto che sopprimere il vocabolo " assoluta ".<br />

Si vorrebbe presumere che sia con ciò prescritto l'intervento della maggioranza<br />

dei deputati o senatori in carica, e non di quelli assegnati a ciascuna<br />

Camera ? Tale interpretazione non può ammettersi. Si è già detto<br />

più volte che maggioranza assoluta e maggioranza semplice hanno lo<br />

stesso significato; e se si ricorda, altresì, che taluno ha ritenuto superflua<br />

l'aggiunta di " assoluta ", non si può non pervenire alla conclusione che<br />

le due locuzioni " maggioranza assoluta " (Statuto albertino) e " maggioranza<br />

" (Costituzione) abbiano lo stesso significato; e che, quindi, non<br />

si è modificato nulla.<br />

« La modifica da adottare, se si volevano evitare i precedenti stiracchiamenti,<br />

era semplicissima: far seguire alla locuzione "maggioranza<br />

dei suoi componenti" le parole "in carica", soggiungendo, se<br />

si voleva ridurre ancora il numero, " che possono intervenire all'adunanza<br />

".<br />

« Per contro è avvenuto che la specificazione di riferire il quorum<br />

delle Camere all'Assemblea reale, cioè, al numero dei componenti in<br />

carica, non è stata sancita dalla Costituzione, e neanche dai regolamenti<br />

interni delle Camere. Si assume che " si richiede innanzi tutto la presenza<br />

della maggioranza dei componenti per la validità delle sedute (numero<br />

legale) intendendosi per componenti non tutti i membri dell'Assemblea,<br />

ma soltanto coloro che in quel determinato momento possono<br />

ragionevolmente essere presenti alla seduta". Tale interpretazione non<br />

è ammissibile in quanto il quorum, come si è più volte detto, si riferisce<br />

al concetto di rappresentanza dei componenti assegnati, cioè alla costituzione<br />

organica del collegio; e così va interpretato nel silenzio della<br />

norma ".<br />

(10) DE GENNARO, Quorum e maggioranza nelle Camere parlamentari secondo<br />

l'art. 64 della Costituzione, in «Rassegna di diritto pubblico», 1951, pag. 283 e segg.


308 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

« Senonché, della interpretazione di cui sopra (11), si dà una giustificazione<br />

desunta da altro erroneo indirizzo seguito dalla Costituzione.<br />

Si soggiunge, infatti, che " la Costituzione qui parla di maggioranza senza<br />

alcuna specificazione, mentre quando vuole innovare lo dice espressamente;<br />

ed infatti nel primo comma parla di maggioranza assoluta. Si<br />

deduce pertanto che l'art. 36 (art. 51 nuovo testo coordinato nel 1952)<br />

del Regolamento della Camera dei deputati, fatto proprio dalla stessa<br />

Assemblea Costituente, deve considerarsi in armonia con la Costituzione;<br />

esso così recita al secondo comma: "I deputati che sono in congedo,<br />

ovvero sono assenti per incarico avuto dalla Camera, non saranno<br />

computati per fissare il numero legale " ».<br />

La tesi del De Gennaro è stata contestata dal Cosentino (12), il<br />

quale ha sostenuto che i lavori preparatori della Costituzione non permettono<br />

di dimostrare la volontà del costituente di sovvertire la prassi<br />

parlamentare, seguita del resto dalla stessa Costituente. Egli inoltre afferma<br />

che « per quanto riguarda il problema della interpretabilità o meno<br />

di norme regolamentari contenute nella Costituzione, è da rilevare che<br />

il principio contenuto nel medesimo terzo comma dell'art. 64 in ordine<br />

alla determinazione del numero legale nella maggioranza assoluta dei<br />

componenti di ciascuna Camera, è stato oggetto di interpretazione estensiva<br />

non soltanto da parte della Camera dei deputati - la quale non ha<br />

mai adottato un regolamento nuovo, limitandosi a ritoccare in alcuni<br />

punti quello antico - ma anche da parte del Senato che, nel darsi un<br />

nuovo regolamento, ha recepito dalla consuetudine secolare il principio<br />

per cui il numero legale è determinato sulla base non già dei componenti<br />

dell'Assemblea in linea assoluta, bensì su di un numero inferiore, non<br />

tenendo conto, cioè, dei deputati in congedo, ovvero assenti per missione<br />

dell'Assemblea.<br />

« Del resto, che le norme regolamentari contenute in testi costituzionali<br />

possano subire interpretazioni, anche di vasta portata, nell'atto<br />

della loro recezione normativa nel corpus di norme dell'organo a cui sono<br />

dirette, è comprovato dal fatto che il Senato regio determinava la maggioranza<br />

di approvazione in deroga all'articolo 54 dello Statuto - il quale,<br />

come si è visto, parlava di " maggiorità di voti " - computando fra i votanti<br />

gli astenuti.<br />

(11) FALZONE-PALERMO-COSENTINO, La Costituzione della Repubblica italiana illustrata<br />

con i lavori preparatori, 2* ed., pag. 169.<br />

(12) F. COSENTINO, // computo della maggioranza alla Camera, in « La politica<br />

parlamentare*, die. 1953, pagg. 122-123.


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 309<br />

« Oggi, quindi, il Senato, nel mantenere la sua antica norma consuetudinaria<br />

e derogativa dello Statuto, si è trovato in perfetto accordo con<br />

la pura lettera della Costituzione, laddove l'inverso è accaduto per la<br />

Camera.<br />

« Si noti infine - aggiunge il Cosentino - che l'art. 84 del Regolamento<br />

del Senato non ha recepito dalla Costituzione la espressione<br />

" maggioranza dei presenti ", ma ha stabilito : " Ogni deliberazione del<br />

Senato è presa a maggioranza dei senatori che partecipano alla votazione<br />

".<br />

« È possibile, quindi, concludere che l'interpretazione data dalla Camera<br />

al terzo comma dell'art. 64 della Costituzione, oltre a corrispondere<br />

pienamente alla volontà del costituente, è anche conforme alla logica,<br />

alle consuetudini, ai principi contenuti nei regolamenti stranieri più affini<br />

al nostro ed è legittimata dal postulato che le norme statutarie dirette a<br />

disciplinare i principi informatori delle attività interne di organizzazione<br />

e di funzionamento delle Assemblee legislative sono suscettibili di interpretazione<br />

».<br />

Alla Camera, in ogni modo, la prassi costante ha confermato questa<br />

interpretazione. Per quanto riguarda il problema degli astenuti e il loro<br />

computo, rimandiamo anche a quanto esposto nel capitolo relativo alle<br />

votazioni.<br />

Vi è da aggiungere che al Senato le detrazioni sono ammesse per il<br />

numero legale (art. 43), ma non per gli astenuti in sede di votazione<br />

(art. 84), il che suscita qualche perplessità.<br />

La regolarità dei lavori parlamentari è assicurata anche dalla presunzione<br />

dell'esistenza del numero legale, dato che altrimenti, come rilevarono<br />

il Mancini e il Galeotti, occorrerebbe procedere alla sua verifica<br />

in ogni momento della seduta.<br />

Tale presunzione viene meno quando vi è un atto diretto (ad iniziativa<br />

del Presidente o di dieci deputati in presenza di votazioni indeterminate)<br />

o indiretto (in occasione di votazioni determinate, in cui vengono<br />

conteggiati i votanti e gli astenuti), giuridicamente rilevante, che prova<br />

la mancanza del numero di deputati necessario per deliberare.<br />

L'art. 95, secondo comma, Reg. Camera considera presenti coloro che<br />

richiedono la verifica.<br />

La verifica al Senato non è ammessa nelle votazioni a scrutinio segreto;<br />

alla Camera in quelle a scrutinio segreto e per appello nominale.<br />

Il Regolamento del Senato non prevede che la Presidenza possa assumere<br />

l'iniziativa di verifica del numero legale, mentre l'art. 50 Reg. Camera,<br />

stabilendo che la « Presidenza non è obbligata a verificare se la


310 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

Camera sia, oppure no, in numero legale », lascia intendere che tale<br />

facoltà possa essere autonomamente esercitata con le limitazioni previste<br />

dal Regolamento: divieto di verifica prima dell'approvazione del processo<br />

verbale e in occasione di votazioni che devono farsi obbligatoriamente per<br />

alzata e seduta (artt. 47, 52, 56, 73, 76, 79, 90, 94 Reg. Camera), cioè:<br />

1) approvazione per votazione del processo verbale;<br />

2) opposizione alla concessione dei congedi;<br />

3) proposta da parte del Presidente della censura nei confronti di<br />

un deputato che turbi gravemente i lavori parlamentari;<br />

4) decisione della Camera sull'esistenza del fatto personale in<br />

appello dalla decisione del Presidente;<br />

5) appello alla Camera in caso di interdizione della parola, dopo<br />

che il Presidente ha fatto due volte il richiamo alla questione;<br />

6) decisione della Camera sui richiami per l'ordine del giorno<br />

o al regolamento o per la priorità delle votazioni;<br />

7) consultazione della Camera da parte del Presidente quando il<br />

deputato insiste per l'accettazione e la votazione di ordini del giorno,<br />

emendamenti o articoli aggiuntivi formulati con frasi sconvenienti o relativi<br />

ad argomenti del tutto estranei all'oggetto in discussione;<br />

8) decisione della Camera in appello dalle decisioni del Presidente.<br />

Se attraverso la chiama viene accertata l'assenza del numero legale,<br />

il Presidente sospende la seduta per non meno di un'ora oppure la<br />

scioglie e l'Assemblea viene riconvocata per il prossimo giorno non festivo,<br />

con il medesimo ordine del giorno. E la presunzione sussiste di<br />

nuovo.<br />

7. - Numerose norme regolamentari interne disciplinano le sedute,<br />

l'ordine dei dibattiti e la polizia della Camera. Esse colmano una lacuna<br />

giurisdizionale derivante dalla prerogativa della « insindacabilità ». I deputati<br />

e i senatori non possono essere perseguiti per le opinioni e i voti<br />

espressi nell'esercizio del loro mandato, ma senza una disciplina interna<br />

dell'Assemblea tutti gli abusi e le violazioni del decoro e della libertà<br />

delle discussioni sarebbero privi di sanzione e comprometterebbero lo<br />

svolgimento ordinato delle funzioni delle Camere.<br />

Anzitutto nessuno può prendere la parola se il Presidente non gliela<br />

concede, né può parlare più di una volta sullo stesso argomento, a meno<br />

che non si tratti di un richiamo al regolamento, della posizione della<br />

questione, di fatto personale o di dichiarazione di voto. L'oratore non<br />

può, a norma del Regolamento, leggere il suo discorso per oltre un quarto


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 311<br />

d'ora, né pronunciare parole sconvenienti, né turbare la libertà del dibattito,<br />

né violare l'ordine, cioè fare imputazione di mala intenzione o fare<br />

del personalismo o allontanarsi dall'argomento. In quest'ultimo caso, dopo<br />

due richiami alla questione, il Presidente gli può togliere la parola. Le<br />

sanzioni disciplinari previste dal Regolamento della Camera sono le<br />

seguenti:<br />

1) richiamo all'ordine inflitto direttamente dal Presidente e per<br />

il quale non vi è per il richiamato possibilità di appello all'Assemblea;<br />

2) esclusione dall'aula, dopo due richiami all'ordine nella stessa<br />

giornata oppure per ingiurie rivolte a colleghi o a membri del Governo.<br />

Questa misura viene proposta dal Presidente ed è sottoposta all'approvazione<br />

della Camera, senza discussione e votazione per alzata e<br />

seduta, dopo che l'interessato ha dato gli eventuali schiarimenti;<br />

3) la censura, da infliggersi quando il deputato offende le istituzioni<br />

o passa a vie di fatto o provoca tumulti. Essa comporta il divieto<br />

a partecipare ai lavori parlamentari per un periodo da due a quindici<br />

giorni.<br />

La procedura è identica a quella dell'esclusione dall'aula;<br />

4) divieto di accesso al palazzo della Camera, al quale il Presidente<br />

fa ricorso in casi estremamente gravi.<br />

Per fatti gravi, avvenuti nel Palazzo, ma fuori dell'Aula, il Presidente,<br />

sentito l'Ufficio di Presidenza, può proporre all'Assemblea la censura o<br />

il divieto di accesso al Palazzo.<br />

Una norma che risale al primo Regolamento dell'8 maggio 1848, stabilisce<br />

che nessuna persona estranea alla Camera può, sotto alcun pretesto,<br />

introdursi nell'aula dove siedono i suoi membri.<br />

L'art. 64, quarto comma, Cost. fissa un'unica eccezione per i membri<br />

del Governo: anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se<br />

richiesti, l'obbligo di assistere alle sedute e devono essere sentiti ogni<br />

volta che lo richiedano.<br />

È fuori di dubbio che i ministri e i sottosegretari di Stato che assistono<br />

alle sedute delle Camere hanno l'obbligo di osservare le norme e<br />

le disposizioni necessarie per l'ordine delle discussioni e delle deliberazioni,<br />

ma non vi è la possibilità di escluderli dall'Aula o di interdire loro<br />

parola.<br />

Qualora sorga « tumulto » il Presidente si alza: con ciò è sospesa<br />

ogni discussione. Se il tumulto continua, egli sospende o scioglie la seduta.<br />

In questo ultimo caso la Camera è convocata senz'altro per il prossimo<br />

giorno non festivo, alla stessa ora e col medesimo ordine del giorno; potrà


312 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

essere anche convocata per il giorno seguente festivo quando la Camera<br />

abbia in precedenza deliberato di tenere seduta in quel giorno.<br />

Soltanto per ordine del Presidente la forza pubblica può entrare<br />

nell'Aula, ma prima la seduta deve essere stata sospesa o tolta.<br />

In base alla Costituzione, il corpo elettorale può controllare lo svolgimento<br />

del lavoro parlamentare. Il pubblico può assistere alle sedute<br />

in apposite tribune, ripartite in sezioni. L'ammissione è regolata da norme<br />

stabilite dal Presidente e dai Questori, i quali sovrintendono al cerimoniale,<br />

alla polizia, al servizio e alle spese (13).<br />

Le persone ammesse alle tribune devono mantenere un contegno corretto<br />

e riguardoso, astenersi da ogni segno di approvazione o di disapprovazione.<br />

La polizia, sia nelle tribune, sia in Aula, compete all'Assemblea che<br />

la esercita attraverso il Presidente. Norme particolari prevedono che la<br />

persona o le persone che turbassero l'ordine sono invitate ad uscire immediatamente<br />

dai commessi della Camera, in seguito a ordine dato dal<br />

Presidente. Qualora non si possa individuare chi ha provocato il disordine,<br />

il Presidente può ordinare che sia sgomberata tutta la sezione nella<br />

quale è avvenuto.<br />

In caso di oltraggio fatto alla Camera o a qualunque suo membro<br />

il colpevole è immediatamente arrestato e tradotto davanti all'autorità<br />

competente.<br />

8. - La pubblicità dei lavori delle Camere è un'assoluta esigenza<br />

democratica perché permette il controllo dell'opinione pubblica sull'operato<br />

del Parlamento.<br />

Le sedute sono, quindi, pubbliche, tranne che le Camere non deliberino<br />

di adunarsi in seduta segreta (art. 64, secondo comma, Cost). In<br />

questo caso la Camera può anche ordinare che non si faccia processo<br />

verbale della seduta (art. 141 Reg. Camera).<br />

La documentazione dell'attività delle Camere si ha con gli atti scritti<br />

che vengono ad esse presentati, col processo verbale delle sedute, col<br />

resoconto sommario delle discussioni e col resoconto stenografico di ciò<br />

che nelle adunanze è detto o letto.<br />

L'art. 139 del Regolamento stabilisce che un funzionario designato<br />

dal Presidente redige il processo verbale (estensore).<br />

L'art. 140 prescrive che i processi verbali, dopo l'approvazione, sono<br />

trascrìtti su un registro e sottoscritti dal Presidente e da uno dei Segretari.<br />

(13) FALZONE, Parlamentari e pubblico ammesso nelle tribune, in < Giurisprudenza<br />

costituzionale », 1958, pag. 792.


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 313<br />

Ad assicurare il rispetto della fondamentale esigenza della pubblicità<br />

dei lavori delle Camere provvedono ima serie di principi, stabiliti<br />

dalla prassi. È proprio per questo che, pur mancando precise norme regolamentari,<br />

i resoconti stenografici, per la loro scrupolosa fedeltà, assicurano<br />

la pubblicità.<br />

Il Regolamento della Camera si limita a stabilire all'art. 12 che<br />

i Segretari « vegliano perché il resoconto sia pubblicato nel termine prescritto<br />

dal Presidente, e non vi sia alterazione dei discorsi ».<br />

La prassi è in senso contrario. Il potere di vigilanza è stato sempre<br />

esercitato dal Presidente e dagli uffici, tanto è vero che il Presidente è<br />

intervenuto più volte per stabilire i criteri ai quali i resoconti stenografici<br />

devono obbedire. Inoltre vi è da aggiungere che, quanto al termine della<br />

pubblicazione, la norma è superata poiché dal 1° gennaio 1967 il resoconto<br />

stenografico viene pubblicato immediatamente e viene distribuito<br />

il mattino del giorno seguente. Ciò rappresenta un contributo notevole<br />

alla pubblicità dei lavori della Camera.<br />

Oltre all'accenno dell'art. 12, all'art. 41 si dispone che « per assicurare<br />

la pubblicità di tutti i lavori delle Giunte e delle Commissioni permanenti<br />

e speciali, è pubblicato il Bollettino delle Giunte e delle Commissioni<br />

a cura del Segretariato generale della Camera », mentre al<br />

quinto comma dell'art. 40 si dispone che delle sedute delle Commissioni<br />

in sede legislativa « è redatto, oltre al processo verbale, un resoconto<br />

stenografico ».<br />

Al resoconto stenografico si è successivamente aggiunto, nel 1879,<br />

il resoconto sommario, ma Ugo Galeotti rileva che la Commissione che<br />

nel 1881 propose la riforma del regolamento avanzò la proposta di aggiungere<br />

due incisi con cui si affidava la vigilanza sulla compilazione e<br />

sulla regolare pubblicazione del sommario, ma essi non furono introdotti<br />

« perché la Presidenza non volle mai attribuire carattere ufficiale al resoconto<br />

sommario ed assumerne la responsabilità ».<br />

Si potrebbe, quindi, dedurre che il resoconto stenografico rivesta il<br />

carattere dell'ufficialità, ma esso gli è negato dalla dottrina.<br />

Comunque, per prassi, è sempre stato il Presidente a interessarsi della<br />

tempestività e della fedeltà dei resoconti stenografici, nonché dei criteri<br />

da seguire nella correzione da parte degli oratori.<br />

Importanti disposizioni furono impartite dall'allora Presidente della<br />

Camera Giovanni Leone, il 22 ottobre 1956.<br />

I resoconti vengono pubblicati a cura degli appositi uffici, i quali<br />

naturalmente sono responsabili verso il Presidente ed il Segretario generale.


314 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

La dottrina nega l'autenticità dei resoconti stenografici, anche se<br />

Mancini e Galeotti osservarono che non esiste « alcuna differenza istrumentale<br />

tra una copia autentica e una pubblicazione ufficiale non meno<br />

autentica, quali sono i rendiconti parlamentari ».<br />

Purtuttavia, essi riconobbero una certa superiorità al processo verbale<br />

rilevando che esso « fa fede piena delle deliberazioni adottate dalla<br />

Camera, anche in confronto del resoconto stenografico ».<br />

La dottrina più autorevole sostiene che gli Atti parlamentari « non<br />

fanno fede pubblica ».<br />

9. - Il regolare svolgimento dei lavori delle Camere può essere disturbato<br />

da una particolare attività di singoli o di un gruppo di deputati.<br />

È il cosiddetto ostruzionismo (14). Con esso si intende impedire,<br />

intralciare o ritardare sistematicamente la discussione e le deliberazioni<br />

delle Camere, al fine di richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica o<br />

di provocare un mutamento delle convinzioni in seno alla maggioranza.<br />

L'ostruzionismo si distingue in fisico e tecnico. Nel primo caso si<br />

esplica mediante le interruzioni continue, l'agitazione, gli incidenti, i tumulti,<br />

la violenza su cose e persone.<br />

Esso è condannato dalla dottrina come illegittimo, anche perché<br />

può configurare il reato previsto dall'art. 289 del codice penale, in quanto<br />

diretto a impedire o a turbare l'esercizio delle funzioni parlamentari.<br />

La prudenza della maggioranza dovrebbe evitare, se possibile, di<br />

offrire le occasioni per questa specie di ostruzionismo, mentre il Presidente,<br />

con la sua autorità e con i poteri che gli sono conferiti dal Regolamento,<br />

deve reprimere ogni turbativa del regolare svolgimento dell'attività<br />

parlamentare.<br />

L'altra specie di ostruzionismo, quello « tecnico », tende a raggiungere<br />

lo stesso scopo, ma con altri mezzi, cioè attraverso l'abuso dei diritti<br />

concessi dal Regolamento per la discussione e votazione dei documenti<br />

parlamentari. I più caratteristici esempi di strumenti ostruzionistici possono<br />

considerarsi il prolungamento eccessivo e la moltiplicazione dei<br />

discorsi, la presentazione e votazione qualificata di ordini del giorno ed<br />

emendamenti, il ricorso a incidenti procedurali di ogni genere, ecc.<br />

L'esperienza ha dimostrato che è oltremodo difficile contenere un<br />

ostruzionismo tecnico, anche se sostenuto da un piccolo gruppo. Tut-<br />

(14) LONGI, Ostruzionismo parlamentare, in «Scritti vari», pag. 13; MELONI,<br />

L'ostruzionismo parlamentare, in «Annali», Macerata 1951; MOHRHOFF, Ostruzionismo<br />

parlamentare, in «Nuovissimo Digesto Italiano», voi. XII, pag. 289; O. NIGRO,<br />

L'ostruzionismo parlamentare e suoi possibili rimedi, 1918.


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 315<br />

tavia esistono strumenti regolamentari che possono contrastare entro certi<br />

limiti l'ostruzionismo stesso sul piano procedurale.<br />

Non è facile dare un giudizio definitivo, e valevole per tutti i casi,<br />

sulla legittimità del fenomeno. Tuttavia, « l'ostruzionismo (15) può adempiere<br />

un'importante ed utile funzione politica, quando abbia lo scopo di<br />

impedire l'approvazione di misure che contrastino con lo spirito riformatore<br />

della Costituzione, o incontrino nel paese dissenso diffuso : quando<br />

cioè l'abuso di potere da parte della minoranza tende a neutralizzare un<br />

contrario e più grave abuso della maggioranza. È chiaro poi che la sua<br />

influenza concreta è condizionata alla risonanza che riesce ad ottenere<br />

nell'opinione pubblica ».<br />

Nel Parlamento italiano si sono avute clamorose manifestazioni ostruzionistiche<br />

nel 1899-1900 per i provvedimenti di polizia del Pelloux, nel<br />

1914 per i provvedimenti tributari del governo Salandra, il 19 marzo 1949<br />

durante la discussione per l'autorizzazione al Governo di firmare il Patto<br />

Atlantico, nel luglio 1951 contro il disegno di legge sulla difesa civile,<br />

nel 1952 e 1953 durante la discussione sulla « legge elettorale del premio ».<br />

L'ultimo caso di ostruzionismo si è avuto durante la discussione del<br />

disegno di legge: « Norme per la elezione dei consigli regionali delle Regioni<br />

a statuto normale » alla Camera (17-31 ottobre 1967) e al Senato<br />

(gennaio-febbraio 1968).<br />

Fu questo il secondo episodio di ostruzionismo nella storia del Senato,<br />

dopo quello del 1953.<br />

Talvolta all'ostruzionismo ricorre la stessa maggioranza, adottando<br />

una tattica ritardatrice per impedire l'approvazione di un disegno di<br />

legge proposto dal Governo o dalla maggioranza, ovvero avanzato dall'opposizione;<br />

ma è facile constatare che la maggioranza ha ben altri<br />

strumenti per insabbiare un provvedimento, senza bisogno di ricorrere a<br />

manifestazioni clamorose.<br />

Circa i rimedi previsti dai Regolamenti parlamentari o applicati dalla<br />

prassi, è impossibile in questa sede delineare i vari metodi in cui si può<br />

concretare il contro-ostruzionismo: per alcuni di essi se ne farà cenno<br />

nei capitoli relativi alle varie fasi del dibattito parlamentare (chiusura<br />

della discussione, ammissibilità degli emendamenti e ordini del giorno,<br />

posizione del voto di fiducia, ecc.).<br />

10. - L'art. 55 Cost. ha introdotto un istituto nuovo, conosciuto<br />

dalla prassi del precedente ordinamento soltanto per il giuramento del re<br />

e il discorso della corona. Si tratta del Parlamento in seduta comune dei<br />

(15) MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, 8* ed., 1967, voi. I. pag. 422.


316 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

membri delle due Camere (16), il quale si riunisce nei casi previsti dalla<br />

Costituzione.<br />

È stata così data vita a un terzo organo, perché la sua composizione<br />

e le sue attribuzioni sono completamente diverse da quelle svolte singolarmente<br />

dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica.<br />

L'art. 63 Cost. stabilisce che la seduta comune è convocata dal Presidente<br />

della Camera dei Deputati, il quale la presiede, coadiuvato dall'Ufficio<br />

di Presidenza. Perciò egli può essere sostituito da uno dei vicepresidenti.<br />

Secondo una parte della dottrina, questa norma non impedisce<br />

di affermare che il Parlamento in seduta comune è un terzo organo parlamentare,<br />

né da essa si può evincere che è obbligatoria l'adozione del<br />

Regolamento della Camera. Tuttavia il Regolamento della Camera, nel<br />

suo art. 15, ultimo comma, stabilisce la sua applicabilità alle riunioni<br />

delle Assemblee in seduta comune; né vi è stata mai alcuna obiezione alla<br />

attuazione di tale norma.<br />

Nelle sedute del Parlamento a Camere riunite, la maggioranza dei<br />

componenti prescritta per la validità delle sedute all'art. 64 Cost. si deve<br />

riferire al numero complessivo dei membri, senza tener conto della proporzione<br />

della maggioranza di ciascuna Camera.<br />

Il Mortati afferma che il Parlamento in seduta comune è un collegio<br />

perfetto, un collegio, cioè, che, prima di decidere, può svolgere una adeguata<br />

discussione, la quale può riguardare anche la validità dei presupposti<br />

della convocazione e le relative valutazioni.<br />

Il Balladore Pallieri critica invece la distinzione del Parlamento<br />

in seduta comune fra collegio perfetto, cioè capace di discutere sulle materie<br />

all'ordine del giorno, e collegio imperfetto, competente cioè esclusivamente<br />

a esprimere i voti. Nulla autorizza ad attribuire - egli afferma -<br />

questa limitazione e solo ragioni di correttezza e di opportunità consiglieranno<br />

l'astensione dal discutere.<br />

Di tutt'altro avviso è Giovanni Ferrara, il quale sostiene il carattere<br />

di collegio imperfetto del Parlamento in seduta comune: ciò deriva dal<br />

collegamento tra l'attività che l'organo è chiamato a svolgere e gli effetti<br />

della stessa nell'ambito del sistema.<br />

L'esame dei presupposti previsti dalle norme che impongono la convocazione<br />

del Parlamento in seduta comune consentono - secondo il Ferrara<br />

- di qualificarlo come collegio elettorale o come titolare del potere<br />

di mettere in stato di accusa il Presidente della Repubblica ed i ministri.<br />

(16) PALADIN, Sulla natura del Parlamento in seduta comune, in e Rivista trimestrale<br />

di diritto pubblico», pag. 388 e segg.


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 317<br />

La convocazione è vincolata nel quid, nei singoli casi determinato<br />

dalla Costituzione, e perciò il contenuto della funzione non può essere<br />

diverso da quello risultante dall'atto di convocazione.<br />

H Parlamento in seduta comune, quindi, non può autoconvocarsi,<br />

né deliberare su questioni non iscritte all'ordine del giorno. Di qui la<br />

rilevanza dei poteri attribuiti al Presidente che hanno per fine esclusivo<br />

quello dell'espletamento del compito al quale il Parlamento in seduta<br />

comune è stato chiamato. Nell'esercizio dei suoi poteri il Presidente<br />

è vincolato dalle norme costituzionali.<br />

La Costituzione prevede la convocazione del Parlamento in seduta<br />

comune nei seguenti casi:<br />

1) Elezione del Presidente della Repubblica.<br />

L'art. 83 stabilisce che l'elezione del Presidente della Repubblica<br />

avviene con l'integrazione di tre delegati per ogni Regione, eletti dal<br />

consiglio regionale assicurando la rappresentanza delle minoranze. La<br />

Valle d'Aosta e il Molise hanno un solo delegato.<br />

Alla prima elezione del Presidente della Repubblica (10-11 maggio<br />

1948) parteciparono i soli membri delle due Camere, in base alla<br />

II Disposizione transitoria della Costituzione. Alle successive parteciparono<br />

anche tre delegati (due della maggioranza e uno delle minoranze)<br />

di ciascuna regione a statuto speciale.<br />

La partecipazione dei delegati delle regioni a statuto speciale alla<br />

elezione del Presidente della Repubblica nel 1955, nel 1962 e nel 1964<br />

è stata criticata dalla dottrina, perché nulla autorizza - è stato sostenuto<br />

- ad assegnare alle regioni già costituite un peso politico che le<br />

altre ancora da costituire non possono esercitare.<br />

Nella prassi, si è invece interpretata letteralmente la II Disposizione<br />

transitoria della Costituzione : « Se alla data della elezione del<br />

Presidente della Repubblica non sono costituiti tutti i Consigli regionali,<br />

partecipano alla elezione soltanto i componenti delle due Camere ».<br />

Perciò si è considerata esaurita la sua efficacia dopo la prima elezione<br />

successiva all'entrata in vigore della Carta costituzionale e si sono ammessi<br />

i delegati delle regioni a statuto speciale già costituite.<br />

L'elezione avviene per scrutinio segreto, a maggioranza di due<br />

terzi dei componenti dell'Assemblea. Solo dopo il terzo scrutinio è<br />

sufficiente la maggioranza assoluta.<br />

Trenta giorni prima della scadenza del settennio, il Presidente della<br />

Camera dei deputati convoca. il Parlamento in seduta comune per la<br />

elezione del Presidente della Repubblica.


318 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

Se le Camere sono sciolte o se mancano meno di tre mesi alla<br />

loro cessazione, tale elezione avviene entro quindici giorni dalla riunione<br />

delle nuove Camere.<br />

In caso di vacanza imprevista (morte, impedimento permanente o<br />

dimissioni) la elezione è indetta entro 15 giorni.<br />

Il termine dei 30 giorni previsto dall'art. 85 Cost. per la convocazione<br />

del Parlamento in seduta comune, come del resto confermano<br />

gli atti dell'Assemblea Costituente (17) e la prassi, si riferisce all'emanazione<br />

da parte del Presidente della Camera dell'ordine del giorno<br />

contenente l'oggetto e la data della riunione. Il termine previsto per il<br />

caso della vacanza si riferisce invece alla effettiva riunione per l'elezione.<br />

Circa la natura giuridica del collegio per la elezione del Capo<br />

dello Stato, il Balladore Pallieri afferma che non si tratta di organo<br />

nuovo o diverso dal « Parlamento in seduta comune », ma dello stesso<br />

organo, al quale sono aggregati i delegati regionali, che godono delle<br />

prerogative parlamentari per il periodo di esercizio delle loro funzioni.<br />

Il Mortati accede a questa opinione.<br />

2) Giuramento e messaggio del Presidente della Repubblica.<br />

Prima che il Presidente della Repubblica assuma le sue funzioni,<br />

il Parlamento si riunisce in seduta comune per ricevere il suo giuramento<br />

di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione,<br />

nonché il messaggio.<br />

3) Elezione di sette componenti il Consiglio superiore della magistratura.<br />

A norma della legge 24 marzo 1958, n. 195, la elezione avviene- a<br />

scrutinio segreto con la maggioranza speciale dei 3/5 dei componenti<br />

per il primo e secondo scrutinio, e dei 3/5 dei votanti per i successivi.<br />

La scelta è fatta fra i professori universitari ordinari di materie giuridiche<br />

e fra avvocati con quindici anni di esercizio professionale.<br />

È da notare che, in deroga alla norma costituzionale, siamo in questo<br />

caso in presenza di maggioranze speciali stabilite da legge ordinaria.<br />

4) Elezione di un terzo dei giudici componenti la Corte costituzionale.<br />

La elezione avviene a scrutinio segreto e la scelta deve aver luogo<br />

fra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e<br />

amministrative, i professori universitari ordinari in materie giuridiche<br />

in servizio e gli avvocati dopo 20 anni di vita professionale.<br />

(17) Atti dell'Assemblea Costituente, voi. Vili, pag. 1431.


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 319<br />

A norma della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2, la maggioranza<br />

richiesta è quella dei 2/3 dei componenti l'Assemblea per i<br />

primi tre scrutini, dei 3/5 dei componenti l'Assemblea negli scrutini successivi.<br />

La elezione dei giudici avviene entro 30 giorni dal momento in<br />

cui si determina la vacanza.<br />

5) Elezione dei giudici aggregati.<br />

Nei giudizi d'accusa contro il Presidente della Repubblica e contro<br />

i ministri intervengono - oltre ai giudici costituzionali ordinari - anche<br />

16 membri tratti a sorte da un elenco di 45 cittadini aventi i requisiti<br />

per l'eleggibilità a senatore. Detto elenco viene compilato dal Parlamento<br />

in seduta comune ogni nove anni con le modalità stabilite per<br />

la nomina dei giudici ordinari.<br />

L'art. 9-bis Reg. Camera prevede elezioni suppletive per il caso<br />

che l'elenco suddetto si riduca, per vacanze sopravvenute, a meno di<br />

36 persone.<br />

6) Posizione in stato d'accusa del Presidente della Repubblica,<br />

del Presidente del Consiglio e dei ministri.<br />

La messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica per<br />

alto tradimento e attentato alla Costituzione spetta al Parlamento in<br />

seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri.<br />

Il giudizio spetta alla Corte costituzionale. Il Parlamento in seduta<br />

comune delibera su una relazione della Commissione inquirente<br />

costituita da dieci deputati e da dieci senatori, che ciascuna Camera<br />

elegge, con deliberazione a maggioranza, in conformità del proprio<br />

Regolamento (art. 98 Reg. Camera, art. 80 Reg. Senato), all'inizio di<br />

ogni legislatura.<br />

L'art. 96 Cost. non prescrive la maggioranza assoluta per la messa<br />

in stato d'accusa del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri;<br />

perciò dovrebbe ritenersi sufficiente la maggioranza ai sensi dell'art.<br />

64 Cost., terzo comma (18).<br />

Invece l'articolo 27 del Regolamento parlamentare per i procedimenti<br />

d'accusa, nel suo ultimo comma, precisa che la deliberazione è<br />

adottata « a maggioranza assoluta dei componenti il Parlamento ».<br />

La questione ha trovato comunque concreta applicazione il 20 luglio<br />

1965. Il Presidente della Camera, prima di procedere alla votazione,<br />

dichiarò : « Le riserve, infatti, manifestate non solo in aula, come<br />

(18) PERGOLESI, Diritto costituzionale, 15* ed., 1963, voi. II, pag. 235.


320 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

risulta dagli atti, ma anche in una riunione dei capigruppo circa la<br />

costituzionalità del requisito della maggioranza assoluta dei componenti<br />

il Parlamento prescritta dall'articolo 27 del Regolamento per la messa<br />

in stato di accusa, non mi paiono fondate; e pertanto, per doverosa<br />

chiarezza, non deve essere nemmeno sfiorato il dubbio di illegittimità<br />

sul risultato - quale che esso sia - della votazione che mi accingo ad<br />

indire.<br />

« È vero che la Costituzione non prescrive nell'articolo 96, per la<br />

messa in stato di accusa di membri del Governo, la maggioranza assoluta<br />

del Parlamento in seduta comune, maggioranza che è invece stabilita<br />

nell'articolo 90 per i giudizi nei confronti del Presidente della<br />

Repubblica; è vero altresì che l'articolo 64 della Costituzione sancisce<br />

che le deliberazioni delle Camere, anche riunite, " sono valide se adottate<br />

a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una<br />

maggioranza speciale "; ma non è meno vero che sembra difficile attribuire<br />

a tale riserva di maggioranza speciale un significato diverso da<br />

quello che si deduce dalla sua stessa formulazione letterale: nel sènso<br />

cioè che sia garantita in ogni caso l'efficacia delle norme costituzionali<br />

che prevedono una maggioranza speciale di fronte a quella normale<br />

preveduta dal medesimo articolo 64; il quale, ben si noti, non afferma<br />

già che le deliberazioni delle Camere " debbono " essere adottate a maggioranza<br />

dei presenti, ma si limita a prescrivere, agli effetti della loro<br />

validità, il requisito minimo del predetto quorum.<br />

« La norma dell'articolo 64 nella sua ultima parte, là dove dice<br />

" salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale ", si riferisce,<br />

in sostanza, ai casi in cui risulta già determinata la necessità di<br />

deliberare con una maggioranza speciale, ma non stabilisce affatto che<br />

soltanto ed unicamente in quei casi è possibile deliberare con una maggioranza<br />

diversa da quella dei presenti.<br />

« La potestà regolamentare del Parlamento, riconosciuta per attribuzione<br />

costituzionale di competenza, trova quindi un limite minimo<br />

di validità in materia di deliberazioni, che è più elevato in alcune fattispecie<br />

disciplinate direttamente da norme costituzionali, ma non trova<br />

alcun limite massimo se non nella propria autonoma sfera di determinazione<br />

che, trattandosi di organo costituzionale primario superiorem<br />

non recognoscens, presenta tutti i caratteri della sovranità.<br />

« A parte, comunque, ogni facile argomentazione di principio sulla<br />

natura degli interna corporis e sulla loro insindacabilità, principio che<br />

va mantenuto fermo e non può - come non è mai stato - essere posto<br />

in dubbio per non ferire nella sua fondamentale essenza la sovranità


Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune 321<br />

del Parlamento, vi è il fatto che sulla validità della costituzione di un<br />

organo collegiale o collettivo si può discutere in limine, ma non quando<br />

siano già in corso le attività sostanziali dell'organo stesso. Si deve considerare,<br />

fra l'altro, che l'insieme delle norme sui procedimenti di accusa,<br />

legislative e regolamentari, è stato approvato con unanime voto dalle<br />

due Assemblee, separatamente, e ha già dispiegato effetti, in altre circostanze,<br />

da tutti accettati per unanime tacito consenso, anche se questa<br />

è la prima volta che si giunge alla fase del Parlamento riunito in<br />

seduta comune.<br />

« Si aggiunga, infine, che la convocazione di questa Assemblea è<br />

avvenuta, a norma del regolamento, su richiesta della maggioranza assoluta<br />

dei componenti il Parlamento, ed una volta che l'organo si è costituito<br />

e le procedure hanno avuto inizio, sarebbero inammissibili variazioni<br />

delle modalità di funzionamento decise in itinere.<br />

« Nulla vieta che, in sede di revisione normativa, questo ed altri<br />

problemi siano oggetto di riesame sotto il profilo della opportunità, ma<br />

non ritengo che alcun dubbio possa sussistere sulla piena legittimità<br />

costituzionale delle norme che, nell'ambito del proprio insindacabile potere<br />

di autoorganizzazione, le Camere hanno adottato per stabilire maggioranze<br />

più elevate di quella dei presenti in rapporto a circostanze<br />

del tutto particolari. Ciò, del resto, è stato fin qui pacificamente accettato/tanto<br />

in sede regolamentare - come nel caso del requisito dei tre<br />

quarti dei presenti per inserire materie nuove nell'ordine del giorno<br />

- quanto in sede legislativa - come nel caso del requisito della maggioranza<br />

dei tre quinti del Parlamento prescritta per l'elezione dei giudici<br />

costituzionali, ai sensi della legge ordinaria 11 marzo 1963, n. 87, nonché<br />

dei componenti del Consiglio superiore della magistratura.<br />

« A queste mie brevi dichiarazioni è estraneo ogni significato di<br />

replica o di polemica, che sarebbero entrambe fuori luogo. Invito a considerarle<br />

come affermazioni meditate e convinte, dettate dalla coscienza<br />

serena di chi ha avuto l'alto onore di presiedere un'Assemblea di così<br />

elevato prestigio, avvalorate dall'autorità del seggio che ora impersono;<br />

di queste affermazioni mi assumo tutta la responsabilità come leale<br />

ed imparziale esecutore del mandato ricevuto di rispettare la Costituzione,<br />

le leggi ed i regolamenti ».<br />

Queste dichiarazioni sono state contestate da P. Barile e da Mazzetti<br />

(19).<br />

(19) P. BAR<strong>IL</strong>E, La messa in stato di accusa dei ministri, in « Montecitorio »,<br />

1966, n. 5-6; MAZZIOTTI, / conflitti, di attribuzione fra poteri, pag. 219.<br />

13.


322 Assemblea plenaria e Parlamento in seduta comune<br />

Circa la procedura per la discussione in Assemblea nei casi di<br />

accusa al Presidente della Repubblica o al Presidente del Consiglio dei<br />

ministri o ai ministri, il Presidente della Camera convoca il Parlamento<br />

in seduta comune entro dieci giorni dalla distribuzione della relazione<br />

della Commissione inquirente che propone la messa in stato d'accusa<br />

o dalla presentazione dell'ordine del giorno inteso a disporre la messa<br />

in stato d'accusa, da parte della maggioranza assoluta dei componenti<br />

del Parlamento, nel caso che la deliberazione della Commissione inquirente<br />

di non doversi procedere sia stata approvata con meno dei<br />

tre quinti dei componenti della medesima.<br />

La discussione comincia con la relazione orale della Commissione<br />

inquirente. La seduta procede, con brevi sospensioni, insindacabilmente<br />

disposte dal Presidente, fino alla deliberazione.<br />

II. - Le deputazioni sono organi rappresentativi esterni delle Camere.<br />

Esse sono costituite per inviare rappresentanze a cerimonie o<br />

a pubbliche manifestazioni in Italia o all'estero.<br />

I componenti delle deputazioni al Senato (art. 117 Reg.) sono<br />

estratti a sorte, mentre alla Camera (art. 138 Reg.) sono scelti dal Presidente<br />

tra i componenti di tutti i gruppi parlamentari. Ne fanno sempre<br />

parte il Presidente o un Vicepresidente. Poiché questi organismi non hanno<br />

carattere deliberante, non è necessario che i vari gruppi siano rappresentati<br />

con un criterio di proporzionalità.<br />

Dalle deputazioni devono tenersi distinte le rappresentanze parlamentari<br />

in seno al Consiglio d'Europa e al Parlamento europeo per<br />

le quali sono attualmente in corso di esame nuove procedure di nomina<br />

in attesa (per quanto riguarda in particolare il Parlamento europeo) della<br />

possibilità che l'elezione avvenga a suffragio diretto e universale.<br />

[GINO SPECCHIA]


CAPO VII<br />

L'ITER LEGISLATIVO: L'ESAME PRELIMINARE<br />

di Gianluigi Marozza


CAPO VII.<br />

V1TER LEGISLATIVO: L'ESAME PRELIMINARE<br />

SOMMARIO: 1. L'iniziativa legislativa. — 2. L'istituto della presa in considerazione,<br />

— 3. L'esame preliminare dei progetti di legge presso le Commissioni<br />

permanenti o speciali in sede referente. — 4. I pareri. — 5. La<br />

conclusione dell'esame preliminare.<br />

1. - Il procedimento di formazione della legge prende l'avvio<br />

con la fase della iniziativa legislativa. Per iniziativa legislativa deve<br />

intendersi quella forma attiva di cooperazione alla funzione legislativa,<br />

in forza della quale, non solo si approvano le leggi, ma si dà addirittura<br />

principio al lavoro legislativo, si mette in moto il potere legiferante,<br />

fornendo il progetto di legge sul quale poi le Camere dovranno<br />

discutere (1).<br />

Secondo il combinato disposto degli arti. 71, 99 e 121 Cost., sono<br />

titolari del potere di iniziativa legislativa: il Governo, i singoli parlamentari,<br />

il popolo, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, i<br />

consigli regionali, nonché gli altri organi ed enti « ai quali [l'iniziativa<br />

legislativa] sia conferita da leggi costituzionali ».<br />

a) L'iniziativa governativa (2) è di gran lunga la più rilevante,<br />

se non da un punto di vista quantitativo certamente sul piano qualitativo,<br />

poiché il Governo, da un lato ha la responsabilità dell'attuazione<br />

dell'indirizzo politico - il che esige l'emanazione delle leggi ricomprese<br />

nel programma esposto al Parlamento e sulla base del quale gli è<br />

stata concessa la fiducia - dall'altro è l'organo che dispone dei più<br />

qualificati mezzi di informazione per valutare ed apprezzare i bisogni<br />

(1) V. MICELI, Iniziativa parlamentare, Milano 1903, pag. 1.<br />

(2) P. BiscARETTi DI RUFFIA, Diritto costituzionale, Napoli 19S8, pag. 324,<br />

adombra l'ipotesi che la iniziativa governativa rappresenti una sorta di deroga al principio<br />

della divisione dei poteri, tanto è vero che tale forma di iniziativa legislativa non<br />

è accolta negli Stati Uniti. A parte la considerazione che l'esempio scelto a riprova<br />

della pretesa deroga si riferisce ad un sistema di governo completamente diverso dal<br />

nostro, tale opinione non risulta ripresa e quindi non è condivisa da nessun altro<br />

autore.


326 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

collettivi e, conseguentemente, approntare i provvedimenti atti a soddisfarli.<br />

Secondo l'opinione prevalente, poi (3), esistono materie nelle<br />

quali l'iniziativa governativa ha carattere esclusivo o addirittura vincolato.<br />

Sono da ricordare, in primo luogo, in materia economico-finanziaria,<br />

il bilancio di previsione ed il rendiconto consuntivo (4), la richiesta<br />

di autorizzazione all'esercizio provvisorio, le cosiddette convalidazioni<br />

dei decreti presidenziali di prelevamento di somme dal fondo<br />

di riserva per le spese impreviste (5), nonché le eventuali autorizzazioni<br />

di spesa a sanatoria di impegni relativi ad esercizi pregressi ed eccedenti<br />

i relativi stanziamenti di bilancio; ancora, in materia economica,<br />

last but non least, si può citare il recente esempio della approvazione<br />

per legge del piano quinquennale di sviluppo economico, la cui predisposizione<br />

non può non rientrare nella sfera di iniziativa legislativa<br />

esclusiva del Governo. In secondo luogo, sono da ricordare le iniziative<br />

in materia di conversione di decreti-legge (6) e, in genere, tutti<br />

i provvedimenti di autorizzazione e di approvazione, che presuppongono<br />

l'esistenza di un atto (governativo) da autorizzare o da approvare<br />

(7).<br />

b) L'iniziativa parlamentare è attribuita a ciascun membro delle<br />

due Camere e trova la sua ragione e il suo fondamento nella stessa<br />

origine storica dei parlamenti medievali e nell'antico principio secondo<br />

cui l'organo abilitato a discutere, approvare ed eventualmente emen-<br />

(3) C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1967, pag. 631 ; P. Bi-<br />

SCARETTI DI RUFFIA, op. cit., passim; A. M. SANDULLI, Legge, in «Novissimo Digesto<br />

Italiano », Torino 1963, voi IX, pag. 635 ; E. SPAGNA-MUSSO, L'iniziativa nella<br />

formazione delle leggi italiane, Napoli 1958, pagg. 126 e segg. ; A. Bozzi, Istituzioni di<br />

diritto pubblico, Milano 1966, pag. 217.<br />

(4) Il i° comma dell'art. 81 Cost. esplicita tale obbligo, stabilendo che « le Camere<br />

approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo, " presentati dal Governo<br />

" ».<br />

(5) Cfr. l'art. 42, ultimo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440,<br />

sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato. Detta norma<br />

stabilisce che i richiamati decreti e vengono presentati al Parlamento per la convalidazione<br />

».<br />

(6) Il secondo comma dell'art. 77 Cost. stabilisce testualmente che « quando in<br />

casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità,<br />

provvedimenti provvisori con forza di legge, " deve " il giorno stesso presentarli<br />

per la conversione alle Camere... ».<br />

(7) Ad esempio, l'autorizzazione a ratificare trattati internazionali ovvero l'approvazione<br />

di scambi di note con Stati esteri. Si confronti l'art. 80 Cost. : « Le Camere<br />

autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali... ». A. M. SANDULLI,<br />

op. cit., pag. 635, non esclude affatto che in simili casi, di fronte ad un'eventuale<br />

inerzia del Governo, l'iniziativa possa essere assunta dai singoli membri del Parlamento<br />

ovvero da altri soggetti qualificati; di diverso avviso sono invece C. MORTATI,<br />

op. cit., pag. 631 e S. GALEOTTI, Contributo alla teoria del procedimento legislativo,<br />

Milano 1957, pag. 258.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 327<br />

dare un progetto di legge deve necessariamente essere dotato anche del<br />

potere di avviare il procedimento di iniziativa legislativa (8). Il diritto<br />

di iniziativa parlamentare, ancorché posto dalla norma costituzionale<br />

su un piano di parità rispetto all'iniziativa del Governo, trova, tuttavia,<br />

alcune limitazioni che, di fatto, ne restringono alquanto la portata. Anzitutto<br />

la impossibilità per i singoli parlamentari di disporre degli stessi<br />

mezzi di conoscenza e di documentazione (9) dei quali fruisce l'Esecutivo<br />

limita la possibilità di intervento in taluni settori della politica<br />

generale e in taluni campi di attività della pubblica amministrazione,<br />

anche per i riflessi di carattere finanziario che discendono dal vincolo<br />

posto dall'art. 81 Cost., ultimo comma, secondo il quale ogni legge di<br />

spesa deve contestualmente indicare idonea e adeguata copertura finanziaria.<br />

In secondo luogo, l'iniziativa parlamentare deve ritenersi<br />

esclusa - almeno in via di principio - in tutte quelle materie per le<br />

quali si ravvisa un potere di iniziativa governativa esclusiva. Infine, le<br />

iniziative legislative dei parlamentari dei gruppi di opposizione e quelle<br />

degli stessi membri dei gruppi di maggioranza hanno ben scarse possibilità<br />

di successo se non siano condivise dal Gabinetto in carica, sicché,<br />

anche per questa via, l'iniziativa parlamentare risulta limitata ovvero<br />

destinata a non tradursi in norme legislative concrete (10).<br />

e) Il popolo partecipa alla funzione legislativa attraverso la proposta,<br />

da parte di almeno cinquantamila elettori, di « un progetto di<br />

legge redatto in articoli ». Poiché il dettato costituzionale non contiene<br />

alcun rinvio ad una eventuale successiva legge di attuazione per disci-<br />

(8) È stato tuttavia autorevolmente sostenuto che una delle ragioni del buon<br />

funzionamento del modello parlamentare inglese risiede nell'antico principio in forza<br />

del quale «il vero diritto di iniziativa dei deputati consiste nella facoltà di emendare<br />

un progetto governativo, piuttosto che di presentarne uno proprio ». Cfr. F. COSEN­<br />

TINO, // procedimento legislativo nel sistema parlamentare, in t Rassegna parlamentare»,<br />

1960, pag. 1207.<br />

(9) Nel corso della IV legislatura, nell'ambito dell'ammodernamento e del potenziamento<br />

dei servizi della Camera, è stato istituito il Servizio studi, legislazione<br />

e inchieste parlamentari che costituisce l'ufficio essenziale di raccordo fra le attività<br />

di raccolta di elementi di documentazione e la loro utilizzazione da parte dei deputati;<br />

la istituzione di tale moderno Servizio viene a colmare una grave lacuna esistente<br />

nel settore della ricerca e della documentazione, nel quale più acuta si era manifestata<br />

la carenza di un valido apparato organizzativo e avvertita la necessità di una<br />

fonte imparziale ed obiettiva di informazione al servizio di tutti i deputati.<br />

(10) V. MICELI, op. cit., ha elaborato un interessantissimo disegno delle vicende<br />

storiche dell'iniziativa legislativa, giungendo alla conclusione che « l'attrito fra le assemblee<br />

popolari e la corona come ha sempre esistito nei nostri Stati europei, non<br />

poteva non riflettersi anche in ciò che si riferiva alla iniziativa delle leggi, onde<br />

quando la corona era potente, l'iniziativa parlamentare veniva a poco a poco a ridursi<br />

o scompariva del tutto, mentre l'opposto accadeva quando il Parlamento acquistava<br />

a sua volta la prevalenza» (pag. 3).


328 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

plinare le modalità di esercizio di tale diritto di iniziativa popolare,<br />

quest'ultimo è stato ritenuto immediatamente operante, sicché sono numerosi<br />

i casi di progetti di legge di iniziativa popolare presentati al<br />

Senato nel corso delle quattro legislature repubblicane, mentre non se<br />

ne ravvisa alcuno presso la Camera. D'altra parte l'opinione della « immediata<br />

operatività » sostenuta dal Crisafulli non sembra pacifica, tanto<br />

è vero che sono stati presentati nel corso degli ultimi venti anni non<br />

pochi progetti di legge (di iniziativa governativa o parlamentare) intesi<br />

a dettare norme per l'esercizio del diritto di iniziativa legislativa del<br />

popolo (lì). Secondo l'opinione prevalente, poi, al diritto di iniziativa<br />

legislativa popolare non sarebbero riferibili i limiti posti dall'art. 75<br />

Cost. al referendum abrogativo (leggi tributarie e di bilancio, di amnistia<br />

e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali),<br />

giacché non sembra che, in mancanza di limitazioni risultanti dalla<br />

Costituzione, possa pensarsi a preclusioni particolari (12); è chiaro,<br />

tuttavia, che per quelle materie per le quali abbiamo riscontrato una<br />

iniziativa esclusiva del Governo, l'iniziativa popolare resterà limitata<br />

per le stesse considerazioni per le quali si ritiene impossibile una iniziativa<br />

da parte di organi diversi dal Governo (13).<br />

d) L'iniziativa legislativa del Consiglio nazionale dell'economia<br />

e del lavoro è limitata alla legislazione economica e sociale; le modalità<br />

di esercizio del diritto di iniziativa legislativa sono regolate dalla<br />

(11) Da ultimo, cfr. l'atto Camera 1663 (IV legisl.) e Norme sui referendum<br />

previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo », esaminato dalla<br />

Commissione affari costituzionali e rimasto in stato di relazione per l'Assemblea.<br />

(12) In tal senso: A. M. SANDULLI, op. cit., pag. 636; C. MORTATI, op. cit.,<br />

pag. 633; P. BISCARETTI DI RUFFIA, op. cit., pag. 355; C. CERETI, Corso di diritto<br />

costituzionale italiano, Torino 1955, pag. 373 ; O. RANELLETTI, Istituzioni di diritto<br />

pubblico, Milano 1954, voi. II, pag. 129. Contro, e cioè nel senso di escludere l'iniziativa<br />

legislativa popolare nelle stesse materie nelle quali la Cost. esclude il ricorso<br />

al referendum abrogativo: G. BALLADORE-PALLIERI, Diritto costituzionale, Milano 1962,<br />

pag. 214; P. VIROA, Diritto costituzionale, Palermo 1961, pag. 369; E. SPAGNA-MUSSO,<br />

op. cit., pag. 84. Infine A. Bozzi, op. cit., pag. 220, propende per l'esclusione dalla<br />

sfera di iniziativa popolare dei soli provvedimenti di natura formale riguardanti le<br />

autorizzazioni all'approvazione dei bilanci e alla ratifica di trattati internazionali, come<br />

atti esclusi, altresì, dalla iniziativa di ogni altro soggetto diverso dal Governo, il<br />

quale sarebbe l'unico legittimato a proporli,<br />

(13) Nella II legislatura venne presentata al Senato una proposta di legge di<br />

iniziativa popolare : « Delegazione al Presidente della Repubblica per la concessione<br />

di amnistia e indulto > (S. 1625). Su tale iniziativa legislativa, a conclusione dell'esame<br />

in sede referente compiuto dalla Commissione Giustizia, furono presentate<br />

due relazioni. La relazione di maggioranza (rei. Monni) sosteneva l'inammissibilità<br />

della proposta, ritenendo applicabile per analogia il principio contenuto nell'art. 75<br />

Cost.; la relazione di minoranza (rei. Leone), invece, respingeva tale rilievo di inammissibilità,<br />

sostenendo la impossibilità di ricorrere all'analogia nel diritto costituzionale,<br />

tanto più che l'ordinamento italiano è retto da una Costituzione rigida.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 329<br />

legge 5 gennaio 1957, n. 33, e dal regolamento interno, approvato con<br />

D. P. R. 21 maggio 1958, che stabiliscono che il diritto medesimo resta<br />

sospeso nelle materie per le quali il Consiglio sia stato richiesto di un<br />

parere ovvero il Governo abbia presentato una propria iniziativa legislativa<br />

fino a sei mesi dopo l'approvazione o il rigetto del provvedimento<br />

di che trattasi. La trasmissione al Parlamento avviene per il<br />

tramite del Presidente del Consiglio dei ministri (14).<br />

e) Anche i consigli regionali possono avanzare proposte di legge<br />

al Parlamento nazionale, nelle materie di rispettiva competenza. Tale<br />

limitazione, anche se non esplicitata in via generale, si deduce dal limite<br />

posto dai singoli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, sicché<br />

non è pensabile che le istituende regioni ordinarie possano, in materia<br />

di iniziativa legislativa nazionale, avere una sfera di competenza maggiore<br />

di quella riconosciuta alle altre Regioni con autonomia più<br />

ampia (15) (16).<br />

L'atto di iniziativa legislativa rappresenta per tutti i soggetti ed<br />

organi titolari del relativo diritto il momento conclusivo di un procedimento,<br />

che resta tuttavia completamente estraneo al procedimento di<br />

produzione legislativa. Non sembra potersi condividere l'opinione del<br />

Sandulli, secondo la quale soltanto nel caso dell'iniziativa parlamentare<br />

questa non sarebbe il risultato di una serie di atti precedenti, tutti<br />

tendenti alla esternazione dell'atto-conclusivo « progetto di legge » : anche<br />

l'iniziativa parlamentare, infatti, è preceduta e accompagnata da<br />

una serie di atti, di adempimenti, di modalità cui il singolo parlamen-<br />

(14) L'unico caso di iniziativa legislativa del C.N.E.L. è quello concretatosi nella<br />

IV legisl. con la presentazione di un progetto di legge in materia di orario di lavoro<br />

e di riposo settimanale ed annuale dei lavoratori (C. 3841), rimasto in stato di relazione<br />

per l'Assemblea.<br />

(15) C. MORTATI, op. cit., pag. 633.<br />

(16) E. SPAGNA-MUSSO, op. cit., pag. 97 e segg. riconosce, altresì, un potere<br />

di iniziativa legislativa anche ai comuni, ai sensi dell'art. 133, 1° comma, della Costituzione<br />

(il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove<br />

province... sono stabiliti con leggi della Repubblica " su iniziativa " dei comuni, sentita<br />

la Regione); l'autore giunge a ritenere addirittura illegittima la procedura<br />

di dar corso a progetti di legge in materia di istituzione di nuove province su iniziativa<br />

di soggetti ed organi diversi da quelli considerati nel richiamato articolo 133<br />

della Costituzione, in particolare con iniziative parlamentari o regionali (cfr., da ultimo,<br />

la proposta di legge per la istituzione della provincia di Pordenone, presentata<br />

al Parlamento per iniziativa del consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia). Nel<br />

senso di riconoscere, in materia, una sorta di riserva di iniziativa legislativa dei comuni,<br />

vedi pure A. Bozzi, op. cit., pag. 222. Contrai A. M. SANDULLI, op. cit.,<br />

pag. 634, ritiene che la norma costituzionale non abbia voluto riconoscere ai comuni<br />

un autonomo diritto di iniziativa legislativa, ma abbia soltanto disposto che iniziative<br />

legislative in materia di mutamento delle circoscrizioni provinciali e di istituzione di<br />

nuove province non possano essere promosse dagli organi e dai soggetti cui spetta<br />

tale diritto (dal Governo in particolare) se non dietro € istanza » dei comuni.<br />

13*.


330 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

tare deve ottemperare nell'ambito della disciplina impostagli dal gruppo<br />

parlamentare cui appartiene (17).<br />

Trattando singolarmente dei titolari del diritto di iniziativa legislativa,<br />

abbiamo anche delineato l'ambito entro il quale, per ciascuno<br />

di essi, il diritto in esame può esercitarsi e, di volta in volta, abbiamo<br />

posto in risalto i limiti che, di fatto, circoscrivono l'effettiva esplicazione<br />

del diritto medesimo.<br />

Esistono, peraltro, limiti di carattere generale riferibili a tutti i<br />

tipi di iniziativa legislativa. Secondo l'art. 68 del Regolamento, un progetto<br />

respinto dalla Camera non potrà essere ripresentato se non dopo<br />

sei mesi (18). Si tratta (19) del solo caso in cui la preclusione opera<br />

di diritto ed è applicabile non soltanto ai provvedimenti respinti in<br />

sede di votazione finale, ma anche a quelli per i quali sia stato votato<br />

ed approvato un ordine del giorno di non passaggio all'esame degli articoli<br />

(20) (che equivale alla reiezione del provvedimento), nonché alle<br />

proposte di legge di iniziativa parlamentare, popolare ovvero dei consigli<br />

regionali per le quali sia stata denegata la presa in considerazione<br />

(21). Tale preclusione, peraltro, se non consente la ripresentazione<br />

prima di sei mesi di un progetto respinto anche per iniziativa<br />

di un diverso titolare del potere di che trattasi, non esclude, tuttavia,<br />

che l'iniziativa bocciata alla Camera possa essere, anche prima della<br />

scadenza del semestre, presentata al Senato: quest'ultimo, tuttavia, non<br />

potrebbe trasmetterla alla Camera se non dopo che siano decorsi sei<br />

mesi dalla reiezione del precedente progetto. Non può tuttavia equipa-<br />

(17) E. SPAGNA-MUSSO, op. cit., pagg. 63-64, osserva infatti che l'iniziativa dei<br />

singoli parlamentari è sottoposta, di regola, al preventivo assenso degli organi direttivi<br />

del gruppo parlamentare: il che significa che il singolo membro delle Camere,<br />

pur godendo direttamente del potere in esame, ha un effettivo limite politico al suo<br />

esercizio.<br />

(18) Sotto lo Statuto albertino tale preclusione operava fino alla chiusura della<br />

sessione, istituto, peraltro, sconosciuto al nuovo ordinamento costituzionale.<br />

(19) R. ASTRALDI-F. COSENTINO, / nuovi regolamenti del Parlamento italiano,<br />

Roma 1950, pag. 162.<br />

(20) In tal senso, esplicitamente, A. Bozzi, op. cit., pag. 224.<br />

(21) Contro M. MANCINI-U. GALEOTTI, Norme ed usi del Parlamento italiano,<br />

Roma 1887, pag. 193, partendo dal presupposto che le disposizioni che limitano lo<br />

esercizio di un diritto devono interpretarsi restrittivamente, ritengono che non possa<br />

equipararsi al rigetto il voto con il quale si ricusi di prendere in considerazione<br />

una proposta di legge di iniziativa parlamentare, anche se poi aggiungono che nel<br />

Regolamento del Senato regio era invece prevista una norma in senso esattamente<br />

contrario. Nel senso da noi indicato, e cioè nel senso di considerare come rigetto, ai<br />

fini dell'applicazione della norma contenuta nell'art. 68 Reg., anche il rifiuto di<br />

prendere in considerazione una proposta di legge di iniziativa parlamentare cfr. U.<br />

GALEOTTI, // regolamento della Camera dei deputati, Roma 1902, pag. 197.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 331<br />

rarsi al rigetto il ritiro (22) di un progetto di legge richiesto dal proponente<br />

ancora prima che questo formi oggetto di una qualsiasi deliberazione<br />

da parte della Camera (23). Un importantissimo ed interessantissimo<br />

principio interpretativo in materia di preclusione ex art. 68<br />

Reg. fu stabilito dalla Camera nella seduta del 21 luglio 1949 e ribadito<br />

nella seduta del 27 luglio successivo: l'Assemblea confermò il principio<br />

secondo il quale perché si attui la preclusione di diritto occorre<br />

una perfetta identità fra l'atto respinto dalla Camera ed il nuovo presentato<br />

anteriormente alla scadenza del semestre: tale identità deve<br />

essere anche formale, sicché un concetto respinto sotto forma di emendamento<br />

potè essere riesaminato sotto forma di autonoma iniziativa<br />

legislativa (24). Assai dibattuta, infine, è la questione se la preclusione<br />

ex art. 68 Reg. valga anche nei confronti di un'autonoma iniziativa<br />

legislativa che riproduca in tutto o in parte le singole disposizioni contenute<br />

in un decreto-legge, già oggetto di un disegno di legge governativo<br />

di conversione in legge e respinto dalla Camera; l'opinione prevalente<br />

è nel senso di ritenere ammissibile - anche prima che siano<br />

trascorsi i sei mesi - la nuova iniziativa legislativa, quando esista analogia<br />

e non identità tra le norme ivi riprodotte e quelle precedentemente<br />

contenute nel decreto-legge, la cui conversione fu negata dalla<br />

Camera (25). Quanto all'organo cui spetterebbe di accertare l'identità<br />

tra il progetto respinto e quello nuovamente proposto, la dottrina<br />

non è concorde, anche se si è in prevalenza ritenuto che sia l'Assemblea<br />

a dover valutare la preclusione e, quindi, a pronunziarsi al riguardo<br />

(26).<br />

Altro limite di carattere obiettivo sembra discendere dalla norma<br />

contenuta nel secondo comma dell'art. 133 Reg., il quale prevede, non<br />

solo la sospensione per tre mesi dell'esame di progetti di legge presentati<br />

alla Camera, se risulta che al Senato sia stata proposta un'iniziativa<br />

legislativa su « materia identica », ma addirittura che l'esame non<br />

avrà più luogo (con il conseguente abbandono del disegno o proposta<br />

(22) Sul ritiro dei progetti di legge vedi oltre, pag. 338 e segg.<br />

(23) In tal senso concordano M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit., pag. 193, e<br />

U. GALEOTTI, op. cit., pag. 197.<br />

(24) V. il precedente richiamato in R. ASTRALDI-F. COSENTINO, op. cit., pagine<br />

235-236.<br />

(25) A. Bozzi, op. cit., pag. 224.<br />

(26) In questo senso cfr. M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit., pag. 194. V. anche<br />

oltre, a proposito della questione relativa all'accertamento dei requisiti di proponibilità<br />

dei progetti di legge.


332 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

di legge) se nel frattempo il progetto già approvato dal Senato venga<br />

trasmesso alla Camera (27). La disposizione, introdotta nel Regolamento<br />

con le modifiche del 1949, per realizzare una evidente economia<br />

dei lavori legislativi (28), si dovrebbe praticamente tradurre in un<br />

freno e quindi in una limitazione al diritto di iniziativa legislativa (29),<br />

scoraggiando la presentazione di proposte (e di disegni) di legge su<br />

materie per l'esame delle quali l'altro ramo del Parlamento risulti di<br />

già investito (30). D'altra parte la sospensione per tre mesi dell'esame<br />

ex art. 133, secondo comma Reg., è intesa ad impedire che sul medesimo<br />

argomento possano determinarsi due diverse e addirittura contrastanti<br />

manifestazioni di volontà da parte delle Assemblee. Va, peraltro,<br />

rilevato che la disposizione di che trattasi, ancorché sia stata ribadita<br />

dal Presidente della Camera in numerose circolari e disposizioni interpretative<br />

del Regolamento (31), sia ormai quasi pressoché desueta, sicché,<br />

di norma, le Commissioni procedono, di volta in volta, all'esame<br />

abbinato di progetti di legge presentati alla Camera e di progetti trasmessi<br />

dal Senato, anche se nella maggior parte dei casi si addiviene,<br />

poi, per una evidente economia di lavoro, all'approvazione definitiva<br />

del testo trasmesso dall'altro ramo del Parlamento, con il conseguente<br />

assorbimento (e relativa cancellazione dall'ordine del giorno) delle iniziative<br />

presentate alla Camera.<br />

Altro principio-limite comune a tutti i tipi di iniziativa legislativa<br />

è quello che discende dall'ultimo comma dell'art. 81 Cost., secondo<br />

cui ogni legge che importi nuove o maggiori spese (ovvero minori entrate)<br />

deve indicare i mezzi per farvi fronte. A parte la valutazione se<br />

tale obbligo debba essere ottemperato fin dal momento della presenta-<br />

(27) Sulla identità del concetto presentazione-trasmissione dal Senato vedi oltre,<br />

pag. 335.<br />

(28) Cfr. la Relazione della Giunta del Regolamento, in «Atti parlamentari»,<br />

I legislatura, Doc. I, n. 3.<br />

(29) V. LONGI-M. STRAMACCI, // Regolamento della Camera dei deputati, illustrato<br />

con i lavori preparatori, Milano 1958, pag. 217, parlano addirittura di inflazione<br />

delle proposte di legge.<br />

(30) Nella seduta dell'11 febbraio 1949, il Presidente Gronchi chiari che la<br />

sospensione, oggetto della nuova disposizione proposta dalla Giunta per il Regolamento,<br />

riguardava provvedimenti presentati alla Camera « dopo » la presentazione di<br />

progetti su materia identica al Senato e non poteva avere riferimento a progetti che<br />

fossero invece proposti al Senato a discussione già in corso presso la Camera. Cfr.<br />

Atti parlamentari, Camera dei deputati, seduta dell'11 febbraio 1949, pag. 6269.<br />

(31) Vedile riportate nella pubblicazione edita a cura del Segretariato generale<br />

della Camera, Circolari e disposizioni interpretative del Regolamento emanate dal<br />

Presidente della Camera, Roma 1965, pagg. 45, 59 e sagg.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 333<br />

zione di ciascuna iniziativa legislativa (32) ovvero soddisfatto anche<br />

nel corso dell'esame del provvedimento (33), con l'eventuale inserimento<br />

di adeguata o diversa indicazione di copertura finanziaria a fronte<br />

della maggiore spesa (ovvero minore entrata) implicata, è indubbio che<br />

il vincolo che discende dalla richiamata norma costituzionale si traduce,<br />

in pratica, in una fortissima remora alla presentazione di iniziative legislative<br />

in materia di spese pubbliche da parte di organi o soggetti titolari<br />

del potere di iniziativa diversi dal Governo (34), che, come si è avuto<br />

modo di sottolineare in precedenza, è il solo a disporre di mezzi adeguati<br />

per reperire idonee soluzioni ai problemi di spesa e copertura posti<br />

con le singole iniziative (35).<br />

Un ulteriore limite è stato recentemente richiamato all'attenzione<br />

dei singoli deputati dal Presidente della Camera, in relazione alla necessità,<br />

ormai da più parti avvertita, di dare avvio al così detto processo<br />

di « delegificazione ». È stata sottolineata, cioè, l'opportunità di<br />

evitare e « contrastare » una sorta di tendenza - ormai lentamente consolidatasi<br />

nell'attività di produzione legislativa - di estendere le materie<br />

oggetto di iniziative legislative a situazioni e rapporti per i quali<br />

sarebbe auspicabile e consigliabile il ricorso a fonti normative gerarchicamente<br />

inferiori alla legge. Tale richiamo trae il suo fondamento<br />

soprattutto dalla assoluta esigenza di alleggerire il Parlamento - e conseguentemente<br />

decongestionare i lavori parlamentari - della produzione<br />

normativa minuta e di dettaglio, che ne svaluta la funzione, introducendo,<br />

al tempo stesso, elementi ingiustificabili di rigidità nell'ambito<br />

dell'ordinamento giuridico e del sistema normativo e distogliendo le<br />

Camere da quella funzione di controllo in cui, più che nell'attività di<br />

produzione legislativa, risiede la ragione più intima di esistenza delle<br />

Assemblee politiche (36).<br />

(32) In tal senso C. MORTATI, op. cit., pag. 634, il quale ritiene che chi si<br />

assume la responsabilità di una spesa debba poi dimostrare la sua compatibilità con<br />

le disponibilità di bilancio ovvero con le risorse della finanza pubblica, anche se<br />

non esclude che, nel corso dell'esame da parte del Parlamento, possano essere individuati<br />

mezzi di copertura diversi da quelli inizialmente prospettati dal proponente.<br />

(33) Così A. Bozzi, op. cit., pag. 222.<br />

(34) Secondo il sistema inglese, ad esempio, l'iniziativa in materia finanziaria<br />

appartiene esclusivamente al Governo ed il Parlamento non può che ridurre le spese<br />

proposte, mai aumentarle. Cfr. F. COSENTINO, // procedimento legislativo, ecc., pagina<br />

1203. Cfr., altresì, V. MICELI, op. cit., pag. 26, il quale rammenta l'antica consuetudine<br />

e secondo la quale niuna somma può votarsi dal parlamento per uno scopo<br />

qualsiasi, eccettoché venga domandata dai ministri della corona, i quali ne assumono<br />

la responsabilità».<br />

(35) Su questo punto vedi più dettagliatamente oltre, al paragrafo 4, nella parte<br />

relativa ai pareri sulle conseguenze finanziarie.<br />

(36) F. COSENTINO, // procedimento legislativo, ecc., pag. 1216.


334 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

Esaminati i limiti obiettivi posti al diritto di iniziativa legislativa,<br />

sarà opportuno accennare al problema della collocazione e della individuazione<br />

della iniziativa legislativa nel procedimento di formazione<br />

normativa. Propende per la tesi di un'autonoma rilevanza della iniziativa<br />

come fase distinta instaurativa del procedimento medesimo il Galeotti<br />

(37) sulla base della constatazione di una serie di conseguenze<br />

giuridiche peculiari sia sul piano formale del procedimento sia su<br />

quello degli effetti sostanziali. L'iniziativa legislativa rappresenterebbe,<br />

invece, per l'Esposito, un momento interno del procedimento, senza<br />

peraltro integrare la ipotesi di un autonomo elemento costitutivo (38).<br />

La fase della iniziativa legislativa si concreta con la presentazione<br />

ad uno dei due rami del Parlamento (39) di un progetto di legge, che<br />

consta di una relazione introduttiva, nella quale vengono più o meno<br />

analiticamente illustrate le ragioni, i motivi, il fondamento delle proposte<br />

oggetto della iniziativa, nonché le singole disposizioni normative<br />

in essa iniziativa contenute, e di un testo di uno o più articoli, nel quale<br />

viene dettata quella che dovrà diventare la nuova regolamentazione di<br />

una data materia ovvero di un dato rapporto giuridico. Il Regolamento<br />

della Camera distingue, anche ai fini procedurali, le iniziative del Governo<br />

che vengono definite « disegni di legge » (40) da quelle degli<br />

altri soggetti od organi titolari del potere di iniziativa, che prendono<br />

il nome di « proposte di legge » e per le quali il Regolamento medesimo<br />

prevede la previa deliberazione della presa in considerazione da<br />

parte dell'Assemblea (41).<br />

La presentazione ha luogo con la deposizione del progetto di legge<br />

presso le Presidenze delle singole Assemblee. Per i disegni di legge,<br />

(37) S. GALEOTTI, op. cit„ pag. 260.<br />

(38) C. ESPOSITO, Legge, in « Nuovo Digesto Italiano », Torino 1938, voi. VII,<br />

pag. 723.<br />

(39) Per i progetti di legge di iniziativa parlamentare, la presentazione non<br />

può avvenire, evidentemente, che presso la Camera di cui i singoli parlamentari<br />

sono membri; il che porta ad ammettere la possibilità di una contemporanea presentazione<br />

presso entrambe le Assemblee di due identici progetti per iniziativa, rispettivamente,<br />

di uno o più deputati e di uno o più senatori.<br />

(40) Peraltro nel citato recente caso di iniziativa legislativa del C.N.E.L. - la<br />

prima dalla creazione del Consiglio - in materia di orario di lavoro e di riposo dei<br />

lavoratori, i documenti della Camera hanno usato la locuzione « disegno di legge di<br />

iniziativa del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro » : il progetto è stato<br />

direttamente trasmesso alla Commissione, senza che su di esso la Camera abbia preventivamente<br />

deliberato la presa in considerazione. Probabilmente tutto ciò dipende<br />

dal fatto che - a differenza delle iniziative regionali o popolari - quella del C.N.E.L.,<br />

a norma dell'art. 10 della legge istitutiva, è stata trasmessa alla Presidenza dal Presidente<br />

del Consiglio dei ministri: di qui l'assimilazione con le iniziative governative<br />

vere e proprie.<br />

(41) Su questo punto vedi più dettagliatamente al paragrafo 2.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 335<br />

la prassi è nel senso che questi, a Camera aperta, sono direttamente<br />

presentati in Assemblea, nel corso della seduta, dai ministri secondo la<br />

rispettiva competenza (o, in qualche caso, a nome dei ministri competenti),<br />

mentre, nei periodi di aggiornamento della Camera, sono rimessi<br />

al Presidente, il quale ne dà comunicazione all'Assemblea nella<br />

prima riunione successiva, così come dà comunicazione, di volta in<br />

volta, dell'avvenuta presentazione di proposte di legge, con riserva, per<br />

quelle che importano onere finanziario, di stabilire successivamente la<br />

data di svolgimento e della conseguente presa in considerazione. Progetti<br />

di legge possono anche essere trasmessi dal Senato, se quel Consesso<br />

li ha esaminati per primo (ovvero se ha introdotto modificazioni<br />

a provvedimenti già approvati dalla Camera): la trasmissione vale come<br />

presentazione, ed esclude l'obbligo dello svolgimento e della presa in<br />

considerazione per i progetti di iniziativa dei senatori, perché l'avvenuta<br />

approvazione da parte del Senato viene ad assorbire l'atto originario<br />

di iniziativa legislativa, facendone scomparire l'autonomia e quindi il<br />

riferimento come atto dei senatori che hanno partecipato alla iniziativa.<br />

L'obbligo del Presidente della Camera di dare comunicazione dell'avvenuta<br />

presentazione del progetto di legge deve tuttavia ritenersi<br />

subordinato al previo accertamento dei requisiti obiettivi relativi alla<br />

validità ed alla esistenza dell'atto di iniziativa legislativa, accertamento<br />

che, peraltro, nei casi in cui il disegno di legge viene direttamente presentato<br />

dal Ministro competente in Aula, si avrà in un momento successivo<br />

e, comunque, prima della delibera relativa all'assegnazione del<br />

provvedimento all'esame della competente Commissione di merito. La<br />

dottrina prevalente (42), confortata anche dalla prassi, ritiene che il<br />

potere sindacatorio del Presidente possa esercitarsi soltanto nei confronti<br />

degli eventuali vizi relativi alla esistenza stessa dell'atto di iniziativa<br />

(ad esempio, la presentazione di un progetto di legge da parte<br />

di un semplice cittadino o di un numero di elettori inferiore a quello<br />

stabilito dalla norma costituzionale); nei casi, invece, di presunta invalidità<br />

della iniziativa legislativa (ad esempio, un disegno di legge non<br />

deliberato preventivamente dal Consiglio dei ministri), la determinazione<br />

finale non potrebbe, comunque, essere adottata dal Presidente,<br />

ma rimessa all'apprezzamento ed alla valutazione delle Camere (43).<br />

(42) C. MORTATI, op. cit., pag. 636.<br />

(43) E. SPAGNA-MUSSO, op. cit., pag. 108, ritiene, invece, che soltanto la eventuale<br />

violazione di norme regolamentari potrebbe essere valutata dal Presidente, mentre<br />

per la violazione di norme di legge quest'ultimo dovrebbe limitarsi alla segnalazione<br />

del vizio alla Commissione, (e perché non anche all'Assemblea ?).


336 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

La questione investe, in certi casi, materia assai delicata, attinente ai<br />

rapporti tra organi costituzionali. Si pensi, ad esempio, ad un presunto<br />

vizio nel procedimento formativo di un disegno di legge, per la<br />

mancata attestazione dell'avvenuto concerto del Ministro del bilancio,<br />

ritenuto invece necessario, a norma di legge, per le conseguenze finanziarie<br />

implicate a carico del bilancio dello Stato dal disegno di legge<br />

medesimo: sulla base di tale irritualità del procedimento di formazione<br />

del disegno di legge potrebbe fondatamente prospettarsi la irricevibilità<br />

del disegno di legge medesimo da parte della Camera ? Va<br />

osservato, ih proposito, che un tale rilievo coinvolge la correttezza e<br />

compiutezza di un procedimento attestate dal Presidente della Repubblica<br />

che, con proprio decreto, a norma dell'art. 87 Cost., « autorizza<br />

la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo<br />

», sicché risulterebbe, a nostro sommesso avviso, estremamente<br />

delicato, se non addirittura azzardato, che il successivo riscontro da<br />

parte del Presidente della Camera andasse al di là dei fondamentali<br />

requisiti richiesti dalla norma costituzionale per l'esplicazione della ini'<br />

ziativa legislativa da parte del Governo (progetto redatto in articoli,<br />

approvazione da parte del Consiglio dei ministri, decreto del Presidente<br />

della Repubblica), spingendosi ad apprezzare anche altri aspetti e vincoli<br />

del procedimento di formazione dell'atto di proposta, ancorché posti<br />

dalla legge.<br />

Quanto poi ai progetti di legge trasmessi dall'altro ramo del Parlamento,<br />

si ritiene che ciascuna Camera potrebbe dichiarare « irricevibile<br />

» il messaggio del Presidente dell'altra Camera, contenente il testo<br />

di un provvedimento approvato da quella Assemblea solo nel caso di<br />

violazione delle norme relative alla sua trasmissione e non anche per<br />

motivi attinenti al contenuto (44).<br />

Assai controversa è la questione se la presentazione di un progetto<br />

di legge - che, secondo il Sandulli, integrerebbe la fattispecie di un<br />

tipico atto ricettizio (45) - faccia o meno sorgere nella Camera che ne<br />

è stata in tal modo investita l'obbligo di esaminarlo o, comunque, di<br />

adottare una qualche deliberazione al riguardo. In dottrina l'ipotesi<br />

dell'obbligo della deliberazione sul merito fu affacciata, per primo, dal<br />

Donati, il quale, tuttavia, precisava che tale obbligo esisteva soltanto<br />

nei confronti delle iniziative legislative proposte dalla Corona o dal-<br />

(44) Cfr., in tal senso, Atti parlamentari, Senato della Repubblica, seduta pomeridiana<br />

del 9 marzo 1953, pag. 39296 e segg.<br />

(45) A. M. SANDULLI, op. cit., pag. 637.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 337<br />

l'altra Camera e doveva concretarsi in a una deliberazione, la quale<br />

significhi accettazione o rigetto della proposta dell'altro membro del<br />

Parlamento: senza che il diritto di iniziativa, attribuito a questo dalla<br />

Costituzione, rimarrebbe frustrato; invece, se il procedimento deve svolgersi<br />

o si svolge per iniziativa assunta dall'Assemblea stessa, esso potrà<br />

essere non iniziato (implicitamente revocandosi la precedente deliberazione)<br />

o in qualunque momento interrotto, poiché l'Assemblea può sempre<br />

rinunciare all'esercizio di un proprio diritto » (46). Propendono, invece,<br />

per la ipotesi di un obbligo generico di deliberare senza scendere<br />

nell'esame di merito Balladore Pallieri (47) e Virga (48). Sembra, peraltro,<br />

prevalente la tesi che dalla presentazione di un progetto di<br />

legge alle Camere discenda, per queste ultime, l'obbligo semplicemente<br />

di iniziare il procedimento dell'esame, senza necessità di giungere, comunque,<br />

ad una qualche deliberazione in un senso o nell'altro, sicché<br />

il mancato esame di numerosissimi provvedimenti all'ordine del giorno<br />

delle singole Commissioni o della stessa Assemblea va ricercato, più<br />

che nella materiale impossibilità di esaminare le centinaia di iniziative<br />

proposte all'attenzione del Parlamento nei più disparati settori e nelle<br />

più diverse materie (49), in vere e proprie ragioni di convenienza, di<br />

opportunità, di scelta politica, che portano all'insabbiamento di quei<br />

provvedimenti che il Governo e la maggioranza parlamentare che lo<br />

sostiene ritengono di non dover appoggiare.<br />

Per espressa disposizione regolamentare, i progetti di legge, non<br />

appena presentati ed « annunziati », devono essere stampati e posti a<br />

disposizione dei parlamentari (e del pubblico), attraverso la loro distribuzione<br />

(alla quale sovraintende l'archivio legislativo) nel più breve<br />

termine possibile; e, da quel momento, inizia il loro iter parlamentare.<br />

Dell'avvenuta presentazione e distribuzione è data notizia in calce all'ordine<br />

del giorno delle tornate successive. Questo ordine del giorno<br />

« generale », la cui pubblicazione avviene periodicamente (di norma ogni<br />

settimana, nei periodi di Camera aperta), consta di due parti distinte:<br />

nella prima sono elencate le materie che formano oggetto di discussione<br />

in una determinata seduta ed, eventualmente, nelle successive fino<br />

ad esaurimento; nella seconda parte, invece, sono annotati tutti i progetti<br />

di legge all'esame della Camera con la indicazione dello stadio<br />

(46) D. DONATI, // procedimento dell'approvazione delle leggi nelle Camere italiane,<br />

Macerata 1914, pagg. 11-12.<br />

(47) G. BALLADORE-PALLIERI, op. ciu, pag. 216.<br />

(48) P. VIRGA, op. ciu, pag. 347.<br />

(49) C. MORTATI, op. ciu, pag. 636.


338 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

preparatorio per la discussione nel quale si trovano (provvedimenti in<br />

stato di relazione; provvedimenti da assegnare a Commissioni; provvedimenti<br />

assegnati alle singole Commissioni permanenti o speciali, in<br />

sede legislativa e in sede referente; proposte di legge per le quali non<br />

risulta ancora esaurita la fase dello svolgimento e della presa in considerazione).<br />

Come necessario corollario del diritto di iniziativa legislativa resta<br />

ora da esaminare l'istituto del ritiro di progetti di legge - istituto per<br />

altro completamente ignorato dai regolamenti parlamentari - e che si<br />

concreta nella facoltà concessa all'organo o al soggetto titolare del diritto<br />

di iniziativa di poterne disporre anche in senso negativo (50), nel<br />

potere cioè, proprio dei soggetti e degli organi che abbiano in concreto<br />

esercitato un atto di iniziativa legislativa, di revocare liberamente tale<br />

atto entro un certo termine (51), cioè o fino a che sovra di esso non<br />

sia stata presa una deliberazione definitiva » (52). Come è stato precisato,<br />

il potere di ritiro spetta agli stessi titolari del potere di iniziativa<br />

e deve essere esercitato con le stesse modalità previste per la presentazione.<br />

In particolare:<br />

1) per le iniziative governative, sono abilitati ad esercitare la facoltà<br />

di ritiro i titolari degli stessi dicasteri che promossero l'iniziativa,<br />

anche se non vi sia più identità fisica tra questi e quelli. È indispensabile<br />

una deliberazione del Consiglio dei ministri ed una esplicita autorizzazione<br />

presidenziale (53). È dubbio se esistano materie per le quali<br />

l'esercizio di un tale potere debba rimanere sospeso: si è fatto l'esempio<br />

dell'approvazione dei consuntivi (e perché non anche dei preventivi?),<br />

della ratifica dei trattati internazionali, della conversione di decreti-legge<br />

e, infine, degli statuti regionali ordinari, come di casi in cui<br />

mancherebbe il minimum di libertà nei singoli atti di esercizio del potere<br />

di iniziativa (54) da consentire la facoltà di ritiro; inoltre non sarebbe,<br />

per lo meno costituzionalmente, corretto un atto del Governo<br />

inteso a ritirare un disegno di legge costituzionale, in sede di seconda<br />

deliberazione;<br />

2) per le iniziative parlamentari è necessaria una dichiarazione<br />

del proponente, che richieda di ritirare il progetto di legge: se si tratta<br />

(50) C. MUSCARÀ, Ritiro di progetti di legge, in « Rassegna parlamentare »,<br />

1960, pag. 80.<br />

(51) S. M. CICCONETTX, // potere di ritiro nel procedimento di formazione delle<br />

leggi, in « Rivista trimestrale di Diritto pubblico », 1965, pag. 381.<br />

(52) M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit., pag. 205.<br />

(53) Contro, A. M. SANDUIXI, op. cit., pag. 638.<br />

(54) S. M. CICCONETTI, op. cit., pag. 393.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 339<br />

di una iniziativa sottoscritta da più parlamentari, sarà sufficiente che<br />

la dichiarazione risulti fatta anche a nome degli altri firmatari;<br />

3) per le iniziative del C.N.E.L., occorre una deliberazione del<br />

Consiglio, adottata nelle stesse forme e con le stesse modalità richieste<br />

per la elaborazione della iniziativa legislativa, e la trasmissione della<br />

stessa alla Presidenza della Camera per il tramite del Presidente del<br />

Consiglio dei ministri; questi, per altro, non potrebbe ricusare tale atto,<br />

in quanto, qualora non ritenesse di condividere la decisione del C.N.E.L.,<br />

potrebbe fare sua l'iniziativa per la quale il Consiglio ha richiesto di<br />

esercitare la facoltà di ritiro (ma, in tal caso, si avrebbe l'inizio di un<br />

nuovo procedimento legislativo);<br />

4) per le iniziative popolari, sembra sufficiente il ritiro di un numero<br />

di adesioni o di sottoscrizioni tali da far discendere il quorum<br />

dei proponenti al di sotto dei 50.000 elettori, richiesto dalla norma costituzionale<br />

(55): nulla, tuttavia, era previsto al riguardo nel disegno di<br />

legge concernente la iniziativa legislativa del popolo, rimasto in stato<br />

di relazione per l'Assemblea al termine della IV legislatura;<br />

5) per il ritiro delle iniziative legislative dei Consigli regionali<br />

è da ritenere che valgano le stesse modalità che disciplinano l'esercizio<br />

del diritto di iniziativa (56).<br />

Quanto al termine entro il quale può essere esercitato il potere<br />

di ritiro, questo deve essere ragionevolmente riferito fino al momento<br />

in cui non sia intervenuta l'approvazione da parte della Camera alla<br />

quale il progetto risulta originariamente presentato (57), poiché tale<br />

eventuale atto di approvazione assorbirebbe in sé Tatto di iniziativa,<br />

facendone scomparire l'autonomia (58). Il Muscarà, invece, opera alcune<br />

distinzioni, ritenendo che il Governo potrebbe sempre esercitare<br />

la facoltà del ritiro fino a quando le Camere non abbiano approvato<br />

definitivamente il provvedimento; per le iniziative parlamentari, invece,<br />

la facoltà potrebbe essere esercitata solo presso la Camera investita per<br />

prima del provvedimento, ma il ritiro di un progetto deferito all'esame<br />

(55) Contro C. MUSCARX, Ritiro ecc., pag. 95, ritiene che l'atto formale del<br />

ritiro di una iniziativa popolare deve essere sottoscritto da almeno 50.000 elettori,<br />

così come si richiede per l'iniziativa legislativa ed inoltre che la facoltà di ritiro<br />

spetta agli stessi 50.000 elettori che presentarono il progetto alla Camera.<br />

(56) È chiaro che una iniziativa legislativa ritirata dal proponente può essere<br />

fatta propria da altro titolare del diritto di iniziativa, con la conseguente instaurazione,<br />

tuttavia, di un nuovo procedimento.<br />

(57) Così S. M. CICCONETTI, op. cit., pag. 416.<br />

(58) C. MORTATI, op. cit., pag. 637, avverte che non è concepibile che il potere<br />

di ritiro si trasferisca alla Camera stessa, nel senso di consentirle una revoca<br />

dell'avvenuta approvazione prima della comunicazione di quest'ultima all'altra Camera.


340 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

di una Commissione in sede referente potrebbe essere richiesto solo<br />

fino a che non risulti presentata alla Camera la relazione scritta (59),<br />

mentre l'esercizio dello stesso diritto nei confronti di un provvedimento<br />

assegnato ad una Commissione in sede legislativa potrebbe aver luogo<br />

fino al momento della chiusura della discussione generale e, comunque,<br />

prima del passaggio all'esame degli articoli; considerazioni analoghe<br />

sono svolte per quanto concerne il momento-limite del ritiro di iniziative<br />

del C.N.E.L., dei Consigli regionali, del popolo.<br />

Resta da esaminare un caso particolare verificatosi un paio di<br />

volte nel còrso della terza legislatura: il trasferimento di un disegno<br />

di legge da una Camera all'altra prima della sua approvazione (60). A<br />

differenza del ritiro, del quale la Camera si limita a prendere atto,<br />

la richiesta di trasferimento - o, più correttamente, la « restituzione »<br />

di un disegno di legge al Governo, perché questo lo presenti all'altro<br />

ramo del Parlamento - implica una deliberazione da parte dell'Assemblea<br />

cui viene rivolta. Inoltre, nel ritiro è predominante l'azione del proponente,<br />

che intende recedere dalla propria iniziativa, mentre nella richiesta<br />

di trasferimento l'intenzione di dare inizio al procedimento legislativo<br />

resta; si intende solo mutare l'ordine di successione nell'approvazione<br />

del provvedimento da parte dei singoli rami del Parlamento.<br />

Ancora la richiesta di trasferimento non è subordinata ad alcuna formalità,<br />

mentre il ritiro deve essere accompagnato dal decreto presidenziale,<br />

controfirmato dai ministri che aderirono all'atto di presentazione. Infine<br />

è da ritenere che, mentre la richiesta di ritiro non ha bisogno di alcuna<br />

motivazione, quella avente per oggetto il trasferimento - proprio<br />

perché diretta a provocare una deliberazione dell'Assemblea al riguardo -<br />

deve essere accompagnata dalla chiarificazione delle ragioni per le quali<br />

il Governo ritiene opportuno operare un'inversione della successione<br />

delle fasi di approvazione da parte delle due Camere (61).<br />

Circa il momento in cui può essere avanzata la richiesta di trasferimento,<br />

è pacifico che questa possa ammettersi solo quando il prov-<br />

(59) L'autore citato sembra, per altro, non condividere tale prassi costante,<br />

argomentando che « la predisposizione della relazione su di un provvedimento non<br />

impegna ancora l'attività e la volontà dell'organo, che riprende a manifestarsi nel<br />

momento in cui viene proposta la iscrizione dell'argomento all'ordine del giorno »<br />

(C. MUSCARÀ, Ritiro ecc., pag. 94).<br />

(60) C. MUSCARÀ, Trasferimento di disegni di legge da una Camera all'altra<br />

prima della loro approvazione, in « Rassegna parlamentare », 1960, pag. 1888 ; S. M.<br />

CICCONETTI, op. cit., pag. 416.<br />

(61) Contro C. MUSCARÀ, Trasferimento ecc., pag. 1889, ritiene che la richiesta<br />

di trasferimento non debba essere condizionata ad alcuna espressa motivazione.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 341<br />

vedimento si trovi ancora in fase pre-istruttoria, cioè prima che ne risulti<br />

iniziato l'esame da parte di qualsiasi Commissione. È da rilevare,<br />

infine, che, poiché la richiesta di trasferimento deve essere, sia pure succintamente,<br />

motivata e poiché la stessa si differenzia sia sul piano formale<br />

che sostanziale e procedurale dal ritiro, il Governo ha l'obbligo<br />

di ripresentare il provvedimento all'altra Camera, giacché è soltanto a<br />

questa condizione che l'Assemblea adita per prima ha consentito di spogliarsi<br />

(temporaneamente) della competenza di esaminare il disegno di<br />

legge ad essa presentato.<br />

Per completare il quadro della problematica relativo all'iniziativa<br />

legislativa, va ricordato che per un'antica prassi (che si riallaccia all'ordinamento<br />

vigente sotto lo Statuto albertino, che prevedeva la decadenza<br />

di tutti i progetti non varati entro la fine della sessione, istituto per altro<br />

non recepito nel nuovo sistema repubblicano) si ritiene che i provvedimenti<br />

per i quali non sia stato completato l'iter parlamentare entro la<br />

scadenza della legislatura debbano considerarsi decaduti e, se ripresentati<br />

nella nuova, debbano nuovamente ripercorrere le singole fasi del<br />

procedimento legislativo; ciò, in omaggio all'antico principio secondo il<br />

quale le Camere sogliono essere considerate corpi distinti da una legislatura<br />

all'altra, in quanto rispecchierebbero i successivi diversi orientamenti<br />

politici del corpo elettorale. In questi ultimi tempi, tuttavia, la<br />

questione è diventata di scottante attualità e non poche voci si sono<br />

levate per esortare ad individuare strumenti e procedure che evitino, alla<br />

fine di una legislatura, di vanificare il lavoro compiuto da una delle due<br />

Camere e non completato dall'altra. In sostanza, si tratterebbe di operare<br />

una specie di repechage, di provocare una reviviscenza delle leggi<br />

approvate da un solo ramo del Parlamento, sempre, tuttavia, salvaguardando<br />

i diritti e le prerogative della rinnovata Camera, espressione della<br />

nuova volontà politica emersa dalla consultazione elettorale. La contemperazione<br />

di queste due diverse opposte esigenze (salvataggio del lavoro<br />

parlamentare compiuto da una Camera e rispetto dei diritti delle nuove<br />

assemblee legislative) potrebbe essere assicurata attraverso eventuali modifiche<br />

ai regolamenti parlamentari, che approntino strumenti e procedure<br />

atte a consentire la continuità del lavoro legislativo e, quindi, la<br />

reviviscenza dei progetti approvati dalla vecchia Camera, solo che la<br />

nuova lo voglia, attraverso una deliberazione adottata entro un certo perìodo<br />

di tempo dall'inizio della nuova legislatura, in modo che quella<br />

che oggi è una decadenza automatica e totale per i progetti che non<br />

hanno ricevuto l'approvazione di entrambi i rami del Parlamento possa


342 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

rimanere limitata e contenuta alle iniziative legislative che non risultino<br />

giunte in porto in nessuna delle due Camere (62).<br />

2. - Sebbene sia riconosciuto in quasi tutti gli ordinamenti democratici,<br />

il diritto di iniziativa parlamentare è variamente regolato nei diversi<br />

paesi, non tanto per opera degli statuti e delle leggi, quanto principalmente<br />

per opera dei regolamenti interni delle Camere, delle consuetudini<br />

che si sono in esse spontaneamente costituite e della giurisprudenza<br />

che vi si è a poco a poco fissata (63). Molte sono le ragioni che giustificano<br />

tale diversa regolamentazione (64): ma il motivo principale risiede nel<br />

concetto, nell'essenza stessa del regime parlamentare, nel quale è il Governo,<br />

che ha ricevuto la fiducia delle Camere, il centro motore di tutta<br />

l'attività legislativa, è il Governo che, attraverso le singole iniziative legislative,<br />

deve dare concreta attuazione a quel programma politico sul quale<br />

ha ottenuto il consenso del Parlamento. « Accordare la medesima confidenza<br />

- scrive il Pierre (65) -, il medesimo metodo di esame... alle proposte<br />

che ogni membro può presentare individualmente, significa esporsi ad<br />

ingombrare il terreno con questioni inutili e qualche volta anche pericolose<br />

».<br />

Il problema del controllo della iniziativa parlamentare risulta variamente<br />

e diversamente risolto nei singoli ordinamenti, assumendo tale controllo<br />

talvolta la forma di una vera e propria deliberazione sulla opportunità<br />

della legge, tal'altra un carattere meramente formale.<br />

Così in Gran Bretagna - ove, com'è noto, il procedimento di formazione<br />

della legge si articola nel sistema delle tre letture - superata la<br />

prima fase (annunzio del titolo del progetto di legge), la seconda lettura<br />

(62) Proprio negli ultimi giorni della IV legislatura è stato reso noto il testo<br />

di una proposta di modifica al Regolamento della Camera, elaborata dall'onorevole<br />

La Malfa. La innovazione consisterebbe nell'inserimento di una nuova procedura<br />

secondo la quale la Camera, sentito il Governo ed i rappresentanti dei Gruppi parlamentari,<br />

può deliberare, entro un anno dall'inizio della nuova legislatura, di trasmettere<br />

al Senato quei progetti di legge già approvati dall'Assemblea o da una<br />

Commissione in sede legislativa nel corso della precedente legislatura. Come corollario<br />

di tale nuova procedura e per un ulteriore snellimento dei lavori parlamentari<br />

la proposta La Malfa prevede altresì che ciascuna Commissione, con le stesse modalità<br />

precisate per l'Aula, può, entro 180 giorni dall'inizio della nuova legislatura,<br />

deliberare di riferire all'Assemblea sulle iniziative legislative per le quali la Commissione<br />

stessa aveva iniziato e concluso con esito favorevole l'esame in sede referente<br />

nel corso della precedente legislatura.<br />

(63) V. MICELI, op. cit., pag. 25.<br />

(64) V. quanto è stato illustrato nel paragrafo precedente, a proposito della iniziativa<br />

parlamentare.<br />

(65) E. PIERRE, Trmté de droit potitique, Paris 1893, pag. 729, riportato da<br />

V. MICELI, op. cit., pag. 29.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 343<br />

prende l'avvio con la presa in considerazione, cioè con ima deliberazione<br />

della Camera se il testo debba essere o meno sottoposto alla seconda<br />

lettura. (Ma un limite obiettivo alla iniziativa parlamentare resta pur<br />

sempre il principio che questa risulta sempre esclusa in materia finanziaria;<br />

e, nelle altre materie, rimane fortemente compressa per il fatto<br />

che il tempo destinato all'esame delle iniziative parlamentari è limitato<br />

ad un periodo brevissimo).<br />

In Italia, invece, l'istituto della presa in considerazione non resta<br />

ormai che un retaggio dei vecchi sistemi di esame dei progetti di legge<br />

(sistema degli unici e sistema delle tre letture), tanto è vero che le modalità<br />

dello svolgimento e della presa in considerazione furono reiteratamente<br />

modificate, a seconda che prevalesse l'uno o l'altro sistema; oggi<br />

può dirsi che la presa in considerazione non è nulla più che una mera<br />

formalità (66).<br />

La procedura dello svolgimento e della conseguente presa in<br />

considerazione per le proposte di legge di iniziativa parlamentare<br />

può farsi risalire ad una disposizione introdotta con il Regolamento<br />

del 1868, che operava una distinzione tra i progetti di iniziativa del<br />

Governo e quelli di iniziativa dei singoli parlamentari (67), deno-<br />

(66) V. LONGI-M. STRAMACCI, // Regolamento ecc., pag. 217.<br />

(67) La procedura fissata nel regolamento pre-fascista e legata ancora al sistema<br />

degli uffici era la seguente. Le proposte di iniziativa parlamentare (che potevano essere<br />

presentate senza limitazione alcuna) seguivano la stessa procedura di esame e di<br />

discussione prevista per i progetti governativi, quando però ne fosse stata autorizzata<br />

la lettura e, nel caso di svolgimento (cui peraltro il proponente aveva facoltà di<br />

rinunziare), fosse stata deliberata la presa in considerazione. Il procedimento si iniziava<br />

con la presentazione della proposta di legge alla Presidenza, che ne dava annuncio<br />

alla Camera e la trasmetteva agli uffici, perché questi ne autorizzassero la<br />

lettura. Questa si intendeva autorizzata quando almeno tre uffici lo avessero consentito.<br />

(Reg. Camera 1900-1922, art. 132). Una volta concessa l'autorizzazione, la proposta<br />

veniva letta in seduta pubblica e, successivamente, la Camera fissava il giorno<br />

dello svolgimento (art. 133, primo comma). Nel giorno indicato il proponente illustrava<br />

i motivi e le ragioni della propria iniziativa legislativa e, dopo l'eventuale intervento<br />

di un solo oratore contro, cui peraltro il proponente aveva diritto di replicare,<br />

la Camera decideva se il progetto di legge dovesse o meno essere preso in<br />

considerazione (art. 134). In caso di diniego della presa in considerazione il provvedimento<br />

si considerava respinto e veniva cancellato dall'ordine del giorno. Quando,<br />

invece, la presa in considerazione fosse stata accordata, la proposta di legge veniva<br />

trasmessa agli uffici (o, qualora avesse contenuto finanziario, alla Giunta del bilancio,<br />

rientrando nella sua specifica competenza) e, quindi, seguiva la procedura normale<br />

di esame e di approvazione prevista per i progetti governativi. Il proponente,<br />

peraltro, poteva evitare questa sorta di giudizio di delibazione preliminare sul provvedimento,<br />

rinunziando allo svolgimento e chiedendo che la proposta di legge venisse<br />

immediatamente trasmessa agli uffici: è chiaro, però, che il dibattito sulla<br />

opportunità del provvedimento avrebbe potuto essere trasferito sulla richiesta di rinunzia<br />

allo svolgimento avanzata dal proponente, qualora la Camera vi si fosse<br />

opposta, e la decisione finale avrebbe sortito gli stessi effetti della concessione (ovvero<br />

del diniego) della presa in considerazione. Ad evitare, poi, un eccessivo intasamento


344 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

minando i primi « disegni di legge » e le seconde « proposte di<br />

legge » (68).<br />

Secondo la dottrina prevalente (69), l'istituto della presa in considerazione<br />

trova il suo fondamento storico nella disposizione contenuta<br />

nell'art. 10 dello Statuto albertino, secondo cui « la proposizione delle<br />

leggi apparterrà... a ciascuna delle due Camere... » e non ai singoli<br />

membri del Parlamento, talché attraverso la deliberazione della presa<br />

in considerazione la Camera faceva propria la iniziativa legislativa esercitata<br />

dai singoli deputati (70); sicché, è stato addirittura adombrato<br />

qualche dubbio sulla costituzionalità delle norme regolamentari che disciplinano<br />

tale istituto nell'attuale ordinamento, nel quale titolari del diritto<br />

di iniziativa sono i singoli membri di ciascuna Camera (71). Riserve<br />

sulla costituzionalità dell'istituto della presa in considerazione sono state<br />

anche avanzate per un asserito contrasto con la disposizione contenuta<br />

nel primo comma dell'art. 72 Cost., secondo cui ogni deliberazione della<br />

Camera relativa ad un progetto di legge dovrebbe essere preceduta dall'esame<br />

di una apposita Commissione, anche se poi lo stesso autore riconosce<br />

che qualsiasi eventuale ripercussione esterna di tale illegittimità<br />

dovrebbe restare preclusa, in tali casi, dal principio della insindacabilità<br />

degli interna corporis (72).<br />

dei lavori parlamentari e per ovviare all'inconveniente di un'eventuale inerzia del<br />

proponente che non chiedesse di svolgere la sua iniziativa legislativa (ovvero non<br />

dichiarasse di rinunziarvi), il Regolamento (art. 133, secondo comma) stabiliva che la<br />

proposta non svolta entro tre mesi, non computate le vacanze, dalTawenuta autorizzazione<br />

veniva considerata ritirata ed era quindi cancellata dall'ordine del giorno.<br />

Per ulteriori notizie, al riguardo, cfr. R. ASTRALDI, Le norme regolamentari del<br />

Parlamento italiano, Roma 1932, pagg. 209-210; e M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit.,<br />

pag. 202 e segg. Il procedimento dinanzi descritto dimostra - secondo V. MICELI,<br />

op. cit., pag. 34 - come in pratica sussista sempre una certa diffidenza verso l'iniziativa<br />

parlamentare.<br />

(68) La stessa denominazione è usata per i progetti di legge di iniziativa popolare<br />

e dei consigli regionali. Nell'unico caso, invece, in cui è stato finora esercitato<br />

il diritto di iniziativa da parte del C.N.E.L., il relativo progetto porta la intitolazione<br />

« Disegno di legge di iniziativa del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro ».<br />

(69) Cfr. C. MORTATI, op. cit., pag. 632.<br />

(70) La presa in considerazione veniva qualificata quale atto costitutivo di tale<br />

specie di iniziativa legislativa. Cfr. E. SPAGNA-MUSSO, op. cit., pag. 72.<br />

(71) È stata adombrata, per altro, la ipotesi che nel vigente ordinamento costituzionale<br />

l'istituto della presa in considerazione rappresenti una sorta di condizione<br />

di efficacia delle iniziative legislative parlamentari (cfr. E. SPAGNA-MUSSO, op. cit.,<br />

pag. 73). Tale ipotesi, comunque, non potrebbe essere riferita a tutte le proposte di<br />

legge, ma soltanto a quelle che importino onere finanziario, perché per le altre il<br />

proponente ha facoltà di rinunciare al preventivo esame dell'Assemblea che si concreta<br />

con la delibera della presa in considerazione (il che, ormai, avviene nella<br />

totalità dei casi).<br />

(72) A. M. SANDULLI, op. cit., pag. 639; cfr. anche A. Bozzi, L'iniziativa legislativa<br />

parlamentare e la presa in considerazione, in « Scritti in memoria di Antonino<br />

Giuffrè», Milano 1967, voi. Ili, pag. 173 e segg.


L'iter legislativo: Vescane preliminare 345<br />

Attualmente la procedura della presa in considerazione è regolata<br />

dalle disposizioni contenute negli artt. 133, primo comma, e 134 Reg.;<br />

ma, all'atto pratico, è rimasta una semplice formalità ed è obbligatoria<br />

soltanto per le proposte di legge che implicano direttamente o indirettamente<br />

conseguenze finanziarie, cioè nuove o maggiori spese ovvero minori<br />

entrate (73), mentre è facoltativa negli altri casi. Una volta annunziata,<br />

la proposta di legge viene senz'altro stampata; la prassi è ormai orientata<br />

nel senso che solo per le proposte implicanti conseguenze finanziarie viene<br />

successivamente fissata la data dello svolgimento; per le altre, invece,<br />

tranne che si tratti di progetti di un certo rilievo politico (74), si intende<br />

implicitamente (salvo diversa dichiarazione) che il proponente abbia rinunziato<br />

allo svolgimento, sicché le proposte di legge vengono immediatamente<br />

trasmesse alle Commissioni permanenti o speciali per dare corso<br />

al procedimento legislativo.<br />

Nel giorno fissato per lo svolgimento il proponente (o uno dei proponenti,<br />

se la proposta è sottoscritta da più deputati) illustra sommariamente<br />

le finalità del provvedimento, rimettendosi nella maggior parte<br />

dei casi alla relazione scritta che ha accompagnato la presentazione del<br />

progetto di legge. Il Regolamento consente che un solo oratore possa<br />

prendere la parola per parlare contro la presa in considerazione, e, successivamente,<br />

per una prassi ormai secolare (75) (anche se nessuna disposizione<br />

regolamentare risulta in tal senso) il Presidente chiede di conoscere<br />

il pensiero del Governo in proposito. Come è stato giustamente rilevato<br />

(76) non si tratta di un parere vero e proprio, in quanto il diritto di<br />

iniziativa non potrebbe essere vincolato all'assenso del Governo (il che<br />

sarebbe oltretutto contro la lettera e contro lo spirito della Costituzione),<br />

ma di una semplice norma di correttezza e di « cortesia », che trova il<br />

suo fondamento e la sua giustificazione nella considerazione che il Go-<br />

(73) Per la storia, l'obbligo dello svolgimento e della presa in considerazione per<br />

i progetti che importino onere finanziario fu introdotto nel 1949, in applicazione del<br />

vincolo contenuto nell'art 81, quarto comma, Cost. secondo il quale ogni legge di<br />

spesa deve indicare i mezzi di finanziamento.<br />

(74) Recentemente, alcune proposte di inchiesta parlamentare (sul banditismo<br />

in Sardegna) furono svolte e prese in considerazione, ancorché non implicassero oneri<br />

a carico del bilancio dello Stato (tanto è vero che per la loro successiva approvazione<br />

non fu richiesto il parere della Commissione bilancio, altrimenti obbligatorio).<br />

(75) Cfr. M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit., pagg. 204-205 : « codesta, più<br />

che di legalità, è questione di convenienza...; perciò non è punto necessario conoscere<br />

l'avviso del Governo sopra ogni proposta di iniziativa parlamentare e non<br />

sempre viene richiesto nelle Camere... ; e, quando sia dato, lo è puramente come<br />

atto di cortesia ».<br />

(76) V. FALZONE, La prassi nell'ordinamento costituzionale repubblicano, in<br />

«Studi sulla Costituzione», Milano 1958, voi. II, pag. 457.


346 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

verno, disponendo di organi di accertamento indubbiamente superiori a<br />

quelli dei deputati, può recare un valido contributo di carattere tecnico<br />

al giudizio dell'Assemblea. Ma la presa in considerazione delle proposte<br />

di legge è atto esclusivo della Camera, sicché il Governo non può esprimere,<br />

in questa sede, che un parere di massima, che si concreta nella<br />

formula « il Governo, con le consuete riserve, non si oppone alla presa in<br />

considerazione della proposta di legge » (77).<br />

Successivamente la Camera delibera se accordare o meno la presa<br />

in considerazione. In sede di votazione per la presa in considerazione<br />

di una proposta di legge non sono ammesse dichiarazioni di voto, poiché<br />

la Camera è sul punto di deliberare non sul merito, ma sulla opportunità<br />

del provvedimento, sicché la manifestazione dell'atteggiamento di ciascun<br />

deputato nei confronti del provvedimento medesimo è rinviata al momento<br />

della decisione nel merito (78).<br />

Una volta che la Camera abbia autorizzato la presa in considerazione<br />

- e le Camere si mostrano molto corrive a prendere in considerazione<br />

i progetti dei propri colleghi (79), talché la presa in considerazione<br />

medesima nell'ultimo ventennio, salvo in qualche rara occasione e sempre<br />

in riferimento a proposte di inchiesta parlamentare non è mai stata denegata,<br />

posto che, per consuetudine, l'esame di opportunità avviene congiuntamente<br />

al successivo esame di merito (80) - la proposta di legge<br />

viene trasmessa alla Commissione competente per materia e segue Viter<br />

procedurale normale.<br />

L'art. 133 Reg. nulla dispone a proposito delle iniziative legislative<br />

diverse da quelle governative e parlamentari e cioè i progetti di legge<br />

dei consigli regionali, quelli del C.N.E.L., quelli di iniziativa popolare.<br />

Una prassi costante ha, peraltro, stabilito che anche ai progetti di legge<br />

di soggetti od organi titolari del diritto di iniziativa legislativa diversi dal<br />

Governo è applicabile la procedura della presa in considerazione da parte<br />

dell'Assemblea, su relazione orale della Commissione permanente com-<br />

(77) Tuttavia, osservava, assai acutamente, V. MICELI, op. cit., pag. 48, i progetti,<br />

proposti dai singoli membri del Parlamento senza l'appoggio del Governo, difficilmente<br />

arrivano in porto.<br />

(78) Tale principio, ormai consolidatosi, è stato recentemente ribadito dal Presidente<br />

della Camera, nella seduta del 17 maggio 1967: dopo le dichiarazioni del<br />

rappresentante del Governo, alla Camera non resta che decidere sulla presa in considerazione,<br />

né sono consentite dichiarazioni di voto. Cfr. Atti parlamentari, Camera<br />

dei deputati, seduta del 17 maggio 1967, pag. 34695.<br />

(79) V. MICELI, op. cit., pag. 49.<br />

(80) F. COSENTINO, // procedimento legislativo, ecc., pag. 1205.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 347<br />

petente per materia, seguendo in tal senso le norme procedurali stabilite<br />

dal Regolamento per le proposte di legge dì iniziativa parlamentare. Va<br />

subito precisato che tale prassi si è consolidata, nel corso di un ventennio,<br />

soltanto per quanto concerne le proposte di iniziativa dei consigli regionali,<br />

poiché, come si è avuto occasione di ricordare, nessuna proposta<br />

di iniziativa popolare è stata finora presentata in prima lettura alla Camera,<br />

mentre l'unico progetto di legge del C.N.E.L. (orario di lavoro e<br />

riposo dei lavoratori) è stato considerato alla stregua dei disegni di legge<br />

governativi, probabilmente perché - come vuole la legge 5 gennaio 1957,<br />

n. 33 - a trasmesso alla Presidenza della Camera dal Presidente del Consiglio<br />

dei ministri » e, per questa via, assimilato alle iniziative legislative<br />

governative, con conseguente esclusione della fase dello svolgimento e<br />

della successiva presa in considerazione (81).<br />

Il procedimento è identico a quello considerato per le iniziative legislative:<br />

precede soltanto un esame da parte della Commissione competente<br />

per materia, definito « esame preliminare per la presa in considerazione<br />

da parte dell'Assemblea », esaurito il quale la Camera fìssa il<br />

giorno dello svolgimento, che (in mancanza del proponente) viene fatto<br />

dal relatore designato a nome della maggioranza della Commissione (82):<br />

successivamente la Camera delibera con le stesse modalità, precedentemente<br />

illustrate (83).<br />

La estensione, di fatto, dell'istituto della presa in considerazione<br />

alle proposte di legge di iniziativa dei consigli regionali è stata in più<br />

(81) La procedura adottata sembra assai dubbia, poiché la « trasmissione » del<br />

Presidente del Consiglio dei ministri è un atto dovuto, che non potrebbe in alcun<br />

modo essere rifiutato, sicché il progetto del C.N.E.L. giunge al Parlamento senza che<br />

su di esso il Governo abbia potuto esercitare alcuna valutazione e privo quindi della<br />

presunzione che esso coincida con l'indirizzo politico del Governo medesimo e della<br />

maggioranza che lo sostiene, presunzione che sembra costituire il presupposto del<br />

diverso e più spedito trattamento procedurale riservato alle iniziative governative. Né<br />

vale argomentare che esso progetto è stato attentamente valutato, risultando da una<br />

deliberazione del C.N.E.L. che offre idonee garanzie di validità sul piano giuridico e<br />

tecnico: lo stesso discorso potrebbe valere per le iniziative dei consigli regionali,<br />

oggetto di una decisione collegiale, con maggiore e più spiccato carattere di politicità.<br />

(82) Nulla esclude che possa esserci un relatore di minoranza, ma solo nel caso<br />

in cui la Commissione abbia deliberato di proporre il diniego della presa in considerazione:<br />

in caso di proposta positiva, invece, lo stesso Regolamento consente ad un<br />

deputato di parlare contro la presa in considerazione (e quindi contro la proposta<br />

della maggioranza della Commissione).<br />

(83) Un caso di rifiuto della Camera di prendere in consideracene una proposta<br />

di iniziativa di un consiglio regionale si è verificato nella seduta del 23 novembre<br />

1960. Si noti che il relatore propose alla Camera di denegare la presa in considerazione,<br />

nonostante la Commissione bilancio (investita dell'esame preliminare) avesse<br />

concluso in senso favorevole. Cfr. Atti parlamentari, Camera dei deputati, seduta del<br />

23 novembre 1960, pag. 17875 e segg.


348 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

occasioni criticata, perché tale prassi verrebbe a costituire una sorta di<br />

deminutio del diritto di iniziativa legislativa attribuito (senza alcuna specifica<br />

modalità di esercizio) dalla Costituzione ai consigli regionali, poiché,<br />

a differenza dei singoli deputati, i consigli regionali non potrebbero illustrare<br />

e sostenere di fronte alla Camera, in sede di esame per la presa in<br />

considerazione, le ragioni che sono alla base del progetto di legge da essi<br />

promosso (84); gli stessi consigli, inoltre, nel caso di iniziative prive di<br />

conseguenze finanziarie, non potrebbero avvalersi della facoltà concessa<br />

ai parlamentari dall'art. 133 Reg. di rinunziare allo svolgimento e di<br />

chiedere rimmediato deferimento dell'iniziativa legislativa alla competente<br />

Commissione (85); i consigli regionali, infine, non potrebbero avvalersi<br />

neppure della disposizione per la richiesta della procedura di urgenza,<br />

con la conseguente riduzione dei termini regolamentarmente stabiliti<br />

per l'esame da parte delle Commissioni.<br />

La questione è stata più volte dibattuta alla Camera. Si è sostenuto<br />

che l'istituto della presa in considerazione rivestirebbe il carattere di una<br />

sorta di contraddittorio, nel quale una parte sostiene le ragioni che dovrebbero<br />

giustificare la presa in considerazione da parte della Camera;<br />

ciò premesso, la Commissione incaricata di riferire su una proposta di<br />

legge di iniziativa regionale sarebbe una specie di « avvocato » d'ufficio,<br />

che non potrebbe in alcun caso proporre all'Assemblea il diniego della<br />

presa in considerazione (così come, invece, avvenne nella seduta del 23<br />

novembre 1960); se ciò facesse, se cioè concludesse invitando l'Aula a<br />

non consentire la presa in considerazione, si arrogherebbe la facoltà di<br />

sollecitare alla Camera una sorta di verdetto preventivo, impedendo qualsiasi<br />

discussione sul merito e ponendo una specie di veto su una proposta<br />

di iniziativa di un consiglio regionale (86). Senza dubbio nella<br />

prassi finora seguita (e che forse potrebbe essere anche adottata per i progetti<br />

di legge di iniziativa popolare) non è stata ancora configurata la<br />

ipotesi di un contraddittorio del proponente, né si vede in che modo<br />

potrebbe essere attuato. È, comunque, auspicabile che tale lacuna rego-<br />

(84) C. A. MARCHETTI, Sulla presa in considerazione delle proposte di iniziativa<br />

regionale, in « Montecitorio », novembre 1956, pag. 3.<br />

(85) A. M. SANDULLI, op. cit., pag. 639, adombra anche la ipotesi che, potendo<br />

il rigetto in limine della proposta di legge urtare gli interessi di soggetti abilitati a promuovere<br />

giudizi per conflitti di attribuzione, non sarebbe da escludere il sorgere, in<br />

simili casi, di giudizi del genere.<br />

(86) Cfr. le argomentazioni al riguardo svolte dall'on. Laconi in Atti parlamentari.<br />

Camera dei deputati, seduta del 24 novembre 1960, pag. 17880.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 349<br />

lamentare venga al più presto convenientemente colmata (87), tanto più<br />

quando risulterà legislativamente perfezionato il disegno di legge, rimasto<br />

all'esame della Camera, sul referendum e sulla iniziativa popolare delle<br />

leggi.<br />

Emerge, da quanto fin qui si è detto, la necessità di operare una<br />

scelta tra due vie, quella di un adeguato e razionale rinvigorimento dell'istituto<br />

della presa in considerazione ovvero quella di una sostanziale<br />

e definitiva eliminazione di tale istituto dal Regolamento della Camera.<br />

La mancanza, ormai periodicamente constatata, di qualsiasi contenuto<br />

sostanziale di tale istituto costituisce la riprova di quella crisi di adattamento<br />

subita dal modello parlamentare inglese nel suo inserimento nell'ordinamento<br />

giuridico italiano (88). L'esigenza di porre un freno alla<br />

proliferazione di leggi e « leggine » di iniziativa parlamentare, che intasano<br />

il lavoro delle Assemblee e delle Commissioni, risulta ormai indilazionabile,<br />

in funzione di ima razionalizzazione della produzione legislativa<br />

ed in conformità dei canoni propri del regime parlamentare. Si<br />

pensi alle miriadi di provvedimenti nel settore del rapporto di pubblico<br />

impiego, che mirano a creare vantaggi, a definire o « consolidare » situazioni<br />

particolari e privilegiate in favore di questa o di quell'altra categoria<br />

di dipendenti statali; si pensi alla lunga serie di iniziative per promuovere<br />

la concessione o l'aumento di contributi a carico del bilancio<br />

dello Stato in favore di enti o istituzioni pseudo-pubbliche; si pensi, infine,<br />

al preoccupante fenomeno di estendere, attraverso la proposizione<br />

di progetti di legge di iniziativa parlamentare, la normazione a mezzo<br />

di legge ad aree sempre più vaste di rapporti e di situazioni, certamente<br />

non coperti da alcuna riserva di legge, assoluta o relativa. Non è chi non<br />

veda come risulti ormai necessario stabilire un argine a tale dilagare<br />

di produzione normativa minuta (89) senza peraltro sminuire affatto il<br />

(87) Non si può non convenire con il principio secondo cui l'uso e la norma<br />

procedurale intanto possono inserirsi nell'ordinamento parlamentare in quanto siano<br />

capaci di armonizzarsi con la sua natura intrinseca, e cioè con i principi essenziali di<br />

libertà e di rispetto reciproci, collettivi ed individuali, che ne sono alle basi. Cfr. F.<br />

COSENTINO, Note sui principi della procedura parlamentare, in « Studi sulla Costituzione<br />

», Milano 19S8, voi. II, pag. 410.<br />

(88) F. COSENTINO, // procedimento legislativo, ecc., pag. 1205, ritiene che la<br />

crisi del sistema parlamentare debba essere valutata in termini di < crisi di adattamento<br />

» di istituzioni che, caratteristiche di società molto evolute, sono state trapiantate<br />

affrettatamente in paesi in cui le condizioni storico-ambientali non li rendevano o<br />

non li rendono tuttora idonei a riceverli nella loro interezza.<br />

(89) È stato, peraltro, rilevato che le questioni connesse alla produzione delle<br />

leggi vanno esaminate e risolte in un contesto di ben più ampio respiro che non quello<br />

di una semplice riforma dei regolamenti parlamentari. Cfr. F. COSENTINO, // problema<br />

della produzione legislativa nel sistema parlamentare italiano, in « Montecitorio »,<br />

maggio-giugno 1965, pag. 9.


350 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

diritto di iniziativa legislativa, riconosciuto dalla norma costituzionale a<br />

ciascun membro delle Camere (90). Resta pertanto da condividere l'opinione<br />

di chi da tempo ha richiamato alla esigenza di un sostanziale ripristino<br />

della presa in considerazione in forma di esame preliminare di<br />

legittimità per i progetti in materia finanziaria e di opportunità per tutti<br />

gli altri (91), in modo da evitare, qualora non riscuotano il consenso<br />

della maggioranza, che la Camera o le Commissioni debbano successivamente<br />

perdere il tempo necessario per esaminarli per poi concludere<br />

con la loro reiezione. Così operando, si migliorerebbe il rendimento<br />

delle Assemblee legislative, sia sotto il profilo qualitativo della omogeneità<br />

della legislazione, sia sotto il profilo quantitativo della maggiore<br />

espansione (92).<br />

E non è escluso che possa anche giungersi alla realizzazione concreta<br />

di una sorta di Giunta permanente per la presa in considerazione<br />

- idea quest'ultima adombrata qualche anno fa dall'on. La Malfa, preoccupato<br />

di instaurare un metodo capace di evitare la eccessiva proliferazione<br />

legislativa - Giunta alla quale dovrebbe essere conferito « a monte »<br />

il compito di un esame preliminare di tutte le iniziative legislative diverse<br />

da quelle governative, con eventuale successivo intervento dell'Assemblea;<br />

si verrebbe, in tal modo, a scindere l'esame delle proposte<br />

di legge in due fasi distinte, una preliminare di ammissibilità, l'altra successiva<br />

di merito, senza che tale procedura interferisca nel libero esercizio<br />

del diritto di iniziativa (93).<br />

3. - L'esame e la deliberazione della Camera su ciascun progetto<br />

di legge deve essere preceduto da una fase istruttoria, affidata ad organi<br />

interni della Camera stessa, che consiste in un esame preliminare del<br />

provvedimento e che si conclude con la proposta all'Assemblea di approvare<br />

il provvedimento medesimo ovvero di approvarlo con modificazioni,<br />

ovvero ancora di respingerlo.<br />

(90) Alla Costituente l'on. Einaudi sottolineò la opportunità di limitare al Governo<br />

l'iniziativa legislativa in materia finanziaria, negandola ai singoli parlamentari,<br />

argomentando come l'esperienza avesse sufficientemente dimostrato « che è pericoloso<br />

riconoscere alle Camere tale iniziativa, perché, mentre una volta erano esse che resistevano<br />

alle proposte di spesa da parte del Governo, negli ultimi tempi spesso è avvenuto<br />

che proprio i deputati, per rendersi popolari, hanno proposto spese senza nemmeno<br />

rendersi conto dei mezzi necessari per fronteggiarle ». Cfr. V. FALZONETF. PA-<br />

LERMO-F. COSENTINO, La Costituzione della Repubblica, illustrata con i lavori preparatori,<br />

Roma 19S4, pag. 198.<br />

(91) F. COSENTINO, // procedimento legislativo, ecc., pag. 1215.<br />

(92) E. SPAGNA-MUSSO, op. ciu, pag. 73.<br />

(93) B. LEONI, Note sull'iniziativa delle leggi, in « Giurisprudenza costituzionale<br />

», 1963, pag. 1291.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 351<br />

In passato, il Regolamento della Camera prevedeva due diversi sistemi<br />

di procedura per Tesarne dei progetti di legge: quello degli uffici<br />

e quello delle tre letture (94).<br />

Il sistema più antico, preso a modello dall'ordinamento francese,<br />

era quello degli uffici. Ogni progetto di legge, per il quale la Camera<br />

aveva così deliberato, veniva trasmesso ai nove uffici, costituiti ogni due<br />

mesi mediante sorteggio dei deputati: ciascun ufficio esaminava sommariamente<br />

il progetto e nominava, quindi, un commissario; l'insieme dei<br />

commissari nominati dai singoli uffici costituiva la Commissione, che<br />

successivamente procedeva all'esame del progetto di legge tanto nel suo<br />

insieme quanto nelle singole disposizioni (95); la Commissione, al termine<br />

di questo esame, nominava, a maggioranza assoluta, un relatore,<br />

con l'incarico di riferire all'Assemblea, con apposita relazione scritta,<br />

sul testo del provvedimento, che poteva risultare più o meno modificato.<br />

Tale sistema, se presentava l'inconveniente di rimettere al sorteggio la<br />

composizione dei singoli uffici - sistema oggi incompatibile con la rappresentanza<br />

proporzionale e con il riconoscimento dei gruppi parlamentari<br />

- presentava, tuttavia, il vantaggio di far partecipare « tutti » i deputati<br />

anche all'esame istruttorio di ogni singola proposta o disegno di<br />

legge presentato alla Camera.<br />

Il sistema delle tre letture, di origine inglese, fu invece introdotto<br />

successivamente. Tale sistema consentiva di portare direttamente all'esame<br />

dell'Assemblea il progetto per la « prima lettura », che consisteva praticamente<br />

nella discussione generale del provvedimento, introdotta dal<br />

ministro ovvero dal deputato autore della iniziativa legislativa; se la Camera<br />

consentiva di passare alla seconda lettura, il progetto di legge<br />

veniva trasmesso ad una Commissione (eletta dagli uffici, ovvero dalla<br />

Camera o dal suo Presidente), la quale doveva limitarsi ad un esame<br />

degli articoli, riferendone all'Assemblea entro un certo termine, mediante<br />

relazione scritta; aveva quindi luogo la « seconda lettura », la<br />

quale consisteva semplicemente nella discussione analitica delle singole<br />

disposizioni contenute nel progetto di legge; indi si procedeva alla<br />

« terza lettura », cioè alla revisione del progetto di legge, cui seguiva la<br />

votazione finale (ed in tale ultima fase era ancora consentita, con parti-<br />

(94) Il sistema delle tre letture, nonostante fosse stato espressamente introdotto nel<br />

Regolamento nel lontano 1888, come metodo facoltativo dell'esame delle leggi, non<br />

trovò quasi mai pratica attuazione, finché cadde per desuetudine e fu poi definitivamente<br />

soppresso nel 1948. Cfr. R. ASTRALDI-F. COSENTINO, op. cit., pag. 47.<br />

(95) Norme particolari stabilivano, poi, che, anche se soltanto i due terzi degli<br />

uffici avessero nominato i commissari, era in facoltà del Presidente di autorizzare la<br />

convocazione della Commissione.


352 L'iter legislativo: Vesame preliminare<br />

colari limitazioni, la presentazione di emendamenti, ai soli fini, però,<br />

del coordinamento degli articoli approvati).<br />

D Regolamento prevedeva, altresì, che per determinate materie la Camera<br />

procedesse all'inizio di ogni sessione alla nomina di talune Commissioni<br />

permanenti, cui veniva poi affidato l'esame preliminare dei progetti<br />

di legge ricompresi nella materia di specifica competenza: tale sistema<br />

coincideva, grosso modo, con quello degli uffici, differenziandosene,<br />

peraltro, poiché in quest'ultimo la Commissione era nominata specificamente<br />

per quel determinato progetto e l'esame era in un certo<br />

senso condizionato dalla discussione sommaria già avvenuta in ciascun<br />

ufficio (96).<br />

Una fondamentale distinzione fra i due diversi sistemi dianzi citati<br />

porta a rilevare che: a) nel sistema delle tre letture il progetto di legge<br />

veniva trasmesso alla Commissione dopo che la Camera aveva su di<br />

esso esaurito la discussione generale, sicché la Commissione non solo<br />

doveva limitare il proprio esame ai singoli articoli, ma doveva altresì<br />

attenersi ai principi e criteri già accolti dall'Assemblea nel dibattito conclusosi;<br />

b) nel sistema degli uffici, invece, la Commissione era investita<br />

dell'esame del provvedimento prima ancora che la Camera avesse proceduto<br />

alla discussione generale e, quindi, la Commissione stessa era<br />

libera di prendere le decisioni che riteneva più opportune, senza alcun<br />

preventivo condizionamento di indirizzi e di principi informatori da parte<br />

dell'Assemblea (97).<br />

(96) Cfr. maggiori dettagli in D. DONATI, op. cit., pag. 15 e segg. Vengono ivi<br />

descrìtti, altresì, due altri sistemi esplicitamente contemplati dal regolamento del Senato<br />

regio, non da quello della Camera, che però vi aveva talvolta fatto ricorso:<br />

a) il sistema delle Commissioni speciali, cioè di Commissioni non precostituite, ma<br />

appositamente nominate per l'esame di un determinato progetto; b) il sistema del<br />

Comitato generale, secondo il quale il progetto di legge veniva preliminarmente trasmesso<br />

alla < riunione degli uffici » (cioè, praticamente, all'intera Assemblea, in adunanza<br />

privata) che, dopo una discussione sommaria, procedeva alla nomina di una<br />

Commissione, che esaminava il progetto e ne riferiva alla Camera (così diversificandosi<br />

dal sistema inglese ed avvicinandosi piuttosto al sistema degli uffici, di cui sostituiva<br />

la fase iniziale). L'A. avverte, altresì, che « ciascuna Camera non è vincolata ad<br />

attenersi in modo esclusivo ai sistemi di procedimento preveduti dal rispettivo regolamento,<br />

ma può sempre fissare per il caso particolare un sistema di procedimento<br />

in tutto o in parte diverso, purché siano osservate le norme generali dello Statuto »<br />

(che all'art. 55 stabiliva testualmente che < ogni proposta di legge debba essere dapprima<br />

esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori<br />

preparatori »). La scelta del sistema da adottare (tre letture o uffici) era per altro<br />

rimessa alla decisione dell'Assemblea, qualora il provvedimento non rientrasse nella<br />

competenza di una Commissione permanente: per un progetto già approvato dalla<br />

Camera e modificato dal Senato, era previsto lo stesso procedimento adottato in prima<br />

deliberazione.<br />

(97) D. DONATI, op. cit., pag. 23.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 353<br />

Come si è avuto modo di accennare, i due sistemi rispecchiavano<br />

modelli esistenti presso ordinamenti stranieri. Così in Gran Bretagna la<br />

vecchia tradizione parlamentare inglese mantiene ancora il sistema delle<br />

tre letture: dopo la lettura del titolo del progetto di legge e la stampa del<br />

medesimo (prima lettura), inizia la seconda lettura, suddivisa in tre momenti<br />

distinti: la presa in considerazione (98) ovvero la delibera se il<br />

progetto debba o meno essere sottoposto ad una seconda lettura; quindi<br />

la sua trasmissione per l'esame preliminare allo Standing committee (commissione<br />

nominata per ciascun singolo provvedimento legislativo), ovvero<br />

al Comitato generale della Camera, se il provvedimento riveste carattere<br />

finanziario; e, successivamente, la discussione da parte dell'Assemblea;<br />

infine, la terza lettura, che consiste nella revisione e votazione del progetto<br />

di legge. La Francia, invece, è rimasta a lungo fedele al sistema<br />

degli unici, congegnato secondo le modalità recepite nel nostro regolamento<br />

pre-fascista; ma, successivamente, a seguito dell'accentuarsi del<br />

fenomeno del progressivo aumento della produzione normativa, il legislatore<br />

d'oltr'Alpe fu indotto a ricercare più idonei strumenti e più adeguate<br />

procedure per l'esame istruttorio dei progetti di legge, creando le<br />

Commissioni permanenti, « sorta di standing committees stabili e polivalenti<br />

» (99), dalle quali prese poi lo spunto il sistema attuale italiano.<br />

Per espressa disposizione dell'art. 72 Cost. « ogni disegno di legge,<br />

presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento,<br />

"esaminato da una Commissione" e poi dalla Camera stessa, che l'approva<br />

articolo per articolo e con votazione finale ».<br />

La funzione delle Commissioni in sede referente consiste in una attività<br />

istruttoria del successivo esame che l'Assemblea dovrà poi compiere<br />

sui singoli progetti di legge, sottopostigli per l'approvazione. L'esame<br />

in sede referente di ciascun provvedimento si configurerebbe, pertanto,<br />

come un presupposto necessario rispetto all'ulteriore fase dell'/ter legislativo<br />

del progetto di legge, la discussione in Assemblea, e si svolgerebbe<br />

quindi in stretta connessione con quella successiva, in quanto si porrebbe<br />

come fase strumentale rispetto a quest'ultima (100). Tuttavia, l'esame<br />

preliminare non è limitato ad una semplice attività di consulenza nei<br />

confronti dell'Aula, ma si estende anche alla facoltà di formulare pro-<br />

(98) La presa in considerazione, come si è già avuto occasione di sottolineare,<br />

assume nell'ordinamento inglese un vero e proprio carattere di « deliberazione sommaria<br />

sulla opportunità della legge ».<br />

(99) F. COSENTINO, // procedimento legislativo, ecc., pag. 1209.<br />

(100) F. MOHRHOFF, Commissione parlamentare, in « Novissimo digesto italiano »,<br />

Torino, 1959, voi. Ili, pag. 653.<br />

14.


354 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

poste concrete in ordine al provvedimento oggetto dell'esame medesimo,<br />

proposte che risultano dal testo definitivo elaborato dalla Commissione<br />

(che può risultare largamente rimaneggiato rispetto a quello originariamente<br />

proposto) e sul quale si svolgerà il dibattito in Assemblea (101).<br />

Tale facoltà, tuttavia, incontra qualche limitazione: ad esempio, in materia<br />

di trattati internazionali, la Commissione dovrà proporre soltanto<br />

di concedere o denegare l'autorizzazione alla ratifica, senza possibilità,<br />

quindi, di incidere in alcun modo sul testo dell'accordo oggetto del disegno<br />

di legge di ratifica. Un altro limite ben preciso è quello fissato dal<br />

primo comma dell'art. 107-ter Reg., secondo il quale per i progetti di<br />

legge costituzionale la Commissione, in sede di seconda deliberazione,<br />

prevista a' termini dell'art. 138 Cost., riesamina il progetto nel suo complesso<br />

e riferisce alla Camera, senza possibilità alcuna di proporre nuove<br />

ulteriori modifiche. Analogamente - in base al terzo comma dell'art. 67<br />

Reg., secondo cui, nel caso di progetti già approvati dalla Camera e modificati<br />

dal Senato, la Camera delibera di norma soltanto sulle modifiche<br />

apportate dall'altro ramo del Parlamento - l'esame della Commissione<br />

dovrà, in questo caso, limitarsi ad una valutazione degli emendamenti<br />

introdotti nel testo del provvedimento da parte del Senato.<br />

Non costituisce, invece, alcun limite al lavoro della Commissione in<br />

sede referente l'esame eventualmente già condotto dalla stessa Commissione<br />

in sede legislativa di un progetto di legge, di cui sia stata successivamente<br />

avanzata, a' termini dell'art. 40 Reg., richiesta di rimessione<br />

in Assemblea, in quanto la Giunta del Regolamento ha sempre affermato<br />

il principio che l'esame in sede referente di un provvedimento, già deferito<br />

in sede legislativa e rimesso in Aula, inizia come « nuovo ed autonomo<br />

procedimento » senza che le deliberazioni eventualmente adottate<br />

nella sede legislativa abbiano a costituire vincolo o preclusione (102).<br />

Ciò si deduce dal principio della differenziazione delle funzioni e del<br />

lavoro svolto dalla Commissione in sede referente, che deve rimanere<br />

svincolato da qualsiasi ritualità e, quindi, non subordinato a deliberazioni<br />

già adottate nella sede legislativa, restando sempre salvo il potere<br />

di proporre alla Camera il rigetto del provvedimento esaminato (103).<br />

(101) L. ELIA, Le Commissioni parlamentari italiane nel procedimento legislativo,<br />

Modena 1961, pag. 29, adombra anche la ipotesi che la posizione della Commissione<br />

in sede referente possa essere avvicinata a quella del giudice istruttore nel processo<br />

civile di cognizione.<br />

(102) Cfr. Circolari e disposizioni, ecc., cit., pag. 104.<br />

(103) Ciò, tuttavia, non esclude che la Commissione possa deliberare di acquisire<br />

alla sede referente il lavoro già compiuto in sede legislativa (e, in particolare, i testi<br />

già approvati).


L'iter legislativo: l'esame preliminare 355<br />

L'esame preliminare della Commissione in sede referente - alla<br />

quale il progetto di legge viene trasmesso secondo il criterio di competenza<br />

indicato dal proponente o, in mancanza, stabilito dal Presidente,<br />

salvo diversa deliberazione della Camera (art. 31 Reg.) - prende l'avvio<br />

con la illustrazione del provvedimento ad opera di un commissario in<br />

precedenza designato dal Presidente della Commissione (che, nella<br />

maggior parte dei casi, riceverà poi il mandato di redigere la relazione<br />

scritta per l'Assemblea, salvo che le conclusioni della Commissione siano<br />

diverse dalle proposte del relatore designato, nel qual caso la Commissione<br />

dovrà incaricare altro Commissario di riferire all'Aula).<br />

Le Commissioni in sede referente - come è stato reiteratamente<br />

chiarito dalle circolari interpretative del Presidente della Camera - non<br />

sono tenute ad applicare le norme stabilite dal Regolamento per le discussioni<br />

e le votazioni in sede legislativa, ma debbono limitarsi a rispettare<br />

l'obbligo del numero legale (un quarto dei componenti) ed il<br />

principio fondamentale che ogni decisione deve essere adottata a maggioranza<br />

dei votanti; è stata più volte ribadita la esigenza di assicurare<br />

la dovuta snellezza e rapidità di un lavoro preparatorio quale è quello<br />

delle Commissioni in sede referente, tenendo presente che, in tale sede,<br />

la discussione deve essere libera da qualsiasi legame e da qualunque ritualità<br />

e, per quanto possibile, succinta e sintetica, secondo quanto disposto<br />

dall'art. 30-bis, che definisce testualmente tale fase procedurale<br />

« esame preliminare ». Debbono quindi ritenersi esclusi tutti quei mezzi<br />

procedurali che hanno come presupposto il potere deliberante dell'organo,<br />

potere di cui risulta assolutamente priva la Commissione in sede<br />

referente, giacché i suoi compiti, giova ripeterlo, sono limitati allo studio,<br />

alla istruttoria, alla preparazione della discussione che dovrà successivamente<br />

svolgersi dinanzi all'Assemblea. Il Presidente dovrà pertanto<br />

dichiarare improponibili tutte le mozioni d'ordine preclusive, quali la<br />

pregiudiziale, la sospensiva, l'ordine del giorno di non passaggio all'esame<br />

degli articoli; potrà essere solo consentito un breve rinvio motivato<br />

dell'esame, compatibilmente con il termine di due mesi (o di uno, in<br />

caso di urgenza) entro il quale la Commissione deve presentare le proprie<br />

conclusioni all'Assemblea. Sono altresì escluse le votazioni qualificate<br />

(per appello nominale o a scrutinio segreto), nonché la suddivisione del<br />

dibattito nelle due classiche fasi della discussione generale e della discussione<br />

degli articoli, anche se, di fatto, la Commissione passa all'esame<br />

analitico delle singole disposizioni del provvedimento dopo una prima<br />

disamina globale dell'oggetto del provvedimento medesimo. Sono ancora<br />

esclusi gli ordini del giorno, proponibili solo in sede legislativa o diret-


356 L'iter legislativo: V esame preliminare<br />

temente in Assemblea, mentre nessuna formalità è prescritta per la presentazione<br />

di articoli aggiuntivi, emendamenti, eccetera. Non di rado, poi,<br />

trova applicazione il disposto dell'art. 30-bis Reg. : la Commissione,<br />

esaurito l'esame preliminare del progetto, rimette la formulazione delle<br />

proposte relative al testo degli articoli ad un apposito « Comitato ristretto<br />

», nel quale dovrebbero essere rappresentati, indipendentemente<br />

dalla rispettiva entità numerica, tutti i Gruppi parlamentari, per evitare<br />

che le decisioni ivi adottate non siano poi, in linea di massima, ratificate<br />

dalla Commissione plenaria (vanificando, in un certo senso, il<br />

lavoro preparatorio compiuto dal Comitato ristretto).<br />

Qualche ulteriore indicazione per il lavoro delle Commissioni in<br />

sede referente discende poi dalla norma contenuta nell'art. 133, ultimo<br />

comma, che fa obbligo di abbinare nell'esame « proposte di legge identiche<br />

o vertenti su materia identica o in concorso con disegni di legge<br />

su identica materia ». Secondo un principio più volte ribadito in Assemblea<br />

(104) per procedere all'esame abbinato di più progetti di legge<br />

vertenti su materia identica, occorre che gli stessi si trovino nella identica<br />

posizione formale e procedurale: la identità formale significa che tutti<br />

i progetti da abbinare si trovino nella stessa sede (referente) e che su<br />

di essi siano stati resi, da parte delle Commissioni investitene, gli stessi<br />

pareri.<br />

La ratio del principio sancito nell'ultimo comma dell'art. 133 Reg.<br />

va ricercata negli stessi presupposti del previsto abbinamento (provvedimenti<br />

identici o vertenti su identica materia), che è inteso a conseguire<br />

la finalità della reductio ad unum di più provvedimenti riguardanti la<br />

stessa materia; il che porta a concludere che, qualora non ricorra il presupposto<br />

dell'identicità dei provvedimenti ovvero della materia contenuta<br />

nei provvedimenti medesimi, l'abbinamento non possa e non debba<br />

aver luogo, ostandovi la norma regolamentare, e che pertanto i provvedimenti<br />

debbono rimanere distinti (e cioè non riducibili ad unum). Quando<br />

invece la Commissione abbia all'ordine del giorno, nella stessa sede<br />

(referente), provvedimenti strettamente connessi, di modo che il giudizio<br />

sull'uno non possa essere disgiunto dal giudizio sull'altro (o sugli<br />

altri), si può ricorrere all'esame « congiunto » dei progetti di legge : ciò significa<br />

che, ove la Commissione lo ritenga opportuno (e soprattutto per<br />

ragioni di convenienza o di risparmio di tempo, ovvero per consentire<br />

(104) Cfr. Atti parlamentari. Camera dei deputati, seduta del 19 dicembre 1953,<br />

pag. 4974; seduta del 20 dicembre 1956, pag. 29895.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 357<br />

una visione globale dei problemi trattati), si potrà unificare la trattazione<br />

generale dei provvedimenti « connessi » per poi esaminarli analiticamente,<br />

nelle singole disposizioni normative, separatamente, l'uno dopo<br />

l'altro, l'uno indipendentemente dall'altro, fino a pervenire anche a conclusioni<br />

completamente e diametralmente opposte per ciascuno dei provvedimenti<br />

esaminati (proposta di approvazione per l'uno, di reiezione<br />

per l'altro, o viceversa) (105).<br />

Norme e procedure particolari sono stabilite per l'esame del bilancio<br />

di previsione dello Stato da parte della Commissione bilancio<br />

e delle altre Commissioni, nell'ambito della rispettiva competenza<br />

(106).<br />

La procedura dell'esame referente dei progetti di legge è applicabile,<br />

in linea di massima, a qualsiasi atto parlamentare sul quale la Commissione<br />

sia chiamata a riferire all'Assemblea (107). Così le petizioni<br />

(108), presentate a norma dell'art. 50 Cost. e dell'art. 108 Reg.,<br />

sono trasmesse alle Commissioni competenti per materia, che dovrebbero<br />

riferire entro il termine di un mese. La Commissione può esaminare<br />

la petizione congiuntamente ad un progetto di legge in materia identica<br />

o analoga: potrà tener conto, nell'esame del provvedimento, delle istanze<br />

oggetto della petizione, con il conseguente assorbimento della petizione<br />

medesima dal punto di vista procedurale (109). Ma la Commissione<br />

può anche prendere in esame una petizione indipendentemente<br />

dalla connessione con un disegno di legge iscritto al proprio ordine del<br />

giorno: se la presentazione del disegno di legge richiesto nella petizione<br />

rientra nelle materie per le quali l'esercizio del diritto di iniziativa rappresenta<br />

un obbligo per il Governo, la Commissione può rinviare l'esa-<br />

(105) La questione fu posta, in modo particolare, a seguito della presentazione<br />

contemporanea - avvenuta per la prima volta nel dopoguerra - dei disegni di legge<br />

concernenti il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 1967 ed il rendiconto<br />

generale per il 1965. La questione se si dovesse procedere contemporaneamente<br />

e per abbinamento all'esame di due documenti (sulla base della considerazione che<br />

l'esame del preventivo fosse condizionato in larga parte anche dall'esame delle risultanze<br />

di gestione contenute nel rendiconto dell'esercizio scaduto) fu risolta negativamente<br />

per quanto concerne l'esame • abbinato », mentre la possibilità di un esame<br />

e congiunto » preventivo-consuntivo fu rimessa alla valutazione discrezionale della Commissione<br />

bilancio, investita dell'esame di merito dei due disegni di legge.<br />

(106) Su questo punto v. oltre, capitolo IX.<br />

(107) Cosi V. LONGI-M. STRAMACCI, Le Commissioni parlamentari e la Costituzione,<br />

Milano 1953, pag. 41.<br />

(108) Al diritto di petizione viene riconosciuto il carattere di stimolo alla duplice<br />

funzione legislativa ed ispettiva del Parlamento: R. ASTRALOI-F. COSENTINO, op. cit.,<br />

pag. 218, nota 1.<br />

(109) Cosi R. ASTRALDI-F. COSENTINO, op. cit., pag. 219.


358 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

me della petizione al momento in cui presumibilmente le sarà sottoposto<br />

il richiamato provvedimento legislativo governativo; in caso contrario<br />

(qualora la presentazione del disegno di legge rientri nelle funzioni discrezionali<br />

del Governo ovvero la petizione si limiti ad esporre « comuni<br />

necessità »), la Commissione ne riferisce alla Camera in modo autonomo.<br />

Può, infine, presentarsi la ipotesi di una petizione che chiede l'abrogazione<br />

di una legge esistente: si ritiene che la Commissione, nel riferire all'Assemblea,<br />

debba necessariamente proporre la reiezione della petizione<br />

medesima, trattandosi di materia per la quale la Costituzione ha previsto<br />

l'istituto del referendum abrogativo. Le conclusioni dell'esame delle<br />

petizioni da parte delle Commissioni non possono, comunque, in linea<br />

di massima, che prevedere: a) il passaggio all'ordine del giorno, che<br />

equivale alla reiezione della petizione; b) la presa in considerazione della<br />

petizione e la sua trasmissione al Ministro competente, perché predisponga<br />

gli opportuni accertamenti; e) la trasmissione della petizione agli<br />

archivi per essere presa in considerazione a tempo opportuno (110).<br />

L'esame dei decreti registrati con riserva dalla Corte dei conti - che,<br />

a norma di legge, devono essere periodicamente presentati al Parlamento<br />

- è compiuto dalle Commissioni secondo la sfera di rispettiva<br />

competenza, e dovrebbe essere concluso entro un mese dall'awenuta<br />

trasmissione da parte della Presidenza (art. 43 Reg.).<br />

Un discorso a parte merita l'esame delle relazioni che la Corte dei<br />

conti - a' termini dell'art. 100 Cost. e della legge 21 marzo 1958, n. 259 -<br />

è tenuta a presentare al Parlamento sulla gestione finanziaria degli « enti<br />

a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria ». Un interessante esperimento,<br />

ricco di spunti costruttivi, è stato introdotto da parte del Senato per avviare<br />

un tentativo di istituzionalizzare l'esame da parte del Parlamento<br />

del riscontro contabile effettuato dalla Corte, inquadrandolo nella più<br />

ampia sfera del controllo sulla gestione della finanza pubblica e, quindi,<br />

nella funzione ispettiva propria delle Camere. Il Senato ha adottato in<br />

via sperimentale una procedura « decentrata », analoga a quella regolamentarmente<br />

stabilita per l'esame del bilancio di previsione dello<br />

Stato: le relazioni della Corte sono cioè preliminarmente esaminate dalle<br />

singole Commissioni permanenti, secondo la rispettiva competenza per<br />

materia, al fine di predisporre, su ciascun documento, un « rapporto »<br />

da trasmettere alla Commissione finanze e tesoro; quest'ultima procede,<br />

quindi, ad un esame generale di tutta la materia, in connessione con il<br />

(110) R. ASTRALDI-F. COSENTINO, op. cit., pag. 220.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 359<br />

dibattito sul bilancio dello Stato, presentando una relazione conclusiva<br />

all'Assemblea (111).<br />

Alla Camera, invece, all'inizio della IV legislatura si adottò una procedura<br />

opposta, intesa ad accentrare l'esame delle relazioni della Corte<br />

presso la Commissione bilancio, che al riguardo aveva anche proceduto<br />

alla istituzione di una apposita Sottocommissione (il cui erede diretto<br />

dovrebbe risultare ora il Comitato per il controllo finanziario). L'esperimento,<br />

tuttavia, non ebbe seguito. Anzi, nell'unica occasione in cui<br />

la Camera si occupò dell'esame di una relazione della Corte (quella sulla<br />

gestione dell'O.N.M.L), si diede vita ad un tentativo di « concorso di<br />

competenza » tra la Commissione bilancio e la Commissione competente<br />

per materia (Sanità), in quanto l'esame fu compiuto dalle richiamate<br />

Commissioni in seduta congiunta (112). Ma l'idea fu poi completamente<br />

abbandonata, sicché non può non condividersi l'opinione di chi autorevolmente<br />

ha di recente prospettato la convenienza di una suddivisione,<br />

anche funzionale, di competenze tra i due rami del Parlamento,<br />

lasciando al Senato di « specializzarsi » nel controllo delle relazioni della<br />

Corte dei conti e concentrando nella Camera i dibattiti più specificamente<br />

e spiccatamente politici.<br />

Dell'attività consultiva svolta dalle Commissioni investite dell'esame<br />

dei progetti di legge per la espressione di un parere alla Commissione<br />

competente in via primaria si tratterà più analiticamente nel successivo<br />

paragrafo. L'attività delle Commissioni in sede redigente, ex<br />

art. 85 Reg., verrà, invece, considerata nel capitolo successivo, giacché,<br />

se non può parlarsi di poteri deliberanti, si deve pur riconoscere che alla<br />

Commissione spetta un potere referente, ma ad effetti rinforzati (113).<br />

Restano da illustrare le funzioni svolte dalle Commissioni in sede<br />

politica. La notevole mole di lavoro loro affidato comporta l'esigenza<br />

(111) D dibattito in Assemblea si è poi concluso nel 1967 con l'approvazione<br />

di un ordine del giorno proposto dalla stessa Commissione finanze e tesoro, con il<br />

quale, dopo un invito rivolto al Governo per adottare idonee iniziative volte ad una<br />

migliore gestione della spesa pubblica, veniva riaffermato il principio « che le Commissioni<br />

permanenti possono concorrere direttamente al sindacato politico sulla gestione<br />

dei singoli enti», e si dava infine mandato alla Presidenza di investire della<br />

materia la Giunta del Reg. Cfr. Atti parlamentari, Senato della Repubblica, IV legislatura,<br />

Doc. 29-A e sedute del 14, 15, 16 e 17 novembre 1967.<br />

(112) Cfr. Atti parlamentari, Camera dei deputati, Bollettino delle Giunte e delle<br />

Commissioni permanenti, sedute delle Commissioni riunite V e XTV del 1°, 14 e 28<br />

ottobre 1964. D dibattito si concluse con il conferimento ai due relatori dell'incarico<br />

di predisporre una relazione scritta per l'Assemblea, sulla base delle risultanze emerse<br />

nel corso della discussione e con la riserva del Presidente delle Commissioni riunite<br />

di interpellare il Presidente della Camera circa la procedura per l'esame in Assemblea<br />

del documento presentato dalla Corte dei conti.<br />

(113) Cosi L. ELIA, op. cit., pag. 66.


360 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

che le Commissioni, al di là di ogni limitazione regolamentare, siano<br />

poste in grado di svolgere l'attività propriamente legislativa con la massima<br />

documentazione possibile (114); inoltre, le Commissioni stesse, per<br />

la loro particolare natura tecnica e per l'ambito delle rispettive competenze,<br />

si presentano talvolta come le sedi ideali per taluni dibattiti di<br />

carattere politico su determinati settori economico-sociali ovvero su particolari<br />

situazioni di politica interna ed internazionale. Che le Commissioni<br />

dispongano di sostanziali strumenti per l'esercizio di una attività<br />

di controllo tanto nella fase di indagine pre-legislativa quanto nella fase<br />

di esecuzione delle direttive impartite in sede politica e normativa, sembra<br />

ormai fuor di dubbio (115). Il combinato disposto dei commi 5° e<br />

6 C dell'art. 38 Reg. stabilisce, in proposito, che le Commissioni possono<br />

procurarsi, dai competenti Ministeri, informazioni notizie e documenti<br />

e che hanno, altresì, facoltà di chiedere l'intervento dei ministri<br />

per domandare loro chiarimenti su questioni di amministrazione e di<br />

politica, in rapporto alla materia della loro singola competenza. Qualche<br />

dubbio resta però sulla possibilità per le Commissioni di ammettere<br />

alla loro presenza degli estranei (in particolare, funzionari dello Stato<br />

ovvero dirigenti di enti pubblici), talché si è parlato, da parte di qualche<br />

autore (116) di contatti non tanto tra la Commissione ed estranei<br />

qualificati quanto piuttosto tra questi ultimi e i membri della Commissione.<br />

È stato, comunque, ripetutamente ribadito, da parte della Presidenza<br />

della Camera, che, al momento di convocare, per attingere notizie<br />

e informazioni, funzionari dello Stato o dirigenti responsabili di enti<br />

pubblici, sia rispettato, nel modo più rigoroso, da un lato il principio<br />

della responsabilità del Governo e dei ministri di fronte al Parlamento,<br />

e dall'altro l'esigenza di procedere alle relative convocazioni con il consenso<br />

espresso, ed eventualmente per il tramite, del Ministro responsabile,<br />

al fine di evitare qualsiasi equivoco sulla volontà delle Camere di<br />

rispettare, in ogni loro manifestazione, le attribuzioni del Governo e dei<br />

ministri, regolate in modo preciso dalla Costituzione.<br />

L'attività delle Commissioni in sede politica si concreta spesso in<br />

un dibattito (che può impegnare la Commissione stessa per una o più<br />

sedute) su un determinato problema politico, che muove generalmente<br />

da una relazione introdotta da un Ministro e determina, attraverso la<br />

espressione dei vari punti di vista manifestati dai rappresentanti dei sin-<br />

(114) V. LONGI-M. STRAMACCI, Le Commissioni parlamentari, ecc., pag. 47.<br />

(115) Cfr. F. COSENTINO, // problema della produzione legislativa, ecc., pag. 11.<br />

(116) L. ELIA, op. ciu. pag. 80.


L'iter legislativo: Pesame preliminare 361<br />

goti Gruppi nel corso della discussione, la possibilità di una chiarificazione<br />

dell'indirizzo politico del Governò (117).<br />

In sede politica e dottrinale si tende ormai ad individuare questi<br />

«incontri» col termine anglo-sassone di hearings ed a suddividerli in:<br />

a) udienze legislative, quelle che hanno stretta attinenza con la funzione<br />

legislativa vera e propria esercitata dalle Commissioni e che tendono all'acquisizione<br />

di dati, informazioni, notizie, documentazioni in ordine<br />

a specifiche materie oggetto di iniziative legislative che già si trovano<br />

all'esame della Commissione medesima (ad esempio, l'incontro avvenuto<br />

in sede di Commissione bilancio con i Presidenti dell'I.R.I. e dell'E.N.I.<br />

alla vigilia di approvare per legge l'aumento dei rispettivi fondi di dotazione);<br />

b) indagini conoscitive, quelle dirette alla raccolta di dati informativi<br />

su materie che rientrano nella sfera di competenza della Commissione,<br />

ma senza alcun riferimento e senza alcuna attinenza con concrete<br />

iniziative legislative, e, se mai, per una eventuale successiva elaborazione<br />

di testi legislativi (ad esempio, l'indagine sullo stato della finanza<br />

locale in Italia).<br />

4. - Nel corso dell'esame di un progetto di legge la Commissione<br />

svolge tutte le indagini che ritenga necessarie per l'istruttoria del progetto<br />

di legge medesimo ed acquisisce via via i pareri delle altre Commissioni,<br />

cui il provvedimento è stato trasmesso dal Presidente della<br />

Camera direttamente ovvero su esplicita richiesta della stessa Commissione<br />

competente in via primaria, ovvero ancora a seguito di richiesta<br />

della Commissione che dovrà esprimere il parere. L'attività delle Commissioni<br />

così dette in sede consultiva si concreta nella espressione di un<br />

parere alla Commissione di merito su un progetto di legge che, per taluni<br />

aspetti, investe l'ambito di competenza della Commissione richiesta<br />

del parere medesimo.<br />

Come è stato ripetutamente posto in luce dal Presidente della Camera<br />

(118), il «parere» costituisce uno degli istituti più importanti e<br />

peculiari del sistema procedurale, poiché consente di risolvere ab initio<br />

il problema della assegnazione di iniziative legislative, che toccano la<br />

(117) F. MOHRHOFF, op. cit., pag. 656. V. i numerosi precedenti riportati da<br />

L. ELIA, op. cit., pag. 76, in nota, cui debbono aggiungersi le recenti esperienze delle<br />

Commissioni Interni (Indagine sullo stato della finanza locale in Italia), Industria (Rapporti<br />

tra industria e ricerca scientifica), Bilancio (Aziende a partecipazione statale) e<br />

Lavori pubblici (Indagine sullo stato di attuazione della legge 18 aprile 1962, n. 167)<br />

della Camera dei deputati.<br />

(118) Cfr. Circolari e disposizioni interpretative, ecc., cit.; in particolare pagg. 71<br />

e segg.<br />

14*.


362 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

sfera di competenza dal Regolamento delimitata per ciascuna Commissione<br />

permanente e per le quali, pertanto, la individuazione della Commissione<br />

competente in via primaria non risulti facile e chiaramente<br />

univoca.<br />

Il Regolamento stabilisce termini tassativi entro i quali i pareri<br />

debbono essere espressi: otto giorni (non computando le vacanze), ovvero<br />

tre nei casi in cui sia stata deliberata la procedura di urgenza, dalla<br />

data dell'avvenuta distribuzione degli stampati e conseguente assegnazione<br />

alle Commissioni. Le disposizioni regolamentari prevedono, tuttavia,<br />

la possibilità della richiesta di una conveniente proroga dei richiamati<br />

termini; ma le relative richieste debbono pervenire alla Commissione<br />

competente in via primaria prima che i termini medesimi risultino<br />

scaduti, perché tale scadenza fa ritenere che la Commissione investita<br />

del parere non abbia inteso avvalersi della facoltà concessale dal Regolamento,<br />

sicché un tardivo ripensamento non avrebbe alcun fondamento.<br />

La prassi, poi, in carenza di norme regolamentari al riguardo, è nel<br />

senso che la proroga del termine ordinario o ridotto si intende in ogni<br />

caso tacitamente accordata, rispettivamente per altri otto ovvero tre<br />

giorni, mentre ulteriori o più ampie proroghe potranno essere accordate<br />

di volta in volta soltanto a seguito di espressa autorizzazione e per casi<br />

assolutamente eccezionali da parte del Presidente della Camera. Se i termini<br />

decorrono senza che sia intervenuto il parere (ovvero una qualche<br />

decisione interlocutoria), la Commissione competente nel merito può liberamente<br />

procedere all'esame e all'approvazione del progetto di<br />

legge (119).<br />

Limiti ed efficacia dei pareri assumono aspetti diversi, a seconda<br />

che i provvedimenti sui quali il parere dovrà essere manifestato sono assegnati<br />

alle Commissioni in via principale in sede referente ovvero in<br />

sede legislativa. La stessa attività consultiva può definirsi, nella prima<br />

ipotesi, ausiliaria in senso atecnico, in quanto i componenti della Commissione<br />

che determina il parere sono, altresì, membri della Assemblea,<br />

alla cui deliberazione sarà successivamente e definitivamente sottoposto<br />

il progetto di legge, mentre, nella seconda ipotesi (sede legislativa) si<br />

crea una situazione di dualità tra l'organo ausiliario e l'organo princi­<br />

pi 9) Negli ultimi anni, tuttavia, si è consolidata una consuetudine secondo la<br />

quale, per i progetti di legge in materia finanziaria ovvero di rapporto di pubblico<br />

impiego, le Commissioni competenti in via primaria, soprattutto se in sede legislativa,<br />

non procedono all'esame di merito dei provvedimenti se non sia intervenuto il parere<br />

rispettivamente della Commissione bilancio e della Commissione affari costituzionali,<br />

anche se i termini risultino abbondantemente scaduti.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 363<br />

pale che contraddistingue, in modo peculiare, l'attività ausiliaria in senso<br />

proprio (120).<br />

I pareri possono essere facoltativi ovvero obbligatori, quando cioè<br />

siano espressamente previsti da norme regolamentari (conseguenze finanziarie<br />

e rapporto di pubblico impiego). Ancora i pareri obbligatori<br />

in materia finanziaria e di pubblico impiego possono avere o meno una<br />

efficacia vincolante, a seconda che siano espressi su provvedimenti in<br />

sede referente ovvero in sede legislativa : in sede referente, infatti, l'eventuale<br />

disaccordo fra due Commissioni non ha altro effetto che l'obbligo<br />

di farne menzione nella relazione per l'Aula, ovvero, per i provvedimenti<br />

di maggiore rilevanza politica, di pubblicare il parere in allegato<br />

alla relazione medesima (121); in sede legislativa, invece, l'eventuale disaccordo,<br />

ove permanga dopo due esami alternati da parte delle Commissioni<br />

interessate, può provocare (art. 40, 8° comma, Reg.), a giudizio<br />

del Presidente, il deferimento a Commissioni riunite ovvero la rimessione<br />

all'Assemblea del provvedimento (122). Una prassi recente, confermata<br />

da numerose circolari presidenziali, considera, sotto taluni<br />

aspetti, vincolanti i pareri rispettivamente manifestati dalle Commissioni<br />

affari costituzionali (pubblico impiego) e bilancio (copertura finanziaria)<br />

anche su progetti giacenti in sede referente, in quanto l'accoglimento<br />

di una eventuale richiesta di trasferimento in sede legislativa, da parte<br />

della Presidenza della Camera, è subordinato alla avvenuta espressione<br />

di un parere favorevole da parte delle richiamate Commissioni, per le<br />

materie di rispettiva competenza.<br />

Quanto alla forma ed alla motivazione del parere, l'esame « consultivo<br />

» da parte della Commissione potrà concludersi con la espressione<br />

di un parere favorevole, di un parere contrario, ovvero di un parere favorevole<br />

con osservazioni generiche ovvero ancora di un parere favorevole,<br />

ma subordinatamente all'accettazione di modifiche specifica-?<br />

mente formulate. Il parere può assumere anche un carattere interlocutorio,<br />

ad esempio manifestazione di un consenso (ovvero di un dissenso)<br />

(120) Così L. ELIA, op. cit., pag. 25.<br />

(121) La dottrina è concorde, infatti, sul principio che i pareri espressi su provvedimenti<br />

assegnati in sede referente, ancorché obbligatori, non rivestano carattere vincolante<br />

neppure per l'Assemblea.<br />

(122) Tuttavia occorre chiarire che i pareri della Commissione bilancio sono<br />

vincolanti in sede legislativa soltanto per quanto attiene alle conseguenze finanziarie,<br />

mentre le eventuali osservazioni concernenti il merito della iniziativa legislativa oggetto<br />

del parere, quali che siano l'importanza intrinseca e l'autorevolezza dell'organo che le<br />

formula, non possono spiegare effetti su altro piano all'infuori di quello meramente<br />

politico, generale e specifico (Cfr. Circolari e disposizioni interpretative, ecc. pagg. 94-95).<br />

Analoghe argomentazioni sembra debbano valere anche per i pareri della Commissione<br />

affari costituzionali in materia di rapporto di pubblico impiego.


364 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

di massima sul provvedimento, salvo specificare meglio, in un secondo<br />

momento, l'orientamento definitivo della Commissione, a seguito dell'acquisizione<br />

di ulteriori dati e chiarimenti sulla materia oggetto dell'iniziativa<br />

legislativa; è dubbio se l'intervento di un parere interlocutorio<br />

sia sufficiente a riaprire i termini regolamentari per l'espressione<br />

del parere, posto che la Commissione, attraverso la decisione interlocutoria,<br />

ha già manifestato la propria volontà di adottare una qualche deliberazione<br />

in ordine al progetto di legge: sembra debba escludersi, tuttavia,<br />

la possibilità di considerare una nuova decorrenza di termini,<br />

tranne che non si tratti di pareri vincolanti, poiché il parere interlocutorio<br />

manifesta già di per sé qual è l'orientamento di massima della Commissione<br />

(se contrario dovrebbe escludere la possibilità di procedere).<br />

Il problema della riapertura dei termini è stato anche posto in rapporto<br />

alla presentazione di emendamenti in materia finanziaria (e, per<br />

analogia, in materia di pubblico impiego). Il Regolamento opera una<br />

netta distinzione: a) nel caso di emendamenti finanziari su progetti di<br />

legge non precedentemente assegnati alla Commissione bilancio, i termini<br />

decorrono dal giorno della trasmissione degli emendamenti medesimi;<br />

b) nel caso di emendamenti finanziari su iniziative legislative, già<br />

assegnate per il parere alla Commissione bilancio, per evidenti intenti<br />

antiostruzionistici, è previsto che non abbiano a decorrere nuovi termini<br />

(anche se, di fatto, si ritiene di dover pur sempre consentire un congruo<br />

lasso di tempo alla Commissione per esaminare detti emendamenti<br />

e, quindi, manifestare il proprio parere).<br />

Nel complesso della funzione legislativa, e della funzione « consultiva<br />

» in modo particolare, un posto di primo piano va assumendo l'attività<br />

svolta dalla Commissione bilancio in ordine alla espressione di<br />

pareri sulle conseguenze finanziarie implicate da ciascuna iniziativa legislativa<br />

(123).<br />

Nell'esercizio di tale attività la Commissione (124) svolge una funzione<br />

prevalentemente tecnica, non disgiunta, tuttavia, da una certa va-<br />

(123) L'art. 81, ultimo comma, Cost. dispone, al riguardo, che ogni (altra) legge<br />

che importi nuove o maggiori spese deve indicarne i mezzi per farvi fronte. Sono noti<br />

i problemi connessi con l'interpretazione di tale vincolo costituzionale, né il legislatore<br />

in questi vent'anni è ancora riuscito ad individuare idonee e adeguate soluzioni.<br />

(124) Alla Camera, a seguito dello sdoppiamento, avvenuto nel 1958, della vecchia<br />

Commissione finanze e tesoro in due Commissioni distinte, la Commissione finanze<br />

e tesoro e la Commissione bilancio, quest'ultima, alleggerita dal peso di una quotidiana<br />

e minuta produzione legislativa, ha potuto dedicarsi in modo particolare e penetrante<br />

all'esame dei pareri sulle «conseguenze finanziarie», diversamente da quanto si verifica<br />

al Senato ove la stessa funzione di parere è svolta dalla Commissione (finanze e tesoro)<br />

in via meno formale e all'infuori di ogni dibattito.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 365<br />

lutazione politica della scelta di spesa di volta in volta operata (vedi<br />

oltre). Per una migliore organizzazione dei propri lavori, la Commissione<br />

è stata ristrutturata, articolando le vecchie Sottocommissioni (125),<br />

aventi una sfera di rispettiva competenza limitata a taluni settori della<br />

pubblica amministrazione, in quattro Comitati e più precisamente (126):<br />

a) un più ampio ed unico Comitato per l'espressione di pareri<br />

sulle conseguenze finanziarie. Tale Comitato esercita le attribuzioni proprie<br />

della Commissione in materia di riscontro dell'indicazione di copertura<br />

finanziaria per le singole iniziative legislative, salvo restando il<br />

diritto di ciascun membro della Commissione (ma non del Governo, secondo<br />

l'opinione prevalente) di richiedere il riesame dei pareri espressi<br />

dal Comitato in sede di Commissione plenaria, ovvero anche di richiedere<br />

che singoli provvedimenti (per la loro rilevante portata finanziaria<br />

o per il particolare meccanismo di reperimento dei mezzi di copertura)<br />

siano direttamente esaminati in sede plenaria, a' termini di quanto disposto<br />

dal secondo comma dell'art. 30 Reg. Tale disposizione, infatti,<br />

sulla base della quale è stato anche possibile procedere alla vecchia e<br />

alla nuova articolazione della Commissione bilancio (127), prevede che<br />

le relazioni (e quindi le deliberazioni) di ciascuna Sottocommissione (o<br />

Comitato) - nelle quali eventualmente si suddivide la Commissione -<br />

sono ritenute approvate a meno che, entro due giorni dalla loro distribuzione<br />

a tutti i membri della Commissione, questi ultimi richiedano<br />

e che siano sottoposte alla deliberazione della Commissione plenaria ».<br />

Tale nuova strutturazione ha consentito, da un lato, di decongestionare<br />

la Commissione dall'impegno sempre incalzante di esaminare parecchie<br />

decine di iniziative legislative per settimana e, dall'altro, di corrispondere<br />

con una maggiore tempestività alle richieste di pareri, sì da non ritardare<br />

il lavoro legislativo svolto dalle altre Commissioni;<br />

b) un Comitato competente in materia di controllo finanziario,<br />

con funzioni istruttorie e cognitive in materia di rendiconti dell'Ammi-<br />

(125) L'esperienza quasi decennale aveva dimostrato l'inadeguatezza del sistema<br />

delle sottocommissioni per due ordini di ragioni: anzitutto perché ciascuna delle 4 sottocommissioni<br />

era composta da un numero di commissari assai ristretto, rendendo per<br />

questo verso assai difficile, aleatorio e fittizio l'esercizio di un razionale e responsabile<br />

controllo sulle iniziative di spesa; in secondo luogo, perché la pluralità dei collegi chiamati<br />

a pronunziarsi comportava una varietà di interpretazioni e di valutazioni spesse<br />

volte addirittura in contrasto tra di loro.<br />

(126) L'idea della nuova articolazione della Commissione fu affacciata per la<br />

prima volta nel memorandum La Malfa (luglio 1965) sui problemi di competenza, di<br />

struttura e di organizzazione della Commissione bilancio.<br />

(127) «Le Commissioni che abbiano competenza su diversi rami di amministrazione<br />

possono dividersi in Sottocommissioni relativamente a ciascuno di essi... ».


366 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

lustrazione dello Stato, dì relazioni della Corte dei conti sugli enti a cui<br />

lo Stato contribuisce in via ordinaria e di altri provvedimenti che più<br />

direttamente attengono alla gestione del bilancio (128);<br />

e) un Comitato per la programmazione con il compito di raccogliere,<br />

selezionare ed organizzare dati e documenti tanto per quel che<br />

concerne le analisi, le proiezioni, le valutazioni e le indagini sulla base<br />

delle quali si vengono elaborando le scelte e gli obiettivi del programma,<br />

quanto per quel che riguarda l'evoluzione dello sviluppo socio-economico<br />

e la sua coerenza (o divergenza) con le previsioni e le linee direttive contenute<br />

nel programma medesimo;<br />

d) un Comitato per le partecipazioni statali con funzioni cognitive<br />

e di controllo dei singoli settori, di singole situazioni di gruppo o di<br />

azienda, al fine di riportare quanto più e quanto più consapevolmente in<br />

Parlamento le decisioni e le scelte maggiormente rilevanti e qualificanti<br />

nel settore dell'intervento pubblico in economia.<br />

Una volta delineata la nuova struttura organizzativa della Commissione<br />

bilancio, sembra opportuno soffermarsi brevemente sui limiti della<br />

sua competenza in materia di pareri finanziari (129), avvertendo che<br />

(128) H Comitato ha proceduto (TV legisl.) alla istruttoria per la Commissione<br />

plenaria non solo di una serie di rendiconti relativi ad esercizi finanziari pregressi<br />

(dal 1959-60 al secondo semestre 1964), ma anche di numerose convalidazioni di decreti<br />

presidenziali di prelevamenti dal fondo di riserva per le spese impreviste, nonché di<br />

provvedimenti a sanatoria di impegni di spesa, assunti in precedenti esercizi finanziari,<br />

in eccedenza agli stanziamenti iscrìtti sui competenti capitoli di bilancio. È stata anche<br />

prospettata l'ipotesi di affidare al Comitato - analogamente a quanto avviene per il<br />

Comitato pareri - l'incarico di valutare e definire direttamente i provvedimenti sottopostigli<br />

e, quindi, di predisporre relazioni da inoltrare all'Assemblea, salvo eventuale,<br />

espresso appello in Commissione plenaria, ai sensi del richiamato secondo comma<br />

dell'art. 30 Reg.<br />

(129) Una sorta di casistica delle motivazioni che accompagnano le deliberazioni<br />

della Commissione bilancio è stata prospettata da F. MOHRHOFF, La funzione<br />

consultiva nel diritto pubblico, Roma 1962, pag. 90 e segg. A) I pareri favorevoli non<br />

sono per lo più motivati. Soltanto per talune iniziative legislative, per le quali potrebbero<br />

essere adombrate conseguenze finanziarie, il parere favorevole è accompagnato da<br />

una più o meno breve motivazione che esclude l'esistenza di oneri diretti o indiretti<br />

a carico del bilancio dello Stato ovvero fa riferimento alla trascurabile entità della maggiore<br />

spesa implicata fronteggiabile con i normali stanziamenti di bilancio. Talvolta il<br />

parere favorevole è accompagnato da più o meno ampie osservazioni che riflettono le<br />

perplessità sorte nel corso dell'esame: sono osservazioni relative al merito del progetto<br />

di legge esaminato (ed allora assumono la veste di raccomandazioni o suggerimenti),<br />

ovvero all'entità della spesa oggetto del provvedimento (ritenuta esigua o eccessiva, con<br />

conseguenti proposte di aumento o di contenimento), ovvero ancora al meccanismo di<br />

reperimento dei fondi (copertura finanziaria di una spesa corrente assicurata mediante<br />

ricorso all'indebitamento ; storni di somme che per la loro destinazione economica<br />

appartengono alla categoria dell'acquisto di beni e servizi in favore di voci di spesa<br />

per il personale con conseguente ampliamento della parte rigida del bilancio e peggioramento<br />

nella qualificazione della spesa pubblica ; riduzioni di capitoli di bilancio non<br />

ancora approvati dal Parlamento; ricorso ad entrate provenienti da gestioni fuori bilan-


L'iter legislativo: l'esame preliminare 367<br />

l'espressione usata dal Regolamento « parere sulle conseguenze finanziarie<br />

» ha fatto sorgere una serie di quesiti e di interrogativi circa l'esatta<br />

portata e l'ambito nel quale deve essere contenuto l'esame e la successiva<br />

deliberazione da parte della Commissione. Si è, così, evidenziata<br />

l'esigenza di sottrarre ad oscillazioni ed incertezze l'ambito di competenza<br />

della Commissione e conseguentemente si è tentato di definire<br />

orientamenti e criteri cui ispirare le valutazioni e i pareri che la Commissione<br />

è chiamata ad esprimere. Quest'ultima ha in più occasioni ribadito<br />

il principio secondo cui, nell'esercizio della propria competenza<br />

in materia di pareri sulle conseguenze finanziarie, la Commissione non<br />

può limitare e restringere la propria funzione ad un mero riscontro di<br />

copertura, ma deve, invece, estendere il proprio esame ad un apprezzamento<br />

e ad una valutazione della scelta di spesa implicata da ciascuna<br />

iniziativa legislativa considerata ed anche - dopo l'avvenuta approvazione<br />

per legge del piano - della sua coerenza con le linee direttive e<br />

con gli obiettivi contenuti nel programma quinquennale di sviluppo economico,<br />

sempre restando, comunque, entro i limiti della propria competenza<br />

e quindi al di qua delle considerazioni di merito, cioè dei conte-<br />

ciò). B) I pareri favorevoli possono essere subordinati a certe condizioni, quali ad<br />

esempio il preventivo perfezionamento dei provvedimenti di entrata, a carico dei quali<br />

risulta assicurata la copertura dell'onere implicato dal progetto di legge in esame, al<br />

fine di assicurare preventivamente l'introito delle attese maggiori entrate prima di dar<br />

corso ai provvedimenti di spesa che da tali entrate devono risultare finanziati; altre<br />

volte il parere è condizionato ad un conveniente ed adeguato aggiornamento della indicazione<br />

di copertura, poiché - tranne il caso degli stanziamenti del fondo globale,<br />

utilizzabili anche nell'esercizio finanziario successivo a quello di iscrizione in bilancio -<br />

il riferimento a capitoli di bilancio di esercizi scaduti non risulta più valido, giacché<br />

la legge di contabilità generale dello Stato dispone che siano portate in economia le<br />

somme non tempestivamente impegnate al termine dell'anno finanziario. Q I pareri<br />

contrari, invece, risultano sempre più o meno succintamente motivati. L'orientamento<br />

negativo della Commissione deriva per lo più dalla constatazione di carenza assoluta<br />

di copertura finanziaria ovvero della esistenza di una indicazione di copertura ritenuta<br />

peraltro non adeguata, come, ad esempio, il riferimento generico ai normali stanziamenti<br />

di bilancio, senza contestualmente individuare la fonte di eventuali integrazioni<br />

ovvero la possibilità di riduzioni di altre spese a compenso; il richiamo di specifici<br />

capitoli di bilancio, senza che risulti dimostrata la possibilità dei relativi stanziamenti<br />

di sopportare la nuova spesa non conteggiata al momento della predisposizione delle<br />

previsioni di bilancio ; il riferimento al fondo globale, senza che su detto fondo risulti<br />

disposto alcun accantonamento al riguardo; il richiamo di maggiori entrate da provvedimenti<br />

fiscali, già interamente utilizzate per il finanziamento di altre leggi di spesa,<br />

ecc. D) Talvolta la Commissione emette pareri interlocutori: ad esempio, esprime<br />

consenso con un progetto di legge in esame e manifesta taluni criteri di massima per<br />

quanto attiene le conseguenze finanziarie, ma rinvia la definizione del parere, invitando<br />

al tempo stesso la Commissione di merito a procedere ad un esame preliminare del<br />

provvedimento sulla base delle osservazioni manifestate e ad elaborare un nuovo testo,<br />

sul quale più opportunamente interverrà, in un secondo momento, il parere definitivo<br />

della Commissione bilancio.


368 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

miti e delle articolazioni normative proposte e senza pregiudizio, pertanto,<br />

dell'esame della Commissione competente in via primaria (130).<br />

A seguito della nota sentenza n. 1/1966 della Corte costituzionale,<br />

è sorto il problema di come ottemperare all'obbligo della copertura richiesto<br />

per le spese a carico di esercizi futuri (131), obbligo che deve<br />

necessariamente essere riferito sia alle nuove spese correnti, sia alle<br />

spese pluriennali di investimento; per quanto riguarda la legislazione di<br />

spesa pluriennale, sembra potersi condividere la soluzione - prospettata<br />

dalla stessa Corte nella richiamata sentenza (132) - di raccordare il riscontro<br />

« non rigoroso » di copertura con gli obiettivi, le scelte, le previsioni,<br />

l'equilibrio economico-finanziario, quale risulta dal programma<br />

quinquennale. Più concretamente, potrebbe essere considerata soddisfacente<br />

l'ipotesi di una legge pluriennale di spesa ad andamento non crescente,<br />

con copertura assicurata per il primo esercizio sul fondo globale<br />

ovvero con nuove entrate da fiscalità contestualmente e contemporaneamente<br />

disposte, sempre che si tratti di entrate ricorrenti almeno tanto<br />

quanto le spese. Sembra, invece, non potersi condividere la prassi finora<br />

seguita in numerosissime occasioni di esprimere un orientamento favorevole<br />

su iniziative legislative pluriennali di spesa ad oneri crescenti e<br />

con copertura limitata ad una prima, minore tronche (133).<br />

Altre questioni si agitano sulla portata delle « conseguenze finanziarie<br />

». La Commissione ha reiteratamente sostenuto che la valutazione<br />

delle conseguenze finanziarie implicate da un progetto di legge e del rap-<br />

(130) Cfr. G. M., La Commissione Bilancio può anche valutare, in eia Discussione<br />

», 1967, n. 29, pag. 10.<br />

(131) Cfr. per i precedenti, M. STRAMACCI, Contributo alla interpretazione dell'art.<br />

81 della Costituzione, in « Rassegna parlamentare » 1959, pag. 183 e segg.<br />

(132) La sentenza della Corte precisa : « L'obbligo [della copertura] va osservato<br />

con puntualità rigorosa nei confronti di spese, che incidano sopra un esercizio in<br />

corso, per il quale è stato consacrato con l'approvazione del Parlamento un equilibrio...<br />

tra entrate e spese, nell'ambito di una visione generale dello sviluppo economico del<br />

Paese e della situazione finanziaria dello Stato. È altresì evidente che una puntualità<br />

altrettanto rigorosa per la natura stessa delle cose non è richiesta dalla ratio della<br />

norma per gli esercizi futuri... Si deve pertanto ammettere la possibilità di ricorrere,<br />

nei confronti della copertura di spese future, oltre che ai mezzi consueti, quali nuovi<br />

tributi o l'inasprimento di tributi esistenti, la riduzione di spese già autorizzate, l'accertamento<br />

formale di nuove entrate, l'emissione di prestiti e via enumerando, anche alla<br />

previsione di maggiori entrate tutte le volte che essa si dimostri sufficientemente sicura,<br />

non arbitraria o irrazionale, in un equilibrato rapporto con le spese che si intende effettuare<br />

negli esercizi futuri, e non in contraddizione con le previsioni del medesimo<br />

Governo, quali risultano dalla relazione sulla situazione economica del Paese e dal<br />

programma di sviluppo... ».<br />

(133) Un apposito Comitato interparlamentare (Paratore-Medici) è stato incaricato<br />

di apprezzare e definire le conseguenze implicate dalla sentenza n. 1/1966 della<br />

Corte costituzionale: nella seduta dell'8 marzo 1968 è stato comunicato il rapporto<br />

conclusivo. Cfr. Atti parlamentari, Camera dei deputati, seduta dell'8 marzo 1968,<br />

pag. 45097 e segg.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 369<br />

porto tra oneri e copertura relativa deve necessariamente estendersi a<br />

considerare anche gli effetti indiretti del provvedimento sul piano economico<br />

e nel quadro dell'equilibrio generale del programma: può ben<br />

affidarsi, quindi, la compensazione di minori entrate (o maggiori spese)<br />

ad un meccanismo che non risulta direttamente entro la sfera del bilancio<br />

dello Stato, ma soggetto alle ripercussioni indotte sul sistema economico<br />

operate dal provvedimento considerato; così può ben ritenersi<br />

la legittimità di una esenzione fiscale, ovvero della moderazione di<br />

un'aliquota tributaria capace di incentivare la produzione in un determinato<br />

settore economico ovvero di allargare la base imponibile al<br />

punto da non provocare alcuna contrazione del gettito per l'erario o addirittura<br />

da consentire un aumento delle entrate tributarie. Per altro<br />

verso, le leggi di spesa fronteggiate con mutui a carico del bilancio dello<br />

Stato e il cui ammortamento ricade su esercizi futuri dovrebbero, quanto<br />

meno, programmare tale ammortamento ed indicare una sia pur non<br />

rigorosa copertura finanziaria. Non insorgerebbero, invece, problemi di<br />

copertura nei confronti di un'iniziativa legislativa che disponga o autorizzi<br />

la garanzia dello Stato ai fini di determinate operazioni finanziarie,<br />

nemmeno per quella eventuale quota di assicurazione del rischio cui lo<br />

Stato si espone. L'indicazione di copertura dovrebbe, poi, essere estesa<br />

anche a fronte delle maggiori spese implicate a carico di enti o gestioni<br />

pubbliche, a questi assicurando, con lo stesso meccanismo legislativo,<br />

compensi e ristorni che salvaguardino l'equilibrio di quelle gestioni.<br />

Assai contrastata, infine, risulta la questione relativa all'utilizzo<br />

delle somme accantonate sul fondo globale. Da parte del Governo e della<br />

maggioranza è stata sempre sostenuta la tesi che gli elenchi annessi al<br />

bilancio di previsione (che specificano i provvedimenti legislativi in<br />

corso, e quindi le singole destinazioni di spesa) non rappresentano un<br />

vincolo legislativamente prefissato - tanto è vero che gli elenchi medesimi<br />

non sono sottoposti a votazione - ma si presentano come scelte relative<br />

ad un programma legislativo di spesa da parte della maggioranza<br />

parlamentare e possono, quindi, da quest'ultima sempre esser modificati<br />

nelle loro determinazioni; accedendo a tale tesi, il parere, espresso<br />

dalla Commissione bilancio su ciascuna iniziativa legislativa che al fondo<br />

globale faccia riferimento per la copertura, acquisterebbe la natura non<br />

di un semplice riscontro dell'avvenuta e tempestiva iscrizione della corrispondente<br />

voce di spesa nei richiamati elenchi, ma di una vera e<br />

propria « scelta » di spesa, che può avvenire o meno in coerenza con<br />

l'iniziale proposito indicato in quegli elenchi. Del resto, la necessità dell'indicazione<br />

di copertura per ogni legge di spesa discende direttamente


370 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

dal disposto dell'articolo 81 della Costituzione, sicché ogni provvedimento<br />

che importi nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello<br />

Stato deve indicare « esplicitamente » i mezzi finanziari per fronteggiare<br />

la spesa implicata: questo è il presupposto giurìdico necessario per collegare<br />

tale nuova spesa con la copertura accantonata sul fondo globale<br />

e senza il quale mancherebbe titolo per operare la riduzione del fondo<br />

medesimo e l'istituzione del nuovo capitolo di spesa. A conferma di ciò,<br />

basti ricordare - come si è detto - che l'elenco che specifica le destinazioni<br />

disposte sul fondo globale non costituisce parte integrante del testo<br />

legislativo ed è, quindi, incapace di porre vincoli e raccordi tra spesa<br />

e copertura, richiesti dalla norma costituzionale.<br />

Carattere vincolante rivestono anche, come si è detto, i pareri resi<br />

dalla Commissione affari costituzionali in materia di rapporto di pubblico<br />

impiego. L'attività in sede di pareri della I Commissione, tuttavia,<br />

non è paragonabile, per mole di lavoro, a quella svolta dalla Commissione<br />

bilancio in materia di pareri finanziari, poiché nel caso della Commissione<br />

affari costituzionali la funzione consultiva viene, nella maggior<br />

parte dei casi, ad essere assorbita dalla competenza primaria della Commissione<br />

stessa, cui vengono assegnate tutte le iniziative legislative che,<br />

comunque, interessino la disciplina giuridica dei pubblici dipendenti;<br />

ciò è confermato dal fatto che, quando la Commissione è investita dell'esame<br />

di un progetto di legge per la espressione del parere, quest'ultimo<br />

è reso in sede plenaria dalla Commissione medesima, che non ha ritenuto<br />

di delegare tale facoltà ad apposita sottocommissione o comitato (così<br />

come, invece, è stato operato, oltre che dalla Commissione bilancio, anche<br />

dalla Commissione giustizia). Mentre il carattere vincolante dei pareri<br />

finanziari discende direttamente dal disposto costituzionale, quello<br />

per i pareri in materia di pubblico impiego deriva dalla necessità, avvertita<br />

dalla Camera, all'inizio della III legislatura, di inquadrare i singoli problemi<br />

relativi all'assetto dei pubblici dipendenti in una visione globale ed<br />

organica di tutta l'organizzazione dello Stato, e della pubblica amministrazione<br />

in particolare (134). Sicché un parere finanziario disatteso dalla<br />

Commissione primaria in sede legislativa ovvero anche dall'Assemblea<br />

può avere come conseguenza (oltre l'eventuale rinvio presidenziale alle<br />

Camere del provvedimento prima della sua promulgazione) l'impugnazione<br />

della legge dinanzi alla Corte costituzionale per violazione del<br />

(134) Il parere vincolante in materia di pubblico impiego era stato concepito<br />

originariamente come un mezzo, uno sbarramento, una diga per impedire la proliferazione<br />

indiscriminata di provvedimenti legislativi in un settore così delicato, quale<br />

quello degli impiegati statali, nel quale le sollecitazioni, da parte delle categorie interessate,<br />

si avvertono con intensità e frequenza assai maggiori che in qualsiasi altro.


L'iter legislativo: l'esame preliminare 371<br />

vincolo posto dall'art. 81 Cost; qualora, invece, risulti disatteso un parere<br />

in materia di rapporto di pubblico impiego, nessuna impugnativa<br />

sarebbe possibile, in base al noto principio della insindacabilità degli<br />

interna corporis.<br />

Il dibattito su un determinato provvedimento sul quale la Commissione<br />

è chiamata ad esprimere il proprio parere deve risultare rapido e<br />

contenuto, dati i rigorosi e ristretti limiti di tempo entro i quali la Commissione<br />

deve concludere i propri lavori. L'esame è introdotto da una<br />

breve esposizione del Relatore, cui seguono gli interventi dei membri<br />

della Commissione - generalmente un rappresentante per ogni gruppo<br />

politico presente -; replica quindi lo stesso Relatore ed il rappresentante<br />

del Governo (la cui presenza, per altro, così come nelle Commissioni in<br />

sede referente, non è obbligatoria, anche se un'elementare norma di correttezza<br />

e di opportunità consiglia di non adottare decisioni senza conoscere,<br />

al riguardo, l'atteggiamento dell'Esecutivo). 11 Presidente, quindi,<br />

pone in votazione le conclusioni del Relatore, nonché gli eventuali emendamenti<br />

a dette conclusioni, secondo il criterio generale della priorità<br />

per la votazione degli emendamenti più lontani dalle conclusioni stesse.<br />

La Commissione, all'atto della deliberazione del parere, può anche conferire<br />

mandato al Relatore di illustrare oralmente il parere medesimo in<br />

sede di Commissione competente in via primaria, soprattutto quando<br />

si tratti di riferire e meglio chiarire i diversi punti di vista emersi nel<br />

corso del dibattito presso la Commissione in sede consultiva.<br />

Nella maggior parte dei casi il parere viene redatto per iscritto e<br />

successivamente trasmesso alla Commissione di merito. Per i pareri finanziari<br />

una norma regolamentare - peraltro desueta - precisa che, soltanto<br />

nel caso di a parere di pura forma e di scarso rilievo », questo<br />

potrà essere inoltrato per iscrìtto; altrimenti il Presidente della Commissione<br />

bilancio prenderà gli opportuni accordi con il Presidente della<br />

Commissione competente in via primaria per intervenire, o farsi rappresentare<br />

dall'estensore del parere, in seno a questa per illustrare i motivi<br />

del parere medesimo (135). Anche se nessuna norma esiste, al riguardo,<br />

nel Regolamento, si deve ritenere possibile la presentazione e<br />

(135) Assai spesso, per accelerare i lavori delle Commissioni, si ricorre all'espediente<br />

della comunicazione verbale, quando si tratti di un parere favorevole sulle<br />

conseguenze finanziarie, liberatorio cioè nei confronti del vincolo a cui è soggetta la<br />

Commissione in via principale; né può ritenersi condannabile siffatta consuetudine,<br />

anche se, così operando, rimane disattesa la norma che prescrive, per i pareri finanziari,<br />

la forma scritta e la motivazione.


372 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

trasmissione di pareri di minoranza, in contestazione con le conclusioni<br />

accolte dalla maggioranza della Commissione.<br />

Disposizioni particolari regolano l'elaborazione di pareri sugli stati<br />

di previsione dei singoli ministeri, da parte delle Commissioni permanenti<br />

per la specifica sfera di propria competenza, da trasmettere alla<br />

Commissione bilancio (136).<br />

5. - L'esame preliminare di un progetto di legge culmina nella relazione<br />

che la Commissione elabora per l'Assemblea: in genere, la relazione<br />

non è sottoposta alla preventiva deliberazione della Commissione,<br />

in quanto, nella maggior parte dei casi, il relatore riceve un mandato fiduciario<br />

di elaborare il rapporto per l'Aula, tenendo conto del dibattito<br />

svoltosi in Commissione, dei vari punti di vista emersi, nonché del testo<br />

deliberato dalla Commissione e degli eventuali motivi che hanno suggerito<br />

le modifiche rispetto al testo originariamente proposto alla Camera.<br />

H Regolamento prevede, altresì, che nella relazione sia fatta eventualmente<br />

menzione dei motivi per i quali la Commissione non abbia ritenuto<br />

di doversi attenere al parere espresso dalla Commissione bilancio<br />

(art. 31), nonché degli emendamenti o articoli aggiuntivi trasmessi<br />

da deputati non facenti parte della Commissione (art. 39); la relazione<br />

può anche riportare, in allegato, pareri espressi da altre Commissioni,<br />

qualora queste ultime esplicitamente lo richiedano. La relazione, insomma,<br />

dovrebbe sintetizzare, analizzandolo, il lavoro compiuto dalla<br />

Commissione e prospettare alla Camera le soluzioni che la Commissione<br />

ritiene più opportune e adeguate sulla materia oggetto del provvedimento.<br />

Le conclusioni della Commissione possono, per altro, portare<br />

anche alla proposta di reiezione del provvedimento esaminato, qualora<br />

la Commissione stessa ritenga che questo non debba avere seguito<br />

(137). Talora le voci discordi sollevatesi in seno alla Commissione<br />

si concretizzano in due relazioni, una di maggioranza e l'altra (o le altre)<br />

di minoranza, che possono essere entrambe prese in considerazione<br />

dall'Assemblea (ma, allora, la relazione di minoranza e le proposte in<br />

essa contenute vengono considerate come emendamenti alla relazione e<br />

alle proposte della maggioranza della Commissione). Generalmente la<br />

(136) V. oltre, capitolo IX.<br />

(137) Cfr. un caso nel quale, con relazione di maggioranza, la Commissione<br />

propose alla Camera di approvare una sospensiva, riferito da L. ELIA, op. cit., pag. 31<br />

in nota. Secondo F. MOHRHOFF, Commissione parlamentare, cit., pag. 633, la relazione<br />

avrebbe il carattere di un parere obbligatorio, ma non vincolante per l'Assemblea.


L'iter legislativo: Tesarne preliminare 373<br />

relazione di minoranza (138) viene redatta, quando il progetto di legge<br />

suscita gravi opposizioni di principio da parte della minoranza medesima<br />

(139), cioè quando il contrasto tra maggioranza e opposizione è segnatamente<br />

marcato e porta a conclusioni radicalmente opposte (140).<br />

I relatori sia di maggioranza sia di minoranza possono essere più<br />

d'uno, soprattutto quando il progetto di legge tocca materie rientranti<br />

nella sfera di competenza di più dicasteri, ovvero anche per ragioni politiche,<br />

quando, ad esempio, i relatori di maggioranza debbono rappresentare<br />

i vari gruppi parlamentari della coalizione governativa. Il Regolamento,<br />

poi, prevede che il relatore possa essere designato al di<br />

fuori dei membri della Commissione nella persona del deputato proponente<br />

della iniziativa legislativa, sulla quale si è svolto l'esame della<br />

Commissione (art. 39).<br />

Le relazioni sono, di norma, scritte (141): solo in casi eccezionali e<br />

per motivi di urgenza (ad esempio, la scadenza del termine costituzionalmente<br />

stabilito per la conversione in legge di un decreto-legge) la Camera<br />

può autorizzare la Commissione a riferire oralmente (nel qual caso il<br />

dibattito in Aula si apre con la illustrazione orale del relatore).<br />

Allegata alla relazione, la Commissione rimette, altresì, all'Assemblea,<br />

a fronte del testo originario dell'iniziativa legislativa, la nuova formulazione<br />

dell'iniziativa medesima quale risulta adottata dalla Commissione,<br />

nel caso in cui da quest'ultima siano stati introdotti emendamenti<br />

: e il testo della Commissione costituirà il « testo base » per la<br />

discussione in Assemblea, talché le proposte di riprìstino del testo iniziale<br />

sono considerate alla stregua di veri e propri emendamenti (142).<br />

Qualora, invece, l'articolato del provvedimento non risulti modificato, la<br />

relazione riprodurrà semplicemente il testo originario; il che avviene an-<br />

(138) Va rilevato che il Reg. Camera non parla di relazioni di minoranza<br />

se non a proposito dell'esame preliminare del bilancio di previsione dello Stato (art. 32):<br />

ciò nonostante, la redazione e la presentazione di relazioni di minoranza fu sempre<br />

ammessa, anche su provvedimenti diversi dal bilancio (Cfr. U. GALEOTTI, op. cit.,<br />

pag. 231); come pure ammessa fu la proposizione alla Camera di un controprogetto<br />

contrapposto a quello della Commissione (Cfr. M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit.,<br />

pag. 243).<br />

039) R. ASTRALDI-F. COSENTINO, op. cit., pag. 133.<br />

(140) V. LONGI-M. STRAMACCI, // Regolamento delia Camera, ecc., pag. 69.<br />

(141) L. ELIA, op. cit., pagg. 32-33, rileva come, sebbene la relazione non sia<br />

prevista dall'art. 72 della Costituzione (che si limita a prescrivere l'esame preliminare<br />

della Commissione), la relazione medesima è l'unico strumento attraverso il quale la<br />

Commissione può informare l'Assemblea dell'esame compiuto e delle proposte, al<br />

riguardo, formulate.<br />

(142) V. LONGI-M. STRAMACCI, // Regolamento della Camera, ecc., pag. 69.


374 L'iter legislativo: Tesarne preliminare<br />

che nel caso in cui la Commissione abbia deliberato di proporre alla<br />

Camera la reiezione del progetto di legge. Nel caso in cui la Commissione<br />

abbia esaminato più progetti di legge « abbinati », questi ultimi<br />

dovranno tutti essere allegati alla relazione, e, a fronte degli originari<br />

progetti, risulterà stampato il testo adottato dalla Commissione; se, invece,<br />

come spesso accade, la Commissione avrà deliberato preliminarmente<br />

la scelta di un testo base, sul quale ha successivamente svolto<br />

il proprio esame, il « testo base », riprodotto nella formulazione originaria,<br />

avrà a fronte il testo della Commissione e, quindi, saranno stampati<br />

gli altri progetti di legge che la Commissione ha contestualmente<br />

esaminato. Può verificarsi anche il caso che la Commissione presenti<br />

un'unica relazione su due o più provvedimenti: ciò accade quando la<br />

Commissione esamina « congiuntamente » progetti di legge vertenti su<br />

materia analoga (ad esempio due provvedimenti di variazioni al bilancio<br />

ovvero più disegni di legge di convalidazione di altrettanti decreti<br />

presidenziali di prelevamento di somme dal fondo di riserva per le spese<br />

impreviste); in tale ipotesi, le conclusioni della Commissione possono<br />

benissimo essere condensate in un unico documento, al quale saranno<br />

allegati, uno dopo l'altro, i provvedimenti esaminati congiuntamente ed<br />

a fronte il testo rispettivamente proposto dalla Commissione.<br />

L'esame preliminare di una iniziativa legislativa da parte della<br />

Commissione in sede referente, che si è descritto nei paragrafi che precedono,<br />

non si esaurisce, tuttavia, con lo stadio preparatorio della discussione<br />

della iniziativa legislativa medesima che avrà poi luogo davanti<br />

all'Assemblea, poiché - oltre all'eventuale successivo esame degli<br />

emendamenti presentati in Aula, nonché al coordinamento del testo approvato,<br />

di cui diremo appresso - tale stadio può avere motivo di essere<br />

ripreso dalla Commissione nei seguenti casi: a) quando il progetto di<br />

legge torni alla Camera per essere stato modificato dal Senato; in questa<br />

ipotesi, l'esame, di norma, dovrà essere limitato alle modifiche apportate<br />

dall'altro ramo del Parlamento, poiché nuovi emendamenti potranno<br />

essere presi in considerazione solo se si trovino in correlazione con gli<br />

emendamenti introdotti dal Senato (Reg., art. 67); b) quando si tratti di<br />

un progetto di legge costituzionale, che, a norma dell'art. 138 Cost, deve<br />

essere sottoposto a due deliberazioni da parte di ciascuna Camera: in<br />

sede di seconda deliberazione, la Commissione riesamina il progetto soltanto<br />

nel suo complesso (Reg., art. 107-fer); e) quando un nuovo esame<br />

del progetto di legge sia richiesto dal Presidente della Repubblica, a<br />

norma dell'art. 74 Cost.: nella prassi, poi, si è convenuto di deferire


L'iter legislativo: Tesarne preliminare 375<br />

il nuovo esame stesso all'Assemblea, anche se la prima approvazione<br />

sia avvenuta in sede di Commissione legislativa (143).<br />

Le relazioni devono essere presentate entro due mesi, non computando<br />

in questo termine le vacanze (144), ovvero entro un mese per i<br />

progetti per i quali la Camera, con apposita deliberazione, abbia accordato<br />

l'urgenza (Reg., art. 35). La procedura d'urgenza deve essere richiesta<br />

al momento dell'annunzio o della presa in considerazione o del<br />

deferimento a Commissione (145) e può essere adottata anche per i progetti<br />

di legge di cui all'ultimo comma dell'art. 72 Cost. (146). La Camera<br />

può anche fissare, su richiesta del Governo o di qualsiasi deputato (richiesta<br />

che può essere avanzata in qualsiasi momento), un termine inferiore<br />

a quello (normale ovvero abbreviato per l'urgenza) previsto dall'art.<br />

35 (Reg., art. 65, secondo comma); inoltre, anche quando non vi<br />

sia stata deliberazione di procedura urgente, il Presidente della Camera<br />

può assegnare alla Commissione, per la presentazione della relazione all'Assemblea,<br />

un termine, che potrà essere prorogato dalla Camera soltanto<br />

in seguito a richiesta di un decimo dei membri della Commissione<br />

(Reg., art. 65, 3° comma). I progetti di legge sui quali le Commissioni<br />

non abbiano predisposto la relazione per l'Assemblea entro il termine<br />

regolamentare o di urgenza ovvero entro il termine appositamente fissato<br />

dal Presidente o prorogato dalla Camera, sono senz'altro iscritti<br />

all'ordine del giorno dell'Assemblea e discussi sul testo del proponente,<br />

tranne che la Camera, ancora su richiesta della competente Commissione,<br />

non proroghi il termine ordinario o quello precedentemente fissato<br />

(143) Cfr. R. ASTRALDI-F. COSENTINO, op. cit., pag. 129; il Reg. della Camera,<br />

tuttavia, non contiene alcuna norma, al riguardo. Non sembra, invece, possa sostenersi<br />

la possibilità di un rinvio di progetti di legge in Commissione, deliberato da<br />

parte dell'Assemblea per un ulteriore esame istruttorio del progetto di legge medesimo,<br />

giacché questo, una volta posto aU'ordine del giorno dell'Assemblea, non può essere<br />

rinviato alla Commissione se non nella ipotesi prevista dall'art. 85 Reg. (sede redigente);<br />

il rinvio, poi, è assolutamente da escludere qualora si tratti di provvedimenti iscrìtti<br />

all'ordine del giorno dell'Assemblea, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 65 Reg., e<br />

cioè senza relazione della Commissione per la scadenza del termine prescrìtto. Cfr.<br />

Atti parlamentari, Camera dei deputati, seduta del 17 dicembre 1959, pagg. 12341 e segg.<br />

In senso contrario, invece, cfr. il rinvio di un provvedimento in Commissione per un<br />

più approfondito esame e per la eventuale adozione di talune modifiche, deliberato<br />

dall'Assemblea del Senato in Atti parlamentari. Senato della Repubblica, seduta del<br />

9 settembre 1964, pag. 9251 e segg.<br />

(144) Fa eccezione la relazione generale sul bilancio di previsione dello Stato,<br />

per la cui presentazione è fissato il termine più ristretto di 40 giorni dall'awenuta<br />

assegnazione, termine che si computa comprendendo in esso anche le vacanze (art. 32).<br />

(145) Cfr. Atti parlamentari, Camera dei deputati, seduta del 27 giugno 1957,<br />

pag. 32728.<br />

(146) Cfr. Atti parlamentari. Camera dei deputati, seduta del 28 luglio 1962,<br />

pag. 31922 e segg. Nella specie trattavasi di un disegno di legge di delegazione legislativa.


376 L'iter legislativo: Tesarne preliminare<br />

(Reg., art. 65, quarto comma). È stato per altro osservato (147) che l'applicazione<br />

delle richiamate disposizioni regolamentari (che potrebbero,<br />

in limine, provocare un eccessivo appesantimento dell'ordine del giorno<br />

dell'Assemblea) è assolutamente sporadica e marginale, e limitata ai<br />

provvedimenti di maggior rilievo politico.<br />

Le relazioni sono stampate e distribuite almeno ventiquattr'ore prima<br />

dell'inizio della seduta nella quale la discussione del relativo progetto<br />

di legge viene iscritta all'ordine del giorno della Camera, tranne<br />

che, per urgenza, la Camera stessa deliberi diversamente, cioè autorizzi<br />

la relazione orale (Reg., art. 36). Una disposizione, peraltro desueta,<br />

consente alla Commissione - nell'ipotesi di un disegno di legge approvato<br />

integralmente all'unanimità tanto nelle sue disposizioni quanto nella<br />

motivazione adottata dalla relazione ministeriale - di proporre alla Camera<br />

di discutere sul testo del Governo, senza redazione di alcuna relazione<br />

parlamentare (Reg., art. 38, ottavo comma).<br />

Come si è avuto occasione di rilevare in precedenza, l'attività referente<br />

della Commissione non si esaurisce con la predisposizione della<br />

relazione per l'Assemblea, giacché la Commissione stessa, attraverso il<br />

Comitato dei nove - la cui designazione dovrà essere operata in modo<br />

da garantire la partecipazione delle minoranze - presenzia al dibattito<br />

ed è di volta in volta chiamata ad esprimere, per il tramite del relatore<br />

o del suo presidente, il proprio orientamento sui singoli emendamenti<br />

presentati in Aula (148) e non è escluso che, per l'esame degli emendamenti<br />

medesimi, sia chiamata a deliberare la stessa Commissione plenaria,<br />

che potrebbe anche, in tale ipotesi, addivenire addirittura all'elaborazione<br />

di un nuovo testo da sottoporre all'Assemblea (149). La Commissione<br />

può ancora presentare nuovi emendamenti, in relazione ad<br />

eventuali modifiche introdotte dall'Assemblea ovvero per la riconsiderazione<br />

di taluni problemi non dibattuti o non sufficientemente consi-<br />

(147) L. ELIA, op. ciu, pag. 24 in nota.<br />

(148) Il Reg. (art. 86) prevede, altresì, che sugli emendamenti che implicano<br />

conseguenze finanziarie sia chiamata a pronunziarsi la Commissione bilancio: non è<br />

chi non veda, peraltro, la difficoltà in cui la Commissione viene, di volta in volta,<br />

a trovarsi, quando come spesso accade, è chiamata ad esaminare ponderosi fascicoli<br />

di emendamenti, le cui conseguenze finanziarie per lo più non risultano esplicitate, ma<br />

solo individuabili e quantificabili attraverso una laboriosa e complessa istruttoria, che<br />

non può essere improvvisata ; si pone, evidentemente, un problema di un migliore e<br />

più adeguato raccordo tra lavori dell'Assemblea e lavori della Commissione, la quale<br />

ben potrebbe avvalersi della facoltà prevista dal quinto comma dell'art. 86, richiedendo<br />

di rinviare all'indomani l'esame degli emendamenti da parte dell'Assemblea, ma<br />

in tal caso dovrebbe certamente assumersi tutta la responsabilità politica dell'eventuale<br />

ritardo dell'iter del provvedimento.<br />

(149) Cfr. il precedente riportato da L. ELIA, op. cit., pag. 33 in nota.


L'iter legislativo: Tesarne preliminare 377<br />

derati nel corso dell'esame referente. Non sembra, invece, che la Commissione<br />

possa presentare ordini del giorno (150).<br />

La Commissione, infine, collabora con l'Assemblea e, in particolare,<br />

con la Presidenza nella fase del definitivo coordinamento del testo<br />

approvato per le opportune proposte circa le modificazioni del progetto,<br />

che siano richieste dalla necessità della conciliazione o coordinazione<br />

dei diversi emendamenti approvati o della correzione di difetti o improprietà<br />

di forma (151). Prima che il progetto di legge sia sottoposto alla<br />

votazione finale la Commissione può, infatti, segnalare alla Camera le<br />

necessarie correzioni di forma, nonché quegli emendamenti già approvati<br />

che risultassero inconciliabili con la legge o con alcune delle sue<br />

disposizioni e suggerire le opportune modificazioni (Reg., art. 91).<br />

* * *<br />

A conclusione della illustrazione del lavoro istruttorio compiuto<br />

dalle Commissioni in sede referente, sembra opportuno far cenno ai giudizi<br />

manifestati sulla funzionalità della procedura descritta. Una opinione<br />

diffusasi soprattutto sul finire della II legislatura - quando assai<br />

limitata era l'attività delle Commissioni in sede legislativa per una sorta<br />

di diffidenza nei confronti del nuovo istituto e, per contro, assai estesa<br />

quella dell'Aula e, quindi, delle Commissioni referenti - lamentava che<br />

l'attività delle Commissioni in sede referente rappresentasse un elemento<br />

eccessivamente ritardatore del procedimento legislativo, non solo e non<br />

tanto in sé, quanto in rapporto alla discussione che segue in Assemblea<br />

(152), rilevando l'inconveniente di inutili duplicazioni e ripetizioni<br />

di dibattiti in Commissione e in Aula, la riproposizione in Assemblea di<br />

questioni già considerate ed esaminate in sede di Commissione ed infine<br />

la inevitabile e non rara ripresentazione in Aula di emendamenti già respinti<br />

in Commissione. Per altro, non sono mancate voci di consenso sulla<br />

praticità dell'istituto, quale unico, idoneo strumento di preparazione<br />

dei testi legislativi, che adempia allo scopo, per mezzo di una procedura<br />

nella quale prevalga il principio di una Ubera discussione, corretta da po-<br />

(150) Contro, L. ELIA, op. cit., pag. 33. Nella IV legisl., il Presidente della Camera<br />

ebbe a suggerire che gli ordini del giorno fossero presentati dai singoli deputati,<br />

anziché dai relatori a nome della Commissione, la quale avrebbe potuto, comunque,<br />

sottolineare la propria adesione al loro contenuto, precisando che si trattava di<br />

ordini del giorno concordati (Cfr. Atti parlamentari, Camera dei deputati, seduta del<br />

21 dicembre 1966, pag. 29S70).<br />

(151) Cosi D. DONATI, op. cit., pag. 35.<br />

(152) L. ELIA, op. cit., pag. 34.


378 L'iter legislativo: l'esame preliminare<br />

che norme regolamentari e vincolata unicamente dalla rapidità della<br />

discussione stessa e dalla obbligatorietà della relazione (153).<br />

Un giudizio conclusivo, tuttavia, non può non richiamare all'esigenza<br />

di individuare strumenti e procedure (154) che consentano di condurre<br />

quanto più speditamente possibile il lavoro legislativo, attraverso<br />

una conveniente limitazione della discussione in sede di Commissione<br />

referente, dal momento che compito peculiare della Commissione medesima<br />

è quello di riferire all'Assemblea, in seno alla quale i provvedimenti<br />

saranno esaminati a fondo (155).<br />

[GIANLUIGI MAROZZA]<br />

(153) V. LONGI-M. STRAMACCI, Le Commissioni parlamentari, ecc., pagg. 41-42.<br />

(154) Vedi un'esemplificazione dei rimedi in atto e delle ulteriori possibilità di<br />

adeguamento delle norme che disciplinano il procedimento legislativo in F. COSEN­<br />

TINO, // procedimento legislativo, ecc., pagg. 1214-1216.<br />

(155) Cfr. Atti parlamentari, Camera dei deputati, I Legislatura, Doc. I, n. 9,<br />

pag. 2.


CAPO Vili<br />

LTTER LEGISLATIVO:<br />

LA DISCUSSIONE IN ASSEMBLEA PLENARIA<br />

E NELLE COMMISSIONI IN SEDE LEGISLATIVA<br />

di Dario Cassanello


CAPO Vili.<br />

UITER LEGISLATIVO: LA DISCUSSIONE<br />

IN ASSEMBLEA PLENARIA E NELLE COMMISSIONI IN SEDE<br />

LEGISLATIVA<br />

SOMMARIO: L'iter legis in generale: 1. Il dibattito e la sua problematica. —<br />

2. Il concetto di legge formale e i sistemi procedurali. — 3. L'evoluzione<br />

storica degli istituti della discussione.<br />

La discussione in Assemblea plenaria: 4. Generalità. — 5. La discussione<br />

generale. — 6. La chiusura della discussione generale. — 7. Gli ordini<br />

del giorno: evoluzione storica dell'istituto. — 8. Gli ordini del giorno:<br />

svolgimento e trattazione. — 9. La discussione degli articoli. — 10. Gli<br />

emendamenti: evoluzione storica dell'istituto. — 11. La discussione degli<br />

emendamenti. — 12. Questioni incidentali formali: richiamo al regolamento;<br />

inserzione e inversione dell'ordine del giorno; richiamo per la priorità<br />

delle votazioni o posizione della questione. — 13. Questioni incidentali<br />

sostanziali: sospensiva; pregiudiziale; rinvio; preclusione. — 14. Il fatto<br />

personale.<br />

La discussione nelle Commissioni in sede legislativa: 15. Origini ed evoluzione<br />

storica dell'istituto. — 16. Il problema della natura delle Commissioni<br />

in sede legislativa. — 17. Il problema della legittimazione all'esercizio<br />

dei poteri legislativi. — 18. L'attribuzione dei progetti di<br />

legge alla Commissione; la rimessione all'Assemblea. — 19. La riserva<br />

costituzionale di Assemblea. — 20. Conflitti di competenza tra Commissioni<br />

in sede legislativa. — 21. La procedura della discussione in Commissione.<br />

— 22. La Commissione in sede redigente.<br />

L'ITER LEGIS IN GENERALE.<br />

1. - Il dibattito, scrive Marriot, è « il fulcro e l'espressione tipica »<br />

dei lavori parlamentari: di modo che, se è vero che esistono in Parlamento<br />

settori di attività e perìodi di tempo nei quali non v'è occasione<br />

di dibattito, non è men vero, tuttavia, che la possibilità di questo ispira<br />

e condiziona - al fondo - l'intera vita delle Assemblee.<br />

Di qui natura, funzione e rilevanza dell'« organizzazione del dibattito<br />

», tema che fa da sfondo e contrappunto a quello - più vasto,<br />

ma in larga parte derivato - dell'organizzazione in generale dei lavori.


382 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Resta tutt'oggi valida, al riguardo, la questione indicata dai vecchi<br />

autori di tecnica parlamentare, come lo Stuart Mill, artefice di una proposta<br />

(Considerations on representative governement, 1861) per una Commissione<br />

formata presso l'esecutivo e incaricata di formulare, su criteri<br />

forniti dalle Camere, un bill da accettare, respingere o rinviare da parte<br />

delle Camere stesse senza diritto di emendamento; questione posta dalla<br />

esigenza di: 1) conciliare la necessità che leggi e provvedimenti siano<br />

approfonditamente esaminati con quella che vengano adottati rapidamente<br />

e a tempo; 2) conciliare la garanzia dei diritti delle minoranze<br />

con quella di un ordinato funzionamento della macchina dello<br />

Stato.<br />

Tali non facili conciliazioni erano invero venute all'attenzione degli<br />

studiosi, con evidenza tutta particolare, per il problema cosiddetto « delle<br />

leggi organiche »: i codici, le leggi-cardine dell'organizzazione amministrativa<br />

dello Stato, le « grandi leggi » su materie complesse e di rilievo,<br />

per le quali le Camere, quando non si ricorresse alla delega, ai pieni<br />

poteri all'esecutivo o ad altri mezzi anomali rispetto all'ordinario, Sì<br />

dimostravano totalmente inabili a proseguire fino a conclusione Yiter di<br />

un esame analitico e al tempo stesso ragionevolmente concentrato.<br />

Già Pellegrino Rossi (Jraité de droit penai, 1829) avanzava l'idea<br />

di un Comitato di Governo per lavorare alla redazione delle leggi fondamentali,<br />

di concerto con una apposita Commissione delle Camere, su<br />

criteri generali fissati dal legislativo e salvo approvazione finale di questo,<br />

capitolo per capitolo.<br />

In Baviera, verso la metà del XIX secolo, le « grandi leggi » venivano<br />

esaminate da due speciali « Commissioni di legislazione », nominate<br />

da ciascun ramo del Parlamento per la durata della legislatura e<br />

riunentisi anche congiuntamente: il dibattito in Assemblea si limitava ai<br />

punti su cui vi fosse dissenso tra Commissioni e Governo.<br />

Per la redazione del codice civile spagnolo del 1889 le Cortes votavano<br />

una speciale « legge delle basi » ed affidavano ad una speciale<br />

Commissione il compito di formulare un progetto da sottoporre ad approvazione<br />

finale parlamentare: procedura, questa, ritenuta preferibile<br />

a quella della delegazione al Governo, sia per la minore indeterminatezza<br />

delle « basi » rispetto agli ordinari criteri di delega, sia per una<br />

certa autonomia della Commissione nei confronti dell'esecutivo, rispecchiata<br />

nella composizione della stessa.<br />

A tale metodo si fece infine ricorso, nella sostanza, per la formulazione<br />

delle due massime tra le leggi fondamentali del nuovo Stato<br />

nel periodo italiano post-unitario: il codice civile e il codice penale.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 383<br />

Quanto al primo (1865), furono approvati nella sede parlamentare<br />

i grandi principi informatori, con la concessione al Governo della delega<br />

ad emanare il corpus ed alcune altre leggi di organizzazione amministrativa,<br />

delega di cui il Governo si avvalse attraverso una Commissione<br />

di prevalente estrazione parlamentare, con facoltà di utilizzare esperti<br />

per le materie tecniche.<br />

Quanto al secondo (1889), dopo l'esame e gli emendamenti introdotti<br />

dal Senato, la Camera si acconciò a votare la legge di approvazione,<br />

limitandosi a raccomandare al Governo di provvedere al coordinamento<br />

ed anche alla modifica del testo « tenendo conto delle discussioni<br />

parlamentari ».<br />

È da notare, però, che la priorità dell'esame del Senato regio era<br />

intesa a supplire, in tali casi, alla mancanza di un corpo permanente<br />

di coordinamento dell'iniziativa a disposizione del Governo, stante la<br />

preminenza politica della Camera eletta e la composizione, invece, di<br />

quella nominata, formata per la maggior parte di alti servitori dello<br />

Stato, in servizio o a riposo; dimodoché da tali sue caratteristiche questa<br />

ultima poteva derivare, e derivava in fatto, una funzione non tanto « di<br />

ripensamento », quanto di specializzazione tendenziale.<br />

2. - Le Camere assolvono alla funzione legislativa con l'emanazione<br />

di quel particolare atto di produzione di norme giuridiche che è denominato<br />

« legge formale » e definito, nelle classificazioni di dottrina, come<br />

« atto complesso eguale » (1) in un « procedimento necessario », cioè rigidamente<br />

predeterminato.<br />

E infatti, se è vero che in tutte le forme di reggimento monarchico<br />

dello Stato - salvo eccezioni assai rare (Giappone, Norvegia e, storicamente,<br />

la Costituzione francese del 1791) - all'approvazione parlamentare<br />

deve seguire la « sanzione » regia, dimodoché la complessità dell'atto<br />

riguarda insieme la partecipazione delle Assemblee e quella del<br />

sovrano (sia pure, per quest'ultimo, senza diritto di emendamento), è<br />

anche vero che nelle forme repubblicane - e nella nostra in particolare,<br />

ove il Capo dello Stato non più partecipa all'attività legislativa (2) - la<br />

generalizzata situazione di bicameralismo negli Stati di democrazia clas-<br />

(1) La teorìa costituzionale si richiama, per tale classificazione, a quella dell'*<br />

atto communis » nel diritto comune.<br />

(2) Tale non è certamente, alla luce dell'articolo 70 della Costituzione, la promulgazione,<br />

che meglio viene avvicinata ad una attività di controllo costituzionale<br />

di regolarità, traducentesi in un requisito di efficacia dell'atto approvato: e neppure<br />

il potere di * veto sospensivo », forma tutt'al più indiretta di partecipazione e sulla<br />

quale si tornerà tra poco.


384 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

sica fa sì che la legge abbia sempre a risultare dal concorso di due<br />

distinte ed eguali volontà manifestate dalle Assemblee (3).<br />

Quanto al processo formativo della legge, sogliono in esso distinguersi<br />

almeno tre fasi : 1) la fase a preparatoria », cui attiene la problematica<br />

della cosiddetta « iniziativa »; 2) la fase « costitutiva o della perfezione<br />

», conclusa dall'approvazione parlamentare ed eventualmente - nei<br />

regimi monarchici - dalla già vista « sanzione » del Capo dello Stato;<br />

3) la fase « integrativa dell'efficacia », in cui la legge già perfetta acquista<br />

(3) In merito alla teoria generale della legge - tema fra i più cruciali delle<br />

scienze giuridiche - non può che farsi in questa sede un generale rinvio alla letteratura,<br />

copiosissima, nei suoi vari aspetti.<br />

Circa i trattati e manuali di istituzioni di diritto pubblico, di diritto pubblico<br />

generale, di diritto costituzionale, di diritto amministrativo, di diritto privato italiani,<br />

che non potrebbero essere qui tutti menzionati senza omissioni, si riportano,<br />

a prescindere dal valore fondamentale rispettivo ed unicamente come emblematici<br />

delle diverse epoche dell'età statutaria, PEVERBIXI, Commenti intorno allo Statuto del<br />

Regno di Sardegna, Torino 1849; CASTAGNA, Commentario allo Statuto italiano* Firenze<br />

1865; PALMA, Corso di diritto costituzionale, Firenze 1883-1885; ARCOLEO,<br />

Diritto costituzionale - Dottrina e storia, Napoli 1907; ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di<br />

diritto costituzionale italiano, Torino 1913 ; ORLANDO, Principi di diritto costituzionale,<br />

Firenze 1917 ; Mosco, Appunti di dritto costituzionale, Milano 1921 ; BORNHAK, Des<br />

Italienische Staatsrecht des Fascismus, Lipsia 1934; CROSA, Diritto costituzionale, Torino<br />

1941 ; SANTI ROMANO, Principi di diritto costituzionale generale, Milano 1946.<br />

Per le numerose opere trattatistiche sull'ordinamento repubblicano si riportano<br />

ancora, tra le più aggiornate, MORTATI, Lezioni di diritto costituzionale italiano e comparato,<br />

Roma 1960; D'EUFEMIA, Elementi di diritto costituzionale, Napoli 1960;<br />

LAVAGNA, Lezioni di diritto costituzionale: sistema di diritto costituzionale positivo<br />

italiano, Pisa 1961 ; BAR<strong>IL</strong>E, Corso di diritto costituzionale, Padova 1964 ; BALLADORE<br />

PALLIERI, Diritto costituzionale, Milano 1965 ; BISCARETTI DI RUFFIA, Diritto costituzionale,<br />

Napoli 1965; CERETI, Diritto costituzionale italiano, Torino 1966; Bozzi,<br />

Istituzioni di diritto pubblico, Milano 1966; TESAURO, Istituzioni di diritto pubblico.<br />

Torino 1966; MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1967; VIRGA, Diritto<br />

costituzionale, Milano 1967; PERGOLESI, Diritto costituzionale, Padova 1967.<br />

Per le opere straniere valgano ancora, con lo stesso criterio, i riferimenti al<br />

FINER, The theory and practice of modem government, New York 1949; FRIEDERICH,<br />

Constitutional government and Democracy, Boston 1953 ; BURDEAU, Droit constìtutionnel<br />

et institutions polìtiques, Parigi 1963 ; DUVERGBR, Institutions politiques et droit constìtutionnel,<br />

Parigi 1965.<br />

Circa le monografìe generali sull'argomento v., tra gli altri, O. JELLINEK,<br />

Gesetz und Verordnung, Tubingen 1887; SANTI ROMANO, Saggio di una teorìa delle<br />

leggi di approvazione, Milano 1898; MARCHI, Sul concetto di legislazione formale,<br />

Milano 1911; SOLAZZI, // concetto di legge nello Stato costituzionale, Bologna 1914;<br />

CARRÉ DE MALBERG, La loi, Parigi 1931 ; ESPOSITO, La validità delle leggi, Padova<br />

1934; MORTATI, La volontà e la causa nell'atto amministrativo e nella legge, Roma<br />

1935; CODACCI-PISANELLI, Analisi delle funzioni sovrane, Milano 1946; FODERARO, //<br />

concetto di legge, Milano 1948; SANDULLI, Legge, forza di legge, valore di legge, in<br />

«Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1957; ID., Legge, in «Novissimo digesto<br />

italiano», voi. K, Torino 1957-1966.<br />

Circa il processo formativo della legge in generale v., tra gli altri, TRIEPEL,<br />

Der Weg der Gesetzgebung, in « Archiv des òffentlichen Rechts », 1920; GORDON,<br />

La confection d'une loi en Angle terre, in r Annuaire de FInstitut international de


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 385<br />

con la « promulgazione » e la « pubblicazione », il suo carattere di obbligatorietà<br />

erga omnes (4).<br />

La fase « costitutiva 9 della perfezione » della legge si attua a sua<br />

volta, nelle attuali Assemblee legislative italiane, attraverso quattro distinti<br />

« procedimenti interni di approvazione », di cui soltanto i primi<br />

tre sono previsti dalla Costituzione, mentre il quarto trae direttamente<br />

origine dai regolamenti parlamentari. A questi la Costituzione lascia infatti<br />

ampio spazio per quanto attiene al modo di esame e di approvazione<br />

delle leggi, le poche norme in essa contenute in proposito (e soprattutto<br />

nell'art. 72) essendo intese a far salva, da un lato la garanzia di una<br />

adeguata ponderazione delle deliberazioni, dall'altro la possibilità di adot-<br />

droit public», 1938; ALLEN, Law in the making, Londra 1939; GALEOTTI, Contributo<br />

alla teoria del procedimento legislativo, Milano 19S7.<br />

Per la promulgazione in particolare v. ancora, tra gli altri, CRISCUOLI, La promulgazione<br />

nel diritto pubblico moderno, Napoli 1911; VICARIO, Promulgazione e<br />

pubblicazione delle leggi e dei decreti, in «Rivista di diritto pubblico», 1932; BAR-<br />

THOLINI. La promulgazione, Milano 1954; TESAURO, La promulgazione, in «Rassegna<br />

di diritto pubblico», 1956.<br />

Per la pubblicazione in particolare v. ancora, tra gli altri: ZANOBINI, La pubblicazione<br />

delle leggi, Torino 1917; REVEL, La publication des lois, Parigi 1933; LA-<br />

FERRIERE, De l'authentìcité du texte des lois publiées au "Journal Officiel", in<br />

« Revue du droit publique et de la science politique», 1949; FERRARI, Quesiti vecchi<br />

e nuovi in tema di pubblicazione degli atti della pubblica autorità, in « Rivista trimestrale<br />

di diritto pubblico», 1958.<br />

Circa i limiti e la validità della legge ed il sindacato di legittimità formale<br />

ante sentenza della Corte Costituzionale n. 9 del 1959 (per la quale si rimanda alla<br />

seconda parte del presente capitolo sulle Commissioni in sede legislativa) v., tra gli<br />

altri, SANTI ROMANO, Osservazioni preliminari per una teoria dei limiti della funzione<br />

legislativa, Roma 1902; RACIOPPI, // sindacato giudiziario sulla costituzionalità delle<br />

leggi, in «La legge», 1905; MORTATI, Sull'eccesso di potere legislativo, in «Giurisprudenza<br />

italiana», 1949; VIROA, / vìzi materiali della legge, in e Annali dell'Università<br />

di Catania», 1950-1951; M. S. GIANNINI, L'illegittimità degli atti normativi<br />

e delle norme, in «Rivista italiana di scienze giuridiche», 1954; PALADIN, Osservazioni<br />

sulla discrezionalità e sull'eccesso di potere del legislatore ordinario, in « Rivista<br />

trimestrale di diritto pubblico», 1956; SANDULLI, Natura, funzione ed effetti delle<br />

pronunce della Corte Costituzionale sulla legittimità delle leggi, in • Rivista trimestrale<br />

di diritto pubblico», 1957.<br />

Circa la cessazione di efficacia della legge per abrogazione v., tra gli altri,<br />

D. DONATI, Abrogazione della legge, in « Dizionario di diritto pubblico », Modena<br />

1914; M. S. GIANNINI, Problemi relativi all'abrogazione delle leggi, in «Annali della<br />

Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Perugia», 1942; BAR<strong>IL</strong>E e PREDIERI, Efficacia<br />

abrogante delle norme della Costituzione, in CALAMANDREI e LEVI, Commentario<br />

della Costituzione italiana, Firenze 1950; GUARINO, Abrogazione e disapplicazione<br />

delle leggi illegittime, in clus», 1951.<br />

(4) Cfr. S. GALEOTTI, op. cit., ; BISCARETTI DI RUFFIA, op. cit. Altri autori<br />

(cfr. VIROA, Diritto costituzionale, cit) suddividono ulteriormente la prima fase in<br />

«iniziativa» (atti propulsivi) e «istruttoria» (atti consultivi e di accertamento); e la<br />

terza fase in «controllo» (atti di promulgazione e visto) e «comunicazione» (atti<br />

di pubblicazione).<br />

15.


386 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

tare procedure più snelle ed accelerate quando ciò sia richiesto dalle necessità<br />

della funzione (5).<br />

Il « procedimento ordinario > è quello "previsto dal primo comma<br />

del ripetuto art. 72 Cost. In base ad esso, ogni progetto presentato ad<br />

una delle due Camere è esaminato, secondo norme del Regolamento, dapprima<br />

da una Commissione e quindi in Assemblea, ove è approvato articolo<br />

per articolo e con votazione finale.<br />

Per i riflessi sulla discussione e per l'aspetto funzionale - poiché ne<br />

trattano per l'aspetto organico altri capitoli dell'opera - non è possibile<br />

qui non ricordare che questo metodo, ormai adottato in quasi tutti i<br />

paesi, fu lungamente preceduto nel nostro dai due diversi sistemi, rispettivamente<br />

di derivazione inglese e francese, denominati « delle tre letture<br />

» e « degli Uffici ».<br />

Ai Comuni la prima lettura (la cui origine risale al medioevo inglese,<br />

allorché la forte percentuale di analfabetismo tra i membri delle<br />

Assemblee consigliava di svolgere l'esame oralmente ed in seduta plenaria)<br />

è oggi atto meramente formale e consiste nell'annunzio del progetto.<br />

Segue la seconda lettura in tre fasi: la prima d'esse corrisponde<br />

alla presa in considerazione della procedura italiana (art. 133 dell'attuale<br />

Regolamento), ma a differenza di questa - ove è d'uso riunire<br />

l'esame di opportunità e di merito - ha valore sostanziale, tendendo ad<br />

evitare che, in presenza di un dissenso tacito o esplicito della maggioranza,<br />

Yiter prosegua inutilmente; nella seconda fase si ha l'esame da<br />

(5) Sul procedimento legislativo e le varie proposte inerenti alla sua organizzazione<br />

v., tra gli altri, MICELI, L'iniziativa parlamentare, Milano 1903; RACIOPPI e<br />

BRUNELLI, Commento allo Statuto del Regno, Torino 1909; D. DONATI, // procedimento<br />

dell'approvazione delle leggi nelle Camere italiane, in « Dizionario di diritto<br />

pubblico», Modena 1914; CANNAC, Eléments de procedure legislative en droit parìementaire,<br />

Parigi 1939; FALZONE, PALERMO e COSENTINO, La Costituzione della Repubblica<br />

illustrata con i lavori preparatori, Roma 1948; RUINI, // Parlamento e la<br />

sua riforma - La Costituzione nella sua applicazione, Milano 19S2; Io., La funzione<br />

legislativa, Milano 19S3 ; LANOROD, Quelques aspects de la procedure parlementaire en<br />

France, en Italie et en Allemagne Federale, in « Revue Internationale de droit compare»,<br />

1952-1953; GALLOWAY, The legislative process in Congress, New York 1953;<br />

GUELI, Concezione dello Stato e del diritto e tecnica giuridica nella teoria del procedimento<br />

legislativo, in e Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1956; SPAGNA-<br />

Musso, L'iniziativa nella formazione delle leggi italiane, Napoli 1958; LYON, Le<br />

droit d'initiative parlementaire dans la nouvélle constitution francaise, in < Rassegna<br />

parlamentare», 1959; V. FALZONE, La prassi nell'ordinamento costituzionale repubblicano,<br />

in « Studi sulla Costituzione », voi. II, Milano 1958 ; PREDIERI, La produzione<br />

legislativa, in « D Parlamento italiano », Napoli 1963 ; ZACCAGNINI, La riforma<br />

della procedura parlamentare, in e La Discussione », 1963 ; FERRARA, // Presidente di<br />

Assemblea parlamentare, Milano 1965; Tosi, Iniziativa parlamentare, in «La Nazione<br />

», 1966.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 387<br />

parte di una delle Commissioni {Standing Committees) appositamente nominate<br />

per ogni singolo progetto e composte di circa cinquanta deputati,<br />

in proporzione alle forze politiche rappresentate, ovvero, qualora si tratti<br />

di provvedimenti finanziari, Tesarne da parte della Camera costituita<br />

in Comitato generale (6); nella terza fase, il bill in questo modo emendato<br />

passa di nuovo all'Assemblea che approva o respinge le modifiche o ne<br />

introduce di nuove, previa discussione delle più importanti. Raggiunta<br />

tale deliberazione, viene infine fissato il giorno della terza lettura, in<br />

cui si può ancora discutere il progetto (ma non una questione connessa)<br />

e presentare emendamenti (ma solo di pura forma).<br />

In Inghilterra il sistema ha funzionato e funziona per vari ordini<br />

di motivi, tutti attinenti a quella tradizione: l'iniziativa di Governo è<br />

molto contenuta, e ancor di più quella parlamentare, dato che, per antico<br />

uso, la facoltà dei deputati consiste soprattutto nell'emendare i progetti<br />

dell'esecutivo. A questo spetta inoltre, in esclusiva, l'iniziativa in materia<br />

finanziaria, cui si collega una ulteriore limitazione del diritto di emendamento<br />

delle Camere, le quali possono unicamente ridurre spese o imposte<br />

proposte dall'esecutivo, non mai aumentarle: ciò corrisponde alla<br />

particolare situazione inglese (bipartitismo in alternativa di Governo) e<br />

spiega la tendenza, comune ai Parlamenti anglosassoni, di concentrare<br />

la propria azione sul piano del controllo, conformemente alle ragioni<br />

storiche dell'esistenza delle Assemblee.<br />

Il tentativo di acclimatare nel Regolamento della Camera l'organigramma<br />

delle « tre letture » (accolto tra il 1868 e il 1873, e poi ancora<br />

in forma opzionale tra il 1888 e il 1948) non fruttò alcun efficace risultato.<br />

Non perdonava invero, a una siffatta procedura, l'inanità evidente di una<br />

derivazione puramente formalistica, disancorata tanto dall'ambiente quanto<br />

da forze e scopi per cui le norme avrebbero operato: e non mancava,<br />

per di più, qualche pesante distorsione da cui simile metodo di derivare<br />

non resta esente quasi mai. Così, ad esempio, la discussione generale<br />

aperta anteriormente ad ogni ponderato esame del progetto, e conseguentemente<br />

priva di ogni ancoraggio complessivo : così la nomina della Commissione,<br />

resa difficile dalla necessità di rispecchiare l'equilibrio composito<br />

dell'Assemblea: e così ancora la terza discussione, impastoiata da<br />

(6) In quest'ultimo caso, la Camera si riunisce sotto la presidenza di un<br />

Chairman (non dello Speaker) e non partecipano i deputati che non ritengano di poter<br />

dare un apporto positivo.


388 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

« relazione generale » e col diritto di presentare ancora emendamenti,<br />

ciò da cui, soprattutto, il sistema era reso inapplicabile (7).<br />

Adottato in Francia fino alla fine del secolo XIX, ed in Italia quasi<br />

senza interruzione dal Regolamento provvisorio del 1848 al periodo del<br />

regime fascista fino al 1939, fu invece il sistema che prevedeva, ogni due<br />

mesi, il sorteggio dei deputati in nove Uffici, incaricati di procedere separatamente<br />

al primo vaglio di ogni progetto presentato. Da ogni Ufficio<br />

era poi nominato un delegato, che ne esprimesse gli orientamenti in Commissione<br />

(ve n'è ancor oggi traccia nel « Comitato dei nove » nominato<br />

in base all'art. 30 Reg. e comprendente il presidente ed i relatori per<br />

la discussione in aula). Quest'ultima, condotto un più tecnico esame sul<br />

progetto ed eventualmente emendatolo, designava infine un relatore per<br />

l'Assemblea.<br />

Questo sistema - che riecheggiava per architettura, pur se in forma<br />

diversa, la procedura della tradizione inglese - sembrava offrire, in più,<br />

ad ogni deputato, in ogni fase e momento d'istruttoria, pieno diritto alla<br />

ricognizione del progetto, a simiglianza del Comitato generale; ma' è<br />

facile comprendere come questa struttura « garantista » venisse a porvi<br />

al tempo stesso un limite, nel passaggio da una Camera uninominalistica<br />

(7) Tale sistema resta tutt'oggì, in qualche modo, nella speciale sede < redigente<br />

» delle Commissioni : ma ne restano, in parte, le carenze, per le quali in tal<br />

forma, dopo essere stato fortemente contestato, è stimato inorganico e scarsamente<br />

usato. In Italia, del resto, ove migliaia di progetti vengono oggi varati ad ogni<br />

legislatura, un sistema del genere, richiedente per l'esame degli stessi altrettante Commissioni<br />

ad hoc, impedirebbe alle Assemblee semplicemente di funzionare.<br />

Sull'antico e fondamentale problema della diretta connessione degli istituti e<br />

delle norme di rito con il contesto politico-istituzionale in cui essi si collocano, cfr.<br />

MAIORANA, Del parlamentarismo: mali, cause, rimedi, Roma 1885; PBRSICO, Del regime<br />

parlamentare: note critiche, Napoli 188S; SIOTTO PINTOR, // sistema parlamentare<br />

rappresentativo: mali e rimedi, Torino 1895; De JOUVENEL, La République des<br />

camarades, Parigi 1934; NEGRI, // Bicameralismo, in e Enciclopedia giuridica», Milano<br />

1959; COSENTINO, La Costituzione, il Parlamento e le consuetudini parlamentari,<br />

in e La politica parlamentare », 1951 ; Io., Note sui principi della procedura parlamentare,<br />

in « Studi sulla Costituzione », voi. II, Milano 1958 ; In., // procedimento<br />

legislativo nel sistema parlamentare, in e Rassegna parlamentare», 1960; In., // problema<br />

della produzione legislativa nel sistema parlamentare italiano, in « Montecitorio»,<br />

1965; Io., Delegificazione e leggi organiche, in «Nord e Sud», 1967.<br />

V. inoltre BARTOLI e CERVELLATI CANTELLI, // processo legislativo nel Parlamento<br />

Italiano, in « Rassegna italiana di sociologia », 1967, i quali forniscono interessanti<br />

indicazioni relative ad una ricerca finanziata dal C.N.R., diretta da Alberto<br />

Predieri e in corso, in parte presso la Facoltà di scienze politiche «Cesare Alfieri»<br />

dell'Università di Firenze, e in parte presso l'Istituto di studi e ricerche « Carlo<br />

Cattaneo» di Bologna. Scopo della ricerca è di analizzare le caratteristiche del processo<br />

legislativo in Italia, tenendo conto non solo dell'iter svolgentesi nell'ambito<br />

parlamentare, ma della concorrenza di molteplici azioni ed elementi esterni al Parlamento,<br />

sia in correlazione con Yiter propriamente detto, sia in correlazione con il<br />

processo prelegislativo di formazione della proposta.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 389<br />

ad una Camera proporzionalistica e nel mutare del ritmo e del respiro<br />

dell'attività formativa della legge, in conseguenza dell'incessante espandersi<br />

dell'intervento del pubblico potere. A ciò si aggiunga che il mezzo<br />

del sorteggio (già accolto in Francia per attenuare le conseguenze del<br />

« mandato imperativo ») non poteva sottrarsi al rischio grave di concentrare<br />

a caso in uno stesso Ufficio forze di maggioranza e minoranza:<br />

con obiettivo danno, in tale quadro, di non più comprimibili istanze di<br />

efficienza (8).<br />

Storicamente e inevitabilmente, dunque, si ha convergenza dello<br />

istituto dell'Ufficio in quello della Commissione. Questa, che ha già affiancato<br />

in Inghilterra il relatore della Corona, si è affermata in America<br />

in reazione all'esecutivo coloniale, si è trasferita in Francia anche se senza<br />

stabile fortuna, si acclimata in Italia con la necessità di superare ogni<br />

traccia di Comitato generale per affidare la ricognizione preliminare delle<br />

leggi ad organi permanenti, composti in modo da rispettare l'equilibrio<br />

tra le forze politiche (a differenza degli Uffici) e competenti in forma predeterminata<br />

per grandi rami della pubblica amministrazione (a differenza<br />

degli Standing Committees inglesi).<br />

Non basta certo, per gli organismi-cardine dell'attuale metodo di<br />

esame delle leggi, un cenno di rendimento che sorpassi la linea descrittiva:<br />

non si può non notare, tuttavia, che l'arco stabile di competenze<br />

e la composizione bilanciata non potevano non ripercuotersi positivamente<br />

sulle norme giurìdiche approvate. Difetti sono indicati, per converso,<br />

nell'eccessiva specializzazione tecnica (per il che era previsto il<br />

rinnovo annuale, ora biennale ai sensi dell'art. 29 Reg.) e nella sovrapposizione<br />

di competenze in materie legislative < complesse » o « indeterminate<br />

» (per il che sono posti la casistica di cui all'art 37 Reg.<br />

e l'istituto dell'assegnazione « per il parere »). Ma soprattutto - è<br />

stato rilevato - antinomie non possono mancare quando si innesti un<br />

istituto nuovo in un complesso di norme « logorate », talune delle<br />

quali con più di un secolo di vita, fatte per sovvenire alle esigenze<br />

di un Parlamento ben diverso, eletto a suffragio ristretto e nel cui antico<br />

ordinamento erano forti spunti di « uninominalismo », rimasti oggi in assenza<br />

di coordinazione.<br />

Svolta comunque la discussione generale (sulla scorta della relazione<br />

della Commissione, o di una < relazione per la maggioranza » e di una<br />

(8) Per un esame delle caratteristiche degli anzidetti sistemi britannico e francese,<br />

in relazione al nostro, v. in particolare COSENTINO, // procedimento legislativo,<br />

cit.


390 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

o più « relazioni di minoranza » qualora vi sia dissenso), ed esaurita la<br />

trattazione degli eventuali ordini del giorno, si passa - salvo diversa decisione<br />

- all'esame di articoli ed emendamenti, alla votazione degli stessi<br />

e alla delibera finale. Al termine del procedimento ordinario (come, per<br />

questa parte, di ogni altro), se il progetto è approvato, il Presidente dell'Assemblea<br />

lo invia con suo « messaggio » all'altro ramo del Parlamento<br />

o al Capo dello Stato (tramite Governo) per la promulgazione.<br />

L'ultimo comma dell'art. 72 Cost. aggiunge infine che la forma ordinaria<br />

di procedimento deve essere seguita sempre per i progetti di<br />

legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delega legislativa,<br />

di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione<br />

di bilanci e consuntivi: a tali categorie l'art. 40 Reg. Camera ha<br />

aggiunto i progetti « in materia tributaria ».<br />

Del « procedimento abbreviato » è cenno nel secondo comma dell'art.<br />

72 Cost. che, ancora una volta, ne rimette le modalità ai regolamenti<br />

d'Assemblea. L'iter si svolge, appunto, con l'accorciamento dei<br />

termini previsti (normalmente da due mesi ad uno per le relazioni delie<br />

Commissioni, ma anche, quando stabilito dall'Assemblea, procedendosi<br />

all'esame del progetto nello stesso giorno della presentazione, su relazione<br />

orale della Commissione, a norma degli art. 35 e 65 Reg. Camera<br />

e 53 Reg. Senato).<br />

Il « procedimento decentrato » (svolgentesi esclusivamente in Commissione,<br />

in sede che il Regolamento della Camera chiama « legislativa » e<br />

quello del Senato « deliberante ») si appoggia al terzo comma dell'art. 72<br />

Cost. Qui, soprattutto, vi è ampio margine per i regolamenti per stabilire<br />

casi e forme di questo tipo di esame legislativo, ferma l'esclusione<br />

delle materie ricordate. La garanzia per il Parlamento, oltreché dalla<br />

composizione bilanciata delle Commissioni, è data dalla facoltà del Governo,<br />

di un decimo dei membri della Camera o di un quinto della<br />

Commissione di chiedere la rimessione all'Assemblea per il ripristino del<br />

rito ordinario, ovvero per l'approvazione finale con sole dichiarazioni di<br />

voto: è stabilita, inoltre, la garanzia della pubblicità dei lavori delle<br />

Commissioni. Della natura, assai complessa ed in dottrina infatti dibattuta,<br />

del rapporto che lega Commissioni e Camera, e della discussione<br />

in forma « decentrata », dovrà trattarsi a lungo nell'ultima parte del<br />

capitolo: basterà qui avvertire che tale forma di esame e di approvazione<br />

delle leggi, recepita per snellimento dei lavori, è risultata corrispondere<br />

ad una incontrastabile esigenza pratica, a fronte della sempre crescente<br />

ed incombente mole dei progetti in concreto da varare: fin dalla prima<br />

legislatura repubblicana (1948-1953) la Camera ebbe ad approvare circa


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 391<br />

600 provvedimenti in Assemblea e ben circa 2.000 in Commissione, di<br />

cui 27 a Commissioni riunite.<br />

« Procedimento misto » è infine quello, costituzionalmente non previsto,<br />

configurato autonomamente dall'art. 85 Reg. Camera, approvato<br />

in sede di coordinamento del 1949. Per tale norma la Camera, esauriti<br />

Tesarne preliminare e la discussione generale e previa approvazione dei<br />

« criteri informativi della legge », può deferire in caso di urgenza a Commissione<br />

(definita, in dottrina, « redigente ») la formulazione definitiva<br />

degli articoli, salva per l'Assemblea la successiva approvazione di essi<br />

senza discussione né emendamenti, nonché la ancor successiva approvazione<br />

finale con sole dichiarazioni di voto (9).<br />

Ma questa ardita innovazione, in cui riecheggiano taluni aspetti delle<br />

« tre letture », mentre altri invece si rispecchiano nell'attualissimo procedimento<br />

del vote bloqué della Costituzione francese del 1958 (10), ha sollevato<br />

in sede politica e in dottrina dubbi e questioni costituzionali, sembrando<br />

incerta la sua conciliazione con lo scarno disposto dell'art. 72<br />

della Carta fondamentale dello Stato. Anche di essa, dunque, si darà<br />

conto in seguito: si può dire fin d'ora, tuttavia, che le stesse finalità di<br />

snellimento già richiamate per la procedura decentrata possono e sogliono<br />

anche a questo istituto riferirsi, specie se si legiferi su materie<br />

tecniche o complesse: come suffraga il fatto che, nella prima legislatura,<br />

le pur non numerose applicazioni (in tutto 9) quasi sempre si ebbero<br />

per iniziative di tal tipo.<br />

Dovrà concludersi questa breve inquadratura della fase costitutiva<br />

della legge con il ripetere la nozione di tale strumento normativo come<br />

« atto complesso eguale », ciò che comporta che le due Camere debbano<br />

essere giunte ad approvare un testo rigorosamente identico. Qualora, pertanto,<br />

uno dei rami del Parlamento modifichi il progetto inviatogli dall'altro<br />

ramo, esso dovrà tornare all'esame della Camera che per prima<br />

lo ha approvato, e così via, finché non si pervenga al risultato voluto<br />

(navette legislativa).<br />

Si deve infine aggiungere che una nuova approvazione parlamentare<br />

può rendersi necessaria se il Presidente della Repubblica, entro il termine<br />

fissato per la promulgazione, faccia uso del potere di rinvio, pre-<br />

(9) Con le modifiche regolamentari del 24 gennaio 1963 un istituto analogo è<br />

stato accolto dal Senato (art. 26-bis Reg.). Ma le varianti sono di rilievo: non vi è<br />

requisito dell'urgenza, né, per converso, discussione per i criteri informativi, che si<br />

ritenne poter frustrare l'agilità del tutto: vi è invece diritto a rimessione in Assemblea.<br />

(10) Cfr. LYON, La procedure du vote bloqué dans to Constitution frartfaise, in<br />

« Rassegna parlamentare ». 1965. .


392 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

visto nell'art. 74 Cost., al fine di richiedere alle Camere una nuova deliberazione.<br />

Ciò avverrà con « messaggio » che dovrà essere motivato,<br />

e potrà esserlo nella forma più ampia, così per vizi di natura formale<br />

(ad esempio, procedimentali), ovvero sostanziale (ad esempio, di incostituzionalità),<br />

come anche per ragioni di mera opportunità. Questo atto<br />

che, pur avendo controfirma dal Governo, si suole far rientrare tra i<br />

pochi casi di « atti propri » del Capo dello Stato, non configura tuttavia,<br />

a differenza della « sanzione » regia, una partecipazione diretta di questo<br />

ultimo all'attività legislativa, bensì concreta l'esercizio di un potere di<br />

« veto sospensivo », che viene inoltre definito « semplice e non qualificato<br />

», poiché le Camere possono riapprovare la legge senza necessità<br />

di alcuna particolare maggioranza, e il Presidente della Repubblica non<br />

potrà esimersi in tal caso dal promulgarla (11).<br />

3. - Le norme del Capo X del Regolamento della Camera, che si<br />

intitola Della discussione, sono senza dubbio tra quelle che più direttamente<br />

risentono della collocazione in largo senso « politica » degli istituti<br />

parlamentari, così com'essi vengono configurandosi in un processo<br />

autonomo di assestamento, legato al finalismo da cui essi stessi sono<br />

espressi e che, ad un tempo, tendono a servire: tant'è che questa parte<br />

può considerarsi, sotto tale aspetto, come la più emblematica e « storicizzata<br />

».<br />

Ed in effetti, l'affermazione che la disciplina delle discussioni contenga<br />

in nuce la caratterizzazione stessa del modo d'essere e di funzionare<br />

di un sistema politico-parlamentare trova conferma, nell'esperienza italiana,<br />

nella constatazione del fatto che le vicende di tale gruppo di norme,<br />

così come la tradizione le andava a mano a mano elaborando per raccoglierle<br />

quindi nei regolamenti, hanno un legame pressoché inscindibile<br />

con il processo di generale adeguamento delle istituzioni, non meno che<br />

con la trasformazione delle condizioni storico-politiche del nostro paese.<br />

(11) Sul potere presidenziale di «veto sospensivo • v., tra gli altri, S. GALEOTTI,<br />

// rinvio presidenziale di una legge, in « Rassegna di diritto pubblico », 1950 ; CUOCOLO,<br />

// rinvio presidenziale nella formazione delle leggi, Milano 1955 ; CBRETI, / messaggi<br />

presidenziali, Milano 1956; PERGOLESI, Aspetti del procedimento formativo di leggi<br />

e decreti durante il settennato presidenziale di Luigi Einaudi, in e Rivista trimestrale<br />

di diritto e procedura civile», 1957; Bozzi, Note sul rinvio presidenziale della legge,<br />

in « Studi di diritto costituzionale », Milano 1961 ; BISCARETTI DI RUFFIA, // rinvio<br />

presidenziale delle lèggi dopo là scioglimento delle Camere, in «Rivista trimestrale<br />

di diritto pubblico», 1964.<br />

Della facoltà di rinvio fu fatto uso quattro volte dal primo Presidente<br />

della Repubblica, Einaudi, due volte durante il settennato del Presidente Gronchi, e<br />

sette volte dal Presidente Segni fino allo scioglimento della III legislatura, nel febbraio<br />

1963.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 393<br />

Così può dirsi, esemplarmente, per l'intima connessione di tali vicende<br />

con l'alterno succedersi dei diversi sistemi di esame e di approvazione<br />

delle leggi, di cui già si è parlato; e così pure per la graduale<br />

enucleazione dagli istituti della discussione degli strumenti tipici dell'attività<br />

ispettiva (interrogazione, interpellanza, mozione), attraverso cui si<br />

concreta quella funzione di controllo sull'esecutivo la quale costituisce<br />

oggi, come un tempo, il compito politicamente predominante delle Assemblee.<br />

Di ambedue questi tipi di raffronti (esame preliminare e attività<br />

ispettiva) dovrà dunque accennarsi in questa sede, per dar luce al formarsi<br />

delle attuali norme sulla discussione, nella ricerca di un indispensabile<br />

confine storico-logico per la presente parte della trattazione (12).<br />

Il Regolamento provvisorio del 1848 della prima Camera del Parlamento<br />

Subalpino, derivato dal regolamento dell'Assemblea francese del<br />

1839 ed appoggiato quindi al sistema degli Uffici, prevedeva per tutte<br />

le proposte (fossero esse o meno di contenuto legislativo) una « discussione<br />

generale » ed una « discussione particolare sugli articoli »; l'iscrizione<br />

a parlare (alternativamente prò, sopra o contro la proposta), determinante<br />

l'ordine degli interventi; il divieto di intervenire due volte nella<br />

discussione, tranne che per richiamo al Regolamento, o per la posizione<br />

della questione, o per fatto personale (ciò ancora oggi si ritrova nell'art. 72<br />

del Regolamento vigente); la chiusura richiesta da dieci membri d'Assemblea,<br />

ma con diritto per ciascuno di pronunziarsi prò o contro; la libertà<br />

di proporre emendamenti, purché appoggiati da cinque deputati.<br />

Tutto ciò, non foss'altro che perché non consente la « chiusura<br />

», dà la misura dell'indeterminatezza di un dibattito ove non trova<br />

posto ancora la differenziazione d'ordine contenutistico tra le proposte<br />

di carattere legislativo e quelle estranee a simile natura; e in cui si assommano,<br />

senza ordine predeterminato, dichiarazioni dei deputati, repliche<br />

dell'Ufficio Centrale e del Governo, « mozioni sull'argomento in discussione<br />

» (essendo le mozioni stesse sconosciute, al pari delle interpellanze<br />

e delle interrogazioni, come istituti autonomi) e dichiarazioni di<br />

voto, incidenti e votazioni sugli articoli.<br />

A non più di due anni dall'adozione del primo Regolamento provvisorio,<br />

altro progetto era infatti maturato. La relazione ad esso presentata<br />

(Torelli 1850), premessa una impietosa critica al sistema degli<br />

Uffici, ne proponeva la sostituzione con il sistema « delle tre letture » :<br />

(12) Sulla correlazione del Capo X con le altre parti del Regolamento, ed in<br />

particolare con quelle riguardanti l'esame preliminare e gli strumenti dell'attività ispettiva,<br />

cfr. l'ampio commento, con analisi storico-positiva delle norme, in LONGI e STRA-<br />

MACCI, // Regolamento della Camera dei deputati, Roma 1958.<br />

15*.


394 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

circa le norme sulla discussione, si definiva il fatto personale e si aggiungeva<br />

che, sulla « chiusura », potessero parlare, al più, quattro oratori,<br />

due prò e due contro. Ma la proposta di riforma non ebbe seguito:<br />

essa decadde, chiusa la sessione, né successivamente fu ripresa.<br />

Così il primo Regolamento provvisorio resse fino al progetto del<br />

1863, ancora approvato provvisoriamente, però dal primo Parlamento<br />

italiano. Esso segnava l'adeguamento degli istituti alla mutata situazione<br />

politico-parlamentare, fermo restando il sistema degli Unici, i quali anzi<br />

venivano aumentati da sette a nove: sul tema della discussione, la mutazione<br />

si limitava alla ripresa della proposta Torelli per la definizione<br />

del fatto personale e per la restrizione degli interventi sulla « chiusura »<br />

(ridotti, tuttavia, a soli due oratori, uno prò e uno contro, secondo il<br />

testo dell'art. 82 dell'attuale Regolamento).<br />

Peraltro, e per la prima volta, veniva accolta la disciplina dell'interpellanza,<br />

fin lì affidata unicamente all'uso, per la quale la Camera,<br />

uditane lettura da parte del Presidente ed eventuale accettazione da parte<br />

del Governo, avrebbe avuto potestà di fissare il giorno dello svolgimento,<br />

salvo rinvio a tempo indeterminato: seria e significante novità, poiché,<br />

dal nuovo istituto derivandosi col tempo gli ulteriori strumenti del controllo<br />

(mozione ed interrogazione), può dirsi che con esso si gettasse<br />

il seme, per i provvedimenti a contenuto di legge, di una totale distinta<br />

trattazione.<br />

Questo processo ebbe proseguimento con il nuovo progetto del 1868;<br />

esso, quanto alla sua definitività, non fu onorato da diverso crisma rispetto<br />

ai precedenti, dato che fu approvato dalla Camera in via non solo<br />

provvisoria, bensì anche « di esperimento ». Nondimeno, durò per lungo<br />

tempo, con qualche modificazione successiva, comportando due rilevanti<br />

innovazioni: 1) l'introduzione della Giunta delle elezioni; 2) l'abolizione<br />

degli Unici, sostituiti, sulla base del sistema inglese, dalla Camera stessa<br />

costituita in Comitato privato, con numero legale non inferiore a trenta<br />

componenti, per sveltire l'esame dei progetti. Allo stesso scopo si introduceva<br />

il limite di un quarto d'ora per la lettura dei discorsi (rimasto<br />

oggi nell'art. 77 Reg.); ma soprattutto si innovava nella materia di<br />

interpellanze ed interrogazioni - queste ultime a loro volta accolte<br />

per la prima volta - per le quali, nel giorno seguente alla lettura, sarebbe<br />

stato dichiarato dal Governo se e quando intendesse dare la risposta,<br />

mentre dopo di questa il presentatore insoddisfatto avrebbe avuto<br />

facoltà di promuovere mozione, da discutersi a data da fissarsi.<br />

È da accennare, per dovere di completezza, che il Comitato privato<br />

ebbe vita assai breve, poiché, dopo poco più di quattro anni, si ritornò


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 395<br />

al sistema degli Uffici su una proposta Macchi del 1873, vertente unicamente<br />

sull'esame preliminare (mentre si era avuta vanamente, nel 1869,<br />

una isolata proposta D'Ondes Reggio per limitare ad un massimo di<br />

4 ore ogni intervento nella discussione). Tuttavia, non può dirsi che un<br />

così rapido ripristino degli Uffici avesse per effetto di archiviare l'antica<br />

contrapposizione di sistemi, se è vero che due nuovi progetti di riforma<br />

subito riesumavano l'istanza delle « tre letture » (relazione Crispi, 1875;<br />

relazione Lazzaro, 1876), mentre un terzo ed un quarto ne seguivano<br />

(relazione Corbetta, 1877 e 1880), intesi invece a rafforzare gli Uffici<br />

(e comportanti, per la discussione, la riduzione a dieci minuti del limite<br />

di lettura dei discorsi): senza, comunque, che nessuno dei quattro avesse<br />

approvazione. Non diversa fortuna aveva inoltre una proposta Lazzaro<br />

del 1882, parzialmente ripresa dallo stesso nel 1886, in materia di disciplina<br />

della discussione: ma qui interessa ricordarla quale precorritrice<br />

della priorità sul merito degli incidenti sostanziali (sospensiva e pregiudiziale);<br />

e della decadenza, dopo la « chiusura », dal diritto di svolgere<br />

« mozioni sull'argomento in discussione », con l'abuso del quale era già<br />

nato il vezzo di proseguire in fatto la discussione generale.<br />

Si giunge dunque, con la legislatura XVI (10 giugno 1886-3 agosto<br />

1890), al notissimo gruppo di riforme Bonghi (nominate così dal relatore),<br />

cardine ancora oggi del dibattito, essendo state sostanzialmente recepite<br />

nelle seguite revisioni regolamentari del 1900, 1907, 1910, 1920-22, né<br />

poi mutate dalle legislature repubblicane. Queste riforme, coordinate a<br />

metà del 1888 e nuovamente coordinate nel 1891, originano dall'abbandono<br />

del programma - rivelatosi di così ardua realizzazione - di una<br />

sostituzione radicale del vecchio testo regolamentare: si preferiva ripiegare,<br />

invece, sul sistema delle modifiche parziali, che dava luogo ad una<br />

Giunta per il Regolamento nominata, per tutta la legislatura, nell'anno<br />

stesso 1886.<br />

Tra le modifiche furono, in ordine di tempo: la facoltà di intervenire<br />

prò e contro secondo l'iscrizione con il divieto di svolgere « mozioni<br />

in argomento » (ordini del giorno) dopo chiusura della discussione<br />

generale: a chiusura avvenuta, era dato parlare solo ai ministri per dichiarazioni<br />

a nome del Governo e ai deputati per dichiarare brevemente<br />

le ragioni del voto (mentre la discussione stessa si riapriva se i ministri<br />

chiedessero di essere sentiti, per il diritto che loro dava l'art. 66 dello<br />

Statuto come oggi dà l'art. 64 Cost.) (artt. 81 e 83 del Regolamento<br />

vigente); la precedenza sul dibattito di merito degli incidenti sostanziali<br />

(sospensiva e pregiudiziale), proponibili anche da un solo deputato fino<br />

all'inizio della discussione, ma col quorum di quindici a discussione ini-


396 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

ziata, con la limitazione della trattazione a due soli interventi in favore<br />

e due contro (art. 89 del Regolamento vigente): la disciplina, per molte<br />

parti analoga a quella attuale, degli istituti della interrogazione, della<br />

interpellanza e della mozione, con l'importante corollario della mozione<br />

« autonoma », indipendente dai provvedimenti a contenuto legislativo, e<br />

della trattazione dei tre strumenti a parte da ogni altra discussione (artt.<br />

da 110 a 132 del Regolamento vigente); infine, circa l'esame delle leggi,<br />

la riedizione del sistema « delle tre letture », senza però sopprimere gli<br />

Uffici, restando libera la Camera di optare per l'uno o l'altro dei due<br />

itinera su richiesta del presentatore del progetto e con delibera immediata,<br />

previa facoltà di parlare ad un solo oratore in favore e ad uno<br />

contro.<br />

Con ciò si riaccoglieva dunque nella procedura, pur con contrasti<br />

accesi e a titolo facoltativo e sperimentale, un modello formato sulla<br />

base inglese, che già vi aveva figurato per un breve spazio (1868-1873)<br />

e che dovrà restarvi per altri sessantanni (1888-1948), fino cioè al periodo<br />

repubblicano. Ma si trattava di un innesto che, per le ragioni altrove<br />

già accennate, non doveva incontrare gran fortuna: a prescindere<br />

dalla sua intrinseca bontà, al metodo « delle tre letture » si continuò nei<br />

fatti a preferire il sistema degli Uffici, sinché il primo, dopo assai scarse<br />

applicazioni, fu anche formalmente abbandonato.<br />

L'equilibrio raggiunto con le riforme Bonghi resse per poco meno<br />

di un decennio e fu spezzato da avvenimenti esterni all'Assemblea: i<br />

gravi fatti verificatisi nel paese nel maggio 1898, cui fece seguito alla<br />

Camera la situazione anomala (ostruzionismo) determinata dalla presentazione<br />

da parte del Ministero Pelloux, il 4 febbraio 1899, del disegno di<br />

legge di modifica alla legge di pubblica sicurezza e all'editto sulla stampa.<br />

Per i riflessi di natura regolamentare di questo esame, che seguiva il sistema<br />

delle tre letture, deve accennarsi ad una prima proposta Sonnino<br />

e ad altre analoghe Brunialti e Simeoni, sostanzialmente intese ad impedire<br />

il prolungarsi di more indefinite fissando il tempo massimo per gli<br />

interventi; principio accolto, a maggioranza, dalla Giunta per il Regolamento,<br />

che si esprimeva per un massimo di quindici minuti per ciascun<br />

singolo oratore (su richiesta di almeno 50 deputati e previa deliberazione<br />

della Camera); mentre la minoranza contestava che queste o simili limitazioni<br />

potessero applicarsi a discussioni in corso, e peggio ancora in<br />

materia statutaria. Iniziatasi la discussione sulle proposte di modifiche<br />

regolamentari e trasferitosi su di esse l'ostruzionismo, il Governo adottò<br />

le misure con decreto (22 giugno 1899), presentato alla Camera il 28 per<br />

la conversione. In tale sede, riprodottasi la preesistente situazione, si eb-


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 397<br />

bero una seconda proposta Sonnino ed una. ancora Cambray-Digny, questa<br />

volta tendenti a un Comitato che elaborasse norme regolamentari<br />

nuove, dall'esperienza in corso suggerite. Si giunse quindi, tra le più accese<br />

proteste della minoranza, a dar mandato alla Giunta per il Regolamento,<br />

il 29 marzo 1900, di presentare le modifiche: il 3 aprile queste<br />

furono approvate senza discussione, con l'abbandono dell'aula da parte<br />

di tutta la sinistra e l'estrema sinistra.<br />

Tra le modifiche approvate erano: la richiesta di dieci deputati, all'inizio<br />

della discussione, di fissazione del tempo massimo per gli interventi,<br />

o analoga proposta del Presidente in caso di turbative successive<br />

(purché in tal caso quel limite giungesse almeno ai 10 minuti, con soppressione<br />

delle votazioni, nominali o segrete, e decisione del giorno ed<br />

ora di fine discussione); la firma di dieci deputati e la necessità della<br />

iscrizione per lo svolgimento di ordini del giorno dopo chiusura della<br />

discussione generale; la firma di cinque deputati per lo svolgimento di<br />

emendamenti dopo chiusura della discussione sull'articolo.<br />

Vi erano inoltre, come attualmente: la precedenza dell'ordine del<br />

giorno « puro e semplice » sugli altri ordini del giorno (art. 81); la firma<br />

di dieci deputati per la presentazione di emendamenti nel giorno stesso<br />

della discussione (art. 86); il termine di cinque minuti per le ragioni del<br />

ritiro di un emendamento (art. 87); la facoltà del Presidente di opporsi<br />

ad ordini del giorno e emendamenti sconvenienti o estranei all'argomento<br />

(art. 90); la regola del voto per alzata e seduta in tutti i casi di appello<br />

contro le decisioni presidenziali (art. 94).<br />

Sciolta la Camera e dimessosi il Pelloux, sostituito dal Saracco, la<br />

Assemblea uscita dalle elezioni concordava sulla nomina di una ulteriore<br />

Commissione con l'incarico di approntare entro due giorni un nuovo<br />

Regolamento: il 1° luglio 1900 questo veniva infine presentato e approvato.<br />

Dopo le tumultuose vicende dell'anno precedente, la Commissione<br />

dichiarava di aver voluto consentire a tutti le più assolute garanzie per<br />

la libertà del dibattito e del voto. Per la materia della discussione, non<br />

era confermata la facoltà di prefissarne la durata; veniva invece stabilito<br />

il potere del Presidente di interdire la parola, dopo due richiami, allo<br />

oratore intrattenentesi su temi estranei alla questione, salvo appello alla<br />

Camera per alzata e seduta (art 76 del Regolamento vigente); per turbative<br />

d'ordine, veniva inoltre articolato un sistema di sanzioni (richiamo<br />

all'ordine eventualmente ripetuto, esclusione dall'aula per la seduta, censura<br />

interdiente dai lavori per un determinato numero di giorni, le due<br />

ultime inflitte su proposta del Presidente stesso votata, senza discussione


398 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

né emendamento, per alzata e seduta) che è quello, in sostanza, tutt'oggi<br />

accolto nel Capo Vili (Polizia della Camera) - art. 56 del Regolamento.<br />

Il Regolamento « definitivo » del 1900, restò per quasi ventìcinque<br />

anni il corpo delle norme disciplinatrici della vita della Camera, seppure<br />

con alcuni gruppi di modifiche, che tuttavia non ne alterarono la struttura<br />

complessiva. Il primo gruppo (relazione Brunialti 1907) comprendeva il<br />

rinvio delle interrogazioni alla seduta successiva quando fossero svolte,<br />

ritirate, rinviate o comunque decadute le prime quindici all'ordine del<br />

giorno (art. 113 del Regolamento vigente); la preventiva richiesta di<br />

svolgimento delle interpellanze (art. 121 del Regolamento vigente); la decadenza<br />

delle mozioni e interpellanze iscritte all'ordine del giorno da un<br />

tempo determinato (art. 132 del Regolamento vigente).<br />

Il secondo gruppo (1910) estese l'anzidetta decadenza alle interrogazioni<br />

(introducendo il « tipo » della interrogazione con richiesta di risposta<br />

scritta), vietando inoltre ad ogni deputato di poter svolgere più<br />

di due interrogazioni o interpellanze nella stessa seduta (artt. 132, 115,<br />

116 e 121 del Regolamento vigente).<br />

Seppure la legislatura di guerra, impegnata su temi di ben altra urgenza,<br />

non segnasse modifiche regolamentari, debbono nondimeno<br />

menzionarsi due progetti della Commissione permanente per il Regolamento,<br />

anche se non pervennero a buon fine : l'uno tendente a regolare il<br />

Comitato segreto (tenuto in due periodi dell'anno 1917 sulle questioni militari<br />

e di politica estera), cui avrebbero dovuto applicarsi le stesse norme<br />

valide per le sedute pubbliche; l'altro che raccoglieva istanze isolate di<br />

modifica in un testo globale rinnovato, informato al criterio di conferire<br />

agilità e snellezza ai modi delle discussioni. Vale la pena di ricordare,<br />

tra le proposte accolte da quest'ultimo, quella di una maggiore pubblicità<br />

dei lavori assembleari attraverso la pubblicazione, entro tre giorni,<br />

dei resoconti stenografici delle sedute (13).<br />

(13) Su questo punto è interessante ricordare la lunga lotta condotta in Inghilterra,<br />

a garanzia d'indipendenza dei parlamentari, in senso ostile alla pubblicità delle<br />

sedute e alla pubblicazione del verbale (cfr. MAY, Treatise on the law of Parliement,<br />

Londra 1957).<br />

In Italia, una maggiore immediatezza nei mezzi di diffusione dei lavori era,<br />

per contro, esigenza assai antica e inascoltata: se ne ricordano perfino una mozione<br />

Nicotera del 6 febbraio 1887, rimandata al Comitato segreto, e una mozione ancora,<br />

proposta dal Presidente il 3 marzo 1890, tendente ad ottenere che i resoconti venissero<br />

corretti dagli oratori nel tempo massimo di quattro giorni, ed in difetto senz'altro<br />

pubblicati ; talché il problema, non ultimo né lieve, anzi di spicco costituzionale,<br />

della pubblicità delle sedute è ancora oggi dibattuto, e forse per taluni aspetti<br />

(Commissioni legislative) ancora da approfondire.<br />

Ecco quanto ne è detto in MANCINI e GALEOTTI, Norme ed usi del Parlamento<br />

italiano, Roma 1887, fatta riserva per ciò che attiene alla asserita «ufficialità»


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 399<br />

Un terzo ed ultimo gruppo di modifiche (1920-1922) venne apportato<br />

infine a seguito dell'adozione, per la XXV legislatura, di un nuovo<br />

sistema elettorale: lo scrutinio di lista con la proporzionale. Tale sistema,<br />

mutando alla distanza la stessa fisionomia della lotta politica nel<br />

paese, con il rafforzamento dei partiti organizzati, riusciva certo incompatibile<br />

con la sopravvivenza degli Unici costituiti per sorteggio e per<br />

ciò stesso inabili - per definizione - a sodisfare garanzia veruna di rappresentanza<br />

bilanciata.<br />

S'imponeva il ricorso, in tale modo, ad un sistema diversamente concepito,<br />

cioè fondato su organismi nuovi, atti a rispondere al compito fissato.<br />

Queste modifiche sono importantissime ex post: si ha qui il passaggio,<br />

infatti, alla struttura delle Commissioni, organi « stabili » e « polivalenti<br />

» in cui si specchia l'equilibrio politico dell'Assemblea; ciò che<br />

conduce, come lontana conseguenza (1939; 1948-1949), all'espediente di<br />

accreditare ad esse non già soltanto il compito di esame preliminare dei<br />

progetti, ma anche, e più, la potestà legiferante in forma « decentrata »,<br />

del resoconto stenografico, questione sulla quale gli orientamenti più recenti vanno,<br />

per altro, in contraria direzione:<br />

« Per quanta sollecitudine si sia posta nella pubblicazione del resoconto stenografico,<br />

non riuscì sempre di averlo entro le ventiquattr'ore prescritte dal Regolamento<br />

interno [successivamente abolite - N.d.r.] ; di maniera che esso giungeva<br />

qualche volta troppo tardi per dare una notizia esatta e completa delle cose dette<br />

nella tornata. Frattanto si diffondevano i resoconti dei giornali, soprattutto per ragioni<br />

foniche non sempre esatti; onde talvolta (11 dicembre 1861) perfino il Presidente<br />

fu costretto a rettificarli. All'inconveniente fu quindi in diversi tempi invocato<br />

un riparo, e si credette di trovarlo coll'affidare ai revisori la compilazione di un<br />

Resoconto sommario, il quale fosse, per quanto è possibile, uno specchio fedele della<br />

discussione e dal quale i giornalisti (che lo ricevono in bozze non ancora corrette durante<br />

la seduta) potessero attingere quella parte della pubblica discussione che non<br />

fosse loro riuscito di raccogliere esattamente. Tale resoconto, introdotto nel 1879 nella<br />

Camera dei deputati e nel 1882 nel Senato, si può certamente dire che abbia in gran<br />

parte raggiunto lo scopo, sebbene il servizio relativo non sia ordinato in guisa da<br />

assicurarne una compilazione scevra da difetti. Ma, poiché deve essere pubblicato<br />

senza indugio, la Presidenza non ne garantisce la esattezza; epperò esso non ha alcun<br />

carattere ufficiale, e come tale non ammette rettificazioni.<br />

« Il solo resoconto " ufficiale " è lo stenografico, il quale ora costituisce una<br />

pubblicazione speciale, mentre nei primi anni veniva inserito nella Gazzetta piemontese,<br />

che era il giornale ufficiale del tempo... Di simili ritardi le cagioni sono molteplici<br />

e varie; prevalente il riguardo che si usa ai ministri, per la importanza che<br />

assumono sovente i loro discorsi e la impossibilità in cui essi, sopraccarichi di occupazioni,<br />

si trovano di correggerli sollecitamente. Ed i ritardi stessi nel Senato sono<br />

così sistematici che il senatore Rossi nel 1'° giugno 1887 chiese addirittura la soppressione<br />

dei resoconti " per evitare pubblicazioni tardivamente indecorose "...<br />

< Un caso veramente eccezionale e che mette conto di registrare si è verificato<br />

nella tornata della Camera 10 dicembre 1863. In essa il Presidente del Consiglio Minghetti<br />

ebbe a fare questa dichiarazione che venne accolta con un bene l: " Domani<br />

farò pubblicare in un giornale la risposta precisa al deputato Crispi; perché non<br />

voglio prolungare più oltre questa discussione " ».<br />

Né in misura minore la questione restava nel Parlamento attuale, dopo più<br />

di un secolo. Ne avverte il RUINI (La funzione legislativa, cit) : « Importanza rite-


400 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

ossia al sistema di esame e approvazione delle leggi che è oggi a base<br />

dell'ordine repubblicano.<br />

La Camera fu suddivisa in Gruppi politici di almeno venti deputati,<br />

con facoltà di fondersi pei Gruppi affini minori e di riunirsi in gruppo<br />

misto pei deputati diversamente collocati. Per ogni Gruppo era da intendersi<br />

costituito Ufficio, convocato dal Presidente della Camera entro otto<br />

giorni dall'inizio della legislatura per designare, con votazione segreta ed<br />

in ragione di uno per ogni venti iscritti, i delegati alle Commissioni permanenti<br />

(artt. 26 e 27 del Regolamento vigente). Queste, formate per<br />

ogni anno finanziario, e con diritto di autoconvocarsi a richiesta di un<br />

quinto dei loro componenti, erano in numero di nove, e a loro volta si<br />

ripartivano la competenza, ratione materiae, su tutta l'istruzione dei lavori<br />

della Camera. Nelle ultime fasi di modifiche (22-23 giugno 1922) le<br />

Commissioni salirono da nove a dodici; si stabiliva inoltre la competenza<br />

« aggiuntiva » di quella delle finanze e del tesoro per i progetti comportanti<br />

incidenze finanziarie, nonché il periodo di due mesi per la presentazione<br />

delle relazioni (artt. 29, 30, 31 e 35 del Regolamento vigente) (14).<br />

Per le modalità della discussione, contemporaneamente, era concessa<br />

facoltà al deputato accusato di fatti disonorevoli di chiedere giurì d'onore<br />

vante, e quasi conseguenza logica del lavoro parlamentare, ha la pubblicità dei dibattiti,<br />

che il paese deve conoscere ed apprezzare immediatamente... Potrebbero giovare<br />

comunicati e riassunti diramati dalle Camere stesse, seppur senza obbligo formale<br />

di pubblicazione, ai giornali; una maggior estensione e diffusione alla radio; né<br />

sono da respingersi proposte di bollettini o pubblicazioni speciali, ed accordi analoghi<br />

a quelli con la Hansard. Sovrattutto giova che i resoconti siano messi più rapidamente<br />

in circolazione; da noi tardano troppo per l'abitudine, che ho seguita<br />

anch'io, lo confesso, di trattenere e correggere e pulire e qualche volta modificare<br />

le bozze dei resoconti. In Francia ed in Inghilterra la diffusione è rapidissima; bisogna<br />

correggere le bozze nella stessa notte; e gli estratti non sono tardivi volumetti<br />

pubblicitari degli oratori o pseudo oratori. Mi auguro una radicale e severa riforma<br />

>. ' \<br />

Sia consentito aggiungere che per la Camera dei deputati tale riforma è stata<br />

fatta, a metà anno 1967, e ha funzionato e funziona puntualmente: quale che siano<br />

la durata e il termine delle sedute (ed anche se la seduta è continuata, com'è accaduto<br />

successivamente in caso di ostruzionismo) il resoconto stenografico immediato<br />

d'aula viene rivisto, composto e divulgato insieme con i quotidiani del mattino successivo.<br />

(14) Sul descritto passaggio alla rete delle Commissioni, che è di valore storico<br />

fondamentale assai più dell'antica e pur lunghissima disputa sulle e tre letture» e<br />

sugli Uffici, può ricordarsi che l'art 55 dello Statuto suonava : « Ogni proposta di<br />

legge debb'essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera<br />

nominate per i lavori preparatori ». D termine di « Giunta » fu sempre inteso in<br />

senso lato: del resto, anche con il sistema degli Uffici, fin 11 in vigore, erano in<br />

vita alcune Giunte permanenti (quella, ad esempio, del bilancio, chiamata anche<br />

« regina delle Commissioni » ; quella, già vista, per il Regolamento ; quella, pure<br />

già vista, delle elezioni, ecc.).<br />

La nascita delle Commissioni si ha nel Congresso degli Stati Uniti, per il criterio<br />

della prevalenza data alla competenza dei parlamentari (fra permanenti, speciali,


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 401<br />

(art. 74 del Regolamento vigente), fissato il massimo di 20 minuti per<br />

svolgimento degli ordini del giorno (art. 81 del Regolamento vigente), prevista<br />

la trasmissione alla Commissione delle finanze e del tesoro di emendamenti<br />

con conseguenze finanziarie e sancito il rinvio al giorno successivo<br />

dell'esame di articoli ed emendaménti presentati nel giorno stesso<br />

della discussione, essendo facoltizzati alla richiesta Governo, Commissione<br />

o dieci deputati, per evitare voti non sufficientemente meditati<br />

(art. 86 del Regolamento vigente).<br />

Per le interrogazioni, le interpellanze e le mozioni fu fissato a due<br />

mesi il termine di decadenza (art. 132 del Regolamento vigente).<br />

Nessuna innovazione si ebbe al vecchio Regolamento « definitivo »,<br />

così consolidatosi nei primi anni del periodo fascista : esso cessò tout court<br />

di funzionare, a motivo della ridotta attività della Camera e soprattutto<br />

delle Commissioni, a seguito della intervenuta delega al Governo: talché<br />

può ricordarsi, del 1923, una proposta Salandra di abolire senz'altro le<br />

Commissioni stesse, che tuttavia non giunse a votazione. Una prima<br />

riforma si ebbe invece dopo la legge elettorale maggioritaria, all'inizio<br />

della XXVII legislatura (24 maggio 1924), che decideva, con altre modificazioni,<br />

la soppressione delle Commissioni ed il ritorno agli Unici: e una<br />

seconda riforma, più radicale, dopo il regime (1925) e la costituzione<br />

della Camera con la seconda legge elettorale (1928). La Camera deliberava<br />

infatti di darsi il nuovo Regolamento del 1° maggio 1929, in relazione<br />

alla trasformazione intervenuta nell'ordinamento dello Stato, e<br />

con esso restava (salvo alcuni ritocchi) per un decennio, fino alla fine<br />

inquirenti ed altri, i Committees sono oggi un centinaio: ciascun parlamentare partecipa<br />

a più d'uno di essi).<br />

In Italia, in estate 1920, l'istituto obbedisce ad un motivo duplice: 1) di natura<br />

politica, attribuendo agli organi istruttori dei lavori la stessa composizione della<br />

Camera dopo la nascita dei Gruppi; 2) d'ordine tecnico, offrendo agli organismi<br />

referenti della Camera (salve le Commissioni speciali) possibilità di assolvere ad un<br />

compito proficuo, con competenza permanente in ordine all'esame di provvedimenti in<br />

materie predeterminate. E infatti è in causa, a tal momento, unicamente la funzione<br />

referente.<br />

È con la legge 19 gennaio 1939, n. 29, invece, che prende inizio il decentramento<br />

legislativo realizzato attraverso organi interni al Parlamento. Secondo questa,<br />

erano attribuite all'Assemblea della nuova Camera dei fasci e delle corporazioni<br />

le sole leggi costituzionali, quelle indicate nella legge n. 100 del 1926 sulla potestà<br />

del Governo di emanare norme giurìdiche, quelle di delega e quelle di bilancio<br />

(art. 13, primo comma). Tutte le altre appartenevano alle Commissioni legislative<br />

(art. 16). Poteva inoltre la competenza di tali Commissioni sovrammettersi a quella<br />

stessa di Assemblea, quando lo stabilisse il Capo del Governo per ragioni di urgenza<br />

(art. 17): e, per converso, tornare all'Assemblea qualsiasi altro progetto che<br />

ne fosse richiesto dal Governo o autorizzato (su proposta dell'Assemblea stessa e<br />

delle Commissioni) dal Capo del Governo (art. 15, secondo comma).<br />

Furono nominate dodici Commissioni £ ben chiaro che, in pratica, non<br />

c'erano limiti di competenza: meglio, anzi, dire che si trattava di competenza amplissima<br />

< riservata », col solo limite dell'intervento del Governo.


402 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

della XXIX legislatura, che ne segnava la soppressione e la sostituzione<br />

(legge 19 gennaio 1939, n. 129) con la già vista Camera dei fasci e delle<br />

corporazioni.<br />

Cessato il regime fascista, con decreto legislativo luogotenenziale 31<br />

agosto 1945, n. 539, si stabilì che la Consulta nazionale adottasse provvisoriamente<br />

le vecchie norme della Camera ante 28 ottobre 1922: nell'anno<br />

successivo la Consulta approvò nondimeno un proprio Regolamento<br />

(11 gennaio 1946), nel quale, con gli adattamenti indispensabili,<br />

venivano sostanzialmente riprodotte le linee del Regolamento della Camera<br />

del 1900. Non mette conto qui, evidentemente, di indugiarvi: si<br />

può soltanto ricordare che nuovamente si fece ricorso a Commissioni,<br />

naturalmente consultive in conseguenza della natura dell'organo maggiore,<br />

i cui poteri erano in tale guisa limitati: al Governo soltanto spettava<br />

di legiferare.<br />

Al vecchio Regolamento del 1900, con le modificazioni introdotte<br />

fino al 1920-1922, ritornava poi l'Assemblea Costituente, pur approvando<br />

nello stesso anno del suo insediamento (1946) qualche norma aggiuntiva,<br />

indotta dalle sue funzioni, per la nomina di varie Commissioni: tutte,<br />

però, con funzioni referenti, tra cui la nota « Commissione dei 75 » per il<br />

progetto di Costituzione (15).<br />

Infine, lo stesso testo veniva adottato dalla prima Camera repubblicana,<br />

uscita dalle elezioni del 18 aprile 1948, in omaggio al principio<br />

della continuità storica del Parlamento. Nondimeno, nello stesso anno<br />

1948 e nell'anno 1949, la Giunta per il Regolamento avanzava proposte<br />

di alcune modifiche particolari. Tali modifiche la Camera accettava (nelle<br />

sedute del 1° e 4 giugno 1948, del 15 settembre 1948, del 10 e 11 febbraio<br />

1949, del 7 aprile 1949), autorizzando la Giunta stessa ad organizzarle<br />

in un testo coordinato anche in relazione alle norme della nuova Carta<br />

fondamentale dello Stato nel frattempo in vigore (1° gennaio 1948): testo<br />

che ancora veniva esaminato nelle sedute del 14 e 15 novembre 1949,<br />

e quivi infine approvato.<br />

Esso mantiene la fisionomia dei precedenti e costituisce, con le modifiche<br />

minori via via apportate dalle prime quattro legislature repubblicane,<br />

l'attuale Regolamento della Camera.<br />

Circa le norme sulla discussione, le modifiche definite nel periodo<br />

1948-1949 sono di non grandissima entità, riguardando esse lo scambio<br />

(15) Per una ricostruzione assai diffusa del successivo solidificarsi delle norme<br />

regolamentari, ivi comprese quelle del Senato, dalle origini alla Costituente, con gli<br />

opportuni riferimenti al quadro storico che le accompagnava, e con raffronti agli istituti<br />

paralleli dei principali regolamenti stranieri, si rimanda all'analisi di ASTRALDI e CO­<br />

SENTINO, / nuovi regolamenti del Parlamento italiano, Roma 1950.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 403<br />

di turno tra deputati e la decadenza dalla iscrizione per i non presenti;<br />

l'abbandono della tribuna per i discorsi, per nulla amata dai parlamentari;<br />

la salvaguardia delle dichiarazioni di voto per chi sia già intervenuto<br />

nella discussione; una rettifica di pura forma sulle violazioni d'ordine;<br />

l'estensione della presentazione degli ordini del giorno anche dopo chiusura<br />

della discussione generale, ma senza diritto a svolgimento; infine,<br />

il tempo minimo di un'ora ante seduta per la presentazione degli emendamenti,<br />

appoggiati da dieci firme, nel giorno stesso della discussione (per<br />

evitare proposte di sorpresa, principio da altri contestato in nome di una<br />

maggiore flessibilità del dibattito e di un diritto incomprimibile del deputato),<br />

col chiarimento che tale restrizione non è applicabile ai subemendamenti<br />

(artt. 70, 71, 72, 75, 81 e 86 del Regolamento vigente).<br />

Circa l'esame preliminare, le modifiche si soffermarono in dettagli<br />

sulla costituzione e sul funzionamento delle Commissioni.<br />

Per gli strumenti del controllo, esse si limitarono, in sostanza, alla<br />

protrazione da sei a dieci giorni del termine per la risposta scritta alle<br />

interrogazioni e ad una esplicitazione del contenuto politico dell'interpellanza<br />

(per distinguerla dalle prime), a parte il recepimento della figura<br />

delle mozioni di fiducia e di sfiducia in testuale ripetizione della nuova<br />

disciplina costituzionale (artt. 115, 119 e 131 del Regolamento vigente).<br />

È invece necessario aggiungere che in tali anni presero corpo due<br />

modifiche di ben maggiore portata, introducenti l'una le Commissioni<br />

legislative, l'altra le Commissioni « redigenti » : istituti di cui, nell'ultima<br />

parte del capitolo, dovrà farsi diffusa illustrazione, soprattutto per<br />

la dogmatica relativa alla natura dei rapporti che si sarebbero così configurati.<br />

Si tratta, tuttavia, di due istituti quasi completamente nuovi, e<br />

certo organici: pertanto è dovere qui - storicamente - darne almeno un<br />

accenno complessivo.<br />

La prima modifica, oggetto del Capo VII (Funzionamento delle<br />

Commissioni) - art. 40, fu inserita in virtù del terzo comma dell'art. 72<br />

Cost, prefigurante - come già si è visto - i principali canoni del procedimento<br />

« decentrato », ma con riserva per i regolamenti della facoltà<br />

di definirne casi e modalità. L'ordinamento interno della Camera<br />

non fece dunque, in questo caso, che sostanziare la previsione costituzionale:<br />

tuttavia, data la latitudine della riserva e la non breve gamma<br />

delle soluzioni astrattamente ipotizzabili (tra cui - si badi - anche<br />

quella negativa), non mancò discussione su alcuni aspetti della nuova<br />

disciplina: così, ad esempio, sul potere di deferimento, attribuito al<br />

Presidente salvo opposizione, ciò che sembrò rispondere ad esigenze


404 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

di snellezza del congegno procedurale, facendo salve al tempo stesso<br />

le prerogative della Camera; e così ancora sui quorum da proporzionare;<br />

sui deputati « esterni » senza voto e sull'annunzio delle approvazioni;<br />

sulle cinque materie di Assemblea di cui a « riserva costituzionale<br />

», cui venne aggiunta la materia tributaria. Nel 1951, a seguito<br />

dell'esperienza dei « conflitti », fu inserita la regola dell'esame a Commissioni<br />

riunite o della rimessione all'Assemblea nel caso di dissenso tra<br />

Commissione « di merito » e Commissione « di parere » per i progetti<br />

con conseguenze finanziarie: così rendendo quel parere stesso non solo<br />

obbligatorio, ma anche vincolante, ed estendendo tale prescrizione ai casi<br />

di conflitti « positivi » con altre Commissioni provviste di competenza<br />

consultiva. Nel 1958, infine, fu scambiata, in materia di parere, la Commissione<br />

finanze e tesoro con quella del bilancio, allora appunto istituita,<br />

e vi fu aggiunta la Commissione affari costituzionali, istituita contemporaneamente<br />

e competente, con le medesime modalità, per i pareri in materia<br />

di pubblico impiego.<br />

Quanto alla seconda modifica, introdotta nell'ultima seduta deh 15<br />

novembre 1949 e rappresentata dall'art. 85 relativo alle Commissioni<br />

« redigenti » (a parte talune perplessità in merito alla sua collocazione<br />

nel Capo intitolato alla « discussione », che pare doversi intendere sotto<br />

il profilo sistematico come il compendio delle norme regolatrici della<br />

discussione stessa, in qualsiasi sede essa avvenga, e non come lo schema<br />

di un vario modus procedendi nell'esame delle leggi), appare anzitutto<br />

certamente arduo inquadrarla in un'opera di « coordinamento », a meno<br />

che tale espressione voglia essere riferita con assoluta preminenza all'armonizzazione<br />

con le regole della nuova Costituzione.<br />

Ma sorge qui un non meno difficile problema: com'è noto, l'art. 72<br />

della Carta costituzionale, relativo all'esame e all'approvazione delle leggi,<br />

contiene un primo comma, che prescrive l'esame da parte dapprima di<br />

una Commissione e quindi della Camera, con approvazione di questa<br />

articolo per articolo e con votazione finale; un secondo comma, che obbliga<br />

i regolamenti a stabilire procedimenti abbreviati per i progetti d'urgenza;<br />

e un terzo e quarto comma, che offrono la trama sulla quale<br />

« può » essere intessuta la procedura di approvazione decentrata in Commissione<br />

senza intervento alcuno dell'Assemblea, salva la facoltà di chiedere<br />

la rimessione a questa del progetto, con garanzia di pubblicità e con<br />

esclusione delle cinque materie per cui vi è riserva di procedura normale.<br />

Questo, e non altro, dice la Costituzione.<br />

Ora, poiché « armonizzare » significa porre in accordo almeno due<br />

termini diversi (o anche in parziale o totale contrasto tra loro, fatto il


Z/'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 405<br />

debito spazio alle supremazie « di grado »), fu proprio un tale titolo di<br />

legittimazione ad essere contestato alla Commissione < redigente », essendo<br />

stata accesamente sostenuta in Parlamento, come tuttora si sostiene<br />

in non piccola parte della dottrina, la inesistenza di alcuna norma<br />

costituzionale alla quale appoggiare l'art. 85 del Reg. Camera, introduttivo<br />

del procedimento di cui è causa.<br />

Vero è che non manca in tale procedimento l'esame preliminare della<br />

Commissione e la votazione d'Assemblea sui singoli articoli e sul complesso<br />

del progetto, voluti dal primo comma dell'art. 72 Cost. Vero è,<br />

anche, che il secondo comma del medesimo art. 72 prevede, obbliga anzi<br />

ad abbreviazioni per i casi d'urgenza (discutibilmente richiamata dalla<br />

norma della Camera, non da quella analoga del Senato, in quanto la<br />

procedura «redigente» - che non conosce prefissione di termini -<br />

meglio sembra adattarsi a provvedimenti di natura tecnica e complessa,<br />

per i quali, di solito, è difficile sostenere l'urgenza). Vero è,<br />

infine, che il terzo comma dello stesso precetto costituzionale contiene<br />

un breve cenno sulla « rottura » del procedimento decentrato con rimessione<br />

« limitata » all'Assemblea per la sola approvazione finale e con<br />

sole dichiarazioni di voto. Ma il tentativo di riferire all'uno o all'altro<br />

di tali canoni del testo costituzionale l'introduzione per via di Regolamento<br />

di un novum tanto radicale (anche se in fatto poco applicato, e mai<br />

con gravi riflessi politici) non sembra possa dirsi concordemente riuscito,<br />

né in sede dottrinaria, né in sede di discussione parlamentare della<br />

norma, nella quale occasione la maggioranza politica del tempo ne sostenne<br />

la derivazione dalla procedura d'urgenza (secondo comma dell'art.<br />

72 Cost.), così giustificando l'abbandono delle due garanzie di<br />

rimessione e di riserva (le quali invece sussistono per il Senato); mentre<br />

le minoranze, per la mancanza proprio di tali garanzie (e riuscendo a<br />

strappare solo la garanzia minore dell'intervento di deputati « esterni »<br />

con diritto di presentare emendamenti e di discuterli), la osteggiavano<br />

a lungo e dichiaravano, anche dopo approvazione, di ritenerla incostituzionale.<br />

Tale questione, assai complessa ed a tutt'oggi aperta, sarà ripresa<br />

come detto, e basterà pertanto, in questa parte, avere di tale aspetto<br />

riferito.<br />

È interessante tuttavia notare, per il profilo d'istituto, che forse più<br />

di tutti è suggestivo l'accostamento di coloro che in esso vogliono scorgere<br />

le tracce, per di più in qualche modo migliorate, della seconda<br />

fase delle «tre letture», introdotte dal Bonghi nel 1888 e conservate


406 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

nel Regolamento (seppure cadute in desuetudine) fino alla sua formulazione<br />

« coordinata » di ventanni or sono.<br />

Nel corso successivo delle legislature repubblicane, da parte della<br />

Giunta e dell'Assemblea continua l'opera di aggiornamento del vecchio<br />

testo così rielaborato: ma, nonostante limiti ed antinomie vengano da<br />

molte parti rilevati, non è impostata almeno formalmente - si noti<br />

bene - una questione di riforma, né di una più modesta revisione: trattandosi<br />

soltanto, invece, di effettuare i minori aggiustamenti che si ritengono<br />

necessari ed utili, giusta le indicazioni suggerite da un'esperienza<br />

ormai quasi ventennale.<br />

Così, per la discussione, le modifiche si limitano al divieto di iscrizione<br />

dopo il secondo giorno della discussione generale, inserito nel<br />

1951 all'art. 70 - non senza qualche contrasto - per motivi di connessione<br />

d'ordine con un nuovo istituto (la « discussione organizzata ») accolto<br />

l'anno precedente e che vorrà un'analisi accurata; e ancora alla<br />

sostituzione formale della Commissione del bilancio alla Commissione<br />

finanze e tesoro per quanto riguarda l'organo destinatario della irasmissione<br />

di emendamenti « finanziari » appena presentati, o titolare<br />

della facoltà di chiederne il rinvio se presentati nello stesso giorno, sostituzione<br />

operata all'art. 86 all'inizio della III legislatura (1958), allorché<br />

- come detto - la Commissione del bilancio viene istituita.<br />

Per quanto attiene alle Commissioni in generale, nuove modifiche<br />

si hanno in materia di funzionamento (Comitati ristretti, ecc.): tra l'altro,<br />

una introdotta nella IV legislatura (1965) ne protraeva il periodo di<br />

durata dall'anno finanziario al biennio, a simiglianza di quanto già previsto<br />

per il Senato (art. 29 del Regolamento vigente). Si rilevava, infatti,<br />

l'incongruità di spezzare annualmente l'opera delle Commissioni<br />

proprio nel momento in cui, concluso l'esame dei bilanci, queste passavano<br />

a riprendere l'attività normale: e in realtà, la regola dell'anno finanziario,<br />

che risaliva al 1920, cioè al già visto passaggio dagli Uffici<br />

(costituiti per sorteggio) alle Commissioni permanenti (per le quali la<br />

nomina ha una derivazione volontaria), e si giustificava quindi in una<br />

logica transitoria con l'intenzione di evitare eccessi di stabilizzazione,<br />

non sembra conservasse senso alcuno una volta acquisito, da parte delle<br />

Commissioni, rilievo costituzionale.<br />

Per il controllo, la prima legislatura vara nel 1950 una iniziale modifica,<br />

intesa all'esclusione dell'ordine del giorno dalle discussioni sulle<br />

mozioni per la fiducia (o la sfiducia) al Governo, ritenuta non consona,<br />

per sua stessa natura, all'uso di uno strumento dal contenuto particolaristico;<br />

e una seconda nel 1951, diretta a stabilire che per i deputati


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 407<br />

interroganti assenti s'intenda essere chiesta la risposta scrìtta: con ciò<br />

capovolgendo, per la verità, l'impostazione della Giunta, che proponeva<br />

di restringere la ripresentazione dell'interrogazione, e non già di ampliare<br />

il diritto alla risposta (artt. 131 e 113 del Regolamento vigente) (16).<br />

LA DISCUSSIONE IN ASSEMBLEA PLENARIA.<br />

4. - Cento anni prima della Dichiarazione dei diritti dell'uomo,<br />

nel Bill of Rights del 1688 si sanzionava in Inghilterra la libertà di<br />

parola, la più importante garanzia di indipendenza del Parlamento.<br />

Oggi, nel profilare la sistemazione teorica dei vari istituti contenuti<br />

nel vigente Regolamento della Camera, e che attengono alla discussione,<br />

deve premettersi, anzitutto, la trattazione di un'importante innovazione,<br />

già proposta in sede di coordinamento del 1949, introdotta<br />

nel testo con altre modifiche minori nel 1950, da cui il dibattito può<br />

restare a fondo influenzato.<br />

Si intende dire dell'istituto della « organizzazione della discussione »,<br />

di cui al Capo III (Attribuzioni della Presidenza) - art. 13-bis del Regolamento,<br />

accolto solo nei primi anni della Repubblica, ma con alcuni<br />

antichi seppur sporadici precedenti. Esso riprende, radicalmente<br />

trasformandoli nello spirito e finalmente codificandoli, gli spunti che<br />

tante volte si è visto essere stati affacciati nella Camera italiana per una<br />

qualche forma - potrebbe dirsi - di « pianificazione » dei dibattiti con<br />

mezzi, come si è visto, tra i più diversi e disorganici (limitazione del<br />

tempo massimo per i discorsi, « blocco » degli ordini del giorno ed emendamenti,<br />

e così via): spunti che mai trovarono, in definitiva, la possibilità<br />

di radicarsi nella regola e nel costume parlamentare, non foss'altro che<br />

per il fatto di essere spesso improvvisati sotto l'impeto della contingenza,<br />

o ad essa addirittura ed esplicitamente riferiti: come la norma, varata<br />

in perìodo ostruzionistico il 3 aprile 1900, secondo cui, nei casi di turbative<br />

dei lavori (condizioni di cui, in definitiva, soltanto la maggioranza<br />

era chiamata a giudice nei momenti più « caldi » della vicenda politica),<br />

la Camera, su proposta del Presidente, avrebbe avuto potestà di contenere<br />

fino a 10 minuti il tempo massimo per gli interventi, di escludere<br />

ogni ricorso a votazioni qualificate e di fissare il termine della discus-<br />

(16) Dell'ultima modifica della IV legislatura (10 maggio 1966) sarà lecito dare<br />

notizia sotto un'angolatura « interna » : con essa la Camera rielaborava gli artt 41<br />

(Bollettino delle Giunte e delle Commissioni), 139 (processo verbale), 142, 143, 144,<br />

143 (Biblioteca) e 147 (Uffici) del proprio Regolamento, in conformità al totalmente<br />

nuovo « Regolamento dei Servizi e del Personale » approvato dall'Ufficio di Presidenza<br />

il 31 luglio 1964 ed entrato in vigore il 1° agosto dello stesso anno.


408 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

sione; norma di cui, per vero, dopo lo scioglimento, la nuova Camera<br />

fece presto giustizia, non riportando alcunché di simile nel Regolamento<br />

«definitivo» del 1° luglio 1900.<br />

Il fatto è che la composizione di una Camera qual era quella eletta<br />

col sistema uninominale a suffragio ristretto, ed anche a suffragio allargato<br />

nei primi due decenni del secolo XX, si riteneva del tutto incompatibile<br />

con qualsiasi congegno diretto a limitare, infine, il sacro ed intangibile<br />

diritto del parlamentare a far valere Fautorità, il prestigio, la<br />

dimostrata fondatezza del suo pensiero, e a far scadere su un piano di<br />

malintesa efficienza « aziendalistica » prerogative, funzioni e concezione<br />

stessa delle Assemblee.<br />

Non così accade, però, nella profonda trasformazione subita, a partire<br />

d'allora, dagli istituti parlamentari con l'adozione del sistema di<br />

elezione a scrutinio di lista e del principio della rappresentanza propor.<br />

zionale: e prima e meglio ancora di ciò, con il mutare dei termini essen«<br />

ziali della lotta politica nel paese, a seguito del ruolo sempre più penetrante<br />

giuocato in essa, fin dalla loro costituzione, dai partiti politici a<br />

vasta base popolare. Così come si è visto per la costituzione delle Commissioni<br />

permanenti, che data dall'estate del 1920, al modo stesso la<br />

« discussione organizzata », di cui l'attivazione è in mano ai Gruppi,<br />

come subito si vedrà, non rappresenta che la codificazione di questa<br />

nuova realtà politica, di cui gli stessi Gruppi sono l'espressione.<br />

Talché, se è vero che il concetto di « pianificazione » applicato ai<br />

dibattiti (poiché di questo si tratta, in verità, in termini teleologici: e non<br />

già, come pure fu detto in Assemblea, di « organizzazione » o di « ordine<br />

» degli stessi, ciò che esprime diverse concezioni, di contenuto rispettivamente<br />

ritualistico e procedimentale) sembra suonare falso e fuori<br />

sede - per la innegabile ed istintiva ripugnanza a concepire l'attività di<br />

un Parlamento libero come costretta a svolgersi entro limiti che non<br />

siano quelli volta per volta stabiliti dallo spontaneo senso di responsabilità<br />

e moderazione dei suoi membri - non è men vero, d'altro canto,<br />

che molta parte di tale atteggiamento, legato al retaggio tradizionale di<br />

una classe dirigente politica che prescindeva dai partiti, o per converso<br />

a nuove forme di contestazione da parte di minoranze che scorgono nella<br />

propria attivissima presenza in tale organo costituzionale e sovrano la<br />

irrinunciabile difesa di essenziali esigenze « garantiste », può avviarsi a<br />

cadere, ove si accresca la presa d'atto dell'esistenza di società composite<br />

ed « accelerate », pronte a dar luogo ai più rapidi processi di autorganizzazione<br />

in carenza di azione dello Stato e sempre più intessute nelle<br />

loro più varie aggregazioni - dai nuclei operativi di base ai corpi inter-


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 409<br />

medi, alle organizzazioni medie e grandi in campo economico, politico<br />

e sociale - di una linea d'azione programmata (17).<br />

Orbene il Parlamento, primo garante dello svolgersi della dialettica<br />

politica in termini civili e baluardo supremo di libertà, ma anche specchio<br />

fedele e sensibile, proiezione e modello del paese, non può estraniarsi<br />

- così a molti sembra - dalle comunità sociali che lo esprimono,<br />

ignorando, egli solo, direttive e tendenze « autoportanti » da cui esse<br />

stesse sono attraversate: anziché, invece, controllarle e precorrerle (18).<br />

(17) Ricorda ALBERTO GIOVANNINI (// partito liberale italiano, Milano 1958) che<br />

di fronte al primo Ministero Giolitti (1892), composto di esponenti della sinistra,<br />

uno dei deputati più rappresentativi della destra, Ruggero Bonghi, si domandava:<br />

« Cosa vogliono dire destra e sinistra ? Vogliono dire persone che siedono di qua<br />

e di là». E che più tardi (1896) il leader dell'estrema sinistra, Felice Cavallotti, dirà:<br />

« Io guardo come viventi anacronismi coloro che ancora mi parlano di destra e<br />

sinistra. Ma che destra e che sinistra ! ».<br />

(18) Il 4 giugno 1964 il presidente del Gruppo democristiano della Camera,<br />

Zaccagnini, in riferimento a proposte di modifiche regolamentari allo studio presso<br />

un'apposita commissione del Gruppo stesso, dichiarava all'Avvenire d'Italia e al<br />

Quotidiano : « La Camera è ancorata ad una regolamentazione rispondente ad un<br />

mondo politico che lo stesso sistema elettorale uninominale configurava completamente<br />

diverso dall'attuale; s'impone pertanto un nuovo metodo, che risponda adeguatamente<br />

alle esigenze di una vita parlamentare espressa dal sistema elettorale proporzionale,<br />

alla quale i moderni partiti organizzati hanno giustamente dato un diverso<br />

volto ».<br />

Allo stesso scopo il presidente del Gruppo senatoriale, Gava, proponeva all'assemblea<br />

della democrazia cristiana di Sorrento (30 ottobre-3 novembre 1965) di<br />

affidare ai direttivi dei Gruppi un giudizio vincolante su ogni iniziativa.<br />

Il deputato Malagodi affermava, il 26 giugno 1965, che la indisciplina dei<br />

deputati non è utile alla democrazia, e Con ciò - proseguiva - i liberali non intendono<br />

affermare la supremazia degli apparati dei partiti nelle rappresentanze parlamentari.<br />

Essi hanno cercato di evitare questo inconveniente: i loro deputati e senatori<br />

sono tutti membri di diritto del congresso e del consiglio nazionale: la direzione<br />

si riunisce sempre coi direttivi parlamentari, non c'è mai stato questo contrasto».<br />

Il deputato La Malfa rilevava, il 20 ottobre 1966, come i partiti siano i soli<br />

in possesso della « capacità di guardare ai problemi generali, e di avere per essi una<br />

soluzione globale»; fl deputato Luzzatto, il 16 febbraio 1967, .che tin Parlamento<br />

i partiti si riflettono nei Gruppi parlamentari, la cui funzione si tende a riconoscere<br />

sempre più ampiamente, e questa è una tendenza che merita sviluppo » ; e il deputato<br />

Ingrao, il 23 marzo 1967: «La funzione dei partiti è proprio quella di<br />

preparare ed elaborare nel paese le soluzioni politiche da confrontare in Parlamento;<br />

ed è una funzione essenziale, per impedire che l'attività parlamentare sia un caotico<br />

e infecondo intrecciarsi di grezzi pareri individuali. Ma questo compito unificante dei<br />

partiti deve servire a rendere più efficace il confronto, non ad annullarlo, perché se<br />

tutto è già deciso prima e fuori del Parlamento, allora per forza di cose trionfano la<br />

noia, l'indifferenza e, quindi, l'assenteismo ».<br />

Sulla richiesta di una maggiore autonomia ai Gruppi, il deputato Mariani,<br />

il 6 aprile 1967, osservava che «l'accusa che l'assenza dalla attività parlamentare in<br />

aula è dovuta al continuo spostamento della sede delle decisioni, e che le decisioni<br />

vengono prese fuori dalle naturali sedi del potere, è abbastanza fondata, anche se fl<br />

problema è molto più vasto e riguarda la crisi del Parlamento e la stessa riforma<br />

della classe politica e la vita interna dei partiti ».<br />

Per quanto riguarda in particolare il rapporto tra i partiti e i Gruppi di maggioranza<br />

e il Governo, in ordine al programma legislativo, si deve segnalare la polemica<br />

di stampa intercorsa tra il presidente del Gruppo senatoriale democristiano,


410 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

« Piano » è sinonimo di « programma », con una accentuazione dei<br />

contenuti strumentali sui contenuti finalistici: è necessario rilevare qui,<br />

prima di andare oltre, che tale scelta terminologica vuol essere simbolo,<br />

anch'essa, dell'assoluta « neutralità » politica di un necessario discorso<br />

di inquadramento generale del problema dei dibattiti, sul punto delicatissimo<br />

della loro organizzazione, ciò che è premessa e condizione di<br />

stile per la disamina che dovrà seguire della complessa loro disciplina:<br />

com'è dovere ed essenziale garanzia, d'altronde, in materia procedurale,<br />

in cui il Parlamento non può collegarsi ad altro fine che non sia quello<br />

di svolgere rapidamente e bene la sua funzione, fatta astrazione dalle<br />

possibili suggestioni della contingenza e da ogni dato dello scontro politico.<br />

Ciò tanto più è vero allorché si tratti di attività legislativa, e allorché<br />

si consideri che l'accennato problema della incisività dei lavori,<br />

di fronte al ritmo delle odierne esigenze e azioni « di programma », è<br />

problema comune a tutti i Parlamenti, quali che siano i presupposti di<br />

regime o di indirizzo politico dei paesi in cui agiscano. Valga per tutti<br />

il pensiero espresso da Churchill, nel 1944, a proposito dei Comuni inglesi:<br />

« Non v'è nulla di peggio, per far scadere il prestigio di un Parlamento<br />

nella pubblica opinione e ridurlo al livello di un qualsiasi ufficio<br />

dello Stato, che tenerlo aperto giorno e notte in dibattiti interminabili,<br />

della cui importanza il pubblico si può rendere conto solo se si tratti<br />

di esigenze eccezionali, imposte da necessità politiche inderogabili ».<br />

L'art. 13-bis Reg. Camera, di cui si tratterà non già sotto il profilo<br />

statico, tema che attiene ad altro capitolo dell'opera, ma per l'aspetto<br />

funzionale, cioè per i riflessi esercitati sulla dinamica della discussione,<br />

è istitutivo dunque di un nuovo organo - la « Conferenza dei Presidenti<br />

» - composto dall'Ufficio di Presidenza, dai presidenti delle Commissioni,<br />

dai presidenti dei Gruppi.<br />

Quest'organo ha due funzioni:<br />

a) convocato a discrezione del Presidente, con la presenza eventuale<br />

del Governo, raggiunge accordi sull'ordine dei lavori dell'Assemblea,<br />

che vengono a questa comunicati dal Presidente nella seduta successiva;<br />

Gava (sul Mattino del 25 gennaio e dell'8 e 22 febbraio 1967) e il direttore del quotidiano<br />

socialista, Gerardi (saU'Avanti t del 9 febbraio 1967) in coincidenza con la<br />

proposta avanzata dal primo per una più stretta cooperazione tra i Grappi della<br />

coalizione governativa; e la risposta del Gruppo senatoriale socialista intesa alla costituzione<br />

di un Comitato di coordinamento, ma con riserva di piena libertà di decisione<br />

a fronte dei disegni di legge presentati dall'esecutivo.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 411<br />

b) convocato su decisione della Camera, presa con la procedura<br />

« incidentale » prevista dall'art. 79 Reg., previa proposta del Presidente<br />

e dopo il terzo giorno dall'iscrizione di un argomento all'ordine del<br />

giorno, ne organizza la discussione, fissando l'ordine degli interventi e<br />

delle dichiarazioni di voto, il divieto di iscrizioni ulteriori e il calendario<br />

delle sedute necessarie.<br />

L'istituto, ripreso con il tradizionale metodo parlamentare da una<br />

prassi adottata dalla prima Camera repubblicana, si richiama a modelli<br />

franco-inglesi, e a suo proposito va posta subito una doppia notazione:<br />

1) esso non spoglia l'Assemblea del potere di modificare gli accordi,<br />

nel caso in cui funzioni per l'ordine dei lavori; la spoglia invece<br />

di tale potere (poiché la decisione della Camera è intervenuta in forma<br />

delegante) nel caso in cui funzioni per l'« organizzazione della discussione<br />

»;<br />

2) considerato in un primo tempo con sospetto da parte delle<br />

più forti minoranze (nonostante venisse prospettato come diretto esattamente<br />

a garantirne i diritti), esso vide in prosieguo abbandonate le maggiori<br />

riserve formulate: ma con la condizione, esplicitata nell'approvazione,<br />

che gli accordi per l'ordine dei lavori dovessero interpretarsi come<br />

unanimi; nel caso, invece, dell'« organizzazione della discussione », venne<br />

chiarito, nella stessa sede, che tale unanimità non potesse intendersi richiesta,<br />

mentre poteva d'altro canto ritenersi esclusa l'applicazione dello<br />

strumento della « chiusura deliberata » di cui all'art. 82 Reg.<br />

Il Senato non ha creato formalmente alcun collegio di tipo similare:<br />

in fatto novera, però, un collegio più ridotto, formato dai Vicepresidenti<br />

di Assemblea e dai presidenti dei Gruppi, senza che vi partecipi<br />

il Governo. Del resto, anche la Camera ha dato vita, in pratica, a<br />

un organo ristretto, la « Conferenza dei Capi Gruppo », con analoghi<br />

scopi: ed anche esiste una « Conferenza dei vice Capi Gruppo », con<br />

funzioni minori.<br />

Il rendimento dell'istituto è ancora oggetto di valutazione disparata.<br />

Secondo alcuni ne è crescente il rilievo, enucleandosi da esso il<br />

germe dell'organizzazione in via ordinaria dei lavori. Secondo altri, non<br />

ha mutato e non muta sull'antico formarsi del programma, appoggiato<br />

ai consueti poteri presidenziali, per la difficoltà singolare in cui si trova,<br />

esso che è specchio d'Assemblea, di attrarre a sé la decisione politica<br />

in tal campo, restando invece maggiormente atto ad una mediazione tecnica<br />

sul calendario dei lavori: vertente infine, più che su un quadro<br />

organico di legislazione, sulla mera difesa « razionalizzatrice » dell'ordine<br />

delle sedute e delle discussioni.


412 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Se questo è vero (e non succede in altri Parlamenti), è difficile dire<br />

perché accada. Se ne imputarono la radicalizzazione avvenuta nella<br />

lotta, la forza della pregressa tradizione e, non da ultimo, la stessa<br />

forma di convocazione (facoltativa e saltuaria) dell'organo che si è costituito.<br />

Questi motivi possono accettarsi: ma il vero limite è, probabilmente,<br />

che per le decisioni sui lavori non può prescindersi dall'unanimità. In tali<br />

condizioni si comprende come, nei periodi in cui acuta è la tensione (e<br />

in cui la Conferenza, appunto, potrebbe svolgere un'opera di mediazione)<br />

la possibilità di raggiungere gli accordi riposi solo sull'autorità<br />

morale del Presidente, con le limitazioni inevitabili che un tale tipo di<br />

composizione incontra in presenza di temi di forte contenuto; e sia,<br />

in sostanza, assai diminuita.<br />

Questa questione di organizzazione si riconnette strettamente all'altra,<br />

da lungo tempo sollevata, sull'alternanza temporale dei periodi<br />

di lavoro. Nella Conferenza dei Capi Gruppo della Camera del 12 novembre<br />

1959 (19) fu unanimemente deliberato l'esperimento di un periodo<br />

di dieci giorni di sedute continuative (dal 9 al 19 dicembre), quale<br />

premessa per la preparazione di un calendario di sedute alternate tra<br />

le Camere. Scopo di questa soluzione era indicato quello di conferire ai<br />

lavori un programma più ordinato, e in pari tempo quello di consentire<br />

ai deputati di attendere ad essi con continuità, per dedicarsi invece, nei<br />

periodi di aggiornamento, all'adempimento di altri e pressanti impegni<br />

politici. Ma il sistema, in definitiva, non passò, e il tentativo venne abbandonato,<br />

anche se per un'alternanza di lavori si continuava ad esprimersi<br />

da molte parti: così, ad esempio, il programma del partito repubblicano<br />

per le elezioni del 1963 prevedeva una sospensione annuale dell'attività<br />

legislativa per due o tre mesi; e così ancora, poco dopo, il deputato<br />

Cuttitta domandava, il 13 agosto 1963, la ripresa dell'esperimento<br />

di cui all'iniziativa presidenziale di tre anni avanti; mentre a sua volta,<br />

il 4 aprile 1965, il deputato Tozzi Condivi proponeva il ritorno all'art. 62<br />

Cost, secondo cui le Camere sono riunite di diritto il primo giorno non<br />

festivo di febbraio e di ottobre, sicché ogni altra convocazione avrebbe<br />

a ritenersi straordinaria.<br />

Si riconsiderava anche, in questo quadro, l'istituto statutario della<br />

sessione, abrogato dalla Costituzione, al cui ripristino si dichiaravano<br />

favorevoli, tra gli altri, i presidenti dei Gruppi parlamentari di maggio-<br />

(19) V. circolare del Presidente della Camera del 2 dicembre 1959.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 413<br />

ranza relativa della Camera e del Senato, Zaccagnini (8 marzo 1964) e<br />

Gava (9 marzo 1947) (20).<br />

Non meno significativa la posizione di esponenti della stessa parte<br />

politica per rivedere il principio della decadenza, con la fine della legislatura,<br />

di ogni progetto di legge non condotto ad approvazione definitiva,<br />

o almeno escluderla per i progetti già approvati nell'uno o l'altro<br />

dei due rami del Parlamento: dal Presidente del Consiglio Leone (1° luglio<br />

1963) al deputato Lucifredi (9 febbraio 1965), secondo cui occorreva<br />

« rinunciare al tabù, che non ha alcuna solida base, tranne quella tradizionale,<br />

della decadenza, a fine legislatura, di tutto il lavoro fatto dal<br />

Parlamento e non condotto a termine », al deputato Tozzi Condivi (4<br />

aprile 1965), che rilevava come nessun disposto costituzionale o regolamentare<br />

fosse violato dalla revisione.<br />

Su tale punto, nella seduta del 9 febbraio 1965, aveva concordato<br />

il deputato Laconi, per la maggiore opposizione. Si rilevava dunque,<br />

fin da allora, che una tal prassi, priva di ogni realistica ragione, lo sembrava<br />

ancor più in un sistema di partiti che conservava la sua stabilità<br />

anche al di là delle consultazioni elettorali; mentre in favore della continuità<br />

legislativa - eventualmente temperata da una conferma « di recupero<br />

» espressa o tacita delle nuove Assemblee - non si manca attualmente<br />

di citare l'operatività di un piano di sviluppo da cui restano inevitabilmente<br />

scavalcati i limiti di legislatura (21).<br />

È necessario dunque rimarcar l'auspicio, varie volte avanzato, per<br />

un riesame almeno d'istituti: ciò che potrebbe ritenersi utile, tra l'altro,<br />

a revitalizzare, con un adeguamento analogo a quello visto per tant'altra<br />

parte del Regolamento, e di cui qui non si spiegherebbe l'esclusione,<br />

l'arcaica forma della discussione generale, oggi assai spesso svolta in<br />

(20) Il 15 marzo 1967 il deputato Carlo Russo rilevava : « Il ritorno, sia pure<br />

in diversa forma, alle sessioni, che già esistevano nel Parlamento pre-fascista, potrebbe<br />

consentire di programmare i lavori della Camera dei deputati stabilendo in anticipo<br />

un certo numero di leggi da approvarsi in un prestabilito periodo di tempo. All'inizio<br />

della sessione il Presidente, sentiti i Capi Gruppo ed il Governo, dovrebbe predisporre<br />

il programma dei lavori da sottoporre all'Assemblea. Per la discussione generale verrebbe<br />

prevista per ogni Gruppo una determinata assegnazione di tempo».<br />

Beninteso, era estranea a queste istanze, l'idea di riconnettere alla riedizione<br />

della sessione ogni e qualsiasi effetto sull'efficacia dei lavori.<br />

(21) Alla fine della IV legislatura una proposta formale risulta presentata dal<br />

deputato La Malfa, intesa ad escludere la decadenza per i progetti già approvati da<br />

una delle Camere.<br />

Su di essa concordava il deputato De Pascalis nella seduta del 19 febbraio 1968<br />

dedicata all'esame del bilancio, rilevando che il successo della politica di piano si<br />

collega ad una riduzione dei costi operativi del sistema legislativo, tendente a limitare<br />

gli «sprechi» di lavoro parlamentare.


414 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

interventi frontali e frazionistici, la cui non rara elevatezza non può<br />

sottrarsi alla sorte immeritata di cadere in un vuoto di efficacia: giacché,<br />

al di là di ogni formalismo, la sua funzione non può certo indicarsi<br />

come quella, tipica già del Parlamento liberale, di eliminare dubbi, rimuovere<br />

dissensi, rafforzare consensi a un'opinione d'Assemblea: ma<br />

come quella, invece, di offrire ai Gruppi un'istanza opportuna ed adeguata<br />

al chiarimento politico della questione, così come già avviene<br />

nella prassi per l'ulteriore e più stringata fase, ma non per questo meno<br />

significativa ed importante, delle dichiarazioni di voto (22).<br />

AlTirìfuori della ipotesi della « discussione organizzata », questa si<br />

svolge con il succedersi di tre fasi generiche previste dal Regolamento:<br />

1) la discussione generale; 2) la trattazione degli ordini del giorno;<br />

3) l'esame degli articoli e degli emendamenti. In tutte e tre le fasi Yiter<br />

procedurale può essere nondimeno attraversato da taluni « incidenti »<br />

formali (richiami al Regolamento, per l'ordine del giorno, per la priorità<br />

delle votazioni o posizione della questione) o sostanziali (sospen-<br />

(22) Nella cornice delle istanze generali di riforma, per ovviare a disfunzioni e<br />

lentezze denunciate, si registra però una diversa accentuazione di alcuni aspetti del<br />

problema da parte degli esponenti della maggioranza rispetto a quelli delle opposizioni:<br />

attenti molto, questi ultimi, a comprensibili riserve d'ordine politico.<br />

La proposta più consueta è quella di una decisa riduzione dei tempi di discussione<br />

generale, sia nell'esame preliminare in Commissione, sia in Assemblea, col riservare<br />

ai Gruppi gli interventi «ufficiali». Il deputato Zaccagnini, il 20 ottobre 1966,<br />

dichiara : « L'obiettivo fondamentale immediato è una sostanziale riforma del Regolamento,<br />

che consenta di riservare all'esame dell'Assemblea le decisioni di indirizzo<br />

e di impostazione politica e demandi alle Commissioni l'attività di carattere secondario<br />

e regolamentare ». Ma secondo lo stesso deputato, il 7 marzo 1967, « per modificare<br />

il Regolamento dobbiamo servirci dell'attuale Regolamento, e questo dice<br />

subito come le cose siano difficili. Le opposizioni temono una diminuzione dei loro<br />

poteri. Potrebbero fare ostruzionismo, e allora ci vorrebbero mesi e mesi per introdurre<br />

qualche cambiamento. Possiamo impegnarci in questo lavoro alla fine della<br />

legislatura? È un problema, però, che deve essere preso di petto da una maggioranza<br />

che voglia attuare una politica. Lo si deve perciò affrontare all'inizio della legislatura,<br />

anche con la prospettiva di un dibattito di due-tre mesi».<br />

Per il deputato La Malfa, il 25 ottobre 1966, «già il fatto che si parli di<br />

programmazione e di piani di sviluppo per molti problemi della vita nazionale porterà<br />

il Parlamento, sia pure attraverso un lungo travaglio, a modificare i suoi metodi<br />

di discussione, di esame, di decisione, di legiferazione. Alla lunga, il nuovo metodo<br />

la vincerà sul vecchio, ormai anacronistico».<br />

Per il deputato Mauro Ferri, il 7 marzo 1967, « anche se per le modifiche al<br />

Regolamento occorre solo la metà più uno dei membri dell'Assemblea, e quindi una<br />

maggioranza potrebbe imporre la sua volontà, c'è uno scrupolo a varare riforme di<br />

una certa importanza senza l'accordo dell'opposizione ».<br />

Quanto all'atteggiamento di quest'ultima, il deputato Ingrao dichiara il 20 ottobre<br />

1966 : « Si può cominciare dalle cose più semplici. Noi comunisti siamo pronti<br />

a trattare e a prendere accordi, ma per attuare la Costituzione, non per facilitare lo<br />

strapotere dell'esecutivo». E ribadisce il 9 marzo 1967: «Noi accoglieremo favorevolmente<br />

ogni invito a discutere che ci venga dai presidenti delle Camere e porteremo<br />

al dibattito proposte positive. Deve essere chiaro, però, che la questione è politica ».


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 415<br />

siva e pregiudiziale), cui si connette l'istituto non scrìtto della preclusione.<br />

Si nota subito che tale ordine logico non corrisponde all'ordine<br />

degli articoli del Capo X, i quali sono, nonché diversi e disorganici,<br />

quanto mai frantumati, quasi a colmare, in modo improvvisato, il solco<br />

rimasto vuoto della parte centrale del sistema.<br />

Ciò in realtà dipende, come già si è avuto modo di illustrare, dal<br />

convulso formarsi di tale normativa, consolidatasi in diverse epoche e<br />

per diverse finalità, senza soverchie preoccupazioni di collocazione ed<br />

assai spesso neppure di coordinamento formale.<br />

In tali condizioni, è oltremodo evidente la problematicità di una<br />

trattazione sistematico-istituzionale di questo gruppo di norme regolamentari,<br />

che è di tutti il più antico e tormentato, pregno di carica politica,<br />

quanto, per le medesime ragioni, scarsamente trattato dalla dottrina:<br />

a tal riguardo, anzi, non può non esser condiviso l'auspicio formulato<br />

che gli studiosi vogliano indagarlo con la più grande e attenta<br />

dedizione (23).<br />

Pertanto (23 marzo 1967) « solo nel quadro di un nuovo rapporto tra maggioranza<br />

e opposizione sarà possibile apportare quei miglioramenti " tecnici " ai meccanismi<br />

parlamentari che possono snellirli e migliorarne la funzionalità (rapporto tra lavoro<br />

delle Commissioni e lavoro d'aula, tempi e modi dei dibattiti in aula, regime delle<br />

interrogazioni, forme nuove di controllo, coordinamento tra le due Camere, eccetera) ».<br />

Non dissimile la posizione dei socialisti di unità proletaria i quali, il 7 e 15<br />

marzo 1967, propongono di unificare o almeno armonizzare i regolamenti dei due<br />

rami del Parlamento, e sottolineano al riguardo le responsabilità della maggioranza;<br />

mentre i liberali, il 7 marzo 1967, si dichiarano favorevoli alla revisione, ma subito<br />

aggiungendo che è difficile pensare a questa impresa in fine di legislatura, e che<br />

la portata delle modifiche dipende anche dai rapporti fra maggioranza ed opposizione.<br />

Sul punto, ancora il 7 marzo 1967, 0 deputato La Malfa riprende : « Bisogna<br />

gettare un ponte tra maggioranza e opposizione. Oggi i rapporti sono congelati e<br />

l'opposizione ritiene di doversi battere contro ogni modifica del Regolamento che diminuisca<br />

i suoi poteri... L'onorevole Ingrao ha detto più volte che i comunisti sono<br />

disposti a discutere questi temi. Allora muoviamoci, verifichiamo le intenzioni dell'opposizione<br />

e della maggioranza. Io credo che la situazione non sia disperata.<br />

Facciamo, come maggioranza, le nostre proposte, offriamo all'opposizione la contropartita<br />

di un effettivo controllo politico».<br />

Tale è, dunque, per le forze politiche, il vero problema. Le istanze dette rimangono<br />

nell'opinione: la IV legislatura si chiude senza revisione.<br />

(23) Cfr. RUINI, La funzione legislativa, cit.<br />

Per verità il tema della discussione, probabilmente per le molteplici incongruenze<br />

dei regolamenti parlamentari considerato di sistematica assai complessa, non<br />

ha tuttora ricevuto dai costituzionalisti l'approfondimento che sarebbe desiderabile.<br />

Per la bibliografia di specie v. (oltre agli antichi ed ormai difficilmente utilizzabili<br />

BENTHAM, Tactique des Assembleés politiques deliberantes, in «Oeuvres de J.<br />

Bentham», Bruxelles 1840, e MANCINI e GALEOTTI, op, cit.) U. GALEOTTI, Principi regolatori<br />

delle Assemblee, Torino 1900; la., Il Regolamento della Camera dei Deputati,<br />

Roma 1902; ASTRALDI, Le norme regolamentari del Parlamento italiano, Roma 19^2;<br />

MOHRHOFF, Trattato di diritto e procedura parlamentare, Roma 1948; Io., Principi<br />

costituzionali e procedurali del Regolamento del Senato, Roma 1949; ASTRALDI e Co-


416 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Il criterio seguito in questa sede, per arrivare a una reductio ad<br />

unum degli istituti della discussione, è stato scelto, dunque, in modo<br />

duplice: da un lato, la classificazione ed il collegamento teorici dei medesimi,<br />

astrazion fatta dall'inferirsi, intersecarsi e sovrapporsi della rete<br />

degli articoli: dall'altro, un tentativo di valutazione storicistica della<br />

funzione di assorbimento, nonché dell'evoluzione tendenziale.<br />

Una prima conseguenza si trae dalle anzidette osservazioni: pur<br />

non essendo caso, qui, di entrare nella interpretazione, ed anzi essendo<br />

ciò fuori questione per la natura stessa dell'opera presente, non si può<br />

non desùmerne che qualsiasi criterio di interpretazione sistematica, almeno<br />

per le norme del Capo X del Regolamento, richiederà cautele ed<br />

argomenti per buona parte sconosciuti a questo tipo di interpretazione,<br />

così come esso viene prospettato dalla giuspubblicistica generale.<br />

Una seconda conseguenza è questa: che quanto più la sistematica<br />

teorica degli istituti dimostrerà di poter dare il « nesso » che lega tra<br />

di loro le varie fasi della discussione, così come un progetto giunge di<br />

fatto a essere vagliato e deciso nell'aula parlamentare, con la corretta<br />

collocazione concettuale degli incidenti che possono percorrerla, e la<br />

sutura dei « fuor d'opera » e dei tempi d'attrito, tanto più quella stessa<br />

potrà assumersi valida e verificata, ed il suo schema, non quello degli<br />

articoli, in grado di rispecchiare l'attività complessa e multiforme dell'Assemblea.<br />

5. - Il Capo X (Della discussione - arti, da 69 a 92) è ritenuto la<br />

parte fondamentale del Regolamento.<br />

Aprono tale disciplina alcune norme d'ordine preliminari, tra cui<br />

la regola della iscrizione a parlare al banco della Presidenza subito<br />

dopo che l'argomento sia stato posto all'ordine del giorno (art. 70), ciò<br />

SENTINO, op. cit.; CAMPION & LIDDERDALE, European Parliamentary Procedure, Londra<br />

19SS ; LONOI e STRAMACCI, op. cit., ; Tosi, Lezioni di diritto parlamentare, Firenze<br />

1962; MOHRHOFF, Discussione parlamentare, in «Novissimo digesto italiano», voi. V,<br />

Torino 1957-1966.<br />

V. inoltre sui singoli istituti della discussione CONTUZZI, Emendamento, in<br />

«Digesto italiano», voi. X, 1898; COSENTINO, Pregiudiziale dì costituzionalità, in «Rassegna<br />

parlamentare », 1960 ; LONOI, Pregiudiziale e sospensiva, in « Rassegna parlamentare<br />

», 1961 ; PALADIN, Emendamento, in « Novissimo digesto italiano », voi. VI,<br />

Torino 1957-1966; SPAGNA Musso, Emendamento, in «Enciclopedia del diritto», volume<br />

XIV, Milano 1958-1966.<br />

La relativa scarsezza della letteratura e la innegabile vetustà della maggior<br />

parte di essa (in pratica, pochissime opere italiane di carattere generale porf-coordinamento)<br />

rendono quindi ancor più accentuate le difficoltà di collocazione teoricosistematica<br />

degli istituti di questa fase (« della perfezione ») pur di cosi centrale rilevanza<br />

nel processo di formazione della legge.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 417<br />

che vale ad escludere la necessità della iscrizióne per gli argomenti che<br />

all'ordine del giorno non siano (ad esempio, questioni incidentali) e<br />

determina, per gli altri, l'ordine degli interventi alternativamente « contro<br />

» e « prò » (scomparsa oggi l'iscrizione a parlare « sopra » il progetto<br />

di cui al primo Regolamento provvisorio della Camera Subalpina)<br />

(24). Per consuetudine, e salva la precedenza degli iscritti, rimane<br />

in vita la disposizione dei primi due regolamenti provvisori, che consentiva<br />

a un deputato di parlare, anche se non iscritto, dopo « aver<br />

chiesto dal suo stallo la parola ed averla ottenuta dal Presidente ».<br />

Tassativo è, invece, il divieto di iscrizione oltre il secondo giorno della<br />

discussione (1951), in conseguenza dell'istituzione della « Conferenza dei<br />

Presidenti » di cui all'articolo 13-bis del Capo III del Regolamento<br />

(1950), che non potrebbe efficacemente funzionare senza che si disponga<br />

nel più breve termine del quadro complessivo degli interventi. I deputati<br />

possono scambiarsi il turno, e ne decadono se assenti: per uso,<br />

sono considerati rinuncianti (25).<br />

Pure nelle norme d'ordine rientrano alcune altre sulle formalità<br />

degli interventi. Abolita per unanime auspicio la tribuna (prescritta dal<br />

primo Regolamento provvisorio ed assai presto, in fatto, abbandonata),<br />

il deputato parla dal suo seggio, in piedi, al Presidente, quale moderatore<br />

della discussione: ciò non può avere, è ovvio, che conseguenze<br />

di stile in un dibattito in cui, fermo restando l'interlocutore costituzionale<br />

(il Governo), la controparte sarà di volta in volta politica (il<br />

Governo stesso o i Gruppi) o tecnica (il relatore) (art. 71).<br />

(24) La precedenza della parola e contro » si fonda sulla presunzione che la<br />

Camera conosca gli argomenti favorevoli alla legge per mezzo della relazione. L'applicazione<br />

di questa norma si fa oggi cercando di alternare, di massima, gli oratori<br />

della maggioranza con quelli dell'opposizione.<br />

(23) Con circolare 22 settembre 1964 il Presidente Bucciarelli Ducei comunicava<br />

l'istituzione di un « Registro delle iscrizioni a parlare » avente carattere ufficiale. Esso<br />

contiene l'indicazione dei provvedimenti, non appena inseriti nella prima parte dell'ordine<br />

del giorno, e l'elenco delle iscrizioni, sottoscritte dagli interessati o dai responsabili<br />

dei Gruppi, con giorno ed ora della richiesta. Rammentato l'art. 70, consentente<br />

gli scambi tra i deputati (presumibilmente dello stesso Gruppo e, comunque,<br />

consenzienti) nonché modifiche della Presidenza per alternare gli interventi giusta<br />

l'atteggiamento politico degli oratori, ed implicante che al termine del secondo giorno<br />

della discussione generale possa comunicarsi ufficialmente l'elenco delle iscrizioni, il<br />

Presidente auspicava che il « Registro » di nuova istituzione potesse validamente utilizzarsi,<br />

in casi particolarmente complessi, per annotarvi le iscrizioni anche su articoli<br />

o per dichiarazioni di voto, e infine nei casi di « organizzazione della discussione »<br />

da parte della Conferenza.<br />

Così formalizzato, l'ordine delle iscrizioni pone ancor più in rilievo la sua funzione<br />

di determinare il quando si perfeziona il diritto all'intervento: di qui la conseguenza<br />

della decadenza per gli assenti.<br />

16.


418 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Quanto al divieto di lettura dei discorsi per oltre un quarto d'ora<br />

(art. 77), è ritenuto che esso possa subire ragionevoli deroghe in caso<br />

di « discussione organizzata » (26), mentre per ovviare alla frequente<br />

violazione della norma si è d'altra parte stabilito che possano pubblicarsi<br />

in resoconto stenografico allegati tecnici anche non letti in Assemblea<br />

(27): ciò che conduce spesso ad ulteriori estensioni, chiedendo gli<br />

oratori al Presidente di essere autorizzati ad inserire intere parti di discorso<br />

che per varie ragioni non abbiano potuto pronunciare in seduta (28).<br />

Segue il principio secondo cui i discorsi non saranno interrotti o<br />

rimandati (art. 78). Il primo Regolamento provvisorio ammetteva che<br />

un oratore potesse essere interrotto da un collega per un richiamo alle<br />

norme ritualistiche. Nell'attuale procedura, il deputato che ha la parola<br />

non potrà esserne interdetto, invece, se non nei casi esplicitamente consentiti<br />

al Presidente nell'esercizio dei suoi poteri di moderatore: principio<br />

d'ordine e, al tempo stesso, di garanzia, la cui osservanza è, al<br />

contrario, rigorosa.<br />

Tra tutte, infine, norma preliminare d'ordine « politico » è quella<br />

che, dopo due richiami alla questione, concede al Presidente di poter<br />

interdire la parola per la restante parte di discussione e di seduta:<br />

se il deputato « non si acquieta » deciderà la Camera con votazione<br />

semplice e immediata (art. 76). La sua sostanza è rilevata dal fatto<br />

che, salvo casi specifici e minori, non vi è alcun limite nel Regolamento<br />

(26) Cfr. circolari del Presidente della Camera del 19 luglio 19SS e 19 luglio<br />

19S8.<br />

(27) Cfr. circolare del Presidente della Camera del 22 ottobre 1959.<br />

(28) La norma di cui all'art. 77 è, in realtà, tra le più disapplicate. Risale al<br />

1868, ma fin dal 1876 ne fu proposta la modifica, nel senso di ridurre il limite<br />

per la lettura da 15 a 10 minuti, essendo questa da molti deprecata in quanto irrigidente<br />

la discussione. « Ciò è verissimo - si legge in ASTRAISI e COSENTINO, op.<br />

cit. - Quaranta anni di esperienza di uno dei compilatori del presente volume gli<br />

consentono di affermare che i discorsi letti non hanno mai esercitato influenza alcuna<br />

sull'Assemblea ». Alla Camera dei Comuni le letture non sono tollerate, ed anzi intese<br />

quali e violazioni del privilegio » del Parlamento.<br />

In GUARINO, LO scioglimento delle Assemblee parlamentari, Napoli 1948, si<br />

ricorda la tesi del Constant, contraria a tale forma d'intervento, cosi esprimendosi<br />

sui Parlamenti del tempo : « Lo scritto avrebbe irrigidito le idee, avrebbe permesso a<br />

ciascuno di svolgere il suo pensiero, ma non di approfittare di quello degli altri. La<br />

discussione, invece, deve essere movimento, elasticità, integrazione del pensiero proprio<br />

con quello altrui, abbandono delle posizioni precedenti per assumerne altre,<br />

che siano più in alto, più ragionevoli, più vere».<br />

Purtuttavia, è dovere registrare che esistono opinioni militanti per la necessità<br />

della lettura: tanto che in sede di coordinamento (1949) fu proposto da alcuni di<br />

dilatarne il termine fino a 30 minuti, formalizzandosi al tempo stesso l'uso di pubblicare<br />

parti eventualmente omesse in allegato al resoconto stenografico della seduta.<br />

La proposta non ebbe, ad ogni modo, esito.<br />

Il principio del termine per i discorsi letti, attenuato dalla prassi, fu ribadito<br />

dal Presidente Leone nella seduta del 18 luglio 1958.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 419<br />

per la durata dei discorsi: la sua efficacia, benché il principio abbia<br />

origini più antiche, fu rinverdita in periodo ostruzionistico, in cui si<br />

assunse (15 marzo 1900) che il diritto di appellarsi alla Camera spetti<br />

soltanto all'oratore: e - si ritiene - se questi non lo usi, ma disattenda<br />

il Presidente continuando a parlare, non è più in giuoco il « richiamo<br />

alla questione », sibbene quello « all'ordine » di cui agli artt. 55 e 56<br />

oggi inseriti nel Capo Vili del Regolamento.<br />

La prima fase organica del dibattito, la discussione generale, si<br />

richiama al concetto (non al tempo) della « seconda lettura » dell'antico<br />

procedimento, riguardando il complesso del progetto ed i criteri<br />

di base che lo informano.<br />

Essa fa perno sulla relazione (unica o plurima, nel caso in cui le<br />

minoranze abbiano usato del diritto di presentarne di proprie) compilata<br />

al riguardo dalla Commissione.<br />

È il caso qui di rammentare che sia proposte (di iniziativa dei parlamentari)<br />

sia disegni legislativi (di iniziativa del Governo) vengono<br />

presentati in Parlamento accompagnati da una ancora ulteriore relazione<br />

(detta nel primo caso « introduttiva » e nel secondo caso « ministeriale<br />

»), la quale, pur se preceda l'istruttoria, ossia riguardi un<br />

testo che in tale sede può aver subito profonde mutazioni, forma ugualmente<br />

utile riferimento, unitamente ai resoconti dell'iter preliminare,<br />

per orientare l'Assemblea sull'indirizzo in generale del progetto, come<br />

esso è visto dal proponente o dal Governo: con ciò supplendo al fatto<br />

che non esiste oggi previsione di un intervento iniziale dei medesimi<br />

- come avviene invece in altri paesi, dall'Inghilterra all'Unione Sovietica<br />

- ed ovviando in parte alla eventualità che, in carenza di esso (e<br />

della relazione scritta della Commissione, la quale può non esservi, come<br />

subito sarà detto) la discussione insìsta su questioni traverse e senza<br />

sbocco.<br />

Si discute sul testo della Commissione. Ma questo testo, e la parallela<br />

relazione, possono mancare per accordo politico o per scadenza<br />

di termini (rispettivamente art. 38 del Capo VII e art. 65 del Capo IX<br />

del Regolamento [Disegni e proposte di legge]) ovvero anche - per<br />

prassi - se vi sia urgenza assoluta; in tali casi la Commissione, se autorizzata<br />

dalla Camera, riferisce oralmente col relatore o i relatori per<br />

la maggioranza e di minoranza nell'ordine (29).<br />

(29) Sarà bene avvertire, tuttavia, che l'applicazione - assai rara - dell'art. 65<br />

costituisce, in fatto, un problema di estrema delicatezza, sembrando essa contraddire<br />

alla prescrizione dell'esame preliminare di cui all'art. 72, primo comma, Cost. La<br />

norma è interpretata, in realtà, con valore di stimolo alla Commissione perché assolva<br />

al mandato a riferire nel termine di rito. Più esattamente, gli adempimenti di


420 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Aperta la discussione generale, questa investe il progetto nella sua<br />

interezza, a meno che il Governo, il proponente o dieci deputati ne<br />

chiedano la discussione per parti, sul che la Camera, uditi non più di<br />

un oratore prò e uno contro, ritenga acconsentire (art. 80) (30).<br />

Per contro, essa potrà investire due o più progetti su materie identiche,<br />

dei quali in sede di esame preliminare sia stato deciso « abbinamento<br />

» ai sensi dell'art. 133 del Capo XIV (Proposte di legge) del Regolamento,<br />

come effetto di questo nella discussione: si parla, allora, di<br />

discussione « congiunta », seguita da esame degli articoli in un unico<br />

testo, sia esso, in pratica, quello del Governo modificato (come frequentemente<br />

avviene in concorrenza di disegni e proposte di legge sullo stesso<br />

argomento), o invece quello unificato della Commissione (31).<br />

Meno frequenti - e tuttavia possibili, pur nel silenzio del Regolamento<br />

- le discussioni « plurime », quando non vi sia stato « abbinamento<br />

» : e cioè su progetti concernenti materie non già identiche,<br />

ma tra cui esista connessione. La discussione vien detta allora « con­<br />

cili all'art. 65 sarebbero, in questa luce, « atti dovuti » nei confronti dell'Assemblea<br />

perché provveda su inerzia della Commissione. È chiaro allora che l'iscrizione all'ordine<br />

del giorno ex art 63 non impedisce una diversa decisione della Camera.<br />

Diverso è il caso in cui la Commissione abbia sostanzialmente emendato il<br />

testo esaminato, essendo logico stabilire fin da principio - in mancanza di accordo -<br />

qual è l'oggetto della discussione: sul che la Camera dovette talvolta pronunciarsi.<br />

Ma un chiarimento formale, per questo punto, è rimesso nell'uso alla fase degli<br />

articoli, alla quale pertanto si rinvia.<br />

(30) È singolare che in questa norma non sia prevista la votazione semplice<br />

per alzata e seduta, come avviene al contrario per tutti i casi minori « incidentali »,<br />

cui la presente può sotto certi aspetti assimilarsi. Ciò può spiegarsi, forse, con l'assoluta<br />

rarità del caso (la norma è invero in desuetudine), che per di più non può<br />

ripetersi in una stessa discussione.<br />

(31) La casistica degli « abbinamenti » dà luogo in genere ad una serie infinita<br />

di contestazioni.<br />

Sui criteri di applicazione dell'art. 133 del Regolamento si ricorda la circolare<br />

del Presidente della Camera del 18 dicembre 1956, precisante che l'« abbinamento »<br />

deve intendersi limitato alla discussione generale o all'esame preliminare nella sede<br />

referente, e che la Commissione deve poi procedere alla scelta - con votazione a<br />

maggioranza - di un testo-base per l'esame degli articoli, rispetto al quale gli altri<br />

siano da considerare emendamenti. In tale caso, esame e approvazione di Assemblea<br />

saranno poi seguiti dalla dichiarazione di assorbimento dei progetti concorrenti. Una<br />

sola eccezione è introdotta dalla prassi a tale interpretazione, ed è quella per cui<br />

la Commissione, dopo la discussione generale < abbinata », voglia dar luogo alla redazione<br />

concordata di un testo unificato: in tale caso, a differenza dell'altro, dopo<br />

l'approvazione di Assemblea non vi sarà dichiarazione di assorbimento, ma nella<br />

intestazione del < messaggio » dovranno essere indicati i nomi di tutti i proponenti<br />

dei progetti concorrenti.<br />

Con altra circolare presidenziale del 17 ottobre 1957 furono inoltre precisati:<br />

1) il divieto di esame per tre mesi di progetti concorrenti con un testo trasmesso<br />

dal Senato ; 2) decorso il termine, la non obbligatorietà dell'* abbinamento » ; 3) se<br />

nondimeno si abbia «abbinamento», l'obbligatorietà della scelta del testo del Senato<br />

quale testo-base.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 421<br />

temporanea », in opposizione a « congiunta », ma occorre, per la prima,<br />

autorizzazione d'Assemblea; è ovvio, inoltre^ che Yiter di ciascun progetto,<br />

mancando un testo-base o unificato, tornerà in questo caso a<br />

separarsi in fase di discussione sugli articoli (32).<br />

(32) Un precedente nuovo, per i tempi sfaldati dell'ordinaria procedura « contemporanea»,<br />

è queUo della seduta del 5 dicembre 1967, riguardante la discussione<br />

di un disegno e di due proposte di legge sulle modifiche al codice stradale. «Come la<br />

Camera ricorda - avvertì il Presidente Bucciarelli Ducei - nella seduta del 25 novembre<br />

1965, era stata chiusa la discussione generale sulle due proposte di legge Foderaro<br />

n. 1772 e Bima n. 1840. Successivamente è stato presentato il disegno di<br />

legge di iniziativa ministeriale che, esaminato dalla Commissione, viene oggi in discussione<br />

in Assemblea - con una relazione autonoma - insieme con le proposte<br />

suddette. Non v'è dubbio che, da un punto di vista formale si deve riprendere Yiter<br />

con una nuova discussione generale. Penso però che questa, in quanto si svolge sul<br />

nuovo disegno di legge, debba trovare un limite nel fatto che coloro i quali sono<br />

già intervenuti sulle due proposte di legge (analoghe al disegno di legge) potranno<br />

intervenire in sede di dichiarazione di voto o di esame degli articoli ».<br />

Altro recentissimo precedente, ma delicato per sostanza politica, attiene invece<br />

alla possibilità di fare oggetto di unico dibattito strumenti parlamentari di differente<br />

natura, ciò che in altre occasioni fu appoggiato al principio di « economia della<br />

discussione ».<br />

In tali casi è logico seguire, fino a che sia possibile, la procedura prevista<br />

per lo strumento più importante (disegno o proposta di legge).<br />

Nella seduta del 24 gennaio 1968 venne fissata per il 29, a norma dell'art. 125<br />

del Capo XIII (Interrogazioni, interpellanze e mozioni) del Regolamento, la discussione<br />

di mozioni e lo svolgimento di interpellanze e di interrogazioni sul S.I.F.A.R., per il<br />

quale erano anche presentate due proposte di inchiesta parlamentare. Il deputato Zaccagnini<br />

ne richiedeva per lo stesso giorno l'« abbinamento » ai mezzi del controllo. Veniva<br />

sollevato, dal deputato Miceli, richiamo al Regolamento, basato sulla inammissibilità<br />

di una proposta che avrebbe comportato, come automatica conseguenza, la formazione<br />

dell'ordine del giorno di una seduta « a quattro giorni data », vulnerando pertanto il<br />

diritto della Camera di stabilire quotidianamente l'oggetto dei lavori: per il che si<br />

faceva riserva di investire la Giunta per il Regolamento nonché di rifiutarsi, come di<br />

fatto avvenne, di prender parte alla votazione.<br />

Il Presidente Bucciarelli Ducei chiariva che gli effetti della proposta Zaccagnini<br />

avrebbero riguardato, secondo prassi, solo la discussione generale, salva l'autonomia<br />

dei vari strumenti per ogni altra fase successiva; e dichiarava di ritenerla<br />

proponibile, facendo salva, tuttavia, ogni questione in tema di lavori.<br />

n richiamo Miceli era respinto, ed era invece approvato « il principio della<br />

connessione ».<br />

Ergo la Camera ha ritenuto: 1) nessun principio o consuetudine vieta l'abbinamento<br />

della discussione di strumenti regolamentari di diversa natura, quando ciò<br />

sia il portato della logica degli stessi e dell'oggetto sul quale essi vengono proposti;<br />

2) in materia di ordine del giorno, e meglio ancora di lavori, non esiste preclusione.<br />

Tali criteri chiariva il giorno successivo, in apertura di seduta, il Presidente<br />

Bucciarelli Ducei, il quale si richiamava, quanto al primo, alla natura degli strumenti<br />

del controllo, come tali ritenuti abbinabili a un'inchiesta: cosi come del resto, in<br />

prassi sono abbinabili mozioni alla legge di bilancio, che e legge, sì, ma formale, e<br />

come tale strumento di sindacato finanziario. Quanto al secondo, rammentava che,<br />

ad eccezione dell'art. 69 sulla < inserzione » all'ordine del giorno, non esisteva precisa<br />

normativa: surrogata, per prassi secolare (precedente dell'8 febbraio 1951), con<br />

l'antico principio che vuole restar la Camera « sovrana » sul proprio ordine del giorno.<br />

Pur in non uniforme consuetudine, la Camera poteva dunque contrastare l'ordine<br />

del giorno annunziato dal Presidente per la seduta successiva (art. 46), come pure<br />

fissare a sedute più lontane la discussione di qualunque argomento, progetto di legge


422 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Infine, la discussione generale intera può mancare, per rinuncia<br />

di iscritti o se nessuno chieda di parlare: ciò accade spesso, ad esempio,<br />

per i disegni di legge di ratifica d'importanza politica minore (33).<br />

In questi casi, però, dovranno esserne ugualmente dichiarate l'apertura<br />

e la chiusura: pur in assenza di esplicita previsione costituzionale,<br />

essa è infatti, per i regolamenti, fase « formale » e « necessaria » del-<br />

Yiter di approvazione delle Camere (34).<br />

6. - Abbia occupato uno o più sedute, la discussione generale è<br />

chiusa, riservandosi, in fatto, la parola per svolgimento di ordini del<br />

giorno e repliche di Commissione e di Governo; ma, mentre si dirà<br />

più oltre degli « effetti », converrà qui fermarsi sul problema dello<br />

« strumento » di chiusura, la quale può avvenire in doppia ipotesi : o<br />

per esaurimento naturale (essendosi smaltito l'ordine degli iscritti e<br />

nessuno chiedendo di parlare) o per « chiusura deliberata » (35).<br />

Quest'ultimo strumento - il più importante di gran lunga - figura<br />

già nel primo Regolamento provvisorio, tuttavia con un limite essenziale<br />

: sulla richiesta di « chiusura » avanzata da dieci deputati, e prima<br />

che si chiamasse l'Assemblea a votare, poteva invero intervenire prò o<br />

od altro, salvo restando, tuttavia, il diritto di adottare diversa decisione alla vigilia<br />

della discussione.<br />

Su questo punto, importantissimo, dovrà tornarsi in seguito, in merito alle<br />

questioni incidentali. In questa sede è necessario rilevare invece: a) che sul principio<br />

dell'* abbinamento », pur dibattuto il punto dell'opportunità politica, e riservato<br />

ogni merito, l'incidente non venne motivato; &) che sui suoi limiti alla fase della<br />

discussione generale non si ebbe dibattito. Che questo fosse il significato della votazione<br />

risulta tuttavia chiaro dalle precisazioni presidenziali. Né per vero sembrerebbe<br />

possibile altra ipotesi, attesa la differenza tra gli strumenti regolamentari in discorso:<br />

cosi che qui l'espressione < abbinamento » non deve essere assunta in senso tecnico,<br />

trattandosi al contrario, nella specie, di strumenti « connessi » per oggetto (come al<br />

voto fu « posta la questione »). Su questi, infatti, si svolse successivamente dibattito<br />

< contemporaneo », come da distinzione già enunciata.<br />

(33) Per tali ratifiche, che vengono all'ordine del giorno dell'Assemblea in<br />

ossequio al dettato di cui agli artt. 80 e 72, ultimo comma, Cost., è stata anche<br />

prospettata l'opportunità di più semplici forme di approvazione, ad esempio investendone<br />

le Commissioni. Né potrebbe discutersi l'intendimento di evitare che i lavori<br />

dell'Aula siano affollati da provvedimenti a puro titolo formalistico e senza un vero<br />

interesse : ma per far ciò bisognerà restringere quella * riserva d'Assemblea > di cui<br />

è tutela il disposto costituzionale ultimo citato. Sul punto si tornerà pertanto in<br />

merito alle Commissioni.<br />

(34) Cfr. art 67 del Regolamento del Senato.<br />

È ricordato in MANCINI e GALEOTTI, op. àu, un caso icastico di archeologia<br />

parlamentare. D 16 gennaio 1865, l'omissione da parte del Presidente della dichiarazione<br />

formale « La discussione generale è chiusa » ebbe per conseguenza che si riaprisse<br />

il dibattito.<br />

(35) È singolare che il Regolamento della Camera, in ciò diverso da quello<br />

del Senato, non faccia cenno all'ipotesi de plano, della chiusura per smaltimento della<br />

lista: ma ciò deriva da ragioni storiche, come subito sarà detto.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 423<br />

contro la proposta ogni e qualsiasi membro della Camera; limite poi<br />

caduto nel testo successivo (1863), che riduceva a soli due oratori il<br />

diritto di parola; mentre a sua volta il testo successivo ancora (1868)<br />

autorizzava la richiesta singola, purché sempre appoggiata da dieci deputati,<br />

com'è rimasto nell'attuale breve disciplina, che va pertanto a<br />

fondo esaminata.<br />

Non è prevista formalità particolare: la richiesta può farsi, anche<br />

immotivata, da un solo membro della Camera, ovvero (oggi caso<br />

assai raro) da più membri insieme; segue comunque l'« interpello »<br />

circa l'appoggio da parte del menzionato quorum di dieci deputati; se<br />

sia appoggiata, viene posta ai voti; « se c'è opposizione » (così l'art. 82<br />

Reg.), il Presidente dovrà accordare prima la parola a un oratore contro<br />

e uno in favore.<br />

È necessario avvertire subito che l'istituto non ha, alle origini,<br />

collegamento alcuno con episodi ostruzionistici.<br />

Esso risponde invece, per il vero, alla figura di un normale strumento<br />

atto a far giungere alla chiusura della discussione generale (che<br />

era « posta a partito » pure nel caso di esaurimento della lista), con la<br />

grave implicanza, tuttavia, che quel passaggio era efficace, allora, anche<br />

pel relatore e pel ministro. Tali interventi, infatti, non già seguivano<br />

- come di poi avvenuto - bensì rientravano nella discussione generale,<br />

e senza ordine predeterminato, ma rimesso alla scelta contingente: ciò<br />

che rendeva soprattutto ambito ai deputati poter parlare « in replica »<br />

al Governo, cioè parlare dopo questo, e - meglio ancora - ultimi: tanto<br />

che si sostenne non di rado non poter chiedersi chiusura dopo il discorso<br />

di un ministro.<br />

Per i ministri, in realtà, la tesi di impedir loro la parola non era<br />

affatto incontestata, sembrando essa, per altro, incompatibile con il<br />

diritto ad essi attribuito dall'art. 66 dello Statuto: e tuttavia che un<br />

ministro parlasse dopo la chiusura fu sempre ritenuto, al minimo,<br />

scorretto.<br />

Per i relatori, cui non era accordato privilegio alcuno sugli altri<br />

deputati, il principio era fermo: ma temperato dall'uso di riservare<br />

loro la parola prima di porre ai voti la chiusura.<br />

Si aggiunga ancora che quest'ultima privava i deputati del diritto<br />

di motivare il proprio voto, le relative dichiarazioni essendo sconosciute<br />

al Regolamento fino alla riforma Bonghi del 1887, e consentite<br />

invece, in via di prassi, ai soli rappresentanti dei partiti (36).<br />

(36) Cfr. U. GALEOTTI, // Regolamento, cit.


424 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Né l'istituto ha relazione alcuna, infine, con lo strumento della<br />

« ghigliottina » di cui alle norme antiostruzionistiche del 3 aprile 1900,<br />

che permetteva di deliberare sull'esaurirsi della discussione, ivi compreso<br />

il tempo della delibera finale: poiché nel primo, invece, restava<br />

inalterato il diritto del singolo di intervenire in ogni fase successiva<br />

(ordini del giorno, articoli, emendamenti, ecc.), talché la sua disposizione<br />

a fungere da « acceleratore » dei dibattiti fu quantomeno revocata<br />

in dubbio, ritenendosi, anzi, non escluso che esso rischiasse di protrarti<br />

con discussioni e voti incidentali.<br />

Del .resto, come si è già avuto occasione di notare, la ricerca di<br />

mezzi antiostruzionistici batteva allora altre vie (37).<br />

Ma il precetto lasciò la sua natura, e la funzione ne è oggi diversissima.<br />

Norma - potrebbe dirsi - « di displuvio », di valore politico<br />

primario, essa attiene a un passaggio basilare, anche se sia usualmente<br />

incontrastato, che è in realtà « cerniera » del dibattito. Così, si ricollega<br />

ad essa la questione - antichissima - dello spirito stesso del Regolamento,<br />

garante primo delle minoranze: tesi cui è contrapposta l'altra,<br />

secondo cui - fatto salvo il principio - non potrebbe da esso argomentarsi<br />

per impedire o protrarre all'infinito decisioni e funzioni di Assemblea.<br />

Ed è in tal modo che la « chiusura deliberata » diviene il « fuoco »<br />

della discussione, e ne riassume le linee di tendenza: come si è detto,<br />

essa è difatti esclusa nel caso di « discussione organizzata » di cui al<br />

recente art. 13-bis nel Capo III del Regolamento, con il quale fu posta<br />

in relazione in sede di approvazione di quest'ultimo.<br />

Ora, se è vero che l'anzidetta norma, solitamente del tutto inapplicata,<br />

torna puntuale alla ribalta nelle fasi e momenti di eccezione<br />

della vita di Assemblea (38), è anche vero che non è certo l'unica a<br />

far da fronte per le battaglie ostruzionistiche, le quali sogliono svolgersi<br />

- è ben noto - su molteplici snodi e direttrici: e tuttavia, essa è<br />

la più emblematica.<br />

Non è questione certo, in questa sede, di approfondire un tema<br />

delicato (l'ostruzionismo), che fuoriesce dalla discussione e circa il<br />

(37) Che lo strumento della « chiusura deliberata » conservasse a lungo carattere<br />

di assoluta tecnicità, con esso scavalcando lo stesso episodio di fine secolo, può<br />

ricavarsi da numerosi precedenti: e anche dal fatto che ricorreva perfino in discussioni<br />

su argomenti di contenuto non legislativo.<br />

(38) Cosi è accaduto nella discussione alla Camera del 1952-1953 sulla legge<br />

elettorale maggiorìtarìa, ove alla e chiusura deliberata» fu fatto ricorso per tre volte<br />

(senza, però, eccezioni di interpretazione): e così ancora nella discussione del 1967<br />

sulla elezione dei consigli regionali, per otto volte (con molte eccezioni).


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 425<br />

quale devesi, pertanto, fare rinvio alla esistente letteratura costituzionale<br />

di specie (39).<br />

Ma poiché la « chiusura deliberata » è ritenuta oggi accolta nei<br />

Regolamenti della Camera e del Senato, in aggiunta ai poteri dei rispettivi<br />

Presidenti, come misura estrema per poter giungere ad una<br />

decisione dopo un dibattito ragionevolmente approfondito, non può<br />

toccarsi il fondo del problema senza accennare al modo e alla questione<br />

per il cui mezzo si collega ai punti di più accesa tensione dell'aula<br />

assembleare (40).<br />

Ciò non vuole investire, com'è ovvio, né il merito della ratio della<br />

norma (di cui si è visto già storicamente), e neppure la sua collocazione;<br />

questioni entrambe, d'altra parte, recentemente e in Parlamento<br />

sollevate per conclusioni - precluse in questa sede - sulla interpretazione<br />

logica e sistematica dell'anzidetto disposto regolamentare (41).<br />

L'averla qui in esame risponde solo, dunque, ad esigenze organiche<br />

di trattazione della discussione (di cui la discussione generale rappresenta<br />

il momento introduttivo) e ad una semplice considerazione di<br />

(39) V., tra gli altri, MASSON, De l'obstruction parlementtdre, Montauban 1902;<br />

NIGRO, L'ostruzionismo parlamentare e i suoi possibili rimedi, Torino 1918; PETRONE,<br />

Ostruzionismo parlamentare, in «Rassegna di diritto, pubblico», 1921; MELONI, L'ostruzionismo<br />

parlamentare, in «Annali dell'Università di Macerata», 1951; TABACCHI,<br />

L'ostruzionismo parlamentare nella dottrina e nella prassi costituzionali, in « Montecitorio<br />

», 1952 ; CRISAFULLI, La maggioranza parlamentare e i suoi limiti in Italia, in<br />

« Società » 1952 ; LONGI, Ostruzionismo parlamentare, in « Scritti vari », 1955 ; FA-<br />

RANDA, L'ostruzionismo parlamentare, in « Montecitorio » 1962.<br />

Per una profilatura politica particolare, v. CALAMANDREI, L'ostruzionismo di maggioranza<br />

in « Il Ponte », 1953, ed il recentissimo scritto di BASSANINI, L'ostruzionismo<br />

della maggioranza, l'ostruzionismo parlamentare e il principio della discontinuità dei<br />

lavori legislativi, in « Relazioni sociali », Milano 1967.<br />

(40) Al Senato l'art. 70 Reg. prevede il caso di chiusura per esaurimento delle<br />

iscrizioni e di « chiusura deliberata » : quest'ultima, però - ancorché regolata in modo<br />

analogo a quello adottato dalla Camera - dev'esser chiesta da almeno 8 senatori<br />

e sottoposta a votazione semplice per alzata e seduta. Assai significativa, inoltre,<br />

l'aggiunta che, in ogni caso di chiusura, spetterà di diritto la parola ad un rappresentante<br />

di ogni Grappo, al ministro, al proponente e al relatore; nel che può scorgersi<br />

il segno della mutata realtà politico-parlamentare, con la già vista primazia dei Gruppi,<br />

ed il recepimento fattone nel nuovo codice del Senato repubblicano, nato al di fuori<br />

di ogni apporto « stratificato », ed anzi come rottura della tradizione.<br />

Alla Camera, per ragioni uguali e opposte, nessuno dei ben 24 articoli della<br />

discussione contiene il minimo riferimento all'esistenza dei Gruppi politici.<br />

(41) Sull'interpretazione sistematica è però d'obbligo riferire il dato che nel<br />

Regolamento «definitivo» del 1° luglio 1900 la norma di cui all'attuale art. 82 figurava<br />

invece all'art. 95, dopo la parte relativa all'esame di articoli ed emendamenti. Ciò<br />

faceva chiosare ad UGO GALEOTTI (// Regolamento, cit.): «Anche questo articolo non<br />

è al suo luogo giacché logicamente avrebbe dovuto andare prima dell'art. 88 [l'attuale<br />

articolo 83 sulla chiusura della discussione generale - N.d.r.]. L'averlo posto qui, può<br />

far sorgere il dubbio che non sia applicabile alla discussione generale ».<br />

16*.


426 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

fatto : sotto la storica « neutralità » di essa riposa oggi il suo collegamento<br />

con un comportamento di tattica o strategia parlamentare talvolta usato<br />

dalle minoranze per ritardare od impedire le decisioni di grande « fondo »<br />

politico della maggioranza delle Assemblee, su cui le prime fortemente<br />

contrastino : comportamento che prende il nome di ostruzionismo « tecnico<br />

», inteso quale anomalo uso degli strumenti regolamentari (numero<br />

e durata degli interventi, questioni incidentali, presentazione di<br />

emendamenti, richieste di votazioni qualificate, e così via), ovvero « fisico<br />

» inteso quale ricorso a mezzi di contrasto materiale sul piano<br />

dell'ordine delle sedute (interruzioni, agitazioni, tumulti, ecc.).<br />

È e resterà irrisolta la questione, che si fa in tutti i Parlamenti,<br />

se un simile comportamento sia a ritenersi in certi casi lecito, o sia<br />

pur sempre da respingersi, quale in contrasto con lo spirito - se non<br />

con la lettera - dei regolamenti d'Assemblea, che ovunque apprestano,<br />

per parte loro, mezzi, più o meno efficaci, di difesa.<br />

L'ostruzionismo è misura politica: moderna ruse de guerre, i suoi<br />

riflessi non si esauriscono nell'ambito parlamentare, e non sono 1 in tal<br />

senso valutabili, ma si collegano ad un diverso quadro ed a più lunga<br />

e più ampia prospettiva : di risonanza d'opinione, ad esempio, e - meglio<br />

ancora - storica (42).<br />

Al Senato nordamericano tale comportamento {filibustering) fu a<br />

lungo ed in certa misura tollerato, in relazione al carattere di quell'Assemblea,<br />

ov'è rappresentata in modo paritario l'indipendenza dei vari<br />

Stati federati.<br />

Ai Comuni inglesi esistono le figure della closure (quando, a richiesta<br />

di almeno 100 deputati, si debba passare alla votazione della<br />

questione), della minore Kangaroo closure (quando la Camera sia riunita<br />

in Commissioni e lo Speaker usi dell'ampia facoltà di saltare la<br />

votazione di intere serie di emendamenti, limitandola a quelli più importanti<br />

e preclusivi degli altri), e della ancor minore guillotine (che<br />

fissa un termine predeterminato per la discussione delle varie parti di<br />

un progetto legislativo).<br />

(42) Per BASSANINI, op. cit., « la liceità dell'ostruzionismo... è legata all'opportunità<br />

di dare all'opposizione un'arma onde impedire alla maggioranza di approvare<br />

provvedimenti incostituzionali o politicamente scorretti... o meglio onde ritardare tale<br />

approvazione per dar modo all'opinione pubblica di rilevarne l'incostituzionalità e la<br />

scorrettezza ».<br />

Il CRISAFULLI, op. cit., sottolinea per parte sua che la nostra forma costituzionale<br />

« non è affatto del tipo maggioritario puro, bensì è congegnata proprio in<br />

modo da escludere qualsiasi dittatura della maggioranza».


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 427<br />

Alla Camera italiana vengono ricordati come episodi ostruzionistici,<br />

nell'età statutaria, quello - notissimo - sulle leggi Pelloux di pubblica<br />

sicurezza del 1899, e quello sulle leggi Salandra in materia tributaria<br />

del 1914.<br />

Più recentemente, nelle legislature repubblicane, gli episodi di questo<br />

tipo riguardano la ratifica del Patto Atlantico nel 1949; la legge<br />

sulla difesa civile nel 1951; la legge elettorale maggioritaria nel 1952-<br />

1953; secondo alcuni, la legge costituzionale per lo statuto della regione<br />

autonoma Friuli-Venezia Giulia nel 1962 (43).<br />

A questi quattro casi, uno recentissimo se ne è aggiunto nel 1967<br />

per la legge sulla elezione dei consigli regionali, nella cui discussione<br />

deve registrarsi la più lunga seduta verificatasi nella storia del Parla-<br />

(43) Il disegno di legge « Ratifica ed esecuzione del Trattato del Nord Atlantico,<br />

firmato a Washington il 4 aprile 1949» (608) fu presentato alla Camera il 10 giugno<br />

1949 e la sua discussione tenne impegnate otto sedute di Assemblea dal 14 al 21 luglio<br />

1949; fu poi approvato con 323 voti favorevoli, 160 contrari e 8 astenuti. Approvato<br />

anche dal Senato il 29 luglio 1949, divenne poi la legge 1* agosto 1949, n. 465. È però<br />

da considerare che precedentemente, in sede di discussione sulle comunicazioni del<br />

Governo, l'Assemblea aveva svolto per altre sette sedute complessive, dall'I 1 al 16 marzo<br />

dello stesso anno, ampio dibattito concluso con l'approvazione di un ordine del giorno<br />

Spataro di mandato al Governo di proseguire le trattative volte alla formulazione del<br />

Patto. Tale dibattito, in cui tra l'altro fece per la prima volta la sua comparsa una<br />

seduta ininterrotta dal pomeriggio del giorno 16 marzo alla sera del 18, deve quindi<br />

probabilmente essere aggiunto al conto.<br />

Il disegno di legge e Disposizioni per la protezione della popolazione civile in<br />

caso di guerra o di calamità» (1593) presentato alla Camera il 14 ottobre 1950, percorse<br />

un iter di Assemblea di 23 sedute, dal 9 maggio all'11 luglio 1951, di cui una<br />

ininterrotta dal pomeriggio del giorno 5 luglio alla sera del giorno successivo. Venne<br />

quindi approvato, con emendamenti, con 258 voti favorevoli e 240 contrari, e trasmesso<br />

al Senato il 15 luglio 1951, al cui ordine del giorno rimase fino alla fine della<br />

legislatura.<br />

Il disegno di legge «Modifiche al testo unico delle leggi per l'elezione della<br />

Camera dei deputati approvato con decreto presidenziale 5 febbraio 1948, n. 26» (2971)<br />

fu presentato il 21 ottobre 1952 alla Camera, ove ebbe un lunghissimo dibattito di 44<br />

sedute, dal 7 dicembre 1952 al 18 gennaio 1953, di cui l'ultima durata ininterrottamente<br />

dalla mattina dello stesso giorno 18 gennaio alla mattina del 21. L'Assemblea lo approvò<br />

con emendamenti, con 332 voti favorevoli e 17 contrari, n progetto, approvato anche<br />

dal Senato il 29 marzo 1953, divenne poi la legge 31 marzo 1953, n. 148.<br />

Quanto alle proposte di legge costituzionale Beltrame ed altri (75), Marangone<br />

ed altri (83), Sciolis e Bologna (1353) e Biasutti ed altri (1361), presentate alla Camera<br />

tra il 1958 e il 1959 e da questa approvate in un unico testo con il titolo « Statuto<br />

speciale della regione Friuli-Venezia Giulia», la rigidità della discussione ebbe a<br />

manifestarsi in sede di prima deliberazione, che assorbì 25 sedute di Assemblea, dal<br />

19 giugno al 24 luglio 1962: anche qui vi fu una seduta ininterrotta dal pomeriggio<br />

del giorno 5 luglio alla sera del giorno successivo. Approvato in tal sede con 341 voti<br />

favorevoli, 59 contrari e 1 astenuto, il testo fu poi approvato dal Senato il 24 ottobre<br />

1962, e ancora da ambedue le Camere in seconda deliberazione rispettivamente il 12<br />

dicembre 1962 e il 30 gennaio 1963. Divenne quindi la legge costituzionale 31 gennaio<br />

1963, n. 1.


428 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

mento italiano (ininterrotta dal pomeriggio del giorno 17 ottobre al<br />

pomeriggio del 31), dedicata non già all'intero esame del progetto (essendosi<br />

chiusa precedentemente la pur lunghissima discussione generale,<br />

ove per altro l'ostruzionismo non ebbe a manifestarsi), ma soltanto<br />

all'esame degli articoli (44).<br />

7. - L'ordine del giorno è istituto che ha storia elegantissima.<br />

Filiazione dell'antica « mozione in argomento », un tempo perno della<br />

discussione, esso, nell'accezione odierna, è ignoto al Regolamento fino<br />

al gruppo fondamentale delle riforme Bonghi del 1886-1891, che ne<br />

precisano per la prima volta il contenuto e la fisionomia procedurale (45).<br />

Quella riforma segnò, per vero, l'evoluzione istituzionale del dibattito:<br />

da un lato, la discussione generale, la cui chiusura preclude<br />

normalmente ogni possibilità di rientrare nella stessa (come accadeva<br />

invece con il già detto strumento della « mozione in argomento », usato<br />

per controbattere al relatore ed al Governo), restando lecite soltanto<br />

brevi « dichiarazioni » a nome del Governo o di voto, fin lì alle nònne<br />

completamente sconosciute ed introdotte quindi per temperare l'introdotto<br />

divieto; dall'altro lato, il distacco degli strumenti incidentali (so-<br />

(44) Al disegno di legge « Norme per la elezione dei consigli regionali delle regioni<br />

a statuto normale » (4171), presentato alla Camera il 21 giugno 1967, furono<br />

dedicate complessivamente 19 sedute, dal 10 luglio al 17 ottobre 1967, ivi compresa<br />

quella ininterrotta ricordata nel testo. La Camera lo approvò con emendamenti con<br />

443 voti favorevoli e 95 contrari. Passato al Senato, fu approvato anche da quel ramo<br />

del Parlamento il 14 febbraio 1968 e divenne quindi la legge 17 febbraio 1968, n. 108.<br />

Per una analisi delle forme di manifestazione dell'episodio ostruzionistico del<br />

1952-53 v. VIGONI, Questioni procedurali e costituzionali nel dibattito sulla legge<br />

elettorale, in t Montecitorio », 1953. Analogamente per l'ultimo episodio del 1967<br />

v. TRAVERSA e CICCONETTI, Ostruzionismo e antiostruzionismo - Cronaca della più<br />

lunga seduta parlamentare, in t II Foro amministrativo», 1967.<br />

(45) < L'uso degli ordini del giorno - osserva il ministro Crispi nella seduta<br />

del 15 giugno 1887 - è tutto nostro; non lo trovate in nessun Parlamento del mondo<br />

e lo vedete presso di noi introdotto da pochi anni in qua ». E il relatore Bonghi, nella<br />

seduta del 18 maggio dello stesso anno: «Il sistema attuale, che in questa parte regola<br />

le nostre discussioni, è il risultato di una consuetudine entrata via via nella Camera,<br />

che non risulta da alcun articolo del Regolamento, ma bensì da una interpretazione<br />

dell'articolo 63, in cui si dice che gli ordini del giorno equivalgono agli emendamenti.<br />

Codesta piccola disposizione, senza che coloro che l'hanno introdotta ci pensassero,<br />

ha prodotto la più strana, bizzarra e bislacca forma di discussione che esista in qualunque<br />

Parlamento del mondo, quella cioè che i presentatori delle mozioni possano<br />

parlare anche quando è chiusa la discussione, con questo di peggio, che non v'è più<br />

discussione in contraddittorio ».<br />

Si ricordavano, in quegli anni, dibattiti in cui il numero degli interventi di discussione<br />

generale era stato superato e perfino raddoppiato da quello degli interventi per<br />

svolgimento di ordini del giorno. Alcuni rari casi di svolgimento si erano avuti perfino<br />

da parte di membri del Governo (teoricamente il diritto di presentazione spettando<br />

ad ogni componente dell'Assemblea), seppure ciò fosse classificato - more solito - una<br />

« scorrettezza parlamentare ».


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 429<br />

spensiva e pregiudiziale), nonché di quelli del controllo (interrogazione,<br />

interpellanza e mozione, altresì detta « autonoma » per distinguerla<br />

dalla precedente), con il principio basilare del discuterli a parte da ogni<br />

altra trattazione.<br />

Né la importante novità passò senza che si levassero contrasti, e<br />

si chiedessero - intanto - compromessi: non pochi essendo, infatti, i<br />

deputati che ritenevano porsi il diritto di « mozione » come prerogativa<br />

inalienabile dei componenti l'Assemblea. Si andò così dalla proposta<br />

radicale di impedire per tutti la parola una volta avvenuta la<br />

chiusura, anzi di sopprimere intere le « mozioni », all'espediente di sottoporre<br />

il voto di chiusura alla delibera di una maggioranza rinforzata:<br />

posta della questione essendo - com'è chiaro - l'avere o no a restare<br />

in diritto di parlare per « svolgimenti » comportanti, in fatto, la conseguenza<br />

di una seconda discussione generale, dopo chiusa la prima.<br />

Prevalse infine, per gli svolgimenti, il richiesto criterio restrittivo:<br />

e tuttavia col limite ch'essi restassero, anche dopo la chiusura, purché<br />

fatti da iscritti, e purché fossero - alla lor volta - sottoscritti o appoggiati<br />

da un quorum di 30 membri d'Assemblea.<br />

Questo criterio, per vero assai poco convincente, restava a lungo<br />

infatti inapplicato: molto più tardi (1922) veniva precisato, ulteriormente<br />

restringendosi gli svolgimenti ai soli casi di « chiusura deliberata<br />

» e in tempo massimo di 20 minuti, come nella dizione attuale della<br />

norma, del resto anch'essa del tutto inosservata.<br />

Non migliore fortuna arrise ai tentativi, più volte fatti fino ad<br />

anni recenti, di dar valore ai termini « pura e succinta spiegazione »<br />

escogitati per le dichiarazioni di voto.<br />

Già tollerate per consuetudine (ma per i soli capi dei partiti) anteriormente<br />

alla riforma Bonghi, esse vennero accolte nel Regolamento<br />

nella seduta del 15 giugno 1887, né la Camera ne .fissava il tempo<br />

massimo, preferendo affidarsi all'esperienza: per altro, subito se ne<br />

abusò, tanto che il 17 maggio 1888 la stessa Giunta per il Regolamento<br />

ebbe a proporre di subordinarle all'autorizzazione dell'Assemblea, e volle<br />

aggiungere, anzi, che solo per equivoco ciò non era nel testo esplicitato.<br />

È vero invece che, rifiutata in parte la riforma - non essendo passato<br />

per gli svolgimenti il divieto totale dopo la chiusura, com'era nella proposta<br />

originaria - il contrappeso delle dichiarazioni di voto perdeva in<br />

altrettanta parte la sua base: e tuttavia l'articolo non fu mutato.<br />

Sulle dichiarazioni tornavano i deputati Levi (1893) e Valli (1911),<br />

il primo per escluderne gli assenti da un precedente appello nominale,


430 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

il secondo per richiedere quorum di 20 membri d'Assemblea: ambedue<br />

con lo stesso e nullo risultato.<br />

Vi ritornava, ultima, la Giunta per il Regolamento nella formulazione<br />

del testo coordinato (1949), nel quale proponeva tempo massimo<br />

pari a 10 minuti, indicato, a suo avviso, dalla prassi (46). Contrastato<br />

dalle minoranze, il criterio di apporre una qualsiasi limitazione<br />

di tempo fu respinto dalla Camera: ma in tale sede veniva precisato<br />

che rimaneva salva la consuetudine di rimettere la durata delle<br />

dichiarazioni alla discrezionalità del Presidente quale « moderatore »<br />

della discussione.<br />

Il fatto è che l'ordine del giorno - cui si connettono le « dichiarazioni<br />

» - non conserva più alcuno dei suoi caratteri e scopi originari (47).<br />

Si ripete per esso, come altre volte visto, la divergenza singolare<br />

tra « natura » e « funzione » della norma che è, con la codificazione<br />

della prassi, forse il più tipico modello di aggiornamento ad uso della<br />

tipologia procedurale.<br />

Questa seconda e penetrante fase del dibattito mutò figura, in<br />

realtà, con le profonde mutazioni intervenute nella discussione: che<br />

non si svolge già tra i componenti l'Assemblea soltanto, bensì tra questi,<br />

la Commissione e il Governo, i cui interventi dovrebbero comprendersi<br />

- come accadeva un tempo - nell'arco di discussione generale.<br />

A questo spirito risponde, nella visione Bonghi, la disciplina dell'ordine<br />

del giorno, con lo stralciare dal dibattito ogni strumento incidentale<br />

o di mozione « autonoma », estraneo alle proposte legislative;<br />

il denegato svolgimento dopo la chiusura: il bilanciato temperamento<br />

delle « dichiarazioni » a nome del Governo o di voto.<br />

Nelle sue linee generali, la riforma riuscì: per questo aspetto,<br />

invece, una prassi estensiva intervenne a sconvolgere il sistema.<br />

Caduta d'uso la « chiusura deliberata », si ammette oggi lo svolgimento<br />

praticamente senza limiti, salvo il già visto massimo di 20 minuti<br />

di durata, il che fa uscire questa parte dalla discussione generale:<br />

per conseguenza, ne escono Commissione e Governo, i quali parlano<br />

« in replica » per ultimi, senza limite alcuno, né per il tempo né per<br />

il contenuto: e se anche tutto ciò contrasti con la lettera del Regola­<br />

lo) Così era avvenuto nella seduta del 16-18 marzo 1949 per la ratifica del<br />

Patto Atlantico, ove si erano avute circa 180 dichiarazioni di voto da parte degli<br />

oppositori.<br />

(47) Per una indagine attenta ed analitica su questo antico e tormentato istituto,<br />

con ampio stralcio dei dibattiti che storicamente ne accompagnarono la trasformazione,<br />

cfr. LONGI e STRAMACCI, op. cit.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 431<br />

mento, è fuor di dubbio ormai che qui risiede, per consuetudine così<br />

consolidata, il vero significato della seconda fase del dibattito, che<br />

chiude, con una o più votazioni, il merito generico della legge, e ne<br />

apre quindi l'analisi particolare.<br />

8. - Chiusa la discussione generale, si ha pertanto l'esame degli<br />

ordini del giorno, fase che deve intendersi concettualmente comprensiva<br />

degli interventi (detti nell'uso « repliche ») dei relatori e del Governo :<br />

mentre, per la sua logica finale, dovrà qui ricomprendersi altresì il tema<br />

delle dichiarazioni di voto, che sarà poi ripreso nella terza fase del dibattito<br />

relativa alla discussione degli articoli, nella cui sede tali dichiarazioni<br />

vengono in fatto pronunciate, per ragioni formali, anche se<br />

riguardanti il testo nella sua interezza.<br />

L'istituto - e storicamente lo si è visto - è per vero di lunga evoluzione,<br />

che in buona parte assomma l'evoluzione tutta del dibattito:<br />

di talché non può esporsene la disciplina senza corredo delle mutazioni,<br />

profonde e molte, ad esso inferte dalla prassi, e delle fitte relazioni<br />

che lo collegano all'altra norma dell'attuale ordinamento, concedente<br />

riserva di parola, dopo la chiusura, tanto ai ministri per precisare<br />

l'atteggiamento del Governo, quanto ai deputati per dichiarare le<br />

ragioni del voto: l'uno e l'altra si tratteranno dunque intersecati, come<br />

lo sono nell'/ter della procedura.<br />

Definiti dall'art. 81 come « concernenti il contenuto della legge,<br />

che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d'istruzione<br />

alle Commissioni » (48) gli ordini del giorno sono subordinati, in primo<br />

luogo, a condizioni di ammissibilità, in base ad altra norma (art. 90)<br />

di cui, per assimilazione di materia, corre qui l'obbligo di riferire, anche<br />

se essa attiene, oltre che allo strumento di cui trattasi (per il quale<br />

è desueta, in verità) anche agli emendamenti e articoli aggiuntivi (per<br />

i quali è, al contrario, utilizzata), ed anche infine ai mezzi dell'attività<br />

ispettiva.<br />

La norma ha origini antiostruzionistiche, risalendo al 3 aprile 1900,<br />

e riconosce al Presidente la facoltà di sanzionare il « blocco » degli<br />

ordini del giorno, emendamenti e articoli aggiuntivi, interrogazioni, in-<br />

(48) Tale ultima indicazione è oggi evidentemente antinomica, posto che l'esame<br />

istruttorio in Commissione precede, e non già segue, la fase in discussione: essa deriva,<br />

infatti, dalla successione dei tempi nelle «tre letture».<br />

Significato ed efficacia dell'ordine del giorno, volto ad impegnare il Governo<br />

in sede di applicazione normativa, offrono oggi un tema assai complesso: l'adempimento<br />

è politico, ed il valóre (misto?) dello strumento resta assai poco definito,<br />

tanto in diritto positivo che in dottrina.


432 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

terpellanze e mozioni sconvenienti o estranei all'argomento, negandone<br />

accettazione, svolgimento o votazione, alla qual fase il giudizio è talvolta<br />

rinviato, se si ritenga che l'illustrazione possa riuscire utile al<br />

formarsi dello stesso. Se il deputato insiste e il Presidente « ritenga<br />

opportuno » interpellarla, la Camera deciderà per alzata e seduta. Nella<br />

edizione del 3 aprile 1900 le eventuali proposte inammissibili erano definite<br />

come « evidentemente intese a solo scopo di ostruzione »; ma<br />

la dizione non fu poi ripresa nella edizione « definitiva » del 1° luglio<br />

dello stesso anno. Che la disposizione sia superflua, in parte, potrebbe<br />

anche sostenersi, alla luce degli artt. 48 del Capo Vili (« degli scritti<br />

anonimi o sconvenienti non si dà lettura ») e 76 (richiamo alla questione):<br />

resta comunque, questo, uno dei rari casi inappellabili, in cui<br />

la discrezionalità del Presidente è assoluta (49).<br />

Gli ordini del giorno ammessi, presentati prima o durante la discussione<br />

generale, potranno e dovranno svolgersi in tal sede: ciò che<br />

regolarmente avviene, sempre in modo commisto all'intervento, * senza<br />

particolare distinzione, e senza, naturalmente, tempo massimo (50).<br />

Al di fuori di queste ipotesi, diritto di svolgimento spetterebbe soltanto,<br />

e per non oltre 20 minuti, al proponente che ne sia stato impedito<br />

per a chiusura deliberata », prima della parola al relatore. Ma una<br />

interpretazione largamente estensiva e derogatoria si è formata da<br />

tempo.<br />

Come si sa, la « chiusura deliberata » è forma inconsueta agli ordinari<br />

dibattiti: normalmente, il Presidente dichiara la chiusura per esaurimento<br />

delle iscrizioni: subito dopo, si abbandona l'ordine di iscrizione<br />

e si assume quello di presentazione degli ordini del giorno, con<br />

l'immancabile repechage di quelli non ancora svolti, cioè presentati<br />

da deputati che non si siano iscritti a parlare o addirittura che all'iscrizione<br />

abbiano rinunciato, a tutti esteso, per analogia, il tempo massimo<br />

di 20 minuti; l'estensione giunge ai cofirmatari, e perfino alla menzione<br />

(49) L'inammissibilità è pertanto strumento delicato, cui si ricorre con cautela<br />

specie nei < casi dubbi » di interpretazione. Potrebbe domandarsi, a esempio, se<br />

sia accettabile il « bloccaggio » degli ordini del giorno che possono precludere - a<br />

norma dell'art. 84, terzo comma - l'esame di emendamenti anteriormente presentati.<br />

La tesi parrebbe da respingere, capovolgendo essa la « connessione logica » delle fasi<br />

del dibattito in ossequio a criteri di < precedenza materiale ».<br />

(50) II principio è collegato all'altro, di cui all'art. 72, secondo cui nessuno può<br />

intervenire più di una volta nella stessa discussione. È così pacifico che gli ordini del<br />

giorno dei deputati intervenuti in discussione generale s'intendano svolti anche se l'oratore<br />

abbia omesso di intrattenersi esplicitamente su di essi, e perfino se li abbia presentati<br />

dopo il suo discorso.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 433<br />

dei deputati che siano assenti in sede di svolgimento, intendendosi che<br />

a loro volta abbiano a questo rinunciato (51).<br />

Nessun diritto di svolgimento è invece accordato, in ciò seguendosi<br />

con rigore la lettera della norma, per gli ordini del giorno presentati<br />

dopo la chiusura.<br />

È esclusa sempre ogni discussione: che, altrimenti, essa si protrarrebbe<br />

all'infinito.<br />

Un primo esame degli ordini del giorno, quello « per svolgimento »,<br />

si esaurisce in tal modo.<br />

Parlano quindi i relatori (uno o più: di minoranza e per la maggioranza<br />

nell'ordine; per i diversi progetti o parti di progetto, quando<br />

del caso; per consuetudine, il presidente della Commissione, se lo<br />

chieda). Di ciò - è verissimo - nel Regolamento non è cenno alcuno,<br />

salvo che per l'ipotesi di « chiusura deliberata »; ma è anche vero che,<br />

proprio trattando di quest'ultima, si ebbe già modo di vedere l'affermarsi<br />

dell'uso di riservar la parola ai relatori anteriormente al voto,<br />

in ogni caso di chiusura.<br />

Ultimo, parla il rappresentante del Governo: ma non - si badi -<br />

in forza della norma (art. 83) che consente ai ministri, dopo la chiusura,<br />

« dichiarazioni a nome del Governo », in tutto simili a quelle concesse<br />

ai deputati « per una pura e succinta spiegazione del proprio voto »,<br />

e aggiunge che, se i primi vogliono ancora « essere sentiti in virtù dell'articolo<br />

64 della Costituzione », la discussione generale si ha successivamente<br />

per riaperta.<br />

Deve chiarirsi, infatti, che le dichiarazioni sono concesse ai deputati<br />

in ogni fase del dibattito quando la Camera stia per passare ad<br />

una votazione, mai però se questa sia indetta od iniziata (art. 101<br />

Capo XI [Votazioni] Reg.); non sono ammesse allorché il numero degli<br />

oratori cui sia dato diritto d'intervento sia tassativamente prefissato,<br />

come nel caso di « incidenti » formali o sostanziali di cui agli artt. 79<br />

e 89; non sono ammesse parimenti in prassi (seppur già contrastata e<br />

non antica) prima di una votazione segreta.<br />

Si ha qui al contrario, nel caso del Governo, un intervento « in replica<br />

», che è cosa nella sostanza ben diversa, e non può dunque assimilarsi<br />

ad alcuno dei casi succitati.<br />

(SI) Anticamente, come per gli emendamenti, prevalse a lungo il concetto e assenza<br />

=ritiro ». Agli inizi del '900 si affermò la tesi che la rinunzia dovesse, in questa<br />

sede, intendersi limitata alla parola.


434 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Ora - non v'è alcun dubbio - di « repliche » il Regolamento non<br />

parla, né ha parlato mai (52).<br />

Per quanto anomalo ciò rischi di apparire - e così è per certo,<br />

se si consideri la rilevanza e la centralità politiche degli interventi detti<br />

nell'odierno atteggiarsi del dibattito - si deve dunque trarne le seguenti<br />

precise conclusioni : 1) che il Governo parla ancor oggi ultimo « per antica<br />

consuetudine » formatasi a simiglianza che per la Commissione,<br />

ma con maggior forza, perché appoggiata al diritto che già riconosceva<br />

ai ministri l'art. 66 dello Statuto; 2) che tale non era punto lo scopo<br />

dell'art. 83 Reg. Camera, anzi esso era esattamente contrario, e cioè<br />

quello di far sì che il Governo partecipasse, e meglio ancora aprisse la<br />

discussione generale, salva la facoltà di riprendere brevemente la parola<br />

per semplici « dichiarazioni », ovvero in forza del già visto diritto statutario,<br />

ma in ambedue i casi in condizioni di perfetta parità con i<br />

membri dell'Assemblea, come si evince dalla relazione Bonghi (1887)<br />

e dal dibattito parlamentare attraverso cui questo testo fu approvato.<br />

E qui si torna agli ordini del giorno : perché, dopo la « replica »,<br />

è richiesto al Governo che dichiari - tra tutti gli ordini del giorno, svolti<br />

o non svolti, presentati prima, durante o dopo la discussione generale -<br />

quali ne accetti in tutto o in parte, quali ne assuma a studio o raccomandazione,<br />

quali, ancora, respinga.<br />

Segue il disposto dell'ultimo comma dell'art. 81 : esso prescrive che<br />

gli ordini del giorno siano votati « al termine della discussione generale ».<br />

Ma in questa sede si fa domanda ai firmatari (o cofirmatari) degli<br />

ordini del giorno se, dopo le dichiarazioni del Governo, ancora insistano<br />

per la votazione: se li ritirano, potranno esporne per non più<br />

di 5 minuti le ragioni (uso analogico, tratto da norma sugli emendamenti);<br />

se siano assenti, s'intende vogliano il ritiro (uso analogico, tratto<br />

da antica norma sugli strumenti minori del controllo); se infine insistano,<br />

si vota (53).<br />

(52) In qualunque fase del dibattito Commissione e Governo, quando non interpellati,<br />

chiedono sempre di e parlare », mai di e replicare ».<br />

(33) Salvo questioni incidentali, è questa la prima manifestazione di voto nel-<br />

Viter del dibattito di Assemblea. La disciplina delle votazioni, di cui al Capo XI del<br />

Regolamento, formerà oggetto di altro capitolo dell'opera ; al di là delle norme regolamentari,<br />

non sarà tuttavia inutile rammentare qui che la parità di voti equivale a<br />

reiezione, in forza della lettera del terzo comma dell'art. 64 Cost, secondo cui le deliberazioni<br />

non sono valide se non sono adottate e a maggioranza dei presenti » (già<br />

« maggiorità dei voti », secondo l'art. 54 dello Statuto), e dell'interpretazione da sempre<br />

data a tali locuzioni. Il principio è sancito espressamente dall'art. 84 Reg. Senato : « In<br />

caso di parità di voti, la proposta s'intende non approvata». Unica eccezione ad esso,<br />

quella prevista dall'art. 22 Reg. Camera per le decisioni della Giunta delle elezioni,<br />

presso la quale la parità significa convalida.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 435<br />

Alla riforma antiostruzionistica del 3 aprile 1900 risale l'unico caso<br />

di classifica assicurato agli ordini del giorno: la precedenza dell'ordine<br />

del giorno « puro e semplice » su tutti gli altri nella votazione. Questo<br />

è, per costante consuetudine, quello con cui si chiede solamente che<br />

non si faccia luogo all'esame degli articoli e la Camera passi ad altro<br />

oggetto, cioè è diretto, al pari della pregiudiziale, ad arrestare l'iter del<br />

progetto, ma in uno stadio diverso e successivo: quella si applica alla<br />

discussione, questo all'esame delle norme e al voto.<br />

Non vi è classifica per gli altri ordini del giorno, che si suole ordinare<br />

a questi fini in « emendativi » (con precedenza per quelli più<br />

ampi, in omaggio al principio che la Camera non dev'essere impedita<br />

di deliberare sul maggior numero possibile di proposte), « reiettivi » e<br />

di « approvazione » (54).<br />

Due ultimi rilievi possono farsi sulle votazioni: 1) la locuzione<br />

« al termine della discussione generale », di cui alla lettera dell'art. 81,<br />

è divenuta oggi quanto meno imprecisa, non facendo parte di questa,<br />

nell'attuale procedura, né svolgimenti né « repliche » dei relatori e del<br />

Governo: sicché, quando si vota, la discussione è chiusa, e spesso da<br />

più sedute e molto tempo; 2) l'accettazione del Governo non impedisce<br />

punto la votazione, e non è raro, anzi, che per essa si insista in caso<br />

di accettazione parziale o anche totale, quando si voglia provocare in<br />

merito una pronuncia formale della Camera.<br />

(54) Cfr. MANCINI e GALEOTTI, op. cit. ; ASTRALDI e COSENTINO, op. cit.<br />

Nella seduta dell'Assemblea Costituente del 13 giugno 1947 fu sostenuta la tesi<br />

(Dominedò) della inesistenza di una prassi per l'ordine delle votazioni in materia di<br />

ordini del giorno, a differenza che per gli emendamenti, e quindi della rimessione di<br />

ogni potere all'Assemblea: cui fu però contrapposta l'eccezione (Togliatti, Laconi,<br />

Lucifero) che votare in difformità delle consuetudini avrebbe rappresentato violazione<br />

dei diritti delle minoranze. La decisione del Presidente Terracini confermò che, secondo<br />

l'anzidetto uso, doveva darsi precedenza agli ordini del giorno « emendativi », e tra<br />

questi ai più larghi.<br />

Dalla prassi successiva, pur con gli inevitabili contrasti, sembrerebbe possibile<br />

enucleare inoltre i seguenti criteri per le votazioni:<br />

1) in concorrenza di più ordini del giorno di eguale dispositivo è posto in<br />

votazione il primo tra essi;<br />

2) è inammissibile la votazione dell'ordine del giorno motivato che, in eventualità<br />

di approvazione, precluderebbe la possibilità generica di presentare emendamenti:<br />

la preclusione «di diritto» ordini del giorno-emendamenti di cui all'art. 84,<br />

terzo comma, si riferisce solo ad ordini del giorno particolari, tendenti a vincolare la<br />

Camera su un argomento singolo e determinato;<br />

3) nella votazione di un ordine del giorno è divisibile la motivazione dal dispositivo:<br />

la Camera può cioè differenziare la manifestazione della sua volontà;<br />

4) in sede di conversione di decreti-legge è ammissibile la votazione di un<br />

ordine del giorno di non passaggio all'esame dell'articolo unico, che ha natura di emendamento<br />

soppressivo.


436 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Con l'avvenuta votazione, il secondo ed ultimo esame degli ordini<br />

del giorno, quello « per trattazione », si esaurisce, e lascia ora il campo<br />

all'esame degli articoli.<br />

Non può esser chiuso, tuttavia, un profilo valido dell'istituto senza<br />

avvertire che esistono problemi di concorrenza con gli strumenti del<br />

controllo (mozioni), problemi che ulteriormente si acuiscono quando<br />

questi ultimi siano impiegati nei loro aspetti costituzionali di mezzi<br />

formali procedimentali per l'espressione della fiducia (o sfiducia) al Governo:<br />

e peggio ancora quand'essi siano in tale funzione surrogati, come<br />

di fatto e irritualmente avviene, dallo strumento improprio dell'ordine<br />

del giorno.<br />

Questa tematica, di una delicatezza estrema sotto il profilo della<br />

« valenza politica », non appartiene all'/ter procedimentale della legge,<br />

s non può quindi essere in questa sede sviluppata, rientrando invece<br />

nel successivo e apposito capitolo della presente opera dedicato a tal<br />

parte (Capo XIII - Delle interrogazioni, interpellanze e mozioni) del<br />

Regolamento. Con l'espressa riserva che precede, basterà qui, pertanto,<br />

un accenno incidentale, nei limiti sufficienti e necessari alla globale<br />

visualizzazione di uno strumento ritualistico altrettanto complesso e proteiforme<br />

quanto quello in discorso.<br />

Secondo lettera del Capo XIII del Regolamento, mentre le regole<br />

della discussione ordinaria sono applicabili alla discussione di mozioni<br />

(art. 125, primo comma), è stabilito che gli ordini del giorno che vengano<br />

in tale sede presentati, sia « puri e semplici » sia motivati, possano<br />

essere soltanto sottoposti ai voti, senza precedenza sulle mozioni (art. 128,<br />

secondo comma); è stabilito ancora non sia ammissibile presentazione di<br />

ordini del giorno sulla mozione di fiducia (o sfiducia) al Governo (art. 31,<br />

secondo comma).<br />

La prima e la seconda norma risalgono alle riforme Bonghi e rispondono<br />

alla logica accennata del distacco dagli ordini del giorno (« mozione<br />

sull'argomento in discussione ») degli strumenti del controllo (« mozione<br />

autonoma »), rispetto ai quali i primi restano intesi come sottordinati<br />

e successivi.<br />

La terza ed ultima è connessa alla fiducia come trattata nella Costituzione<br />

repubblicana e recepita sostanzialmente nel Regolamento con<br />

l'opera di coordinamento svolta nel 1949 : deriva infatti, come si è visto,<br />

da una modifica a quel testo per chiarimento successivo (1950).<br />

Sono noti i principi d'istituto affermati in materia di fiducia, sia<br />

dalla Carta Costituzionale (obbligo di mozione - appello nominale), sia<br />

dal Regolamento della Camera (indivisibilità). A questi, altri ne aggiunge


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 437<br />

prassi integrativa: facoltà del Governo di porre la questione sulla<br />

approvazione o reiezione di qualsiasi testo la Camera si accinga a votare;<br />

inemendabilità; priorità di questo ai fini della votazione. Essi tutti<br />

derivano dalla natura stessa del dibattito - che pone in giuoco la politica<br />

globale dell'esecutivo - nella cui logica sembrò rientrare, appunto, la<br />

esclusione degli ordini del giorno, dal contenuto e scopo particolaristici,<br />

male accordantisi con tale discussione.<br />

Resterebbe il problema dei limiti del divieto nell'ipotesi di fiducia<br />

a Governo già in carica; mentre non pare dubbio che in questa stessa<br />

ipotesi l'inammissibilità debba estendersi allo strumento improprio « negativo<br />

», che è quanto dire all'ordine del giorno comportante sfiducia,<br />

ma espressa in forma surrettizia e implicita.<br />

Vero è che, nonostante il disposto - chiarissimo - costituzionale,<br />

lo strumento formale della mozione non può dirsi davvero preferito,<br />

più spesso essendosi in passato usato lo strumento improprio dell'ordine<br />

del giorno « di fiducia »: e tuttavia, una consuetudine che porti all'abrogazione<br />

della norma non è ammissibile nell'ordinamento italiano. In questo<br />

senso ebbe ad esprimersi il Vicepresidente Leone nella seduta del<br />

1° marzo 1954, dopo l'approvazione di una (rara) mozione di fiducia,<br />

ritenendo che, ai sensi delle norme dette, per altri e diversi ordini del<br />

giorno presentati (e pure in precedenti occasioni ammessi e svolti, ma<br />

mai votati per accettazione o ritiro) non dovesse passarsi a votazione.<br />

Tale tesi risultò contestata (dai deputati Laconi, Dugoni, Madia, Lucifero),<br />

mentre i presentatori insistettero per la votazione. Gli ordini del<br />

giorno furono dichiarati inammissibili con lo strumento inappellabile<br />

dell'art. 90 (55).<br />

(SS) A conclusione del già citato dibattito sul S.I.F.A.R. (discussione e contemporanea<br />

» di mozioni, interpellanze, interrogazioni e proposte di inchiesta parlamentare),<br />

nella seduta del lo febbraio 1968, dopo che la Camera ebbe respinto per alzata<br />

e seduta la mozione Roberti, fu posta la fiducia sulla reiezione della mozione Malagodi<br />

e dell'ordine del giorno Anderlini, nonché sull'approvazione dell'ordine del giorno<br />

Piccoli-Ferri Mauro-La Malfa di non passaggio agli articoli delle proposte d'inchiesta.<br />

Nel merito politico è dovere avvertire, per spogliarsene, che non mancarono proteste<br />

dei deputati Anderlini, Roberti e Valori contro la posizione della fiducia, a loro avviso<br />

strumentale e non giustificata dai documenti in causa: mentre interessa, proceduralmente,<br />

il solo fatto che la Camera per appello nominale, dopo aver respinto i due<br />

primi documenti, approvò invece il terzo nell'ordine indicato, con l'automatica conseguenza<br />

della cancellazione delle proposte d'inchiesta dall'ordine del giorno.<br />

Di questo caso di concorrenza tra ordini del giorno e mozioni si sottolineano<br />

due particolari: 1) il dibattito non era sulla fiducia, avendo usato il Governo soltanto<br />

a conclusione di esso del suo diritto di porre la questione su testi ad altro<br />

scopo presentati: 2) con ciò operando, si è. realizzata la confluenza nell'ultimo ordine<br />

del giorno • puro e semplice » della funzione politica (fiducia) e procedurale (non pas-


438 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

9. - La terza ed ultima fase del dibattito, relativa all'esame degli<br />

articoli, si apre nella prassi senza necessità di una particolare votazione,<br />

intendendosi la previsione a ciò attinente nel primo comma dell'art 84<br />

(« Quando la Camera vi annuisca ») sodisfatta dalla mancanza di opposizione.<br />

A questa prassi si deroga in due casi:<br />

1) quando sia stato presentato un ordine del giorno diretto a consentire<br />

o ad impedire il passaggio agli articoli, la cui approvazione o<br />

reiezione abbia funzione di manifestare la volontà dell'Assemblea;<br />

2) quando sia fatta opposizione, nel quale caso la Camera sarà<br />

chiamata a decidere.<br />

La fase degli articoli si inizia con la ripresa di una importante questione:<br />

quella del testo-base da assumere per la discussione. Quando vi<br />

siano diversità tra il testo del disegno di legge del Governo e quello<br />

della Commissione, o della maggioranza della Commissione, sarà chiesto<br />

al Governo se accetti o meno quest'ultimo: non così avviene, invece,<br />

per le proposte di iniziativa parlamentare.<br />

Non è infrequente che i ministri insistano per il ripristino delle<br />

proprie formulazioni, che viene chiesto a mezzo di emendamenti la cui<br />

presentazione è sempre ammessa per il Governo stesso e per la Commissione<br />

(56); più raro il caso che il Governo insista « in blocco » per<br />

il ripristino del proprio testo. Nella seduta dell'Assemblea Costituente<br />

del 10 dicembre 1947 ciò avvenne per il disegno di legge sui corpi consultivi<br />

dell'amministrazione della pubblica istruzione; nella seduta della<br />

Camera del 20 dicembre 1949 per il disegno di legge di delega al Capo<br />

dello Stato per la concessione di indulto. In ambedue i casi fu interpellata<br />

l'Assemblea, con ciò, pertanto, dovendosi ritenere escluso che la<br />

richiesta del Governo possa operare di diritto: in più, nel secondo caso,<br />

fu stabilito di considerare gli emendamenti presentati al testo della Commissione<br />

come da riferirsi al testo originario, nonché di consentire che<br />

saggio agli articoli), ciò che con lo strumento di mozione mai sarebbe riuscito posssibile<br />

ottenere.<br />

Dall'episodio, ancorché particolare, emerge dunque la conferma della e flessibilità»<br />

dell'ordine de] giorno, per la cui agilissima fisionomia basti pensare alla presentazione<br />

nel corso stesso del dibattito. Ciò può fornire spiegazione al fatto ch'esso sia<br />

stato nel passato cosi frequentemente sovrammesso, anche in materia di fiducia, allo<br />

strumento — pure tecnicamente più completo e a questi fini costituzionalmente privilegiato<br />

— della mozione.<br />

(56) V., tra gli ultimi precedenti, la discussione del disegno di legge per le modifiche<br />

alla legge 24 marzo 1958, n. 195, sulla e Costituzione e funzionamento del<br />

Consiglio superiore della magistratura >, approvato dalla Camera nella seduta pomeridiana<br />

del 30 novembre 1967, che vide la presentazione di una numerosa serie di emendamenti<br />

governativi, diretti - in buona sostanza - a ripristinare il testo originario<br />

emendato dalla Commissione.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 439<br />

i deputati ne presentassero di nuovi, in deroga alle modalità regolamentari.<br />

La discussione (un tempo detta « particolare ») avviene per articoli:<br />

principio di cui non sarà inutile sottolineare il rilievo, esso attenendo<br />

al sistema costituzionale di esame delle leggi già stabilito dall'art.<br />

55, ultimo comma, dello Statuto (« Le discussioni si faranno articolo<br />

per articolo »), ed oggi dall'art. 72, primo comma, Cost. (in cui<br />

è prescritta l'approvazione « articolo per articolo e con votazione<br />

finale »).<br />

Dagli anzidetti disposti statutario e costituzionale sembrò anzi avessero<br />

a venire alcuni dubbi sulla costituzionalità di qualsiasi mezzo regolamentare<br />

dal quale l'esame « particolare » potesse essere impedito :<br />

ma indubbiamente il Parlamento conosce da tempo più di uno strumento<br />

(sospensiva, pregiudiziale, ordine del giorno < puro e semplice<br />

», ecc.) il cui concreto risultato è quello di fare omettere la fase<br />

di cui trattasi.<br />

Non vi è alcun limite per la discussione degli articoli. Questi debbono<br />

essere esaminati tutti: ma, seppure di regola ciò avvenga, non è impossibile<br />

derogare all'ordine del testo, numerosissimi essendo i casi di<br />

« accantonamento » di una o più disposizioni, spesso sull'accordo dei<br />

Gruppi per la ricerca di un'intesa politica sul punto in causa (57).<br />

Deroga espressa all'esame per articoli è invece quella contenuta<br />

nell'art. 67 Capo EX Reg., secondo cui, per i progetti rinviati dal Senato,<br />

deve seguirsi il procedimento adottato in sede di primo esame della<br />

Camera, che delibera « di norma » soltanto sulle modifiche apportate<br />

(terzo comma), ovvero anche su nuovi emendamenti, purché però « in<br />

correlazione » con quelli del Senato (quarto comma).<br />

Le norme di cui al terzo e quarto comma dell'art. 67, proposte dal<br />

deputato Lucifredi, furono accolte nella seduta del 10 febbraio 1949,<br />

e sono intese a limitare la riproposizione degli emendamenti, causa fre-<br />

(57) È principio della prassi che, non prescrìvendo il Regolamento il modo di<br />

organizzare la discussione all'interno di un articolo, questo rimanga nella facoltà discrezionale<br />

del Presidente. È accaduto molte volte che, discutendosi un articolo, se ne<br />

sia rinviata l'approvazione per andare ad esaminarne un altro collegato, o che si sia<br />

perfino modificato l'ordine degli articoli per la chiarezza del dibattito<br />

Nella recente seduta del 25 gennaio 1968, discutendo la Camera il disegno di<br />

legge « Modifiche all'ordinamento universitario » (2314) e le concorrenti proposte di<br />

legge Berlinguer Luigi, Cruciarli e Montanti, fu deciso l'« accantonamento » dell'intero<br />

Capo II del progetto {Istituti scientifici e dipartimenti) su proposta del relatore per la<br />

maggioranza, Ermini, con la motivazione che, costituendo questa la parte più delicata<br />

della legge su cui insistevano numerosi e diversi emendamenti, appariva opportuno<br />

rivederla, a ciò chiamando il « Comitato dei nove ».


440 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

quente della navette legislativa, così abbreviando l'iter procedimentale:<br />

sollevarono qualche perplessità sotto il profilo giuridico-costituzionale,<br />

sembrando illecito incidere sui rapporti tra i due rami del Parlamento,<br />

nonché rischioso limitare il riesame alle sole modifiche apportate, quando<br />

il tempo decorso possa aver reso, al caso, in tutto o in parte il progetto<br />

inattuale.<br />

Alla prima obiezione si rispose con il richiamo alle potestà di autonoma<br />

regolamentazione della Camera; alla seconda con il richiamo alla<br />

possibilità, che si conserva da parte della stessa, di una delibera di reiezione<br />

finale. La preclusione, inoltre, non è assoluta, attesa l'espressione<br />

« di norma * che la Giunta per il Regolamento inserì al terzo comma nell'originaria<br />

proposta Lucifredi, e che, aggiunta all'altra (« in correlazione<br />

») di cui al quarto comma, restringe l'area delTautolimitazione<br />

assembleare.<br />

La regola dell'esame per articoli non significa già che avvenga sempre<br />

discussione: significa però che, nei casi in cui questa resti omessa<br />

(per mancanza, rinuncia o assenza di iscritti), l'approvazione seguirà<br />

immediatamente la lettura, essendo esclusa dal secondo comma dell'art.<br />

84 (« La votazione si fa sopra ogni articolo e sugli emendamenti<br />

che si propongono ») ogni possibilità di approvazione tacita. Quando<br />

lettura e approvazione seguano per « serie » numerose di articoli (e non<br />

è raro il caso), il Presidente avvertirà la Camera che al testo del Governo<br />

o del Senato o della Commissione (se quest'ultima li abbia già<br />

emendati) non si chiede modifica ulteriore.<br />

I titoli e le rubriche non si votano, non facendo essi parte della<br />

legge (58); gli allegati (codici, convenzioni, tabelle, ecc.) sono sottratti<br />

a discussione, non già però ad approvazione, che viene espressa unitamente<br />

a quella degli articoli cui si riferiscono: è ammissibile, quindi,<br />

proporne variazioni.<br />

10. - Una profilatura storica della frantumata disciplina riservata<br />

agli emendamenti presentati non può esser fatta che in forma complessiva.<br />

E converrà notare, anzitutto, l'assenza nel Regolamento di ogni<br />

pur vaga definizione del contenuto dell'emendamento, che, come si vedrà,<br />

deve esser quello di modificare in parte la proposta principale, lasciandone<br />

inalterata la struttura.<br />

(58) Sarà bene, per altro, rammentare che essi possono assumersi dalla giurisprudenza<br />

quali strumenti logici di interpretazione (cfr. sentenza della Corte costituzionale<br />

n. 9 del 19 febbraio 1965).


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 441<br />

Così, del pari, aggiungasi che la prima norma « definitoria » di questa<br />

fase (art 84) cita incidentalmente l'emendamento soltanto per prescriverne<br />

la votazione (per altro verso con gravi lacune), senza che vengano<br />

previsti, ancora, presentazione, svolgimento e discussione (art 86).<br />

Tali difetti di organicità derivano, come spesso si è visto, dalla diversa<br />

origine delle varie norme: il primo articolo risale alle riforme<br />

Bonghi, ripristinatrici delle « tre letture », mentre più antica origine<br />

è quella del secondo articolo, di cui parte risale addirittura ai primi<br />

regolamenti provvisori, nei quali era adottato variamente il criterio di<br />

sottoporre al voto emendamenti solo se sottoscritti da un certo numero<br />

(dapprima 5 poi 15) di parlamentari. A loro volta, le riforme Bonghi<br />

introducevano il termine di presentazione (24 ore), ma mantenevano il<br />

detto requisito (con il quorum di 10 deputati) per avanzare proposte di<br />

modifica anche nella stessa seduta e discussione, potendo altri in tal caso<br />

domandarne - come attualmente - il rinvio dell'esame all'indomani.<br />

Nel 1949 questa questione tornava ancora d'attualità, con la proposta<br />

della Giunta per il Regolamento di sopprimere ogni specie « abbreviativa<br />

», che dava ingresso a proposte non sufficientemente meditate: non<br />

avendovi la Camera acceduto, si giunse infine alla formula finale, che<br />

è quanto dire a mantenere il quorum già in vigore, concedendo alla tesi<br />

della Giunta la fissazione del termine ridotto (1 ora), contrappesata da<br />

libertà totale di presentare sub-emendamenti.<br />

A questi requisiti si sottraggono pure Commissione e Governo, ai<br />

quali si riconosce il diritto di proposizione senza condizioni di sorta:<br />

tanto che non è raro il caso in cui proposte emendative vengano sollevate<br />

in seduta dai deputati sotto forma di « richiamo all'attenzione » del<br />

relatore e del ministro, aftinché, se lo credano, vogliano presentarle formalmente.<br />

Ai requisiti si sottrae di nuovo il cosiddetto « emendamento divisivo<br />

», per il quale i primi due regolamenti provvisori recitavano: « Nelle<br />

questioni complesse la divisione è di diritto ». La norma, non riprodotta<br />

nei regolamenti successivi, si è trasformata in un principio consuetudinario,<br />

di cui rimane traccia negli attuali artt. 102 del Capo XI e 128<br />

del Capo XIII (mozioni): per domandare la divisione (riferita l'espressione<br />

all'oggetto del voto, non già alle modalità di esso, di cui si<br />

tratta pure in altri articoli del Capo XI con scarsa cura della chiarezza<br />

lessicale) non è pertanto necessario quorum o termine di presentazione,<br />

bastando che anche un solo deputato abbia a proporla allorché<br />

la Camera passi a votazione.


442 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Le modalità di presentazione costituiscono, poi, l'unica parte dell'esame<br />

degli emendamenti che sia organicamente regolata; non così per<br />

le fasi, cronologicamente susseguenti, di svolgimento, discussione e votazione,<br />

giacché è scomparso nel 1949, dall'art. 86, il terzo comma Bonghi<br />

formulato in tal modo: « Nessun articolo aggiuntivo o emendamento<br />

può essere svolto, discusso o votato nella seduta stessa in cui è presentato,<br />

se non sia firmato da dieci deputati » : sicché di votazione è rimasto<br />

cenno all'art. 84, di discussione all'art. 86 e di svolgimento all'art.<br />

90, il tutto quasi incidenter tantum e senza alcuna concatenazione.<br />

Per quanto manca, non resta dunque che far ricorso all'analogia:<br />

così anzitutto, per lo svolgimento, all'art. 129 del Capo XIII (mozioni),<br />

il quale adotta l'ordine non di presentazione, ma di riferimento logico<br />

ai vari incisi della proposta principale; e così pure, per la discussione,<br />

alle altre norme di questo stesso Capo X, per le quali è chiarissimo il<br />

diritto di ogni deputato di parlare senza limiti e di dichiarare le ragioni<br />

del voto; e così, infine, per le votazioni, per le quali non è stabilita precedenza,<br />

se non si vuol tornare ancora alle mozioni (art. 130 del Capo<br />

XIII), per le cui norme l'estensione alla ordinaria discussione non è tuttavia<br />

ritenuta né automatica né pacifica: e infatti, vi si deroga largamente<br />

nella prassi.<br />

Quanto al parere della Commissione, introdotto nel 1868 per esser<br />

reso, al massimo, nella seduta successiva, non vi è oggi termine perentorio;<br />

scomparsa è inoltre la prescrizione del suo assenso, o della firma<br />

di 15 deputati, per avere il diritto a svolgimento: dal che la necessità<br />

di esser presente per il rappresentante della Commissione stessa, che<br />

dovrà interpellarsi, col Governo, sul merito delle varie proposte presentate.<br />

Né F« interpello » segue a svolgimento, poiché è scomparsa anche<br />

altra norma del 1868 secondo cui, dopo la illustrazione ed il parere,<br />

la Camera avrebbe visto se proseguire o no la discussione; talché attualmente,<br />

questa non essendo impedita dal contrario parere eventualmente<br />

dato, gli emendamenti vengono svolti e discussi tutti, ed i pareri rinviati<br />

all'imminenza del voto.<br />

Vi è in ultimo il ritiro dell'emendamento presentato. La relativa<br />

facoltà è ammissibile fino al momento della votazione: essa deriva dalla<br />

natura di proposta concordemente all'emendamento attribuita, dal che<br />

deriva ancora che, come per ogni azione di tal tipo, debba concedersi<br />

- giusta la teoria generale del procedimento - facoltà di revoca al presentatore.<br />

La contrapposta facoltà di ripresa, prevista nel 1868 limitatamente<br />

ai componenti della Commissione, poi estesa a tutti nella riforma Bonghi,


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 443<br />

sembra informarsi invece al principio diverso che ogni atto posto davanti<br />

all'Assemblea non appartenga più soltanto al suo autore.<br />

Ciò fu, sul punto, storicamente contestato: prevalse infine, però,<br />

la tesi affermativa, e cioè che, pure in mancanza di « conferma » al voto,<br />

nulla potesse impedire alla Camera di decidere su una proposta presentata.<br />

11. - Gravita dunque sulla citata analisi « particolare » l'assai complesso<br />

tema degli emendamenti, cui si assimilano gli articoli aggiuntivi.<br />

Nell'accezione generale « emendare » significa correggere, e come<br />

tale il termine viene comunemente riferito al contenuto di una proposta<br />

purchessia, sottoposta all'esame delle Camere: tuttavia, per « emendamento<br />

» in senso tecnico par meglio intendere ogni modifica che sia richiesta<br />

od approvata a un testo nel dipanarsi dell'/ter procedimentale.<br />

Si distingue però, nella dottrina, un diritto di « proposizione » da<br />

un diritto « di emendamento » in senso stretto : il primo dato, nel nostro<br />

ordinamento, a ciascun membro di Assemblea, alla Commissione e al<br />

Governo; il secondo espressione di potestà decisionale, cioè esclusivo<br />

delle Camere come connesso alla titolarità della funzione (59).<br />

Da ciò deriva l'obbligo di una ulteriore distinzione circa il diritto<br />

di proposizione, da alcuni autori ritenuto nient'altro che una forma<br />

particolare di esercizio del potere di iniziativa legislativa (60); mentre<br />

per altri autori più rileva la distinzione che, laddove nell'iniziativa<br />

è data « scelta » sia della materia sia degli interessi da regolamentare,<br />

nella proposta di emendamento è data « scelta », sì, degli interessi,<br />

non già però della materia, che non può discostarsi da quella della<br />

proposta originaria, da cui il processo è stato già attivato (61); di talché,<br />

nonostante talune analogie, non vera identità si avrebbe, tra i due istituti,<br />

né ipotizzabile parallelismo, ma solo invece « convergenza parziale di<br />

finalità» (62).<br />

L'equazione « diritto di iniziativa = diritto di proposizione » potrebbe<br />

dunque esser fatta salva, in questa sede, nel senso solo che l'ul-<br />

(59) Non vi è alcun dubbio circa l'appartenenza del diritto di proposizione ad<br />

ogni parlamentare ed alla Commissione, anche se solo il Regolamento del Senato faccia<br />

menzione dei primi all'art. 71: quanto al Governo, ciò è largamente nella prassi<br />

odierna, pure se nell'antica fosse criticato (cfr. MANCINI e GALEOTTI, op. cìt.; MOHRHOFF,<br />

op. cit.).<br />

(60) Cfr. MORTATI, Istituzioni, cit. ; BALLADORE PALLIERI, op. cit.-, NIGRO, op. cit.<br />

(61) In caso diverso, a parte l'inammissibilità logica della proposta di emendamento,<br />

l'inammissibilità giuridica dovrebbe dichiararsi ai sensi dell'art. 90 Reg., per<br />

esser questa « affatto estranea » all'oggetto della discussione.<br />

(62) Cfr. S. GALEOTTI, Contributo, cit ; SPAGNA Musso, Emendamento, cit


444 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

timo diritto non possa essere esercitato se non sul presupposto del primo:<br />

così non sarebbe dato emendamento per le leggi ed. < di autorizzazione<br />

» o « di approvazione », per le quali l'iniziativa è esclusiva del<br />

Governo.<br />

È da avvertire, tuttavia, che neppure in questi limiti l'equazione<br />

è accettata da quella parte della dottrina che porta alle sue estreme conseguenze<br />

la diversificazione del potere di emendamento in generale da<br />

quello di iniziativa delle leggi: secondo essa, infatti, il limite all'emendabilità<br />

delle leggi « meramente formali » sarebbe d'ordine logico, ma<br />

non giuridico. Diversamente ne conseguirebbe la spoliazione delle Camere<br />

dall'esercizio del diritto costituzionale alla funzione, nella quale<br />

rientra indubbiamente, almeno a fini procedimentali, l'approvazione delle<br />

leggi in discorso, tra cui, ad esempio, la legge di approvazione del bilancio:<br />

così per questa, in specie, l'emendabilità dovrebbe dirsi ammessa<br />

purché non violi il terzo comma dell'art. 81 Cost. (divieto d'introdurre<br />

nuovi tributi e nuove spese).<br />

Non può negarsi la suggestione della tesi, e tantomeno il fatto che<br />

essa trovi conferma nell'esperienza parlamentare, sia statutaria sia repubblicana,<br />

nella quale - è ben noto - emendamenti alla legge di bilancio<br />

sono stati più volte presentati: non si vede, però, come in tal<br />

caso essa potrebbe mantenersi esclusa per le altre leggi di analoga natura.<br />

Resterebbe solo possibile concludere che, una volta ammessa la<br />

emendabilità giuridica dei provvedimenti di iniziativa « esclusiva », l'introduzione<br />

in essi di modifiche contraddittorie o disorganiche, se raffrontate<br />

al complesso degli stessi, null'altro avrebbe a ritenersi, da parte<br />

delle Camere, che un mezzo a atipico » di reiezione del progetto.<br />

Dalla dottrina alla disciplina positiva, l'emendamento incontra<br />

dunque un primo sbarramento: quello di ammissibilità (art. 90 Reg.),<br />

per il quale sarà da richiamare quanto già dettone per gli ordini del<br />

giorno, valida essendone la stessa disciplina, con però due essenziali<br />

differenze :<br />

1) che solo in sede di ammissibilità potrà vagliarsi - appunto -<br />

il già trattato aspetto del contenuto, e meglio ancora della « natura »<br />

della proposta emendativa. Si è visto un primo limite di « scelta della<br />

materia » dato dalla proposta originaria. Una seconda limitazione va<br />

posta per gli emendamenti totali in confronto ai parziali: i primi, investendo<br />

la proposta nella sua stessa struttura generale, dovrebbero reputarsi<br />

equiparati, ancorché presentati in discussione, ai cosiddetti « controprogetti<br />

», veri e propri atti di iniziativa concorrenti nella stessa materia,<br />

e per i quali quindi, come per ogni altra iniziativa, è d'obbligo


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 445<br />

Tesarne preliminare (svolgimento, relazione ed iscrizione all'ordine del<br />

giorno) (63). Una terza limitazione di contenuto è infine quella che agli<br />

emendamenti sarebbe a chiedersi comunque carattere normativo - cioè<br />

la capacità di inserirsi precettivamente nel testo da modificare - non già<br />

di massima meramente generica o astratta;<br />

2) che a differenza di quanto accade per gli ordini del giorno,<br />

lo sbarramento di ammissibilità è, per gli emendamenti, sbarramento<br />

effettivo e non simbolico, poiché si è usato e si usa con larghezza: ad<br />

esempio, furono a volte dichiarati inammissibili emendamenti di pura<br />

forma o « superflui ». Aftinché ci si renda esatto conto del problema,<br />

si rammenta che la discrezionalità presidenziale resta, per questo punto,<br />

inappellabile.<br />

Segue, minutamente, la disciplina di presentazione. Tutti gli emendamenti<br />

saranno stesi per iscritto, presentati almeno 24 ore prima della<br />

discussione e trasmessi alla Commissione competente; se sottoscritti da<br />

dieci deputati, potranno aversi fino ad un'ora prima della seduta (ma<br />

saranno discussi l'indomani se ciò richiedano il Governo, la Commissione<br />

o dieci altri deputati); se sottoscritti come sopra, e in più tendenti<br />

alla modifica di altri emendamenti, saranno liberi in seduta; se, in ultimo,<br />

abbiano conseguenze finanziarie, ne sarà fatta trasmissione, appena<br />

presentati, anche alla Commissione del bilancio, che potrà chiederne il<br />

rinvio come previsto per la Commissione di merito (art. 86) (64).<br />

(63) Per il MORTATI (Istituzioni, cit.) l'emendamento dovrebbe accogliere lo « spìrito<br />

informatore del progetto originario, senza alterarlo sostanzialmente ». Fautore della<br />

tesi della identificazione con l'iniziativa, l'autore soggiunge però subito dopo : e Ma<br />

in realtà giudice dell'aderenza allo spirito informatore di tale testo è la stessa Assemblea,<br />

che incontra in tale giudizio limiti solo politici ». Per il Tosi (Lezioni, cit.) un<br />

delicato problema di proponibilità costituzionale è quello che riguarda gli emendamenti<br />

comportanti conseguenze finanziarie anche se forniti di indicazione di copertura:<br />

pure in tal caso dovrebbe farsi luogo, analogicamente, all'applicazione dell'art.<br />

90 Reg.<br />

(64) Gli emendamenti presentati in gran numero possono costituire efficace strumento<br />

ostruzionistico: a tale eventualità (unitamente a quella di impedire l'esame di<br />

proposte affrettate) tendono a far da freno le modalità ed i termini di presentazione.<br />

Un episodio eccezionale fu quello della seduta antimeridiana del 20 dicembre<br />

19S7, in cui il Presidente Leone ritenne di consentire la presentazione di emendamenti<br />

in seduta (senza che ciò formasse precedente), essendosi decisa solo la sera avanti<br />

riscrizione del progetto all'ordine del giorno. Nella seduta pomeridiana, iniziatasi l'esame<br />

del primo articolo, precisò che la presentazione sarebbe stata consentita fino al<br />

parere della Commissione. Successivamente, su richiesta del deputato Gian Carlo Pajetta,<br />

appoggiata dal prescrìtto quorum, ne rinviò all'indomani la discussione, ma non lo<br />

svolgimento.<br />

Nessun termine è posto invece - come ora si è visto - per la presentazione<br />

di sub-emendamenti: ma è bene avvertire subito che ciò pone ulteriori ed obiettivi<br />

limiti di contenuto. L'emendamento sottordinato dovrà accettare il criterio basilare<br />

dell'emendamento principale, tendendo non già a sostituire ò ad ampliare questo<br />

in modo autonomo, ma solo a modificarlo in parte, senza mai riferirsi al testo del-


446 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Gli emendamenti potranno infine essere ritirati dall'autore, con esposizione<br />

dei motivi in tempo massimo di 5 minuti, e ripresi da altri deputati<br />

(art. 87); ma a fronte di essi non potranno proporsi né sospensiva,<br />

né pregiudiziale, né ordine del giorno « puro e semplice », né altro<br />

ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo che sotto<br />

forma tale si tenti di riproporre ordini del giorno già respinti in discussione<br />

generale, nel qual caso - secondo lettera, che si vedrà inesatta,<br />

dal Regolamento - può sempre opporsi « la pregiudiziale » (artt. 84<br />

e 88) (65).<br />

Fin qui la disciplina positiva. Nessuna norma è però accolta dal<br />

Regolamento per quanto attiene all'adempimento più importante di<br />

questa fase dell'iter procedimentale: la votazione. « Quello della votazione<br />

degli emendamenti - così si legge nell'antica pratica parlamentare<br />

(66) - è uno dei momenti in cui meglio si rivela l'abilità di un Presidente,<br />

giacché tocca a chi dirige l'Assemblea indicare l'ordine della<br />

votazione, salvo poi all'Assemblea stessa la decisione definitiva "in caso<br />

di reclamo. Tuttavia la dottrina, la legislazione e la giurisprudenza parlamentari<br />

concorrono ad agevolare quell'ufficio».<br />

Di tale messe di soccorsi - ad avviso di chi scrive - non si riscontra,<br />

in verità, gran traccia. Per converso, la possibile casistica raggiunge tale<br />

ampiezza da render valida ancor oggi la constatazione che questa parte<br />

del dibattito resti affidata come non mai ai poteri di prudente apprezzamento<br />

del Presidente: per cui per essa non più si potrà dire, e con<br />

ogni riserva, che quella che è la prevalente maniera di far seguire, in<br />

fatto, l'annunzio, lo svolgimento e la discussione degli emendamenti, fino<br />

alla votazione degli stessi, nella Camera italiana.<br />

Data lettura dell'articolo, e secondo l'ordine dei vari commi di esso,<br />

l'annunzio degli emendamenti veniva dato all'Assemblea, fino a tempi<br />

recentissimi, per tradizione in forma discorsiva: da qualche mese, alla<br />

Camera, gli emendamenti sono siglati con un numero, formato da una<br />

prima cifra che ripete quella dell'articolo e da una seconda progressiva:<br />

riferimento che il Presidente utilmente richiama all'atto dell'annunzio,<br />

dando lettura del testo, delle firme e della sigla stessa così come li<br />

riporta lo stampato.<br />

l'artìcolo. Ed ancor meno il primo potrà avanzarsi o mantenersi una volta caduto il<br />

principale, senza del quale non potrebbe reggersi: ciò che introduce un limite altresì,<br />

seppure vago ed indiretto, di tempo. In tutti i casi succitati, esso dovrà essere dichiarato<br />

inammissibile.<br />

(65) Questo disposto scoordinato, su cui si esercita l'interpretazione, tendeva<br />

solo, nella riforma Bonghi, a scongiurare la febbre di « mozioni » trasferite alla fase<br />

degli articoli.<br />

(66) Cfr. MANCINI e GALEOTTI, op. cìt.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 447<br />

Segue lo svolgimento da parte del primo firmatario o, su richiesta,<br />

di altro firmatario. Potrebbe sembrar strano, e lo è, che nella norma<br />

« ordinatoria » (art. 86) di svolgimento non vi sia parola : ciò deriva<br />

dall'awenuta soppressione di un intero comma della formulazione<br />

Bonghi che espressamente l'ammetteva; tuttavia la menzione dello svolgimento<br />

è rimasta isolata nell'art. 90 (ammissibilità), e del resto è prevista<br />

nello stesso art. 86 la « discussione » dell'emendamento, ed è pacifica<br />

consuetudine parlamentare che questa possa aprirsi, ed anzi solitamente<br />

si apra, con l'intervento di chi ha avanzato la proposta.<br />

Si pongono qui, per altro, due questioni. La prima è che per antico<br />

uso (interpretato con una certa larghezza) lo svolgimento non potrebbe<br />

ammettersi quando l'emendamento fosse semplicemente il corollario di<br />

proposte già svolte in discussione generale: in questi casi, infatti, il Presidente<br />

dà la proposta per svolta in quella sede. La seconda è se, essendo<br />

assenti i proponenti, ciò debba intendersi come manifestazione di ritiro :<br />

e benché non mancassero nella Camera ottocentesca - come per gli ordini<br />

del giorno - precedenti per tale soluzione, ed essa anzi fosse prevalente,<br />

ebbe poi ad affermarsi la contraria, dimodoché, per prassi consolidata,<br />

l'assenza viene oggi constatata, ma interpretata come rinuncia<br />

solo alla parola.<br />

Allo stesso modo, e per ultimi, sono trattati gli articoli aggiuntivi:<br />

per dar ragione di essi sembra si debba più appropriatamente usare il<br />

termine di « illustrazione » (67).<br />

Dopo lo svolgimento, ed eventuale discussione, sarà chiesto parere<br />

al relatore (anche di minoranza, se lo chieda) ed al ministro: questi precisano,<br />

in tal modo, a quali proposte Commissione e Governo siano<br />

favorevoli; a quali, invece, contrari; per quali, infine, vogliano non esprìmere<br />

giudizio, rimettendosi semplicemente all'Assemblea (68).<br />

Si passa quindi ai voti. Per poter giungervi, essendo stati espressi<br />

pareri di Commissione e del Governo, dovrà farsi « interpello » ai firmatari<br />

per sapere se insistano per la votazione; a tal momento è per<br />

altro pacifico il principio : « assenza = ritiro ».<br />

Come già detto, il problema sorge sull'ordine delle votazioni, ed<br />

è bene pertanto incardinarlo con una duplice proposizione di fondo.<br />

(67) L'uso di discutere congiuntamente tutti gii emendamenti e articoli aggiuntivi<br />

ad un articolo, da ritenersi quindi logicamente collegati, tende a far si che al momento<br />

di votare la Camera possa conoscere l'atteggiamento dei diversi Gruppi.<br />

(68) Per evidente analogia con il parere del Governo sugli ordini del giorno, si<br />

usano anche per gli emendamenti i termini di « accettare » o « respingere » : ma l'uso<br />

è improprio, poiché ciò spetta alla Camera.


448 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Il primo Regolamento provvisorio si limitava a stabilire la semplice<br />

regola che i sub-emendamenti fossero votati prima degli emendamenti<br />

principali, e questi prima della proposta originaria. A tale regola la<br />

prassi parlamentare aggiunse l'altra che vuole sia accordata precedenza<br />

alle proposte intese a mutar la sostanza della norma, rispetto a quelle<br />

di pura forma; e, tra le prime, a quelle considerate « più lontane » rispetto<br />

alla proposta originaria, in omaggio al principio generale secondo<br />

cui alla Camera non dovrà mai impedirsi di deliberare sul maggior<br />

numero possibile di questioni (69).<br />

Altro e concomitante aspetto è quello, invece, del contenuto « teleologico<br />

» delle votazioni. Sebbene alle origini vi fosse prassi incerta, non mancò in<br />

seguito di affermarsi la tesi che la proposta di sopprimere un intero articolo<br />

non è un emendamento in senso proprio: lo è peraltro quella di sopprimere<br />

un comma, od un periodo; ma poiché l'una e l'altra implicano una<br />

votazione contraria all'articolo, o alla parte che si vuol sopprimere, non<br />

sono poste direttamente ai voti, sulla base del principio che debbano<br />

essere sempre sottoposte alle Assemblee proposte « affermative » (70).<br />

(69) È da avvertire, però, che tale essendo la ratio della consuetudine, le espressioni<br />

« lontananza-vicinanza » non sembrano potersi assumere in quest'ambito con un<br />

significato diverso da quello che è loro dato, appunto, dalla funzione procedimentale.<br />

In altri termini, non varrebbe a tal fine la giustapposizione « teleologica • della proposta<br />

col testo originario, che verrà subito in discorso per altro e concorrente tipo di<br />

classifica; varrebbe, invece, il concetto ritualistico; e se anche entrambi possano coincidere,<br />

ed invero per solito coincidano, ciò non esclude che, in caso di divario, dovrebbe<br />

avere a prevalere un principio di logica formale.<br />

Il problema si è posto ultimamente, in forma generale, nella seduta del 1


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 449<br />

Questo principio, già ritenuto vincolante (con la sola eccezione<br />

della proposta della Giunta apposita di non concedere l'autorizzazione<br />

a procedere in giudizio, per la quale non sorge proposta antagonista<br />

e deve quindi porsi ai voti la reiezione, che è proposta negativa), è oggi<br />

non propriamente contestato, bensì applicato con qualche margine di<br />

flessibilità (criterio di autonomia procedimentale): ciò avviene soprattutto<br />

per le proposte di soppressione di commi o di periodi, e per i<br />

casi di concorso di emendamenti (spesso numerosissimi) su di una stessa<br />

norma principale, casi nei quali una sua rigida interpretazione, non<br />

combinata con quella del principio delle votazioni « più lontane », otterrebbe<br />

l'effetto di rendere non già più chiara, ma più difficile e talvolta<br />

impossibile la manifestazione compiuta della volontà dell'Assemblea.<br />

Si classificano dunque, nell'antica dottrina, gli emendamenti a seconda<br />

che abbiano riguardo al collegamento formale delle parole (in<br />

« divisivi », « riunitivi » e « traspositivi ») o alla scelta sostanziale delle<br />

disposizioni (in « soppressivi » e « modificativi »), proponendone la priorità<br />

nell'ordine di categoria e interno ad ogni categoria indicata (71).<br />

Questa materia è in realtà affidata totalmente alla prassi d'Assemblea,<br />

nella elaborazione della quale le proposte emendative sono distinte<br />

unicamente in relazione ad un criterio di finalismo sostanziale,<br />

con i possibili casi di concorso.<br />

Si avranno quindi, in ordine di lontananza decrescente, gli emendamenti<br />

suddivisi in tre categorie: 1) soppressivi totali e parziali; 2) sostitutivi<br />

totali e parziali; 3) emendamenti (o articoli) aggiuntivi.<br />

Ed ecco, allora, le varie ipotesi, fermi tutti i principi già enunciati.<br />

A) AU'infuori dei casi di concorso, gli emendamenti soppressivi<br />

totali non si votano: si vota il testo, specificando che ne è proposta la<br />

soppressione. Così pure per i soppressivi parziali: si vota prima la parte<br />

del testo non contestata, poi la parte contestata, specificando che ne è<br />

proposta la soppressione. Se vi è concorso tra loro, occorrerà votare<br />

(71) Cfr. BENTHAM, op. cit. Nella classificazione cosi proposta, l'ordine di precedenza<br />

della prima classe potrebbe corrispondere al criterio di procedere nelle questioni<br />

dalle più alle meno complesse: l'ordine di precedenza della seconda classe è<br />

quello ancor oggi rispecchiato nell'art. 73 Reg. Senato, secondo cui si votano gli<br />

emendamenti prima soppressivi, poi modificativi ed aggiuntivi.<br />

Il groviglio fittissimo degli emendamenti, in Assemblee composte da centinaia di<br />

rappresentanti, e la tecnicità del tema sono sufficienti a spiegare come esso rimanga<br />

- anche storicamente - piuttosto povero di dottrina, tanto più necessaria quanto più<br />

si consideri l'impossibilità di rifarsi semplicemente all'ordine di presentazione: ciò<br />

non avrebbe, in realtà, alcun senso, e non risulta si sia fatto mai.<br />

17.


450 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

prima la proposta « più lontana », che è quella negativa della soppressione<br />

totale; quando respinta, si passa alla soppressione parziale, nella<br />

formulazione « affermativa » indicata.<br />

B) Analogamente per gli emendamenti sostitutivi: precedono i sostitutivi<br />

totali, dal più al meno « lontano »; seguono la parte del testo<br />

non contestata, quindi i sostitutivi parziali, dal più al meno « lontano »;<br />

quando respinti, la parte del testo già contestata.<br />

C) La stessa logica vale per i casi di concorso tra emendamenti<br />

delle due categorie: in questi casi dovranno votarsi prima le proposte<br />

negative totali, poi le sostitutive totali dalla più alla meno « lontana »;<br />

indi la parte del testo non contestata, le proposte negative parziali e le<br />

sostitutive parziali, dalla più alla meno « lontana », sulle medesime parti<br />

dell'articolo; quando respinte, la parte del testo già contestata.<br />

D) Nessun problema sorge per gli emendamenti o articoli aggiuntivi:<br />

essi sono votati per ultimi; ed anzi dopo l'approvazione del testo<br />

che intendono ampliare, purché la parte da aggiungere non ^sia contraddittoria<br />

con i voti già espressi.<br />

Il Presidente, infine, dichiarerà assorbiti gli emendamenti sostanzialmente<br />

ricompresi in altri già approvati, o per converso preclusi<br />

quelli contrastanti con gli stessi.<br />

Deve ripetersi che questo schema, che è qui configurato come una<br />

pura ipotesi di lavoro, viene frequentemente derogato, la molteplicità<br />

dei casi essendo tale da presentarli a volte inestricabili: dimodoché soltanto<br />

al Presidente può riconoscersi di valutare l'ordine logico (nel senso,<br />

visto, « procedimentale ») delle proposte e delle votazioni, volta per volta,<br />

in questa fase sempre complessa e decisiva, e non di rado altamente<br />

drammatica del dibattito. Si aggiunga anzi che, allorché un articolo<br />

risulti essere stato « tormentato » da una nutrita serie di votazioni, esso<br />

viene talvolta « ricomposto » e, previa nuova lettura, votato una seconda<br />

volta nel complesso (72).<br />

(72) Cosi, ad esempio, nella seduta pomeridiana dell'Assemblea Costituente del<br />

15 ottobre 1947 il Presidente Terracini fece votare un emendamento interamente soppressivo<br />

dell'art. 70 del progetto di Costituzione, ai cui commi erano state presentate<br />

numerose proposte di sostituzione, dichiarando di andare contro prassi per non costringere<br />

i contrari alla norma ad una lunga serie di votazioni negative.<br />

Nella seduta della Camera del 3 dicembre 1954 il Presidente Leone ebbe a precisare<br />

che per Costituzione, Regolamento e consuetudine non v'ha dubbio che, ogniqualvolta<br />

si abbiano votazioni dalle quali possa derivare la fiducia al Governo, queste<br />

richiedono l'appello nominale: quanto alla precedenza delle stesse (anche se vertano<br />

sugli emendamenti), la votazione del testo su cui fu posta la questione deve precedere<br />

ogni altra, perché non può continuare l'attività del Parlamento se prima non sia chiaro<br />

che il Governo ne gode ancora la fiducia.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 451<br />

Varie particolarità procedurali riguardano Tesarne degli emendamenti<br />

nelle discussioni per la conversione di decreti-legge, ai sensi dell'art.<br />

77 Cost.<br />

Il disegno di legge di conversione è quasi sempre formato da un<br />

articolo unico, comprendente anche le eventuali modifiche della Commissione.<br />

Non vi sono diversità nella fase di discussione generale e di<br />

esame degli ordini del giorno: ma, nella fase degli emendamenti, non<br />

può prescindersi dal fatto che questi, seppure vengano formalmente<br />

presentati all'articolo unico del disegno di conversione (e ad esso siano,<br />

in genere, aggiuntivi), in realtà si riferiscono agli articoli del decreto.<br />

Anche di tali ultimi, quando ad essi venga proposto emendamento, dovrà<br />

quindi darsi lettura all'Assemblea (73): senza di che, riuscendo il riferimento<br />

incomprensibile, riuscirebbe al dibattito impossibile ancorarsi, in<br />

concreto, alla modifica da deliberare. Non così, invece, per gli altri articoli<br />

del decreto ai quali non sia proposta variazione. E così ancora si votano<br />

gli emendamenti, non mai si votano gli articoli del decreto, siano essi<br />

emendati o meno. Esaurite tali votazioni (e le eventuali altre per alzata<br />

e seduta quando sia chiesta la divisione del testo a norma dell'art. 102<br />

del Capo XI del Regolamento), la Camera voterà l'unico articolo nel suo<br />

complesso e a scrutinio segreto.<br />

Quanto fin qui illustrato ha un senso solo: costituzionalmente, regolamentarmente<br />

e, quindi, proceduralmente, l'atto d'urgenza manca,<br />

in questa sede, di ogni sua propria autonomia: esso è « inglobato » nel<br />

disegno di legge con cui ne è chiesta alle Camere la conversione.<br />

Notevolmente gravi e delicate sono, per altro, le questioni di dottrina<br />

che fanno perno sull'emendabilità dei disegni di conversione.<br />

La decretazione d'urgenza è atto dell'esecutivo, nelle cui facoltà<br />

discrezionali si fa rientrare la potestà di accertamento che ha per oggetto<br />

i casi e le materie in cui esso possa valersi di quanto ammesso<br />

dall'art. 77 Cost. Non potrebbe pertanto il Parlamento, in sede di conversione,<br />

estendere l'area di applicazione del decreto, ciò che interferirebbe<br />

nel campo dell'esecutivo (tale fu l'opinione della Camera nella<br />

seduta del 25 gennaio 1956).<br />

Più in generale si è osservato, inoltre, che nel vigente ordinamento<br />

non sembra facile ammettere la conciliazione dell'emendabilità dell'atto<br />

con il principio-base della sua stessa regolamentazione, secondo cui il<br />

decreto non convertito perde efficacia ex tunc. Potrebbe dirsi, forse, che<br />

(73) Pur nel silenzio della Costituzione è prassi consolidata che le conversioni<br />

siano riservate al plenum, data là loro rilevanza politica nel quadro dei rapporti Parlamento-Governo.


452 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

la legge con cui le Camere convertono con modifiche debba classificarsi<br />

atto composito: essa verrebbe a contenere, oltre all'effetto di conversione<br />

in senso proprio, una legge di reiezione del decreto, per la parte<br />

emendata; per altra parte, invece, una legge regolatrice dei rapporti<br />

giuridici sorti sulla base del decreto parzialmente rifiutato, legge che a<br />

quei rapporti voglia estendere le modifiche da essa stessa sanzionate.<br />

Così non era, per converso, con l'ordinamento precedente (legge Rocco<br />

del 1926), secondo cui l'efficacia delle modifiche apportate decorreva<br />

dall'entrata in vigore della legge, mentre il decreto rifiutato cadeva solo<br />

dalla mancata conversione. Ad evitare tali dubbi - si è auspicato -<br />

potrebbe il Parlamento di volta in volta precisare le conseguenze volute<br />

nel caso di conversione con modifiche.<br />

La discussione della legge termina con la votazione dell'ultimo articolo,<br />

in genere riguardante la sua pubblicazione. Tuttavia, su questa<br />

votazione, ha luogo una manifestazione rilevante, che è quella delle<br />

dichiarazioni di voto sul complesso del progetto. Tali dichiarazioni, previste<br />

dall'art. 83 per ogni istante successivo alla chiusura della discussione<br />

generale e in cui ci si accinga a votazione (e che pertanto possono<br />

avvenire e avvengono tanto sugli articoli quanto sugli emendamenti<br />

presentati), non potrebbero farsi alla Camera altrimenti circa la<br />

legge nella sua interezza, il cui voto finale dovrà esser dato - è noto -<br />

con la forma segreta di cui all'art. 93 del Capo XI del Regolamento.<br />

Di null'altro si tratta, dunque, che di un escamotage formale, ma,<br />

per converso, assai significante ed incisivo: poiché è in tal sede, infatti,<br />

che intervengono i Gruppi per chiarire il loro finale atteggiamento,<br />

ciò che imprime al dibattito, nella valutazione dei risultati conseguiti e<br />

nell'imminenza del voto, vivacità, valore e immediatezza senza dubbio<br />

maggiori di quanto accada in altre e precedenti fasi « discorsive », a<br />

esempio in corso di discussione generale. È da notare inoltre che, benché<br />

la norma consenta le dichiarazioni ad ogni deputato, è a questo punto<br />

che nel costume si è affermata la regola di far parlare quasi sempre un<br />

rappresentante per ognuno dei Gruppi già citati; ciò che dimostra - se<br />

ve ne fosse bisogno - il recepimento nella prassi del ruolo preminente di<br />

questi ultimi nei momenti di maggior « punta » e sostanza politica della<br />

discussione.<br />

Chiusa la votazione sull'ultimo articolo, devesi passare allo scrutinio<br />

segreto. Ma prima di esso - nei casi di discussione « congiunta » -<br />

dovrà annunciarsi l'assorbimento dei progetti concorrenti; ed il Regolamento<br />

consente inoltre una battuta particolare (detta, seppure con significazione<br />

eccezionale, « di coordinamento »), che può attivarsi dalla Com-


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 453<br />

missione o da un ministro per richiamare l'attenzione sopra le necessarie<br />

correzioni di forma o le possibili discrasie tra i vari emendamenti<br />

approvati, o tra questi e gli articoli o lo scopo della legge, proponendo<br />

le correzioni del caso: sentito l'autore dell'emendamento, o un altro in<br />

sua vece, un membro della Commissione e il ministro, la Camera deciderà<br />

(art. 91). La norma è antichissima, e può avvenire che essa comporti<br />

soppressioni o aggiunte, le quali, nei casi di maggior rilievo, sono<br />

passate ai voti ad una ad una.<br />

L'attività di coordinamento normale è invece cosa diversa: si svolge<br />

infatti senza alcuna ratifica dell'Assemblea, anche se alcune volte<br />

nel passato se ne sia dato annuncio o si sia chiesta sanatoria per la<br />

rettifica di errori riscontrati.<br />

Nessuna norma esiste su di essa. Vi è un precedente storico: nel<br />

1894 fu avanzata proposta di istituire una Commissione permanente per<br />

il coordinamento; e tuttavia la stessa non ebbe seguito, non ritenendosi<br />

opportuno sottrarre una siffatta attività ai poteri discrezionali della Presidenza<br />

con l'ausilio della Commissione competente, già approfondita<br />

nella conoscenza del progetto.<br />

Nella prassi attuale, la relativa autorizzazione vien chiesta e data<br />

preventivamente, ogni volta che la legge abbia subito complesse votazioni,<br />

e i relativi adempimenti sono rimessi al Presidente, con il concorso<br />

del relatore e del Governo, prima dell'invio del « messaggio »<br />

all'altra Camera o al Capo dello Stato (tramite Governo) per la promulgazione<br />

(74).<br />

Deve trattarsi di correzioni di forma. Se trattisi di errori materiali,<br />

la correzione può avvenire anche dopo la trasmissione all'altra Camera,<br />

dandone avviso alla medesima: se però nel frattempo questa abbia deliberato,<br />

e abbia introdotto la modifica, il progetto dovrà tornare alla<br />

Camera di primo esame: l'ipotesi che una Camera possa correggere un<br />

errore senza intervento dell'altra si ritiene in effetti inammissibile (75).<br />

(74) L'attuale Regolamento (art. 48 del Capo Vili) conserva ancora l'espressione<br />

di « messaggio », usata in alcune Costituzioni per indicare le comunicazioni di<br />

carattere politico fatte dal Governo alle Camere, o quelle tra una Camera e l'altra.<br />

Nell'uso, esso designa la trasmissione all'altro ramo del Parlamento o al Capo dello<br />

Stato del testo definitivamente approvato della legge: in ciò - si noti - è il solo atto<br />

di esternazione ufficiale della volontà dell'Assemblea.<br />

(75) Si deve aggiungere che parte della dottrina è estremamente diffidente nei confronti<br />

di attività di questo tipo: ciò deriva dal fatto che essa classifica il coordinamento<br />

nient'altro che come un caso particolare di esercizio del potere di emendamento, indotto<br />

da sue precedenti esplicazioni. Di qui la tesi che occorrerebbe intervento d'Assemblea<br />

anche per le modifiche di forma, restando esclusa solo la correzione di meri<br />

errori materiali: in altri termini, oltre a un'applicazione restrittiva del coordinamento<br />

ex art. 91, questa opinione sarebbe intesa a ricomprendervi quasi tutta l'attività di<br />

coordinamento normale.


454 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

12. - Sotto il nome generico di « incidenti » sono nell'uso classificati<br />

taluni casi cui è dato sovrapporsi ad ogni fase e momento del<br />

dibattito, e che pertanto saranno esaminati a conclusione di questa<br />

trattazione.<br />

Dette ancor oggi, seppure impropriamente, « mozioni d'ordine », tali<br />

questioni incidentali hanno natura di eccezioni, e hanno il fine, ciascuna<br />

con differente ratio e implicazione, di attraversare Viter procedimentale,<br />

per impedirne, ostacolarne o deviarne l'attuazione.<br />

Sono anzitutto le così definite « questioni incidentali formali », che<br />

s'inseriscono nel procedimento per motivi di rito dello stesso, estranei<br />

dunque all'oggetto del dibattito. Ad esse seguono le « questioni incidentali<br />

sostanziali », attinenti, al contrario, al contenuto della proposta principale.<br />

Queste, di assai maggiore rilevanza - sia per i motivi politici<br />

o di merito che le informano, sia per le conseguenze tecniche che ne<br />

scaturiscono - sono trattate dal Regolamento distintamente da ogni<br />

altra questione incidentale, da cui divergono quanto a proposizione, illustrazione<br />

e voto; e configurano altrettanti istituti totalmente autonomi,<br />

con precisa struttura e chiari scopi. Seguono infine taluni fatti « personalistici<br />

», che pur s'innestano nella discussione in forma indipendente<br />

dall'esame in corso, e che a questioni in largo senso « incidentali » è<br />

possibile dunque assimilare: ciò, tuttavia, solo a fini sistematici, diversi<br />

essendone, beninteso, natura e disciplina.<br />

Le « questioni incidentali formali » sono previste dagli artt. 72 e<br />

79 Reg. dai quali è ammessa l'interruzione della discussione per un<br />

richiamo al Regolamento, per l'ordine del giorno, per la priorità delle<br />

votazioni o sulla posizione della questione : possono avere la parola, dopo<br />

il proponente, non più di un oratore contro e uno in favore, e per non<br />

più di 15 minuti ciascuno.<br />

Si tenga fermo, però, che in eccedenza al numero fissato, ed in<br />

virtù dell'art. 64 Cost. (« I membri del Governo... devono essere sentiti<br />

ogni volta che lo richiedono ») potrà parlare anche il rappresentante<br />

del Governo: per prassi, inoltre, ciò si concede al relatore o al presidente<br />

della Commissione. Governo e Commissione esprimeranno, in tal<br />

caso, il proprio avviso: essi - si badi - mai debbono giustificare eventuali<br />

richieste di parola. Infine, per l'art. 10, Capo HI, del Regolamento,<br />

appoggiato a costante consuetudine, riassumerà la discussione il Presidente,<br />

con un proprio giudizio motivato sulla fondatezza del richiamo:<br />

se il proponente insista (e, sulla priorità dei voti o posizione della questione,<br />

anche se insistano Governo, Commissione o altro deputato), la<br />

Camera deciderà con votazione semplice per alzata e seduta.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 455<br />

L'oggetto, dunque, delle due norme regolamentari è identico: divergente<br />

il profilo, poiché la prima ne tratta per il divieto di parlare<br />

due volte nella discussione (76) e la seconda per la procedura : carente il<br />

coordinamento, poiché esse ebbero - storicamente - distinta formazione.<br />

Per quel che attiene all'art. 72, nel primo Regolamento provvisorio<br />

era dato diritto al deputato di intervenire due volte nella discussione,<br />

salvo ulteriori autorizzazioni della Camera; nel 1863 l'intervento fu ridotto<br />

ad uno, salva sempre maggiore autorizzazione: nel 1868 si abolì<br />

quest'ultima riserva, e la norma divenne tassativa. Quanto all'art. 79,<br />

esso risale ai primi regolamenti provvisori per la parte che accorda<br />

all'incidente precedenza sulla questione principale e importa limitazione<br />

del dibattito; la rilevante aggiunta del tempo massimo di 15 minuti<br />

fu introdotta in periodo ostruzionistico e mantenuta nel Regolamento<br />

« definitivo » del 1° luglio 1900. Che i due articoli si integrino a vicenda<br />

è pacifico: giacché non vi è motivo di ritenere che i richiami per l'ordine<br />

del giorno o la priorità delle votazioni, citati solo nella seconda<br />

norma, non debbano rientrare nel concetto degli « incidenti formali »<br />

di cui alla prima.<br />

È poi da aggiungere che, nonostante il fatto che i limiti del dibattito<br />

incidentale siano di solito osservati, ciò non produce la conseguenza<br />

che ogni potere discrezionale del Presidente debba intendersi eliminato:<br />

così, ad esempio, fu assai spesso affermato il principio che a un deputato<br />

non sia impedito di parlare più di una volta per una semplice « precisazione<br />

».<br />

Alla norma di cui all'art. 79 è collegata, pure indirettamente, per<br />

materia, quella con cui si apre il Capo X (art. 69), secondo cui non può<br />

discutersi o deliberarsi sopra argomenti non all'ordine del giorno della<br />

Camera, se non con votazione segreta e a maggioranza di tre quarti (da<br />

conteggiarsi - sembra - sui votanti, non essendo altrimenti precisato).<br />

La formazione dell'ordine del giorno è argomento sottile e delicato,<br />

che non rientra nella discussione. Per ciò che attiene all'art. 69, basterà<br />

dire che esso è annunziato dal Presidente in fine di seduta per la seduta<br />

successiva (art. 46 del Capo VH), e d'ordinario senza votazione: può,<br />

tuttavia, qualsiasi deputato avanzare proposte di modifica, su cui decide,<br />

al caso, l'Assemblea. Ma in questa fase - appunto - l'art. 69 non è in<br />

causa: lo sarà invece se le proposte si avanzino in seduta, anche nel<br />

caso che la nuova materia emerga da comunicazioni presidenziali, cui<br />

non segue senz'altro discussione.<br />

(76) A tale divieto essa deroga anche per fatto personale o dichiarazioni di voto,<br />

casi che altrove vengono trattati.


456 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Né questa norma è qui ben collocata, essendo infatti annessa, alla<br />

sua origine (1868), a quella sui poteri « ordinatori » del Presidente. Tuttavia<br />

essa è un cardine dei lavori parlamentari, e perciò è d'obbligo riferirne<br />

due questioni.<br />

L'una è che sorse il dubbio se la votazione a scrutinio segreto dovesse<br />

intendersi subordinata alla richiesta di venti deputati, giusta l'art.<br />

93 del Capo XI: dubbio che deve ritenersi escluso, essendo qui il segreto<br />

« di diritto ». L'altra è che non è a confondersi la « inserzione » con 1*« inversione<br />

» dell'ordine del giorno (spostamento delle posizioni relative tra<br />

più argomenti già inseriti nella prima parte dello stesso), che Presidente,<br />

Commissione, Governo, od anche un solo deputato possono porre al consenso<br />

della Camera; questo vien dato tacitamente, se manchi opposizione,<br />

o altrimenti in seguito a discussione e quindi anche a votazione, ma<br />

con i modi visti per gli incidenti formali.<br />

Se non si può discutere né deliberare al di fuori dell'ordine del<br />

giorno, per il principio d'ordine « primario » espresso in forma ^negativa<br />

nell'art 46 e affermativa in questa stessa norma, non va dimenticato, però,<br />

l'antico detto, secondo cui la Camera è « sovrana », sempre e comunque,<br />

sull'ordine del giorno: ciò che significa che nessuna decisione forma,<br />

in materia, vincolo insuperabile. Non può eccepirsi, cioè, la preclusione:<br />

il che consente, ma al tempo stesso modera, « colpi di maggioranza »<br />

occasionale (77).<br />

(77) Sulla formazione dell'ordine del giorno il direttore generale della Segreteria<br />

del Senato, Terzi, in una conferenza del 5 maggio 1967 alla Facoltà di scienze politiche<br />

« Cesare Alfieri » dell'Università di Firenze afferma : « Se dovessimo limitarci<br />

all'esame delle norme che riguardano la fissazione dell'ordine del giorno delle sedute<br />

delle Assemblee legislative italiane il discorso sarebbe molto breve: non esiste infatti,<br />

nei regolamenti della Camera e del Senato, alcuna norma che contenga una esplicita<br />

attribuzione di poteri al riguardo. C'è soltanto la disciplina dell'annuncio dell'ordine<br />

del giorno (al termine di ogni seduta) e la prescrizione dell'affissione dell'ordine del<br />

giorno all'albo (art. 39 del Regolamento del Senato e art. 46 del Regolamento della<br />

Camera). In più, il Reg. della Camera prevede all'art. 13-bis, approvato nel marzo del<br />

1950, la possibilità che il Presidente convochi l'Ufficio di Presidenza, i presidenti delle<br />

Commissioni permanenti ed i presidenti dei Gruppi parlamentari per esaminare l'ordine<br />

dei lavori dell'Assemblea. Tutto qui... Non voglio contestare l'esistenza del potere dell'Assemblea<br />

di apportare in qualsiasi momento — ad iniziativa di un qualunque parlamentare<br />

— modificazioni ed aggiunte all'ordine del giorno annunciato dal Presidente o<br />

di determinarne preventivamente il contenuto, ma questa constatazione non inficia la<br />

validità dell'affermazione sulla natura decisionale del potere presidenziale; che tale, a<br />

mio parere, resta anche se le deliberazioni che da esso promanano — come molte altre,<br />

d'altronde - sono suscettibili di riforma da parte dell'Assemblea».<br />

Rammentato poi il fondamento della organizzazione dei lavori nel principio di<br />

« consentire alla maggioranza di attuare il suo indirizzo politico e alla minoranza di<br />

contestarlo con la sua crìtica», cosi prosegue: «In conclusione, la formulazione del<br />

programma dei lavori parlamentari è compito che non trova nel nostro Parlamento<br />

una precisa attribuzione: il Governo vi partecipa soltanto con saltuarie e a volte generiche<br />

e non univoche indicazioni, i rappresentanti dei Gruppi parlamentari con una


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 457<br />

13. - Gli incidenti cosiddetti « sostanziali » sono proposti, invece,<br />

con la sospensiva e la pregiudiziale, cui dovrà aggiungersi, per attrazione<br />

di materia (effetti), l'istituto non scritto della preclusione.<br />

Le prime due questioni sono previste all'art. 89, che ne determina<br />

funzioni e modalità di trattazione. La sospensiva ha per intento di rinviare<br />

il dibattito; la pregiudiziale (un tempo detta « preliminare ») ha<br />

invece quello di impedirne l'inizio o di arrestarne il proseguimento.<br />

L'« incidente » può sollevarsi da ogni membro d'Assemblea prima<br />

che « si entri » nella discussione: se « sia già principiata », occorre invece<br />

un quorum di 15 deputati (78).<br />

La discussione sarà svolta ad hoc ed avrà precedenza sulla proposta<br />

principale, con gli interventi, al massimo, di quattro deputati compreso<br />

il proponente, due prò e due contro: essa non potrà essere interrotta: la<br />

Camera decide subito, nelle forme normali.<br />

iniziativa incerta e scarsamente fattiva, la Conferenza dei Presidenti con determinazioni<br />

che non di rado attengono più ai tempi che al contenuto ».<br />

Non si può fare a meno, in verità, di constatare il fatto che il criterio carismatico<br />

della < sovranità » dell'Assemblea (quindi della maggioranza di essa, ma anche<br />

- come si è detto - di una maggioranza occasionale) sull'ordine del giorno non pare<br />

in grado di assicurare al sistema un minimo sodisfacente di razionalità. Alla Camera<br />

americana un apposito Comitato ha il compito di trarre dall'ordine di iscrizione in<br />

ruolo i progetti da sottoporre prioritariamente all'esame dell'Assemblea; ai Comuni<br />

inglesi l'oggetto dei lavori è stabilito in definitiva dal Governo (« Comitato direttivo<br />

del Parlamento»), ma con la garanzia, per le minoranze, della riserva di un certo<br />

numero di sedute, pari ad un quarto o un quinto del totale (« tempo dell'opposizione<br />

») ; in Francia, nella quarta Repubblica, la fissazione dell'ordine del giorno diviene<br />

pura attività politica: in reazione, e dopo la Costituzione del 1938, se ne ha<br />

il monopolio di fatto del Governo, con fatiscente riserva della priorità delle interrogazioni<br />

per un sol giorno alla settimana.<br />

In Italia, scomparsa agli inizi del secolo XX l'originaria figura di « uomo della<br />

maggioranza » del Presidente di Assemblea, se ne accentuava invece la funzione politicoarbitrale,<br />

cui si congiunge oggi quella t garantista » implicata dall'ordine repubblicano.<br />

Il Presidente italiano ha figura intermedia tra lo Speaker dei Comuni (vero e proprio<br />

« Magistrato del Parlamento ») e il Presidente d'Assemblea francese, completamente<br />

vincolato dagli interventi dell'Ufficio, Conferenza e Gruppi. A lui la consuetudine<br />

affida certi poteri di proposta: tuttavia non sembra, con tal mezzo, data risoluzione<br />

organica al problema delle scelte. Come si è detto, viene spesso auspicato su tal punto<br />

un maggior arco di poteri della Conferenza, ovvero ancora l'affidamento ai Presidenti<br />

di facoltà decisionali di tipo britannico: utili a far evolvere il sistema verso un assetto<br />

che salvaguardi certo - su questo tema delicatissimo dell'attività politica delle Camere<br />

- la dialettica interna d'Assemblea, ma sia ad un tempo compatibile con l'attuazione<br />

di un ordinato programma di legislazione.<br />

(78) Le locuzioni riportate non sembrano, per vero, tra le più felici, volendo<br />

significare che neppure il primo iscritto a parlare possa sollevar la questione. È stato<br />

quindi ingenerato il dubbio che ciò possa avvenire in sede di presentazione del progetto:<br />

dubbio per altro verso escluso dalla gerarchia dei principi dell'ordine parlamentare,<br />

dovendosi ritenere su tutti prevalente quello che non possano aversi discussioni<br />

e votazioni sopra argomenti non all'ordine del giorno.<br />

Il requisito del quorum di 15 colleghi (oggi piuttosto anacronistico) tendeva<br />

invece ad evitare troppo facili interruzioni del dibattito.<br />

17*.


458 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Se la sospensiva sia approvata, dovrà annunciarsi il rinvio della discussione;<br />

se lo sia la pregiudiziale, si avvertirà la cancellazione dell'argomento<br />

dall'ordine del giorno; se siano respinte, il Presidente dichiarerà<br />

aperta o riprenderà la discussione generale, e il dibattito proseguirà.<br />

Così la semplice ed efficace disciplina della norma: ma occorrerà avvertire<br />

che in base a Costituzione e prassi hanno anche qui diritto di interloquire,<br />

quando lo chiedano, Commissione e Governo, e ciò a maggior<br />

ragione, stante il « fondo » politico delle questioni: si è affermato<br />

anzi, nei casi di rilievo, l'uso di consentire un dibattito più largo, con<br />

l'intervento di un rappresentante per Gruppo. Mancherà invece per solito,<br />

trattandosi di questioni di merito, l'intervento finale del Presidente. Nulla<br />

è previsto per il ritiro, che deve dunque ritenersi ammesso: ma, se sorgesse<br />

opposizione, conformemente al già visto principio generale sulle<br />

proposte comunque entrate « nel dominio » della Camera, questa vi deciderà.<br />

Peculiare carattere della pregiudiziale è la libertà amplissima della<br />

motivazione, fondata in genere sull'opportunità politica: fermo il principio<br />

- tuttavia - che l'eccezione non è di procedura. E in realtà, qualora<br />

dovesse intendersi per pregiudiziale qualsiasi opposizione ad iniziare o<br />

proseguire il dibattito, anche un richiamo al Regolamento non potrebbe<br />

sottrarsi a una siffatta concezione. L'istituto è distinto dal suo oggetto:<br />

quando l'opposizione si riferisca a questioni, ragioni e motivi che non<br />

riguardino il Regolamento, cadrà sotto l'art. 89; quando si riferisca esclusivamente<br />

o prevalentemente all'interpretazione o all'applicazione delle<br />

norme di rito, costituirà richiamo al Regolamento. Si è ritenuto in prassi,<br />

d'altra parte, con criterio non sempre facilmente estrinsecabile, che la pregiudiziale,<br />

pur fondata sul merito, non debba tuttavia fondarsi su motivi<br />

connessi strettamente al contenuto del progetto, o con questo sostanzialmente<br />

assimilabili, nel qual caso non altro farebbe che anticipare (o<br />

riprodurre) la discussione.<br />

Nella natura ed ambito della pregiudiziale si fa rientrare senza<br />

dubbio - invece - la cosiddetta « eccezione di incostituzionalità » (presunta<br />

contraddittorietà tra le norme del progetto e quelle della Costituzione),<br />

già in passato considerata come questione incidentale a sé stante,<br />

ma senza mai ricevere una propria disciplina. Contra la distinzione si<br />

è osservato che, a parte la possibilità che sempre esiste di sopprimere o<br />

correggere le norme presunte incostituzionali nel prosieguo del dibattito,<br />

una declaratoria di incostituzionalità potrebbe benissimo tradursi in una<br />

semplice trasformazione in itinere del progetto da ordinario in costituzionale<br />

davanti alla stessa Camera che lo ha in esame, come è del resto


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 459<br />

accaduto numerose volte, senza dover portare necessariamente alla cancellazione<br />

dello stesso dall'ordine del giorno dell'Assemblea (79). A suffragar<br />

la tesi pare potersi confermare che un siffatto potere di declaratoria<br />

sul punto estremo della costituzionalità (punto giuridico, non politico),<br />

commesso ad una od anche a tutt'e due le Camere rappresentative,<br />

anche a prescindere dall'esistenza di una Corte apposita nell'ordine repubblicano,<br />

potrebbe darsi, sì, in regime assembleare, non già però parlamentare<br />

quale quello previsto dalla Costituzione (80).<br />

Va concluso, pertanto, che con pronuncia favorevole all'« eccezione<br />

di incostituzionalità » la Camera ben può manifestare, al pari che con<br />

raccoglimento di pregiudiziali comunque motivate, la propria volontà di<br />

non discutere il progetto: non, però, per ostacoli formali.<br />

Differenza vi è, invece, tra la pregiudiziale ed ogni altro strumento<br />

(ordine del giorno « puro e semplice » o reiettivo) che sia tendente a respingere<br />

il progetto: questo, infatti, è proposta di non deliberare, quella<br />

di non discutere. Pure in identità di immediata conseguenza (cancellazione<br />

dall'ordine del giorno), restano, dunque, salvi altri e diversi effetti (81).<br />

Pregiudiziale non è data, ancora, per parti o nome singole del testo:<br />

anche al di là dell'art. 88 (che espressamente la vieta per gli emendamenti)<br />

e di consolidata consuetudine, ciò si collega alla natura di proposta<br />

di abolire tout court la discussione: che è proposta politica, e non può<br />

come tale riguardare ciò che non sia il complesso del progetto. Questa<br />

stessa natura dà ragione, infine, del fatto che, mentre per ogni altra questione<br />

incidentale la decisione avviene con votazione « semplice » per alzata<br />

e seduta, per la pregiudiziale (e sospensiva) non sia prevista tale<br />

restrizione: omissione - è ben chiaro - « garantista » indotta dalla politicità<br />

dei due istituti.<br />

Per la natura e l'ambito della sospensiva, dovrà notarsi che essa<br />

chiede rinvio di « discussione »: non può applicarsi, quindi, a votazioni<br />

(82).<br />

Non è diversa la fisionomia: rilevano i motivi politici attinenti alla<br />

proposta principale; la « presa » è sul complesso del progetto (così l'art.<br />

88 e la prassi costante), non su parti di esso; l'effetto è di trasferire l'argo-<br />

(79) Cfr. LONGI, Revisione della Costituzione e leggi costituzionali, in « Rassegna<br />

parlamentare», 1960; Id., Pregiudiziale e sospensiva, cit.<br />

(80) Cfr. COSENTINO, Pregiudiziale di costituzionalità, cit<br />

(81) Così l'ordine del giorno di non passaggio agli articoli è equiparato a reiezione,<br />

come si vedrà, agli effetti della preclusione < di diritto » ex art 68 del<br />

Capo IX Reg.<br />

(82) Diverso dall'art 89 Règ. Camera è in ciò l'art. 66 Reg. Senato, secondo<br />

cui la sospensiva può essere volta a rinviare discussione o delibera.


460 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

mento tra quelli il cui esame sia sospeso o rinviato per delibera formale;<br />

la revoca chiede delibera formale opposta e eguale a quella di rinvio,<br />

senza di che né l'effetto di questo può cessare, né può riprendersi discussione<br />

alcuna.<br />

E i due istituti - nel non frequente, ma possibile caso di concorso<br />

- non sono inoltre ritenuti privi di ordine logico « interno » di precedenza:<br />

giacché, respinta che sia la sospensiva, per consuetudine la pregiudiziale<br />

non può più oltre sollevarsi. La reiezione della sospensiva,<br />

infatti, non altro implica che la Camera voglia discutere il progetto; e<br />

come tale non può non assorbire l'incidente diretto ad impedirlo, senza<br />

di che verrebbe a scomparire ogni concreta distinzione tra le due questioni.<br />

Per la ragione eguale e contraria non è invece vera l'ipotesi reciproca:<br />

respinta la pregiudiziale, la quale mossa e preferita in tempo ha<br />

la precedenza sull'altra, non è vietato chiedere la sospensione, quale proposta<br />

meno grave (83).<br />

(83) L'antica prassi era in favore, tuttavia, del diverso principio della compatibilità<br />

tra i due istituti e della mancanza di ogni ordine prestabilito. Ciò - si ritiene -<br />

può riconnettersi alla differente funzione cui la questione sospensiva assolveva, in tutto<br />

analoga a quella del rinvio puro e semplice, come in seguito si vedrà.<br />

Nel caso di più domande analoghe, si riteneva doversi accordare preferenza<br />

alle più semplici, salvo riserva dell'Assemblea di decidere sulle contestazioni.<br />

Su ambedue questi punti, l'orientamento della Camera è mutato.<br />

Circa il concorso tra i due istituti, cfr. la tesi della denegata compatibilità in<br />

ASTRALDI e COSENTINO, op. cit., e i precedenti ivi riferiti.<br />

Per il caso di più domande analoghe, la tesi della unicità di discussione e votazione<br />

delle stesse, ancorché siano diversamente motivate, ha finito col prevalere, forse<br />

per evitare applicazioni ostruzionistiche.<br />

Per la sospensiva, i precedenti sono numerosi.<br />

Per la pregiudiziale, possono ricordarsi, tra gli altri, quello della seduta del<br />

. 7 dicembre 1952, in cui il Vicepresidente Leone, in presenza di quattro pregiudiziali<br />

presentate, osservò essere possibile comportarsi secondo una delle seguenti ipotesi:<br />

a) che la pregiudiziale sia una sola, e debbano parlar per essa soltanto 0 primo<br />

proponente, un oratore a favore e due contro ; b) che esistano più pregiudiziali, e<br />

ognuna di essa debba avere distinta trattazione; e) che si abbia, infine, una proposta<br />

unica nello scopo, diversa nei motivi, e sia quindi opportuno che ciascun proponente<br />

illustri i propri, e poi si faccia unica discussione (un oratore a favore e due contro) e<br />

votazione. L'ultima soluzione fu quella adottata, su accordo, dalla Camera, che votò<br />

un unico documento rìproducente motivazioni e firme di tutti i proponenti.<br />

Nella seduta del 13 marzo 19S3 una pregiudiziale Almirante ed una Moro Aldo<br />

furono oggetto di unico dibattito, mentre la votazione della seconda, più ampiamente<br />

motivata, fu considerata assorbente della prima.<br />

Nella seduta del 20, 21 e 22 ottobre 1966, per la discussione del piano di sviluppo,<br />

furono sollevate pregiudiziali dai deputati Bozzi, Almirante e Luzzatto. Il Presidente<br />

Bucciarelli Ducei osservò che le prime due (di incostituzionalità) tendevano<br />

allo stesso scopo (di non procedere alla discussione), e pertanto, secondo consuetudine,<br />

avrebbero potuto esser votate in un unico contesto: ciò anteriormente al voto<br />

sulla terza, intesa invece a passare subito alla discussione non già del disegno di legge,<br />

ma dell'allegato, considerandolo quale comunicazione del Governo. Su insistenza del<br />

deputato Bozzi, fu votata la prima e sua pregiudiziale, considerata assorbente della<br />

pregiudiziale Almirante: successivamente, la pregiudiziale Luzzatto.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 461<br />

La sospensiva « tecnica » non va poi confusa con il rinvio puro e<br />

semplice: muovendo dai princìpi fin qui esposti, sarà anzi facile derivare<br />

i criteri che tali due casi differenziano.<br />

Può essere, il semplice rinvio, molto più variamente motivato: per<br />

ragioni politiche o di merito, per supplemento di istruttoria (trasferimento<br />

a più opportuna sede di esame preliminare in Commissione), o per mera<br />

opportunità dei lavori; può riguardare la discussione intera come anche<br />

quella di un solo articolo od emendamento, non essendovi alcun impedimento<br />

normativo o logico a « stralciare » una parte del progetto, che<br />

in tal caso assume iter autonomo o distinto; e finalmente, mentre la<br />

sospensiva in senso tecnico ha per effetto di rinviare l'esame sine die<br />

(fino, cioè, alla eventuale delibera formale di reiscrizione all'ordine del<br />

giorno), il rinvio semplice può essere generico od anche a data prefissata<br />

(84).<br />

Del rinvio puro e semplice non vi è norma alcuna che tratti. Di<br />

solito, esso è rimesso al Presidente: se vi è « incidente », cioè se la proposta<br />

incontri opposizione, lo svolgimento è analogo a quello degli « incidenti<br />

formali» (ma è d'uso, nelle questioni di sostanza politica, far<br />

parlare i rappresentanti dei Gruppi), fino, se occorre, al voto. Un solo<br />

caso è previsto di rinvio « di diritto »: quello, già visto, del rinvio « all'indomani»<br />

di emendamenti o articoli aggiuntivi presentati nel giorno<br />

della discussione (art 86).<br />

Come si sa, la regolamentazione degli incidenti « sostanziali » è<br />

merito delle riforme Bonghi, che li disciplinarono ex professo. Non già<br />

che essi fossero ignorati dai primi regolamenti provvisori, ma le modifiche<br />

del 1887-1891 (originate da una proposta Lazzaro del 1882 di<br />

analogo tenore) ne trasformarono la trattazione: fecero sì che, a differenza<br />

del passato (in cui era commista a quella della proposta principale,<br />

con la sola riserva della separazione e priorità del voto) essa<br />

avvenisse a parte dalla discussione.<br />

L'autonomia teorica dei due istituti fu lungamente, infatti, contrastata:<br />

parendo che, per l'uso improprio (o abuso) fattone, fosse unica difesa<br />

la trattazione unitamente al merito dell'oggetto primario del dibattito.<br />

Di contro, il rimetterne la soluzione al termine della discussione generale,<br />

che poteva cosi vanificarsi, sembrava ad altri - e non a torto -<br />

sistema affetto da illogicità manifesta.<br />

(84) Così era nata, del resto, l'antica sospensiva: enucleandosi come istituto<br />

autonomo, perse dipoi il riferimento « a data certa », in distinzione dal rinvio puro e<br />

semplice in discorso.


462 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Molto discussa fu anche la questione della compatibilità della pregiudiziale<br />

con Farticolo 55 dello Statuto (« Le discussioni si faranno<br />

articolo per articolo »), oggi ripreso dall'art. 72, primo comma, Cost. :<br />

sembrando che, alla luce del precetto statutario, non fosse lecito respingere<br />

una legge senza aver svolto l'esame « particolare » : ammesso a<br />

soli fini di dialettica, ma per nulla concesso (come già si è visto) che<br />

alla pregiudiziale siano da attribuirsi contenuto o significato reiettivi<br />

(85).<br />

Tale questione era del resto estesa all'ordine del giorno « puro e<br />

semplice », diretto anch'esso ad ottenere lo scopo, salvo che in una<br />

fase successiva: la tesi di difesa vi opponeva che neppur qui la natura<br />

reiettiva fosse quella primaria della proposta, tendente invece a non<br />

compromettere in alcun modo l'argomento, non stabilendo su di esso<br />

un precedente né favorevole né contrario.<br />

Le tesi di incompatibilità statutaria, per quanto autorevolmente sostenute,<br />

non riuscirono mai a consolidarsi nella prassi parlamentare.<br />

Uguale significato (ma « più cortese ») di rigetto era annesso alla<br />

proposta sospensiva, di cui la concezione era per altro assai più larga<br />

dell'attuale. Essa veniva usata, infatti, per ragioni del tutto contingenti:<br />

per rinvio a tempo determinato assolutamente {in diem), o relativamente<br />

(postquam), o indeterminato (sine die)', in forma diretta (rimando semplice<br />

dell'argomento), o indiretta (approvazione di altra proposta, ad<br />

esempio, di iscrizione all'ordine del giorno); a favore del progetto (supplemento<br />

di studi, documenti, ecc.), o contro esso (differimento a tempo<br />

remoto, equiparato all'abbandono). Di tutto ciò nulla è rimasto nella<br />

moderna « tecnicità » dell'istituto : talché può dirsi che è questa, appunto,<br />

che lo distingue oggi dal rinvio puro e semplice.<br />

Si ricorda da ultimo l'esplicita esclusione della sospensiva e della<br />

pregiudiziale nella seconda deliberazione del procedimento di approvazione<br />

delle leggi costituzionali, di cui all'art. 107-ter del Capo XL-bis<br />

(Progetti di legge costituzionale) del Regolamento: mentre nessuna indicazione<br />

può invece trarsi dal testo regolamentare per l'ammissibilità<br />

(85) In MANCINI e GALEOTTI, op. cìt., è ricordato che nella tornata della Camera<br />

del 25 marzo 1871 fu sostenuto che, per ammettersi la pregiudiziale « si possa<br />

invocare o la cosa giudicata, o un articolo preciso dello Statuto, o una deliberazione<br />

anteriore della Camera», non mai comunque un'opportunità: segno bastante della diffidenza<br />

da cui era circondato l'istituto, non meno che della sua evidente confusione<br />

con la ratio della non scritta preclusione.<br />

Si raffronti questo precedente con quello del 20 maggio 1964, in cui il Presidente<br />

Bucciarelli Ducei rammentava il principio che la pregiudiziale di incostituzionalità<br />

ha valore politico, non è richiamo al Regolamento, e perciò va risolta direttamente<br />

con decisione dell'Assemblea.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 463<br />

dei due istituti in sede di conversione della decretazione d'urgenza, sul<br />

quale punto esso del tutto tace.<br />

Nasce anche qui, come già visto per gli emendamenti, una questione<br />

da risolvere con nulTaltro soccorso che quello dei principi generali<br />

del diritto: e, in verità, essa è ancora dibattuta.<br />

Secondo una prima e restrittiva tesi, dal terzo comma dell'art. 77<br />

Cost., sancente l'inefficacia dall'inizio dei decreti non convertiti entro<br />

il sessantesimo giorno dalla pubblicazione, nonché la facoltà delle Camere<br />

di dare regolamentazione legislativa ai rapporti giuridici nel frattempo<br />

sorti, deriverebbe per il Parlamento l'impossibilità di sottrarsi<br />

all'esame del problema. Mentre nell'abrogato ordinamento l'effetto della<br />

mancata conversione (ex nunc) consentiva difatti di distinguere la valutazione<br />

del merito da quella della legittimità, nel sistema attuale la<br />

delibera investirebbe, per sostanza, la facoltà della decretazione (cui si<br />

connettono in dottrina gli stessi limiti della delegazione: bilanci, materie<br />

costituzionali, ecc.); per forma. ì requisiti di necessità ed urgenza<br />

apprezzati di fatto dall'esecutivo, salvo il giudizio finale delle Camere.<br />

Essa verrebbe ad assumere in tal modo, una volta di più, natura di<br />

atto composito: di conversione della norma, e al tempo stesso di sanatoria<br />

della emanazione. La coincidenza di tali due valutazioni, cui ancora<br />

aggiungasi - in ipotesi di denegata conversione - la necessità dell'esame<br />

per regolare i rapporti già costituiti, renderebbe pertanto inammissibile<br />

ogni proposta (pregiudiziale o sospensiva) intesa alla reiezione<br />

senza esame. Deve al contrario il Parlamento obbligatoriamente pronunciarsi<br />

sugli interessi in causa, e ciò può fare con il convertire, modificare<br />

o respingere il decreto: in quest'ultima ipotesi, col provvedimento<br />

reiettivo (che in tal caso assumerebbe la forma di una legge), o<br />

con legge separata, può altresì regolare i rapporti giuridici formati (86).<br />

A questa tesi estrema seguirebbe l'altra secondo cui - ferma restando<br />

la premessa costituzionale - la Camera potrebbe agire proceduralmente,<br />

per concretare una pronuncia negativa, sia con l'accogliere una pregiudiziale,<br />

sia col votare un ordine del giorno di non passaggio all'esame<br />

degli articoli, sia col votare contro ogni articolo (se - raramente -<br />

siano più; se ve ne sia uno solo soccorre l'a emendamento divisivo »), sia<br />

col respingere la conversione in sede di votazione finale. Ognuno di questi<br />

mezzi, che tutti attengono al disegno di legge (non al decreto), par-<br />

(86) Si confronti l'anzidetto carattere composito con quanto già derivatone in<br />

sede di esame degli articoli e in merito all'emendabilità dell'atto: legge, in tal caso,<br />

di conversione del decreto (nell'accezione duplice ora a sua volta specificata), di reiezione<br />

per la parte emendata, di implicita regolazione dei rapporti su di questa sortì.


464 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

rebbe in grado, infatti, di esprimere compiutamente la volontà dell'Assemblea.<br />

Diverso, invece, il caso della sospensiva, il cui effetto è sul<br />

tempo, non sull'oggetto della discussione, e non consente pronuncia<br />

d'Assemblea: mezzo, pertanto, sempre inammissibile quando si tratti di<br />

conversione di un provvedimento che deve essere approvato (o respinto)<br />

entro il termine costituzionale, senza di che la decadenza ex tunc delle<br />

norme giuridiche in vigore, e la mancata pronuncia delle Camere, lascerebbero<br />

prive di ogni garanzia i rapporti in itinere costituiti (87).<br />

È a dire, infine, della preclusione, di cui pure il Regolamento non<br />

ha traccia: essa è istituto consuetudinario ed equivale alla pregiudiziale,<br />

ma solo e formalmente negli effetti: poiché, al contrario di questa, vuol<br />

essere tecnicamente motivata, dovendo riguardare la contraddittorietà<br />

della decisione cui la Camera stia per essere chiamata con altra presa<br />

sullo stesso oggetto (o su oggetto strettamente connesso).<br />

Il principio trae la sua origine dall'applicazione analogica della norma<br />

di cui al terzo comma dell'art. 84, vietante la riproposizione, sotto<br />

forma di emendamenti o articoli aggiuntivi, degli ordini del giorno già<br />

respinti in discussione generale, con la comminatoria (impropria) della<br />

« pregiudiziale » : la preclusione può eccepirsi, dunque, in ogni fase e<br />

momento del processo, ivi comprese battute « incidentali ».<br />

(87) Nelle sedute del 10 ed 11 dicembre 1958 il Presidente Leone, discutendosi<br />

la conversione di decreto-legge, a fronte di una pregiudiziale Luzzatto ritenne non<br />

invocabile l'art. 89 Reg., essendo in tale sede la decisione delle Camere un adempimento<br />

costituzionale che non può essere evitato (pregiudiziale) né genericamente sospeso<br />

(sospensiva). La valutazione della ricorribilità della eccezionalità e straordinarietà del<br />

caso - aggiunse - resta affidata alla competenza del Governo, che ne risponde al<br />

Parlamento: la proposta con cui si chiede una pronuncia negativa può esser quindi<br />

quella di un ordine del giorno « di non conversione », che deve però seguire la discussione<br />

generale. Pur dissentendo, il deputato Luzzatto non si appellò alla Camera perché<br />

il problema restasse impregiudicato.<br />

La questione fu di nuovo discussa, ma solo per la sospensiva, nella seduta<br />

del 28 novembre 1967; tale proposta era avanzata infatti, in sede di conversione di<br />

decreto-legge, dal deputato Roberti, motivata dal fatto che, impegnando per altre<br />

leggi ogni sopravvenienza attiva disponibile, il Parlamento si sarebbe poi trovato nell'impossibilità<br />

di risolvere, per mancanza di mezzi finanziari, gravi problemi aventi, ad<br />

avviso del proponente, carattere prioritario. Il Presidente Bucciarelli Ducei oppose il<br />

riferimento al precedente ora citato: in esso, pur non votando, l'Assemblea si era<br />

acquietata alla decisione del suo Presidente di ritenere che, nella detta sede, la Camera<br />

avesse l'obbligo di pronunciarsi in ogni caso entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione<br />

del decreto, anche per l'esigenza di disciplinare i rapporti sorgenti dallo<br />

stesso nell'ipotesi di denegata conversione. Il deputato Roberti dissentiva, osservando<br />

che l'esecutivo, col lanciare una serie di decreti-legge, giungerebbe in tal modo a sottrarre<br />

al Parlamento l'essenziale prerogativa di fissare l'oggetto della discussione; e<br />

concludeva con l'appello alla Camera, che confermava la decisione presidenziale di<br />

ritenere inammissibile la sua proposta.<br />

Per le stesse ragioni logiche dovrebbe ritenersi inammissibile il rinvio semplice<br />

a tempo indeterminato: non è però impossibile, ed è avvenuto, che si trascini la<br />

discussione fino a scavalcare il termine fissato per l'adempimento costituzionale.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 465<br />

In assenza di norme, la decisione spetta al Presidente: su insistenza<br />

di chi sollevi l'eccezione, quegli può, come sempre, chiamare a giudice<br />

la Camera (88).<br />

Ed anche qui, oltre quello ricordato (art. 84, terzo comma), vi è un<br />

solo altro caso di preclusione « di diritto » : quello di cui all'art 68 del<br />

Capo IX, secondo il quale un progetto respinto dalla Camera non può<br />

ripresentarsi prima di sei mesi. La norma, che ricalca una vecchia disposizione<br />

contenuta nel primo Regolamento provvisorio e limitante il divieto<br />

alla sessione, è interpretata nel senso che il progetto deve intendersi<br />

respinto con votazione finale a scrutinio segreto: a ciò equivale la<br />

deliberazione di non passaggio nell'esame degli articoli, o anche, per le<br />

proposte di legge, la denegata presa in considerazione (89).<br />

In merito a questa sorta di « temporanea improcedibilità » (ripetuta<br />

dall'art. 55 Reg. Senato) non tutte le questioni sembrano tuttavia risolte<br />

dalla prassi delle due Camere: così, ad esempio, oltre a quella<br />

della decisione circa l'identità dei testi nuovi con quelli che debbono<br />

intendersi respinti (che si ritiene competa al Presidente), resterebbe tutt'ora<br />

da chiarire se sia possibile assegnare a Commissione, per esame<br />

immediato o differito, il progetto irretito da tali condizioni, posto che<br />

- si sostiene - il termine « ripresentato » non va già riferito alla ripresentazione<br />

materiale, ma alla data in cui il testo ritorna in discussione.<br />

14. - Il fatto personale (art. 73), che può inserirsi nella discussione,<br />

è definito dalla norma come « l'essere intaccato nella propria condotta,<br />

o il sentirsi attribuire opinioni contrarie a quelle espresse ». Chi chiede<br />

di parlare per fatto personale deve indicare in che consista: questo può<br />

essere, però, in re ipsa, ed in tal caso non occorrerà precisazione. Il Pre-<br />

(88) Cfr. FERRARA, op. ciu, secondo cui la declaratoria di preclusione è t atto<br />

proprio > del Presidente, e di e controllo tecnico » sul contenuto delle deliberazioni di<br />

Assemblea.<br />

(89) Una significativa decisione al riguardo fu assunta nella seduta del 21 luglio<br />

1949, di fronte ad eccezione di preclusione ai sensi dell'art. 68 contro una intera proposta<br />

di legge (di cui la competente Commissione aveva chiesto il deferimento in sede<br />

legislativa), in quanto contrastante con l'avvenuta reiezione di un emendamento presentato<br />

nella discussione di altro e analogo progetto.<br />

Fu sollevata anzitutto la questione di principio (Gaetano Martino, Leone) che<br />

la pronuncia sulla preclusione non potesse non avvenire in Assemblea, interessando<br />

essa, anche per l'avvenire, l'intera Camera; contro di che fu sostenuto (Dominedò) il<br />

potere delle Commissioni legislative di decidere anche in materia regolamentare.<br />

Sulla questione di principio, la Camera non approvò il richiesto deferimento:<br />

e, quanto al merito, nella seduta successiva del 27 luglio respinse pure l'addotta preclusione,<br />

così assumendo che ad un progetto respinto dalla Camera - ai fini dell'art.<br />

68 Reg. - non equivale la reiezione di un emendamento deliberato in altra<br />

discussione.


466 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

sidente valuta se ne ricorrano gli estremi: se il deputato insista, deciderà<br />

la Camera con votazione semplice per alzata e seduta.<br />

A differenza degli incidenti « formali » e « sostanziali », né qui né<br />

altrove è stabilita precedenza sulla questione principale: e perciò al<br />

fatto personale non si annette efficacia interruttiva, ed anzi è prassi di<br />

dare per esso la parola, ma rimandandola a fine di seduta, e un tempo<br />

anche a fine discussione (90).<br />

Vi è poi un secondo comma dell'articolo, in base al quale gli ex<br />

ministri, ogniqualvolta siano discussi provvedimenti dei governi cui appartennero,<br />

hanno diritto di parlare. Ma anche qui non è stabilita precedenza,<br />

e la parola per tali chiarimenti viene concessa normalmente in<br />

fine di seduta, od anche, secondo l'espressa dizione della norma, « al<br />

termine della discussione ».<br />

Allo stesso carattere « personalistico » sono ispirate due norme successive:<br />

l'una prevede, quando nel corso di una discussione siano imputati<br />

fatti disonorevoli ad un membro della Camera, la facoltà di chiedere<br />

una Commissione ad hoc, per giudicare e riferire sul fondamento<br />

dell'accusa (art. 74); l'altra specifica che sono intesi per violazioni d'ordine<br />

ogni personalismo o « imputazione di mala intenzione » (art. 75).<br />

Tutte e tre le norme sembrano mal collocate, meglio potendo trovar<br />

posto, forse, nel Capo Vili sull'ordine delle sedute: né, tra di esse, vi<br />

è correlazione alcuna.<br />

Risale al primo dopoguerra quella dell'art. 74, la Commissione nominata<br />

equivalendo ad un « giurì d'onore », con obbligo ed eventualmente<br />

termine per riferire, ma ai soli finì di una « presa d'atto », senza che<br />

possa aprirsi discussione: su tali risultanze, infatti, la prassi non concede<br />

di parlare nemmeno ai Commissari dissenzienti per esporre le loro conclusioni.<br />

Il fatto personale è invece noto ai primi regolamenti provvisori,<br />

ove aveva l'odierna disciplina, meno la regola della votazione semplice<br />

per alzata e seduta, dovuta agli episodi ostruzionistici di fine secolo;<br />

e così pure per la norma « d'ordine » di cui all'art 75, la quale<br />

veramente non si comprende perché non sia inserita agli artt. 55 e 56<br />

del Capo VIII.<br />

Vago, del resto, il confine di tali norme con altre regole non scritte<br />

che, prima ancora di queste, sogliono classificarsi di « correttezza » o<br />

« galateo » parlamentare : così, ad esempio, quella di non rifarsi a col-<br />

(90) Giusta il secondo comma dell'art. 47 del Capo Vili, il fatto personale<br />

può tuttavia innestarsi in un intervento sul processo verbale, strumento di pubblicità<br />

delle deliberazioni della Camera la cui lettura passa solitamente inosservata.<br />

In tale sede, tuttavia, è ritenuto inammissibile l'intervento di chiamati in causa da<br />

colui che ha parlato a questo titolo.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 467<br />

loqui avuti a titolo privato; quella di non dar luogo a dialoghi o quesiti<br />

diretti coi colleghi (vietati dai vecchi regolamenti, insieme con le o espressioni<br />

di protesta »); quella di non partecipare a discussioni su argomenti<br />

di interesse personale, ed anche di astenersi dal voto; quella di non<br />

coinvolgere nella critica la persona del Capo dello Stato, l'altro ramo del<br />

Parlamento o precedenti delibere adottate, per il rispetto d'obbligo verso<br />

l'indipendenza altrui, non meno che verso quella della stessa Assemblea.<br />

Vieppiù sfumata nella consuetudine, eppur chiarissima nello spirito,<br />

è da ultimo l'altra regola di stile di non fare richiamo che ad atti<br />

e documenti ufficialmente entrati in possesso della Camera; dimodoché<br />

ne è escluso ogni atto extraparlamentare, salvo che non rientri nella politica<br />

nazionale del Governo; come pure ne è esclusa la lettura di scritti<br />

di giornali, e perfino di articoli o discorsi di colleghi: ma quest'ultimo<br />

canone subisce in fatto più d'una eccezione, non senza tuttavia frequenti,<br />

anzi quasi immancabili reazioni, basate sulla arbitrarietà di contestar<br />

concetti estrapolati da un contesto unitario e complessivo e citati, al<br />

contrario, per parti mutilate.<br />

LA DISCUSSIONE NELLE COMMISSIONI IN SEDE LEGISLATIVA.<br />

15. - Come si è già notato nella parte introduttiva, il procedimento<br />

legislativo decentrato e quello « misto » si differenziano dal procedimento<br />

ordinario in relazione ai poteri deliberativi attribuiti alla Commissione:<br />

estesi fino all'approvazione definitiva del provvedimento nel primo caso,<br />

limitati alla formulazione degli articoli nel secondo, sempre comunque<br />

diversi, per il loro contenuto decisorio, da quelli inerenti al semplice<br />

esame preliminare delle leggi (91).<br />

(91) Si ricordano qui, per la bibliografia di questa parte, solo le opere che<br />

trattano la materia in modo specifico e comunque particolareggiato, rinviando per le<br />

altre alle note incidentali relative ai singoli argomenti.<br />

V., tra gli altri, ASTRALDI e COSBNTINO, / nuovi regolamenti del Parlamento<br />

italiano, Roma 1950; RUINI, Commissioni parlamentari, in «Montecitorio», 1950;<br />

ID., La funzione legislativa, Milano 1953; PIBRANDREI, Le Commissioni legislative del<br />

Parlamento italiano, in « Foro padano », 1952 ; LONGI e STRAMACCI, Le Commissioni<br />

legislative nel Parlamento italiano, Roma 1953 ; Io., Le Commissioni parlamentari e<br />

la Costituzione, Milano 1953 ; Io., // Regolamento della Camera dei deputati, Milano<br />

1958 ; PASQUINI, Contributo per uno studio delle Commissioni deliberanti, in « Montecitorio<br />

», 1954; ASTRALDI, Le Commissioni legislative, in «Roma economica», 1956;<br />

D'EUFEMIA, Le Commissioni parlamentari nelle Costituzioni moderne, in « Rivista trimestrale<br />

di diritto pubblico », 1956 ; COSENTINO, // procedimento legislativo nel sistema<br />

parlamentare, in «Rassegna parlamentare», 1960; ID., // problema della produzione<br />

legislativa nel sistema parlamentare italiano, in « Montecitorio », 1965 ; ID., Delegificazione<br />

e leggi organiche, in «Nord e Sud», 1967; ELIA, Le Commissioni parlamentari<br />

italiane nel procedimento legislativo, in « Archivio giuridico », 1961 ; Ir».,<br />

Commissioni parlamentari, in e Enciclopedia del diritto», VII, 1958-1966; STRAMACCI,<br />

Commissioni parlamentari deliberanti, in «Montecitorio», 1961.


468 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissiom<br />

Non è qui il caso di un discorso globale sulle Commissioni. Esso<br />

viene condotto in altri capitoli dell'opera, ai quali si fa rinvio fin d'ora<br />

per tutto quanto attiene ai profili generali - storici, organici, funzionali -<br />

dell'istituto; compito del capitolo presente essendo quello, invece, di trattarne<br />

gli aspetti peculiari all'esercizio delle funzioni legislativa e redigente<br />

(92).<br />

Basterà rammentare che le Commissioni permanenti, come istituto<br />

con caratteristiche e fisionomia analoghe a quelle attuali, si affermavano<br />

nella storia del nostro Parlamento in occasione e in conseguenza della<br />

riforma del sistema elettorale della Camera, avvenuta nel 1919 durante<br />

il Gabinetto Nitti. Si è già visto come la sostituzione al precedente sistema<br />

del collegio uninominale di quello a scrutinio di lista con la proporzionale<br />

avesse conferito alla Camera una fisionomia politica ben precisa,<br />

e in certo senso rigida, che non poteva non riflettersi sullo svolgimento<br />

dei lavori. Con l'entrata in funzione dei Gruppi parlamentari,<br />

espressione della divisione in partiti dell'elettorato, si rivelava sorpassato<br />

il sistema degli Uffici, risultando matura l'introduzione delle Commissioni,<br />

cioè di organi permanenti, dalla competenza predeterminata<br />

per materia, composti in modo da rispecchiare, proporzionalmente, il<br />

rapporto tra le forze politiche esistenti.<br />

L'istituto della Commissione, nel suo aspetto di strumento normale<br />

e non già eccezionale di organizzazione dei lavori della Camera, si afferma<br />

dunque, fin dalle sue origini, con caratteristiche tali da renderlo<br />

elettivamente idoneo all'esercizio delle due funzioni di cui qui si<br />

tratta.<br />

Il carattere permanente dell'organo, la competenza per materia, la<br />

specifica preparazione dei suoi componenti, scelti tenendo conto delle attitudini<br />

personali (pur se non vadano taciuti, come meglio in seguito si<br />

avvertirà, i pericoli insiti in un eccesso di specializzazione), garantiscono<br />

un notevole grado di qualificazione tecnica, mentre la composizione pro-<br />

(92) Si noti, infatti, che le Commissioni sono identiche, nella loro struttura,<br />

quale che sia la funzione svolta. Come è stato osservato (cfr. LONGI e STRAMACCI,<br />

Le Commissiom legislative, cit.), la lettera dell'art 72 Cost non nnpone che tutte le<br />

funzioni previste dalla stessa norma costituzionale, e dalle norme regolamentari, vengano<br />

affidate alle stesse Commissioni. La norma costituzionale non richiede neppure<br />

il carattere permanente dell'organo, limitandosi a fissare, e solo per la sede legislativa,<br />

il principio della composizione proporzionale alla consistenza numerica dei Gruppi<br />

parlamentari. Ma in entrambi i rami del Parlamento è opportunamente prevalso il<br />

criterio di affidare alle stesse Commissioni permanenti, prima investite soltanto dell'esame<br />

preliminare delle leggi, anche le funzioni legislativa, redigente e di documentazione<br />

politica, sia pure in sedi diverse, salva sempre la possibilità delle Assemblee<br />

di nominare Commissioni speciali ai sensi dell'ultimo comma dell'art 31 Reg. Camera<br />

e dell'art. 22 Reg. Senato.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 469<br />

porzionalistica consente, in relazione ai singoli progetti, una chiara determinazione<br />

dei vari atteggiamenti. Fin dal suo sorgere, cioè, sono presenti<br />

nella fisionomia dell'istituto i presupposti necessari e sufficienti per<br />

il completo esercizio della funzione legislativa; ciò è tanto vero che, negli<br />

anni immediatamente successivi, si delineano già delle proposte, per altro<br />

non attuate, volte ad utilizzarlo non solo per l'esame preliminare<br />

delle leggi, ma anche per decongestionare, in qualche modo, i lavori dell'Assemblea,<br />

attraverso la formazione di « Comitati di redazione ».<br />

E tuttavia, il riconoscimento alle Commissioni di potestà legislative,<br />

pure legato alle caratteristiche dell'organo, tarda non poco: fino a costituire,<br />

invero, uno tra i molti aspetti innovatori della emanata Costituzione<br />

repubblicana, e al tempo stesso un unicum nell'esperienza<br />

storica dei Parlamenti dei paesi democratici (93).<br />

In realtà, la funzione trova un precedente nella legge 19 gennaio<br />

1939, n. 129, istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni: legge<br />

che prevedeva anzi - e già si disse - attribuzione amplissima di poteri<br />

legislativi, tanto alle Commissioni della nuova Camera quanto a quelle<br />

del Senato del regno. Nello Stato fascista, cioè, in cui in un primo tempo<br />

si era ritenuto di rinunciare al sistema delle Commissioni, legato alla<br />

molteplicità dei partiti, per ritornare a quello precedente degli Uffici,<br />

si registravano in tal modo, successivamente, la rivalutazione e lo sviluppo<br />

dell'istituto stesso, sia pure nel diverso contesto politico-costituzionale<br />

della nuova Camera come sopra istituita: Camera - com'è noto -<br />

di nomina continuativa, formata dai membri del Consiglio nazionale del<br />

partito fascista, del Consiglio nazionale delle corporazioni, del Gran Consiglio<br />

del fascismo.<br />

Nel quadro di quello Stato, d'altro canto, l'innovazione del decentramento<br />

sembrava avere significato esclusivamente tecnico, non incidendo<br />

sull'equilibrio costituzionale. Anche a prescindere, infatti, dagli<br />

ampi poteri attribuiti al Capo del Governo, cui era rimesso di trasferire<br />

un progetto di legge dalla competenza dell'Assemblea a quella delle<br />

(93) Per notìzie di diritto comparato v., tra gli altri, LONOI e STRAMACCI, Le<br />

Commissioni legislative, cit. ; CAMPION SL LIDDERDALB, European Parllamentary Procedure,<br />

Londra 1955 ; PAUWELS, Les Commìssions parlementaires, in « Informations<br />

constitutionnelles et parlementaires», 19SS; D'EUFEMIA, op. cit.; ELIA, Commissioni, cit.<br />

Circa le proposte di introdurre anche in Francia il sistema delle Commissioni<br />

legislative v. GICHUBL et SFBZ, Problimes de la reforme de l'Etat en France depuis<br />

1934, Parigi 1962.<br />

Per un accenno alle compiesse funzioni delle Commissioni dell'Assemblea Costituente<br />

v. LONOI e STRAMACCI, Le Commissioni legislative, cit.


470 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Commissioni e viceversa, le Commissioni erano a ritenersi infatti, secondo<br />

logica del sistema, non già organi di un potere di controllo sul Governo,<br />

bensì organi di collaborazione dell'esecutivo (94).<br />

Nel sistema della Costituzione repubblicana il ripetuto decentramento<br />

legislativo assume quindi senso assai diverso: seppure di innovazione<br />

tecnica si tratti, essa è tuttavia destinata a rafforzare la supremazia<br />

delle Camere nell'area costituzionale, offrendo ad esse gli strumenti<br />

adatti per un'azione puntuale ed incisiva.<br />

È fuor di dubbio che la sola Assemblea non appare da tempo in<br />

condizione di fronteggiare la enorme mole di lavoro richiesta dal moltiplicarsi<br />

delle forme d'intervento del pubblico potere. Già in epoca<br />

prefascista, non solo durante e dopo la prima guerra mondiale, ma fin<br />

dai primi anni del secolo ventesimo, il Parlamento italiano non è più<br />

in grado di disimpegnare in modo adeguato i propri compiti legislativi:<br />

la conseguenza inevitabile è un ampliamento dell'esercizio di poteri normativi<br />

da parte dell'esecutivo, con lo strumento soprattutto del decretolegge,<br />

come si è appunto verificato, con sempre maggior frequenza, nell'esperienza<br />

costituzionale di periodi pure politicamente lontanissimi<br />

come quelli qui sopra ricordati.<br />

Sono sempre più numerosi i costituzionalisti di tutti i paesi i quali<br />

riconoscono che, in una moderna democrazia, l'Assemblea plenaria deve<br />

tornare soprattutto alla funzione del controllo politico e finanziario sull'esecutivo.<br />

E nondimeno il tema della funzionalità del Parlamento, oggetto<br />

di ampi dibattiti all'Assemblea Costituente, non produsse l'idea del<br />

deferimento di poteri legislativi alle Commissioni permanenti se non per<br />

lente e faticose approssimazioni successive: in un primo tempo intendendosi,<br />

con esso, statuire un limite alla decretazione del Governo piuttosto<br />

che un effettivo decentramento della competenza di Assemblea.<br />

Influirono su tali posizioni cause diverse: certamente, in alcuni, la convinzione<br />

che il vero decentramento si sarebbe attuato in sede regionale;<br />

probabilmente, in altri, la preoccupazione di richiamarsi a forme che<br />

(94) Cfr. LONGI e STRAMACCI, Le Commissioni legislative, cit.; ID., // Regolamento,<br />

cit. ; ESPOSITO, Controllo sul procedimento di conversione dei decreti-legge,<br />

in « Giurisprudenza costituzionale », 1957.<br />

Si rammenti che il Presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni era<br />

nominato con decreto reale, che i membri delle Commissioni erano nominati dal<br />

Presidente della Camera e che le cariche nell'ambito delle Commissioni erano pure<br />

di nomina presidenziale.<br />

Il principio era dichiarato dall'art. 2 della legge menzionata: « Il Senato del<br />

Regno e la Camera dei Fasci e delle Corporazioni collaborano col Governo per la<br />

formazione delle leggi >.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 471<br />

erano state utilizzate, se anche in un diverso quadro, come si è visto,<br />

dal regime passato (95).<br />

Le divergenze emerse nella seconda sottocommissione della « Commissione<br />

dei 75 », per il progetto di Costituzione, trovarono infine modo<br />

di comporsi, nel senso di ammettere che ciascuna Camera potesse deferire<br />

a Commissione Finterò esame di un progetto, riservandosi però la<br />

votazione finale senza discussione, salve le dichiarazioni di voto. In questi<br />

termini era appunto formulato il secondo comma dell'art. 69 del progetto<br />

di Costituzione, sottoposto all'esame d'Assemblea (96). In sede assembleare<br />

fu poi possibile compiere il passo decisivo verso il pieno riconoscimento<br />

alle Commissioni della funzione legislativa, ivi compresa<br />

la votazione finale del progetto, superando la tesi di quanti ritenevano<br />

significasse ciò spogliare le Assemblee di altrettante prerogative inalienabili.<br />

Si trattava per queste - fu osservato - non già di delegare la<br />

funzione legislativa ad organi esterni, bensì di esercitarla per mezzo di<br />

organi propri: in altri termini, non di abdicazione ad una funzione sovrana,<br />

ma di semplice organizzazione del modo di esercitarla.<br />

Rimaneva l'alternativa se rimettere completamente ai regolamenti<br />

assembleari la disciplina della materia, secondo la proposta Perassi, o<br />

se invece determinarne direttamente nella Costituzione garanzie e limiti,<br />

secondo quella Mortati (97). Prevalse l'ultima, con modifiche al<br />

sistema delle garanzie, che nella definitiva formulazione del testo (attuale<br />

art. 72 Cost.) rimasero fissate nella tripartizione su cui dovrà tra<br />

poco ritornarsi: 1) possibilità di reintegrazione del plenum (rimessione<br />

all'Assemblea); 2) enucleazione di materie « protette » (« riserva costituzionale<br />

di Assemblea»); 3) pubblicità dei lavori delle Commissioni.<br />

16. - Il problema dogmatico posto dalla Commissione in sede legislativa<br />

è il problema del rapporto che intercorre tra Camera e Com-<br />

(95) Sui lavori dell'Assemblea Costituente v. FALZONE, PALERMO e COSENTINO,<br />

La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Roma<br />

1948; LONGI e STRAMACCI, Le Commissioni legislative, cit.<br />

(96) Il primo passo verso il decentramento era stato fatto con la proposta<br />

Mortati di una delega dell'Assemblea alle Commissioni limitatamente all'esame degli<br />

articoli, esclusa, pertanto, non solo l'approvazione finale, ma anche la discussione<br />

generale del progetto, che rimaneva affidata al plenum. Successivamente, su proposta<br />

dei deputati Nobile e Tosato, si giunse alla definitiva formulazione dell'art. 69, che<br />

riduceva la prima lettura da parte dell'Assemblea alla semplice decisione sul deferimento<br />

del disegno di legge.<br />

(97) Il deputato Mortati propose le seguenti garanzie: a) espressa delega dell'Assemblea<br />

per il deferimento in Commissione; b) pubblicità dei lavori delle Commissioni;<br />


472 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

missione stessa. La questione, affrontata generalmente dalla dottrina soprattutto<br />

sotto il profilo della titolarità del potere legislativo e dei presupposti<br />

che ne legittimano l'esercizio da parte delle Commissioni, è in<br />

realtà duplice: essa investe due aspetti - quello dell'autonomia organica<br />

e quello più propriamente funzionale - che tra loro rimangono distinti,<br />

anche se, almeno in parte, strettamente connessi (98).<br />

Diverso e preliminare rispetto al problema della fonte che legittima<br />

la competenza legislativa delle Commissioni è infatti quello relativo alla<br />

posizione della Commissione rispetto all'organo Camera. Qualora si dovesse<br />

accedere all'opinione che annulla nell'organo Camera l'entità Commissione,<br />

fino a privare quest'ultima di qualsiasi autonomia strutturale<br />

e funzionale, anche l'altro problema della legittimazione delle Commissioni<br />

verrebbe automaticamente a cadere; l'approvazione della legge in<br />

Commissione davvero sarebbe null'altro che uno dei modi nei quali si<br />

ammette che la Camera possa indifferentemente deliberare, e la deliberazione<br />

sarebbe sempre a imputare all'Assemblea, non già ad un organo<br />

distinto (99). In altri termini, non si porrebbe un problema in ordine<br />

alla competenza legislativa delle Commissioni, poiché questa competenza<br />

si identificherebbe senz'altro con quella dell'Assemblea.<br />

Senonché, neppure gli autori che sostengono questa tesi mostrano<br />

in definitiva di condividerne appieno le premesse. Il Balladore Pallieri,<br />

ad esempio, conclude ammettendo quanto meno la possibilità di qualificare<br />

la Commissione « organo secondario » rispetto alla Camera « organo<br />

primario » (100). Ma è chiaro che, non appena si qualifichi anche<br />

solo come « organo interno », « organo secondario », « organo di decentramento<br />

interno » la Commissione, implicitamente si riconosce ad essa<br />

una certa autonomia, che è in contrasto con la premessa secondo la<br />

quale vi sarebbe quasi, tra Commissione e plenum, tra Commissione e<br />

Camera, una specie di identificazione, di immedesimazione: si riconosce,<br />

dunque, l'esistenza di un problema organizzativo dell'organo Camera, che<br />

sembrava, in premessa, quasi possibile annullare.<br />

Come è stato osservato, queste formulazioni risentono di una confusione<br />

che tuttora permane tra la nozione di Camera e quella di Assemblea<br />

(101). Questa identificazione, presente sia nella terminologia costituzionale<br />

sia in quella adottata nei regolamenti parlamentari, si giustificava<br />

allorché l'Assemblea riassumeva in sé tutti i poteri, e soprattutto<br />

(98) Distinguono totalmente i due profili LONGI e STRÀMACCI, Le Commissioni<br />

legislative, cit.<br />

(99) Cfr. BALLADORE PALLIERI, op. cit.; PIBRANDREI, op. cit.<br />

(100) Cfr. BALLADORE PALLIERI, op. cit.<br />

(101) Cfr. ELIA, Commissioni, cit.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 473<br />

era il solo organo deliberante. Oggi che anche il « monopolio legislativo »<br />

dell'Assemblea è caduto, non sembra più possibile continuare a risolvere<br />

la Camera nell'Assemblea, ignorando l'esistenza, accanto all'Assemblea<br />

stessa, di organi da essa distinti e con essa concorrenti alla formazione<br />

dell'organo complesso Camera.<br />

Si è del resto già visto come gli stessi autori che partono dalla premessa<br />

della immedesimazione finiscano poi per riconoscere alle Commissioni,<br />

anche se senza trarne le conseguenze ultime sul piano della<br />

legittimazione, il carattere di « organo interno » : di organo, cioè, dotato<br />

di una sua propria autonomia, sia pure rilevante soltanto sul piano interno<br />

della Camera.<br />

La tesi dell'autonomia della Commissione, come organo a sé, è sostenuta<br />

decisamente dal Mortati, sulla base della diversa composizione<br />

e del diverso funzionamento rispetto all'Assemblea (102).<br />

La dottrina più recente non solo è dell'avviso che nell'ambito della<br />

Camera esistano più organi distinti per dignità e competenza, ma ritiene<br />

altresì che l'autonomia delle Commissioni in sede legislativa sia rilevante<br />

non solo per l'ordinamento interno della Camera, bensì anche sul<br />

piano dell'ordinamento generale: la competenza della Commissione e<br />

quella di Assemblea, e di riflesso questi stessi organi, verrebbero ad assumere,<br />

in tal modo, rilevanza esterna (103).<br />

Il fondamento di questa dottrina è rinvenuto nell'ultimo comma dell'art.<br />

72 Cost. che, come è noto, stabilisce, per alcune materie, una « riserva<br />

di Assemblea ». Di fronte a questa precisa norma della Costituzione<br />

dovrebbe escludersi, pertanto, l'esistenza di una generica competenza<br />

concorrente dell'Assemblea e delle Commissioni, e quindi anche<br />

il carattere puramente interno della distinzione tra procedimento normale<br />

e procedimento decentrato. In altri termini, sarebbe la stessa Costituzione<br />

ad imporre di distinguere tra competenza di Assemblea e competenza<br />

delle Commissioni, tra legge di Assemblea e legge di Commissione<br />

(104). Assemblea e Commissioni, infatti, non sembrano - sotto<br />

questo aspetto - organi da poter porre su uno stesso piano: la deliberazione<br />

dell'Assemblea si qualifica in relazione alla garanzia offerta dalla<br />

presenza integrale dei rappresentanti popolari, dalla piena e immediata<br />

pubblicità delle sedute e dalla maggiore ritualità dei lavori; è appunto<br />

in vista di queste garanzie che si dà l'istituto della rimessione.<br />

(102) Cfr. MORTATI, Istituzioni, cit.<br />

(103) Cfr. ELIA, Commissioni, cit. ; ID., Le Commissioni parlamentari, cit.<br />

(104) Secondo il MORTATI (Costituzione, cit.), la riserva di Assemblea conferisce,<br />

alle leggi che ne sono coperte, una posizione particolare e un carattere che<br />

potrebbe definirsi para-costituzionale.


474 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

In favore della rilevanza esterna dell'organo Commissione sembrerebbe<br />

in realtà potersi richiamare anche il terzo comma dell'art. 72<br />

Cost., per la parte che disciplina la composizione delle Commissioni in<br />

sede legislativa e stabilisce il principio della pubblicità dei lavori (105);<br />

ma soprattutto la rilevanza esterna dell'organo dovrebbe essere riguardata<br />

come naturale ed ovvia conseguenza della natura della funzione<br />

esercitata in piena autonomia e in modo da operare direttamente<br />

sul piano dell'ordinamento generale; infine, allargando il discorso alla<br />

sede referente, potrebbe altresì richiamarsi il primo comma dello stesso<br />

art. 72, che pone all'autonomia regolamentare delle Camere l'ulteriore<br />

limite dell'inderogabile necessità dell'esame preliminare in Commissione.<br />

La portata pratica, se non la stessa ammissibilità teorica, dell'opinione<br />

che ravvisa nell'attività delle Commissioni, con particolare riguardo<br />

alla sede legislativa, molteplici momenti e aspetti esternamente rilevanti<br />

si ricollega, però, alla soluzione che si dia della questione relativa all'ambito<br />

di ammissibilità di un sindacato giurisdizionale di legittimità formale<br />

della legge, cioè della conformità del procedimento alle norme<br />

dettate dalla Costituzione.<br />

Sono note le riserve e le resistenze che l'ammissibilità di un sindacato<br />

di tale natura da parte della Corte costituzionale ha suscitato in<br />

sede dottrinale e politica. Si è infatti ritenuto che tale sindacato si risolva<br />

in una lesione dell'autonomia organizzativa delle Camere, almeno qualora<br />

oltrepassi certi termini (106). Si è opposto d'altra parte che in realtà<br />

l'autonomia organizzativa delle Camere non è un'autonomia senza li-<br />

(105) E anche per la parte che autorizza i regolamenti parlamentari ad operare<br />

un decentramento legislativo nelle Commissioni. È per lo meno dubbia, infatti,<br />

l'opinione espressa da una parte della dottrina (VIRGA, La regione, Milano 1949;<br />

PALADW, La potestà legislativa regionale, Padova 1958), secondo cui questa redistribuzione<br />

interna di funzioni rientrerebbe nel normale potere di autorganizzazione di un<br />

corpo legislativo. Cfr. contro ELIA, Commissioni, cit., che esclude la legittimità costituzionale<br />

del procedimento decentrato nella legislazione regionale, poiché né gli statuti<br />

né altre fonti prevedono, per questa, forme procedurali di tale natura. Cfr. anche<br />

SALEMI, Le Commissioni legislative in sede deliberante nella regione siciliana, in « Diritto<br />

pubblico della Regione Siciliana», 1957; LA BARBERA, Lineamenti di diritto pubblico<br />

della regione siciliana, Milano 1958.<br />

Secondo LONGI e STRAMACCI (Le Commissioni legislative, cit.), l'art. 72 Cost<br />

contiene in realtà una delega ai regolamenti per l'attuazione dell'istituto delle Commissioni<br />

legislative, delega che conferisce alle relative norme regolamentari carattere<br />

di vere e proprie nonne giuridiche. Anche questa tesi, dunque, sembra fornire un<br />

riconoscimento alla rilevanza esterna dell'organo che viene da quelle norme<br />

regolato.<br />

(106) Quali, ad esempio, l'accertamento della mancata approvazione da parte<br />

di una delle Camere o della promulgazione di un testo diverso da quello approvato,<br />

ecc. Si tratta di casi estremi, i quali costituiscono piuttosto cause di inesistenza del-


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 475<br />

miti, e che il controllo della Corte costituzionale non costituisce di per<br />

se stesso un limite, bensì piuttosto il mezzo attraverso cui l'ordinamento<br />

garantisce il rispetto di quanto stabilito direttamente dalla Costituzione.<br />

Sostanzialmente in questo senso si espresse la Corte costituzionale<br />

con la sentenza n. 9 del 9 marzo 1959 (in Giurisprudenza costituzionale,<br />

1959), che ammette il sindacato di legittimità formale limitatamente al<br />

rispetto delle norme della Costituzione disciplinanti direttamente il procedimento<br />

legislativo. Rimane il grave problema se questo sindacato<br />

possa esercitarsi anche al di là delle risultanze del « messaggio » presidenziale.<br />

Anche ad esso la citata sentenza sembra dare risposta positiva,<br />

ma è indubbio che in senso contrario è tutta la tradizione formatasi intorno<br />

al principio della insindacabilità delle attività interne delle Camere<br />

(e. d. insindacabilità degli interna corporis) (107).<br />

l'atto legislativo che non motivi di illegittimità dello stesso. Un siffatto controllo giurisdizionale<br />

è sempre stato ritenuto possibile, indipendentemente dalla esistenza della<br />

Corte costituzionale. « Tenendosi fermo il principio dell'autonomia delle Camere legislative<br />

- scrive SANTONI RUGIU, // nuovo diritto costituzionale italiano, Roma 1948<br />

- può dirsi che il giudice deve accertare che una legge sia stata dichiarata approvata<br />

dai Presidenti delle due Camere, promulgata dal Capo dello Stato e regolarmente<br />

pubblicata. Inoltre, per quanto riguarda le leggi primarie, che siano state rispettate<br />

le disposizioni concernenti la doppia lettura e il referendum ».<br />

(107) Con la sentenza n. 3 del 1957 la Corte costituzionale aveva affermato<br />

in generale il suo potere di controllare il « processo di formazione » delle leggi ; con<br />

la sentenza n. 57 dello stesso anno 1957, in sede di esame della validità formale di<br />

una legge della regione Trentino-Alto Adige, aveva spinto la sua indagine fino ad<br />

esaminare i verbali delle sedute, per accertare non solo la corrispondenza della formula<br />

di promulgazione con la proclamazione dei risultati delle votazioni, ma anche<br />

l'esattezza, in fatto e in diritto, della proclamazione stessa.<br />

Tuttavia, fino alla sentenza n. 9 del 1959, l'inammissibilità di un controllo<br />

sugli interna corporis delle Camere era sostenuta unanimemente in dottrina: quella<br />

sentenza affermò la competenza della Corte al sindacato sull'attività del Parlamento,<br />

per ciò che attiene al procedimento legislativo, per garantire il rispetto delle norme<br />

costituzionali. « La posizione costituzionale di indipendenza delle Camere - cosi si<br />

esprime la sentenza - non implica l'assoluta insindacabilità, da parte di qualsiasi<br />

altro organo dello Stato, del procedimento con cui gli atti delle Camere vengono<br />

deliberati, ed in particolare l'insindacabilità da parte della Corte costituzionale del<br />

procedimento di formazione di una legge ». Si ritenne in tal modo che il giudizio<br />

se un progetto di legge rientrasse o meno tra quelli di cui all'ultimo comma dell'art. 72<br />

Cost. (< riserva di Assemblea ») fosse legato a una questione di interpretazione costituzionale<br />

che era di competenza della Corte risolvere agli effetti del controllo di<br />

legittimità del procedimento; mentre sull'interpretazione della disposizione integrativa<br />

di cui all'art. 40 Reg. (« progetti in materia tributaria ») rimaneva sovrano l'apprezzamento<br />

della Camera.<br />

Il problema degli interna corporis fu coinvolto per il fatto che era stato sostenuto<br />

essere il testo del « messaggio » presidenziale diverso da quello in realtà approvato<br />

in Commissione: e si riconnetteva alla questione della controprova, riconoscendosi<br />

avere gli Atti parlamentari, com'è noto, valore non legale, bensì meramente<br />

informativo, ma confrontandosi tale considerazione probatoria formale con il richiamo<br />

al generale principio di pubblicità sancito dall'art. 64 Cost. Subito la dottrina fece<br />

seguito per auspicare (Cfr. BAR<strong>IL</strong>E, // crollo di un antico feticcio (gli interna cor-


476 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Non è questa la sede per condurre oltre il discorso; certo è, e tanto<br />

potrà qui bastare, che, a parte la questione della rilevanza esterna<br />

o interna dell'organo, la dottrina più diffusa concorda quanto meno<br />

nel riconoscere una differenziazione ed autonomia organica delle Commissioni<br />

- almeno in sede legislativa - rispetto all'Assemblea.<br />

17. - Una volta acquisito questo risultato minimo, una volta cioè<br />

contestata e superata la tendenza (108) ad annullare ogni distinzione tra<br />

Commissione e Assemblea nell'entità indifferenziata Camera, si pone<br />

l'ulteriore e distinto problema del rapporto che intercorre tra la competenza<br />

dei due organi attraverso i quali la Camera esercita la sua funzione:<br />

il problema, cioè, della legittimazione della Commissione all'esercizio<br />

di attività legislativa.<br />

polis) in una storica {ma insodisfacente) sentenza, in « Giurisprudenza costituzionale »,<br />

1959) che il legislatore costituzionale colmasse la lacuna sancendo come e con quale<br />

efficacia i lavori delle Camere debbano essere ufficialmente documentati. Fu anche<br />

rilevato che la Costituzione francese del 1958 ha stabilito che i regolamenti delle<br />

Camere debbano essere presentati al Consiglio costituzionale, prima della entrata in<br />

vigore o delle modifiche, per la verìfica della loro costituzionalità (cfr. BEAUTÉ, La<br />

suprematie de la Constitution et l'autonomie du pouvoir règlementaire des Assemblées,<br />

in «Politique: revue intemational des doctrines et des instituctions », Parigi<br />

1963).<br />

Altro punto toccato dalla Corte fu quello del coordinamento, dandosi atto<br />

della prassi di affidare da parte della Commissione tale compito al Presidente, senza<br />

risottoporre il testo a votazione, purché restino escluse « modificazioni di sostanza » :<br />

prassi qualificata e costituzionalmente molto dubbia » da certa parte della dottrina<br />

(cfr. BISCARETTI DI RUFFIA, Diritto costituzionale, Napoli 1965) nel presupposto, ovviamente,<br />

che tale compito sia svolto nei limiti del mandato.<br />

La sentenza fu giustificata: 1) dalla ricchezza dei precetti costituzionali concernenti<br />

l'attività interna delle Camere (e razionalizzazione del potere ») ; 2) dalla<br />

creazione della Corte stessa come primario organo di garanzia della Costituzione.<br />

Essa fu ritenuta un solenne avvertimento dato dalla Corte alla Camera: quello di<br />

rispettare scrupolosamente le norme costituzionali per evitare un più frequente controllo<br />

sugli atti procedimentali da esse stesse compiuti.<br />

Cfr. anche sul delicato argomento ESPOSITO, La validità delle leggi, Padova<br />

1934 ; ID., Controllo sul procedimento di conversione, cit. ; Io., La Costituzione italiana,<br />

Saggi, Padova 1934 ; In., La Corte costituzionale in Parlamento, in « Giurisprudenza<br />

costituzionale», 1959; MORTATI, Norme regolamentari e validità delle leggi, in<br />

« Giurisprudenza costituzionale », 1958 ; GUELI, Nota a Corte costituzionale 9 marzo<br />

1959, n. 9, in «Rassegna Parlamentare», 1959; MOHRHOFF, La competenza della<br />

Corte costituzionale a controllare il processo di formazione della legge, in « Rassegna<br />

Parlamentare», 1959; PIERANDREI, *. Attività interne* delle Camere del Parlamento e<br />

sindacato della Corte costituzionale, in e Giurisprudenza italiana», 1959; AMATO, Questioni<br />

controverse intorno al controllo di costituzionalità sul procedimento di formazione<br />

della legge, in «Giurisprudenza costituzionale», 1961.<br />

(108) Si parla volutamente di « tendenza » giacché la tesi della immedesimazione<br />

tra Assemblea e Commissione non costituisce tanto l'oggetto di una esplicita<br />

presa di posizione sulla natura della Commissione, quanto la premessa implicita e<br />

sottintesa del modo di risolvere i rapporti tra competenza legislativa della Camera<br />

(intesa essenzialmente come Assemblea plenaria) e competenza legislativa delle Commissioni.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 411<br />

Il criterio e le modalità di attribuzione alle Commissioni della concreta<br />

possibilità di esercitare la potestà legislativa vanno senza dubbio<br />

rinvenuti nei regolamenti parlamentari. Si è già visto che è il Presidente<br />

della Camera, salvo opposizione dell'Assemblea, competente a decidere<br />

quando l'attribuzione avvenga. Per il Mortati, dal sistema adottato dal<br />

Regolamento discende la natura surrogatoria, eventuale della competenza<br />

delle Commissioni, che diviene concreta previa investitura da parte dell'organo<br />

competente in via normale, ovverosia dell'Assemblea (109). In<br />

altri termini, tra Assemblea e Commissione intercorrerebbe un rapporto<br />

riconducibile allo schema generale della delegazione: la Commissione<br />

eserciterebbe la potestà legislativa, spettante in via normale e primaria<br />

all'Assemblea, su delega di quest'ultima, delega - si badi bene - concessa<br />

caso per caso, e non già una volta per tutte mediante una astratta previsione<br />

regolamentare.<br />

A questa ricostruzione si sono opposte critiche di vario genere. Sono<br />

già state implicitamente confutate, nel trattare il problema della natura<br />

dell'organo, le critiche connesse alla tesi secondo la quale non è dato<br />

operare una distinzione, nell'ambito dell'entità indifferenziata Camera,<br />

tra Commissione ed Assemblea plenaria e quindi configurare tra esse<br />

l'esistenza di un qualsiasi rapporto giuridicamente rilevante.<br />

Altri ha opposto la natura interna dell'organo (110). Si è nondimeno<br />

replicato che tal profilo non è determinante: esso non influisce,<br />

infatti, sulla ammissibilità di un rapporto di delegazione tra i due organi,<br />

che in tal caso si qualifica come un rapporto interorganico, eventualmente<br />

rilevante solo sul piano dell'ordinamento interno della Camera,<br />

ma non per questo cessa di essere riconducibile allo schema della<br />

delegazione: questo schema ricorre indubbiamente ogni volta che presupposto<br />

della legittimazione sia la volontà del soggetto competente<br />

ad agire in via normale.<br />

Una critica di fondo muovono coloro i quali ritengono che il fondamento<br />

della legittimazione delle Commissioni legislative debba essere<br />

rinvenuto nella stessa Costituzione, che avrebbe già ripartito in modo<br />

permanente l'esercizio della potestà legislativa tra queste stesse e l'Assemblea<br />

plenaria (111). Per questi autori non è configurabile una delega<br />

da parte dell'Assemblea, dal momento che questa si limiterebbe in realtà<br />

a rendere concretamente operante, nei singoli casi, una competenza che<br />

(109) Cfr. MORTATI, Istituzioni, cit.<br />

(110) Cfr. D'EUFEMIA, op. cit.; SANDULLI, Legge, in e Novìssimo digesto italiano»,<br />

voi. IX, Torino 1957-1966; VIRGA, Diritto costituzionale, Milano 1967.<br />

(Ili) Cfr. LONGI e STRAMACCI, Le Commissioni legislative, cit; VIRGA, op. cit.


478 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

è pur sempre astrattamente prevista dall'art. 72 Cost: e dunque, almeno<br />

sul piano della legittimazione astratta, o se si preferisce della capacità<br />

giuridica, non di una delega di funzioni da parte dell'Assemblea<br />

potrebbe dirsi, ma di una delega della Costituzione ai regolamenti delle<br />

Camere per l'attuazione del procedimento decentrato, attraverso la semplice<br />

determinazione dei casi e modi del deferimento di determinati progetti<br />

in Commissione. Eventualmente potrebbe così configurarsi, tra<br />

Commissioni ed Assemblea plenaria, un rapporto di rappresentanza legale<br />

direttamente derivante dalla Costituzione.<br />

La tesi, per quanto suggestiva, non sembra possa condividersi. Ma<br />

non si intende con ciò affermare che il decentramento legislativo nelle<br />

Commissioni rappresenti una mera redistribuzione interna di funzioni,<br />

rientrante nel normale potere di autorganizzazione delle Camere, e che<br />

pertanto il terzo comma dell'art. 72 Cost. ponga una prescrizione superflua,<br />

assorbita da quella più generale contenuta nell'art. 64. Si intende<br />

invece sottolineare che quella disposizione è in realtà una « norma permissiva<br />

» : essa non delega i regolamenti, ma si limita ad autorizzarli a<br />

prevedere l'istituto delle Commissioni legislative, istituto che sempre<br />

presuppone, perciò, una deliberazione di Assemblea.<br />

Sembra a tal punto di poter concludere che la Costituzione nulla<br />

dispone, né in ordine alla legittimazione concreta delle Commissioni - se<br />

non da un punto di vista negativo, cioè ponendo dei limiti preventivi<br />

(« riserva di Assemblea ») o successivi (rimessione) - né in ordine alla<br />

legittimazione astratta delle stesse, rimettendo all'autonomia regolamentare<br />

delle Camere la facoltà di prevedere o meno il procedimento decentrato;<br />

e che perciò nelle norme regolamentari deve essere rinvenuto<br />

il fondamento, non solo della competenza delle Commissioni a legiferare<br />

nei singoli casi, ma anche della stessa capacità di esercitare in astratto<br />

tale potere.<br />

Altri, a sua volta, pur riconoscendo il carattere puramente eventuale<br />

della competenza delle Commissioni legislative, ritiene che a renderla<br />

attuale e concreta non sia già l'atto di volontà dell'Assemblea, ma quello<br />

presidenziale di deferimento (112). Né sarebbe ravvisabile in questo<br />

ultimo una implicita delega dell'Assemblea alla Commissione, poiché il<br />

Presidente agirebbe in tal caso come organo autonomo, realizzando così<br />

direttamente, non già la volontà dell'Assemblea, ma delle norme del Regolamento<br />

che ad esso riconoscono la facoltà di deferire.<br />

(112) Cfr. ELIA, Le Commissioni parlamentari, cit. ; Io., Commissioni, cit.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 479<br />

Alla replica del Mortati, secondo cui la facoltà di opposizione dimostrerebbe,<br />

invece, che il Presidente agisce nella veste di Capo d'Assemblea,<br />

l'Elia oppone in sostanza che trattasi di facoltà meramente negativa<br />

: essa non implica il potere positivo dell'Assemblea di deferire essa<br />

stessa quando il Presidente non vi provveda; né sembra possibile configurare<br />

correttamente un vero e proprio rapporto di delegazione quando<br />

rimanga dallo stesso escluso il connotato essenziale della possibilità di<br />

iniziativa per investire il delegato (113).<br />

Al termine del discorso fin qui condotto, e senza voler pregiudicare<br />

la soluzione delle questioni prospettate, sembra possibile in questa sede<br />

formulare almeno le seguenti conclusioni:<br />

a) non pare dubbio il carattere sostitutivo e derivato della competenza<br />

legislativa delle Commissioni. Trattasi infatti di competenza « sostitutiva<br />

» in relazione al diverso piano su cui la stessa si pone rispetto<br />

alla competenza di Assemblea: esse sono fra loro in rapporto di ordinaria<br />

e speciale, come è dimostrato dal fatto che, fino al momento dell'approvazione<br />

definitiva, è sempre possibile la rimessione del progetto su<br />

richiesta del Governo, di un decimo dei deputati o di un quinto della<br />

Commissione. Trattasi inoltre di competenza « derivata », nel senso che né<br />

le norme costituzionali né quelle regolamentari operano una preventiva<br />

ed astratta ripartizione per materia: sicché, mentre la competenza dell'Assemblea,<br />

in quanto organo legittimato in via normale, sussiste indipendentemente<br />

da una specifica deliberazione, quella della Commissione<br />

la presuppone invece in ogni caso;<br />

b) circa l'ulteriore punto della natura dell'atto da cui la Commissione<br />

in sede legislativa deriva la propria legittimazione, va osservato<br />

che la dottrina più recente ed autorevole è divisa sulla possibilità di ravvisare<br />

in ogni singolo atto di deferimento una delega da parte dell'Assemblea.<br />

Se però ci si sposta dal piano della legittimazione, che afferisce<br />

al caso concreto, a quello della capacità giurìdica, cioè della idoneità<br />

astratta alla titolarità di un potere, sembra allora impossibile negare la<br />

esistenza di una delega alla Commissione da parte dell'Assemblea, espressa<br />

una volta per tutte in sede di previsione regolamentare. Ciò appare<br />

conforme allo spirito della norma costituzionale che, come si è notato,<br />

non impone la previsione del procedimento decentrato, ma si limita ad<br />

autorizzare in tal senso i regolamenti delle Camere. È bensì vero - e sotto<br />

(113) Si rammenti che il Presidente può deferire alle Commissioni l'esame di<br />

un progetto in sede legislativa anche durante i periodi di aggiornamento della Camera.<br />

In tal caso, mentre resta sempre possibile la richiesta di rimessione, è invece<br />

esclusa la possibilità di una opposizione preventiva da parte dell'Assemblea.


480 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

tale aspetto l'osservazione di Elia non sembra superabile - che questa<br />

delega di carattere generale presuppone, per concretarsi nei singoli casi,<br />

un atto presidenziale; ma non è meno vero che dipende dalla volontà<br />

dell'Assemblea, nell'esercizio dell'autonomia organizzativa riconosciutale<br />

dall'art. 64 e ribadita per questa materia dall'art. 72 Cost, di preferire<br />

questo sistema a quello, pure possibile, di una ripartizione preventiva;<br />

ed è altrettanto vero, perciò, che la fonte ultima dell'attribuzione alle<br />

Commissioni dell'esercizio del potere legislativo rimane la volontà dell'Assemblea,<br />

la quale, inoltre, resta facoltizzata alla revoca nei casi di<br />

specie. In questo senso e, se si vuole, con questi limiti sembra legittimo<br />

configurare un rapporto di delegazione tra Assemblea e Commissioni legislative.<br />

Del resto, non è chi non veda che il richiamo alla figura della<br />

delegazione, al di là del suo significato strettamente giuridico, ha un valore<br />

eminentemente politico, nella misura in cui consente di far risalire<br />

all'Assemblea, nella integrità dei suoi componenti, la piena responsabilità<br />

per il modo in cui viene esercitata la funzione (114);<br />

e) infine, le modalità della rimessione in Assemblea sono adombrate<br />

dal Mortati stesso come una anomalia rispetto allo schema generale<br />

della delegazione, in quanto tale istituto consentirebbe in pratica<br />

una revoca della delega da parte di soggetti diversi dal delegante. In verità,<br />

da quanto fin qui esposto sembra di poter trarre che lo schema della<br />

delegazione, costruito essenzialmente sulla base di dati privatistici, rappresenta<br />

nel diverso contesto di una disciplina pubblicistica nulla più<br />

che un utile punto di riferimento. Più costruttivo, perciò, risulterebbe<br />

guardare all'istituto della rimessione per quello che esso realmente rappresenta<br />

nella economia del sistema costituzionale: come, cioè, ad un<br />

limite che la Costituzione pone, in questo campo, all'autonomia regolamentare<br />

delle Camere, accanto all'altro della riserva di Assemblea;<br />

con questa differenza, che, mentre nel caso della riserva il Costituente<br />

ha già operato, una volta per tutte, l'apprezzamento della portata politica<br />

di determinati provvedimenti, nell'ipotesi della rimessione egli ha<br />

demandato questo apprezzamento al Governo e a determinati quorum<br />

di deputati o commissari. Da questo punto di vista la rimessione torne-<br />

(114) Questo aspetto politico-costituzionale del problema della titolarità della<br />

funzione legislativa fu ben presente alla meditazione del Costituente, anche se si ritenne<br />

in quella sede - come già si è visto - che proprio nell'esclusione della figura<br />

della delega fosse la garanzia della salvaguardia delle prerogative del Parlamento.<br />

Ma la contraddizione con quanto sostenuto nel testo è solo apparente: si è infatti<br />

preliminarmente osservato che il rapporto giurìdico di delegazione non presuppone<br />

necessariamente che delegante e delegato siano espressione di due soggettività giuridiche<br />

completamente distinte tra di loro, potendo invece intercorrere anche tra organi<br />

di uno stesso organo complesso.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 481<br />

rebbe dunque a configurarsi come un elemento in armonia con il sistema,<br />

che, per quanto concerne i modi e i casi di un eventuale decentramento<br />

legislativo all'interno delle Camere, pone esclusivamente limiti<br />

di ordine negativo o risolutivo.<br />

18. - L'art. 40 del Capo VII del Regolamento, norma specifica<br />

regolatrice delle Commissioni legislative, venne approvato nella seduta<br />

del 15 settembre 1948 e modificato nelle successive sedute del 10 febbraio<br />

1949, del 16 gennaio 1951 e del 10 luglio 1958. Esso costituisce l'attuazione<br />

dei commi 3° e 4° dell'art. 72 Cost, che autorizzano i regolamenti<br />

delle Camere a stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione<br />

dei progetti vengono deferiti a Commissioni, anche permanenti,<br />

composte in modo da rispecchiare la proporzione dei Gruppi parlamentari,<br />

disponendo direttamente, al tempo stesso, il triplice e già accennato<br />

ordine di garanzie (115). La disciplina delle Commissioni in generale è<br />

però contenuta in altre norme regolamentari che, prevedendone costituzione,<br />

struttura e funzionamento, devono ritenersi applicabili anche alla<br />

sede legislativa, nel limite della compatibilità con l'art. 40 e con la particolare<br />

natura della funzione esercitata (116).<br />

I regolamenti di entrambe le Camere, che pure stabiliscono in via<br />

generale la competenza per materia delle Commissioni, hanno invece<br />

evitato di stabilire preventivamente « quando » alle Commissioni debba<br />

(115) Per verità il terzo comma dell'art. 72 Cost. e il primo comma dell'art.<br />

40 Reg. prevedono l'anzidetto deferimento per i e disegni di legge >. La prassi<br />

si conformò inizialmente all'interpretazione restrittiva, secondo cui per disegni di<br />

legge devono intendersi i soli progetti di iniziativa governativa, e non anche le proposte<br />

di iniziativa parlamentare. Successivamente, tuttavia, cadde a tal fine ogni distinzione<br />

tra disegni e proposte, salvo per queste ultime l'istituto dello svolgimento e della<br />

presa in considerazione, di cui all'art. 133 Capo XIV Reg. È invece indubbio che<br />

esula dalla competenza delle Commissioni in sede legislativa la emanazione di qualsiasi<br />

atto che non abbia forma di legge; di fronte alla chiara lettera del terzo comma dell'art.<br />

72 Cost. deve anzi ritenersi preclusa alla stessa potestà regolamentare delle Camere<br />

la possibilità di un ampliamento in tal senso dei poteri delle Commissioni. Per<br />

quanto attiene alle leggi cosiddette « meramente formali » si rinvia a quanto se ne<br />

osserverà in merito alla riserva di Assemblea.<br />

(116) Basti qui qualche cenno a titolo esemplificativo. Inapplicabile per incompatibilità<br />

con la funzione è ad esempio l'art. 35, che, prevedendo termini di relazione,<br />

contrasta con l'autonomia propria delle Commissioni legislative. Inapplicabile<br />

per incompatibilità con l'art. 40 è invece la disposizione contenuta nel primo comma<br />

dell'art. 39, relativa alla partecipazione ai lavori della Commissione dell'autore di una<br />

proposta di legge (disposizione restrittiva rispetto al sesto comma dell'art. 40); sempre<br />

per incompatibilità con l'art. 40 è parzialmente inapplicabile il quarto comma dell'art. 37,<br />

relativo alle questioni di competenza tra due o più Commissioni. Va infine ricordato<br />

che talvolta l'applicabilità della norma e a questi effetti esplicitamente esclusa: cosi<br />

è, per esempio, per il terzo comma dell'art. 28, che autorizza il commissario impedito<br />

a farsi sostituire da un collega del suo Gruppo, previo assenso del presidente della<br />

Commissione ; nel comma successivo tale facoltà si esclude per la sede legislativa.<br />

18.


482 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

deferirsi l'intero esame del progetto (117). In altri termini, data la difficoltà<br />

di prefigurare con norme regolamentari una sfera di competenza deliberativa<br />

propria delle Commissioni, si è preferito ripiegare sul criterio<br />

della scelta operata « caso per caso ». Di qui il problema della determinazione<br />

dell'organo di deferimento. Mentre il Senato ha attribuito immediatamente<br />

all'autorità del Presidente questa facoltà, la Camera ha<br />

adottato una norma analoga (l'attuale 1° comma dell'art. 40) solo in un<br />

secondo tempo (10 febbraio 1949); ciò dopo aver seguito, per qualche<br />

mese, il sistema di singole deliberazioni d'Assemblea (o dell'Ufficio di<br />

Presidenza durante i periodi di aggiornamento) su proposta del Presidente,<br />

in conformità al testo sottopostole nel 1948 dalla Giunta per il<br />

Regolamento; testo che, a sua volta, risentiva della formulazione originaria<br />

dell'art. 69 del progetto di Costituzione.<br />

Il potere di determinare, nella specie, l'organo che dovrà legiferare<br />

appartiene pertanto al Presidente: è indubbiamente compito tra i più<br />

delicati attribuitigli, anche se temperato dalla facoltà riconosciuta all'Assemblea<br />

(dallo stesso 1° comma dell'art. 40) di opporsi alla decisione all'atto<br />

stesso dell'annunzio (118).<br />

Si osservi ancora che, nella prassi, il potere di deferimento viene<br />

spesso esercitato dopo che un progetto di legge è stato già assegnato in<br />

sede referente, e su richiesta unanime dei commissari: a norma di Regolamento,<br />

deve ritenersi che in tal caso il Presidente faccia propria la<br />

richiesta della Commissione (che non può avere nei suoi confronti alcuna<br />

efficacia vincolante), salva sempre opposizione d'Assemblea (119).<br />

L'attuale disciplina del deferimento, in sostanza, se da una parte<br />

non pregiudica i diritti dell'Assemblea, dall'altra consente di considerare<br />

(117) Si è cioè evitato di seguire il sistema della legge istitutiva della Camera<br />

lei fasci e delle corporazioni, che stabiliva in via generale la competenza legislativa<br />

delle Commissioni. Va però rammentato - per l'esatta fisionomia di quel sistema -<br />

che si trattava allora di competenza e riservata », superabile solo per decisione del<br />

Governo, o su richiesta dell'Assemblea autorizzata dal Capo del Governo.<br />

(118) Il capoverso dell'art. 40 dispone che, durante i periodi di aggiornamento<br />

della Camera, il Presidente comunichi la sua decisione ai singoli deputati almeno otto<br />

giorni prima della data di convocazione della Commissione. Scopo della norma è,<br />

evidentemente, quello di porre i deputati in condizione di esercitare, nel prescrìtto<br />

quorum, la facoltà di chiedere la rimessione all'Assemblea plenaria, non essendo in<br />

questo caso possibile alcuna opposizione da parte della Camera.<br />

(119) Seppure nulla vieti, in teoria, che una analoga decisione presidenziale<br />

possa attivarsi da parte della Commissione anche a maggioranza, un precedente e negativo<br />

» si ebbe per la discussione del disegno di legge n. 2340 e della proposta di<br />

legge Reale Giuseppe ed altri sulla cosiddetta « piccola riforma » dell'O.N.M.1. L'esame<br />

procedeva abbinato presso la Commissione sanità in sede referente, il cui presidente,<br />

nella seduta del 16 giugno 1965, propose di richiedere il passaggio alla sede legislativa.<br />

Posta in votazione, la proposta fu approvata a maggioranza: ma il passaggio


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 483<br />

la competenza delle Commissioni indipendente da specifiche deliberazioni<br />

di questa, con conseguenze di non poco momento sulla configurazione<br />

dogmatica dell'istituto, come si è avuto modo in precedenza di vedere<br />

(120).<br />

Da ultimo, il 3° comma dell'art. 72 Cost. (recepito quasi testualmente<br />

dal Regolamento nel penultimo comma dell'art. 40) dispone che,<br />

fino al momento dell'approvazione definitiva, il progetto sia rimesso alla<br />

Camera (rectius: all'Assemblea) se il Governo o un decimo dei componenti<br />

della Camera o un quinto della Commissione richiedano che sia<br />

discusso e votato dalla Camera stessa, o che sia sottoposto alla sua approvazione<br />

finale con sole dichiarazioni di voto.<br />

Qualche questione di interpretazione si è posta su questa norma, e<br />

innanzitutto sulla procedura da seguire quando la rimessione sia domandata<br />

dal quorum di un quinto dei commissari previsto. In tale ipotesi<br />

si è ritenuto che la richiesta debba avanzarsi per iscrìtto: a) al Presidente<br />

della Camera fino al giorno anteriore a quello in cui inizia l'esame<br />

del progetto; b) dopo tale momento, al presidente della Commissione,<br />

durante la discussione, da deputati « presenti alla seduta ». Quest'ultima<br />

condizione può derivarsi per analogia dal principio contenuto<br />

nell'art. 95 del Capo XI, secondo cui, per i sottoscrittori di una domanda<br />

di votazione qualificata, la firma si intende ritirata in caso di assenza<br />

dalla votazione: argomentandosi che il requisito della presenza in seduta<br />

del deputato al momento dell'attuazione di una richiesta da lui<br />

firmata debba ancor più valere per l'esercizio di un diritto riconosciutogli<br />

dalla Costituzione (121).<br />

non fu concesso, e il 15 luglio e 18 novembre 1965 l'esame continuò e terminò in<br />

sede referente. Il disegno di legge fu poi discusso e approvato in Assemblea il 21 luglio<br />

1966 con l'assorbimento della proposta concorrente.<br />

L'orientamento in tal senso della Presidenza trovò conferma l'anno successivo,<br />

nell'invito rivolto ai presidenti delle Commissioni ad accertare che per le richieste di<br />

sede legislativa vi fosse, in qualunque momento, l'unanimità dei commissari e l'accordo<br />

del Governo. Ciò non può escludere, per certo, che in un momento successivo<br />

detti consensi siano ritirati; ma è diretto, ovviamente, a favorire una base di accordo<br />

politico sul provvedimento, non meno che ad approntare una salvaguardia ragionevole<br />

contro continue richieste di rimessione in Assemblea, che in caso opposto si avrebbero<br />

giusta i diritti costituzionali.<br />

(120) Cfr. LONGI e STRAMACCI, // Regolamento, cit.<br />

(121) Cfr. parere della Giunta per il Regolamento del 22 novembre 1950 e<br />

circolare del Presidente della Camera del 5 dicembre 1950. Interessante punto di<br />

principio trovasi affermato nell'allegato a tale circolare, nel quale, contestandosi che<br />

la regola in questione possa farsi discendere direttamente dalla Costituzione, si aggiunge<br />

: « È ius receptum, per la consuetudine parlamentare, che le norme della Costituzione<br />

(la quale, del resto, menziona essa stessa il Regolamento della Camera per<br />

l'esecuzione dei suoi precetti in materia parlamentare) debbano trovare il necessario<br />

sviluppo procedurale nella norma regolamentare, anche per provvedere a quei particolari<br />

che la Costituzione non indica ».


484 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Qualche altro dubbio può riguardare gli effetti della rimessione. Per<br />

verità, il penultimo comma dell'art 40 non li chiarisce affatto: e così<br />

non chiarisce, innanzitutto, se, anziché investire l'esame del progetto, essa<br />

possa essere al caso limitata alla sola approvazione finale con dichiarazioni<br />

di voto. Ma un siffatto quesito, quand'anche sorto, non potrebbe<br />

che avere risposta positiva, dovendo essere la disposizione regolamentare<br />

interpretata alla luce del disposto del terzo comma dell'art. 72 Cost., che<br />

tale forma di « rimessione limitata » (anche se in fatto desueta) espressamente<br />

ammette.<br />

Più rilevante il punto della sorte pasf-rimessione degli articoli approvati,<br />

cioè degli effetti sui lavori già svolti in Commissione: sorto<br />

- per verità - a proposito di un caso di già avvenuta scelta di un testobase,<br />

e deferito alla Giunta per il Regolamento. La questione fu risolta<br />

nel senso di ritenere che non sussista rapporto predeterminato; in altri<br />

termini, allorché un progetto già esaminato in sede legislativa sia successivamente<br />

rimesso all'Assemblea, l'esame da parte della stessa Commissione<br />

in sede referente si inizia come nuovo ed autonomo procedimento,<br />

senza che le deliberazioni eventualmente adottate nella precedente<br />

sede possano determinare vincoli o preclusioni di sorta. Tale conclusione<br />

si fa discendere dai principi: 1) della diversità di funzione delle<br />

due sedi; 2) della esclusione di ogni carattere di ritualità per la sede referente<br />

(più volte affermata sia dalla Giunta per il Regolamento, sia<br />

dalle circolari presidenziali); 3) della necessità di far salva la libertà di<br />

concludere l'esame preliminare - in ipotesi - con una proposta di reiezione,<br />

ciò che sarebbe impedito alla Commissione in sede referente se<br />

essa dovesse intendersi vincolata a testi già approvati in altra sede.<br />

Tali principi non escludono, tuttavia, che la Commissione referente<br />

possa, mediante deliberazione assunta all'unanimità, acquisire il lavoro<br />

già svolto nella sede legislativa (122).<br />

Di una specifica angolatura procedimentale può farsi oggetto infine<br />

l'istituto della rimessione, se lo si guardi in connessione con altri due<br />

problemi sostanziali che vengono da più parti sollevati: quello del potere<br />

di convocazione delle Commissioni in generale, e quello della fissazione<br />

di un termine per i lavori delle stesse quando si svolgano nell'esercizio<br />

di attività legislativa.<br />

Quanto al potere di convocazione (cui corrisponde sempre l'altro<br />

di formazione dell'ordine del giorno), si rileva che, all'attuale stato delle<br />

(122) Cfr. circolare del Presidente della Camera del 3 ottobre 1964.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 485<br />

norme (art 38), esso appartiene ai vari presidenti, senza alcun parallelo<br />

potere di iniziativa o di controllo da parte delle Commissioni stesse o<br />

della Presidenza della Camera, con Tunica eccezione del potere dì autoconvocazione<br />

- a norma dell'art. 44 - durante gli aggiornamenti: dimodoché<br />

da questa norma, anteriore a quella di cui all'articolo 13-bis sulla<br />

« discussione organizzata », lo stesso istituto della Conferenza, inteso<br />

nella globalità del quadro dei lavori parlamentari, rischierebbe di uscir<br />

vanificato. Quanto al punto del termine, che si connette più specialmente<br />

alla sede legislativa, viene osservato che - sempre a causa della già visto<br />

aritmia dell'art. 38, nonché della inapplicabilità in tale sede degli artt. 35<br />

e 65 sui termini di relazione - quando si abbia il deferimento di un progetto<br />

per il quale la Camera abbia accordato l'urgenza, l'efficacia di questa<br />

si riduce ad una sorta di « etichetta politica », con una mera presunzione<br />

di priorità dell'esame del progetto « urgente » su quello dei progetti<br />

« non urgenti » nei lavori della Commissione, e con la sola e modesta<br />

conseguenza pratica di ridurre il termine per i pareri eventualmente<br />

chiesti ad altre Commissioni: e infatti, soltanto il presidente della Commissione,<br />

ogni seduta della quale « fa storia a sé » (123), può rendere<br />

efficace l'urgenza. Né alcuno strumento di intervento è nelle mani<br />

del Presidente della Camera, esercitando questi una « generica potestà<br />

di sovraintendenza » formale sui lavori della Commissione e dovendo<br />

dare notizia all'Assemblea dei provvedimenti ivi approvati, ma non potendo<br />

imporre l'ordine di precedenza per i progetti dichiarati urgenti,<br />

pei quali, al più, potrà rivolgere sollecitazioni.<br />

Non esistendo, dunque, in Commissione legislativa l'« urgenza » in<br />

senso tecnico, questa riacquista invece la sua efficacia se successivamente<br />

si abbia la rimessione in Assemblea. Nelle ipotesi viste, pertanto, la rimessione,<br />

di solito richiesta per prolungare Yiter legislativo, costituisce<br />

l'unico possibile mezzo per superare l'inerzia della Commissione e giungere<br />

alla discussione entro un lasso di tempo ragionevole, vedendo per<br />

tal modo rafforzate, in senso procedimentale, le proprie caratteristiche<br />

garantiste e Umoristiche d'ordine costituzionale.<br />

La discrasia esistente nelle norme regolamentari fu rilevata dalla<br />

Giunta per il Regolamento, che ne propose unanimemente la modifica,<br />

nel senso di attribuire al Presidente della Camera, in via esclusiva, il<br />

potere di convocazione e formazione dell'ordine del giorno delle Commissioni,<br />

nonché, per la sede legislativa, la fissazione di un termine di<br />

(123) Cfr. allegato alla circolare del Presidente della Camera del 28 gennaio<br />

1958.


486 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

esame, decorso il quale il progetto passerebbe automaticamente all'Assemblea:<br />

tale proposta, non approvata nel corso della II legislatura, non<br />

fu però ripresa nelle successive.<br />

19. - Se i regolamenti delle Camere non prevedono in linea generale<br />

i casi in cui le Commissioni sono competenti a legiferare, la Costituzione<br />

stabilisce invece una riserva per talune materie, per le quali è<br />

sempre necessaria la procedura di esame e di approvazione da parte del<br />

plenum; così per i progetti di legge in materia costituzionale ed elettorale<br />

e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare<br />

trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi, la cui<br />

impronta politica è così accentuata da richiedere necessariamente una diretta<br />

assunzione di responsabilità da parte dell'Assemblea.<br />

L'interpretazione di questa norma, contenuta nell'ultimo comma<br />

dell'art. 72 Cost. e riprodotta dall'ultimo comma dell'art. 40 Reg. Camera,<br />

con l'aggiunta dei progetti di legge « in materia tributaria »,<br />

offre non pochi dubbi e difficoltà. Si discute anzitutto se i progetti<br />

di legge « in materia costituzionale » siano soltanto quelli da adottare<br />

con la particolare procedura prevista dall'art. 138 Cost. (124), o invece<br />

siano da individuare in relazione ad una particolare rilevanza costituzionale<br />

della materia trattata, a prescindere dalla veste formale (125).<br />

Alla prima tesi si obietta che il procedimento decentrato, in sede di<br />

esame di progetti di legge costituzionali, è già implicitamente escluso<br />

dall'art. 138 Cost., che prevede a tal fine una procedura affatto particolare.<br />

Alla seconda tesi si rimprovera di introdurre una nozione estremamente<br />

vaga ed elastica, per la difficoltà di individuare un criterio preciso,<br />

al di fuori di quello meramente formale, che consenta una esatta<br />

delimitazione della materia costituzionale.<br />

Alcuni autori hanno però compiuto uno sforzo notevole nella ricerca<br />

di un criterio discretivo sufficientemente rigoroso, tale cioè da non<br />

prestarsi ad apprezzamenti assolutamente discrezionali, che svuoterebbero<br />

di ogni contenuto pratico la garanzia della « riserva di Assemblea ».<br />

(124) In tal senso si è espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 168<br />

del 23 dicembre 1963. Cfr. anche BASCHIERI, D'ESPINOSA e GIANNATTASIO, La Costituzione<br />

italiana, Firenze 1949.<br />

(125) Cfr. BIANCHI D'ESPINOSA, in Commentario sistematico della Costituzione<br />

italiana a cura di CALAMANDREI e LEVI, voi. II, Firenze 1950; DE SIMONE, Materia e<br />

norma costituzionale nell'ordinamento giuridico italiano, Milano 1953 ; VIESTI, Gli<br />

aspetti incostituzionali della legge sul Consiglio superiore della magistratura, in « Rassegna<br />

di diritto pubblico», 1958; BAIXADORE PAIXIERI, Diritto costituzionale, Milano<br />

1965; MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1967.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 487<br />

Per il Balladore Pallieri appartengono alla materia costituzionale le<br />

norme concernenti gli elementi essenziali dell'organizzazione dello Stato,<br />

gli organi costituzionali, i rapporti dello Stato con gli altri ordinamenti<br />

e con l'ordinamento internazionale (126).<br />

Per l'Esposito vi rientrano, invece, le norme intese a delimitare il<br />

senso e la portata di una dichiarazione costituzionale, quelle che diano<br />

disciplina a rapporti già regolati con legge costituzionale dalla Costituente<br />

o considerati costituzionali nel periodo anteriore, oppure diano<br />

esecuzione a trattati che comportino limitazioni per la sovranità dello<br />

Stato (127).<br />

Il Mortati ritiene di poter individuare il criterio discretivo sulla base<br />

di una interpretazione analogica degli altri casi espressamente considerati<br />

dall'ultimo comma dell'art. 72 Cost (128). Rientrerebbero così<br />

nella materia costituzionale le leggi relative ai rapporti con gli altri<br />

ordinamenti, ai rapporti tra potere legislativo e potere esecutivo, agli elementi<br />

costitutivi dello Stato, nonché quelle che richiedano l'osservanza<br />

di norme di altri ordinamenti o modalità speciali per la loro emanazione<br />

(cfr., ad esempio, gli artt. 8, 132, 133 Cost.).<br />

Si discute inoltre se debba esaminarsi in Assemblea plenaria ogni<br />

progetto di legge che contenga una delega o solo quello in cui la delega<br />

prevalga su ogni altro contenuto (129); e se nelle leggi di approvazione<br />

di bilanci debbano intendersi comprese anche le note di variazioni.<br />

Infine, mentre la dottrina non dubita che la « riserva di Assemblea »<br />

si estenda alla conversione dei decreti-legge, ai sensi del secondo comma<br />

dell'art. 77 Cost., essa è divisa per quanto riguarda le leggi « meramente<br />

formali », che, ad avviso di alcuni, dovrebbero pure intendersi « protette<br />

» (130).<br />

Quest'ultima opinione potrebbe fondarsi su una interpretazione analogica<br />

del disposto dell'ultimo comma dell'art. 72 Cost, che esplicitamente<br />

riserva all'Assemblea le leggi - appunto di mero carattere<br />

formale - di approvazione dei bilanci e di autorizzazione alla ratifica<br />

dei trattati. Più valida sembrerebbe però, allo stesso fine, la considerazione<br />

che leggi di tal genere, prive del contenuto normativo tipico<br />

(126) Cfr. BALLADORE PALLIERI, op. cit.<br />

(127) Cfr. ESPOSITO, Costituzione, leggi di revisione e altre leggi, in « Scrìtti in<br />

onore di Jemolo», voi. in, Milano 1963.<br />

(128) Cfr. MORTATI, Costituzione {Dottrine generali), in e Enciclopedia del diritto»,<br />

voi. XI, Milano 1958-1966; Io., Istituzioni, cit<br />

(129) Cfr. ABBAMOMTE, Aspetti della delegazione legislativa, in « Annali della<br />

Università di Macerata », 19S9.<br />

(130) Cfr. ELIA, Commissioni, cit.


488 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

della legislazione, assolvono essenzialmente ad una funzione di controllo<br />

politico sull'operato del Governo che deve ritenersi istituzionalmente<br />

estranea alla competenza delle Commissioni legislative, anche nel caso,<br />

quindi, in cui gli atti che quel controllo comportano assumano la forma<br />

della legge.<br />

L'ultimo comma dell'art. 40 Reg. include tra le materie riservate<br />

- come ora si è visto - i progetti « in materia tributaria », e fu introdotto,<br />

su proposta De Vita, nella seduta del 10 febbraio 1949. In quella sede<br />

si sollevarono obiezioni sulla legittimità di questa integrazione del testo<br />

costituzionale: per altro, esse non riecheggiarono in dottrina, sembrando<br />

doversi intendere preclusa al Regolamento solo una restrizione, ma<br />

non già un ampliamento della « riserva di Assemblea » (131).<br />

Va ancora rammentato che, ai sensi del secondo comma dell'art. 67<br />

Reg. i progetti già approvati dalla Camera e rinviati dal Senato seguono<br />

il procedimento adottato nella loro prima discussione davanti alla Camera.<br />

Pertanto il progetto di legge rinviato dal Senato dovrà essere deferito<br />

alla stessa Commissione che già lo ebbe in esame e nella stessa<br />

sede (132). Qualora poi la legge sia stata rinviata alle Camere dal Presidente<br />

della Repubblica, che ai sensi dell'art. 74 Cost. abbia chiesto<br />

con messaggio motivato una nuova deliberazione, mentre il Regolamento<br />

del Senato dispone che l'ulteriore esame avvenga in Assemblea plenaria,<br />

nulla invece stabilisce al riguardo il Regolamento della Camera. In dottrina<br />

si è però ritenuto che anche per la Camera debba intendersi operante,<br />

in questo caso, l'obbligo della « riserva » (133).<br />

(131) Cfr. gli interventi del relatore Ambrosini e del deputato Dominedò in<br />

Atti della Camera dei deputati, 1949, pag. 6219. La tesi, da essi sostenuta, secondo<br />

la quale la Camera non potrebbe porre a se stessa limitazioni o vincoli di natura<br />

permanente al di là delle norme costituzionali, sembra finisca, al limite, per negare<br />

la stessa autonomia regolamentare delle Camere, almeno nelle materie già disciplinate<br />

dalla Costituzione.<br />

È tuttavia diffusa la convinzione sull'opportunità di temperare, quanto meno,<br />

l'applicazione di tale parte dell'art. 40. Alla Camera si è formata una prassi interpretativa<br />

diretta ad escludere dalla dizione « materia tributaria » i progetti per i quali<br />

tale materia non costituisca il contenuto principale, bensì soltanto una componente<br />

accessoria; quelli riguardanti unicamente agevolazioni fiscali; quelli - infine - relativi<br />

a contributi interessanti i bilanci di enti diversi dallo Stato. A quest'ultimo caso<br />

apparteneva la legge n. 168 del 19S6 (provvidenze per la stampa), approvata dalla<br />

Camera a mezzo delle Commissioni riunite I e X in sede legislativa e per la quale,<br />

in sede di applicazione, fu sollevata eccezione di incostituzionalità in quanto comportante<br />

obblighi contributivi. La questione era già stata dibattuta in seno alle stesse<br />

Commissioni, ove si fu concordi nell'affermare la sovranità della Camera in tema<br />

di interpretazione delle sue norme regolamentari. V. in senso conforme, ma solo per<br />

quelle aree in cui non vi sia obbligo di recepire la normazione costituzionale, la<br />

sentenza della Corte costituzionale n. 9 del 1959, in precedenza citata.<br />

(132) Cfr. LONGI e STRAMACCI, // Regolamento, cit.<br />

(133) Cfr. Bozzi, Note sul rinvio presidenziale detta legge, in « Studi di diritto<br />

costituzionale », Milano 1961.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 489<br />

Si noti infine che nella prassi si è affermato il principio, da un lato<br />

di rimettere all'Assemblea i progetti di legge già deferiti a Commissioni<br />

legislative e che risultino connessi ad altri successivi per i quali si abbia<br />

la riserva, dall'altro di deferire alla Commissione legislativa i progetti<br />

connessi ad altri già ad essa attribuiti in quella sede (134).<br />

20. - La decisione di deferire l'esame e l'approvazione di un progetto<br />

di legge a Commissione, anziché all'Assemblea, spetta, come si<br />

è visto, al Presidente, salva opposizione della Camera. Sempre al Presidente,<br />

se non lo abbia indicato il proponente e salva in ogni caso una<br />

diversa deliberazione della Camera, spetta di stabilire qual è la Commissione<br />

competente. Qualora poi la Commissione investita del provvedimento<br />

ritenga che esso sia di competenza di altra Commissione, potrà<br />

domandare alla Camera che esso sia rinviato all'esame di quest'ultima.<br />

Si applicano cioè anche alla sede legislativa il primo comma dell'art. 31<br />

e il primo comma dell'art. 37 Reg. che disciplinano in generale il funzionamento<br />

dell'organo.<br />

Quando il dissenso della Commissione riguardi, invece, anziché la<br />

competenza per materia, quella funzionale - vale a dire la sede - troveià<br />

evidentemente applicazione il penultimo comma dell'art. 40, già esaminato,<br />

che autorizza un quinto dei commissari a richiedere la rimessione<br />

in Assemblea.<br />

Nel caso in cui si verifichino conflitti di competenza tra due o più<br />

Commissioni, il decimo comma dell'art. 40 detta, per la sede legislativa,<br />

una disciplina speciale, parzialmente derogatoria rispetto alla norma generale<br />

contenuta nel quarto comma dell'art. 37.<br />

Quando cioè una Commissione chiamata a dar parere ad un'altra<br />

affermi la propria competenza ad esaminare il provvedimento (conflitto<br />

reale positivo), a giudizio del Presidente della Camera il provvedimento<br />

sarà deferito all'esame delle Commissioni riunite ovvero all'esame dell'Assemblea.<br />

In quest'ultima ipotesi si ha, in sostanza, un ulteriore caso<br />

di rimessione successiva al plenum. Analogamente dispongono i due precedenti<br />

commi dell'art. 40 per il caso in cui la Commissione di merito<br />

non ritenga di aderire al parere della Commissione bilancio (135) o della<br />

(134) Per la prima ipotesi cfr. il precedente verificatosi nella seduta delT8 luglio<br />

1961 (Atti della Camera dei deputati, 1961, pag. 22809). In quella occasione<br />

alcune proposte di legge, già deferite all'esame della Commissione in sede legislativa,<br />

vennero rimesse all'Assemblea, essendo connesse ad un disegno di legge-delega concernente<br />

la stessa materia.<br />

(135) Obbligatorio, ai sensi dell'art 40 Reg., per i progetti di legge implicanti<br />

aumento dell'onere finanziario, nei termini di cui al terzo e quarto comma dell'art. 31.<br />

18*.


490 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Commissione affari costituzionali (136) e queste vi insistano. In entrambi<br />

i casi l'esame a Commissioni riunite si limiterà agli articoli concernenti la<br />

materia interessante la competenza di entrambe, mentre l'eventuale esame<br />

da parte dell'Assemblea investirà sempre il progetto nella sua interezza.<br />

Tutti gli altri conflitti rientrano nella disciplina generale contenuta<br />

nel quarto comma dell'art. 37.<br />

Quanto al secondo e terzo comma dello stesso art. 37, mentre non<br />

sembra dubbio che. anche in sede legislativa, una Commissione possa<br />

richiedere, quando lo ritenga utile, il parere di un'altra, perplessità desta<br />

la possibilità che due Commissioni decidano d'accordo di esaminare e<br />

di approvare in comune un provvedimento di legge. E in verità le norme<br />

sulla competenza a legiferare, data la delicatezza della funzione, non<br />

sembrano suscettibili di deroga, sia pure consensuale: diversamente, dovrebbe<br />

ammettersi che una Commissione sia investita dell'approvazione<br />

di un progetto indipendentemente da qualsiasi decisione del Presidente<br />

della Camera e senza che si consenta opposizione alla stessa Assemblea<br />

(anche se resterebbe tuttavia possibile la rimessione, su richiesta dei titolari<br />

del diritto).<br />

21. - Circa la disciplina della discussione, va preliminarmente osservato<br />

che la procedura da seguire è fondamentalmente quella prescritta<br />

per l'Assemblea. H terzo comma dell'art 40 rinvia infatti esplicitamente,<br />

per quanto concerne la discussione e l'approvazione dei provvedimenti,<br />

alle norme generali contenute in materia nel Regolamento (137).<br />

(136) Obbligatorio in materia di rapporto di pubblico impiego, ai sensi dello<br />

stesso art. 40. Si ritiene da taluni autori (cfr. STRAMACCI, Commissioni parlamentari,<br />

cit.) che il parere obbligatorio della Commissione affari costituzionali dovrebbe essere<br />

opportunamente esteso a tutti quei progetti che presentino riflessi di ordine costituzionale.<br />

(137) A tale proposito ASTRALDI e COSENTINO, op. cit., formulano le seguenti<br />

considerazioni limitative : < È bene avvertire che le Commissioni in sede legislativa,<br />

se sono munite di poteri deliberanti alla stregua dell'Assemblea, restano però sempre<br />

organi della Camera e quindi non possono deliberare separatamente ed autonomamente<br />

su questioni di carattere generale (eccezioni di incostituzionalità, preclusioni,<br />

ecc.) che restano di esclusiva competenza dell'Assemblea, unico dovendo essere in<br />

simili casi il giudizio sovrano della Camera ». Cfr. al riguardo il precedente del 21 luglio<br />

1949, già riportato in nota (pag. 465) in merito alla preclusione.<br />

Altro principio limitativo in materia di consuetudini è poi quello sanzionato<br />

dalla circolare del Presidente della Camera del 30 luglio 19S8, secondo cui «nei casi<br />

non previsti dal Regolamento le Commissioni non possono adottare usi che non siano<br />

strettamente conformi a quelli in vigore nell'Assemblea». Ove già non esistano, precisa<br />

ancora 0 documento, « è necessario evitare di introdurre precedenti senza il preventivo<br />

consenso della Presidenza della Camera ed eventualmente della Giunta per il<br />

Regolamento ».


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 491<br />

La trattazione qui da farsi si limiterà pertanto alle poche eccezioni<br />

esplicitamente previste dallo stesso art. 40, nonché ad una sia pur sintetica<br />

valutazione della prassi, che evolve nel senso di una accentuazione<br />

dell'entità e del numero delle eccezioni stesse.<br />

Vi è però un limite oltre il quale le eventuali deroghe alla disciplina<br />

generale si porrebbero in contrasto con la Costituzione: questo<br />

limite è dato appunto dalle norme primarie che disciplinano «direttamente»<br />

il processo di formazione delle leggi e devono ritenersi applicabili<br />

in ogni sede.<br />

Per verità, in dottrina non è mancato chi ha sostenuto che le disposizioni<br />

della Costituzione relative al procedimento normale non si<br />

estenderebbero alla discussione in Commissione (138). La tesi si fonda<br />

su un inciso del terzo comma dell'art. 72 Cost, secondo il quale i regolamenti<br />

delle Camere possono « altresì stabilire in quali casi e forme lo<br />

esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a Commissioni ».<br />

Si è però obiettato che con questa formulazione la Costituzione rimette<br />

alla potestà regolamentare delle Camere solo la disciplina dei casi e delle<br />

forme del deferimento, non anche delle forme del procedimento da<br />

seguire una volta che il deferimento sia avvenuto (139): e ciò, naturalmente,<br />

senza pregiudizio di una diversa regolamentazione degli<br />

aspetti del procedimento non disciplinati direttamente dal legislatore<br />

costituzionale, quali rientranti completamente nell'autonomia regolamentare<br />

delle Camere consacrata dall'art 64 Cost<br />

Le eccezioni previste rispetto alla disciplina generale della discussione<br />

rispondono ad una duplice esigenza: da un lato, proporzionare i<br />

vari quorum che ai sensi del Regolamento condizionano l'esercizio di<br />

alcune facoltà al più ristretto numero dei componenti della Commissione;<br />

dall'altro, rendere la procedura in Commissione meno rituale e maggiormente<br />

alleggerita. Così, per la validità delle sedute è necessaria, sia<br />

in sede referente sia in sede legislativa, la presenza di almeno un quarto<br />

dei commissari (art. 38, secondo comma); per chiedere la verifica del numero<br />

legale o la votazione nominale è necessario un minimo di quattro<br />

deputati (anziché rispettivamente, dieci e quindici), per chiedere lo scrutinio<br />

segreto un minimo di cinque (anziché venti) (art. 40, quarto comma).<br />

Tutta la disciplina relativa alla presentazione degli emendamenti,<br />

contenuta nei primi tre commi dell'art. 86, è dichiarata espressamente<br />

(138) Cfr. ESPOSITO, Questioni sulla invalidità delle leggi per (presunti) vizi del<br />

procedimento di approvazione, ih e Giurisprudenza costituzionale », 1957.<br />

(139) Cfr. ELIA, Commissioni, cit.


492 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

non applicabile alla discussione in Commissione (art. 40, terzo comma):<br />

il che significa che in questa sede possono essere presentati emendamenti<br />

senza alcun limite di tempo, quindi anche in corso di seduta e senza la<br />

necessità di un quorum di firmatari.<br />

Alle sedute delle Commissioni in sede legislativa intervengono i ministri<br />

competenti (art. 40, terzo comma), che possono però farsi rappresentare<br />

dai sottosegretari. Diversamente dal dibattito in aula la relazione,<br />

solitamente orale, precede la discussione. Il relatore, sempre secondo il<br />

terzo comma dell'art. 40, è nominato dal Presidente della Commissione<br />

(140).<br />

Infine, giunto il provvedimento ad approvazione, esso verrà senza<br />

altro trasmesso al Senato per l'ulteriore esame o al Governo per la promulgazione<br />

da parte del Presidente della Repubblica: all'Assemblea ne<br />

è data semplice comunicazione (art. 40, terzultimo comma).<br />

L'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 72 Cost. dispone che<br />

« il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni».<br />

È chiaro che questa norma è stata suggerita, appunto, dal<br />

riconoscimento alle Commissioni della funzione legislativa : al riguardo si<br />

è ritenuto in dottrina che le norme regolamentari non assicurino ai lavori<br />

delle Commissioni una pubblicità adeguata (141). È da rammentare in<br />

proposito che l'art 40 prevede, per la sede legislativa, la redazione di<br />

un resoconto stenografico in aggiunta al processo verbale: l'art. 41, inoltre,<br />

prevede la pubblicazione, a cura del Segretariato generale della Camera,<br />

di un Bollettino delle Giunte e delle Commissioni, contenente tutte le<br />

notizie relative all'attività delle Commissioni in sede legislativa e in<br />

sede referente. Il punto è molto delicato: e il fatto è che la mancanza<br />

di una pubblicità identica a quella propria delle sedute assembleari, se<br />

può da un lato incorrere nelle accennate censure, dall'altro lato incontestabilmente<br />

contribuisce a creare in Commissione un clima utile alla<br />

composizione dei contrasti e alla formazione di intese proficue e costruttive.<br />

Salve le eccezioni illustrate, la discussione in Commissione si svolge<br />

dunque fondamentalmente sullo schema di quella di Assemblea. Dopo lo<br />

intervento del relatore, che apre il dibattito, ha inizio la discussione ge-<br />

(140) Si tenga presente la diversa dizione dell'art. 34, relativo alle Commissioni<br />

in generale : « Ogni Commissione nomina per ciascun affare un relatore ».<br />

(141) Cfr. MORTATI, Istituzioni, cit, secondo il quale ai lavori delle Commissioni<br />

legislative dovrebbe essere assicurata una pubblicità pari a quella delle sedute<br />

delle Camere, stante l'identità dei poteri, ai fini di rendere possibile un reale ed efficace<br />

controllo da parte dell'opinione pubblica.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 493<br />

nerale, nel corso della quale ogni deputato dovrebbe intervenire una sola<br />

volta, secondo le norme comuni. Chiusa la discussione generale, il relatore<br />

e il rappresentante del Governo rispondono agli oratori intervenuti.<br />

Dopodiché, si passa all'esame degli articoli ed emendamenti, e infine<br />

alla votazione finale del progetto a scrutino segreto.<br />

La prassi ha però introdotto - come si è avvertito - altre e significative<br />

eccezioni. Ai sensi dell'art. 81 Reg., la votazione degli ordini<br />

del giorno ha luogo in Assemblea subito dopo la chiusura della discussione<br />

generale: in Commissione, invece, in base a consuetudine consolidata,<br />

la votazione può aver luogo dopo l'esame degli articoli. La deroga<br />

è da porre in relazione con il diverso carattere assunto dagli ordini del<br />

giorno: nati con lo scopo di condizionare le Commissioni in sede di<br />

« seconda lettura », essi si sono oggi trasformati in strumenti di invito<br />

o di raccomandazione al Governo, e come tali presuppongono la esistenza<br />

di un testo dal contenuto sufficientemente definito (142). Quando<br />

l'iter legislativo si svolge in Commissione il presupposto può talora ritenersi<br />

verificato soltanto dopo l'approvazione degli articoli, dandosi casi<br />

in cui non sia possibile considerare valido termine di riferimento il testo<br />

originario del progetto, sia esso di iniziativa governativa o parlamentare.<br />

La fase della discussione generale, inoltre, non obbedisce rigidamente<br />

agli schemi di Assemblea, ma si svolge con un alternarsi di interventi<br />

di relatore, commissari e Governo, senza un ordine preciso. In<br />

altri termini, la prassi evolve verso una ancor minore ritualità dei lavori,<br />

a vantaggio di una maggiore snellezza degli stessi; il che potrebbe anche<br />

condividersi, ma nel rispetto, s'intende, dei limiti costituzionali.<br />

La disciplina della discussione in Commissione legislativa deve però<br />

essere raffrontata anche alle poche norme che disciplinano la discussione<br />

in sede referente, rispetto a cui si danno ampie eccezioni.<br />

Mentre in sede referente un deputato che non possa intervenire ad<br />

una seduta della propria Commissione può eccezionalmente farsi sostituire<br />

da un collega del suo stesso Gruppo, previo assenso del Presidente<br />

della Commissione stessa, tale facoltà non è concessa in sede legislativa<br />

(art. 28).<br />

(142) Cfr. circolare del Presidente della Camera del 30 luglio 1958. È da notare<br />

che essa non si riferisce alla presentazione ed allo svolgimento degli ordini del giorno,<br />

per i quali nulla dovrebbe intendersi innovato rispetto all'ordinario punto di riferimento<br />

della discussione generale. Una ulteriore estensione della prassi è invece quella<br />

secondo cui gli ordini del giorno vengono più spesso addirittura presentati e svolti<br />

nella fase di esame degli articoli.


494 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

Viceversa, mentre in sede referente, ai sensi dell'art. 39, non possono<br />

partecipare ai lavori deputati che non facciano parte della Commissione<br />

(salvo il caso della partecipazione senza voto del presentatore<br />

di una proposta di legge, e salva la possibilità da parte dei deputati<br />

« esterni » di trasmettere ed illustrare alla Commissione emendamenti<br />

e articoli aggiuntivi), in sede legislativa ogni deputato, previa comunicazione<br />

al Presidente della Camera, può partecipare, senza voto, a sedute<br />

di Commissioni diverse da quella alla quale appartiene (art. 40, sesto<br />

comma). In questa partecipazione sembra insito il diritto di presentare<br />

e svolgere emendamenti e articoli aggiuntivi, diritto che costituisce un<br />

minus riconosciuto anche in sede referente, nonostante che ai deputati<br />

« esterni » sia in quella sede vietata la partecipazione ad altro titolo:<br />

e, soprattutto, nonostante il fatto che la sede referente, a differenza da<br />

quella legislativa, non escludendo il dibattito in aula, mantenga integra<br />

la possibilità per ciascun parlamentare di presentare e discutere gli<br />

emendamenti in Assemblea.<br />

L'art. 30-bis Reg. stabilisce poi che, in sede referente, la Commissione<br />

possa affidare la formulazione delle proposte relative al testo degli<br />

articoli ad un Comitato ristretto di nove membri: quello stesso che, ai<br />

sensi del quarto comma dell'art. 30, è chiamato a seguire la discussione<br />

in Assemblea. La consuetudine ha esteso l'applicazione di questa norma<br />

anche alla sede legislativa, ritenendosi rientri sempre nei poteri di ciascun<br />

presidente di Commissione di promuovere incontri o accordi tra<br />

i commissari dei vari Gruppi, in ispecie allo scopo di accelerare i lavori;<br />

tuttavia, in assenza di norma espressa regolamentare, la pratica dei Comitati<br />

ristretti incontra qui le seguenti limitazioni: a) che vi sia una proposta<br />

del Presidente della Commissione; b) che sia accettata, anche tacitamente,<br />

all'unanimità; e) che non vi sia richiesta formale di votazione<br />

per la scelta del testo-base fra quelli analoghi iscritti all'ordine del<br />

giorno (143). Poiché è impossibile riprodurre nel Comitato ristretto lo<br />

stesso rapporto di forze esistente nella Commissione (144), si è ritenuto<br />

che le decisioni debbano essere adottate all'unanimità; in caso contrario,<br />

il Comitato dovrà limitarsi a sottoporre alla Commissione i due o più<br />

testi prospettati. Si è altresì ritenuto che, diversamente da quanto avviene<br />

in sede referente, il testo redatto dal Comitato costituisca un semplice<br />

punto di partenza per la discussione degli articoli e non precluda<br />

(143) Cfr. parere della Giunta per il Regolamento del 30 settembre 1960.<br />

(144) Infatti, necessariamente, si passa dal criterio della rappresentanza proporzionale<br />

a quello della rappresentanza dei singoli Gruppi


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 495<br />

quindi la proponibilità di emendamenti, compresi quelli che ripropongano<br />

le norme esistenti nei progetti originari e non accolte dal Comitato<br />

stesso. È chiaro dunque che in sede legislativa i poteri dei Comitati ristretti<br />

risultano molto limitati: la loro funzione, priva di qualsiasi contenuto<br />

decisorio, anche limitatamente al testo degli articoli, può ritenersi<br />

identica a quella delle Commissioni referenti.<br />

22. - Come è noto, accanto al procedimento normale, al procedimento<br />

abbreviato e al procedimento decentrato, l'art. 85 Reg. Camera<br />

(nel Regolamento del Senato esiste, come si è visto, una disposizione di<br />

analogo, ma non identico, contenuto) prevede una procedura particolare,<br />

comunemente denominata della Commissione in « sede redigente » (procedimento<br />

« misto »), la cui collocazione nel sistema costituzionale ha<br />

suscitato non poche riserve e perplessità, sia in sede politica sia in sede<br />

dottrinale.<br />

Tale articolo prevede infatti che la Camera possa decidere, in caso<br />

di urgenza e previa approvazione dei criteri informativi della legge, di<br />

deferire alla competente Commissione permanente la formulazione definitiva<br />

degli articoli, riservando all'Assemblea l'approvazione degli<br />

stessi senza dichiarazioni di voto, nonché l'approvazione finale del<br />

progetto con dichiarazioni di voto: ed esso aggiunge che in tale ipotesi<br />

ogni deputato a esterno » alla Commissione avrà il diritto di presentare<br />

emendamenti e di partecipare ai lavori per la loro discussione.<br />

Null'altro è contenuto nella norma. Poiché è indubbio - come risulterà<br />

in seguito - che anche in questo caso i poteri attribuiti alla Commissione<br />

hanno natura deliberativa, devono ritenersi applicabili, in quanto<br />

ne ricorrano i presupposti, le norme che disciplinano la discussione in<br />

sede legislativa (così, ad esempio, per quanto riguarda la presentazione<br />

di emendamenti, la obbligatorietà della presenza del rappresentante del<br />

Governo, la redazione di un resoconto stenografico, ecc.) (145).<br />

Il procedimento « misto », che in sostanza adombra il sistema « delle<br />

tre letture » caratteristico del Parlamento inglese, si richiama alla originaria<br />

formulazione dell'art. 69 del progetto di Costituzione elaborato<br />

dalla « Commissione dei 75 » (con la quale ha in comune la deliberazione<br />

iniziale e finale dell'Assemblea), nonché all'attuale art. 72 Cost.,<br />

(145) In tal senso si è finora orientata la prassi. Si è però ritenuto (cfr. LONGI<br />

e STRAMACCI, Le Commissioni legislative, cit.) che il procedimento in sede redigente,<br />

in quanto procedimento ordinario abbreviato piuttosto che procedimento decentrato,<br />

sia applicabile nelle materie riservate all'Assemblea dall'ultimo comma dell'art. 72 Cost.


496 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

che, come è noto, prevede al terzo comma la possibilità di una rimessione<br />

del provvedimento all'Assemblea limitatamente all'approvazione finale<br />

con sole dichiarazioni di voto (146). Senonché è abbastanza chiaro<br />

che tra sede legislativa e sede « redigente » esiste una netta differenziazione.<br />

Nell'ipotesi della Commissione in sede legislativa la rimessione è<br />

una semplice eventualità (per altro estesa, come di fatto avviene, anche<br />

all'intero esame del provvedimento), tendente soprattutto a garantire i<br />

diritti delle minoranze, mentre la regola è che tutto Yiter del progetto,<br />

fino all'approvazione, si svolga in sede decentrata. Viceversa, nell'ipotesi<br />

della Commissione in sede « redigente », rimangono in vita quasi tutte le<br />

fasi del procedimento normale (esame preliminare, relazione alla Camera,<br />

discussione generale in Assemblea con l'esplicita determinazione dei principi<br />

ispiratori della legge, votazione dei singoli articoli e votazione finale<br />

del progetto con dichiarazioni di voto), affidandosi alla Commissione in<br />

questa sede solo l'esame degli articoli e degli emendamenti e la definitiva<br />

formulazione del testo. E infatti, appunto in considerazione della limitatezza<br />

dei compiti della Commissione e della garanzia rappresentata dalla<br />

necessità di una preventiva deliberazione dell'Assemblea - condizionata<br />

dal presupposto dell'urgenza e nella quale vengono altresì formulati i<br />

criteri direttivi a cui la Commissione dovrà attenersi - è estranea alla<br />

logica dell'istituto, oltre che alla lettera dell'art. 85, l'applicabilità della<br />

rimessione, cioè la possibilità da parte dei soggetti legittimati dal terzo<br />

comma dell'art. 72 Cost. di provocare il ritorno all'Assemblea dell'esame<br />

integrale del progetto (147).<br />

Una sorta di rimessione, meglio definibile in tal caso come « richiamo<br />

all'Assemblea », potrebbe quindi aversi nella sola ipotesi di<br />

revoca della delega, in base ai principi generali e a seguito di nuova<br />

e contraria deliberazione dell'Assemblea stessa. Nella teorica della « redigente<br />

», infatti, l'applicazione della figura della delega, comunemente<br />

(146) Il procedimento della sede « redigente » è infatti simile alla proposta formulata<br />

dal deputato Mortati alla Costituente, che, già si disse, costituì il primo<br />

passo verso un effettivo decentramento legislativo a mezzo delle Commissioni.<br />

(147) In tal senso ebbe a deliberare a maggioranza la Commissione giustizia in<br />

sede «redigente», durante la seduta del 20 settembre 1949, in cui fu sostenuta appunto<br />

l'inapplicabilità della rimessione in tale sede, non potendo la Commissione<br />

spogliarsi di una competenza attribuitale dall'Assemblea.<br />

Una ulteriore pronuncia nello stesso senso si ebbe da parte della Camera nella<br />

seduta del 29 novembre 1949, in sede di approvazione degli articoli e di approvazione<br />

finale del disegno di legge « Disposizioni per le locazioni e sublocazioni di immobili<br />

urbani » (105), per il quale l'Assemblea aveva esaurito la discussione generale, poi approvato<br />

i primi tre articoli, nei quali riteneva contenuti i principi fondamentali della<br />

legge, quindi rinviato alla Commissione in sede " redigente " la formulazione degli<br />

altri, considerati di derivazione tecnica. Il principio fu affermato dal Presidente Gronchi<br />

contro richiamo al Regolamento del deputato Paolucci, che fu votato e respinto.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 497<br />

scontata da parte della dottrina, non sembra poter trovare serie difficoltà,<br />

attesa la necessità di specifiche deliberazioni del plenum, che di<br />

volta in volta stabiliscono i principi cui la funzione deve uniformarsi.<br />

Coerentemente con quanto fin qui detto, non sembra esistano<br />

ragioni per escludere la possibilità di una delega parziale (limitata<br />

cioè a taluni articoli di un progetto) o plurima (a Commissioni riunite)<br />

(148).<br />

Il procedimento « misto » sembra dunque richiamarsi, piuttosto che<br />

al terzo comma dell'art. 72 Cost., al secondo comma dello stesso articolo,<br />

che demanda ai regolamenti delle Camere la previsione di procedimenti<br />

abbreviati per i progetti di legge dei quali venga dichiarata l'urgenza.<br />

Che questa fosse l'impostazione dell'istituto fu del resto avvertito<br />

fin dal momento in cui lo stesso venne proposto all'approvazione della<br />

Camera. La relazione della Giunta per il Regolamento, infatti, poneva<br />

in evidenza che nel caso in esame trattavasi « di una vera e propria<br />

delega deliberata per l'urgenza dalla Camera, a norma del secondo comma<br />

dell'art. 72 Cost. ».<br />

Durante la vivace discussione svoltasi nella seduta del 15 novembre<br />

1949 tutti gli oratori intervenuti affrontarono il delicato tema della costituzionalità<br />

di questa norma, muovendo appunto dalla premessa suaccennata.<br />

Gli oratori favorevoli all'innovazione (149) ne difesero la conformità<br />

ai principi della Costituzione, sostenendo non essere violata alcuna<br />

(148) Del primo caso si ebbe applicazione nella seduta della Camera del 7 dicembre<br />

1950 per la discussione del disegno di legge « Norme sulla perequazione tributaria<br />

e sul rilevamento straordinario fiscale » (1619). Dopo la trattazione degli ordini<br />

del giorno, il Presidente Gronchi comunicò che la Commissione, unanimemente,<br />

proponeva di deferire alla sede redigente la formulazione degli articoli, ad eccezione<br />

di sette tra essi. Posta in votazione, tale proposta del relatore per la maggioranza,<br />

fatta su accordo, fu approvata.<br />

Del secondo caso si ha traccia nella seduta pomeridiana del 1° luglio 1952 per la<br />

discussione della proposta di legge de' Cocci « Norme modificative ed integrative agli<br />

articoli del testo unico di leggi sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con<br />

regio decreto dell'i 1 dicembre 1933, n. 1775, riguardanti l'economia delle zone montane».<br />

(2412). La Camera, dopo avere approvato con emendamenti uno schema di risoluzione<br />

Riva contenente i criteri informativi per il deferimento della formulazione degli articoli<br />

alla Commissione lavori pubblici in sede « redigente », fu chiamata a pronunziarsi su una<br />

proposta Fascetti di unire a tale Commissione, che già aveva condotto l'esame preliminare,<br />

anche la Commissione industria. Vi furono interventi contrari, fondati sull'opportunità<br />

di evitare ritardi, ed anche sul rilievo che l'art. 85 consente già ad ogni<br />

deputato « esterno » di presentare emendamenti e di partecipare alla loro discussione :<br />

non, però, su ragioni di principio. Poste in votazione, la proposta Fascetti fu respinta,<br />

e la proposta Riva (di deferire la formulazione alla sola Commissione lavori pubblici)<br />

fu approvata. Non fu adombrata, dunque, la tesi della inammissibilità.<br />

(149) Cfr. i discorsi dei deputati Avanzini, Tosato, Dominedò e Ambrosini in<br />

Atti della Camera dei deputati, 1949, pag. 13456 e segg.


498 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

garanzia prevista dal primo comma dell'art. 72 per l'ordinario procedimento:<br />

esame preliminare in Commissione, discussione generale e votazione<br />

degli articoli e del provvedimento nel suo complesso da parte dell'Assemblea<br />

rimanevano fermi, dal momento che la delega alla Commissione<br />

veniva limitata alla formulazione definitiva del testo, da sottoporre<br />

successivamente al plenum. Sottolineate le garanzie di applicazione<br />

- presupposto dell'urgenza, determinazione di criteri direttivi, diritto di<br />

partecipazione di deputati « esterni » alla Commissione - si concludeva<br />

quindi a favore della legittimità della disposizione, riconducendola al<br />

secondo comma dell'art. 72 della Carta costituzionale.<br />

Da parte dell'opposizione (150) si obiettò che il proposto art. 85<br />

sottraeva all'Assemblea la parte sostanziale del dibattito, cioè l'esame<br />

degli articoli, per delegarla a Commissione; ciò avveniva al di fuori<br />

delle garanzie per le minoranze previste per la sede legislativa dal terzo<br />

comma dell'art. 72 Cost., e senza che l'Assemblea restasse in grado,<br />

essendo preclusa la discussione degli articoli, di esprimere una valutazione<br />

sulla corrispondenza dell'operato della Commissione ai criteri direttivi<br />

stabiliti dalla Camera. Si aggiunse inoltre che i procedimenti abbreviati,<br />

previsti dal secondo comma dell'art. 72 Cost., altro non possono<br />

significare che accorciamento dei termini del procedimento normale (conformemente<br />

a quanto previsto dal Regolamento della Camera fin dallo<br />

inizio del secolo) : né possono legittimare, dunque, attribuzione alla Commissione<br />

di poteri deliberativi, ancorché limitati, che è ipotesi distinta,<br />

contemplata dal successivo comma dello stesso articolo della Carta costituzionale<br />

e coperta dalla rimessione in Assemblea.<br />

La norma venne infine approvata nel nuovo testo concordato dalla<br />

Giunta che, tenendo conto di due proposte di modifica avanzate nel<br />

corso della discussione, sostituiva la dizione « criteri informativi » a<br />

quella precedente « criteri direttivi », e prevedeva esplicitamente il diritto<br />

di ogni deputato « esterno » a Commissione di presentare a questa<br />

emendamenti e di partecipare ai lavori per la loro discussione.<br />

Ma il contrasto di opinioni verificatosi alla Camera non ha mancato<br />

di riflettersi in dottrina : riecheggiano in questa, sostanzialmente, gli stessi<br />

argomenti prò e contro la legittimità costituzionale dell'art. 85 Reg. (151).<br />

(150) Cfr. in particolare i discorsi dei deputati Capalozza, Gullo e Laconi in<br />

Atti della Camera dei deputati, 1949, pag. 13453 e segg.<br />

(151) Sono favorevoli, tra gli altri, alla costituzionalità della disposizione BAL-<br />

LADORE PALLIERI, op. cit. ; TESAURO, Istituzioni di diritto pubblico, voi. I, Torino 1966 ;<br />

VIROA, op. cit. Contrario è il MORTATI, Istituzioni cit. Perplesso il BISCARETTI di<br />

RUFFIA, op. cit.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 499<br />

La tesi dell'incostituzionalità è sostenuta con particolare vigore dal<br />

Mortati. Per questo autore, dal sistema dell'art. 72 Cost., che ha esattamente<br />

delimitato l'ambito dei poteri delle Commissioni, consegue necessariamente<br />

che per i casi urgenti il Regolamento possa solo abbreviare<br />

i termini della procedura normale in Assemblea plenaria. Del resto -<br />

sempre ad avviso del Mortati - un procedimento come quello della<br />

Commissione in sede « redigente », nel quale è totalmente assente ogni<br />

prefìssione di termini, non può ritenersi idoneo a sodisfare l'urgenza<br />

che dovrebbe costituirne la base; tanto che appare più adeguata allo<br />

scopo la procedura della Commissione in sede legislativa con rimessione<br />

all'Assemblea limitatamente alla sola votazione finale. Ne discende - si<br />

conclude allora - che la ratio della sede « redigente » è di evitare la rimessione<br />

al plenum da parte dell'opposizione; la disposizione dell'articolo<br />

85 è dunque in aperto contrasto con la lettera e lo spirito dell'art. 72<br />

Cost., perché sottrae all'Assemblea il diritto di emendamento connesso<br />

al potere di deliberare sugli articoli, e ciò senza alcuna garanzia per le<br />

minoranze. Né l'obiezione è evidentemente superata dalla cautela disposta<br />

dal capoverso dell'art. 85: essa è volta, difatti, a far salvo il diritto<br />

dei deputati « esterni » di presentare emendamenti, non certo anche<br />

il diritto di tutti i deputati di pronunciarsi su di essi (152).<br />

Un tentativo di conciliare in qualche modo le opposte tesi, apparentemente<br />

in contrasto irriducibile tra loro, è stato fatto dall'Elia (153).<br />

Impostando il problema del rapporto Commissione-Assemblea dal punto<br />

di vista del rapporto maggioranza-minoranza, questo autore giunge a<br />

concludere che l'esclusione dell'Assemblea dal normale potere di emendamento<br />

non possa essere deliberata a maggioranza, ma debba essere<br />

accettata all'unanimità o da una maggioranza qualifìcatissima, pari ai<br />

nove decimi più uno dei membri dell'Assemblea stessa, ciò argomentando<br />

dal terzo comma dell'art. 72 Cost., che attribuisce ad un decimo del<br />

plenum il diritto di ottenere la procedura ordinaria.<br />

In verità sembra innegabile che la sede « redigente » sia qualcosa<br />

di essenzialmente diverso dalla sede referente, e che questa differenza<br />

consista appunto nel fatto che, nel primo caso, l'Assemblea delega poteri<br />

sostanzialmente deliberativi, sia pure limitatamente agli emendamenti<br />

(152) Si è perciò proposto (cfr. LONGI e STRAMACCI, Le Commissioni legislative,<br />

cit.) di risolvere la questione attraverso una modifica del Regolamento che consenta di<br />

presentare emendamenti in Assemblea, affinché questa voti su di essi senza discussione,<br />

analogamente a quanto avviene per gli articoli.<br />

(153) Cfr. ELIA, Commissioni, cit.


500 L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni<br />

presentati: la definitiva formulazione degli articoli comporta infatti una<br />

decisione sugli emendamenti, non anche invece deliberazione sull'articolo<br />

che dovrà essere votato dal plenum; in altri termini, la decisione, se non<br />

riguarda Van del provvedimento, ne investe certo il quomodo, cioè il<br />

contenuto.<br />

D'altra parte l'Assemblea, che è autorizzata dal terzo comma dell'art.<br />

72 Cost. ad investire in certi casi la Commissione dell'esame<br />

del progetto, anche fino alla sua approvazione definitiva, opera certamente<br />

nell'ambito della legittimità costituzionale allorché restringe fino<br />

al minimo sopra descritto il contenuto della delega.<br />

Ma il problema è appunto di vedere se, in vista della ristrettezza<br />

dei poteri conferiti alla Commissione, si possa o meno legittimamente<br />

prescindere da una specifica garanzia dei diritti delle minoranze, alle<br />

quali è riconosciuta, nella diversa, ma analoga ipotesi del procedimento<br />

decentrato, la facoltà di ottenere la rimessione in Assemblea, cioè la<br />

revoca della delega conferita.<br />

Non sembra possa negarsi che l'applicazione sic et simpliciter dell'istituto<br />

della rimessione alla sede « redigente » ne frustrerebbe lo spirito<br />

e ne altererebbe la fisionomia, che è pur sempre quella di un procedimento<br />

di urgenza; perciò, allo stato attuale della questione, il suggerimento<br />

di Elia, che realizza una analoga, ma preventiva tutela delle<br />

ragioni delle minoranze, potrebbe costituire - si ritiene - una valida<br />

indicazione dei limiti entro i quali l'applicazione della procedura prevista<br />

dall'art. 85 non presterebbe in alcun modo il fianco a censure di<br />

incostituzionalità. Questa indicazione appare inoltre molto interessante<br />

anche per le possibili implicazioni pratiche: ai fini cioè della rivalutazione<br />

di un istituto che indubbiamente presenta spiccate caratteristiche<br />

di funzionalità, ma la cui utilizzazione, dopo alcuni casi di ricorso ad<br />

essa nella prima legislatura, ha inevitabilmente risentito il peso delle<br />

gravi riserve di ordine costituzionale che lo hanno circondato fin dal suo<br />

sorgere (154).<br />

(154) I casi di applicazione nel corso della prima legislatura repubblicana furono<br />

i seguenti nove: 9 maggio 1949 (Modificazioni e aggiunte al codice di procedura civile);<br />

23 luglio 1949 pom. (Locazioni e sublocazioni di immobili urbani) ; 21 dicembre 1949<br />

pom. (Costituzione e funzionamento degli organi regionali); 15 marzo 1950 pom. (Riordinamento<br />

dei giudizi di assise) ; 7 dicembre 1950 (Norme sulla perequazione tributaria) ;<br />

1" febbraio 1952 pom. (Revisione del trattamento economico agli statali); 24 aprile<br />

1952 (Istituzione dell'E.N.I.); 1* luglio 1952 pom. (Integrazioni al testo unico sulle<br />

acque e sugli impianti elettrici) ; 10 dicembre 1952 (Risarcimento danni di guerra).<br />

Come si vede, si tratta di una serie di provvedimenti di notevole rilievo e complessità<br />

tecnica. Si noti inoltre come i due primi casi di deferimento risalgano a data<br />

addirittura anteriore all'introduzione dell'art. 85 nel Regolamento della Camera.


L'iter legislativo: discussione in Assemblea e nelle Commissioni 501<br />

Da più parti e a più riprese si è infatti manifestata l'esigenza di<br />

rendere in generale Yiter di esame dei progetti di legge più sollecito e<br />

costruttivo. Si è tra l'altro affermata l'opportunità che l'esame in Commissione<br />

si concentri soprattutto sugli articoli, riducendo allo stretto indispensabile<br />

la discussione generale di carattere politico, che più opportunamente<br />

e ampiamente potrà esser svolta in Assemblea (155). La Commissione,<br />

in effetti, è la sede più idonea per una elaborazione del testo<br />

degli articoli che si basi essenzialmente su motivazioni di ordine tecnico;<br />

mentre, d'altra parte, il rischio - in cui attualmente si incorre molto spesso<br />

- di una duplice, amplissima discussione generale nei due collegi va per<br />

certo evitato, ove si vogliano conferire maggiore « presa » e rapidità ai<br />

lavori parlamentari. Esattamente in questa ottica viene avanzata l'opportunità<br />

di far precedere l'esame in Commissione da una discussione preventiva<br />

in aula, con istanze di « fuga in avanti » della discussione generale<br />

e di riassorbimento in essa della ormai inutile « presa in considerazione<br />

».<br />

Finché gli sforzi per accrescere, anche da tal punto di vista, la funzionalità<br />

dell'istituto parlamentare si muoveranno in questa direzione,<br />

la procedura prevista dall'art. 85 appare dunque meritevole di essere<br />

attentamente riconsiderata: sembra essa infatti offrire in quella prospettiva<br />

- al di là delle perplessità di ordine tecnico-costituzionale, certamente<br />

non insuperabili attraverso una migliore formulazione della norma<br />

- una risposta valida e interessante alle questioni sollevate (156).<br />

[DARIO CASSANELLO]<br />

(155) In tal senso si espresse, ad esempio, il deputato Luzzatto nella seduta del<br />

9 febbraio 1965, in occasione della discussione del bilancio interno della Camera.<br />

(156) L'autore ringrazia vivamente il collega Vice Referendario dott. Donato<br />

Marra per la collaborazione prestata nella elaborazione della parte concernente le Commissioni.


CAPO IX<br />

L'ITER LEGISLATIVO : L'ESAME <strong>DEI</strong> B<strong>IL</strong>ANCI<br />

di Gian Carlo Perone


CAPO IX.<br />

L'ITER LEGISLATIVO: L'ESAME <strong>DEI</strong> B<strong>IL</strong>ANCI<br />

SOMMARIO: 1. Generalità. — 2. Progetti di riforma della procedura di approvazione<br />

del bilancio dello Stato. — 3. La legge 1° marzo 1964, n. 62. —<br />

4. La riforma regolamentare del 1965. — 5. L'esame in sede di Commissione.<br />

— 6. Gli emendamenti al bilancio. —- 7. Il rifiuto del bilancio; presentazione<br />

del bilancio da parte di un Governo dimissionario.<br />

1. - Il bilancio dello Stato presenta, oltre che complessi aspetti<br />

d'ordine politico, economico, sociale, amministrativo-contabile e giuridico,<br />

anche delicate questioni inerenti alla sua approvazione parlamentare<br />

(1). Del resto, la storia del regime parlamentare è intimamente legata<br />

al potere - e alle sue modalità di esplicazione - delle Assemblee<br />

rappresentative di deliberare intorno alle spese ritenute necessarie dall'Esecutivo<br />

e alle entrate destinate a far fronte alle prime.<br />

Risalendo alla Magna Charta Libertatum, si trova nello storico documento<br />

dell'Inghilterra medioevale il primo riconoscimento del diritto<br />

dei contribuenti di esercitare un controllo sull'imposizione dei tributi,<br />

subordinata all'approvazione del Consiglio Comune del Regno, che successivamente<br />

prese a chiamarsi Parlamento. Fin dalle origini, dunque,<br />

i destini del sistema parlamentare e delle procedure di approvazione<br />

dei tributi, dalle quali trae origine il vaglio parlamentare per i bilanci<br />

degli Stati moderni, si intrecciano.<br />

Il principio dell'annualità del bilancio, per il quale il bilancio deve<br />

riguardare le entrate e le spese riferibili ad un periodo di dodici mesi,<br />

scaturisce dalla prassi inglese, secondo cui quel Parlamento concedeva<br />

i fondi necessari per la vita dello Stato soltanto per dodici mesi: in tal<br />

modo, il sovrano era obbligato a convocare il Parlamento almeno una<br />

volta all'anno, e si rafforzava l'autorità del Parlamento stesso.<br />

Il sistema finanziario che sorse in Inghilterra dopo la rivoluzione<br />

del 1688-1689 costituì la maggiore sanzione del regime parlamentare: il<br />

(1) Per gli aspetti del bilancio dello Stato che esulano dal profilo attinente alla<br />

procedura parlamentare di approvazione, si rinvia a BUSCEMA, // bilancio dello Stato<br />

- delle regioni - dei comuni - delle province - degli enti pubblici istituzionali, Milano<br />

1966, e alla letteratura in quest'opera citata.


506 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

Parlamento non approvava deliberazioni finanziarie finché il re non<br />

gli avesse fatto qualche concessione o non avesse rinunciato ad opporsi<br />

a provvedimenti o indirizzi politici che gli dispiacevano. Tale processo<br />

rese i Comuni padroni della politica della corona e condusse al risultato<br />

che la scelta dei ministri del re dovesse avvenire nell'ambito del partito<br />

che aveva la maggioranza nel Parlamento, in quanto a costoro poteva<br />

ben essere confidata la conduzione degli affari per il compimento dei<br />

quali specificamente furono deliberati gli stanziamenti. In seguito, le<br />

singole proposte vennero raccolte in un unico bilancio preventivo; non<br />

di meno ciascuna di esse già rientrava in un piano generale compilato<br />

dal Tesoro (2).<br />

Il bilancio moderno è nato, dunque, con la monarchia costituzionale,<br />

allorché le Assemblee rappresentative si sono preoccupate di indagare<br />

circa l'utilizzazione dei tributi approvati. Tuttavia, la volontà di<br />

conservare privilegi assolutistici ha provocato decise resistenze dell'Esecutivo<br />

a sottomettersi all'approvazione e al controllo parlamentare del<br />

bilancio (3).<br />

Nella Prussia bismarckiana, dal conflitto costituzionale tra Esecutivo<br />

e Parlamento (4) è sorta la dottrina - diffusasi in tutta Europa - secondo<br />

la quale il bilancio è atto sostanzialmente del Governo e, in materia,<br />

i poteri del Parlamento sono assai limitati. Quella di bilancio<br />

sarebbe una legge in senso meramente formale, la quale non creerebbe<br />

diritto nuovo, non farebbe sorgere nuovi diritti ed obblighi per i cittadini<br />

e sarebbe di contenuto sostanzialmente amministrativo: il Parlamento<br />

commetterebbe un eccesso di potere, se intendesse esercitare intorno<br />

ad essa il medesimo sindacato cui sottopone la legge sostanziale,<br />

il quale implica la facoltà di modifica e di reiezione; eccesso legittimante,<br />

se del caso, addirittura lo scioglimento dell'Assemblea responsabile. Siffatte<br />

tesi hanno aperto una lunga e non sopita discussione circa i limiti<br />

del vaglio parlamentare del bilancio. Essa si è incentrata sulla natura<br />

dell'atto di approvazione delle Camere, ma, più in generale, si ricollega<br />

alla posizione da attribuirsi alle stesse di fronte alla politica del Governo.<br />

Di tale discussione si farà cenno quando si tratterà degli emendamenti<br />

alla legge di bilancio.<br />

(2) TREVELYAN, La rivoluzione inglese del 1688-89, Milano 1964.<br />

(3) Cfr. CHIMENTI e COEN, // Parlamento e la spesa pubblica, in « Democrazia e<br />

diritto», 1963, pag. 461; ESPOSITO, Legge, in «Nuovo digesto italiano», voi. Ili,<br />

Torino 1938, pag. 721.<br />

(4) Il Parlamento, per riaffermare i suoi poteri e per ostilità alla politica di<br />

guerra del Bismarck, rifiutava di approvare il bilancio annuale, e il Governo, in violazione<br />

della costituzione, approvava esso stesso il bilancio con decreti-legge, proseguendo<br />

nell'indirizzo politico osteggiato dal Parlamento.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 507<br />

La Costituzione italiana, all'art. 81, detta le seguenti disposizioni<br />

in materia di bilancio: « Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il<br />

rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del<br />

bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non<br />

superiori complessivamente a quattro mesi. Con la legge di approvazione<br />

del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.<br />

Ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi<br />

per farvi fronte ».<br />

Per l'approvazione di bilanci e di consuntivi è sempre adottata la<br />

procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte delle<br />

Camere; non è ammesso il referendum per le leggi di bilancio (artt. 72,<br />

ultimo comma, e 75, secondo comma, Cost.).<br />

Quanto alla disciplina contabile, sono ancora in vigore, con numerose<br />

e ripetute modifiche (tra le quali, di notevole rilievo, quella apportata<br />

dalla legge 1" marzo 1964, n. 62) il R. D. 18 novembre 1923? n. 2440,<br />

recante disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità<br />

generale dello Stato, ed il R. D. 23 maggio 1924, n. 827, contenente<br />

il relativo regolamento di esecuzione.<br />

Nell'attuale ordinamento italiano, sussiste una piena parità di poteri<br />

tra le due Camere in materia di esame e di approvazione del bilancio,<br />

in relazione alla completa parità riconosciuta, in generale, dalla<br />

Costituzione, ai due rami del Parlamento (5). Vigendo lo Statuto albertino<br />

(art. 10), la legge di bilancio doveva essere presentata prima alla<br />

Camera dei deputati: ora che entrambe le Assemblee sono elettive, il<br />

bilancio può ben essere presentato indifferentemente all'una o all'altra<br />

di esse. Quando, prima della legge 1° marzo 1964, n. 62 (6), il bilancio<br />

preventivo si scomponeva in altrettanti disegni di legge quanti erano i<br />

ministeri i cui stati di previsione occorreva approvare, si era stabilita<br />

una prassi in base alla quale i disegni di legge venivano suddivisi in<br />

due gruppi, l'uno comprendente i disegni di legge concernenti gli stati<br />

di previsione dei ministeri finanziari, economici e tecnici, l'altro quelli<br />

dei ministeri amministrativo-politici (7). Il primo gruppo veniva presentato<br />

alla Camera; il secondo, contemporaneamente, al Senato, invertendosi<br />

la presentazione l'anno successivo.<br />

(5) STRAMACCI M., Contributo all'interpretazione dell'art. 81 della Costituzione,<br />

in « Rassegna parlamentare », 1959, n. 12, pag. 158 e segg.<br />

(6) Si v. in proposito al successivo paragrafo 3.<br />

(7) Sulla classificazione dei ministeri e sul suo valore, cfr. CUOCOLO, // Governo<br />

nel vigente ordinamento italiano, voi. I, // procedimento di formazione - la struttura,<br />

Milano 1959, pag. 232 e segg.


508 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

Il primo comma dell'art. 81 stabilisce che le Camere approvano<br />

annualmente « i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo<br />

». La Costituzione, dunque, impone al Governo di presentare due<br />

provvedimenti attinenti a diversi oggetti. Il bilancio preventivo dello<br />

Stato contempla - adeguandosi al sistema della competenza - le entrate<br />

che si ritiene potranno produrre durante l'esercizio considerato i diversi<br />

cespiti stabiliti dalle leggi e quelli eventuali che sono disponibili; e le<br />

spese che il Governo è autorizzato a disporre, nel corso dell'esercizio<br />

medesimo, per provvedere ai pubblici servizi ed agli obblighi assunti<br />

dallo Stato (art. 127 del citato regolamento per l'amministrazione del<br />

patrimonio e la contabilità generale dello Stato). Il rendiconto consuntivo<br />

riassume i risultati della gestione dell'anno finanziario trascorso ed<br />

è costituito dalla dimostrazione analitica delle entrate effettivamente riscosse<br />

e delle spese effettivamente erogate.<br />

Concettualmente distinti, i due documenti presentano, tuttavia, organici<br />

rapporti. L'esame e l'approvazione parlamentare del rendiconto<br />

costituiscono il coronamento del cosiddetto « diritto al bilancio ». La<br />

deliberazione parlamentare sul bilancio di previsione è destinata ad<br />

integrarsi con l'esame dei risultati effettivi della gestione, i quali dovrebbero<br />

servire al Parlamento da guida per l'esame dei bilanci futuri (8).<br />

Nei fatti, l'approvazione dei consuntivi ha segnato lunghi ritardi: le Camere,<br />

poste di fronte all'indilazionabile necessità - resa più cogente dall'art.<br />

81 Cost. - di approvare tempestivamente i bilanci preventivi, a<br />

causa del progressivo aumento dei lavori parlamentari e stante la mancanza<br />

di un termine costituzionale per l'approvazione dei rendiconti,<br />

hanno trascurato l'esame e l'approvazione di questi ultimi, già presentati<br />

dal Governo con notevole ritardo. L'interesse per i rendiconti si è<br />

attenuato anche per la circostanza che il Governo che li aveva presentati,<br />

di solito, era diverso da quello che aveva gestito il corrispondente<br />

bilancio e avrebbe quindi dovuto fornire le giustificazioni ai rilievi dei<br />

parlamentari (9). Occorre, per altro, rilevare che, recentemente, si è manifestata<br />

un'inversione di tendenza: i disegni di legge concernenti i bilanci<br />

per gli esercizi 1967 e 1968 sono stati presentati - e approvati -<br />

contemporaneamente a quelli concernenti i rendiconti, rispettivamente,<br />

per gli esercizi 1965 e 1967.<br />

È stato osservato che un surrogato del mancato esame tempestivo<br />

dei rendiconti è rappresentato dalla presentazione al Parlamento della<br />

(8) BUSCEMA, op. cit., pag. 326 e segg. Si v. inoltre le osservazioni dell'on.<br />

Fabbri nella seduta pomeridiana del 28 febbraio 1968.<br />

(9) VIRGA, Diritto costituzionale, 6* edizione, Milano 1967, pag. 227, nota 19.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 509<br />

Relazione generale sulla situazione economica del paese (10). Ma appunto<br />

il fatto che i conti consuntivi dello Stato non siano stati sollecitati<br />

o esaminati dal Parlamento ha indotto a riconoscere delle carenze<br />

nella Costituzione in merito agli strumenti di controllo del Parlamento<br />

sul Governo (11). Il Regolamento della Camera non prevede norme speciali<br />

per l'esame dei rendiconti, ai quali si applica la disciplina ordinaria<br />

dei disegni di legge: non sono mancati, per altro, auspici nel senso<br />

di una modifica del Regolamento che estenda ai rendiconti la procedura<br />

prevista per i bilanci.<br />

L'art. 81 usa l'espressione « bilanci ». Essa, accolta dal legislatore<br />

costituente per evitare la presentazione di un bilancio non distinto per<br />

ministeri (il termine bilancio è impiegato nel senso di stato di previsione<br />

delle spese di un dato ministero) (12), non comporta l'esclusione<br />

della presentazione di un unico disegno di legge comprendente tutti gli<br />

stati di previsione per i singoli ministeri. Si è contestato, d'altro canto,<br />

che il plurale impiegato dalla menzionata disposizione significhi che ogni<br />

stato di previsione costituisca un bilancio: la nozione di bilancio presupporrebbe<br />

masse contrapposte di attivo e di passivo da fare « bilanciare »,<br />

e pertanto il plurale in questione andrebbe interpretato in riferimento<br />

alla serie indefinita dei bilanci dello Stato (13). Ma resterebbe allora da<br />

spiegare la ragione dell'impiego del singolare per l'espressione « rendiconto<br />

consuntivo ». In ogni caso, il requisito costituzionale è integrato<br />

non necessariamente da una pluralità di disegni di legge, bensì anche<br />

da un'articolazione per stati di previsione dei singoli ministeri di un<br />

unico disegno di legge di bilancio (14).<br />

Il primo comma dell'art. 81 sancisce il principio dell'annualità del<br />

bilancio, adeguandosi così ad una regola accolta in tutti gli Stati, ma<br />

con diverse applicazioni: mentre in taluni si segue la decorrenza dell'anno<br />

solare (ad esempio, Belgio, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi),<br />

in altri si segue una decorrenza diversa, sempre per un periodo di do-<br />

(10) BUSCEMA, op. cit., pag. 320. Si v., circa la Relazione generale, il successivo<br />

paragrafo 3.<br />

(11) M. S. GIANNINI, Parlamento e Amministrazione, in « Amministrazione civile<br />

», 1961, nn. 47-51, pag. 157. Una maggiore sollecitudine è stata invocata, su<br />

un altro piano, anche in ordine alla presentazione, da parte del Governo, delle note<br />

di variazioni al bilancio, e all'approvazione delle stesse da parte delle Camere :<br />

si v., tra l'altro, le sedute del 28 febbraio e dell'8 marzo 1968.<br />

(12) Atti dell'Assemblea Costituente, Discussioni, Vili, pag. 1320.<br />

(13) BENTIVEGNA, Elementi di contabilità di Stato, 4 a ed., Milano 1965, pag. 188,<br />

nota 34.<br />

(14) MACCANICO, L'articolo 81 della Costituzione nel sistema delle garanzie costituzionali<br />

della spesa pubblica, in « Studi sulla Costituzione » a cura del Comitato<br />

nazionale per la celebrazione del primo decennale della promulgazione della Costituzione,<br />

voi. II, Milano 1959, pag. 534.


510 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

dici mesi, ma con diversi termini iniziali e finali (ad esempio, nella Germania<br />

federale, 1° aprile-31 marzo) (15).<br />

Nulla prescrivendo direttamente la Costituzione, fino al 1964 in<br />

Italia l'anno finanziario ha avuto decorrenza 1° luglio-30 giugno.<br />

Il Parlamento, quando non faccia a tempo ad approvare il bilancio<br />

entro il termine stabilito dalla legge, può concedere l'esercizio provvisorio,<br />

in forza del quale è consentito dare inizio alla gestione del bilancio<br />

prima ancora che esso sia stato discusso e votato dal Parlamento:<br />

e cioè si possono effettuare le spese ed introitare i tributi come<br />

se il bilancio fosse già stato approvato. L'entrata si può riscuotere fino<br />

al termine fissato dal Parlamento e la spesa si può erogare per tanti dodicesimi<br />

della somma segnata in ogni capitolo del bilancio quanti sono<br />

i mesi per i quali l'esercizio provvisorio è concesso. Il secondo comma<br />

dell'art. 81 precisa che l'esercizio provvisorio non può essere concesso<br />

se non per legge e ne fissa il termine massimo complessivo in quattro<br />

mesi (16).<br />

2. - La procedura adottata dalla Camera dei deputati, nella prima<br />

legislatura repubblicana, per l'esame dei bilanci (artt. 32 e 33 Reg.) si<br />

imperniava - scomponendosi il bilancio in numerosi e distinti disegni di<br />

legge: uno per le entrate, e, per le spese, altrettanti quanti erano i ministeri<br />

- sull'esame preliminare, da parte della Commissione finanze e tesoro,<br />

degli stati di previsione dei ministeri del bilancio, delle finanze e<br />

del tesoro, nonché del riepilogo generale della spesa contenuto nello<br />

stato di previsione del Ministero del tesoro. In quest'ultimo caso, la<br />

Commissione si suddivideva in Sottocommissioni per gruppi di ministeri,<br />

integrate da un Comitato di nove membri, designati di volta in<br />

volta, per ciascun bilancio, dal Presidente della Commissione competente<br />

per materia. Le nomine delle Sottocommissioni e dei Comitati<br />

dovevano rispettare il principio della rappresentanza proporzionale e<br />

assicurare in ogni caso la partecipazione delle minoranze. Il presidente<br />

della Commissione finanze e tesoro presiedeva le Sottocommissioni<br />

riunite.<br />

Gli altri stati di previsione erano invece esaminati dalle singole<br />

Commissioni competenti per materia, le quali li presentavano alla discussione<br />

della Camera con propria relazione. Per tale esame, ciascuna<br />

(15) Ragioneria generale dello Stato, / bilanci statali nei Paesi della Comunità<br />

economica europea, Roma 1959.<br />

(16) Dall'economia di un'indagine circoscritta all'approvazione parlamentare del<br />

bilancio dello Stato esulano i problemi riguardanti la struttura, i requisiti, il conte-


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 511<br />

delle Commissioni era integrata da nove membri della Commissione<br />

finanze e tesoro, designati, di volta in volta, per ciascun bilancio, dal<br />

Presidente della Commissione finanze e tesoro stessa.<br />

Le relazioni sui bilanci dovevano essere presentate entro il mese<br />

di febbraio. La discussione in Aula dello stato di previsione del Ministero<br />

del tesoro precedeva quella degli stati di previsione degli altri<br />

ministeri.<br />

Quest'ultima disposizione risultava profondamente innovativa rispetto<br />

alla consuetudine parlamentare tradizionale (costantemente seguita<br />

da quando, con il testo unico 17 febbraio 1884, n. 2016, fu istituito<br />

il riepilogo generale della spesa, annesso allo stato di previsione<br />

dell'entrata) per la quale il riepilogo generale era sempre approvato per<br />

ultimo, dopo tutti gli altri stati di previsione; e dava luogo al « blocco »<br />

degli stanziamenti complessivi, prima di passare alla valutazione della<br />

spesa per le singole amministrazioni (17).<br />

Il reiterato ricorso all'esercizio provvisorio (18) nonché l'eccessiva<br />

durata, frammentarietà e sterilità delle discussioni parlamentari dettero<br />

luogo a polemiche che investirono le modalità di approvazione del<br />

bilancio dello Stato da parte delle Camere e furono all'origine di numerosi<br />

tentativi di modifiche legislative e dei regolamenti parlamentari<br />

(19).<br />

Già nel corso della prima legislatura repubblicana furono avanzate<br />

proposte intese a riunire tutti gli stati di previsione in un unico disegno<br />

di legge. Tale misura venne suggerita dal comitato di studio per<br />

la riforma della discussione dei bilanci istituito nel 1949 e composto<br />

da un Vicepresidente del Senato, da un Vicepresidente della Camera e<br />

dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri;<br />

e fu oggetto di un disegno di legge, presentato, il 13 dicembre 1950, dal<br />

ministro Pella, provvedimento che, approvato dalla Camera, non fu invece<br />

accolto dal Senato.<br />

nuto e gli aspetti dello stesso. Dei problemi costituzionali del bilancio, si è fatto cenno<br />

nella misura in cui rilevino per la comprensione delle norme dei regolamenti parlamentari<br />

sull'iter della legge di bilancio ; per tali problemi, e in particolare per le<br />

relazioni tra Parlamento e Governo sotto il profilo del bilancio, si rinvia al capo XI,<br />

riguardante la funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo.<br />

(17) MACCANICO, op. cit., pag. 523.<br />

(18) Dall'entrata in vigore della Costituzione, il Parlamento mai è riuscito ad<br />

approvare bilanci nei termini di legge. Solo nell'esercizio 1956-1957 gli stati di previsione<br />

furono approvati appena venti giorni dopo la scadenza del 30 giugno, e ciò fu<br />

salutato come un successo: MACCANICO, op. cit., pag. 522.<br />

(19) STRAMACCI, op. cit., pag. 165; dello stesso autore si v. anche La nuova procedura<br />

per l'esame dei bilanci della Camera dei deputati, estratto da « Montecitorio »,<br />

1961, n. 1.


512 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

Sempre nel corso della prima legislatura, fu presentato dai senatori<br />

Ruini, Paratore ed altri un progetto di legge con il quale, tra l'altro,<br />

si mirava a fare coincidere l'anno finanziario con l'anno solare: alla<br />

conseguita approvazione del Senato, però, non fece seguito quella della<br />

Camera.<br />

Nella seconda legislatura, la modifica della discussione dei bilanci,<br />

già oggetto dell'attenzione del senatore Bertone nella sua relazione allo<br />

stato di previsione del tesoro per il 1954-1955, fu auspicata nella relazione<br />

allo stato di previsione del tesoro per il 1955-1956 presentata<br />

dall'onorevole Castelli Avolio. Nel documento si chiedeva una modifica<br />

della legge di contabilità dello Stato, al fine di riunire in due soli disegni<br />

di legge tutti i bilanci. Il primo avrebbe dovuto avere per oggetto<br />

lo stato di previsione dell'entrata - con annesso il riepilogo generale dell'entrata<br />

e della spesa -; e il secondo l'intero stato di previsione della<br />

spesa, con il riepilogo della spesa per i singoli ministeri e con i bilanci<br />

delle amministrazioni autonome dello Stato.<br />

All'indicazione delle riforme legislative si accompagnava quella delle<br />

corrispondenti modifiche regolamentari. La Commissione finanze e tesoro<br />

avrebbe dovuto procedere all'esame preliminare dei due disegni<br />

di legge. Quello concernente lo stato di previsione della spesa avrebbe<br />

dovuto essere inviato anche alle Commissioni competenti per materia,<br />

per il parere sulla parte di loro spettanza e la nomina di un relatore<br />

speciale investito del compito di collaborare alla redazione della relazione<br />

finale. Il relatore generale avrebbe dovuto essere nominato dalla<br />

Commissione finanze e tesoro. Al termine della discussione generale in<br />

Aula e dopo l'approvazione del riepilogo della spesa per i ministeri,<br />

le singole parti dello stato di previsione e i corrispondenti articoli del<br />

disegno di legge sarebbero stati rimessi alle Commissioni competenti per<br />

la formulazione definitiva dei capitoli e degli articoli, spettando alla<br />

Camera l'approvazione degli stessi - senza discussione né dichiarazioni<br />

di voto - nonché l'approvazione dell'intero provvedimento, con dichiarazioni<br />

di voto. Analoga procedura era prevista per il disegno di legge<br />

concernente lo stato di previsione dell'entrata. Siffatta procedura rischiava<br />

di porsi in contrasto con il disposto dell'ultimo comma dell'art.<br />

72 Cost., che prescrive la procedura normale di esame e di approvazione<br />

diretta da parte della Camera per i disegni di legge di approvazione<br />

di bilanci.<br />

Una Commissione interparlamentare di studio fu incaricata di affrontare<br />

organicamente la materia. Nel novembre del 1956, la Commissione<br />

concluse i suoi lavori proponendo modifiche alla legge di con-


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 513<br />

tabilità dello Stato - ispirate al criterio di unificare in un unico disegno<br />

di legge lo stato di previsione dell'entrata e gli stati di previsione della<br />

spesa - e ai regolamenti parlamentari. Quanto a questi ultimi, si proponeva<br />

di deferire l'esame del disegno di legge di bilancio a tutte le<br />

Commissioni permanenti, che avrebbero dovuto redigere una relazione<br />

scritta sulla parte di propria competenza. La Commissione finanze e<br />

tesoro si sarebbe, quindi, costituita in Giunta del bilancio, con la partecipazione<br />

dei presidenti e dei relatori delle altre Commissioni. La<br />

Giunta del bilancio, dopo aver proceduto all'esame del disegno di legge,<br />

avrebbe trasmesso all'Aula una relazione generale (20). Per la discussione<br />

in Aula, si proponeva di organizzare la discussione ai sensi dell'art.<br />

13-bis Reg. Camera. La discussione generale sarebbe stata suddivisa<br />

per stati - o per gruppi di stati - di previsione, e avrebbe avuto<br />

la precedenza il dibattito sullo stato di previsione dell'entrata e sui<br />

riepiloghi generali del bilancio. Esaurita la discussione generale, si sarebbe<br />

passati alla discussione e alla votazione dei capitoli e degli articoli<br />

del disegno di legge: prima di quelli relativi allo stato di previsione<br />

dell'entrata e al riepilogo generale, quindi di quelli relativi agli<br />

stati di previsione della spesa.<br />

Le proposte della Commissione interparlamentare furono tradotte<br />

in due identici progetti di legge, presentati, alla Camera, dall'onorevole<br />

Ferreri, e, al Senato, dal senatore Bertone. La legislatura, tuttavia, si<br />

chiuse senza che il problema fosse stato definito.<br />

Di fronte agli ostacoli incontrati per un'organica riforma legislativa<br />

e regolamentare della procedura di approvazione del bilancio dello<br />

Stato, nella terza legislatura si è proceduto gradualmente e per via<br />

di prassi.<br />

Con l'istituzione della Commissione bilancio, alla sua esclusiva competenza<br />

venne deferito l'esame preliminare degli stati di previsione dei<br />

ministeri del bilancio e delle partecipazioni statali, quello dei rendiconti<br />

generali dell'amministrazione dello Stato nonché quello dei riepiloghi<br />

generali dell'entrata e della spesa contenuti nello stato di previsione del<br />

Ministero del tesoro. In quest'ultimo caso, nella Commissione bilancio<br />

si verificava una suddivisione in Sottocommissioni analoga a quella precedentemente<br />

stabilita per la Commissione finanze e tesoro; e, analogamente,<br />

ciascuna Commissione permanente competente per materia,<br />

(20) Il sistema proposto presentava analogie con l'antico sistema di esame preliminare<br />

dei progetti di legge affidato agli Uffici.<br />

19.


514 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

nell'esame dei bilanci dei vari ministeri, era integrata da nove membri<br />

della Commissione bilancio (21).<br />

Il 29 aprile 1959, la Conferenza dei Presidenti, in accoglimento di<br />

analogo voto formulato dalla Giunta per il Regolamento nella seduta<br />

del 24 dello stesso mese, per lo snellimento della discussione dei bilanci,<br />

decise, ai sensi dell'art, l'i-bis Reg., di adottare princìpi innovativi.<br />

In ordine alla discussione in Aula di ciascuno stato di previsione, si deliberò<br />

di stabilire un limite di tempo entro il quale il relativo disegno<br />

di legge doveva essere approvato; tale tempo doveva essere ripartito tra<br />

i gruppi in proporzione alla rispettiva entità, previa determinazione del<br />

numero degli oratori che potevano intervenire nel dibattito. Durante<br />

l'esame preliminare in Commissione, venne consentita la presentazione,<br />

l'illustrazione e la votazione di ordini del giorno: per quelli approvati<br />

o accettati dal Governo fu deliberata la non riproponibilità in aula; per<br />

quelli respinti, la riproponibilità venne subordinata alla firma di dieci<br />

deputati o di un presidente di gruppo, e comunque per tali ordini del<br />

giorno venne stabilita soltanto la votazione con eventuali dichiarazioni<br />

di voto. Delle discussioni in Commissione dovettero redigersi appositi<br />

resoconti stenografici, da allegarsi alla relazione per l'Aula. A ciascun<br />

deputato venne data facoltà di intervenire presso Commissioni diverse<br />

da quella di appartenenza, anche per presentare ordini del giorno, senza,<br />

però, diritto di voto. Le convocazioni delle Commissioni per l'esame<br />

preliminare dei bilanci, pertanto, dovevano essere inviate a tutti i deputati<br />

indistintamente (22).<br />

La novità più rilevante della procedura illustrata consiste nella facoltà<br />

concessa di presentare, illustrare e votare ordini del giorno in sede<br />

di Commissione referente. Si è voluto, così, alleggerire l'Aula di una<br />

fase macchinosa e lunga; e, nei fatti, le Commissioni si sono largamente<br />

avvalse della possibilità di affrontare approfonditamente, con<br />

questo strumento parlamentare, problemi tecnici e concreti. L'ordine del<br />

(21) In merito alla rispettiva competenza delle Commissioni bilancio e finanze<br />

e tesoro nell'esame degli stati di previsione dei ministeri finanziari, la Giunta per il<br />

Regolamento precisò che alla prima spettava di riferire alla Camera sulla relazione<br />

economica generale del Ministero del tesoro, valutando correlativamente l'impostazione<br />

complessiva della politica economico-finanziaria del Governo in sede di esame dello<br />

stato di previsione della spesa del Ministero del bilancio e dei riepiloghi generali dell'entrata<br />

e della spesa. Alla seconda spettava di valutare, sotto il profilo della politica<br />

dell'amministrazione finanziaria, gli specifici problemi tecnici dell'entrata e quelli della<br />

spesa dei ministeri delle finanze e del tesoro.<br />

(22) V. la circolare del Presidente Leone ai presidenti delle Commissioni permanenti<br />

4 maggio 1959. Circolari di analogo contenuto furono emanate per tutti gli<br />

esercizi successivi, fino alla modifica del bilancio dello Stato operata con la legge<br />

1° marzo 1964, n. 62.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 515<br />

giorno, per altro, è istituto estraneo alle Commissioni in sede referente,<br />

delle cui sedute non si pubblicano, d'altronde, i resoconti stenografici. La<br />

posizione delle Commissioni nell'esame preliminare di bilancio, pur restando<br />

sostanzialmente nell'ambito della sede referente, si caratterizzava,<br />

in tal guisa, per aspetti particolari, sui quali si avrà modo di soffermarsi<br />

più avanti.<br />

3. - Nella quarta legislatura repubblicana, la riforma legislativa<br />

della procedura di discussione - e degli stessi criteri di compilazione -<br />

del bilancio poteva finalmente essere varata. Ad essa sono seguite le<br />

connesse modifiche regolamentari.<br />

La legge 1° marzo 1964, n. 62 (denominata correntemente, dal nome<br />

del suo presentatore, « legge Curti »), ha modificato le norme sul bilancio<br />

dello Stato contenute nel R. D. 18 novembre 1923, n. 2440 (legge di<br />

contabilità generale dello Stato) (23). Le innovazioni più cospicue sono<br />

le seguenti.<br />

In primo luogo, la decorrenza dell'anno finanziario è stata spostata<br />

dal 1° luglio al 1° gennaio, così da farlo coincidere con l'anno solare (24).<br />

Conseguentemente, il termine per l'esercizio provvisorio è spostato al<br />

30 aprile; e quello per la presentazione al Parlamento, da parte del ministro<br />

del tesoro, di concerto con il ministro del bilancio, del rendiconto<br />

dell'esercizio finanziario scaduto e del bilancio di previsione per l'esercizio<br />

venturo, è spostato dal 31 gennaio al 31 luglio. Se non si è scongiurato<br />

il ricorso all'esercizio provvisorio - del quale ci si è dovuti valere<br />

anche dopo la « legge Curti » -, si è per altro inteso corrispondere<br />

alle necessità di porre il bilancio in sincronia con l'anno fiscale e con i<br />

dati della contabilità nazionale, di coordinare l'attività finanziaria con<br />

il « bilancio economico » del paese e di rendere omogeneo il bilancio<br />

dello Stato a quello degli altri enti pubblici e alle norme comunitarie.<br />

In secondo luogo, è stata introdotta una nuova distribuzione e classificazione<br />

delle entrate e delle spese dello Stato, abbandonando la tra-<br />

(23) Sulla riforma del bilancio dello Stato compiuta dalla « legge Curti » si v. :<br />

CUOMO, Osservazioni e proposte sulla disciplina dei bilanci e sulla procedura di approvazione,<br />

in « Rass. dir. pubbl. » 1963, I, pag. 277 e segg. ; MARZANO, La riforma del<br />

bilancio dello Stato, in «Ricerche econ. », 1964, fase. I; ZACCARIA F., La riforma del<br />

bilancio dello Stato, Roma 1964 ; SEPE, L'organizzazione del bilancio statale in Italia,<br />

in « Riv. amministrativa » 1966, pag. 694 e segg. ; Tosi, Lezioni di diritto parlamentare,<br />

Firenze 1966, pag. 237.<br />

(24) L'anno finanziario coincise fino al 31 dicembre 1883 con l'anno solare. Il<br />

bilancio del primo semestre del 1884 fu gestito separatamente. Con il 1° luglio 1884<br />

l'anno finanziario fu stabilito dal 1° luglio di ogni anno al 30 giugno dell'anno successivo.


516 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

dizionale impostazione patrimoniale-aziendalistica per un'altra informata a<br />

nuove classificazioni economico-funzionali, grazie alla cui adozione ci<br />

si è ripromessi di rendere il Parlamento edotto non soltanto dell'entità,<br />

bensì anche dello scopo delle spese. Parimenti, per agevolare la conoscenza<br />

e la valutazione delle Camere in ordine alle finalità perseguite<br />

dall'amministrazione pubblica nella sua politica della spesa, la legge<br />

n. 62 del 1964 ha stabilito - confermando così una prassi già in vigore -<br />

la presentazione, insieme con gli stati di previsione, di note preliminari<br />

le quali introducano, con sintetiche considerazioni, alla comprensione<br />

dei dati contenuti nei singoli capitoli.<br />

In terzo luogo, ha trovato sanzione legislativa l'antica aspirazione<br />

all'unicità della legge di bilancio: lo stato di previsione dell'entrata, gli<br />

stati di previsione della spesa dei singoli ministeri, con gli allegati bilanci<br />

degli enti pubblici e delle amministrazioni autonome e con il quadro<br />

generale riassuntivo (25) formano oggetto di un unico disegno di<br />

legge. Per la sua presentazione, si è seguito il criterio di sottoporlo alla<br />

Camera o al Senato con alternanza annuale.<br />

È tradizione, in numerosi Stati, che l'Esecutivo presenti al Parlamento<br />

una relazione sulla situazione economica del paese: in Gran Bretagna,<br />

ad esempio, il bilancio è accompagnato dal cosiddetto White<br />

paper. In Italia, il ministro del tesoro accompagna il bilancio con una<br />

nota preliminare, nella quale illustra sinteticamente il complesso delle<br />

previsioni finanziarie e dà ragione delle differenze tra le previsioni nuove<br />

e quelle dell'anno precedente. Inoltre, ogni anno, entro il primo giorno<br />

non festivo del mese di ottobre, il ministro del bilancio deve fare al<br />

Parlamento la Esposizione economico-finanziaria e il ministro del tesoro<br />

la Esposizione relativa al bilancio di previsione (art. 80 della legge di<br />

contabilità generale nel testo modificato dall'art. 1 della « legge Curti »):<br />

le due esposizioni derivano dalla scissione della Esposizione finanziaria<br />

in precedenza affidata al ministro del tesoro. Entro il mese di marzo,<br />

i ministri del bilancio e del tesoro debbono presentare al Parlamento la<br />

Relazione generale sulla situazione economica del paese (art. unico della<br />

legge 21 agosto 1949, n. 639, modificato dall'art. 2 della legge 1° febbraio<br />

1951, n. 26, nel testo successivamente modificato dall'art. 2 della « legge<br />

Curti »). Gli stessi ministri, entro il mese di settembre, debbono poi presentare<br />

alle Camere la Relazione previsionale e programmatica per l'anno<br />

successivo (art. 4 della « legge Curti »). Dal complesso dei prescritti do-<br />

(25) Il quadro generale riassuntivo sostituisce il riepilogo generale della spesa<br />

già contenuto nel bilancio del Ministero del tesoro ed è collocato alla fine della legge<br />

di bilancio.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 517<br />

cumenti, al Parlamento dovrebbe essere offerta la possibilità di una più<br />

consapevole valutazione della situazione economica del paese e dell'azione<br />

finanziaria del Governo.<br />

Come si è accennato, le riforme legislative hanno provocato modifiche<br />

regolamentari. Quanto al primo bilancio approvato dopo la « legge<br />

Curti », e cioè il bilancio semestrale di «saldatura» lo luglio-31 dicembre<br />

1964, non essendo stata ancora approvata la nuova disciplina<br />

regolamentare, la Conferenza dei Presidenti, il 14 maggio 1964, adottò<br />

alla stregua dell'art. 13-bis Reg., speciali decisioni per organizzare la<br />

discussione del bilancio stesso (26).<br />

Per l'esame preliminare, il bilancio fu assegnato ad una Commissione<br />

speciale composta di 75 membri, nominata dal Presidente su designazione<br />

dei gruppi. Ciascun gruppo poteva sostituire per ogni seduta<br />

non più di due componenti, ferma restando la libertà di accesso di ciascun<br />

deputato alle sedute della Commissione, senza diritto di voto, per<br />

presentare ordini del giorno. Di questi ultimi, potevano essere ripresentati<br />

in Aula soltanto quelli non accettati dal Governo o respinti dalla<br />

Commissione, purché sottoscritti da almeno dieci deputati. Gli emendamenti<br />

di iniziativa parlamentare dovevano essere presentati in Commissione<br />

e potevano essere ripresentati e svolti in Aula anche dal solo<br />

presentatore. I ministri competenti per materia erano tenuti a partecipare<br />

alle sedute della Commissione riservate all'esame dei rispettivi stati di<br />

previsione, salvo che ne fossero dispensati dalla Commissione stessa: a<br />

tale scopo, la Commissione - delle cui sedute venne redatto resoconto<br />

stenografico - ha provveduto all'organizzazione della discussione curando<br />

anche il raggruppamento degli interventi riguardanti la stessa<br />

materia.<br />

Circa la discussione in Aula, fu assegnato a ciascun gruppo un<br />

tempo complessivo per tutti i discorsi dei propri iscritti, compresi gli<br />

interventi relativi allo svolgimento degli ordini del giorno e degli emendamenti;<br />

al quale svolgimento si procedeva nel corso della discussione<br />

generale, con la conseguenza che ordini del giorno ed emendamenti dovevano<br />

essere presentati prima dell'inizio della discussione stessa. Nelle<br />

richieste di iscrizione a parlare, che i gruppi dovevano far pervenire<br />

prima dell'inizio della discussione, essi erano tenuti ad indicare la materia<br />

di ciascun intervento. I ministri competenti potevano - salva sempre<br />

la facoltà, loro riconosciuta dall'art. 64, ultimo comma, Cost., di<br />

essere sentiti ogni volta che lo richiedessero - intervenire sugli ordini del<br />

(26) V. la circolare del Presidente Bucciarelli Ducei ai presidenti delle Commissioni<br />

permanenti 18 maggio 1964.


518 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

giorno e sugli emendamenti riguardanti gli stati di previsione dei loro<br />

dicasteri, dovendo prendere la parola in sede di replica soltanto i ministri<br />

finanziari.<br />

4. - Il 4 febbraio 1965, la Camera ha approvato le modificazioni<br />

agli artt. 32 e 33 del Regolamento elaborate, nella seduta del 28 ottobre<br />

1964, dalla Giunta per il Regolamento e volte ad adeguare la procedura<br />

parlamentare alla nuova disciplina legislativa del bilancio dello<br />

Stato (27).<br />

La questione della sede per l'esame preliminare è stata risolta, scartata<br />

l'idea di costituire una speciale Giunta per il bilancio, deferendo<br />

l'esame stesso alla Commissione permanente bilancio, la quale adotta<br />

le norme che regolano in generale la procedura d'esame dei progetti<br />

di legge in sede referente. Il disegno di legge, per altro, contiene - come<br />

si è rilevato - gli stati di previsione dei singoli ministeri: si è disposto,<br />

quindi, di assegnarlo anche alle varie Commissioni permanenti per il<br />

parere sugli stati di previsione concernenti i ministeri sui quali esse<br />

hanno competenza. Il disegno di legge è altresì deferito alla Commissione<br />

finanze e tesoro, per il parere sullo stato di previsione dell'entrata<br />

(art. 32, primo comma, Reg.).<br />

Le singole Commissioni esaminano gli stati di previsione sia in<br />

ordine ai profili finanziari e contabili sia in ordine agli aspetti politici<br />

dell'azione del ministero e terminano il loro esame redigendo un parere<br />

scritto alla Commissione bilancio. Le conclusioni che le singole Commissioni<br />

esprimono differiscono, nella struttura e nelle dimensioni, da<br />

una relazione. I pareri contengono un riassunto delle posizioni emerse<br />

dal dibattito e delle sole conclusioni che interessino ai fini della discussione<br />

in Commissione bilancio (28); essi possono comportare proposte<br />

volte a modificare il contenuto degli stati di previsione. Le Commissioni,<br />

quindi, nominano un relatore, che riferisce l'orientamento e le deliberazioni<br />

scaturenti dai pareri espressi alla Commissione bilancio, alle<br />

cui sedute egli partecipa senza diritto di voto. Le Commissioni, inoltre,<br />

trasmettono alla Commissione bilancio gli eventuali pareri di minoranza,<br />

che sono illustrati in quella sede dal primo proponente, che parimenti<br />

ha facoltà di partecipare alle sedute di questa Commissione, senza<br />

diritto di voto (art. 32, secondo comma, Reg.).<br />

Si è sopra accennato che la Commissione finanze e tesoro, oltre<br />

ad esaminare gli stati di previsione della spesa dei ministeri rientranti<br />

(27) V. la relazione Restivo, presentata il 28 ottobre 1964 (Doc. X, n. 5).<br />

(28) Circolare del Presidente Bucciarelli Ducei ai Presidenti delle Commissioni<br />

30 ottobre 1964.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 519<br />

nella sua competenza (Ministero delle finanze e Ministero del tesoro),<br />

esamina anche lo stato di previsione dell'entrata. Infatti, essendo<br />

competente per l'attività legislativa in materia di entrate, ha titolo ad<br />

esprimere il parere sugli aspetti tecnici della politica fiscale, sulla struttura<br />

dei tributi, sulle questioni inerenti alle entrate extra-tributarie, al<br />

demanio e al patrimonio dello Stato, ai residui attivi e alle grandi linee<br />

della politica delle entrate. Da parte sua, la Commissione bilancio,<br />

prima della discussione del bilancio dello Stato nel suo complesso, esamina<br />

gli stati di previsione della spesa del Ministero del bilancio e del<br />

Ministero delle partecipazioni statali, nominando apposito relatore che<br />

redige parere scritto, al pari dei relatori delle altre Commissioni (29).<br />

Si è posto l'interrogativo se, in assenza di specifiche norme regolamentari<br />

ma in analogia con quanto disposto espressamente per l'esame<br />

del bilancio di previsione, ciascuna Commissione debba trasmettere il<br />

proprio parere alla Commissione bilancio anche sul rendiconto generale<br />

dell'amministrazione dello Stato per la parte relativa ai consuntivi dei<br />

ministeri di propria competenza. All'interrogativo deve darsi risposta<br />

negativa. Il rendiconto generale è assegnato alla competenza esclusiva<br />

della Commissione bilancio, per cui le altre Commissioni non sono chiamate<br />

ad esprimere pareri. Comunque, come per qualsiasi altro progetto<br />

di legge, il Presidente può disporre l'assegnazione del rendiconto generale<br />

a singole Commissioni per il parere sulla parte di loro competenza.<br />

In tal caso, per altro, si verserebbe nella ordinaria sede consultiva, e<br />

non si applicherebbe la disciplina dettata per i pareri delle singole Commissioni<br />

sul disegno di legge di bilancio.<br />

Sembra, d'altro canto, corretto che non si cominci la discussione<br />

dei pareri sugli stati di previsione dei singoli ministeri per l'esercizio<br />

venturo prima che il rendiconto generale dell'eserczio scaduto, che il<br />

Governo abbia provveduto a presentare alla Camera, sia stato interamente<br />

stampato (30). Infatti, i deputati componenti le Commissioni,<br />

nell'esame degli stati di previsione, debbono poter fare riferimento al<br />

rendiconto generale già presentato.<br />

La discussione in sede di Commissione bilancio concerne le grandi<br />

linee della politica economica - tenendo conto dei pareri espressi dalle<br />

singole Commissioni -, della politica tributaria, della spesa pubblica,<br />

(29) Circolare del Presidente Bucciarelli Ducei ult. cit.<br />

(30) La questione può porsi intanto in quanto il Governo assolva tempestivamente<br />

al suo obbligo costituzionale di presentazione del rendiconto, il che invece - si<br />

è già osservato -, per gli esercizi relativi agli anni del dopoguerra, non si è verificato.<br />

In concreto, invece, la questione è sorta quando si è avuta la presentazione contemporanea<br />

del bilancio di previsione per l'esercizio 1967 e del rendiconto generale per<br />

l'esercizio 1965.


520 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

degli investimenti, della politica monetaria, della politica per il Mezzogiorno,<br />

ecc. (31). La nuova procedura, insomma, concentra in questa<br />

Commissione l'esame dei dati complessivi dell'impostazione generale del<br />

bilancio, ma anche l'esame di tutti gli stati di previsione, per gli aspetti<br />

e per i problemi di innesto di ciascun settore con il quadro complessivo,<br />

con gli squilibri e con le armonie del bilancio (32).<br />

Mentre è prescritto che alle sedute delle singole Commissioni intervengano<br />

i ministri competenti (art. 32, secondo comma, Reg.), è lasciata<br />

al Presidente della Commissione bilancio la facoltà di chiedere<br />

l'intervento dei ministri competenti sui singoli stati di previsione (art. 32,<br />

terzo comma, Reg.). Infatti, non è sembrata essenziale la presenza in<br />

Commissione bilancio dei ministri che hanno già avuto modo di manifestare<br />

il punto di vista del Governo in sede di esame dei singoli stati<br />

di previsione. Per altro, potendosi rivelare occasionalmente utile, l'intervento<br />

è richiesto a giudizio della maggioranza, o della minoranza o<br />

dello stesso presidente della Commissione (33).<br />

Le posizioni della maggioranza emerse dal dibattito in sede di Commissione<br />

bilancio sono sintetizzate nella relazione scritta dal relatore<br />

generale; possono essere presentate relazioni di minoranza (art. 32, terzo<br />

comma, Reg.).<br />

In Aula, la discussione generale deve riguardare essenzialmente le<br />

linee della politica economica e finanziaria; e ad esse debbono riferirsi<br />

gli ordini del giorno ammessi, salvo.quelli già respinti, o non accettati in<br />

Commissione, e ripresentati in Aula. Comunque, i problemi politici di<br />

particolare rilievo concernenti singoli ministeri e gli argomenti di carattere<br />

settoriale che si ritenesse indispensabile discutere in Aula, possono<br />

trattarsi, esaurita la discussione generale, nella discussone dei singoli<br />

stati di previsione. Gli interventi in Aula - si è stabilito che le iscrizioni<br />

a parlare debbano essere presentate alla Presidenza, con l'indicazione<br />

dell'argomento, entro il giorno precedente l'inizio della discussione generale<br />

-, e le eventuali repliche dei ministri possono essere raggruppati<br />

per materia (34).<br />

(31) Circolare del Presidente Bucciarelli Ducei, ult. cit.<br />

(32) Problemi di competenza, di struttura e di organizzazione della Commissione<br />

bilancio. Documento presentato alla Commissione bilancio della Camera dal presidente,<br />

on. La Malfa, il 14 luglio 1965.<br />

(33) Relazione Restivo, cit.<br />

(34) Circolare del Presidente Bucciarelli Ducei, ult. cit. Si è affermato che la<br />

discussione delle politiche di settore, che tuttora ha luogo in Aula, condiziona negativamente<br />

l'obiettivo, indicato dalla riforma, di giungere entro la fine dell'anno finanziario<br />

all'approvazione del bilancio, costituendo un elemento di distorsione del sistema:<br />

in tal senso si è espresso l'on. Aurelio Curti, nella seduta pomeridiana del<br />

28 febbraio 1968.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 521<br />

Alla discussione generale, seguono la discussione e la votazione sui<br />

singoli capitoli - i quali costituiscono l'unità giuridica del bilancio - e<br />

sui singoli articoli. Per la votazione finale non è richiesta alcuna maggioranza<br />

qualificata: la proposta, avanzata in sede di Costituente, di<br />

stabilire una maggioranza di due terzi venne respinta (35).<br />

5. - Il sistema configurato dalla « legge Quii » e il proposito di<br />

eliminare, o quanto meno di limitare, il frequente ricorso all'esercizio<br />

provvisorio hanno indotto a predisporre, con le accennate modifiche<br />

regolamentari, un congegno procedurale inteso non soltanto a rendere<br />

più sintetica la discussione parlamentare, bensì anche ad abbreviare e<br />

circoscrivere rigidamente i termini per le singole fasi dell'/ter della legge<br />

di bilancio.<br />

Si è osservato che il periodo entro il quale, secondo il nuovo sistema<br />

legislativo, il Parlamento procede all'approvazione della legge<br />

di bilancio, in pratica - e cioè tenendo conto del tempo occorrente per<br />

la stampa del disegno di legge e delle vacanze estive - non è superiore<br />

a centoventi giorni (dal 1° settembre al 31 dicembre). Di essi, soltanto<br />

sessanta giorni sono da ritenersi disponibili per l'esame da parte di ciascuna<br />

delle due Camere. Conseguentemente, l'unica conveniente distribuzione<br />

di tale breve periodo di tempo è parsa quella che assegnasse<br />

venti giorni alle Commissioni competenti per i singoli stati di previsione,<br />

venti giorni alla Commissione bilancio e altrettanti alla discussione<br />

in Aula (36).<br />

Per garantire che effettivamente le singole Commisssioni concludano<br />

i loro lavori entro i venti giorni successivi alla stampa e alla distribuzione<br />

del disegno di legge di bilancio, le Commissioni, entro tre<br />

giorni dalla data di distribuzione e stampa, debbono riunirsi, convocate<br />

dai rispettivi presidenti o, in mancanza, dal Presidente della Camera<br />

(art. 32, commi secondo e quarto, Reg.).<br />

Scaduto il termine di venti giorni riservato alle singole Commissioni,<br />

si apre un nuovo termine di venti giorni entro il quale la Commissione<br />

bilancio esamina il disegno di legge e redige la relazione generale<br />

sul bilancio. La Commissione si riunisce, su convocazione del suo<br />

presidente o, in mancanza, del Presidente della Camera, entro venti giorni<br />

dalla distribuzione e stampa del disegno di legge (art. 32, commi terzo e<br />

quarto, Reg.). Quando la relazione generale sul bilancio non sia pre-<br />

19*.<br />

(35) Atti dell'Assemblea Costituente, Discussioni, Vili, pag. 1320.<br />

(36) Relazione Restivo, cit.


522 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

sentata nel termine prescritto, la discussione in Aula ha luogo sul disegno<br />

di legge presentato dal Governo, corredato dei pareri formulati<br />

dalle Commissioni (art. 33 Reg.).<br />

La severità del meccanismo dei termini è accentuata dalla disposizione<br />

che, derogando al generale disposto dell'art. 35 Reg., prescrive<br />

che i termini di cui trattasi si computino comprendendo in essi le vacanze<br />

(art. 32, sesto comma, Reg.).<br />

In relazione all'importanza dell'esame della legge di bilancio e seguendo<br />

la prassi andatasi consolidando negli ultimi anni, si è stabilita<br />

una particolare documentazione delle sedute delle Commissioni: e cioè,<br />

di esse è redatto, oltre al processo verbale, un resoconto stenografico,<br />

che è allegato alla relazione generale (art. 32, ultimo comma, Reg.). Il<br />

resoconto stenografico concerne soltanto le sedute delle singole Commissioni<br />

per i pareri sugli stati di previsione dei ministeri sui quali hanno<br />

competenza, e non già le discussioni nella Commissione bilancio, trattandosi<br />

di sede permanente referente. Viene invece redatto resoconto<br />

stenografico delle sedute della Commissione bilancio quando essa, prima<br />

della discussione sul bilancio dello Stato sul suo complesso, esamina gli<br />

stati di previsione della spesa dei ministeri del bilancio e delle partecipazioni<br />

statali (37).<br />

Le norme particolari che attengono all'esame degli ordini del giorno<br />

e degli emendamenti nelle Commissioni possono essere di volta in volta<br />

concordate dalla Conferenza dei Presidenti ai sensi dell'art. 13-bis Reg.<br />

(art. 32, quinto comma, Reg.). Il Regolamento della Camera, come suole<br />

assai spesso nel diritto parlamentare, ha accolto e trasfuso in norma<br />

scritta la prassi, recente ma confortata dall'autorevole origine in sede di<br />

Conferenza dei Presidenti, di presentare, svolgere e votare emendamenti e<br />

- ciò che è peculiare all'esame preliminare del disegno di legge di bilancio<br />

- ordini del giorno in Commissione. Dalla trattazione degli ordini<br />

del giorno è esclusa la Commissione bilancio, ma soltanto per la complessiva<br />

discussione del bilancio dello Stato: per quanto attiene all'esame<br />

degli stati di previsione della spesa del Ministero del bilancio e<br />

di quello delle partecipazioni statali, gli ordini del giorno sono ammessi.<br />

Come già per la esclusione della redazione del resoconto stenografico,<br />

la denegata ammissibilità degli ordini del giorno in Commissione<br />

bilancio, legata al rilievo che si versa in sede referente (38), induce, argomentandosi<br />

a contrario, a ritenere che là dove ordini del giorno sono<br />

(37) Circolare del Presidente Bucciarelli Ducei, ult. cit.<br />

(38) Circolare del Presidente Bucciarelli Ducei, ult. cit.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 523<br />

invece ammessi, e cioè in sede di esame, da parte delle singole Commissioni,<br />

degli stati di previsione dei ministeri di loro competenza, in sede<br />

referente non si versi. Si aggiunga la considerazione che il parere alla<br />

Commissione bilancio - secondo quanto si è già avuto occasione di rilevare<br />

- differisce, nella struttura e nelle dimensioni, da una relazione in<br />

senso proprio.<br />

Ovviamente, non si tratta di sede legislativa: semmai, ci si trova<br />

di fronte ad un'ipotesi di sede consultiva, ma sui generis. Le peculiarità<br />

attengono non già all'efficacia del parere (ben potendo la Commissione bilancio<br />

disattenderlo), sibbene alle modalità di elaborazione dello stesso,<br />

diversificate da quelle consuete alla sede consultiva, e assimilabili, per<br />

aspetti particolari, sia alla disciplina della sede referente sia a quella<br />

della sede legislativa. Il carattere proprio di una sede consultiva dei lavori<br />

delle singole Commissioni è di dar luogo ad un documento che<br />

non introduce direttamente alla fase deliberativa del provvedimento, rifluendo<br />

le conclusioni dei lavori stessi nel filtro della Commissione bilancio,<br />

cui spetta, per così dire, di istruire la discussione in aula. La denominazione<br />

stessa di « parere » che il Regolamento adotta per il documento<br />

conclusivo delle singole Commissioni evidenzia la natura consultiva<br />

della funzione delle Commissioni competenti per i singoli stati<br />

di previsione.<br />

Tali pareri, tuttavia, redatti in forma scritta, sono acclusi alla relazione<br />

generale della Commissione bilancio, si articolano per maggioranza<br />

e minoranza, e, soprattutto, sono il frutto di una sorta di « pre-esame<br />

preliminare e settoriale » cui le Commissioni sono chiamate da ragioni<br />

di economia e sintesi dell'intero iter della legge di bilancio.<br />

Dalla più recente storia delle novità procedurali, introdotte, in via<br />

di prassi, dalla Conferenza dei Presidenti, appare come l'esame delle singole<br />

Commissioni per il parere sugli stati di previsione derivi dall'esame<br />

preliminare delle Commissioni stesse, allora indubbiamente in sede referente,<br />

sui vari disegni di legge concernenti gli stati di previsione dei<br />

ministeri; e già allora - come si è fatto presente - potevano trattarsi<br />

ordini del giorno in Commissione.<br />

Allora come nella odierna disciplina, prevalenti sono state e sono<br />

le preoccupazioni pratiche di concentrazione della discussione del bilancio.<br />

La trattazione degli ordini del giorno in Commissione risponde piuttosto<br />

all'esigenza di alleviare le incombenze dell'Aula che a quella di<br />

conferire speciali poteri alle Commissioni, inerenti alla loro posizione<br />

di fronte al Governo. Il fatto stesso che sia restata alle Commissioni siffatta<br />

trattazione, ancorché sia mutata la loro funzione da referente a con-


524 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

sultiva, dimostra che la trattazione degli ordini del giorno (alla pari, del<br />

resto, della redazione dei resoconti stenografici) non legittima nuovi inquadramenti<br />

dommatico-funzionali delle Commissioni nel momento in<br />

cui esse esaminano i bilanci.<br />

Il carattere sui generis di questa sede consultiva si rivela anche dalla<br />

circostanza che le singole Commissioni non solo formulano un giudizio<br />

sugli stati di previsione, ma possono anche proporre modifiche al contenuto<br />

di questi. Modalità di elaborazione e ragioni stesse della richiesta<br />

del parere si distaccano da quelle ricorrenti nella normale sede consultiva.<br />

È la caratteristica struttura legislativa del bilancio, la quale ricompone<br />

in sé esigenze di analisi e di sintesi (e tali esigenze si riflettono nell'esame<br />

parlamentare), che dà luogo a questa singolare figura di Commissione, cui<br />

spetta di formulare un parere, il quale per altro si pone anche come la<br />

conclusione di un « pre-esame preliminare e settoriale » del disegno di<br />

legge ed è accompagnato da strumenti parlamentari - gli ordini del giorno<br />

- estranei sia alla sede referente sia a quella consultiva, ma qui inseriti<br />

in rispondenza ad intenti pratici di celerità dell'/ter.<br />

6. - La Conferenza dei Presidenti, cui il Regolamento, al quinto<br />

comma dell'art. 32, dà facoltà di concordare, alla stregua dell'art. 13-bis,<br />

norme particolari per l'esame degli ordini del giorno e degli emendamenti<br />

nelle Commissioni, ha sostanzialmente confermato le disposizioni da essa<br />

già introdotte prima della riforma della procedura di esame del bilancio<br />

dello Stato; disposizioni che, per certi aspetti, sono risultate anticipazioni<br />

della riforma stessa (39).<br />

Gli ordini del giorno sono stati presentati, illustrati e votati nelle<br />

Commissioni fino al momento della replica del ministro: soltanto per<br />

gli ordini del giorno respinti o non accettati (non quelli accettati come<br />

raccomandazione, ma per i quali i presentatori non abbiano richiesto<br />

la votazone) è stata ammessa la ripresentazione in aula con le firme di<br />

un presidente di gruppo o di dieci deputati. È stato disposto che quelli<br />

accettati dal Governo o approvati siano allegati al parere da trasmettere<br />

alla Commissione bilancio e quindi alla relazione da questa presentata<br />

all'Assemblea.<br />

Prima di illustrare la disciplina degli emendamenti, è d'uopo richiamare<br />

il più vasto problema dell'ammissibilità del potere di emendamento<br />

(39) Per i disegni di legge di bilancio rispettivamente per il 1965, 1966 e 1967,<br />

si vedano le corrispondenti circolari del Presidente BucciarelU Ducei 30 ottobre 1964,<br />

25 novembre 1965 e 21 settembre 1966.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 525<br />

del bilancio dello Stato da parte del Parlamento; problema che, a sua<br />

volta, richiede un preliminare chiarimento intorno alla natura della legge<br />

di bilancio.<br />

Il bilancio è deliberato dal Parlamento con la forma usuale dei<br />

suoi atti tipici, le leggi: « Le Camere approvano ogni anno i bilanci... »;<br />

« Con la legge di approvazione del bilancio... » (art. 81 Cost, commi<br />

primo e terzo). È discussa, per altro, la natura giuridica della legge di<br />

bilancio.<br />

La prevalente dottrina ritiene che essa sia un atto che abbia della<br />

legge la forma, ma non già il contenuto tipico, consistente, quest'ultimo,<br />

nel porre norme generali, astratte o, comunque, innovative dell'ordinamento<br />

giuridico (40). Basandosi sulla classica distinzione tra leggi formali<br />

e leggi sostanziali, elaborata dalla giuspubblicistica tedesca del secolo<br />

scorso, è stato attribuito alla legge di approvazione del bilancio carattere<br />

esclusivamente formale per i seguenti fondamentali motivi. La<br />

efficacia propria della legge di approvazione del bilancio è di precisare<br />

e rendere operative le leggi vigenti in materia di entrate e di spese; con<br />

la deliberazione parlamentare del bilancio, è riconosciuta la regolarità<br />

degli stanziamenti, dipendenti, per quantità e qualità, dalla vigente legislazione;<br />

l'attività parlamentare in materia di bilancio si ricollegherebbe,<br />

piuttosto che alla funzione legislativa, a quella di controllo (più antica<br />

della funzione di produzione normativa e come tale distinta da questa).<br />

La legge di bilancio, perciò, è stata ritenuta incapace di innovare l'ordinamento<br />

giuridico fissato dalle leggi finanziarie e di regolare rapporti<br />

dello Stato con i cittadini e dei cittadini tra loro. Conseguentemente, in<br />

sede di approvazione del bilancio si reputa non possano essere esaminate<br />

di nuovo, né modificate, le leggi esistenti.<br />

Non è mancato chi ha sostenuto, invece, la natura sostanziale di<br />

tale legge, sia perché essa è emanazione del potere legislativo, sia perché<br />

(40) SANTI ROMANO, Princìpi di diritto costituzionale generale, Milano 1947,<br />

pag. 293 ; ORLANDO, Princìpi di diritto costituzionale, Firenze 1894, pag. 174 e segg. ;<br />

BUSCEMA, op. ri/., pag. 116 e segg.; SICA, Osservazioni sulla legge del bilancio, in<br />

«Rassegna di diritto pubblico», 1960, I, pag. 55 e segg.; ANELLI, Natura giuridica<br />

dei bilanci pubblici, in « Corriere amministrativo », 1966, pag. 909 e segg. Il diffondersi<br />

di leggi a basso o minimo grado di generalità o di astrattezza o di generalizzabilità<br />

e l'aumento delle leggi con funzione di strumento di amministrazione e di vero<br />

e proprio provvedimento hanno spinto a dubitare della bontà di schemi come quello<br />

della legge che pone norme generali: si v. CRISAFULLI, Gerarchia e competenza nel<br />

sistema costituzionale delle fonti, in < Rivista trimestrale di diritto pubblico >, 1960,<br />

pag. 797 ; SANDULLI, Legge, forza di legge, valore di legge, in « Studi in memoria di<br />

P. Calamandrei», voi. V, Padova 1958, pag. 633 e segg.; e, in PREDIERI, BARUCCI,<br />

BARTOLI, GIOLI, // programma economico 1967-70, Milano 1967, il saggio del PREDIERI,<br />

pag. 40 e segg.


526 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

condiziona le leggi vigenti in materia finanziaria, e pertanto non può<br />

non avere identica natura di quelle, che sono indubbiamente leggi sostanziali<br />

(41).<br />

Se la questione, come sembra, è risolubile soltanto sul piano del<br />

diritto positivo, occorre riconoscere che la Costituzione - stabilendo al<br />

terzo comma dell'art. 81 che con la legge di approvazione del bilancio<br />

non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese - ha consacrato il<br />

principio della natura formale della legge di bilancio.<br />

Sótto il vigore dello Statuto albertino, che nulla disponeva in argomento,<br />

alla divisione della dottrina circa la natura della legge in questione<br />

corrisposero incertezze nella prassi, per cui la modifica delle leggi<br />

vigenti in sede di approvazione del bilancio venne frequentemente praticata.<br />

Nondimeno, contro tale tipo di modifiche (i cosiddetti cavaliers<br />

budgétaires) si opponeva il carattere di grave scorrettezza rispetto ad<br />

un'ortodossa prassi parlamentare (42). Nella formulazione del terzo<br />

comma dell'art. 81 si è colta l'influenza del ricordo delle accennate discussioni<br />

e un'innovazione che apporta un chiarimento notevole in ordine<br />

alla natura della legge di bilancio (43).<br />

Atteso che si tratti di atto solo formalmente legislativo, si è dubitato<br />

che il Parlamento abbia la facoltà di emendarlo. Ma il mancato riconoscimento<br />

di tale potere irrigidirebbe oltre misura e senza necessità il<br />

rapporto Governo-Parlamento. Si costringerebbe, infatti, il Parlamento,<br />

anche per discordanze su aspetti marginali, a respingere in blocco il bilancio,<br />

o ad approvarlo parimenti - e forzatamente - in blocco. Il che risulterebbe<br />

un'indebita limitazione del suo potere di controllo; e tornerebbe,<br />

in fondo, a detrimento della stessa stabilità del Governo, il quale si<br />

troverebbe esposto più facilmente al pericolo di un voto negativo sull'intero<br />

bilancio.<br />

Alla stregua di tale considerazione e della circostanza che la prassi<br />

e i regolamenti parlamentari prevedono la presentazione di emendamenti<br />

(41) Nega la distinzione delle leggi in formali e materiali, ESPOSITO, La validità<br />

delle leggi, Padova 1934, pag. 177 e segg.<br />

(42) Secondo MANCINI e GALEOTTI, Norme ed usi del Parlamento italiano, Roma<br />

1887, pag. 345 e segg., una « lunga controversia si è agitata nel nostro Parlamento a<br />

proposito della facoltà di modificare, con articolo della legge di bilancio, una disposizione<br />

di qualche altra legge dello Stato; né si potrebbe con sicurezza affermare<br />

quale consuetudine sia prevalsa al proposito, perocché la giurisprudenza del Parlamento<br />

nostro intorno a ciò è stata ed è tuttora assai variabile » ; si v. anche RACIOPPI<br />

e BRUNELLI, Commento allo Statuto del Regno, voi. I, Torino 1909, pag. 488 e segg.<br />

(43) MACCANICO, op. cit., pag. 357; BENNATI, Manuale di contabilità di Stato,<br />

4» ed., Napoli 1965, pag. 211 ; Corte dei conti, Relazione al Parlamento per il 1947-50,<br />

voi. I, parte II, pag. 131.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 527<br />

alla legge di bilancio, si è sostenuto che gli emendamenti stessi possono<br />

considerarsi atti del Parlamento, se si ammette la natura sostanziale della<br />

legge in questione; mentre, se se ne ammette la natura formale, debbono<br />

considerarsi atti del Governo intesi ad apportare le modifiche richieste<br />

dal Parlamento per approvare il bilancio (44).<br />

La costruzione, tuttavia, pare artificiosa. Il Governo può presentare<br />

suoi emendamenti; può accettare emendamenti d'iniziativa parlamentare;<br />

può, infine, non accettare emendamenti di tale origine senza che, per altro,<br />

la contrarietà del Governo osti alla votazione e all'eventuale approvazione<br />

degli stessi. Se l'affermazione che, stante la materia formale della<br />

legge di bilancio, gli emendamenti debbono considerarsi atto del Governo<br />

significa impossibilità di presentazione di emendamenti da parte dei<br />

singoli parlamentari o che gli emendamenti stessi, per essere votati, debbono<br />

essere fatti propri dal Governo, essa contrasta con la vigente procedura<br />

parlamentare e finisce per negare alle Camere il potere di emendamento<br />

sulla legge in esame. Il bilancio non è - se è consentito il richiamo<br />

di concetti che sono stati elaborati per illustrare altri istituti che<br />

non quello in esame, ma possono servire a chiarire la portata di questo<br />

ultimo - actus legitimus che non tolleri modifiche specificative. Qualora<br />

le modifiche siano radicalmente incompatibili con l'indirizzo politico di<br />

cui il bilancio è espressione, il Governo ne trarrà le conclusioni dimettendosi.<br />

La negazione del potere di presentare emendamenti da parte dei parlamentari<br />

non può farsi discendere dal fatto che la legge di bilancio - a<br />

prescindere dalla sua natura sostanziale o formale - rientra nell'ambito<br />

di quei provvedimenti la cui iniziativa è esclusiva di soggetti diversi dai<br />

membri del Parlamento (45). Si potrebbe ritenere che l'esclusività della<br />

iniziativa escluda il potere di incidere sul contenuto del testo legislativo.<br />

Ciò, però, risulterebbe accettabile solo ove il potere di presentare emendamenti<br />

potesse considerarsi come un aspetto parziale del potere di iniziativa<br />

legislativa. In forza del carattere esclusivo dell'iniziativa di una legge, carattere<br />

esclusivo avrebbero anche le manifestazioni secondarie e parziali<br />

di quel potere. Ma, tra gli istituti dell'iniziativa e dell'emendamento, sussiste<br />

differenza, l'una riguardando l'attivazione del procedimento legislativo,<br />

l'altro la modifica del procedimento già attivato (46). Se le Camere<br />

(44) BUSCEMA, op. cit., pag. 120.<br />

(45) ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, voi. IV, Milano 1958, pag. 440<br />

e seguenti<br />

(46) ESPOSITO, op. uh. cit., pag. 723, nota 7.


528 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

non potessero esercitare il potere di emendamento, si verificherebbe una<br />

limitazione, oltre che della penetratività del controllo e della compartecipazione<br />

all'indirizzo politico di cui il bilancio è uno degli atti fondamentali<br />

(47), anche dell'esercizio della funzione legislativa, alle Camere<br />

affidata all'art. 70 Cost. (disposizione alla quale sembra di dover ricondurre<br />

anche le leggi meramente formali), giacché l'approvazione di emendamenti<br />

appartiene all'essenza stessa della funzione legislativa (48). E che<br />

il vaglio parlamentare del bilancio dello Stato implichi un sindacato penetrante<br />

e facoltà di modifica del progetto presentato dal Governo è confermato<br />

anche dall'esclusione del procedimento legislativo decentrato<br />

(art. 72, ultimo comma, Cost.); la solennità della deliberazione in Aula<br />

sottolinea il rilievo della deliberazione stessa, e richiama la necessaria<br />

esistenza del potere del Parlamento di apportare modifiche al testo governativo<br />

(49).<br />

Ciò premesso, risulta che limitazioni del potere dei parlamentari di<br />

presentare emendamenti alla legge di bilancio trovano fondamento soltanto<br />

nella Costituzione: e precisamente nel più volte menzionato terzo<br />

comma dell'art. 81. Esso, prescrivendo che con la legge di approvazione<br />

del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese, ha inteso<br />

salvaguardare la legislazione finanziaria in vigore, che sta alla base<br />

del bilancio ed è in esso rispecchiata, da variazioni introdotte in sede<br />

inidonea ad un'adeguata valutazione dei tributi e delle spese stessi (50).<br />

La « novità » dei tributi e delle spese di cui al terzo comma dell'art.<br />

81 si misura con riferimento alla legislazione finanziaria vigente. Di<br />

fronte alla presentazione di un emendamento agli stanziamenti del bilancio,<br />

occorre richiamarsi alla legislazione sostanziale riflessa nel bilancio<br />

stesso: se l'emendamento incide, direttamente o indirettamente, su di<br />

essa, modificandola, è in contrasto con il terzo comma dell'art. 81. Infatti,<br />

il costituente ha voluto stabilire, per l'imposizione di nuovi tributi<br />

e la definizione di nuove spese, l'approvazione con leggi specifiche, discusse<br />

con un approfondimento maggiore di quello che può consentire<br />

l'occasione dell'approvazione del bilancio. Il che rappresenta per il cittadino<br />

garanzia che i nuovi oneri che il Parlamento deliberi siano sufficientemente<br />

ponderati, contrariamente a quanto avverrebbe, invece, ove<br />

le singole disposizioni innovative passassero frettolosamente, confuse tra<br />

(47) CHIMENTI e COEN, op. cit., pag. 467.<br />

(48) SPAGNA MUSSO, Emendamento, in e Enciclopedia del diritto », voi. XIV,<br />

Milano 1965, pag. 831.<br />

(49) CHIMENTI e COEN, op. cit., pag. 468.<br />

(50) CHIMENTI e COEN, op. cit., pag. 482 ; BUSCEMA, op. cit., pag. 120.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 529<br />

le numerose voci del bilancio. Non è posto, invece, il divieto di variare<br />

le cifre dei capitoli del bilancio (51).<br />

La riforma legislativa e regolamentare della disciplina di approvazione<br />

del bilancio ha ampliato il potere di emendamento della Camera.<br />

Secondo il vecchio sistema, essa poteva deliberare lo spostamento di somme<br />

da uno stato di previsione di un ministero all'altro soltanto prima<br />

dell'approvazione del riepilogo generale dell'entrata e della spesa, contenuto<br />

nello stato di previsione del Ministero del tesoro, la discussione<br />

del cui disegno di legge - come si è rilevato - doveva precedere quella<br />

degli altri concernenti gli stati di previsione dei restanti ministeri. Dopo<br />

di che erano bloccati non solo i totali generali del bilancio, ma anche<br />

quelli dei singoli stati di previsione, potendo la Camera deliberare soltanto<br />

lo spostamento di somme da un capitolo all'altro di un medesimo<br />

stato di previsione, purché la spesa complessiva per ciascun ministero<br />

restasse inalterata. Con la « legge Curti », il riepilogo generale è stato<br />

sostituito dal quadro generale riassuntivo, collocato alla fine della legge<br />

unica di bilancio. La discussione di tale articolo - e la presentazione<br />

dei relativi emendamenti - avvengono al termine della discussione e dell'approvazione<br />

degli stati di previsione, ciò che consente alla Camera<br />

un esame più penetrante e lo spostamento di stanziamenti da un ministero<br />

all'altro (52).<br />

La Conferenza dei Presidenti, per i bilanci concernenti gli esercizi<br />

finanziari 1966 e 1967, ha disposto che gli emendamenti riguardanti un<br />

solo stato di previsione (che si limitino cioè a proporre variazioni compensative<br />

entro tale stato di previsione) siano presentati nella Commissione<br />

di merito e, se da questa approvati, inclusi nel parere da trasmettere<br />

alla Commissione bilancio. Se modificano, invece, le ripartizioni di<br />

spesa tra più stati di previsione, ovvero i totali generali dell'entrata e<br />

della spesa, dovranno essere presentati in Commissione bilancio che, assieme<br />

agli altri, li esamina ai fini delle sue conclusioni per l'Aula. Gli<br />

(51) Alla Costituente, l'onorevole Ruini, sostenendo la disposizione di cui al<br />

terzo comma dell'art. 81, la indicò come una norma di correttezza contabile adottata<br />

dagli Stati più ordinati al fine di non confondere i provvedimenti tributari con i bilanci;<br />

e dichiarò di considerare pacifica la possibilità, per il Parlamento, di aumentare o<br />

diminuire le cifre dei capitoli negli stati di previsione sottoposti alla sua approvazione:<br />

Atti dell'Assemblea Costituente, Discussioni, Vili, pag. 1319. Eccezione al divieto costituzionale<br />

deve farsi per i provvedimenti in corso di esame governativo-parlamentare,<br />

per i quali, tuttavia, le indicazioni degli oneri non sono comprese in appositi<br />

capitoli, ma sono accantonate nel cosiddetto fondo globale. Cfr. STRAMACCI, op. cit.,<br />

pag. 173 e segg. ; BUSCEMA, op. cit., pag. 134 e segg. Sul problema del fondo globale,<br />

in particolare, CHIMENTI e COEN, op. cit., pag. 488 e segg.<br />

(52) Tosi, op. cit., pag. 241 ; STRAMACCI, op. cit., pag. 159.


530 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

emendamenti respinti possono essere ripresentati in aula anche dal solo<br />

presentatore (53).<br />

È dunque ammessa la più ampia facoltà di emendamento della legge<br />

di bilancio: possono presentarsi non solo emendamenti compensativi, ma<br />

anche emendamenti intesi a modificare gli equilibri particolari e generali<br />

del documento governativo (54). La limitazione attiene alle modalità<br />

di esercizio e non anche al contenuto del potere di emendamento.<br />

La Commissione bilancio, come quella in cui debbono affrontarsi i dati<br />

complessivi del bilancio e i problemi di innesto di ciascun settore con<br />

quelli (55), è Tunica sede conveniente - oltre, beninteso, l'Aula - pei esaminare<br />

le proposte di rettifiche parlamentari degli elementi più significativi<br />

del quadro contabile presentato dal Governo.<br />

È stato comunque confermato costantemente dalla Camera il principio<br />

della inammissibilità delle votazioni di emendamenti al bilancio<br />

che praticamente modifichino in modo sostanziale una legge fiscale o altre<br />

autonome sull'entrata e sulle spese (56).<br />

7. - Stante la conclusione che l'intervento parlamentare sul bilancio<br />

dello Stato si estrinseca in una deliberazione che presenta i caratteri della<br />

legge - se non di quella sostanziale, almeno di quella meramente formale<br />

-; e dunque (in armonia con le esigenze che il quadro economicofinanziario<br />

dei benefici e dei sacrifìci derivanti dall'annuale attività governativa<br />

all'intera comunità nazionale sia vagliato dai rappresentanti di<br />

essa) si qualifica come atto proprio delle Assemblee legislative e come<br />

fonte di una puntualizzazione dell'indirizzo politico scaturente dal rapporto<br />

Parlamento-Governo con particolari riflessi sulla legislazione finanziaria<br />

- e, per il tramite di questa, su tutta la vita dello Stato -, si può<br />

risolvere il problema del cosiddetto rifiuto del bilancio.<br />

Ci si è chiesti se il Parlamento possa dare voto negativo al bilancio.<br />

Il rigetto in blocco del bilancio è stato reputato la più grave manifestazione<br />

di sfiducia nei riguardi del Governo, tale da provocare perturba-<br />

(33) Circolari del Presidente Bucciarelli Ducei 25 novembre 1965 e 21 settembre<br />

1966.<br />

(54) Nell'ordinamento italiano non sussiste l'obbligo costituzionale del pareggio<br />

del bilancio: si tratta, al contrario, di questione rimessa a soluzioni di natura politica:<br />

BUSCEMA, op. cit., pag. 160 e segg. La valutazione, in proposito, spetta, oltre che al<br />

Governo, anche al Parlamento. È desiderabile, però (e le norme procedurali, facendo<br />

capo alla Commissione bilancio, a tale esigenza si informano), che la valutazione stessa<br />

sia al massimo ponderata e lungimirante.<br />

(55) Si v., in proposito, le osservazioni contenute al paragrafo 4.<br />

(56) V. da ultimo approvazione della Camera del bilancio 1968 nella seduta pomeridiana<br />

del 29 febbraio dello stesso anno.


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 531<br />

zioni sconvolgenti nella vita politica e amministrativa del paese. Sotto<br />

il profilo giuridico, la mancata approvazione del bilancio - senza la concessione<br />

di un periodo di esercizio provvisorio - pone il Governo nella<br />

impossibilità di gestire il bilancio; l'approvazione, pertanto, costituisce<br />

una necessità per il funzionamento dello Stato, la cui mancanza creerebbe<br />

uno stato di cose rivoluzionario, che il diritto sarebbe impotente a<br />

risolvere (57).<br />

Le conseguenze giuridiche del rifiuto del bilancio variano a seconda<br />

degli ordinamenti contabili e dei regimi costituzionali. Dove i primi facultizzino<br />

il Governo ad introitare e spendere, entro certi limiti, anche<br />

prescindendo dalla deliberazione richiesta al Parlamento, e quando non<br />

si versi in regime parlamentare, le conseguenze sono più limitate. Ovunque,<br />

per altro, il rifiuto del bilancio si pone come un'eccezione nella storia<br />

finanziaria degli Stati (58). Del resto, in regime parlamentare, il rapporto<br />

di fiducia intercorrente tra Parlamento e Governo dovrebbe escludere,<br />

o comunque confinare tra le rarità costituzionali, tale rifiuto.<br />

Si è ritenuto che nell'ordinamento costituzionale italiano il rifiuto<br />

in blocco del bilancio sia inammissibile, equivalendo ad una manifestazione<br />

di sfiducia espressa dal Parlamento al di fuori delle forme previste<br />

dall'art. 94 Cost, dovendosi, invece, ritenere ammissibile il voto contrario<br />

ad un solo stato di previsione, per il carattere più circoscritto dell'espressione<br />

del dissenso (59). L'opinione non può essere condivisa. In primo<br />

luogo, data l'attuale unicità della legge di bilancio, non è oggi più possibile<br />

respingere lo stato di previsione senza rigettare l'intero bilancio;<br />

e si è già osservato come un modo di respingerlo consista non soltanto<br />

nel voto vontrario, bensì anche nella modifica di un equilibrio essenziale<br />

che costringa il Governo, che abbia legato il suo programma a quell'equilibrio,<br />

alle dimissioni. D'altra parte, il richiamo dell'art. 94 Cost.<br />

non sembra persuasivo. Il meccanismo da esso configurato è inteso a<br />

(57) BUSCBMA, op. cit., pag. 107 e segg. ; cfr. anche A. D. GIANNINI, Elementi<br />

di diritto finanziario e della contabilità di Stato, Milano 1934. Un modo atipico di<br />

respingere il bilancio consiste nell'approvazione di un emendamento che contrasti sul<br />

piano logico il quadro degli equilibri finanziari predisposti dal Governo, finendo col<br />

renderlo disorganico e inoperante: SPAGNA MUSSO, op. cit., pag. 832.<br />

(58) BUSCEMA, op. cit., pag. 108. In Italia si è verificato un solo caso di rifiuto<br />

del bilancio, quando, il 18 maggio 1893, la Camera dei deputati ha respinto lo stato<br />

di previsione della spesa del Ministero di grazia e giustizia per l'esercizio finanziario<br />

1893-1894; come conseguenza, si ebbero le dimissioni del ministro di grazia e giustizia<br />

e la presentazione di un nuovo stato di previsione. Il rifiuto del bilancio, invece, non<br />

è risultato altrettanto eccezionale da parte dei consigli regionali. L'Assemblea regionale<br />

siciliana ha respinto più volte il bilancio, provocando le dimissioni della Giunta.<br />

(59) CHIMENTI e COEN, op. cit., pag. 500.


532 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

porre cautele a vantaggio della stabilità dell'Esecutivo e della chiarezza<br />

delle ragioni che fanno venir meno il nesso di fiducia; ma non implica<br />

che, ogni qual volta le Camere siano chiamate a deliberare su atti del<br />

Governo di considerevole significato politico al di fuori delle forme dell'art.<br />

94, esse siano vincolate all'approvazione per non costringere - politicamente,<br />

si badi, e non già giuridicamente - il Governo alle dimissioni.<br />

A prescindere dall'esperienza della lunga serie delle crisi extraparlamentari<br />

di questo dopoguerra, resta da considerare che, accettando<br />

l'opinione in esame, la legge di bilancio risulterebbe svuotata di qualsiasi<br />

carattere che, in qualche modo, ne possa giustificare l'ascrivibilità<br />

alla categorìa delle leggi. Qualunque sia la sua natura (sostanziale o meramente<br />

formale) una legge si caratterizza per essere l'espressione della<br />

sovranità delle Assemblee rappresentative. Si potrebbe obiettare che quella<br />

di bilancio è legge vincolata: ma, se si deve riconoscere al Governo<br />

l'iniziativa esclusiva e al Parlamento l'obbligo di esaminare puntualmente<br />

la legge di bilancio presentata dal Governo, non si può accettarcela tesi<br />

che l'obbligo si estenda alla libera determinazione del Parlamento (60).<br />

Quanto alle conseguenze giuridiche di una mancata approvazione, la<br />

portata rivoluzionaria che qualche autore paventa sembra eccessiva. In<br />

genere, si tratta di momentanee situazioni di disordine politico, riconducibili<br />

a soluzione con strumenti piuttosto politici che giuridici. Se si presentassero<br />

urgenti scadenze di termini, ciò potrebbe determinare uno stato<br />

di necessità, che autorizzerebbe il Governo a compiere alcuni atti di gestione<br />

(61). L'urgenza dei termini di scadenza dovrebbe, altresì, consentire<br />

di superare l'ostacolo ad una sollecita ripresentazione del bilancio<br />

(60) La legge di approvazione del bilancio è considerata non solo una facoltà<br />

ma un dovere del Parlamento da SPANÒ, La legge provvedimento, in « Nuova Rassegna<br />

», 1960, pag. 903 e segg. ; ZANOBINI, op. cit., pag. 441, ritiene incostituzionale il<br />

rifiuto di approvazione, perché causa di evidente arresto della vita dello Stato, ciò<br />

che gli organi costituzionali, in condizioni di normalità, non possono volere.<br />

(61) BENTIVEGNA, op. cit., pag. 203; BUSCEMA, op. cit., pag. 109. In mancanza<br />

dell'approvazione parlamentare e della concessione dell'esercizio provvisorio per il<br />

nuovo bilancio, il Governo potrebbe, alla scadenza del bilancio in corso, emanare un<br />

decreto-legge con il quale autorizzi se stesso a gestire in via provvisoria il nuovo bilancio.<br />

Sul principio che sancisce la previa approvazione del bilancio, e secondo la procedura<br />

normale, da parte del Parlamento, prevale l'altro che impone, per la continuità<br />

stessa della vita dello Stato, che un bilancio venga comunque approvato: CARBONE, Le<br />

guarantigie dell'esecutivo, in < Studi sulla Costituzione », voi. Ili, cit., pag. 275 e segg ;<br />

CHIMENTI e COEN, op. cit., pag. 503. In caso di mancata conversione (ma il lasso di<br />

tempo di due mesi dovrebbe favorire il raggiungimento di una soluzione), nella gravissima<br />

situazione di crisi costituzionale, unica fonte è lo stato di necessità. Al di<br />

fuori delle ipotesi, per verità assolutamente eccezionali, accennate, non è consentita<br />

l'approvazione del bilancio con decreto-legge. Né con legge delegata: il limite discende


L'iter legislativo: l'esame dei bilanci 533<br />

respinto costituito dall'art. 68 Reg. Camera, per cui ogni progetto da essa<br />

respinto non può essere ripresentato se non dopo sei mesi.<br />

La deliberazione con la quale il Parlamento è chiamato ad approvare<br />

il bilancio assume un significato politico d'indubbio spicco, nella<br />

misura in cui il bilancio esprime, sul piano contabile, l'indirizzo politico.<br />

In relazione a tale significato politico, si è posto il problema se un Governo<br />

dimissionario possa presentare il bilancio alle Camere o continuare<br />

a sostenere la discussione parlamentare su quello già presentato.<br />

Nella prassi parlamentare prefascista, è stata sempre grande la ripugnanza<br />

della Camera a discutere i bilanci in assenza di un Governo privo<br />

della fiducia parlamentare (62).<br />

Anche la richiesta del Governo dimissionario, che si continuasse la<br />

discussione con criteri amministrativi e non politici, incontrò recise opposizioni<br />

(63). Tuttavia, parecchie volte, coincidendo le crisi ministeriali<br />

col tempo utile per la discussione dei bilanci, i Governi dimissionari<br />

chiesero alla Camera di non interrompere la discussione, attribuendo<br />

ai suoi voti valore puramente amministrativo (64).<br />

Un Governo dimissionario deve astenersi dall'affrontare la discussione<br />

sul bilancio, perché altrimenti comprometterebbe l'indirizzo del<br />

futuro Governo, scaturente dalla soluzione della crisi (65). Resta, comunque,<br />

il problema dei termini di presentazione e di approvazione<br />

del bilancio. Si è ritenuto che, in caso di crisi ministeriale, si verificherebbe<br />

una sospensione dei termini, per forza maggiore, fino alla costi-<br />

dal menzionato ultimo comma dell'art. 72 Cost., ed è inoltre connaturato alla configurazione<br />

della delega legislativa propria del nostro ordinamento. È esclusa, a tale<br />

stregua, la delegabilità al Governo di poteri attribuiti espressamente al Parlamento e<br />

che sono esercitabili con legge formale, nell'esercizio di un controllo: MORTATI, Sui<br />

limiti della delegazione legislativa, in tjus», 1952, pag. 218, e TOSATO, Le leggi di<br />

delegazione, Padova 1931, pag. 117 e segg.<br />

(62) MANCINI e GALEOTTI, op. cit., pag. 715 e segg. La questione fu dibattuta<br />

fin dalla prima crisi ministeriale in Piemonte, e la sollevò Fon. Mellana, 1*11 luglio<br />

1848, esortando la Camera a non concedere le somme richieste per le necessità della<br />

guerra contro l'Austria fin quando non si fosse presentato alla Camera un Governo definitivamente<br />

composto e riconosciuto. Il 1° maggio 1855, durante la crisi del primo Governo<br />

Cavour, analoga questione fu sollevata dall'on. Depretis, il quale si oppose alla<br />

continuazione della discussione del bilancio con queste parole : « Io debbo osservare<br />

che, se vogliamo atttenerci ai sani princìpi che reggono il sistema parlamentare, non<br />

possiamo discutere un disegno di legge, che implica una questione di bilancio, se non<br />

è presente la rappresentanza politica del potere esecutivo. Ogni discussione di una<br />

spesa implica necessariamente un voto di fiducia o di sfiducia ».<br />

(63) Così, nel maggio 1869, durante la crisi del Governo Menabrea.<br />

(64) MANCINI e GALEOTTI, op. cit., pag. 716.<br />

(65) STRAMACCI, op. cit., pag. 164; BUSCEMA, op. cit., pag. 107.


534 L'iter legislativo: l'esame dei bilanci<br />

tuzione del nuovo Governo (66). Il Governo dimissionario, in ogni caso,<br />

potrebbe presentare un disegno di legge per la proroga dei termini stessi.<br />

La presentazione contemporanea del disegno di legge concernente<br />

il bilancio per l'esercizio 1967 e di quello concernente il rendiconto generale<br />

dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 1965<br />

ha indotto ad avanzare la proposta di una discussione abbinata dei due<br />

provvedimenti. Si è sostenuto, infatti, che, essendo l'esame del preventivo<br />

condizionato in notevole misura dall'esame delle risultanze di gestione<br />

contenute nel rendiconto dell'esercizio scaduto, si dovesse procedere<br />

contemporaneamente e per abbinamento all'esame dei due disegni<br />

di legge.<br />

L'art. 133, terzo comma, Reg. prescrive che l'abbinamento dell'esame<br />

di provvedimenti si verifichi quando si tratti di provvedimenti<br />

identici o vertenti su identica materia o in concorso con provvedimenti su<br />

identica materia. La ratio della norma è quella di ridurre ad uno più provvedimenti<br />

riguardanti la stessa materia: nella fattispecie, non ricorreva<br />

né l'identità dei provvedimenti né quella della materia, trattandosi di<br />

provvedimenti distinti, che tali dovevano restare anche per disposto costituzionale<br />

(art. 81, primo comma, Cost.). Pertanto, non potevano essere<br />

abbinabili, cioè riducibili ad unum. La richiesta è stata dunque considerata<br />

infondata.<br />

Si è invece ritenuto ammissibile proporre il ricorso ad una discussione<br />

congiunta dei due disegni di legge. Ciò significa che, ove lo si<br />

ritenga opportuno, per convenienza della Commissione o per risparmio<br />

di tempo o per consentire una visione globale dei problemi, si può unificare<br />

la trattazione generale dei due provvedimenti, senza giungere alla<br />

formulazione di un testo unico, ma per poi discuterli nei particolari e<br />

nei singoli articoli separatamente, l'uno dopo l'altro.<br />

[GIAN CARLO PERONE]<br />

(66) ASTRALDI e COSENTINO, / nuovi regolamenti del Parlamento italiano,<br />

Roma 1950.


CAPO X<br />

L'ITER LEGISLATIVO: L'ESAME DELLE LEGGI CO­<br />

STITUZIONALI E DI REVISIONE COSTITUZIONALE<br />

di Gian Carlo Perone


CAPO X.<br />

L'ITER LEGISLATIVO: L'ESAME DELLE LEGGI CO­<br />

STITUZIONALI E DI REVISIONE COSTITUZIONALE<br />

SOMMARIO: 1. Generalità. — 2. Peculiarità del procedimento di revisione. —<br />

3. Consecutività e alternatività della duplice deliberazione. — 4. La procedura<br />

della seconda deliberazione.<br />

1. - La Costituzione italiana ha adottato il carattere della rigidità<br />

(1). Ne consegue che la materia costituzionale presenta una sua propria<br />

tipologia normativa, per cui, accanto alle leggi ordinarie, esiste una<br />

distinta categoria di leggi formalmente costituzionali. Ad essa debbono<br />

ascriversi la Costituzione stessa, le leggi di revisione della Costituzione<br />

e le altre leggi costituzionali (2).<br />

L'art. 138 Cost. prevede uno speciale procedimento per la revisione<br />

della Costituzione e l'emanazione delle altre leggi costituzionali (3). E<br />

(1) Cfr. PERGOLESI, Rigidità ed elasticità della Costituzione italiana, in « Rivista<br />

trimestrale di diritto e procedura civile», 1959, pag. 44 e segg. ; LAVAGNA, Le Costituzioni<br />

rigide, Roma 1965.<br />

(2) ESPOSITO, Costituzione, legge di revisione della Costituzione e « altre » leggi<br />

costituzionali, in « Raccolta di scritti in onore di A. C. Jemolo », voi. Ili, Milano<br />

1962, pag. 191 e segg. Esorbita dai limiti di una illustrazione della procedura parlamentare<br />

adottata ai sensi dell'art. 138 Cost. l'esame diffuso delle questioni concernenti<br />

il significato dell'inserzione dell'art. 138 nel titolo VI della parte II della Costituzione,<br />

riguardante le garanzie costituzionali; la distinzione tra leggi di revisione costituzionale<br />

ed altre leggi costituzionali; la qualificazione giuridica del potere di revisione<br />

costituzionale e la natura dell'organo creatore delle leggi costituzionali e modificatore<br />

della legge fondamentale ; il concetto di leggi in materia costituzionale ex art. 72 Cost. ;<br />

la posizione occupata dalla legge di revisione nella gerarchia delle fonti; i limiti al<br />

procedimento di revisione. Del resto, è sembrato che la mancata trattazione dei temi<br />

in questa sede non nuocesse alla comprensione delle norme regolamentari. In proposito<br />

si rinvia, per tutti, a MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, 7 a ed., voi. II, Padova<br />

1967, pag. 961 e segg., e BAS<strong>IL</strong>E e DE SIERVO, Revisione della Costituzione, estratto dal<br />

«Novissimo digesto italiano», Torino 1967. Per i riferimenti di diritto comparato, si<br />

v. pure BEZZI, Le procedure di revisione costituzionale, in « Bollettino di informazioni<br />

costituzionali e parlamentari » a cura della Camera dei deputati, 1967, n. 3 pag. 87 e segg.<br />

(3) Secondo l'opinione del VIRGA, Diritto costituzionale, 6 a ed., Milano 1967,<br />

pag. 349, nota 2, il termine « Costituzione » deve essere inteso in senso lato, e come<br />

tale abbraccia ogni modifica non solo della Costituzione formale, ma altresì di quella<br />

materiale. In particolare, andrebbero sottoposte allo speciale procedimento le modifiche<br />

non testuali, le rotture e le interpretazioni autentiche della Costituzione.


538 L'esame delle leggi costituzionali<br />

cioè : da parte di ciascuna Camera, « due successive deliberazioni ad<br />

intervallo non minore di tre mesi », nonché l'approvazione « a maggioranza<br />

assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione<br />

». Il terzo comma dell'articolo in esame dispone che « se la legge<br />

è stata approvata nella seconda votazione di ciascuna delle Camere a<br />

maggioranza di due terzi dei suoi componenti » non si fa luogo al referendum<br />

popolare previsto dallo stesso articolo, al secondo comma. A<br />

tale referendum le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi<br />

costituzionali sono sottoposte « quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione,<br />

ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera<br />

o cinquecento mila elettori o cinque consigli regionali. La legge sottoposta<br />

a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza<br />

dei voti validi ».<br />

Aspetti peculiari del procedimento appaiono l'aggravamento rispetto<br />

all'ordinario iter dei progetti di legge e l'eventualità dell'intervento<br />

popolare mediante il referendum sospensivo. Giacché perdura la<br />

carenza di norme di attuazione sul referendum, il procedimento di revisione<br />

costituzionale, al presente, interessa le sole Camere e richiede in<br />

ogni caso che la legge sia approvata nella seconda votazione a maggioranza<br />

dei due terzi. Non è stata accolta, infatti, l'opinione che, nella<br />

situazione di carenza accennata, sia sufficiente la sola maggioranza assoluta<br />

(4). Il consenso, sulla revisione, di una larghissima frazione delle<br />

Camere - indubbiamente comprensiva almeno di alcuni settori della<br />

minoranza - tiene luogo dell'esperimento di interpellazione del corpo<br />

elettorale, le cui valutazioni si presumono riflesse nella vasta area di<br />

consenso parlamentare (5).<br />

La procedura di aggravamento si risolve nella duplice deliberazione<br />

di ciascuna Camera sulla proposta di revisione ad intervallo non minore<br />

di tre mesi e nella maggioranza qualificata nella votazione finale della<br />

seconda deliberazione (al momento - si è osservato - è sempre necessaria<br />

la maggioranza dei due terzi). Ciò nell'intento di garantire la massima<br />

ponderazione delle deliberazioni e la loro più ampia aderenza alla<br />

coscienza popolare, nonché di scongiurare il pericolo di revisioni affrettate<br />

ed inopportune (6). Le esigenze cui tale procedura deve corri-<br />

(4) Siffatta tesi è stata sostenuta da Tozzi CONDIVI, Debbono essere promulgate<br />

le leggi costituzionali che non abbiano avuto la maggioranza speciale dei 2/3 dei votanti<br />

alla Camera ed al Senato, in «Amministrazione civile», 1959, n. 27-28, pag. 29 e segg.<br />

(5) MORTATI, op. cit., pag. 968.<br />

(6) MORTATI, op. cit., pag. 966.


L'esame delle leggi costituzionali 539<br />

spondere sono di duplice, ed opposto, ordine: da un lato, di garantire<br />

sufficiente stabilità all'assetto costituzionale vigente; dall'altro, di permettere,<br />

senza eccessive difficoltà, gli adattamenti costituzionali che si<br />

rivelassero indispensabili (7).<br />

Appunto in considerazione di tale secondo ordine di esigenze, è<br />

stato negato il carattere di straordinarietà alla procedura di revisione:<br />

se si portasse alle estreme conseguenze pratiche l'aggravamento previsto,<br />

ci si porrebbe in contrasto con i princìpi generali del nostro ordinamento<br />

e si metterebbe in pericolo il regime costituzionale (8). Infatti - è stato<br />

rilevato - la revisione ha un carattere ordinario più nelle costituzioni rigide<br />

che in quelle flessibili, perché nelle seconde, per le quali le modifiche<br />

costituzionali devono essere deliberate con l'aperto rischio della relativa<br />

facilità della procedura ordinaria, la convenienza della modifica si misura<br />

con esclusivo riferimento al merito del problema; mentre nelle prime<br />

potrebbero risultare particolarmente importanti preoccupazioni d'ordine<br />

procedurale: e cioè potrebbe manifestarsi una tendenza a valutare l'utilità<br />

della modifica anche, se non soprattutto, sul metro delle possibilità<br />

di affrontare vittoriosamente la procedura aggravata. Inoltre, la rigidità<br />

costituzionale favorisce consuetudini incostituzionali che suggeriscono,<br />

al fine di scongiurare crisi di regime, opportune revisioni delle norme<br />

scritte (9).<br />

Alla luce delle difficoltà di conciliare ponderazione della procedura<br />

tracciata dall'art. 138 ed eliminazione da essa di ogni distacco, non assolutamente<br />

indispensabile, rispetto alle modalità di discussione e di approvazione<br />

delle leggi ordinarie, si può comprendere la tormentata vicenda<br />

delle norme regolamentari di applicazione dell'art. 138.<br />

2. - Il procedimento di revisione costituzionale non si differenzia<br />

dall'ordinario procedimento legislativo quanto all'iniziativa. Scartata in<br />

sede di Costituente la proposta di limitarla al Governo e alle Camere, nel<br />

testo costituzionale non vi è ora disposizione che induca ad escludere<br />

alcuna delle diverse specie di iniziativa considerate nell'art. 71 Cost.<br />

Tuttavia, la legge ordinaria ha sottratto l'iniziativa delle leggi costituzionali<br />

al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro anche nella<br />

materia economica e sociale di sua competenza; per le leggi costituzio-<br />

(7) VIRGA, op. cit., pag. 350.<br />

(8) LONGI, Revisione della Costituzione e leggi costituzionali, in « Rassegna parlamentare<br />

», 1960, pag. 109.<br />

(9) LONGI, op. cit., pag. 103.


540 L'esame delle leggi costituzionali<br />

nali, è, altresì, escluso il parere di questo consesso (artt. 8 e 10 legge<br />

5 gennaio 1957, n. 33) (10).<br />

Le peculiarità della procedura di revisione si palesano invece in<br />

ordine alla discussione e all'approvazione delle leggi in parola.<br />

Per tali leggi è sempre adottata la procedura normale di esame e di<br />

approvazione diretta da parte della Camera (art. 72, ultimo comma,<br />

Cost.) (11). Si reputa compatibile con la particolarità di questa procedura<br />

la dichiarazione d'urgenza, purché siano comunque fatti salvi i termini<br />

. perentori stabiliti dalla Costituzione : l'intervallo non minore di<br />

tre mesi tra le due successive deliberazioni di ciascuna Camera, e quello<br />

(di tre mesi) fra la pubblicazione della legge approvata con meno dei due<br />

terzi dei voti e la sua promulgazione, qualora non sia intervenuta richiesta<br />

di referendum (12). Sembra, dunque, applicabile - nei limiti anzidetti<br />

- il secondo comma dell'art. 73 Cost., per il quale, se le Camere,<br />

ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano<br />

l'urgenza, la legge è promulgata nel termine da esse stabilito* In tal<br />

caso, tuttavia, la speciale maggioranza richiesta non può essere se non<br />

quella dei due terzi. E applicabili sembrano pure le disposizioni di cui agli<br />

artt. 35, comma secondo, 36 e 65, commi secondo e terzo, Reg. Camera.<br />

(10) MORTATI, op. cit., pag. 969; VIRGA, op. cit., pag. 351; BAS<strong>IL</strong>E e DE SIERVO,<br />

op. cit., pag. 23. La legge n. 33 del 1957 ha suscitato perplessità, attesa, ai sensi dell'art.<br />

71 Cost., la riserva a leggi costituzionali dell'eventuale modificazione della competenza<br />

relativa all'iniziativa legislativa.<br />

(11) L'esclusione della procedura decentrata per « i disegni di legge in materia<br />

costituzionale » ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 72 non si riferisce a un tipo di<br />

leggi che, pur avendo la forma ordinaria, tuttavia, per la sostanza, siano da considerarsi<br />

comprese nella materia costituzionale: leggi perciò differenziate dalle leggi di<br />

revisione della Costituzione e dalle altre leggi costituzionali menzionate nell'art. 138.<br />

A favore della esistenza di una « materia costituzionale » rilevante per il procedimento<br />

legislativo ordinario, non risultano elementi di chiarificazione dai lavori preparatori;<br />

né è fondato l'argomento secondo il quale la norma dell'ultimo comma dell'art. 72<br />

sarebbe inutile ove si riferisse esclusivamente alle leggi di revisione della Costituzione<br />

e alle altre leggi costituzionali menzionate dall'art. 138 - anzi costituirebbe una ripetizione<br />

priva di qualsiasi portata pratica - in quanto l'esclusione della procedura decentrata<br />

per le leggi menzionate dall'art. 138 risulterebbe implicitamente dallo stesso articolo;<br />

il quale, prevedendo per tali leggi la seconda votazione con una speciale maggioranza,<br />

presupporrebbe la sussistenza di una prima votazione in assemblea, con la<br />

maggioranza ordinaria. I due articoli si riferiscono allo stesso oggetto: l'ultimo comma<br />

dell'art. 72, però, concerne specificamente la procedura da seguire per la prima deliberazione,<br />

rimanendo invece regolata dall'art. 138 la forma e la maggioranza richiesta<br />

dalla seconda. Si veda Corte Costituzionale, sentenza 23 dicembre 1963, n. 168, in<br />

Giurisprudenza costituzionale, 1963, pag. 1668 e segg.<br />

(12) MORTATI, op. cit., pag. 930; BAS<strong>IL</strong>E e DE SIERVO, op. cit., pag. 24. BALLA-<br />

DORÈ PALLIERI, Diritto costituzionale, 5» ed., Milano 1957, pag. 242, pur ammettendo<br />

la procedura d'urgenza, osserva che in pratica ha assai poco senso, data la necessità,<br />

per ottenere l'elevata maggioranza richiesta, di un'ampia discussione della legge e di<br />

un'accurata formulazione dei suoi articoli, e dato anche il tempo che deve poi trascorrere<br />

prima della seconda deliberazione.


L'esame delle leggi costituzionali 541<br />

Inibito - dal disposto dell'ultimo comma dell'art. 72 Cost., cui fa<br />

eco l'ultimo comma dell'art. 40 Reg. Camera - il deferimento a Commissioni<br />

in sede legislativa (13), si pone l'interrogativo se sia parimenti<br />

escluso il deferimento dei progetti di legge di revisione e degli altri progetti<br />

di legge costituzionale alla sede redigente, di cui all'art. 85 Reg.<br />

Camera (14). L'applicabilità dell'art. 72, 2° comma, Cost. (che contempla<br />

i procedimenti abbreviati al cui genere suole ricondursi la sede redigente)<br />

è stata negata per questi progetti di legge (15). A prescindere<br />

dall'accettabilità di tale diniego, vale la considerazione che il ricorso alla<br />

sede redigente in materia non pare confacente, dovendosi regionevolmente<br />

presumere la mancanza del presupposto di fatto di tale ricorso, e<br />

cioè la difficoltà e la complessità del testo legislativo - e in particolare<br />

dell'articolato - che, ferma restando la discussione generale in Aula,<br />

rendano più agevole una loro formulazione in Commissione.<br />

3. - L'interpretazione della disposizione dell'art. 138 che prescrive<br />

le due successive deliberazioni da parte di ciascuna Camera ad intervallo<br />

non minore di tre mesi ha suscitato acuti dissensi, non solo in dottrina,<br />

ma anche nella prassi. Le divisioni si sono verificate circa la scelta<br />

tra il principio della consecutività o alternatività della duplice deliberazione<br />

in ciascuna Camera, nonché - a prescindere dalla soluzione adottata<br />

in ordine alla prima questione - circa il principio della doppia deliberazione<br />

conforme.<br />

La questione se le due deliberazioni debbano aversi consecutivamente<br />

presso lo stesso ramo del Parlamento, prima dell'esame del progetto<br />

di legge da parte dell'altra Camera, o se sia invece ammissibile<br />

l'approvazione di un'Assemblea e, prima della seconda votazione (e cioè<br />

nell'intervallo minimo di tre mesi che separa le due approvazioni), la<br />

discussione e votazione in prima istanza ad opera dell'altra, involge la<br />

tutela di quella duplice e contraddittoria esigenza che - come si è già sottolineato<br />

- è alla base della procedura di revisione costituzionale. Ossia,<br />

si tratta di conciliare l'esigenza di aggravamento con quella di non frapporre<br />

ostacoli eccessivi e non voluti dal costituente.<br />

(13) E precisamente alla I Commissione permanente (Affari costituzionali), che è<br />

competente, per altro, in sede referente.<br />

(14) È da escludersi, comunque, l'ammissibilità, al Senato, del procedimento<br />

di cui all'art. 26-bis, il quale rientra piuttosto tra i procedimenti decentrati contemplati<br />

dal terzo comma dell'art. 72 Cost. che tra quelli abbreviati previsti al secondo<br />

comma della disposizione costituzionale stessa. Sul tema, si veda il commento all'art. 85.<br />

(15) CONTINI, La revisione costituzionale, Milano 1965, pag. 170.


542 L'esame delle leggi costituzionali<br />

A favore della consecutività, si è fatta valere l'occorrenza di non<br />

distaccarsi troppo dal procedimento legislativo ordinario. Ciascuna Camera<br />

- è stato osservato - non può spogliarsi dell'esame di un progetto<br />

di legge prima di averlo definitivamente approvato in modo tale che,<br />

ove non intervengano modifiche dell'altro ramo del Parlamento, il progetto<br />

non debba essere in alcun modo nuovamente discusso. Sarebbe<br />

contrario ai princìpi informatori del diritto parlamentare il fatto che<br />

una Camera licenzi un testo legislativo prima che la sua manifestazione<br />

di volontà nei riguardi dello stesso sia stata perfezionata (16).<br />

La tesi della consecutività si affermò quando la Camera si trovò<br />

a discutere l'unica legge costituzionale approvata durante la prima legislatura:<br />

la «legge Leone» sulla Corte costituzionale (17). In quell'occasione<br />

fu inserito nel Regolamento il capo Xl-bis, « Dei progetti di legge<br />

costituzionali »; ma dopo che la proposta di legge Leone era stata approvata,<br />

come un qualsiasi altro ordinario provvedimento, in prima istanza:<br />

anzi, dopo che era stata conclusa la seconda discussione generale<br />

ed era stato approvato l'art. 1 del provvedimento. Il che impedì che prendesse<br />

forza la tesi dell'alternatività (18). La Camera approvò con due<br />

successive e consecutive deliberazioni la proposta di legge Leone (destinata<br />

a divenire la legge costituzionale n. 1 del 1953), che poi trasmise<br />

al Senato. Questo adottò di fatto - e necessariamente - la stessa procedura,<br />

ma non codificò, a differenza della Camera, il principio della consecutività<br />

nel suo Regolamento (19).<br />

L'opposto principio dell'alternativa fu accolto dalla Camera quando,<br />

nello scorcio della seconda legislatura, affrontò la discussione di progetti<br />

di legge costituzionale. L'obbligatorietà della consecutività delle<br />

due deliberazioni presso ciascuna Camera fu, per altro, esclusa per contingenti<br />

motivi di carattere politico piuttosto che per convinta adesione<br />

di principio: e cioè per varare i provvedimenti prima della fine della<br />

legislatura. Soppresso dal Regolamento l'avverbio « consecutivamente »<br />

che nel 1952 era stato riferito alle due deliberazioni prese ai sensi dell'art.<br />

138 Cost., non venne, però, espressamente codificata l'alternatività,<br />

restando la disciplina in un clima di incertezza. Comunque, durante la<br />

(16) LONGI, op. cit., pag. 110.<br />

(17) Per più ampi cenni all'evoluzione storica e ai lavori preparatori delle disposizioni<br />

del Reg. Camera sulla procedura di revisione, si rinvia al commento agli articoli<br />

del capo \l-bis, contenuto in LONGI e STRAMACCI, // Regolamento della Camera dei deputati,<br />

illustrato con i lavori preparatori, 1948-68, Milano 1968, pag. 187 e seg.<br />

(18) LONGI e STRAMACCI, op. cit. pag. 187.<br />

(19) Una cronaca di tutta la vicenda regolamentare è contenuta in Giurisprudenza<br />

costituzionale, 1958, pag. 812 e segg.


L'esame delle leggi costituzionali 543<br />

seconda legislatura, fu approvata la legge costituzionale 18 marzo 1958,<br />

n. 1, recante modifica all'XI disposizione transitoria della Costituzione,<br />

con la procedura alternata. Il Senato approvò il provvedimento e lo trasmise<br />

alla Camera, che non vi apportò modificazioni; dopo tre mesi dalle<br />

rispettive deliberazioni le due Assemblee votarono definitivamente la<br />

legge (20).<br />

Trattandosi, poi, di applicare la medesima procedura al progetto<br />

di legge di riforma del Senato, le incertezze, non dissipate da una chiara<br />

scelta anche sul piano teorico, riemersero prepotentemente, al punto da<br />

contribuire non poco alla mancata approvazione del progetto. Esse si<br />

appuntarono sia sull'assenza di consecutività nelle due deliberazioni, sia<br />

su altre questioni sovrappostesi nella vicenda, tra le quali il discutibile<br />

e discusso criterio di consentire emendamenti in seconda deliberazione<br />

(21). Notevole, in particolare, l'intervento del senatore De Nicola,<br />

che rimise in discussione il problema nella sua globalità, sostenendo la<br />

necessaria applicazione del criterio della consecutività. Egli riteneva la<br />

sua tesi confermata dalla constatazione che gli artt. 67 Reg. Camera e<br />

54 Reg. Senato stabilivano la trasmissione all'altro ramo del Parlamento<br />

soltanto di progetti di legge già approvati, il che, nel procedimento di<br />

cui all'art. 138 Cost., sarebbe avvenuto non prima della seconda deliberazione;<br />

dai lavori preparatori della norma costituzionale sopra ricordata;<br />

nonché dalle ragioni di principio che avevano condotto la Camera,<br />

nel 1952, a prescrivere l'obbligo della consecutività (22).<br />

(20) LONGI, op. cit., pag. 112.<br />

(21) A tale problema è dedicato il successivo paragrafo, al quale, pertanto, si<br />

fa rinvio. Sulla vicenda si v. anche Tosi, Lezioni di diritto parlamentare, Firenze<br />

1966, pag. 199.<br />

(22) Contro tali argomentazioni, ESPOSITO, Interpretazione dell'articolo 138 della<br />

Costituzione, in « Giurisprudenza costituzionale », 1958, pag. 821, ha osservato che<br />

la Costituzione, prescrivendo due deliberazioni successive ad intervallo non inferiore di<br />

tre mesi, ha inteso dire non che le stesse debbano essere consecutive, bensì che esse<br />

facciano parte di un unico procedimento: e cioè che dopo la prima deliberazione non<br />

si deve iniziare un nuovo procedimento per la seconda deliberazione, ma che questa<br />

deve avvenire successivamente, nello stesso procedimento. Inoltre, la Costituzione attribuisce<br />

alla prima deliberazione, se positiva, il carattere di prima approvazione ; e al<br />

progetto di legge, dopo di essa, il carattere di testo approvato - seppure non definitivamente<br />

- e perciò trasmissibile all'altra Camera ai sensi degli artt. 67 e 54 dei regolamenti<br />

parlamentari, già ricordati. Del resto, in linea generale, l'approvazione di un<br />

testo di legge da parte del primo ramo del Parlamento può dirsi definitiva soltanto a<br />

condizione che il testo non sia emendato poi dall'altra Camera.<br />

L'Autore ha osservato ancora che l'alternatività non significa negazione dell'aggravamento<br />

voluto dal costituente, perché l'aggravamento rispetto alle leggi ordinarie<br />

sta nel fatto che, indipendentemente dagli emendamenti apportati dall'altro ramo del<br />

Parlamento, le leggi costituzionali necessitano di due deliberazioni da parte di ciascuna<br />

Camera, mentre per le leggi ordinarie la doppia deliberazione è soltanto potenziale e


544 L'esame delle leggi costituzionali<br />

Se non insorse un formale contrasto procedurale tra i due rami del<br />

Parlamento, dato che, al Senato, la maggioranza dei componenti l'Assemblea<br />

(pur non coincidendo con la maggioranza di Governo) respinse<br />

le eccezioni di incostituzionalità, non può essere sottovalutata la circostanza<br />

che il gruppo democristiano, sostenitore del Governo, in relazione<br />

ai dubbi circa la costituzionalità della procedura da seguirsi, ritenne<br />

doveroso rifiutare ogni collaborazione all'esame del progetto di<br />

legge sulla riforma del Senato ed astenersi. Altro sintomo delle perduranti<br />

perplessità si può ravvisare nel fatto che, in occasione dello scioglimento<br />

anticipato del Senato, il Presidente del Consiglio, illustrando<br />

l'atto di scioglimento da lui controfirmato, accennò espressamente, tra<br />

i motivi che lo avevano determinato, alla mancanza di norme certe e<br />

concordi di procedura parlamentare per l'approvazione delle leggi costituzionali<br />

(23).<br />

Con la terza legislatura si è pervenuti a una disciplina concorde dei<br />

Regolamenti delle due Camere, che ha consacrato il principio delle deliberazioni<br />

alterne; in ogni caso, la seconda deliberazione di entrambe<br />

le Camere è fatta su di un testo approvato concordemente in prima<br />

istanza. Dispone l'art. 107 Reg. Camera : « La prima deliberazione, prevista<br />

dall'art. 138 Cost. per i progetti di legge costituzionale o di revisione<br />

della Costituzione, è adottata nelle forme previste dal presente regolamento<br />

per i progetti di legge ordinaria. Dopo l'approvazione in sede<br />

di prima deliberazione il progetto di legge è trasmesso al Senato. Se il<br />

progetto è modificato dal Senato, la Camera lo riesamina a norma dell'art.<br />

67 ». E aggiunge l'art. 107-bis: « Quando il progetto di legge costituzionale<br />

è trasmesso dal Senato nello stesso testo già approvato dalla<br />

Camera, i tre mesi utili per adottare la seconda deliberazione decorrono,<br />

compresi i periodi di aggiornamento, dalla data in cui il progetto stesso<br />

è stato approvato dalla Camera in prima deliberazione » (24).<br />

condizionata agli emendamenti in parola. Del resto, anche quanto al requisito della<br />

maggioranza qualificata per la seconda votazione, la differenza tra il procedimento<br />

costituzionale e quello ordinario sta nel fatto che la maggioranza stessa nel primo è<br />

necessaria mentre nel secondo è eventuale.<br />

La conclusione che l'Esposito ne ha tratto è nel senso della compatibilità con<br />

l'art. 138 sia del criterio dell'alternatività sia di quello della consecutività. Il MORTATI.<br />

invece, ha ritenuto incostituzionale il procedimento ispirato al criterio della consecutività,<br />

ritenendo quella nel senso dell'alternatività l'unica corretta interpretazione dell'art.<br />

138: si v., in proposito Concetto, limiti, procedimento della revisione costituzionale,<br />

in «Studi in memoria di L. Rossi», Milano 1952, pag. 408 e segg.; op. cit.,<br />

pag. 966, nota 1.<br />

(23) Tosi, op. cit., pag. 202.<br />

(24) Corrispondenti disposizioni sono contenute negli artt. 91 e 91-&w Reg. Senato.


L'esame delle leggi costituzionali 545<br />

Ha precisato la Giunta del Regolamento della Camera come il dettato<br />

della Carta costituzionale che prescrive una duplice deliberazione<br />

per la legge costituzionale trovi la sua ragione di essere nella necessità<br />

di assicurare che la revisione della Costituzione sia voluta, non solo una<br />

prima, ma anche una seconda volta, a distanza di tre mesi, in modo che<br />

vi sia un adeguato ripensamento e, dopo di esso, un idem sentire sulla<br />

modifica o sull'integrazione della Costituzione. Situazione che si verifica<br />

quando la seconda deliberazione è conforme alla prima. Se, pertanto,<br />

una prima volta le Camere deliberano di modificare o di integrare la<br />

Costituzione in un determinato modo e la seconda volta in modo diverso,<br />

la legge non è approvata con due deliberazioni e, quindi, non può<br />

aver valore ai sensi dell'art. 138 (25).<br />

In forza della disciplina concordemente adottata dai due rami del<br />

Parlamento, dunque, essi approvano le leggi di revisione costituzionale e<br />

le altre leggi costituzionali come una qualsiasi legge ordinaria (ma con<br />

i limiti per procedimenti diversi da quello normale di esame e di approvazione<br />

diretta da parte di ciascuna Camera ai quali si è fatto cenno).<br />

Quando, secondo l'ordinaria procedura, è accertato che le Camere<br />

hanno votato un testo identico, si aprono i termini per la seconda deliberazione,<br />

con la quale non si possono apportare modificazioni. I tre<br />

mesi di intervallo decorrono, per ciascuna Camera, dal momento in cui<br />

essa ha votato l'ultimo testo valido, ossia quello che non ha più subito<br />

modificazioni in prima istanza (26).<br />

4. - Perplessità e ondeggiamenti procedurali ha suscitato l'art. 138,<br />

oltreché per l'interpretazione dell'obbligo delle due successive deliberazioni,<br />

anche per l'iter della seconda deliberazione. All'inizio della terza<br />

legislatura, le due Camere hanno risolto pure tale secondo ordine di problemi<br />

(27).<br />

Si è, così, inteso rispondere all'esigenza di accelerare al massimo la<br />

procedura, per consentire ad entrambe le Assemblee l'esame del progetto<br />

di legge nei tre mesi previsti dall'art. 138. Inoltre, si è voluto ade-<br />

(25) Relazione Tesauro 10 dicembre 1958, Doc. X, n. 3.<br />

(26) LONGI, op. cit., pag. 112. Il VIRO A, op. cit., pag. 350, ritiene che, secondo<br />

l'interpretazione più rigorosa della norma costituzionale, non solo la seconda deliberazione<br />

dovrebbe aver luogo sul medesimo testo inemendabile (in ottemperanza al principio<br />

della doppia conforme), ma dovrebbe essere rispettato anche il principio della<br />

consecutività.<br />

(27) In proposito, si rinvia al commento all'art. 107-/er nel secondo volume<br />

della presente opera; si v., inoltre, LONGI, op. cit., pag. 113.<br />

20.


546 L'esame delie leggi costituzionali<br />

rire, per quanto possibile, all'ordinario iter delle leggi anche in questa<br />

seconda istanza.<br />

La preliminare questione dell'ammissibilità di una seconda discussione<br />

è stata risolta positivamente, venendo ribadito il dissenso rispetto<br />

all'opinione per la quale, in sede di seconda deliberazione, debba procedersi<br />

unicamente alla votazione in blocco del testo adottato con la prima.<br />

« In sede di seconda deliberazione, la Commissione riesamina il<br />

progetto nel suo complesso e riferisce alla Camera. Nel corso della discussione<br />

in Assemblea non sono ammesse le questioni pregiudiziale e<br />

sospensiva; può essere chiesto soltanto un rinvio a breve termine sul<br />

quale decide inappellabilmente il Presidente » (art. 107-ter, commi 1°<br />

e 2°) (28). Alla discussione generale per la seconda deliberazione sono,<br />

dunque, arrecate limitazioni procedurali. La discussione non è più dichiarata<br />

« eventuale » (in tal senso disponeva il progetto della Giunta<br />

per il Regolamento approvato dalla Camera nel 1952 e conservato dalla<br />

stessa nel testo modificato del 1957): tuttavia, essa deve sfociare entro<br />

breve tempo nell'approvazione finale, o nel rigetto. Si intende, quindi,<br />

come sia stata mantenuta l'esclusione degli istituti della pregiudiziale e<br />

della sospensiva.<br />

Intorno all'esame degli articoli in seconda istanza accesissime erano<br />

state le discussioni, che avevano investito la necessità o meno della maggioranza<br />

qualificata, richiesta dall'art. 138, anche per l'approvazione degli<br />

articoli (la Camera, nel 1952, aveva ritenuto sufficiente la maggioranza<br />

semplice), nonché l'ammissibilità e le modalità di votazione degli<br />

emendamenti.<br />

La possibilità di introdurre emendamenti anche in sede di seconda<br />

deliberazione ha rappresentato il punto nodale delle discussioni tenutesi<br />

presso le Giunte per il Regolamento delle due Camere e presso il<br />

Comitato di coordinamento dalle stesse costituito nell'autunno 1958 (29).<br />

La questione si presenta anche quando si adotti il criterio della consecutività,<br />

ma la sua importanza si accresce - intuitivamente - in regime<br />

di alternatività.<br />

L'art. 107-ter, comma quinto, Reg. Camera, nel testo approvato nel<br />

1952 e confermato, sul punto, nel 1957, ammetteva la presentazione e la<br />

votazione a maggioranza semplice degli emendamenti e degli articoli<br />

(28) Corrispondentemente dispone l'art. 91-ter, commi primo e terzo, Reg.<br />

Senato.<br />

(29) LONGI, op. cit., pag. 113.


L'esame delle leggi costituzionali 547<br />

aggiuntivi, senza necessità di ulteriore deliberazione sugli stessi (30). Il<br />

Comitato di coordinamento sopra indicato non ha, invece, ritenuto di<br />

aderire alla tesi che ammette gli emendamenti anche in sede di seconda<br />

deliberazione.<br />

Ferma restando l'imprescindibile necessità di rispettare il principio<br />

della doppia conforme, ove si richiedesse per gli emendamenti una successiva<br />

deliberazione conforme a distanza di tre mesi, si protrarrebbe<br />

eccessivamente la procedura (31). D'altra parte, si è rilevato che l'eliminazione<br />

degli emendamenti in sede di seconda deliberazione non comporta<br />

effetti irrimediabili. Infatti, se una Camera ritiene di non poter<br />

approvare il provvedimento nel testo già votato in prima istanza, essa<br />

può sempre respingerlo, restando comunque salva la possibilità di iniziare<br />

un nuovo procedimento diretto all'approvazione di un testo diverso,<br />

decorsi sei mesi dalla data di reiezione.<br />

La disciplina regolamentare concordata dalle due Giunte del Regolamento,<br />

esclusa l'ammissibilità degli emendamenti, prevede che dopo<br />

la discussione generale si passi alla votazione finale del progetto di legge,<br />

senza che possano essere presentate - oltreché emendamenti ed articoli<br />

aggiuntivi - richieste di stralcio, ammesse invece espressamente, anche<br />

in sede di seconda deliberazione, dall'art. 107-quater Reg. Camera nel<br />

testo del 1952: sono ammesse soltanto le dichiarazioni di voto, per consentire<br />

ai parlamentari - e per essi ai gruppi - di motivare il proprio<br />

atteggiamento (32). L'art. Wl-ter, commi terzo e quarto, stabilisce:<br />

« Dopo la discussione generale si passa alla votazione finale del progetto<br />

di legge senza procedere all'esame degli articoli. Non sono ammessi<br />

emendamenti, né ordini del giorno, né richieste di stralcio di una<br />

o più norme. Sono ammesse le dichiarazioni di voto » (33).<br />

Le riserve mosse dalla dottrina, e da numerosi parlamentari, su una<br />

procedura che, ammettendo la definitiva approvazione di emendamenti<br />

in seconda istanza, faceva sì che potessero emanarsi norme costituzionali<br />

(30) La norma - la cui approvazione fu preceduta da animati dibattiti e dall'espressione<br />

di vivaci dissensi - aveva suscitato una decisa opposizione in dottrina,<br />

meritandosi la taccia di incostituzionalità per violazione del disposto costituzionale<br />

sulla doppia conforme : si v. MORTATI, op. cit., pag. 966, nota 1 ; BAR<strong>IL</strong>E e DB SIERVO,<br />

op. cit., pag. 24. L'art. 107-quinquies, ora soppresso, estendeva tale disciplina alle<br />

eventuali successive deliberazioni.<br />

(31) La seconda deliberazione ha lo scopo non di rimettere in discussione il<br />

testo, ciò che comporterebbe l'indefinito prolungamento della procedura, bensì soltanto<br />

di far valutare la convenienza della legge nel suo insieme: MORTATI, op. cit., pag. 966.<br />

(32) Relazione Tesauro, cit., pag. 3.<br />

(33) Corrispondentemente dispone l'art. 91-ter, commi secondo, terzo e quarto,<br />

Reg. Senato.


548 L'escane delle leggi costituzionali<br />

con una sola deliberazione, anziché con due, come esplicitamente richiesto<br />

dalla Costituzione (34), sono state superate. Altre, però, ne hanno<br />

sollevate le modificazioni stesse. Non pienamente soddisfacente è stata<br />

giudicata la nuova disciplina regolamentare; e si è negato fondamento<br />

all'opinione che la seconda deliberazione richiesta dall'art. 138 possa<br />

avvenire senza essere preceduta da un esame e da una discussione: il<br />

Parlamento - si è fatto presente - non è, infatti, investito, in tale seconda<br />

fase, di un potere minorato, che non consenta emendamenti al<br />

testo già deliberato. Le Camere - si è aggiunto - avrebbero, quali che<br />

siano le disposizioni dei loro regolamenti, il potere costituzionale di<br />

apportare emendamenti al progetto di legge costituzionale anche durante<br />

il procedimento che precede la seconda deliberazione. Gli emendamenti,<br />

però, importano che le Camere si debbano pronunziare una seconda<br />

volta sul testo modificato, in modo che si abbiano le due deliberazioni<br />

volute dalla Costituzione (35).<br />

Ad ogni modo, la travagliata vicenda che ha portato all'assestamento<br />

della materia nei Regolamenti parlamentari si può considerare<br />

ormai superata: la nuova disciplina accolta dalle Camere ha consentito<br />

l'approvazione di numerose leggi costituzionali senza che le obiezioni di<br />

carattere procedurale si ripetessero puntualmente ad ogni discussione,<br />

come avvenne nelle prime tre legislature repubblicane.<br />

In merito, infine, alla qualificazione delle maggioranze nel corso<br />

della seconda votazione, l'art. 107-quater Reg. Camera prescrive: «Il<br />

progetto è approvato in sede di seconda deliberazione se nella votazione<br />

finale ottiene la maggioranza assoluta dei membri della Camera.<br />

Se il progetto è approvato con la maggioranza dei due terzi dei membri<br />

della Camera, il Presidente ne fa espressa menzione nel messaggio al<br />

Senato o al Governo, agli effetti del terzo comma dell'art. 138 della Costituzione.<br />

Se il progetto è respinto, non può essere ripresentato se non<br />

siano trascorsi almeno sei mesi » (36). Nella perdurante carenza di una<br />

legge di attuazione delle norme costituzionali sul referendum, si deve<br />

far luogo - come si è rilevato - sempre alla maggioranza dei due terzi<br />

e, quindi, alla menzione di essa nel messaggio.<br />

[GIAN CARLO PERONE]<br />

(34) Si è fatto presente come - ai sensi della modificata disciplina - ad arte<br />

potrebbero non avanzarsi certi emendamenti in prima istanza, per introdurli poi, all'improvviso,<br />

nella seconda, rendendo cosi più facile la loro definitiva approvazione:<br />

BALLADORB PALLIBRI, op. cit., pag. 244.<br />

(35) TBSAURO, Istituzioni di diritto pubblico, voi. I, Torino 1966, pag. 270<br />

e segg.<br />

(36) Corrispondentemente dispone l'art. 91-quater Reg. Senato.


CAPO XI<br />

LA VOTAZIONE<br />

di Gaetano Carcaterra


CAPO XI.<br />

LA VOTAZIONE<br />

SOMMARIO: 1. Generalità. — 2. La fase preliminare. — 3. La fase costitutiva.<br />

— 4. La fase integrativa. — 5. Le votazioni elettive (o ed. personali).<br />

1. - Con formula sintetica e approssimativa, la votazione può<br />

definirsi come l'espressione della volontà di una assemblea. I termini<br />

« votazione » e « voto B sono tuttavia polisensi, e giova perciò registrarne<br />

e distinguerne i diversi significati. Questi sono almeno tre, sebbene<br />

fra di loro connessi in quanto designano fenomeni ciascuno dei<br />

quali è ricompreso nell'altro come sua parte, o momento, più particolare.<br />

In primo luogo, e nel senso più stretto, « voto » significa l'« atto<br />

individuale » con cui il singolo membro dell'organo collegiale esprime,<br />

nelle forme normative previste, la propria volontà in ordine a certe<br />

alternative decisionali oggetto del potere di scelta dell'assemblea. In<br />

secondo luogo, « voto » (o « votazione ») può significare F« atto collegiale<br />

» concretantesi nel concorso di tutti i particolari voti individuali,<br />

attraverso cui una decisione si forma e si imputa all'organo collegiale<br />

come sua propria volontà. Infine, « votazione » (o, raramente, « voto »)<br />

può significare un intero « procedimento », articolato in fasi, in ognuna<br />

delle quali possono essere compiuti vari e specifici atti e delle quali<br />

centrale e caratterizzante è la fase destinata all'espletamento delle operazioni<br />

di « voto » nel secondo (e quindi anche nel primo) dei sensi or ora<br />

precisati. I Regolamenti parlamentari impiegano i termini « voto » e<br />

« votazione » per indicare atti individuali o collegiali, mentre la votazione<br />

concepita come procedimento è piuttosto figura di origine dottrinale<br />

(1). Essa nondimeno è utile per ricostruire unitariamente, nel loro<br />

(1) Il termine < votazione » ha un significato forse più ampio che quello di<br />

atto individuale o collegiale, ma certo più ristretto di quello di procedimento, nell'art.<br />

81 Reg. Senato, dove si prescrìve la ininterruttibilità delle operazioni di voto<br />

dal momento dell'inizio della votazione fino al momento della proclamazione, salvo - si<br />

precisa nell'art. 81 - che per un richiamo alle disposizioni del Regolamento relative alla<br />

esecuzione della « votazione in corso » (con che, sembra, si vuole intendere la fase che,<br />

appunto, va dall'inizio dell'atto di votazione fino alla proclamazione). Molto più dubbia,


552 La votazione<br />

ordine temporale e logico, tutte le attività che rispetto agli atti di voto<br />

vero e proprio hanno carattere strumentale, prodromico o conclusivo.<br />

Tale nesso strumentale è così stretto che - come sarà chiaro più avanti -<br />

diversità per es. di forma o di oggetto degli atti di voto possono determinare<br />

diversità nella struttura dell'intero procedimento. D'altra parte,<br />

il procedimento della votazione, risolvendo in sé sia il fenomeno dell'atto<br />

collegiale sia, attraverso questo, il fenomeno dell'atto individuale<br />

del voto, permette di tener conto di tutti e tre i significati che a « votazione<br />

» e a « voto » sono assegnabili nel più comune discorso giuridico,<br />

senza nessuno sacrificarne. È pertanto sul metro di questo più largo<br />

ed articolato concetto che sarà qui esaminato ed analizzato l'istituto<br />

della votazione.<br />

In quanto procedimento (2), la votazione si concreta in un insieme<br />

di attività cospiranti ad un medesimo fine e inscrivibile in una successione<br />

di fasi necessarie nel loro ordine. Analizzeremo sia il fine, sia la<br />

sequenza procedimentale a quella coordinata. Faremo cenno, per ultimo,<br />

ad alcuni principi che disciplinano il procedimento nella sua unità.<br />

A) La votazione può essere parte di una più ampia fattispecie procedimentale,<br />

e persino di una pluralità'di tali fattispecie a disposizione<br />

concentrica. Le votazione sono, per es., momenti del procedimento<br />

legislativo che si conclude con la pubblicazione della legge approvata<br />

e promulgata, e anche del meno ampio iter che la legge percorre nel<br />

seno di uno dei due rami del Parlamento. La votazione pertanto è,<br />

ad un tempo, internamente strutturata secondo nessi funzionali ed essa<br />

stessa, nel suo complesso, fase o strumento di un più largo procedimento.<br />

Di qualunque altro procedimento faccia parte, la votazione ha tuttavia<br />

un suo fine specifico e costante. Tale fine è quello della formazione<br />

di una « decisione » che viene imputata all'intero collegio votante.<br />

Decisione è qui da intendere nel senso, volutamente generico, di determinazione<br />

fra due o più possibilità di scelta relativa a qualche oggetto.<br />

viceversa, è l'ampiezza del senso del termine « votazione » nel corrispondente art. 101<br />

Reg. Camera. Rara è anche in dottrina la configurazione della votazione come procedimento,<br />

Presso G. GUARINO, Deliberazione-nomina-elezione, in « Riv. it. per le se. giur. »,<br />

1954, voi. VII (unico), trovasi peraltro una esplicita affermazione in tal senso: «il<br />

voto, alla pari dell'esame, costituisce un procedimento parziale compreso in quello<br />

più ampio deliberativo > (pag. 81).<br />

(2) Sulla figura del procedimento v. la classica monografia di A. M. SANDULLI,<br />

// procedimento amministrativo, Milano, rist. 1950 (prima ed. 1940). Nuovi orientamenti<br />

sul tema, connessi anche con il diritto parlamentare, in S. GALEOTTI, Osservazioni<br />

sui concetto di procedimento giuridico, in «Jus», 1955, IV, pagg. 502-565;<br />

Io., Contributo alla teoria del procedimento legislativo, Milano 1957. Ivi ampia bibliografia.


La votazione 553<br />

Il contenuto della decisione cui tende il voto può essere il più vario.<br />

Ciò implica che la votazione non è definibile sulla base di criteri contenutistici<br />

e che nella sua essenza essa non è collegata con alcuna particolare<br />

funzione della Camera o del Parlamento, potendo porsi al servizio<br />

di una qualsiasi di esse, ed estendersi anche a nuove funzioni che<br />

eventualmente l'organo collegiale venga ad assumere. Di solito si pensa<br />

alla votazione come a strumento tipico della funzione legislativa: ma<br />

per mezzo del voto non soltanto si delibera su progetti di legge, né<br />

soltanto si procede ad eleggere i componenti di vari organi, ma si<br />

stabilisce altresì l'ordine dei lavori dell'assemblea, si approvano o si<br />

respingono le mozioni e gli ordini del giorno, si concedono o si negano<br />

le autorizzazioni a procedere, si convalidano o si annullano le elezioni,<br />

si istituiscono inchieste parlamentari, si risolvono le questioni incidentali,<br />

si apportano modificazioni ai Regolamenti parlamentari, ecc. Rispetto<br />

a tali specifiche, e fra di loro profondamente differenti, funzioni,<br />

la funzione propria - se così ci si vuole esprimere - che può ritenersi<br />

la votazione sia preordinata ad assolvere altra non può essere che quella<br />

appunto decisionale, invariante e comune a tutte le altre. Funzione che<br />

finisce per coincidere con la stessa ragion d'essere dell'organo collegiale,<br />

perché rappresenta il modo in cui questo estrinseca conclusivamente<br />

ogni sua possibile istituzionale attività: il che giustifica il rilievo che<br />

alla votazione si suole attribuire nell'ambito del diritto parlamentare.<br />

Ciò non impedisce, tuttavia, di operare delle distinzioni che abbiano<br />

riguardo a taluni salienti caratteri del contenuto delle varie decisioni.<br />

La più importante di queste distinzioni è quella che, con terminologia<br />

peraltro fuorviante, si suole tradizionalmente tracciare fra « votazioni<br />

reali » e « votazioni personali », o « votazioni su questioni » e<br />

« votazioni su persone ». La distinzione può essere fondata sulla differenza<br />

- messa a punto dalla dottrina - che sussiste fra « deliberazione »<br />

ed « elezione » (3). Le votazioni e. d. « reali » o « su questioni » hanno<br />

come risultato una deliberazione, ossia l'adozione di un provvedimento,<br />

astratto o concreto e della più varia natura, e possono chiamarsi « votazioni<br />

deliberative »; le votazioni e. d. a personali » o « su persone »<br />

(che - è ovvio - non si identificano, come sembra suggerire il nome e come<br />

talvolta esplicitamente si afferma, con quelle che riguardano persone)<br />

(3) Sulla distinzione fra votazioni reali e votazioni personali v. J. BENTHAM, An<br />

Essay on Politicai Tactics, in «The Works of Jeremy Bentham», ed. J. Bowling,<br />

Edinburgh 1843, voi. II, cap. XIV, § 1, pag. 367, e U. GALEOTTI, Principi regolatori<br />

delle Assemblee, Torino 1900, pagg. 133 e 183. Qui, e nel § 5, si terrà presente specialmente<br />

G. GUARINO, op. cit.<br />

20*.


554 La votazione<br />

hanno come risultato una elezione, ossia la scelta di uno o più soggetti<br />

per la formazione di un organo, e possono perciò venire dette « votazioni<br />

elettive ».<br />

Siffatta classificazione si rivela interessante sotto diversi punti di<br />

vista. È anzitutto principio generale che attiene alla stessa natura dell'organo<br />

che la sua attività - come osserva Kelsen - si concreti in deliberazioni<br />

o in elezioni, a seconda che esso costituisca norme (lato<br />

sensu) od organi a sua volta (4). La distinzione fra votazioni deliberative<br />

e votazioni elettive riflette pertanto il duplice ed essenziale modo<br />

in cui ogni organo partecipa alla creazione dell'ordinamento giuridico<br />

nelle sue componenti che sono, appunto, normative ed istituzionali. Sotto<br />

questo punto di vista è inoltre possibile introdurre una sottodistinzione,<br />

a seconda che la deliberazione, che è il risultato della votazione, regoli<br />

l'attività dello stesso organo collegiale o quella di organi esterni; e, analogamente,<br />

a seconda che l'organo, alla cui formazione tende il processo<br />

elettivo, sia interno o esterno allo stesso organo votante.-* È evidente<br />

che le votazioni del primo tipo fanno parte di procedimenti che<br />

sono manifestazioni di un potere di autonomia e di autoorganizzazione,<br />

di natura profondamente diversa dai poteri che si estrinsecano nelle<br />

votazioni del secondo tipo, e nei relativi procedimenti, che hanno di<br />

mira la produzione di effetti esterni.<br />

D'altra parte, la distinzione tra votazioni deliberative e votazioni<br />

elettive coglie anche delle rilevanti differenze procedurali, diversi essendo<br />

in generale, e comunque per il nostro ordinamento, nella loro<br />

struttura e nei loro presupposti il procedimento elettivo e il procedimento<br />

deliberativo. Manca - come meglio si vedrà - nel caso della votazione<br />

elettiva una proposta in senso tecnico e una discussione, e scompare<br />

nei suoi elementi tipici la fase preliminare della stessa votazione;<br />

inoltre, la forma necessaria del voto è quella segreta e regole speciali<br />

disciplinano la maggioranza, talché alla votazione elettiva converrà dedicare<br />

un discorso a parte (v. oltre, § 5).<br />

B) Come si è detto, la votazione è essa stessa fase di un più ampio<br />

procedimento. Se si tiene presente il procedimento deliberativo (che,<br />

secondo quanto si è or ora osservato, ha struttura più completa o complessa<br />

rispetto a quello elettivo) si nota che in esso la votazione costituisce<br />

il momento finale. Le fasi del procedimento deliberativo sono<br />

(4) H. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello Stato (trad. it. S. Cotta e<br />

G. Treves), Milano 1954, pag. 200.


La votazione 555<br />

infatti quelle della proposta, della discussione (o esame) e della votazione<br />

(5). Della votazione, pertanto, la proposta e la discussione costituiscono<br />

dei semplici « presupposti » : sono fasi del procedimento deliberativo,<br />

non del procedimento di votazione. D che d'altra parte è<br />

conforme al principio, consolidato nei moderni parlamenti, della separazione<br />

del dibattito dal voto: il secondo non deve avere inizio - osservava<br />

Bentham - che quando il primo è terminato (6). L'esaurimento<br />

della discussione (in questa compresa, s'intende, anche la replica del<br />

relatore e del ministro, nel caso della discussione generale di un progetto<br />

di legge) segna così il momento iniziale della votazione. Il momento<br />

finale di essa è rappresentato invece dalla proclamazione del<br />

suo risultato, ossia dall'atto col quale si perfeziona l'effetto cui la votazione<br />

stessa tende.<br />

All'interno di questi due momenti, la votazione si articola, secondo<br />

lo schema ormai classico di ogni procedimento, nelle tre fasi « preliminare<br />

», « costitutiva » ed « integrativa ».<br />

Nella fase costitutiva cadono l'atto collegiale e gli atti individuali<br />

di voto. Tuttavia, prima che questi atti possano aver luogo, è spesso necessario,<br />

logicamente e giuridicamente, che altre operazioni siano compiute.<br />

Vengono qui principalmente in considerazione le decisioni relative<br />

all'ordine delle votazioni, la verifica preliminare del numero legale,<br />

la scelta della forma o sistema di votazione e le dichiarazioni di voto.<br />

Tali attività, e in generale tutte quelle che, non rientrando fra i presupposti,<br />

condizionano la possibilità di procedere all'atto collegiale della<br />

votazione, ricadono nella fase preliminare. D'altra parte, l'atto collegiale<br />

non produce il suo effetto decisorio, epperciò non si perfeziona,<br />

che in seguito alla duplice attività di scrutinio e di proclamazione del<br />

risultato. Queste ultime operazioni appartengono, pertanto, alla fase integrativa<br />

dell'efficacia. Nelle varie fasi (ma cfr. appresso, sub C) possono<br />

inoltre venire sollevate questioni incidentali (per es., richiami al<br />

Regolamento) relative ad uno od altro atto del procedimento di votazione,<br />

ed appartenenti perciò al medesimo procedimento esse stesse,<br />

entro il quale possono dar luogo, attraverso una nuova sequenza di<br />

proposta, discussione e voto, ad una analoga fattispecie procedimentale<br />

deliberativa - interna reiterabilità del procedimento, questa, ben<br />

nota alla strategia ostruzionistica.<br />

(5) V. M. NIGRO, Deliberazione amministrativa, in e Enciclopedia del diritto »,<br />

Milano 193, XI, pag. 1001, e letteratura ivi citata.<br />

(6) J. BENTHAM, op. cit., cap. VI, § 5, pag. 342 e segg.


556 La votazione<br />

Per contro, accade talvolta che una o più delle menzionate attività<br />

concretanti le fasi della votazione vengano meno o risultino assorbite<br />

in altri atti o subiscano una traslazione da una ad altra delle tre fasi.<br />

A parte le ipotesi in cui la fase preliminare è accidentalmente vuota<br />

onde in pratica il procedimento inizia proprio con l'atto collegiale di<br />

votazione, interessanti sono i casi di riduzione necessaria, perché normativamente<br />

prescritta, delle possibili attività del procedimento stesso.<br />

Così, secondo quanto già si è accennato, le votazioni elettive di norma<br />

difettano strutturalmente degli atti che nelle votazioni deliberative<br />

integrano la fase preliminare. Altro esempio di riduzione necessaria di<br />

questa fase è costituito dalla ritenuta inammissibilità di dichiarazioni<br />

di voto in sede di votazioni non palesi. Più profonda trasformazione<br />

subisce il procedimento nel caso delle e. d. votazioni tacite (posto che<br />

di votazioni vere e proprie si tratti) introdotte di solito dall'avvertenza<br />

del Presidente che ove non si facciano obiezioni la proposta in esame<br />

si dà per approvata. Qui manca una formale proclamazione del risultato,<br />

di cui dà conto esplicito solo il processo verbale. L'attestazione<br />

dell'esito positivo del voto in tal caso è implicita nell'atto immediatamente<br />

successivo col quale il Presidente dà corso all'ulteriore svolgimento<br />

della seduta. Inoltre, la scelta della forma tacita del voto avviene<br />

per mezzo dello stesso atto col quale si approva nel merito la<br />

proposta.<br />

La verifica del numero legale, invece, è attività che, in relazione<br />

alla prescelta forma di votazione, può collocarsi nella fase preliminare<br />

o nella fase integrativa dell'efficacia. A rigore, la sussistenza del numero<br />

legale è condizione di validità (cfr. art. 64, terzo comma, Cost.), della<br />

deliberazione, e il suo accertamento è perciò atto che non si limita ad<br />

incidere sulla efficacia della votazione: ove risulti mancare il numero<br />

legale la votazione, se compiuta, è nulla e deve ripetersi. Di principio,<br />

quindi, la verifica del numero legale va anticipata all'atto di votazione,<br />

al fine di stabilire se esistono le condizioni per procedere al compimento<br />

di un atto valido. Tuttavia, nel caso che la verifica del numero<br />

legale possa essere effettuata per mezzo delle stesse operazioni di conta<br />

dei voti, appare opportuno, per un criterio di economia del procedimento,<br />

differirla alla fase integrativa. È così che nel caso delle votazioni<br />

sommarie (alzata e seduta, divisione) la verifica del numero legale cade<br />

nella fase preliminare, mentre viene assorbita nella fase integrativa nel<br />

caso delle votazioni distinte (scrutinio segreto, appello nominale; nel Regolamento<br />

del Senato, peraltro, la verifica implicita è prevista soltanto<br />

per l'ipotesi dello scrutinio segreto: cfr. art. 43, primo comma).


La votazione 557<br />

C) Si è accennato al principio di economia del procedimento di votazione,<br />

che è un principio comune a qualunque tipo di procedimento.<br />

Ma la votazione è regolata da altri principi più particolari, dei quali il<br />

più noto è quello che va comunemente sotto il nome di « principio di<br />

ininterruttibilità ». A causa tuttavia della indeterminatezza dei concetti<br />

di votazione e di interruzione, il principio resta ambiguo nel suo significato<br />

e dubbio nel suo valore. Il termine « votazione » invero si può assumere<br />

qui - ed è stato di fatto assunto - almeno in quattro diverse accezioni,<br />

e cioè per designare: (al) l'atto collegiale del voto, {al) l'insieme<br />

rappresentato dalla fase costitutiva e dalla fase integrativa del procedimento<br />

di votazione, (a3) l'intero procedimento nelle sue tre fasi e, infine,<br />

(


558 La votazione<br />

dal citato art. 101. Questo articolo escluderebbe anche che discussioni<br />

possano svolgersi contemporaneamente, pur senza effetto interruttivo,<br />

alle operazioni di voto (al-b3), benché la prassi ammetta poi che nel<br />

corso di votazioni segrete le urne si lascino aperte e si proceda nel frattempo<br />

nello svolgimento dell'ordine del giorno (7). Così pure è consentito<br />

che più votazioni segrete abbiano luogo contemporaneamente, ma<br />

- a termini dell'art. 103, secondo comma, Reg. - per non più di tre<br />

progetti di legge alla volta (8). Parimenti, sono consuetudinariamente<br />

consentite altre attività dell'Assemblea in concomitanza con le operazioni<br />

di scrutinio (q2-b3) (ma non, ovviamente, quando è in atto la<br />

proclamazione). È ancora per una esigenza di certezza che non può, di<br />

principio, ammettersi soluzione temporale di continuità, e cioè che si sospenda<br />

o si tolga la seduta, tra la fase costitutiva e la fase integrativa del<br />

voto (ipotesi a2-bì): una volta compiuto l'atto collegiale, occorre procedere<br />

senz'altro allo scrutinio e quindi alla proclamazione del risultato, perché<br />

soltanto la continuità cronologica di tali operazioni effettuate in costanza<br />

di seduta possono dare tutte le garanzie della pubblicità (9). Diverso<br />

è il caso (a2-b2) di una discussione che si inserisca fra la fase costitutiva<br />

e la proclamazione. Una siffatta ipotesi è esclusa dal citato art. 101 nel<br />

suo tenore letterale. Dubbi tuttavia potrebbero manifestarsi in ordine<br />

alla proponibilità di questioni procedurali. Va notato che il Reg. Senato<br />

stabilisce esplicitamente che « cominciata la votazione non è più concessa<br />

la parola fino alla proclamazione del voto, salvo che per un richiamo<br />

alle disposizioni del Regolamento relative alla esecuzione della votazione<br />

in corso » (art. 81). Alla Camera, peraltro, dal silenzio che il preclusivo<br />

art. 101 mantiene su tali subprocedimenti incidentali, dovrebbe dedursi<br />

la loro inammissibilità, tanto più che sono facilmente immaginabili le<br />

assurde conseguenze di un uso reiterato della facoltà che venisse di prin-<br />

(7) Prassi di origine non recente: cfr. M. MANCINI-U. GALEOTTI, Norme ed usi<br />

del Parlamento italiano, Roma 1887, pag. 287.<br />

(8) Ampie e frequenti anche in questo caso le deroghe consuetudinarie: per<br />

es., nella seduta della Camera del 9 maggio 1956 furono posti in votazione contemporaneamente<br />

ben 23 progetti di legge (Atti parlamentari, Camera dei deputati, II<br />

lcgisl., sed. del 9 maggio 1956, pag. 25553). Da notare, peraltro, che il Presidente<br />

suole disporre la deroga sotto l'esplicita condizione del consenso (tacito, epperciò<br />

unanime) dell'assemblea.<br />

(9) Tuttavia, nelle votazioni elettive lo spoglio delle schede, per motivi di praticità,<br />

può avvenire in un'aula separata; il Presidente, inoltre, ha disposto in tali casi<br />

la sospensione della seduta fino al termine delle operazioni di scrutinio (v., p. e., le<br />

votazioni per la elezione dei giudici costituzionali o dei membri del Consiglio superiore<br />

della magistratura). Va anche osservato che il Regolamento solo per l'elezione<br />

del Presidente della Camera prescrive che lo spoglio delle schede sia fatto in seduta<br />

pubblica (art. 6).


La votazione 559<br />

cipio riconosciuta di ottenere la sospensione della proclamazione di una<br />

votazione inserendo nel procedimento una nuova discussione e un nuovo<br />

atto di votazione, il quale sarebbe soggetto esso stesso a quel principio,<br />

e così via ricorsivamente senza un limite precisabile. Ciò significa che<br />

ampi non possono non essere i poteri presidenziali di interpretazione e<br />

di decisione nella fase integrativa (v. oltre § 4), e che spetta al Presidente<br />

- se mai, e se lo ritenga necessario - sottoporre o meno quesiti all'assemblea<br />

prima di procedere alla definitiva determinazione del risultato del voto.<br />

Perplessità forse più gravi sorgono quando il termine « votazione »<br />

viene riferito all'intero procedimento, comprensivo anche della fase preliminare;<br />

ed è molto dubbio che tale ampiezza di riferimento abbia la<br />

norma dell'art. 101. Circa il quesito se la seduta possa essere sospesa<br />

o tolta una volta che il procedimento di votazione sia iniziato (a3-M),<br />

occorre distinguere perché non può affermarsi, in linea generale, che,<br />

esaurito il processo della discussione e compiuto un qualsiasi atto relativo<br />

alla votazione, la seduta debba proseguire senza intervalli. Così<br />

certamente interruttibili sono la seduta e il procedimento pur dopo che sia<br />

stata affrontata e decisa la questione della priorità di una serie di votazioni,<br />

giacché il momento in cui viene determinato l'ordine delle votazioni<br />

è comune a più procedimenti: se il principio di ininterruttibilità<br />

operasse da questo momento, dovrebbe dedursene - con conclusione<br />

manifestamente eccessiva - che, una volta deciso l'ordine delle varie<br />

votazioni, queste debbono venir portate a termine tutte insieme, senza<br />

soluzione di continuità. La ininterruttibilità, in altri termini, da principio<br />

regolatore interno di ogni singolo procedimento di votazione si<br />

dilaterebbe in principio di connessione interprocedimentale. È invece<br />

evidente che la verifica (preliminare) del numero legale, ove dia esito<br />

positivo, impegna a procedere contestualmente all'atto in vista del quale<br />

è stata richiesta, senza cesure nel procedimento che frustrerebbero lo scopo<br />

della verifica stessa (si pensi - come a caso limite - all'assurdo di una<br />

seduta tolta subito dopo che risultasse accertata la presenza del numero<br />

legale). Ma già in questo caso può osservarsi che non è più il<br />

principio della certezza, né l'ambiguo disposto dell'art. 101, che opera<br />

risolutivamente. Come pure a nulla gioverebbe richiamare quel principio,<br />

o quella norma, per decidere la controversa questione se la seduta<br />

possa essere tolta o sospesa iniziate che siano le dichiarazioni di voto;<br />

nella prassi sono state ammesse soltanto brevi sospensioni (10).<br />

(10) Cfr., per es., le sedute del 16 marzo 1949 e del 18 gennaio 1953, passim.<br />

V. anche, oltre, la nota 32.


560 La votazione<br />

Il principio dell'unità teleologica del procedimento può invece plausibilmente<br />

invocarsi per risolvere il quesito relativo alla ammissibilità<br />

o meno di discussioni che interferiscano nell'intero procedimento di votazione,<br />

particolarmente nella sua fase preliminare (a3-b2): salvo quanto<br />

dovrà dirsi a proposito delle votazioni elettive, è chiaro, infatti, che<br />

sarà consentito lo svolgimento di tutte quelle questioni che siano funzionalmente<br />

ordinate a preparare l'atto della votazione, e tali che alla votazione<br />

non sarebbe possibile procedere senza che esse siano state previamente<br />

risolte: e cioè, oltre le tipiche attività concernenti l'ordine delle<br />

votazioni, la verifica del numero legale, il concorso di domande e le dichiarazioni<br />

di voto, tutte le questioni procedurali - come sopra accennato<br />

- che attengano a qualcuno dei momenti che della fase preliminare<br />

facciano parte.<br />

Nel caso che « votazione » designi una serie di atti di votazione<br />

ripetuti, bisogna vedere a che titolo viene compiuta la ripetizione. Se<br />

la ripetizione è disposta per la prova del primo atto (art. 99 Reg.}, allora<br />

non soltanto non può farsi luogo, fra l'uno e l'altro atto, a sospensione<br />

o scioglimento della seduta (a4-M), ma neppure può concedersi la parola,<br />

tranne che, appunto, per chiedere la prova (a4-b2). Se la ripetizione<br />

è disposta per mancanza del numero legale, la seduta deve invece<br />

essere sospesa o tolta, a norma dell'art. 51, terzo comma, Reg.: ma la<br />

seduta riprende o inizia al punto dello svolgimento dell'ordine del giorno<br />

in cui fu interrotta, e pertanto nessuna nuova discussione può venire<br />

consentita. Infine, può darsi che la ripetizione sia disposta, nelle votazioni<br />

elettive, in quanto non è stata raggiunta la maggioranza necessaria<br />

per l'elezione: in questo caso, mentre frequentemente la seduta è stata<br />

sospesa o tolta, si è riconosciuta la facoltà di parlare, alla ripresa, solo<br />

per avanzare proposte (per es. di aggiornamento) tali che non incontrino<br />

opposizioni od obiezioni, e che perciò non diano luogo a discussione<br />

(11).<br />

Osservato nelle sue linee principali il procedimento della votazione,<br />

ne esamineremo ora più analiticamente le varie fasi.<br />

2. - La fase preliminare della votazione comincia quando è esaurito<br />

ogni intervento relativo alla discussione, e termina quando il Presidente<br />

indice le operazioni di voto in una forma specifica. La fase preliminare<br />

comprende pertanto tutti quegli atti che, per ragioni logiche o giuridi­<br />

ci 1) Cfr. la seduta comune del Parlamento del 29 luglio 1954, Resoconto stenografico,<br />

pag. 15 e segg.


La votazione 561<br />

che, devono essere compiuti, chiusa la discussione, prima di procedere<br />

all'atto collegiale di votazione. Tali atti non sono enumerabili in maniera<br />

completa; i più importanti e tipici di essi possono considerarsi<br />

tuttavia quelli, già menzionati, che attengono alla determinazione dell'ordine<br />

delle votazioni, alla verifica preliminare del numero legale, alla<br />

specificazione della forma di votazione e alle dichiarazioni di voto.<br />

A) La determinazione della priorità delle votazioni appartiene alla<br />

fase preliminare non di una sola votazione, bensì, e necessariamente,<br />

di una intera serie di votazioni fra di loro differenti: rappresenta il momento<br />

iniziale di ciascuno di quei diversi procedimenti (è per ciò che<br />

- come accennato sopra - non può ritenersi che il principio di ininterruttibilità<br />

operi a cominciare da questo momento).<br />

La determinazione dell'ordine delle votazioni è atto di competenza<br />

del Presidente (art. 10 Reg. Camera), il quale tuttavia può, su richiamo,<br />

riferire la decisione all'assemblea: in questo caso si svolge sulla questione<br />

incidentale una discussione limitata (art. 79 Reg. Camera). Benché<br />

la discrezionalità presidenziale sia abbastanza ampia nello stabilire<br />

l'ordine delle votazioni, esistono alcuni criteri - in parte normativamente<br />

enunciati, in parte enucleabili dalla tradizione parlamentare -<br />

che disciplinano questa materia. Per la Camera dei Deputati, una espressa<br />

disciplina normativa si dà per le questioni incidentali, che hanno la precedenza<br />

sulla questione principale (artt. 79 e 89 Reg. Camera), per l'ordine<br />

del giorno puro e semplice, che ha la precedenza sugli ordini del<br />

giorno motivati (art. 81, ultimo comma, Reg. Camera) e per gli emendamenti<br />

che siano presentati ad una mozione (artt. 129, ultimo comma,<br />

e 130 Reg. Camera). Al resto, e particolarmente ai criteri che presiedono<br />

alla votazione degli articoli e degli emendamenti dei progetti di legge,<br />

provvede da un lato la prudenza discrezionale del Presidente (al quale<br />

la Giunta del Regolamento riconobbe facoltà piuttosto larghe per 1 organizzazione<br />

della discussione e delle votazioni all'interno di ciascun<br />

articolo (12)), e dall'altro le consuetudini che si sono stabilite al riguardo.<br />

Per quanto attiene ai progetti di legge, si usa dare la precedenza agli<br />

(12) I risultati della riunione della Giunta furono comunicati dal Presidente<br />

stesso in Assemblea, nella seduta del 9 gennaio 1953. D Presidente affermò: e non<br />

prescrìvendo il regolamento con norme precise 0 modo di organizzare la discussione<br />

nell'interno di un articolo, questa resta affidata alla facoltà discrezionale del Presidente.<br />

Su questo punto la Giunta del regolamento è stata tutta concorde» (Atti<br />

parlamentari. Camera dei deputati, I legisl., sed. del 9 gennaio 1953, pag. 45045; si<br />

noti che la questione verteva non soltanto sull'ordine della discussione ma anche su<br />

quello delle votazioni degli emendamenti all'interno di ogni articolo).


562 La votazione<br />

emendamenti rispetto al testo da emendare (e pertanto ai subemendamenti<br />

rispetto agli emendamenti relativi) (13), e fra gli emendamenti si<br />

pongono in votazione, nell'ordine: i soppressivi, i modificativi (e di questi<br />

per primi quelli che più « si discostano » dalla proposizione principale)<br />

e infine gli aggiuntivi (14). La divisione del testo deve, inoltre, sempre<br />

concedersi. Ma ove su un testo il Governo abbia posto la questione di fiducia,<br />

allora il testo stesso diviene indivisibile ed inemendabile, e ha la<br />

priorità nella votazione rispetto agli eventuali testi concorrenti (15).<br />

Analoghi criteri si seguono nel caso di procedimenti deliberativi<br />

di natura non legislativa. Solo che qui può accadere che non esista un<br />

testo-base e che si dia una pluralità di proposte in concorrenza fra di<br />

loro. Tale è l'ipotesi di più mozioni presentate sullo stesso argomento.<br />

Mentre l'ordine di votazione degli emendamenti relativi a ciascuna mozione<br />

è disciplinato dal Regolamento, resta qui aperto il problema dell'ordine<br />

di votazione delle varie mozioni. In questo, e in tutti i casi in<br />

cui si abbiano testi di fondo concorrenti fra i quali non sia dato assumerne<br />

uno come testo-base della discussione (e quindi come punto di<br />

riferimento per applicare il principio della priorità del testo più lontano)<br />

l'ordine delle votazioni si ispira, nella prassi, al criterio di accordare<br />

priorità al testo « più ampio » e più in generale a quei testi la cui approvazione<br />

non determini preclusione al voto degli altri; ove tale pos-<br />

(13) Si noti che il principio della priorità dell'emendamento rispetto al testo<br />

da emendare risulta rovesciato nel caso delle mozioni. La ragione di tale rovesciamento<br />

fu spiegata all'atto dell'approvazione dell'art. 130 dal Presidente Biancheri che<br />

affermò : « quando la Camera ha ammesso che una mozione sia portata alla discussione<br />

e la discussione si è aperta sulla medesima, la Camera s'impegna a risolvere una<br />

determinata questione, tassativamente indicata dalla mozione. Perciò io ho sostenuto<br />

che la mozione dovesse esser messa ai voti prima di qualunque altra proposta di modificazione<br />

alla medesima. Dimodoché la mozione ha la precedenza... i proponenti della<br />

mozione hanno questa legittima sodisfazione, che quella questione che essi invitano<br />

la Camera a risolvere, è risoluta nella sua interezza » (Atti parlamentari, Camera dei<br />

deputati, XVII legisl., 1» sess., sed. del 18 dicembre 1890, pag. 97).<br />

(14) M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit., pag. 270 e segg. ; R. ASTRALM-F. CO­<br />

SENTINO, / nuovi Regolamenti del Parlamento italiano, Roma 1950, pag. 166, nota 2;<br />

F. MOHRHOFF, Trattato di diritto e procedura parlamentare, Roma 1948, pag. 313 e<br />

segg.; C MUSCARX, Manuale del deputato, Roma 1958, voce «Emendamenti», pagina<br />

263.<br />

(15) Principi questi in parte già affermati in regime statutario: cfr. U. GALEOTTI,<br />

// Regolamento della Camera dei deputati, Roma 1902, pag. 270. Per l'epoca attuale<br />

v. V. FALZONE, La prassi nell'ordinamento costituzionale repubblicano, in « Studi<br />

sulla Costituzione », Milano 1958, pagg. 471-3 (voi. II della « Raccolta di scritti sulla<br />

Costituzione», curata dal Comitato nazionale per la celebrazione del primo decennale<br />

della promulgazione della Costituzione). Una succinta ricapitolazione degli effetti<br />

della posizione della questione di fiducia su un testo trovasi nelle dichiarazioni compiute<br />

dal Presidente Leone nella seduta del 19 gennaio 1962 (Atti parlamentari. Camera<br />

dei deputati, III legisl., sed. del 19 gennaio 1962, pag. 27436).


La votazione 563<br />

sibilità non sussista, ci si attiene al criterio dell'ordine cronologico della<br />

presentazione.<br />

Non può, peraltro, tacersi che la materia dell'ordine delle votazioni<br />

è rimasta ad uno stadio di elaborazione largamente empirico. Non<br />

soltanto è qui manifesta l'imprecisione - fonte di numerose controversie<br />

nei casi concreti - dei criteri della maggiore o minore « distanza » e della<br />

maggiore o minore « ampiezza » degli emendamenti rispetto al testobase,<br />

o di uno rispetto ad altro dei testi concorrenti, ma va altresì segnalata<br />

l'incertezza, ancora più grave, che regna circa le stesse finalità<br />

che si assumono a giustificazione delle accennate procedure ordinative.<br />

Sotto questo profilo occorre distinguere almeno tre principi, portatori<br />

di altrettante finalità: il « principio di economia » (del processo deliberativo),<br />

il « principio della libera scelta » e il « principio della votazione<br />

di tutte le proposte ».<br />

Alla stregua del primo principio occorrerebbe ordinare le votazioni<br />

cominciando da quel testo la cui approvazione o reiezione determina la<br />

sorte degli altri (16): lo scopo perseguito è la riduzione del numero dei<br />

procedimenti di votazione.<br />

Il principio della libera scelta postula invece la finalità che resti<br />

sempre consentito ad ogni soggetto di votare coerentemente alla logica<br />

delle sue preferenze. Nel caso, per es., che si desse la priorità nel voto<br />

alla proposizione principale sull'emendamento aggiuntivo, si porrebbero<br />

in imbarazzo coloro che sono disposti ad approvare la proposizione<br />

principale ma a condizione che questa sia integrata secondo l'emendamento:<br />

essi si troverebbero costretti, dato l'ordine delle votazioni, a votare<br />

in favore di un testo che invece avrebbero respinto se fosse stala già<br />

decisa la reiezione dell'aggiunta proposta (17).<br />

Quanto al principio della votazione di tutte le proposte è necessario<br />

ulteriormente distinguere. A volte questo principio è stato sostenuto per<br />

(16) < Come sempre avviene quando ci si trova di fronte a più emendamenti<br />

interdipendenti » - affermò il Presidente Vicepresidente Leone il 6 ottobre 1953 - « si<br />

vota per primo quello la cui approvazione o reiezione determina la sorte degli altri.<br />

Questo per il principio della economia della discussione » (Atti parlamentari, Camera<br />

dei deputati, II legisl., sed. pom. del 6 ottobre 1933, pag. 1533).<br />

(17) Nella dottrina italiana non si trova alcuna consapevole enunciazione del<br />

principio della libera scelta. Alla sostanza del principio sembra accennare invece<br />

J. D'AMMAN, Le vote au sein des Assemblées legislative!, Lausanne 1912, pagg. 127-8<br />

e passim. Ma l'esigenza del rispetto del principio emerge soprattutto dai reclami che<br />

nella pratica, a ragione o a torto, provengono contro l'ordine delle votazioni stabilito<br />

dal Presidente da parte dei presentatori di emendamenti (si veda, ad es., il caso<br />

di cui in Atti parlamentari. Camera dei deputati, II legisl., sed. pom. dell'8 marzo<br />

1956, pagg. 24189-90).


564 La votazione<br />

affermare che è diritto intangibile di ogni membro dell'assemblea veder<br />

discussa e decisa qualunque sua proposta (ritualmente presentata). Così<br />

formulato, il principio costituisce una semplice conseguenza del diritto<br />

di iniziativa che compete ad ogni parlamentare, ma non ha alcun rapporto,<br />

in realtà, col problema dell'« ordine » delle votazioni: comporta<br />

che su ogni proposta vi sia non una pronuncia esplicita e formale, ma<br />

semplicemente una pronuncia, anche implicita, che nessun ordine di votazione,<br />

per quanto preclusivo, compromette (giacché proprio la preclusione<br />

è il segno di una avvenuta deliberazione sull'argomento). Altre<br />

volte, invece, e più frequentemente, ciò che si chiede per ogni proposta<br />

è appunto il diritto, l'onore, di un voto diretto e formale dell'assemblea<br />

(18). In tal caso è evidente che l'ordine delle votazioni non è irrilevante;<br />

ma va notato che questo diritto può essere riconosciuto o può<br />

esser denegato senza violare il diritto di iniziativa, rispetto al quale rappresenta<br />

una ulteriore ed indipendente concessione (di solito fatta in<br />

favore delle minoranze).<br />

Tutti e tre questi principi sono stati addotti, in una circostanza o<br />

in un'altra, a giustificazione della procedura ordinativa che tradizionalmente<br />

si segue presso le nostre assemblee, malgrado il fatto che si tratti<br />

di principi evidentemente diversi e per taluni aspetti incompatibili. Né,<br />

in verità, si potrebbe configurare quella procedura come il risultato di<br />

un intenzionale contemperamento delle varie esigenze, le quali piuttosto<br />

operano nella prassi in maniera casuale, non consapevolizzata e perciò<br />

anche incerta negli effetti.<br />

Si consideri il criterio di dare la precedenza fra gli emendamenti<br />

a quelli che più si allontanano dal testo in esame. Anzitutto è da ritenere<br />

erronea la diffusa convinzione che l'emendamento soppressivo sia<br />

per sua natura (sempre) il più distante dalla proposizione cui si riferisce<br />

(se un articolo di un progetto di legge propone, ad es., di portare<br />

all'età di 18 anni il momento di acquisto della capacità di agire, ed un<br />

(18) li principio della votazione (formale) di tutte le proposte è il più diffusamente<br />

enunciato sia nella dottrina sia nella pratica parlamentare. Su di esso insiste<br />

J. D'AMMAN, op. cit., pag. 129 e segg. ; ed unicamente ad esso si riferiscono, per<br />

spiegare il sistema ordinativo di votazione in uso per gli emendamenti, R. ASTRALDI-<br />

F. COSENTINO, op. cit., pag. 162, nota 2. Giova anche ricordare le dichiarazioni compiute<br />

in materia di ordine delle votazioni nella seduta del 1* febbraio 1968 dal Presidente<br />

Bucciarelli Ducei, che asserì esser principio di logica procedurale, confermato<br />

dalla prassi, quello di ordinare le votazioni « partendo dal testo lontano concettualmente<br />

rispetto al testo originale* ed evitando sequenze preclusive che priverebbero «i<br />

presentatori delle mozioni » (di cui trattava» in quell'occasione) « del diritto di ottenere<br />

a riguardo una votazione, e con essa una formale decisione della Camera »<br />

{Atti parlamentari, Camera dei deputati, IV legisl., sed. del 1° febbraio 1968, pagine<br />

43024-5).


La votazione 565<br />

emendamento sostitutivo propone invece l'età dei 23 anni, un soppressivo,<br />

conservando la norma che fissa a 21 anni il raggiungimento della<br />

maggiore età, si prospetta come una proposta intermedia, se la distanza<br />

deve essere misurata guardando allo « spirito » dei testi che si discutono<br />

(19)). In secondo luogo, non è esatta neanche l'opinione secondo<br />

la quale il sistema della priorità dell'emendamento più lontano consentirebbe<br />

di porre in votazione tutte le proposte emendative, giacché l'emendamento<br />

più lontano ove sia respinto lascia integra la possibilità di un<br />

voto sugli altri emendamenti, ma la preclude se viceversa è approvato:<br />

per es. l'approvazione di un sostitutivo totale fa cadere i sostitutivi parziali,<br />

e quella di un soppressivo (totale) esclude in blocco i sostitutivi.<br />

Non è fuor di luogo qui ricordare che la priorità del soppressivo era<br />

stata suggerita da Bentham, il quale però non al diritto di ogni parlamentare<br />

di veder votato il proprio emendamento pensava, bensì all'opposto<br />

principio della semplificazione del dibattito, dal momento che -<br />

egli osservava - soppresso un termine si sgombra il campo dalle obiezioni<br />

più tenaci (20). E non a caso perciò si è potuto replicare che se<br />

Bentham aveva ragione dal punto di vista dell'economia del processo,<br />

dal punto di vista della uguaglianza di trattamento di tutti i membri<br />

dell'assemblea occorrerebbe, viceversa, che il soppressivo fosse votato<br />

per ultimo, precisamente allo scopo di evitare che la sua approvazione<br />

impedisca agli altri emendamenti di essere messi ai voti (21). È vero solo<br />

che, nel caso degli articoli di un progetto di legge, in cui il testo-base<br />

è normalmente quello voluto dalla maggioranza politica, l'emendamento<br />

più lontano è perciò stesso di solito il meno favorito e destinato quindi<br />

ad essere respinto: onde accade che, di fatto e per lo più, attraverso<br />

* una serie progressiva di reiezioni dal testo più lontano fino al testo della<br />

maggioranza, l'assemblea si pronunci formalmente su tutte le proposte<br />

presentate.<br />

Nessi sono rilevabili pure col principio della libera scelta, ma anche<br />

qui in linea soltanto eventuale e non indipendentemente dallo schieramento<br />

e dalla dinamica delle forze politiche dell'assemblea. Siano A<br />

(19) Che il grado di « distanza » dalla proposizione principale debba essere determinato<br />

con riguardo allo spirito affermano implicitamente M. MANCINI-U. GALEOTTI,<br />

op. cit., pag. 271 (« Tra gli altri emendamenti » - escluso cioè il soppressivo - « deve<br />

darsi la priorità a quelli che concernono lo spirito della disposizione in confronto di<br />

quelli che non riguardano che la forma»). Cfr. anche le dichiarazioni del Presidente<br />

Bucciarelli Ducei, nota precedente.<br />

(20) J. BENTHAM, op. cit., cap. XII, pag. 365 : e the suppression of a single<br />

term may remove the strongest objections, and that which is omitted is no longer the<br />

subject of debate ».<br />

(21) Tale è il rilievo che a Bentham muove J. D'AMMAN, op. cit., pag. 13S.


566 La votazione<br />

il testo in esame e B e C emendamenti in ordine di progressiva distanza<br />

da A. Se A, come spesso accade, è il testo della maggioranza, e se fi<br />

è sostenuto da un'aliquota della stessa maggioranza e subordinatamente<br />

dagli stessi presentatori di C, è indubbio che il mettere per primo in<br />

votazione B creerebbe imbarazzi nelle scelte da parte dei sostenitori di C<br />

e potrebbe persino falsare il risultato della votazione; cosicché l'ordine<br />

corretto è realmente in tal caso quello di iniziare da C la votazione.<br />

Ma se B è sostenuto da un gruppo indipendente dalla maggioranza, e<br />

anzi da un gruppo che in subordine accederebbe alla soluzione costituita<br />

da C, la priorità della votazione di quest'ultimo renderebbe incerta<br />

la scelta da parte di coloro che sono favorevoli aB: e se la maggioranza<br />

che sostiene A non è assoluta, il criterio della priorità dell'emendamento<br />

più lontano può esso, questa volta, determinare risultati aberranti. Analoghe<br />

deformazioni rischiano di verificarsi ove A, per avventura, rappresenti<br />

la proposta di una minoranza e B e C emendamenti della maggioranza.<br />

La materia dell'ordine delle votazioni è evidentemente ancora molto<br />

oscura ed inesplorata, onde affrettata e pericolosa sarebbe ogni codificazione<br />

procedurale al riguardo - di cui peraltro si sono avuti inizi con<br />

i citati artt. 129 e 130 Reg. Camera (e 73 Reg. Senato). Allo stato attuale<br />

delle nostre cognizioni - cui ancora sfuggono in gran parte sia la<br />

logica dei rapporti di incompatibilità e di implicazione fra i diversi tipi<br />

di emendamenti e fra i testi concorrenti (v., per qualche cenno, oltre<br />

§ 3, sub A), sia un quadro dei possibili sistemi ordinativi, sia infine la<br />

prospettiva delle stesse finalità che con l'uno o l'altro di quei sistemi si<br />

intendono perseguire - rimettere la determinazione dell'ordine delle votazioni<br />

alla discrezionalità presidenziale, salve eventuali pronunce dell'assemblea,<br />

appare tuttora la soluzione più prudente.<br />

B) Di numero legale, o quorum (22), si parla in due sensi diversi,<br />

dovendosi distinguere un numero legale « di seduta » e un numero legale<br />

« di votazione ». In entrambi i casi la presenza di un numero minimo<br />

di componenti del collegio è dal legislatore posta come condizione<br />

(22) Il termine quorum, che può adoperarsi anche per designare la maggioranza<br />

prescrìtta (o forse meglio la base, o parametro, su cui la maggioranza viene<br />

calcolata: componenti, presenti, votanti, ecc.; cfr. in questo senso P. GASPARRI, Corso<br />

di diritto amministrativo, voi. II, Padova 1964, list, an., pag. 179) deriva dalla procedura<br />

giudiziale inglese, e precisamente dallo schema delle formule con cui si designavano<br />

i giudici il cui intervento era necessario per la validità degli atti e dei giudizi<br />

(« quorum aliquem vestrum A.B.C. unum esse volumus »). Cfr. V. MICELI, Le quorum<br />

dans les Assemblées politiques, in « Revue du droit public et de la science politique»,<br />

1902, XVIII, pagg. 193-4.


La votazione 567<br />

della regolarità o validità dello svolgimento di certi atti. Ma nel primo<br />

caso la presenza è richiesta come condizione della validità di qualsiasi<br />

atto da compiersi in seduta, epperciò della validità della seduta stessa<br />

nel suo insieme. Nel secondo caso, invece, la condizione incide più<br />

ristrettamente sulla validità dei soli atti di votazione. Anche le finalità<br />

dei due istituti sono differenti. Il numero legale di seduta ha principalmente<br />

di mira la meditata elaborazione del contenuto delle decisioni,<br />

alla discussione delle quali chiede la partecipazione di un consistente<br />

numero di membri, i quali apportino il proprio contributo dialettico<br />

o ricevano la necessaria informazione perché si formino opinioni<br />

coscienziose. Il numero legale di votazione non mira invece alla qualità<br />

della decisione. Il suo scopo è piuttosto quello di garantire una congrua<br />

rappresentatività della maggioranza decidente (23). I due istituti erano<br />

chiaramente distinti, e contemporaneamente prescritti, dallo Statuto albertino,<br />

che all'art. 53 recava: « le sedute e le deliberazioni delle Camere<br />

non sono legali né valide, se la maggioranza assoluta dei loro<br />

membri non è presente ». L'art. 64, terzo comma, Cost. stabilendo che<br />

« le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide<br />

se non è presente la maggioranza dei loro componenti », prescrive soltanto<br />

un numero legale di votazione, e al numero legale di seduta (del<br />

resto scomparso già in regime statutario per via di riforme regolamentari)<br />

non fa alcun riferimento: né esplicito né - malgrado qualche opinione<br />

in contrario (24) - implicito, poiché il requisito del numero legale<br />

di seduta implica il requisito del numero legale di votazione, ma non<br />

viceversa. Un numero legale di seduta è invece ancora previsto dal Regolamento<br />

per le Commissioni in sede referente (art. 38, secondo comma,<br />

Reg.), per la Giunta delle elezioni (art. 2 Reg. interno della Giunta: ma<br />

di sole « deliberazioni » parla l'art. 19 Reg. Camera) e per la Commis-<br />

(23) V. MICELI, Le « quorum », cit., assegna al quorum la duplice funzione di<br />

garantire gli assenti dai colpi di mano di improvvisate maggioranze e di riparare i<br />

presenti dalla accusa di aver agito abusivamente in nome dell'assemblea: entrambi<br />

questi effetti tornano a vantaggio della regolare funzionalità dell'organo (pagg. 19S-7,<br />

e passim). L'A. però riconosce che lo scopo dei quorums elevati (ciò che corrisponde<br />

alla tendenza della maggior parte degli ordinamenti) è da ravvisare essenzialmente<br />

nel fatto che e on cherche en eux une garantie que la volontà du pays soit dùment<br />

représentée et qu'il n'y alt pas des surprises du coté des minoriti hardies et disciplinéest<br />

(pagg. 247-8).<br />

(24) G. DE GENNARO, Quorum e maggioranza nelle Camere parlamentari secondo<br />

l'art. 64 della Costituzione, in t Rass. di dir. pubbl. », 1951, IV-V, oggi in<br />

G. DE GENNARO, Scritti di diritto pubblico, voi. I, pagg. 317-8. V. LONGI, Numero<br />

legale, in « Rassegna parlamentare », 1959, VI, pag. 53, inclina per la soluzione della<br />

« " legalità " delle sedute senza numero legale, purché non vengano prese decisioni<br />

formali».


568 La votazione<br />

sione inquirente per i giudizi d'accusa (art. 7, primo comma, Reg. per i<br />

procedimenti d'accusa).<br />

La verifica preliminare ed autonoma del numero legale (di votazione)<br />

è atto di competenza del Presidente. Ma non è sempre atto dovuto,<br />

stante la presunzione di cui all'art. 50 Reg. Camera (e 43 Reg. Senato),<br />

nonché i divieti previsti nello stesso articolo. Esso è perciò atto<br />

di accertamento dovuto in taluni casi, vietato in altri e facoltativo nei<br />

rimanenti. È dovuto quando ne facciano richiesta dieci membri e si stia<br />

per procedere a votazioni in forma sommaria (per alzata e seduta o per<br />

divisione). Ove si debba, viceversa, procedere a votazioni distinte (scrutinio<br />

segreto od appello nominale; per il Senato solo nel primo caso)<br />

l'atto di accertamento del numero legale perde la sua specifica autonomia,<br />

venendo assorbito - come s'è detto - nell'atto di scrutinio. È vietata,<br />

per contro, la verifica prima dell'approvazione del processo verbale<br />

e quando la votazione cui ci si accinge assume forma sommaria per<br />

espressa disposizione del Regolamento (cfr. oltre, sub C). Quando la<br />

verifica del numero legale non sia né obbligatoria né vietata si ritiene<br />

dalla dottrina che essa possa (almeno alla Camera) venire disposta dal<br />

Presidente di sua iniziativa (25).<br />

Quanto al computo, inteso appunto ad accertare se il numero dei<br />

« presenti » è maggiore del numero dei « componenti » diviso per due,<br />

si comprendono fra i « presenti » non soltanto coloro che rispondano<br />

alla chiama ma anche, d'ufficio, i firmatari della richiesta di verifica<br />

(art. 95, secondo comma, Reg.). Di più, l'art. 100, secondo comma, Reg.<br />

prescrive che siano computati (come astenuti) agli effetti del numero<br />

legale i deputati « presenti alla seduta, i quali non partecipino ad una<br />

votazione ». L'articolo si riferisce alle votazioni distinte, nelle quali la<br />

verifica è implicita. Ma il concetto di presenza ha pari rilievo nel caso<br />

della verifica implicita e in quello della verifica preliminare, e di portata<br />

generale deve ritenersi pertanto la questione sollevata incidentalmente<br />

nel corso di una votazione nell'Assemblea costituente a proposito<br />

del significato da attribuirsi all'espressione « presenti alla seduta »,<br />

che allora il Presidente interpretò nel senso più ristretto di « presenti in<br />

Aula al momento della votazione » (o al momento della chiama per la<br />

verifica) (26). Tale interpretazione sembra confortata dalla illustrazione<br />

che della norma del citato art. 100 al momento della sua approvazione<br />

(25) V. LONOI, op. cit., pagg. 57-8 (al Senato una iniziativa presidenziale per<br />

la verifica sarebbe da ritenere esclusa tacendo in proposito il Regolamento).<br />

(26) Atti dell'Assemblea Costituente, sed. del 28 aprile 1947, pag. 3357 e segg.


La votazione 569<br />

fece il Presidente De Nicola, il quale osservò che « talvolta vi sono<br />

"nell'Aula" dei deputati che non vanno a votare, e proprio per loro<br />

manca il numero legale », aggiungendo che la loro presenza può essere<br />

constatata dalla Presidenza con invito nominativo a votare (27). Va<br />

inoltre osservato che ove si intenda aderire alla più ampia interpretazione<br />

dell'art. 100, occorre accettare la logica conseguenza che il numero<br />

legale, constatato sussistente in un momento della seduta, rimane<br />

così accertato fino al termine di questa, e che quindi una verifica, preliminare<br />

od implicita, conclusasi con esito positivo preclude ogni successiva<br />

richiesta di verifica preliminare e predetermina il risultato di<br />

ogni successiva verifica implicita, nel corso della stessa seduta. Ma è<br />

da osservare che sono ipotizzabili anche soluzioni intermedie, come<br />

quella, che non sembra priva di logica, di considerare presenti tutti<br />

coloro che abbiano con qualche atto partecipato al procedimento di<br />

votazione, purché nella seduta in corso. Allo stato attuale, comunque,<br />

mentre è indubbio che ai fini dell'accertamento preliminare del numero<br />

legale presenti sono coloro che rispondono alla chiama e i firmatari<br />

della stessa domanda di verifica, l'incertezza sulla ulteriore estensibilità<br />

della categoria dei presenti può andare da un minimo relativo ai deputati<br />

Segretari procedenti alla chiama ad un massimo relativo a tutti coloro<br />

che in qualunque modo (per es. dal registro delle presenze) risultino<br />

essersi trovati nel Palazzo durante la seduta. Un punto, peraltro,<br />

che nella prassi sembra essersi sufficientemente affermato al riguardo<br />

è il principio che la presenza non può desumersi da atti che non siano<br />

pubblici, e si tende anzi a riconoscere esclusiva rilevanza agli inviti che<br />

il Presidente può rivolgere nominativamente ai presenti in Aula perché<br />

partecipino alla votazione o rispondano all'appello (28).<br />

Non meno gravi problemi, benché solo in dottrina, ha suscitato<br />

l'espressione « componenti » di cui al citato art. 64 Cost. È infatti risalente<br />

e non contrastata prassi della Camera (e del Senato), recepita poi<br />

nello stesso Regolamento negli artt. 50 e 52 (43 Reg. Senato), che dal<br />

numero dei componenti del collegio si detraggano, ai fini del numero<br />

(27) Atti parlamentari. Camera dei deputati, XXVI legisl., la sess., 1» sed. del<br />

22 giugno 1922, pag. 6635.<br />

(28) Da notare che già V. MICELI, Le « quorum », cit., si poneva il problema<br />

se, nel verificare il quorum delle votazioni, si debba tener conto solo di coloro che<br />

vi abbiano partecipato o di tutti i membri presenti, e concludeva che nel computo<br />

in ogni caso vanno compresi gli astenuti. Quanto alla difficoltà di constatare la presenza<br />

di coloro che non votano, riteneva che tale constatazione incomba sempre<br />

al Presidente, quali che siano i mezzi coi quali può arrivare al risultato, che in<br />

ogni caso ha carattere e valore ufficiale (pagg. 220-2).


570 La votazione<br />

legale, i deputati in congedo o in missione, anche se tale detrazione (alla<br />

Camera; non al Senato) non viene compiuta oltre il quinto del totale<br />

dei deputati. Il risultato di questa prassi è che il numero legale viene<br />

calcolato in rapporto al numero non dei seggi previsti per la costituzione<br />

dell'organo ma dei soggetti che sono nella condizione materiale<br />

e giuridica di svolgere le loro funzioni. L'alternativa pertanto è - come<br />

è stato detto - fra l'« assemblea legale » e F« assemblea reale » da assumere<br />

quale termine di riferimento per il quorum (29). A sostegno della<br />

prassi seguita si è osservato che l'Assemblea costituente - che formulò<br />

il testo del terzo comma dell'art. 64 parlando di « maggioranza » e non<br />

di « maggioranza assoluta », che nessun rilievo critico prospettò in ordine<br />

al sistema da lungo tempo invalso della detrazione degli assenti per<br />

congedo o per missione, e che, soprattutto, adottò essa stessa questo<br />

sistema per l'intero periodo della sua attività - indubbiamente non intese<br />

innovare nelle consuetudini parlamentari, le quali, anzi, ritenne di recepire<br />

nella Carta costituzionale (30). Per contro, si è argomentato che<br />

il quorum è, per sua natura, da riferire all'* assemblea legale » e che<br />

pertanto non può venire calcolato in relazione all'a assemblea reale » se<br />

non per espressa disposizione del legislatore: mancando tale espressa<br />

disposizione nell'art. 64 Cost., segue che al livello costituzionale deve<br />

considerarsi valido, come termine di riferimento, quello costituito dall'assemblea<br />

legale, onde il diverso regime regolamentare è da ritenere<br />

viziato di incostituzionalità (31).<br />

Le esposte tesi rappresentano due diveri modi, fondati su differenti<br />

criteri ermeneutici, di interpretare l'art. 64, terzo comma, Cost. La prima,<br />

evidentemente, procede ad una interpretazione che tende a ricostruire<br />

la volontà del costituente sulla base del contesto situazionale e storico<br />

in cui quella ebbe ad esprimersi. E se tale criterio ermeneutico è valido,<br />

le conclusioni derivatene sono ben difficilmente contestabili. La seconda<br />

tesi, invece, ridotta alla sostanza, mira a ricostruire la ratio legis sulla<br />

base di un criterio teleologico, con riguardo cioè alla funzione generale<br />

dell'istituto del quorum. Ma in questo caso resta da discutere quale sia<br />

(e se ci sia) questa funzione generale, per modo che, anche accettando in<br />

linea di principio la validità del criterio teleologico non è ancora pro-<br />

(29) G. DE GENNARO, Studi, cit., pag. 330.<br />

(30 V. FALZONE - F. PALERMO - F. COSENTINO, La Costituzione della Repubblica<br />

italiana illustrata con i lavori preparatori, Roma, 2» ed., 1954, pagg. 168-9; V. LONOI,<br />

op. cit., pagg. 59-60. V. anche F. COSENTINO, Astensione, in « Rassegna parlamentare<br />

», 1959, IV, pagg. 93-4 e passim.<br />

(31) La tesi è sostenuta da G. DE GENNARO, op. cit.


La votazione 571<br />

vato con certezza che la funzione del quorum sia tale da esigere il suo<br />

riferimento alla totalità dei seggi (tanto più che si ammette, come si è<br />

visto, da parte di chi sostiene questa tesi, la non incongruente possibilità<br />

di una diversa ed esplicita volontà del legislatore, ipotesi che di per<br />

sé contraddice al-concetto che esista una unica, generale, paradigmatica<br />

funzione dell'istituto).<br />

D'altra parte, ove si tenga presente un altro criterio ermeneutico,<br />

quello della globalità o contestualità della interpretazione, e il fatto che<br />

la norma dell'art. 64 si è inserita in un ordinamento in cui la disciplina<br />

del numero legale era già dettagliatamente codificata e precisata, è da<br />

ritenere non già - come pretende la seconda tesi - che nel silenzio o<br />

nell'incertezza semantica del disposto costituzionale si sia determinata<br />

l'abrogazione del regime regolamentare, ma evidentemente che, al contrario,<br />

tale regime abbia reagito sulla nuova norma, integrandone e chiarendone<br />

gli elementi di indeterminazione. Non sembra discutibile che<br />

se, come è antica regola, le varie parti dell'ordinamento vanno interpretate<br />

ciascuna con riferimento alla totalità delle altre, sono le più certe<br />

e le più analitiche che illuminano sul significato delle meno chiare e<br />

delle meno articolate, e non viceversa. Malgrado perciò i dubbi che<br />

sull'argomento tuttora sussistono, la tesi della incostituzionalità del sistema<br />

previsto dal Regolamento appare, allo stato della dottrina, la<br />

meno plausibile.<br />

C) La specificazione della forma del voto è vincolata, nel senso<br />

che né il Presidente, né l'Assemblea, né altri soggetti sono titolari al<br />

riguardo di un potere giuridico di scelta. Neppure la domanda di scrutinio<br />

segreto, che è prevalente su tutte le altre, è configurabile come<br />

estrinsecazione di un simile potere. A parte l'ipotesi del ed. voto tacito<br />

- in cui nella formula con la quale il Presidente avverte che non facendosi<br />

obiezioni « così » resterà stabilito, sembra possibile riconoscere la<br />

richiesta della forma tacita, e nel silenzio con cui l'Assemblea accoglie<br />

la richiesta stessa è possibile ravvisare la scelta unanime e attuativa di<br />

tale forma (e insieme l'approvazione della proposta di merito enunciata<br />

dal Presidente e per tal modo messa ai voti) - è sempre il Regolamento<br />

che prestabilisce le condizioni alle quali l'una o l'altra forma deve essere<br />

adottata; e ciò fa o con riguardo all'atto stesso della votazione, e<br />

precisamente alla sua « funzione » o al suo « contenuto », o con riguardo<br />

all'esistenza o meno, di « richieste » di una forma specifica e al tipo<br />

di esse, secondo una predeterminata gerarchia di prevalenze. La forma<br />

può essere condizionata dal fatto della richiesta soltanto se non risulta<br />

vincolata per la funzione o per l'oggetto dell'atto di votazione.


572 La votazione<br />

Per la funzione, le forme dell'alzata e seduta e della divisione sono<br />

vincolate quando Tatto di votazione è disposto come riprova di una<br />

precedente votazione, di esito incerto, avvenuta per alzata e seduta<br />

(art. 99 Reg.).<br />

È l'oggetto che rende invece obbligatoria la forma del voto per<br />

schede in tutti i procedimenti elettivi. Oggettivamente vincolata è la<br />

forma dell'alzata e seduta per l'approvazione del processo verbale<br />

(art. 47), per la concessione dei congedi (art. 52), sulle proposte del<br />

Presidente per le sanzioni della censura e dell'esclusione dall'Aula<br />

(art. 56), sulla proposta dell'urgenza di un progetto di legge (art. 65),<br />

sull'interdizione della parola ad un oratore richiamato due volte all'argomento<br />

(art. 76), sui richiami all'ordine del giorno o al Regolamento<br />

o per la priorità delle votazioni (art. 79), sul rifiuto del Presidente di<br />

accettare, far svolgere o porre in votazione ordini del giorno, emendamenti<br />

o articoli aggiuntivi redatti con frasi sconvenienti o estranei alla<br />

discussione, o interrogazioni, interpellanze e mozioni redatte cen frasi<br />

sconvenienti (art. 90) e in tutti i casi di appello sulle decisioni del Presidente<br />

(art. 94). La forma dell'appello nominale è, in ragione dell'oggetto,<br />

obbligatoria nelle votazioni che comportino fiducia o sfiducia al<br />

Governo (art. 131 e prassi). L'oggetto vincola, infine, alla forma dello<br />

scrutinio segreto sia nelle votazioni relative a proposte di discutere o<br />

deliberare su materia non iscritta all'ordine del giorno (art. 69), sia nelle<br />

votazioni finali dei progetti di legge (art. 93; quest'ultima norma non<br />

vige al Senato).<br />

Quando non ricorrano queste ipotesi, la determinazione della forma<br />

del voto avviene in dipendenza del fatto che vi siano o no delle richieste,<br />

del numero dei richiedenti e del tipo delle richieste stesse a norma dell'art.<br />

93 Reg. Richieste possono essere avanzate per la divisione, per<br />

l'appello nominale e per lo scrutinio segreto; esse devono essere sostenute,<br />

ossia firmate o appoggiate, rispettivamente da dieci, da quindici<br />

e da venti deputati (compreso il proponente). La domanda può venire<br />

presentata sia per iscritto sia chiedendo che il Presidente interroghi la<br />

Camera per verificare se l'iniziativa è appoggiata dal richiesto numero<br />

dei deputati. La firma, peraltro, s'intende ritirata, con il possibile effetto<br />

della decadenza della domanda, ove il firmatario non si trovi presente<br />

quanto si procede alla votazione (art. 95, primo comma, Reg.). È<br />

evidente inoltre che la domanda deve essere tempestiva, non potendo<br />

venire accolta una volta che si sia dato inizio alla votazione; per converso,<br />

il Presidente, prima di indire formalmente la votazione stessa,<br />

dovrà aver dato a tutte le parti dell'assemblea il tempo ragionevole di


La votazione 573<br />

avanzare le diverse richieste. Una domanda è regolare, e può produrre<br />

effetti, se, e solo se, essa è tempestiva e risulta debitamente firmata o<br />

appoggiata.<br />

Se non vi sono domande regolari, e solo allora, si procede al voto<br />

per alzata e seduta: si dice perciò che questa è la forma di votazione<br />

« di diritto ». Se vi sono domande regolari, occorre distinguere. Nel caso<br />

che sia stata avanzata una sola domanda, ad essa si dà seguito senz'altro.<br />

Nel caso invece di concorso fra più domande regolari il criterio, fissato<br />

dall'ultimo comma dell'art. 93, è quello della prevalenza della domanda<br />

di scrutinio segreto su tutte le altre e della domanda di appello nominale<br />

su quella del voto per divisione nell'Aula, a prescindere - ovviamente<br />

- dall'ordine cronologico di presentazione delle diverse domande.<br />

D) La dichiarazione di voto, secondo la previsione che ne fa l'art. 83<br />

Reg., consiste in una « pura e succinta spiegazione » che il deputato<br />

dà del voto che si accinge ad esprimere, ed è atto che può essere compiuto<br />

dopo la chiusura della discussione e prima che la votazione sia<br />

indetta dal Presidente. La dichiarazione di voto si colloca pertanto, per<br />

il nostro sistema, nella fase preliminare della votazione (32). Ma non<br />

è detto che debba esser questo, quasi per logica necessità, il suo inquadramento.<br />

Senza dubbio la dichiarazione di voto nulla ha a che fare<br />

con la fase della discussione. Il suo scopo non è quello di contribuire<br />

all'esame della proposta in questione, né quello di generare persuasione<br />

nell'uditorio, bensì quello, che presuppone esaurito ogni esame e formata<br />

ogni persuasione, di rendere pubblica e di conservare attestata<br />

negli atti dell'assemblea la posizione assunta dal deputato ed i motivi<br />

che l'hanno determinata e che possono differenziarla da analoghe posizioni<br />

di altri deputati e di alìri gruppi politici. Le dichiarazioni di voto<br />

non possono perciò venire compiute che dopo la chiusura della discussione,<br />

della quale non rappresentano punto un supplemento dialettico.<br />

Tuttavia, proprio perché esse non tendono ad influire dialetticamente<br />

(32) Che le dichiarazioni di voto ineriscano alla votazione è stato più volte<br />

sostenuto anche dalla Presidenza della Camera, pur se non risulta sempre chiaro se<br />

con ciò si è inteso escludere soltanto la loro appartenenza alla discussione o si è<br />

inteso addirittura includerle nella fase costitutiva della votazione stessa. La tesi è stata<br />

affermata comunque per contestare la legittimità di interruzioni della seduta nel corso<br />

delle dichiarazioni di voto, e fu affacciata per la prima volta dall'on. Leone il 16 marzo<br />

1949 e ribadita il 10 ottobre 1931 e il 18 gennaio 1953 (Atti parlamentari, Camera<br />

dei deputati, I legisl., sed. pom. del 16 marzo 1949, pagg. 7049-51, sed. pom. del<br />

10 ottobre 1951, pagg. 31262-3, e sed. del 18 gennaio 1953, pagg. 45726-8; si noti<br />

che nella citata seduta del 16 marzo 1949 il Presidente Gronchi non ritenne di aderire<br />

alla tesi Leone: in quésto stesso senso v. pure la seduta del 23 novembre 1949,<br />

Atti, cit., pag. 13754).


574 La votazione<br />

sulla formazione della volontà dell'assemblea, non può di principio<br />

escludersi un sistema nel quale le dichiarazioni di voto assumano forma<br />

scritta anziché orale, o siano ammesse anche dopo avvenuta la votazione<br />

(33). Casi di dichiarazioni di voto rese per lettera o per telegramma<br />

prima della votazione o rese oralmente o per iscritto dopo di questa si<br />

riscontrano, infatti, nella stessa prassi della Camera (e del Senato) vigente<br />

prima della introduzione nel Regolamento del citato art. 83 (34).<br />

E ancora oggi - benché in via eccezionale e benché non si tratti propriaménte<br />

di dichiarazioni di voto - coloro che furono assenti alla votazione<br />

sono talvolta ammessi a parlare sul processo verbale nella seduta<br />

successiva, per dichiarare quale sarebbe stato il loro voto se fossero<br />

stati presenti.<br />

Il Regolamento non prescrive rigidamente la durata della dichiarazione<br />

di voto. La relazione Bonghi, che accompagnò le riforme del 1887<br />

in cui si proponeva quello che è l'attuale testo dell'art. 83, lasciò intenzionalmente<br />

vaga la portata delle « dichiarazioni di voto », fidando che<br />

l'esperienza avrebbe provveduto a precisare « quel tanto d'indeterminato<br />

che è pure in tali espressioni ». Successivamente, diverse proposte furono<br />

presentate per stabilire delle esplicite restrizioni, ma nessuna di tali proposte<br />

ebbe un seguito. Né si volle accogliere la proposta, presentata<br />

dalla Giunta del Regolamento nel 1949, di limitare a dieci minuti il<br />

tempo consentito per ciascuna dichiarazione, in conformità delle consuetudini<br />

ormai invalse (35). Ma il Regolamento, sebbene non determini<br />

la durata della dichiarazione di voto, nessun dubbio lascia sull'esigenza<br />

che essa venga limitata nel tempo, come si evince non soltanto dalla<br />

caratterizzazione di spiegazione « pura e succinta » che ne dà lo stesso<br />

(33) J. D'AMMAN, op. cit., pagg. 240-3, distingue - ricordando i paesi nei quali<br />

ciascuna forma è in uso - tre modi di compiere la dichiarazione individuale di voto,<br />

e cioè : a) voto dichiarato (« motivi ») oralmente ; b) voto dichiarato per iscrìtto agli<br />

uffici dell'assemblea (e pubblicato, ove richiesto, nei resoconti); e) voto dichiarato<br />

per iscrìtto nel processo verbale.<br />

(34) L'uso è ricordato da M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit., pagg. 303-4, e<br />

deplorato da U. GALEOTTI, Prìncipi, cit., pagg. 243-3, e da V. MICELI, Principi di<br />

diritto parlamentare, Milano 1910, pagg. 8S-9, per i quali dichiarazioni posteriori al<br />

voto non dovrebbero a nessun titolo venir consentite. Si noti, peraltro, che i rilievi<br />

formulati da questi autori sono validi solo nei confronti delle dichiarazioni di coloro<br />

che, non avendo partecipato alla votazione, intendono spiegare quale « sarebbe stato »<br />

il loro voto e, in parte, nei confronti delle dichiarazioni di voto tardive vere e proprie<br />

rese oralmente in seduta pubblica, ma non anche nei confronti del sistema delle<br />

dichiarazioni di voto consegnate per iscritto dopo la votazione, agli uffici o ai redattori<br />

del processo verbale (v. nota precedente).<br />

(35) Su ciò V. LONGI-M. STRAMACCI, // Regolamento della Camera dei deputati<br />

illustrato con i lavori preparatori, Milano 1958, pagg. 143-5. Cfr. anche R. ASTRALDI-<br />

F. COSENTINO, op. cit., pagg. 162, nota 4, e 191, nota 1.


La votazione 575<br />

art. 83 ma anche dai « limiti » di cui parla e che sottolinea il precedente<br />

art. 72. Nessun dubbio cioè sussiste che, a differenza degli interventi<br />

che sono propri della fase della discussione, le dichiarazioni di<br />

voto, sotto il profilo della durata oltre che sotto il profilo della loro<br />

aderenza all'argomento, sono soggette ai discrezionali poteri di moderazione<br />

che competono al Presidente sulla base dell'art. 10 Reg.<br />

Le dichiarazioni di voto incontrano limiti anche più radicali, in<br />

quanto possono venire interdette ove ricorrano determinate condizioni.<br />

Si può distinguere qui a seconda che in un particolare procedimento di<br />

votazione sia vietata ogni e qualsiasi dichiarazione di voto o siano preclusi<br />

soltanto singoli atti dichiarativi. L'intero momento delle dichiarazioni<br />

di voto è escluso, per prassi seppure non pacifica, nelle ipotesi<br />

di votazioni per scrutinio segreto (salvo quanto disposto - si ponga<br />

mente - dagli artt. 85 e 107-ter Reg.) e nel caso di votazioni su questioni<br />

per le quali il Regolamento prevede discussioni limitate. Il dubbio<br />

se le dichiarazioni di voto siano compatibili con forme di votazione non<br />

palesi è di data tutt'altro che recente, essendo affiorato quando ancora<br />

l'istituto delle dichiarazioni di voto non era stato codificato (36). Nel<br />

perìodo repubblicano, la tesi della incompatibilità fu sostenuta per la<br />

prima volta dagli onorevoli Lucifero e Gronchi nella seduta del 2 maggio<br />

1947 all'Assemblea costituente, ai quali si oppose l'onorevole Vittorio<br />

Emanuele Orlando (37). Nondimeno, dichiarazioni di voto in sede di<br />

scrutinio segreto furono consentite in quella e in successive occasioni.<br />

Furono escluse però dal Presidente Terracini nella seduta del 3 luglio<br />

1947, ma le perplessità non scomparvero (38). Fu nella seduta del 2<br />

gennaio 1953, durante la discussione del disegno di legge modificativo<br />

delle norme per la elezione della Camera dei Deputati, che, dopo una<br />

ampia discussione incidentale, l'assemblea decise con un voto il problema,<br />

riconoscendo « la inammissibilità delle dichiarazioni di voto in<br />

sede di votazioni a scrutinio segreto » (39).<br />

Una pronuncia assembleare non ha, viceversa, mai confortato il<br />

principio della esclusione delle dichiarazioni di voto nel corso delle discussioni<br />

limitate. Tale principio è stato, però, più volte enunciato ed<br />

attuato, facendosi osservare dalla Presidenza che lo svolgimento di dichia­<br />

rò) Cfr. M. MANCINI-U. GALEOTTI, op, cit., pag. 304.<br />

(37) Atti dell'Assemblea Costituente, sed. del 2 maggio 1947, pagg. 3465-6.<br />

(38) Atti dell'Assemblea Costituente, sed. del 3 luglio 1947, pagg. 5399-5400.<br />

(39) Atti parlamentari, Camera dei deputati, I legisl., sed. del 2 gennaio 1953,<br />

pagg. 44722-755.


576 La votazione<br />

razioni di voto frustrerebbe lo scopo della limitazione del dibattito e<br />

violerebbe lo spirito del Regolamento (40).<br />

In questi casi l'esclusione dipende dalla forma della votazione o dal<br />

carattere di rapidità del procedimento, epperciò ha valore assoluto ed<br />

opera nei confronti di tutti i soggetti. Esclusioni relative, ove non tutte<br />

ma solo alcune dichiarazioni di voto restano vietate, possono invece venire<br />

determinate dalla applicazione dell'art. 72 Reg., che nel prescrivere<br />

che nessuno può parlare più di una volta nella stessa discussione, fa<br />

salvo, fra l'altro, il caso delle dichiarazioni di voto: ma - aggiunge -<br />

purché l'intervento verta su particolari argomenti non trattati dall'oratore<br />

nella discussione generale.<br />

3. - Alla fase preliminare segue la fase costitutiva del procedimento.<br />

Formalmente la sequenza è segnata dall'atto con il quale il Presidente<br />

« indice » la votazione - atto da distinguere da quello, che di solito<br />

apre la fase preliminare, con cui il Presidente avverte che alla votazione<br />

si deve « passare » (41). Dal punto di vista sostanziale, la fase<br />

costitutiva è integrata dall'atto collegiale e dagli atti individuali attraverso<br />

i quali si estrinseca il potere decisionale dell'organo.<br />

Di atti collegiali può essercene più di uno in un medesimo procedimento<br />

di votazione. I motivi di tale possibile pluralità sono diversi, ma<br />

tutti connessi al mancato conseguimento dell'effetto decisorio tipico della<br />

votazione, ciò che appunto determina la necessità di ripetere l'atto che<br />

a quell'effetto è funzionalmente ordinato. Nelle votazioni deliberative<br />

l'effetto è quello della decisione dell'alternativa fra l'approvazione e la<br />

reiezione (e non - si badi - fra l'approvazione e la non approvazione)<br />

della proposta esaminata, e pertanto in tutti i casi nei quali il risultato<br />

non coincide con una di queste due soluzioni, la votazione va reiterata.<br />

Ciò si verifica nel caso della incertezza dell'esito della votazione<br />

per alzata e seduta, che può essere rifatta (su richiesta avanzata prima<br />

della proclamazione, o anche - è da ritenere - d'ufficio) nella stessa<br />

forma anche più di una volta, e nella forma della divisione ove i dubbi<br />

permangano (art. 99 Reg.); nel caso della mancanza del numero legale;<br />

nel caso di riscontrata irregolarità, salvo il discrezionale potere di ap-<br />

(40) Cfr., per es., Atti parlamentari, Camera dei deputati, I legisi., sedute del<br />

7 luglio 1948, pagg. 950-1, 8 luglio 1948, pagg. 987-8, 15 novembre 1951, pagg. 33138,<br />

e (pota.) del 9 dicembre 1952, pagg. 43428-9.<br />

(41) Distinzione di rilievo sottolineata dal Presidente Vicepresidente Cinciari<br />

Rodano nella prolungata seduta del 17 ottobre 1967 (Atti parlamentari, Camera dei<br />

deputati, IV legisi., sed. pom. del 17 ottobre 1967, pag. 38901).


La votazione 577<br />

prezzamento del Presidente (art. 103, ultimo comma, Reg.). Mai invece<br />

il risultato tipico della votazione viene meno (nei procedimenti deliberativi;<br />

sì in quelli elettivi) per mancanza della maggioranza di approvazione<br />

richiesta: ove tale maggioranza non si formi, la proposta risulta<br />

automaticamente respinta ed il procedimento si conclude con la conforme<br />

proclamazione.<br />

In ogni ipotesi, l'atto collegiale è costituito dal concorso degli atti<br />

individuali di voto. In alcuni casi gli atti individuali si estrinsecano simultaneamente:<br />

così nelle forme dell'alzata e seduta e della divisione.<br />

Altre volte essi si succedono, uno dopo l'altro, nel tempo, per modo che<br />

l'atto collegiale ha un suo svolgimento, come accade per l'appello nominale<br />

e per lo scrutinio segreto (nonché per la votazione a mezzo di<br />

schede). Tale svolgimento può anche essere ordinato secondo un criterio<br />

di precedenza. L'appello nominale ha inizio infatti col voto del<br />

deputato il cui nome è stato estratto a sorte, prosegue fino all'ultimo<br />

nome dell'alfabeto e riprende poi con la prima lettera del medesimo<br />

fino al nome del primo votante (art. 97, commi primo e secondo, Reg.).<br />

Questo ordine di successione tuttavia non trasforma l'atto collegiale in<br />

un procedimento (42).<br />

Esamineremo ora l'atto collegiale e gli atti individuali che lo integrano,<br />

nei loro elementi costitutivi, quali l'oggetto, la forma e i<br />

soggetti.<br />

A) L'oggetto della votazione è comune a tutti gli atti individuali,<br />

nonché a questi e all'atto collegiale: esso, nelle votazioni deliberative,<br />

è costituito dalla specifica proposta in esame che può essere un intero<br />

progetto di legge (nelle votazioni finali), un articolo particolare di questo,<br />

un emendamento, un subemendamento, una mozione, un parere,<br />

una proposta di interpretazione del Regolamento, ecc. ecc.: il contenuto<br />

della proposta - come si è detto - può essere il più vario. Una distinzione<br />

può farsi fra proposte « di merito » e proposte « incidentali »<br />

(ed. « mozioni d'ordine » nella terminologia corrente). Queste ultime<br />

possono suddistinguersi in proposte incidentali di sostanza (in quanto,<br />

indirettamente, incidono sulla possibilità di approvare o meno la proposta<br />

di merito: pregiudiziale e sospensiva) e di forma (richiamo al<br />

Regolamento, per la priorità delle votazioni, ecc.) (43). Fra le conseguenze<br />

più importanti della classificazione è che le proposte incidentali<br />

non debbono essere iscritte all'ordine del giorno, hanno la prece-<br />

21.<br />

(42) Cfr. P. GASPARRI. op. àt„ pag. 193.<br />

(43) Sulla distinzione v. cenni in V. LONGI-M. STRAMACCI. op. ri/., pag. 136.


578 La votazione<br />

denza, nella discussione e nella votazione, sulla proposta di merito in<br />

esame e, in linea generale, per esse è ammessa solo una discussione<br />

limitata (cfr. artt. 69 e 79 Reg.).<br />

In ogni caso, l'oggetto della votazione è una realtà discorsiva, un<br />

testo, una proposizione. La natura di queste proposizioni varia largamente<br />

da caso a caso. Normalmente esse hanno carattere imperativo o<br />

precettivo (come in genere nei progetti di legge). Altre volte hanno carattere<br />

costitutivo (per es. nel caso di una mozione di sfiducia o di fiducia;<br />

nel caso dei giudizi di convalida di elezioni; nel caso di norme<br />

abrogative esplicite, che non comandano bensì determinano l'abrogazione).<br />

Ma talvolta possono avere anche tenore dichiarativo (in tutti i<br />

documenti nei quali il collegio « constata », « rileva », « considera »,<br />

« esprime », ecc.). Caratteristica è poi la struttura della proposizione emendativa:<br />

essa include in sé altre entità linguistiche (espressioni, parti di<br />

espressioni, parole, segni di interpunzione, ecc.) che sottopone alle tipiche<br />

manipolazioni della soppressione, sostituzione e dell'aggiunzione;<br />

è inoltre prescrittiva e non costitutiva (non dice, per es., « le tali parole<br />

sono soppresse » bensì prescrive di « sopprimere le tali parole »).<br />

È stato affermato esser norma costante - con la sola eccezione,<br />

presso di noi, della proposta di rigetto della domanda di autorizzazione<br />

a procedere - che alla votazione delle assemblee debbano sempre sottoporsi<br />

proposizioni in forma positiva e mai in forma negativa (44). Ma<br />

la regola è quanto meno mal formulata, dal momento che proposte sostanzialmente<br />

o formalmente negative possono, e talvolta debbono, esser<br />

messe ai voti, anche al di là della ipotesi delle autorizzazioni a procedere<br />

(basti pensare che le leggi sono piene di formule negative e che<br />

negativa è la mozione di sfiducia) (45). Ciò cui in realtà occorre guardare è<br />

lo status quo e la norma che regola gli effetti della approvazione della<br />

specifica proposta in esame. In linea di massima, e salvo speciali norme<br />

o convenzioni, date due proposizioni contrarie (come, ad es., « La Camera<br />

concede... » e « la Camera non concede... ») di esse va posta ai<br />

voti quella che, approvata, modifica lo status quo, ossia determina una<br />

situazione giuridica diversa rispetto a quella che sussisterebbe nel caso<br />

di inazione del collegio, o comunque di non approvazione della pro-<br />

(44) Così M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit., pagg. 270 e 545 ; analogamente<br />

U. GALEOTTI, Prìncipi, cit., pagg. 56-9.<br />

(45) Si noti, fra l'altro, che manca del tutto un rigoroso criterio per distinguere<br />

le proposizioni e affermative » da quelle « negative », non essendo, ovviamente,<br />

condizione né necessaria né sufficiente del carattere negativo di una proposta la presenza<br />

in essa di una formale parola di negazione (come il « non »). La difficoltà della<br />

distinzione è molto più grave di quanto si possa supporre (v. A. J. AYER. La negazione,<br />

ora in Saggi filosofici dello stesso A., Padova 1967).


La votazione 579<br />

posta stessa; se, infatti, si mettesse ai voti la proposizione conforme allo<br />

status quo, la sua reiezione darebbe luogo ad un duplice inconveniente:<br />

anzitutto resterebbe indeterminato in che senso, respingendo il testo diretto<br />

a conservare la situazione giuridica esistente, il collegio intende modificarla<br />

(ammenocché essa, con lo specifico atto di cui si tratta, non<br />

possa essere mutata che in un solo modo); in secondo luogo, in qualunque<br />

senso questa mutazione debba avvenire, questa, in caso di parità<br />

di voti, si determinerebbe senza esser voluta da una maggioranza.<br />

È da notare, peraltro, che anche quando il collegio si trova dinanzi<br />

a più possibili soluzioni e l'adozione di una di queste implica l'adozione<br />

di un'altra, non viene meno il principio, normalmente attuato nei procedimenti<br />

deliberativi, a differenza dei procedimenti elettivi (46), della<br />

unicità dell'oggetto rispetto a tutti gli atti individuali di voto, e quindi<br />

rispetto anche all'atto collegiale. E ciò nel duplice senso che: a) le eventuali<br />

proposte votate per implicito non costituiscono oggetto diretto della<br />

votazione, e b) ogni votante si trova di fronte alla stessa alternativa di<br />

votare prò o contro lo stesso oggetto diretto e quindi prò o contro gli<br />

eventuali oggetti indiretti.<br />

« Oggetti indiretti » del voto sono tutte le proposizioni che con<br />

la proposta oggetto diretto del voto sono in un rapporto di interdipendenza<br />

tale che l'approvazione o il rigetto della proposta implica un<br />

voto su di esse. È questo il caso della « votazione implicita » (da distinguere<br />

nettamente dalla « votazione tacita », di cui nel § 2 e oltre<br />

sub B). Data una proposta oggetto diretto del voto, tutte le proposte concorrenti<br />

connesse con quella possono dividersi in tre categorie, e precisamente<br />

possono essere « incompatibili » con la proposta oggetto, esserne<br />

« implicate » ovvero « implicarla ». Se la proposta che è oggetto<br />

diretto del voto è approvata risultano senz'altro respinte e precluse le<br />

eventuali proposte incompatibili; per contro, con la proposta oggetto<br />

sono approvate, e in essa assorbite, le proposte implicate; nessuna influenza<br />

esercita invece l'approvazione della proposta oggetto sulle proposte<br />

che la implichino (salvo che esse non possono essere emendate in<br />

sensi che contrastino col contenuto del testo approvato). Dubbi possono<br />

sorgere nel caso di reiezione della proposta oggetto. Sulle proposte incompatibili,<br />

di regola, non si ripercuote l'effetto della votazione, ammenoché<br />

l'assemblea non si trovi di fronte alla sola alternativa della<br />

(46) Non sono da escludere nei procedimenti deliberativi tecniche di votazione<br />

analoghe a quelle elettive: J. BENTHAM, per es. suggeriva che gli emendamenti aggiuntivi<br />

concorrenti fossero messi ai voti tutti insieme € after the elective manner»<br />

(op. cit., cap. XII, pag. 365).


580 La votazione<br />

proposta oggetto e di un'altra con essa incompatibile, nel qual caso di<br />

solito il Presidente avverte preliminarmente che in seguito alla eventuale<br />

reiezione della prima si intenderà accolta la seconda (47). Per<br />

quanto riguarda le proposizioni che implichino (o in qualche modo contengano)<br />

la proposta oggetto respinta, in mancanza di speciali avvertimenti<br />

del Presidente dovrebbero considerarsi respinte anch'esse, poiché<br />

la proposta implicata dalle altre costituisce il loro presupposto. La reiezione<br />

non tocca invece le proposte implicate dalla proposta che è oggetto<br />

diretto del voto.<br />

Sul contenuto della proposizione che è oggetto diretto della votazione,<br />

e in generale sulle proposte presentate, in quanto possibili oggetti<br />

diretti o indiretti di voto, si esplica un ampio potere di controllo del<br />

Presidente, il quale può rifiutarsi di accettare e di mettere in votazione,<br />

interpellando l'assemblea solo ove lo creda opportuno, sia testi redatti<br />

in forma sconveniente o relativi ad argomenti estranei alla questione<br />

discussa (ex art. 90 Reg.), sia - per estensione analogica del disposto dell'art.<br />

84, terzo comma, Reg. (48) - proposizioni precluse da precedenti votazioni<br />

o assorbite da proposizioni già approvate, sia infine - come in<br />

più casi si è verificato (49) - proposizioni emendative superflue o comportanti<br />

mutazioni formali irrilevanti nel testo base. L'esercizio di tali facoltà<br />

può presupporre il potere del Presidente di interpretare, ai fini<br />

della dichiarazione di ammissibilità al voto del documento proposto, lo<br />

stesso significato politico di questo, quale è desumibile dal suo tenore<br />

e dallo svolgimento dell'intero dibattito (50).<br />

B) Quanto alla forma della votazione, occorre distinguere a seconda<br />

che tale elemento sia riferito all'atto collegiale o all'atto individuale del<br />

voto.<br />

La forma dell'atto collegiale (alzata e seduta, appello nominale,<br />

divisione, ecc.) viene di solito designata col nome di « sistema » di<br />

voto. La forma che assume l'atto individuale nell'ambito di un sistema<br />

(l'alzarsi o il rimanere seduto, il rispondere « sì » o « no », lo spostarsi<br />

a destra o a sinistra dell'Aula) rappresenta una particolare articolazione<br />

del sistema stesso.<br />

(47) Cfr., per es., Atti parlamentari, Camera dei deputati, I legisl., sed. pom.<br />

del 18 luglio 1952, pag. 40324, e IV legisl., sed. pom. del 19 ottobre 1966, pagine<br />

27204-5.<br />

(48) R. ASTRALDI-F. COSENTINO, op. cit., pag. 161.<br />

(49) Cfr., ad es., Atti parlamentari. Camera dei deputati, I legisl., sedute del<br />

7 gennaio 1953, pagg. 44919-20, e 10 gennaio 1953, pagg. 45108-9.<br />

(50) Atti parlamentari, Camera dei deputati, III legisl., sed. del 19 gennaio<br />

1962, pagg. 27436-7.


La votazione 581<br />

Le possibili forme dell'atto collegiale, o sistemi di votazione, sono,<br />

per l'ordinamento delle nostre assemblee legislative, l'alzata e seduta,<br />

la divisione, l'appello nominale, lo scrutinio segreto e (per le sole votazioni<br />

elettive) il sistema delle schede. Benché non previste nei regolamenti,<br />

qualche menzione meritano tuttavia anche le votazioni per acclamazione,<br />

alle quali si è fatto luogo in qualche straordinaria circostanza,<br />

e le cosiddette votazioni tacite, che sono invece largamente usate<br />

nella pratica. Del tutto inusitate presso di noi sono le votazioni meccaniche<br />

e le votazioni per bollettini (51). Le forme di votazione sono state<br />

variamente classificate. Le classificazioni più importanti sono quelle che<br />

dividono le votazioni in palesi e segrete, e in sommarie e distinte. Segrete<br />

sono le forme che non consentono di sapere se il votante abbia<br />

dato voto favorevole o contrario. Segrete pertanto sono le forme dello<br />

scrutinio segreto e del voto per schede; palesi sono le altre. Sommarie<br />

si dicono invece le votazioni per le quali non è necessario procedere<br />

alla conta dei voti favorevoli e dei voti contrari per determinare il risultato<br />

della votazione, bastando una valutazione complessiva della numerosità<br />

delle due classi di voti. Sono sommarie quindi le forme della<br />

acclamazione, della votazione tacita, dell'alzata e seduta e della divisione;<br />

distinte sono le forme dello scrutinio segreto, dell'appello nominale<br />

e del voto per schede. Ciò, peraltro, non esclude che, in situazioni<br />

di dubbio (segnatamente nel caso della votazione per divisione,<br />

che non ammette una riprova in forma distinta), i Segretari procedano<br />

all'esatto computo dei favorevoli e dei contrari: ma anche in tal caso<br />

il Presidente non è tenuto a comunicare all'assemblea altro che il risultato<br />

dell'avvenuta approvazione o reiezione della proposta votata,<br />

senza alcuna specificazione del numero dei voti contati (52). L'importanza<br />

delle due classificazioni risiede nel fatto che l'ordinamento, come<br />

si è visto, stabilisce una preferenza per la forma segreta sulle palesi,<br />

a garanzia della libertà del votante, e per le forme distinte sulle sommarie,<br />

a garanzia della certezza del voto.<br />

(51) U. GALEOTTI (Principi, cit., pagg. 170-1) dà notizia di diversi sistemi meccanici<br />

di votazione presentati nel secolo scorso alla Camera, nessuno dei quali, per<br />

altro, ebbe neppure l'onore della prova.<br />

Il voto per bollettini è usato in Francia, e consiste nel deporre nell'urna una<br />

scheda bianca, forma di voto favorevole, o una scheda blu, forma di voto contrario.<br />

Si tratta di un sistema di voto palese; è consentito anche il voto per procura degli<br />

assenti. V. per questo, e per un panorama dei sistemi di votazione in uso presso un<br />

gran numero di assemblee politiche, E. BLAMONT, Essai comparatif sur ìes modes de<br />

votation en usage dans les principaux parlements, in e Reme du droit public et de<br />

la science politique», 1950, LXVI, 3, pagg. 820-32.<br />

(52) Cfr. R. ASTRALDI-F. COSENTINO, op. ciu, pag. 187.


582 La votazione<br />

Al voto per acclamazione le Camere italiane hanno proceduto rarissimamente,<br />

e mai comunque nelle legislature repubblicane (53). Tale<br />

voto è invece ordinario nelle Camere inglesi, e si attua con la risposta<br />

ad alta voce e simultanea data dai favorevoli e successivamente dai<br />

contrari alla questione posta dallo Speaker, il quale giudica secondo la<br />

intensità del clamore. Frequente è presso le nostre assemblee, come<br />

accennato, il cosiddetto voto tacito. 11 Presidente annuncia la proposta<br />

e subito avverte che, non facendosi obiezioni, essa resterà approvata<br />

(« così resterà stabilito »). In alcuni casi può anche mancare questa avvertenza,<br />

in quanto dal silenzio dell'assemblea lo stesso Regolamento<br />

o gli usi parlamentari presumono l'approvazione della proposta: così<br />

è, per esempio; per la concessione dei congedi (art. 52, secondo comma,<br />

Reg.) e per la formazione dell'ordine del giorno. Trattasi, comunque,<br />

di una forma di votazione che ha caratteristiche così peculiari che può<br />

dubitarsi costituisca un vero e proprio sistema di voto: piuttosto che<br />

un voto sembra un modo di decidere senza votare. Tali caratteristiche,<br />

cui in parte si è già accennato, sono così riassumibili: a) la forma tacita<br />

non è prevista nella elencazione dell'art. 93 Reg.; b) essa è l'unica forma<br />

che possa essere scelta dall'assemblea; e) la forma tacita, ove attuata,<br />

determina una contrazione dell'ordinario procedimento di votazione -<br />

donde la sua estrema rapidità - in quanto l'atto col quale l'assemblea<br />

sceglie la forma del voto coincide con l'atto col quale essa vota la proposta;<br />

d'altra parte manca una formale proclamazione dell'esito del<br />

voto, il quale risulta solo dal compimento del successivo atto del Presidente,<br />

e dalle notazioni del processo verbale; d) la forma che può<br />

assumere ciascun atto (comportamento) individuale è soltanto una, si<br />

concreta nel silenzio, e corrisponde al voto favorevole: non esiste anche<br />

una forma adottabile dai contrari (i quali possono soltanto rifiutare<br />

la forma tacita, ma nell'ambito di questa non possono respingere la<br />

proposta); e) la forma tacita, perciò, ove attuata, comporta sempre e<br />

soltanto l'approvazione della proposta; f) tale approvazione viene data<br />

necessariamente all'unanimità.<br />

Più semplice è l'analisi delle altre forme o sistemi. Nella forma<br />

dell'alzata e seduta - che in pratica è sostituita dalla più comoda e<br />

più rapida forma dell'alzata di mano - i favorevoli si alzano in piedi<br />

(53) Per es., per acclamazione la Camera dei deputati elesse il suo primo Presidente,<br />

Gioberti, il 16 maggio 1848 e il 27 gennaio 1871 votò l'ordine del giorno<br />

che dichiarava Firenze benemerita della Patria (M. MANCINI-U. GAIEOTTI, op. cit.,<br />

pag. 283).


La votazione 583<br />

mentre i contrari restano seduti. Quando la forma dell'alzata e seduta<br />

è usata come riprova, in piedi si levano i contrari e seduti restano i favorevoli,<br />

secondo l'invito e la specificazione che fa il Presidente.<br />

Nella forma della divisione, i favorevoli si dispongono tutti da una<br />

parte dell'emiciclo (a destra o a sinistra) e dalla parte opposta passano<br />

i contrari. Da quale parte debbano mettersi gli uni e da quale parte<br />

gli altri è il Presidente, come s'è detto, ad indicarlo. Il voto per divisione<br />

- già sappiamo - è previsto dal Regolamento sia come forma<br />

autonoma cui si fa luogo per richiesta di dieci deputati, sia come forma<br />

di verifica di un precedente voto dato per alzata e seduta. In pratica,<br />

tuttavia, è soltanto a scopo di verifica che questa forma viene adottata.<br />

Il voto per appello nominale si dà dichiarando ad alta voce « sì »<br />

0 « no ». Come già osservato, i singoli atti individuali si succedono secondo<br />

la chiama compiuta per ordine alfabetico a cominciare dal deputato<br />

il cui nome è stato estratto a sorte. È consuetudine ripetere, nello<br />

stesso ordine, la chiama per dar modo di votare ai deputati momentaneamente<br />

assenti al primo appello.<br />

Per lo scrutinio segreto vengono apparecchiate due urne, una nera<br />

ed una bianca, e due palline, una nera e una bianca, vengono consegnate<br />

a ciascun deputato che si presenti a votare. La forma del voto favorevole<br />

consiste nell'introdurre le palline ognuna nell'urna del corrispondente<br />

colore; la forma del voto contrario consiste invece nell'introdurre<br />

la pallina bianca nell'urna nera e la pallina nera nell'urna bianca.<br />

1 voti contenuti in una urna rappresentano così la riprova dei voti contenuti<br />

nell'altra: una divergenza di risultati fra le due urne dà luogo ad<br />

una di quelle ipotesi di irregolarità che l'art. 103 Reg. prevede come<br />

causa di un possibile annullamento della votazione.<br />

Del voto per schede si dirà brevemente nel paragrafo dedicato alle<br />

votazioni elettive. Ora preme sottolineare l'incidenza che la forma ha<br />

sulla natura della votazione. Il principio che infatti non tanto disciplina<br />

quanto definisce nel suo concetto la votazione è quello della « tipicità<br />

della forma », dettato da evidenti esigenze di certezza. La funzione del<br />

voto è decisoria, e decisione e certezza sono fatti intimamente legati.<br />

Di qui la necessità che gli atti che concorrono alla decisione abbiano<br />

un significato assolutamente certo, e perciò lo rivelino attraverso forme<br />

ben determinate. Non sarebbe riconoscibile come votazione un insieme<br />

di atti per mezzo dei quali ciascun soggetto dichiarasse liberamente,<br />

in forma personale, il proprio atteggiamento favorevole o contrario alla<br />

proposta in questione. La caratteristica del voto è di possedere una forma<br />

tipica, cioè non scelta estemporaneamente dal votante, ma precosti-


584 La votazione<br />

tuita col suo significato alla votazione stessa. Questo implica che: a) in<br />

ogni ordinamento, esiste codificata o consuetudinariamente stabilita, una<br />

classe (numerus clausus) di sistemi di votazione, che rappresentano le<br />

possibili forme dell'atto collegiale (appello nominale, alzata e seduta,<br />

ecc.); b) nell'ambito di ciascuna di tali forme dell'atto collegiale, sono<br />

predeterminate e note in anticipo le forme (il cui insieme è perciò<br />

ancora una volta un numerus clausus) nelle quali possono presentarsi<br />

gli atti individuali di voto; e) è predeterminato e noto in anticipo il significato,<br />

epperciò l'effetto giuridico, di ciascuna di queste possibili forme<br />

individuali: l'interpretazione preesiste all'atto, ed il Presidente, per<br />

espresse disposizioni del Regolamento, deve renderla chiara prima della<br />

votazione. Il Presidente, infatti, indica, per il voto di divisione, da qual<br />

parte debbono mettersi i favorevoli e da qual parte i contrari (art. 96),<br />

per l'appello nominale indica il significato del « sì » o del « no » (art. 97),<br />

e avverte quale sia il significato del voto per lo scrutinio segreto (art. 98).<br />

La forma legale è quindi pregnante, indicativa dallo stesso contenuto<br />

dell'atto.<br />

Tutto ciò non è senza conseguenze sulla stessa definizione della votazione.<br />

Si è detto all'inizio che, approssimativamente, la votazione può<br />

venir definita come la manifestazione della volontà dell'assemblea o<br />

del collegio. Definizione questa di cui appare adesso manifesto il carattere<br />

provvisorio e metaforico. Manifestazione vera e propria di volontà<br />

non può infatti considerarsi - o, almeno, non può considerarsi<br />

senza chiarimenti e precisazioni - né l'atto collegiale né l'atto individuale<br />

di voto, essendo la votazione, come si è visto, un istituto fondato<br />

su presunzioni e finzioni e fortemente formalizzato.<br />

Propriamente non è manifestazione della volontà assembleare l'atto<br />

collegiale. Non lo è anzitutto, come è ovvio, sotto il profilo psicologico,<br />

dal momento che l'assemblea e il collegio, soggetti dell'atto, sono delle<br />

entità meramente legali, che non coincidono neppure con l'insieme delle<br />

persone dei votanti. Segue che, anche sul piano giuridico, di « volontà *<br />

deve parlarsi in un senso evidentemente non naturalistico (mentre in<br />

senso naturalistico può in molti casi parlarsi della volontà del soggetto<br />

in diritto privato). Inoltre, fuorviante è il concetto di « manifestazione »<br />

che presuppone, appunto, una preesistente volontà che attraverso l'atto<br />

verrebbe rivelata ed esternata. È chiaro viceversa che, dal punto di vista<br />

giuridico, la votazione è una tecnica non di espressione ma di formazione<br />

della volontà collegiale: l'esistenza di questa volontà non è un<br />

prìus ma un posterius rispetto all'atto, non il suo presupposto bensì<br />

l'effetto che consegue al suo regolare compimento.


La votazione 585<br />

Neppure manifestazione della volontà (o, come alcuni suggeriscono,<br />

del « desiderio » (54)) del singolo è l'atto individuale di voto. Ciò deriva<br />

dalla sottolineata tipicità della forma dell'atto, che comporta la precostituzione<br />

legale del suo significato volitivo, epperciò ancora una volta<br />

una specie di finzione. L'atto individuale di voto, almeno nelle assemblee<br />

politiche, è da ricondurre nell'ambito di quella figura che la dottrina<br />

ha denominato « dichiarazione tipica » : si tratta cioè di un comportamento<br />

che, con presunzione assoluta, è per la sua forma assunto<br />

nell'ordinamento a significare in ogni caso una predeterminata volizione<br />

(55). Il « sì » o la presenza di una pallina bianca in un'urna bianca, il<br />

« no » o la presenza di una pallina bianca in un'urna nera, ecc., sono<br />

comunque interpretati (e il Presidente, s'è visto, lo avverte in anticipo)<br />

come, rispettivamente, voto favorevole e voto contrario alla proposta<br />

oggetto, senza che sia possibile e senza che rilevi l'accertamento della<br />

effettiva volontà del votante (56), la quale potrebbe persino trovarsi<br />

in condizioni di istituzionale contrasto col significato giuridico dell'atto,<br />

come accade - e ne riparleremo - nel caso delle dichiarate astensioni<br />

nei sistemi in cui esse acquistano il valore di voti contrari. Senza dubbio,<br />

di solito il sistema predispone la forma del voto in maniera che essa<br />

corrisponda per quanto possibile ai modi naturali o usuali di manifestazione<br />

della volontà; e, in pratica e nella maggioranza dei casi, il votante<br />

usa la forma adeguata a produrre il risultato cui egli mira. Ma<br />

da un punto di vista giuridico, la sua reale intenzione di voto non determina<br />

alcun effetto, effetti producendosi esclusivamente sulla base della<br />

forma usata, e secondo il criterio preordinato dall'ordinamento. Il<br />

votante non viene interpretato nella sua volontà, bensì soltanto osservato<br />

nella forma del suo atto, epperciò non si parla di interpretazione<br />

ma di scrutinio del voto. L'atto di voto - sembra doversi concludere -<br />

non è considerato dall'ordinamento come « manifestazione della volontà<br />

individuale », visto che da tale concreta volontà l'ordinamento stesso<br />

prescinde nella produzione degli effetti giuridici.<br />

Q Per quanto riguarda i soggetti, a parte l'atto collegiale di cui<br />

soggetto è ovviamente il collegio stesso, problemi possono sorgere per<br />

la determinazione dei soggetti individuali della votazione. Nel senso<br />

(54) Così M. BRACCI, La proposta in diritto amministrativo - Dell'atto complesso<br />

in diritto amministrativo, Firenze 1961 (list.), pagg. 113-7 e passim.<br />

(55) F. SANTORO-PASSAREIXI. Dottrine generali del diritto civile, Napoli 1954,<br />

pagg. 125-6.<br />

(56) Cosi, non può esistere una teoria dell'errore dell'atto di voto, non avendo<br />

l'errore individuale alcuna rilevanza. Cfr. U. GALEOTTI, Principi, cit., pag. 236. Diversamente<br />

per l'errore collettivo (oltre, § 4).<br />

21*.


586 La votazione<br />

più stretto, soggetti della votazione sono soltanto coloro che votano<br />

a favore o contro, nelle forme or ora esaminate, la proposta oggetto.<br />

Ma in un senso più ampio, soggetti della votazione, come è stato dimostrato<br />

(57), sono anche gli astenuti e persino gli assenti, in quanto<br />

il loro atteggiamento non è privo di conseguenze pratiche in ordine<br />

al risultato della votazione. Assenza ed astensione sono state considerate<br />

così tipi di voto negativo. L'assenza intenzionale può avere maggior<br />

forza negativa dello stesso voto contrario, in quanto erode il numero<br />

legale che il voto contrario viceversa contribuisce a far sussistere (coloro,<br />

pertanto, che avversano la proposta, nelle circostanze in cui il<br />

loro numero è inferiore a quello dei favorevoli e tuttavia decisivo per<br />

il numero legale, possono trovare conveniente, specie in fine di legislatura,<br />

assentarsi piuttosto che votare contro). Effetto positivo sul numero<br />

legale hanno invece le astensioni, in qualunque modo siano poi computate<br />

ai fini della maggioranza, e pertanto 'esse limitano le conseguenze<br />

determinate, intenzionalmente o meno, dall'atteggiamento degli assenti.<br />

D'altra parte l'astensione, in quanto è un rifiuto di contribuire alla formazione<br />

di una maggioranza favorevole, dalla cui sussistenza o insussistenza<br />

dipende l'approvazione o la reiezione della proposta (58), deve in<br />

qualche modo considerarsi un atteggiamento negativo nei confronti di<br />

questa. Favorevoli, contrari, astenuti ed assenti giocano quindi tutti un<br />

ruolo nel meccanismo della votazione, e in questo senso possono venire<br />

considerati soggetti di essa.<br />

Trattandosi di schemi dottrinari di comodo non avrebbe molta importanza<br />

discutere se debba preferirsi la classificazione più ampia o<br />

quella più ristretta dei soggetti della votazione. L'alternativa, viceversa,<br />

ha rapporti con l'annosa e non ancora risolta questione dell'ampiezza<br />

della classe dei votanti, e precisamente della posizione rispetto ad essi<br />

della categoria degli astenuti. L'astensione è un atto che può essere vietato,<br />

obbligatorio o facoltativo. Generalmente, nel nostro sistema parlamentare,<br />

l'astensione è facoltativa. È obbligatoria - per consuetudine -<br />

per il Presidente dell'assemblea (non però per i Presidenti delle commissioni<br />

parlamentari) e - per un ovvio principio di correttezza - per<br />

(57) W. JELLINEK, Forme di votazione negativa, in « Studi di diritto pubblico<br />

in onore di Oreste Ranelletti», Padova 1931, voi. II, pagg. 67-71.<br />

(58) Indubbiamente l'astensione è anche un rifiuto di rafforzare il numero dei<br />

« no » ; ma c'è una differenza, in quanto non è il numero dei contrari, bensì quello<br />

dei favorevoli che condiziona, con l'essere o il non essere in maggioranza, l'approvazione<br />

o il rigetto (e che e non » ci sia una maggioranza di favorevoli non implica<br />

necessariamente che «ci sia» una maggioranza di contrari: per es., in caso di parità;<br />

v. oltre, § 4).


La votazione 587<br />

quei membri del collegio ai quali la deliberazione si riferisce (per esempio<br />

nei giudizi per la messa in stato d'accusa, nelle votazioni relative a<br />

provvedimenti disciplinari, ecc.). In taluni casi l'astensione è espressamente<br />

vietata (art. 7, ultimo comma, Reg. per i procedimenti d'accusa).<br />

In quanto l'astensione è un atto essa ha anche una forma, che può<br />

essere esplicita o implicita e varia a seconda del sistema di votazione<br />

in occasione della quale viene manifestata. L'astensione può venire espressa<br />

anche in una dichiarazione di voto: tuttavia, non appartenendo la<br />

dichiarazione di voto alla fase costitutiva bensì a quella preliminare<br />

del procedimento, l'astensione così manifestata non viene in alcun modo<br />

registrata ai fini dello scrutinio e non suscita alcun problema circa la<br />

sua computabilità nel quorum di maggioranza. Al di fuori della dichiarazione<br />

di voto, l'astensione può trovare diversi modi di espressione (59).<br />

Nello scrutinio segreto ci si può astenere non ritirando le palline (forma<br />

tacita), oppure consegnando le palline alla Presidenza o dichiarando ad<br />

alta voce di volersi astenere (forme espresse). Nell'appello nominale ci<br />

si astiene rispondendo « mi astengo » alla chiama (forma espressa). I<br />

Regolamenti non parlano specificamente dell'astensione nei casi delle<br />

votazioni sommarie. Si è ritenuto, peraltro, che anche in queste circostanze<br />

esse sono attuabili. Così nella votazione per alzata e seduta ci si<br />

potrebbe astenere rimanendo seduto ad ogni riprova (ma - ed evidentemente<br />

- se alla riprova non si procede, l'astenuto conta come contrario).<br />

Nel voto per divisione l'astenuto può manifestare il proprio atteggiamento<br />

restando presente in Aula - l'uscita dall'Aula è considerata turbativa della<br />

votazione (60) - senza però sedersi né a destra né a sinistra dell'emiciclo.<br />

In ogni caso poi l'astensione potrebbe venire dichiarata in forma<br />

espressa prima della votazione (ma, nelle votazioni sommarie, non si<br />

vede come tale forma espressa, che non si inserisce nella meccanica della<br />

votazione, possa valere qualcosa di più di una dichiarazione di voto)<br />

(61).<br />

(59) M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit., pag. 300; U. GALEOTTI, Principi, cit.,<br />

pagg. 200-1 ; F. COSENTINO, Astensione, cit., pagg. 89-90. In quest'ultimo A. ampia<br />

bibliografia sull'argomento dell'astensione in genere.<br />

(60) Così M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit., pagg. 301-2 e U. GALEOTTI, Prìncipi,<br />

cit, pagg. 199-200; non concorda però F. COSENTINO, Astensione, cit., pag. 95,<br />

nota 17.<br />

(61) Sulle dichiarazioni preliminari di astensione ci sono in dottrina dei dissensi:<br />

v. F. COSENTINO, Astensione, cit., pag. 90, nota 3. La questione va posta in<br />

termini diversi, a seconda che si tratti di votazioni distinte (scrutinio segreto, appello<br />

nominale) o di votazioni sommarie. Nel primo caso, se si ritiene che i Segretari<br />

debbano prendere nota anche della dichiarazione preliminare di astensione, questa è<br />

operativa e non serve allora distinguere tra e astensioni nel voto » e « astensioni prima del


588 La votazione<br />

Se queste sono le forme che può assumere l'astensione, ci si può<br />

chiedere se si tratta di forme di voto, e cioè, in altri termini, se gli astenuti<br />

siano o non siano da considerare votanti. La questione è stata largamente<br />

dibattuta in regime statutario, e ancora oggi si trovano i sostenitori<br />

dell'una o dell'altra soluzione (62). Il rilievo pratico della alternativa<br />

dipendeva, prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana,<br />

dal fatto che l'art. 54 dello Statuto stabiliva: « le deliberazioni<br />

non possono essere prese se non alla maggiorità dei voti ». È<br />

evidente che la maggioranza di approvazione veniva così a variare col<br />

variare della estensione del concetto di « voto » e di « votante », per<br />

modo che, in effetti, non era punto indifferente che gli astenuti si considerassero<br />

o meno inclusi in quel concetto: ritenere votanti gli astenuti<br />

equivaleva ad elevare la maggioranza richiesta per la deliberazione, e<br />

poteva determinare in certi casi la reiezione della proposta, che seguendosi<br />

la dottrina contraria avrebbe invece potuto essere approvata. Va<br />

ricordato che mentre la consuetudine alla Camera dei deputati era, ed<br />

è tuttora, nel senso di considerare non votanti gli astenuti e di non computarne<br />

il numero nel parametro della maggioranza, al Senato, per altrettanto<br />

costante prassi, le astensioni sono sempre state incluse nelle ca-<br />

voto » producendo esse gli stessi effetti ; se viceversa i Segretari sono tenuti a prender<br />

nota solo di coloro che dichiarano di astenersi rispondendo alla chiama, allora<br />

la distinzione ha senso, ma la dichiarazione preliminare, non essendo quella operativa,<br />

perché non registrata e perché non esclude un diverso atteggiamento al momento<br />

della chiama, deve dirsi una forma impropria e non effettuale di astensione.<br />

Nel caso delle votazioni sommarie la dichiarazione preliminare è sempre impropria<br />

e non effettuale e non c'è modo né scopo di annotarla (se prima, per es., di una<br />

votazione per divisione un deputato abbia dichiarato di astenersi, al momento del<br />

voto egli, seppure non abbia mutato opinione, si terrà in disparte senza spostarsi<br />

né a destra né a sinistra: ma è questa forma tacita, e non quella precedente espressa,<br />

che opera nel meccanismo della votazione). Naturalmente, la dichiarazione preliminare<br />

di astensione resa nelle votazioni sommarie, al pari di qualsiasi altro intervento<br />

o atto compiuto in seduta, può rilevare per la determinazione del numero legale di<br />

successive votazioni, ove si interpreti in senso largo il disposto dell'art. 100, secondo<br />

comma, Reg.<br />

(62) V. per la bibliografia la indicazione contenuta nella nota 59 prec. A titolo<br />

esemplificativo si ricorderà che la tesi che non riconosce agli astenuti lo status di<br />

votanti è stata sostenuta da U. GALEOTTI, Principi, cit. pagg. 210-11 e passim, G. DE<br />

GENNARO, op. cit., pagg. 347-8, V. LONGI-M. STRAMACCI, op. cit., pagg. 160-1, F. CO­<br />

SENTINO, Astensione, cit., pagg. 95 e 99. Contro si suole ricordare V. E. ORLANDO,<br />

Consiglio comunale, in « Digesto italiano », Torino 1895, Vili, pag. 138. W. JELLINEK,<br />

op. cit., classifica l'astensione tra le forme di votazione negativa (benché affermi che<br />

con l'astensione non si appoggiano né i favorevoli né i contrari). L. GALATERIA,<br />

Astensione, cit., pag. 942 e ID., Gli organi collegiali amministrativi, Milano 1959,<br />

voi. II, pag. 135 e segg., ritiene, almeno per quanto riguarda le votazioni per schede,<br />

che « quando la legge parla di votante è indubitabile che vuol riferirsi a colui che<br />

partecipa all'operazione giurìdica della votazione, senza prendere in rilievo, per questo<br />

particolare aspetto, se la sua manifestazione di volontà sia stata positiva, negativa<br />

o neutra >.


La votazione 589<br />

tegorie di voto e nel quorum richiesto per le deliberazioni (63). Quanto<br />

alla dottrina, la tesi, condivisa dai più, che gli astenuti non possono<br />

considerarsi votanti si è affermata prevalentemente sulla base della considerazione<br />

che gli astenuti dichiarano essi medesimi, in sostanza, di<br />

non volere o potere esprimere alcun atteggiamento favorevole o contrario<br />

alla proposta in esame: onde un « astenuto votante » costituirebbe<br />

una contraddizione in termini. Anche se la tesi in sé può esser valida,<br />

c'è tuttavia il sospetto che questo specifico argomento nasconda un circolo<br />

vizioso. Astenersi equivale a non votare se si assume in precedenza<br />

che « votare » significa soltanto manifestare una volontà favorevole o<br />

contraria. Ma è arduo sostenere una così categorica definizione facendo<br />

appello alle ordinarie intuizioni, nel cui ambito, come è noto, le parole<br />

non hanno confini semantici rigorosi: su questo stesso piano non è implausibile<br />

una accezione appena più ampia del termine « voto » (da<br />

intendere, per es., come qualsiasi intenzionale atteggiamento nei<br />

confronti dell'oggetto della votazione) che ricomprenda anche l'ipotesi<br />

dell'astensione. La su citata tesi dell'astensione come tipo di voto negativo<br />

non è molto lontana dal senso comune. D'altra parte, non va<br />

dimenticato che l'astensione ed il voto sono istituti giuridici, e che la<br />

loro definizione e il loro significato, proprio perché si tratta di dichiarazioni<br />

tipiche, dipendono dal particolare ordinamento che li disciplina,<br />

e varia col variare di questo. Non ha senso pertanto il tentativo di stabilire<br />

a priori se gli astenuti siano o non siano votanti. Vi sono ordinamenti<br />

che attribuiscono alla dichiarazione degli astenuti il valore e<br />

l'effetto di un voto contrario (il sistema del nostro Senato ne è solo un<br />

esempio) (64), ed è evidente che in tal caso l'astenuto sotto il profilo<br />

tecnico-giuridico non può che essere considerato votante (almeno se nell'ordinamento<br />

è stabilito che sui « votanti » debba calcolarsi la maggioranza).<br />

In definitiva, il problema del rapporto fra voto e astensione, che<br />

è un problema di sottili sfumature, è indeterminato al livello del senso<br />

comune ed ammette più di una soluzione al livello dommatico. Quando,<br />

pertanto, ci si trovi dinanzi a norme che espressamente si riferiscano<br />

ai « voti » o ai « votanti » non ci si può contentare, nella interpreta-<br />

(63) Per la Camera, v., oltre gli artt. 100 e 105 Reg., di cui appresso, U. GA­<br />

LEOTTI, Principi, cit., pag. 212 e segg., V. LONOI-M. STRAMACCI, op. cit., pagg. 161 e<br />

168, F. COSENTINO. Astensione, cit., pag. 90 e segg. Per il Senato v. // Regolamento<br />

del Senato e i lavori preparatori, Roma 1949, pag. 323. V. pure F. BEZZI-A. TROISI,<br />

/ Conti delle Camere, in e il mondo», 26 gennaio 1954, pag. 1.<br />

(64) M. MANCINI-U. GALEOTTI, op. cit., pag. 300, ricordavano il caso del<br />

Landtag del Wurttemberg (cui si riferisce, come a caso tipico, anche W. JELLINEK,<br />

op. cit., pag. 68).


590 La votazione<br />

zione, di argomenti di pura ed astratta logica, ma occorrerà far leva<br />

sui dati forniti dal particolare ordinamento positivo di cui si tratta.<br />

Oggi, oltretutto, la questione, nei termini indicati e per quanto riguarda<br />

le assemblee parlamentari, appare priva di rilievo. L'art. 64,<br />

terzo comma, Cost, infatti, non fa più riferimento ai voti e ai votanti<br />

ma stabilisce che « le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento<br />

non sono valide... se non sono adottate a maggioranza dei presenti<br />

». Cionondimeno, il problema della computabilità degli astenuti<br />

nella cifra di maggioranza si è ripresentato, in forma diversa, a causa<br />

della menzionata prassi della Camera dei deputati, che col disposto costituzionale<br />

sembra contrastare nettamente (65). Ove questo, invero, venga<br />

interpretato nel senso più immediato, non è dubbio che il numero degli<br />

astenuti debba venire sommato a quello dei votanti (e anche a quello<br />

degli eventuali indifferenti 66)) per determinare il numero delle presenze,<br />

che diviso per due e aumentato di una unità (o di un mezzo)<br />

fornisce la cifra di maggioranza in ciascun caso concreto. Ma In questo<br />

senso, si è visto, è la regola del Senato, non quella della Camera, che<br />

degli astenuti tiene sì conto (artt 100, primo comma, e 105 Reg.), ma<br />

solo per la formazione del numero legale (cfr. art. 100, secondo comma,<br />

Reg.). In assemblea la questione fu sollevata per la prima volta dal<br />

deputato Roberti nella seduta del 19 luglio 1958, in forma di richiamo<br />

al Regolamento. Il Presidente Leone, dopo aver ricordato in che modo<br />

l'Assemblea costituente pervenne all'approvazione del citato art. 64, non<br />

ritenne di potersi discostare dall'antica prassi della Camera (67).<br />

Come per la interpretazione della prima parte del terzo comma<br />

dell'art. 64 Cost., relativa alla determinazione del numero legale, qui<br />

si scontrano due diversi metodi ermeneutici. Da un lato, la tesi della<br />

computabilità degli astenuti nel quorum di maggioranza si fonda sul<br />

criterio oggettivo, che prescinde dalla considerazione dei lavori preparatori<br />

della norma; a questi invece fondamentalmente si richiama, dal-<br />

(65) V. G. DE GENNARO, op. ciu, pag. 352 e segg. V. anche gli oratori di<br />

opposizione intervenuti nelle discussioni svoltesi in materia (appresso, nota 67).<br />

(66) F. COSENTINO, Astensione, cit., pagg. 93 e 99.<br />

(67) Atti parlamentari, Camera dei deputati, III legisl., sed. del 19 luglio 1958,<br />

pagg. 579-591. Il Presidente assicurò tuttavia che della questione avrebbe investito la<br />

Giunta del Regolamento, che infatti si è occupata a lungo del problema prendendo<br />

anche contatti con gli organi del Senato, ma non è pervenuta ad alcuna deliberazione<br />

definitiva. V. R. Tozzi CONDIVI, // computo degli astenuti alla Camera dei deputati,<br />

in «Nuova rassegna di legisl., dottr. e giurispr. », 1959, XI, pagg. 10-11. D richiamo<br />

al Regolamento per il computo degli astenuti fu sollevato anche in successive occasioni<br />

(v. le sedute del 4 e 6 dicembre 1958, 27 febbraio 1959, 8 aprile 1960, 5 agosto<br />

1960, 10 marzo 1962, 1° febbraio 1963), ma sempre la Camera si è attenuta al<br />

principio della esclusione degli astenuti dal quorum di maggioranza.


La votazione 591<br />

l'altra parte, la tesi conforme alla consuetudine della Camera. Va riconosciuto<br />

che la interpretazione oggettiva non si sostiene su argomenti<br />

basati sul significato meramente letterale della parola « presenti ».<br />

Questo stesso termine ricorre invero contestualmente due volte nel terzo<br />

comma dell'art. 64: benché la prima volta sia usato per la determinazione<br />

della cifra del numero legale e la seconda per la determinazione<br />

della cifra di maggioranza, è difficile negare che il significato della parola<br />

sia il medesimo in entrambi i casi, e che pertanto come gli astenuti<br />

integrano la categoria dei « presenti » nel primo così pure dovrebbero<br />

integrarla nel secondo. Altrettanto difficile inoltre sembra far valere<br />

qui l'argomento secondo cui il Costituente non avrebbe inteso innovare<br />

sulla consuetudine consolidata, sia perché l'impiego della parola<br />

« presenti » in luogo di « votanti » può già di per se ritenersi significativo<br />

di un tale intento innovatore, sia, soprattutto, perché le due Camere,<br />

alle quali del pari si riferisce l'art. 64, hanno sempre seguito due opposti<br />

sistemi, e non può parlarsi pertanto di una prassi del Parlamento<br />

che sia stata univocamente recepita nel testo costituzionale.<br />

La tesi che si fonda sull'esame dei lavori preparatori rileva, per<br />

contro, che la seconda sottocommissione dell'Assemblea costituente approvò<br />

una formulazione dell'articolo in cui si parlava della « maggioranza<br />

dei votanti », e che la discussione che si svolse in proposito non<br />

lascia dubbi sul fatto che intendesse escludere dal quorum proprio il<br />

numero degli astenuti. Fu in sede di coordinamento che, per motivi<br />

non documentati, ma che comunque non possono ritenersi che formali,<br />

l'espressione « maggioranza dei " votanti " » fu mutata in quella di<br />

« maggioranza dei " presenti " », che l'Assemblea ha poi approvato,<br />

senza che peraltro nessuno abbia fatto notare la differenza letterale di<br />

questa espressione rispetto alle norme che la Costituente stessa applicava.<br />

Alla luce, quindi, dei lavori preparatori l'espressione « maggioranza<br />

dei presenti» si rivela una formale trascrizione della espressione<br />

originaria « maggioranza dei votanti » (68). Si sono anche segnalati gli<br />

inconvenienti pratici che, particolarmente per quanto riguarda le votazioni<br />

relative ad autorizzazioni a procedere e a verifica di elezioni,<br />

possono prodursi nell'ipotesi che gli astenuti vengano computati ai fini<br />

della determinazione delle maggioranze (69).<br />

(68) F. COSENTINO, // computo della maggioranza, in «Politica parlamentare»,<br />

1953, I, pagg. 122-3; ID., Astensione, cit., pag. 92, nota 10. V. anche V. FALZONE-<br />

F. PALERMO-F. COSENTINO, op. cit., pag. 169.<br />

(69) F. COSENTINO, Astensione, cit., pag. % e segg.


592 La votazione<br />

Importante è, comunque, individuare le conseguenze che discendono<br />

dalla inclusione o dalla esclusione degli astenuti dal quorum, o parametro<br />

base, su cui si calcola la maggioranza. Le possibili posizioni dei<br />

soggetti della votazione nel senso più largo sono - abbiano visto sopra<br />

- quelle del voto favorevole, del voto contrario, dell'astensione e della<br />

assenza. Queste quattro posizioni sono fra di loro distinte, ma a condizione<br />

che l'ordinamento assegni ad esse distinti effetti. Quando ciò si<br />

verìfica, si offre al componente del collegio una quadruplice possibilità<br />

di atteggiamenti rilevanti per la meccanica della votazione, e, in ultima<br />

analisi, la massima possibile libertà di scelta. Ciò si ha appunto nel caso<br />

che gli astenuti vengano computati per la determinazione del numero<br />

legale ma non per la determinazione della cifra di maggioranza: se fossero<br />

esclusi ai fini del numero legale risulterebbero equiparati agli assenti,<br />

se fossero calcolati ai fini della maggioranza risulterebbero equiparati<br />

ai votanti in contrario. L'effetto quindi dell'inclusione degli astenuti,<br />

insieme ai favorevoli ed ai contrari, nel numero base della cifra<br />

di maggioranza è la scomparsa dell'astensione in quanto posizione distinta<br />

dal voto contrario, è una riduzione delle possibilità di scelta del<br />

soggetto della votazione. Inoltre, con quella inclusione viene elevata la<br />

cifra di maggioranza richiesta per l'approvazione, e si incide così sulla<br />

fattispecie prevista per la produzione degli effetti del voto.<br />

È antica la controversia circa l'opportunità di consentire le astensioni,<br />

rivendicate in nome della libertà del votante o condannate in<br />

nome dei doveri di decisione che incombono al parlamentare (70). Il<br />

computo degli astenuti nella maggioranza costituisce, in ultima analisi,<br />

una scelta in questa alternativa, di grave momento per la concezione<br />

dei poteri e dei doveri dei membri delle assemblee politiche, risolvendosi<br />

in un modo di vietare l'astensione come tale. Ma va notato che è<br />

anche il modo più ambiguo di neutralizzarla, poiché dell'astensione conserva<br />

e consente l'aspetto esteriore, che pure ha il suo rilievo. L'astensione<br />

diviene nient'altro che una delle due forme che può assumere il<br />

voto contrario, il quale potrà darsi dichiarando il «noi o usando la<br />

espressione « mi astengo ». Si determina così una doppiezza di significati,<br />

uno scarto tra quello che, per il tenore della formula, è il valore<br />

politico e quello che, per gli effetti, è il valore giuridico dell'astensione.<br />

(70) V. J. BENTHAM, op. cit., cap. XIV, § 2, pag. 572; U. GALEOTTI, Principi,<br />

cit., pag. 198 e segg. ; V. MICELI, Prìncipi, cit., pag. 81.


La votazione 593<br />

4. - La fase integrativa comprende tutte le operazioni che hanno<br />

la funzione di definire il risultato dell'atto di votazione, e cioè di determinare<br />

in relazione all'oggetto della decisione quale dei tipici effetti<br />

alternativi - approvazione o reiezione - del procedimento deliberativo<br />

si siano prodotti (o, nelle elezioni, se vi sia un effetto elettivo, e quale<br />

questo sia). La fase integrativa include quindi, come suoi atti necessari,<br />

lo scrutinio e la proclamazione pubblica dell'esito della votazione. Ma<br />

in questa fase, come più volte accennato, possono rientrare anche altri<br />

atti, e fra questi segnatamente la verifica del numero legale.<br />

Non sempre, d'altra parte, e non necessariamente le operazioni<br />

della fase integrativa sono compiute dopo l'atto collegiale di votazione.<br />

Ciò accade nel caso delle votazioni distinte, ma non in quello delle<br />

votazioni sommarie. Lo scrutinio segreto e l'appello nominale (nonché<br />

la votazione per schede) hanno una durata, e sono esplicitamente chiusi<br />

dal Presidente, che subito invita i Segretari a procedere allo scrutinio:<br />

si determina così il passaggio formale dalla fase costitutiva alla fase<br />

integrativa, nettamente separate fra di loro. Nel caso, invece, delle<br />

votazioni per alzata e seduta e per divisione, lo scrutinio è contestuale<br />

all'atto collegiale, e soltanto la proclamazione viene effettuata dopo che<br />

questo è stato compiuto.<br />

Lo scrutinio rappresenta il prius logico e cronologico della proclamazione.<br />

All'interno di esso si possono distinguere per genere due<br />

diverse attività, delle quali conviene parlare distintamente. Vi sono anzitutto<br />

le operazioni materiali di numerazione dei voti, che risolvono<br />

una quaestio facti, e che sono normalmente condotte dei Segretari di<br />

Presidenza, benché sotto il controllo dello stesso Presidente. Ma vi<br />

è anche una seconda attività, la quale prelude immediatamente alla<br />

proclamazione ed implica la soluzione di una quaestio juris, che consiste<br />

nel riscontrare se si è formata la maggioranza (ed eventualmente se<br />

sussiste il numero legale) che condiziona l'effetto della approvazione.<br />

Su tale attività di riscontro, intimamente connessa con la proclamazione,<br />

decisiva è la valutazione del Presidente. Diremo « conta » l'attività<br />

di accertamento dell'entità numerica dei voti, e « computo » l'attività<br />

di accertamento della sussistenza della maggioranza (o del numero<br />

legale).<br />

La conta, ovviamente, non avviene sempre allo stesso modo, ma<br />

varia col variare della forma adottata per la votazione. Nel voto per<br />

alzata e seduta e, più in generale, in tutte le votazioni delle quali il<br />

Presidente nella proclamazione non è tenuto a dichiarare l'esito numerico,<br />

la conta dei voti è fatta normalmente in modo sommario, anche


594 La votazione<br />

senza una esatta rilevazione di quanti sono favorevoli e di quanti sono<br />

contrari (lo stesso è per gli astenuti), essendo sufficiente accertare con<br />

un certo grado di approssimazione se vi è stata maggioranza, purché<br />

sia indubbio un risultato positivo o negativo della votazione. Nelle<br />

votazioni ed. tacite una conta dei voti, all'atto pratico, viene a mancare:<br />

c'è la constatazione del silenzio. Solo nelle votazioni per appello<br />

nominale e in quelle a scrutinio segreto (nonché nelle votazioni per<br />

schede) vi è necessariamente un calcolo esatto dei voti favorevoli e<br />

di quelli contrari, come vi è una conta esatta anche per quanto riguarda<br />

le astensioni, che i Segretari sono tenuti ad annotare (artt. 100,<br />

104 e 105 Reg.).<br />

Sulle attività materiali di computo dei voti, svolte normalmente<br />

dai Segretari, al Presidente spetta, come detto, un generico potere di<br />

controllo. Da tale potere discendono anche talune facoltà a lui accordate<br />

dal Regolamento nelle ipotesi in cui, per la forma di votazione<br />

(nelle votazioni a scrutinio sommario), o per irregolarità nello svolgimento<br />

dell'atto collegiale di voto, vi sia incertezza sull'esito numerico<br />

della votazione stessa. L'incertezza sull'esito numerico della votazione<br />

per alzata e seduta, precludendo al Presidente ogni convincimento<br />

su quella che sia la maggioranza, induce a prolungare le operazioni<br />

di voto con una o più prove o col voto di divisione, da lui disposte<br />

su richiesta, ma, evidentemente, anche per sua iniziativa. Prova, riprova<br />

e voto per divisione non possono aver più luogo una volta che il Presidente,<br />

non giudicando incerto lo scrutinio, abbia creduto di poter proclamare,<br />

e abbia proclamato, l'esito della votazione (art. 99 Reg.).<br />

Il potere di controllo del Presidente, si manifesta anche e soprattutto<br />

nel potere accordatogli (art. 103, ultimo comma, Reg.) di annullare<br />

la votazione, disponendone una seconda con apprezzamento discrezionale<br />

delle circostanze, nel caso in cui l'incertezza del voto sia<br />

determinata da irregolarità verificatesi nella fase costitutiva, e segnatamente<br />

nelle ipotesi in cui il numero dei voti risulti in qualche urna<br />

superiore al numero dei votanti. Nell'urna, infatti, i cui voti siano in<br />

numero pari o inferiore a quello dei votanti può ritenersi in generale<br />

che non si siano verificate irregolarità di rilievo (il numero dei voti<br />

inferiore a quello dei votanti fa presumere altrettante astensioni, regolari<br />

se le palline mancanti risultano consegnate alla Presidenza, irregolari<br />

in caso diverso). Il problema quindi si pone in particolare per<br />

quell'urna il cui numero dei voti sia superiore al numero dei votanti.<br />

In tale ipotesi si suole procedere alla ed. prova di resistenza: si verifica<br />

cioè se il risultato della votazione rimane inalterato sottraendo


La votazione 595<br />

tanti voti alla somma dei favorevoli (se il risultato appare quello dell'approvazione)<br />

o degli altri (se il risultato appare quello della reiezione)<br />

quanti sono i voti eccedenti i votanti; la votazione va rifatta se<br />

il risultato non resta immutato (71).<br />

Contati, sommariamente o distintamente, i voti favorevoli e quelli<br />

contrari, nonché le astensioni o - nel caso delle votazioni per schede -<br />

i voti riportati da ciascun candidato, le schede bianche, ecc., si passa<br />

alle operazioni di verìfica del numero legale e di computo della maggioranza.<br />

Che tali operazioni non siano più meri calcoli aritmetici, ma<br />

comportino, come accennato, la soluzione di quaestiones juris appar<br />

chiaro appena si richiamino alla mente i dubbi e i contrasti - di cui<br />

si è trattato sopra (§§ 2 e 3) - che a proposito del numero legale e<br />

della maggioranza si profilano in dottrina e in pratica. Numero legale<br />

e maggioranza sono concetti e categorie giuridiche, per cui non è possibile<br />

stabilire la loro sussistenza nel fatto senza aver previamente risolta,<br />

sia pure per implicito, una questione di diritto. Ne segue che<br />

maggiori sono sull'espletamento di queste operazioni i poteri del Presidente<br />

il quale, è da ritenere, mentre non ha uno specifico potere di<br />

contestazione dei risultati della conta effettuata dagli scrutatori, ha viceversa<br />

un autonomo potere di interpretare le norme relative al numero<br />

legale e alla maggioranza e di decidere pertanto nel caso concreto circa<br />

la loro verifica o computo.<br />

Il primo punto che invero si tratta di stabilire è quali siano le cifre<br />

da assumere, nella particolare votazione in corso, come numero legale<br />

e come maggioranza. Il secondo punto è di stabilire se, sulla base dei<br />

dati numerici della conta, il numero legale sussiste e la maggioranza<br />

è stata raggiunta.<br />

Dal numero legale si è parlato in precedenza, a proposito delle<br />

attività della fase preliminare. Vi è tuttavia, qualche differenza da ricordare,<br />

o da segnalare, fra la verifica preliminare e la verifica implicita.<br />

Anzitutto, la verifica implicita alla Camera si ha sempre, e soltanto,<br />

nel caso delle votazioni distinte (appello nominale, scrutinio<br />

segreto, votazione per schede). Nella cifra base del numero legale viene<br />

ricompreso il numero dei voti favorevoli, dei voti contrari, degli astenuti<br />

(ex artt. 100, primo comma, 104 e 105 Reg.) e certamente dei<br />

firmatari della domanda dell'appello nominale o dello scrutinio segreto,<br />

come stabilito dall'art. 95, secondo comma, Reg. Questo articolo prescrive<br />

inoltre che siano ritenuti sempre presenti, ancorché, non rispon­<br />

di) Sulla « prova di resistenza » cfr. U. GALEOTTI, Prìncipi, cit, pag. 238.


596 La votazione<br />

dano all'appello (o non si presentino comunque a votare), i richiedenti<br />

la verifica del numero legale. Tale norma trova indubbiamente applicazione,<br />

come si vide, nell'ipotesi della verifica preliminare. Ma la<br />

verifica implicita non ha il suo presupposto in una richiesta: si potrebbe<br />

pertanto pensare che il disposto dell'art. 95, per quanto attiene<br />

al computo dei firmatari della richiesta di verifica, non possa riguardare<br />

i casi di verifica implicita. Può accadere peraltro che, nel procedimento,<br />

ad una richiesta di verifica preliminare succeda una domanda<br />

di scrutinio segreto o di appello nominale che quella richiesta assorbe,<br />

dando luogo ad una votazione in forma distinta: in tale evenienza si<br />

ha che la verifica implicita è preceduta da una richiesta di verifica<br />

preliminare, onde non è da escludere la consistente possibilità che il<br />

citato art. 95, nel ritenere presenti i firmatari della richiesta, si riferisca<br />

anche ad ipotesi di verifica implicita. Nella prassi tuttavia, questo<br />

punto non è pacifico, come non è chiaro - secondo che già si<br />

disse - quale sia l'estensione della categoria dei « deputati* presenti<br />

alla seduta, che non partecipino ad una votazione » che l'art. 100, secondo<br />

comma Reg. vuole computati agli effetti del numero legale (v.<br />

sopra, § 2, sub B).<br />

La verifica implicita differisce da quella preliminare in quanto,<br />

come il nome lascia intendere, essa è assorbita in una altra attività,<br />

quella appunto di scrutinio. Ma è da notare che l'assorbimento non<br />

è totale. Verifica e scrutinio hanno in comune soltanto le operazioni<br />

di mera conta, differendo poi sotto il profilo del computo, perché diversi<br />

sono i concetti e diverse le funzioni del numero legale e della<br />

maggioranza. Il numero legale è requisito di validità dell'atto di votazione,<br />

la maggioranza è la condizione alla quale l'atto produce l'effetto<br />

della approvazione. Ne segue che ove manchi il primo, l'atto compiuto<br />

è invalido, esso va ripetuto allo stesso titolo (cosicché, ad es., quando<br />

si prevedano maggioranze diverse a seconda che si tratti di primo,<br />

secondo o terzo scrutinio, se l'atto per il quale è mancato il numero<br />

legale rappresentava il primo scrutinio sempre come primo scrutinio<br />

va compiuta la sua rinnovazione), e nessuno degli effetti tipici della<br />

votazione (approvazione o rigetto, elezione) si produce. Ove, invece,<br />

non si raggiunga la maggioranza prescritta, la votazione esiste ed è<br />

valida; inoltre (nelle deliberazioni) un risultato pur sempre si determina,<br />

vale a dire la reiezione della proposta e la chiusura del procedimento,<br />

purché, s'intende, non sussistano cause di invalidità dell'atto:<br />

ma, appunto, il mancato raggiungimento della maggioranza non costituisce<br />

una di queste cause.


La votazione 597<br />

L'esito di un atto di votazione, pertanto, non è individuabile nella<br />

semplice alternativa della approvazione o della non-approvazione, verificandosi<br />

la non-approvazione tanto nell'ipotesi della mancanza del<br />

numero legale quanto in quella del rigetto: non è forse un caso, o è<br />

un caso felice, che il Reg. Camera (a differenza di quello del Senato:<br />

art. 84) stabilisca che il risultato del voto, quando un risultato vi sia,<br />

venga dal Presidente proclamato con le formule « la Camera approva »<br />

o « la Camera respinge » (art. 106), che rappresentano esattamente i<br />

due effetti tipici della votazione (72). È chiaro, d'altra parte, che la<br />

verifica del numero legale costituisce un presupposto del riscontro della<br />

maggioranza, atteso che l'urta è diretta ad accertare « se » l'atto è<br />

valido, e l'altro a stabilire « quale » sia l'effetto dell'atto stesso. Perciò<br />

la verifica del numero legale è l'operazione alla quale si procede appena<br />

compiuta la conta, e se risulta negativa esclude come superfluo<br />

il computo della maggioranza.<br />

Se, viceversa, la verifica del numero legale è positiva, occorre accertare<br />

se la somma dei voti favorevoli alla proposta sottoposta al voto<br />

dell'assemblea raggiunga la cifra di maggioranza stabilita per l'approvazione<br />

nel caso concreto. La maggioranza « normale » è, come si è<br />

visto, quella dei « presenti » di cui all'art. 64, terzo comma, Cosi, che<br />

fa salve diverse disposizioni delle stesse leggi costituzionali. Si è anche<br />

visto che, nella prassi della Camera, l'espressione a presenti » è<br />

intesa nel senso di « votanti » con esclusione degli astenuti. Altre maggioranze<br />

sono determinate sulla base di parametri diversi da quello<br />

dei « presenti », e secondo frazioni differenti da quella della metà<br />

più uno.<br />

È possibile così una classificazione dei vari tipi di maggioranza adottati<br />

nelle assemblee parlamentari (per ragioni di chiarezza e di completezza<br />

ci riferiremo anche alle maggioranze previste per i procedimenti<br />

elettivi, che verranno richiamate nel § 5). Si ha un primo gruppo<br />

di maggioranze calcolate sulla base dei « componenti » l'assemblea<br />

(non si distinguerà qui se la determinazione è compiuta sulla base dei<br />

componenti « di diritto » o dei componenti « di fatto » (73), problema<br />

che può avere rilievo, per es., nel caso della elezione del Presidente<br />

della Repubblica, per la partecipazione dei delegati delle Regioni finora<br />

costituite). Le frazioni che su tale base determinano la cifra di mag-<br />

(72) Le formule in uso al Senato sono « fl Senato approva » e « il Senato<br />

non approva» (alternativa ritenuta più esatta di quella della Camera da F. PERGOLBSI,<br />

Diritto costituzionale, Padova 1958, 12» ed., pag. 353, nota 1).<br />

(73) Distinzione che fa P. GASPARRI, op. ciu. pag. 179.


598 La votazione<br />

gioranza sono variabili. È richiesta la maggioranza dei due terzi dei<br />

componenti il collegio, nei primi tre scrutini per l'elezione del Presidente<br />

della Repubblica (art. 83, terzo comma, Cost.) e dei tre quinti<br />

nei primi due scrutini per l'elezione dei giudici costituzionali e dei<br />

membri del Consiglio superiore della Magistratura (artt. 3 legge 11<br />

marzo 1953, n. 87 e 22 legge 24 marzo 1958, n. 195). La maggioranza<br />

è costituita invece da qualcosa più della metà dei componenti (e cioè,<br />

in pratica, dalla metà dei componenti più una unità, se il numero dei<br />

componenti è pari, e della metà dei componenti più un mezzo, se il numero<br />

dei componenti è dispari) per l'elezione del Presidente della Repubblica<br />

dopo il terzo scrutinio (art. 83, terzo comma, Cost), per la<br />

deliberazione della messa in stato di accusa (artt. 90, secondo comma,<br />

Cost. e 27, comma quinto, Reg. per i procedimenti di accusa: si noti<br />

che tale quorum è dalla Costituzione richiesto esplicitamente solo per<br />

la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica), per la<br />

approvazione in seconda deliberazione dei progetti di legge' costituzionale<br />

o di revisione della Costituzione (artt. 138, primo comma, Cost.<br />

e 107-quater, primo comma, Reg.) per l'adozione dei Regolamenti<br />

parlamentari (artt. 64, primo comma, Cost. e 15 secondo comma, Reg.,<br />

che tale maggioranza prescrive per le modificazioni e le aggiunte ai<br />

Regolamenti, purché essa sia richiesta da un presidente di gruppo parlamentare<br />

o da dieci deputati prima che inizi la discussione) e per la<br />

dichiarazione d'urgenza delle leggi, ai fini dei termini della promulgazione<br />

(art. 73, secondo comma, Cost).<br />

Dubbi possono sorgere circa la maggioranza necessaria per la discussione<br />

e la votazione di argomenti non iscritti all'ordine del giorno:<br />

in proposito l'art. 69 Reg. prevede la « maggioranza dei tre quarti »,<br />

senz'altro specificazione. In quanto la norma è posta a tutela degli<br />

assenti, sembrerebbe logico non riferirla ai votanti bensì ai componenti<br />

il collegio. Ma la maggioranza dei tre quarti dei componenti rappresenterebbe<br />

il più alto quorum conosciuto nell'ambito del Parlamento,<br />

ciò che se in teoria può apparire conforme al principio noto sotto<br />

il nome di inviolabilità dell'ordine del giorno, in pratica determinerebbe<br />

l'inapplicabilità dell'art 69 stesso.<br />

H parametro dei « presenti » (che, come già osservato, alla lettera<br />

comprenderebbe non solo i votanti prò, quelli contro e gli astenuti, ma<br />

anche gli indifferenti: sopra, § 3), è solo scritto nella Costituzione,<br />

nella normativa parlamentare vigendo il più ristretto parametro dei<br />

« votanti », con inclusione o con esclusione degli astenuti. Anche qui<br />

variabili sono le frazioni determinative. I tre quinti dei votanti (com-


La votazione 599<br />

prese nel loro numero le schede bianche: oltre, § 5) sono richiesti negli<br />

scrutini successivi al secondo per la elezione dei giudici costituzionali<br />

e dei membri del Consiglio superiore della Magistratura (citati artt e<br />

leggi 1953 e 1958). Qualcosa più della metà dei voti costituisce la<br />

maggioranza normale per le deliberazioni della Camera e del Senato.<br />

Tale maggioranza inoltre è specificamente richiesta per la elezione del<br />

Presidente della Camera al primo scrutinio, computandosi però le schede<br />

bianche nel numero dei voti (art. 4, secondo comma, Reg.; analogamente<br />

al Senato: cfr. art. 3).<br />

Frazioni inferiori alla metà, o minoritarie, sono ammissibili per<br />

le votazioni elettive, nelle quali può avvenire che la somma dei voti riportati<br />

da un candidato sia inferiore al cinquanta più uno per cento<br />

dei votanti, e tuttavia superiore ai voti riportati da ciascun altro candidato:<br />

si determina in tal caso una maggioranza che si suole chiamare<br />

« relativa », alla quale può, senza inconvenienti né pratici né logici,<br />

riconnettersi effetto elettivo.<br />

Quanto mai variabile e personale è, peraltro, la terminologia impiegata<br />

sia dal legislatore sia dalla dottrina per designare i vari tipi<br />

di maggioranza. Per lo più si usa parlare di maggioranza « semplice »<br />

con riferimento a quella prevista dall'art. 64 Cost. o a quella costituita<br />

da oltre la metà dei votanti (compresi o meno in questi gli astenuti).<br />

Maggioranze « speciali » sono quindi denominate le rimanenti :<br />

di esse dicesi « assoluta » quella costituita da più della metà dei componenti;<br />

« relativa », come poc'anzi detto, quella calcolata sulla base<br />

di frazioni inferiori ad un mezzo, nei procedimenti elettivi; « qualificate<br />

», infine, si sogliono chiamare le maggioranze determinate per mezzo<br />

di frazioni superiori al mezzo (due terzi, tre quinti, tre quarti) riferite<br />

ai componenti o anche ai votanti (74).<br />

Una distinzione che sembra utile compiere è quella fra le maggioranze<br />

che sono e quelle che non sono « predeterminabili » a seconda<br />

cioè che la cifra della maggioranza stessa possa o meno essere precisata<br />

prima che inizi la votazione. Predeterminabili, pertanto, sono le maggioranze<br />

che assumono come parametro quello dei componenti. L'interesse<br />

della distinzione risiede soprattutto nel fatto che nel caso delle<br />

maggioranze predeterminabili non si pone il problema delle astensioni,<br />

che nel numero dei componenti risultano già naturalmente ricomprese.<br />

(74) Cfr. P. BISCARETTI DI RUFFIA, Diritto costituzionale, Napoli 1965, 7« ed.,<br />

pag. 351. Nomenclatura diversa adotta C. MUSCARX. op. cit.. voce «Maggioranza»,<br />

pag. 415 e segg.


600 La votazione<br />

Come emerge da quanto già detto, la maggioranza può definirsi<br />

come il numero minimo di voti favorevoli alla proposta in votazione,<br />

stabilito dall'ordinamento affinché la proposta stessa possa ritenersi approvata<br />

dal collegio. Ove i voti favorevoli non raggiungano quel minimo<br />

l'effetto della votazione è reiettivo. Ciò mostra come vi sia una<br />

differenza nel modo di operare della maggioranza rispetto ai due risultati<br />

della approvazione e della reiezione. L'approvazione è condizionata<br />

dal costituirsi di una maggioranza favorevole, ma la reiezione<br />

non è condizionata, come si potrebbe supporre, dal costituirsi di una<br />

maggioranza contraria: il rigetto risulta dal semplice mancare di una<br />

pars maior positiva, e non richiede necessariamente una pars<br />

maior che si opponga. Il che è manifesto nel caso delle maggioranze<br />

cosiddette qualificate, ma è vero anche nel caso delle maggioranze calcolate<br />

con la percentuale del cinquanta più uno per cento. Qualora,<br />

infatti, si verifichi parità di voti il risultato è sempre reiettivo, se si<br />

eccettua l'ipotesi della deliberazione sulle conclusioni della Giùnta delle<br />

elezioni (art. 22, secondo comma, Reg.; cfr. anche art. 11, secondo<br />

comma, Reg. interno della Giunta delle elezioni). Questo implica che<br />

unica e non duplice è la fattispecie legale dalla quale dipende il prodursi<br />

degli effetti alternativi - approvazione o rigetto - del voto, e<br />

cioè che tali effetti sono collegati non già al verificarsi di una condizione<br />

(maggioranza favorevole) o di un'altra e diversa condizione (maggioranza<br />

contraria), ma al verificarsi o al non verificarsi di una sola<br />

condizione (costituita appunto dalla maggioranza favorevole).<br />

Gli effetti connessi alla fattispecie non si producono però automaticamente:<br />

occorre a tale fine quel particolare atto pubblico e dichiarativo<br />

del Presidente che è la proclamazione. Se non sussistono<br />

cause di nullità della votazione, la proclamazione è atto dovuto (75).<br />

Prima di procedervi il Presidente può dare notizia all'assemblea, ove<br />

lo creda opportuno, delle eventuali irregolarità o degli eventuali aspetti<br />

atipici della votazione, delle questioni sorte nel corso dello scrutinio<br />

e dei criteri che hanno informato le relative decisioni. Tali comunicazioni<br />

presidenziali tuttavia non autorizzano, di per se stesse, una discussione<br />

incidentale (v. sopra, § 1 sub C).<br />

Il contenuto dichiarativo della proclamazione varia a seconda che<br />

si riferisca al risultato di una votazione sommaria o a quello di una<br />

votazione distinta. Nel primo caso nessuna indicazione di dati nu-<br />

(75) G. FERRARA, // presidente di assemblea parlamentare, Milano 1965, pagina<br />

163 e segg.


La votazione 601<br />

menci è contenuta nella proclamazione, che si limita alla formula di<br />

rito « la Camera approva » o « la Camera respinge ». Nel secondo<br />

caso, questa formula è preceduta dalla comunicazione delle cifre rilevate<br />

attraverso lo scrutinio (presenti, votanti, astenuti, schede bianche,<br />

maggioranza prescritta, voti favorevoli, voti contrari). La funzione delle<br />

due parti della dichiarazione è evidentemente diversa. La parte che<br />

enuncia il risultato numerico della votazione ha funzione certificativa;<br />

la parte invece che enuncia il risultato dell'approvazione o della reiezione<br />

collegiale ha funzione imputativa.<br />

Più in generale è da distinguere il valore della proclamazione nei<br />

confronti dell'atto di votazione e nei confronti degli effetti giuridici tipici<br />

dell'atto stesso. Si è sostenuto in dottrina che la proclamazione<br />

sarebbe costitutiva (richiesta ad substantiam per la validità) dell'atto<br />

collegiale (76). Da altri essa è stata invece assimilata alla promulgazione,<br />

che è elemento integrativo della sola efficacia (77). In realtà,<br />

appare difficile ritenere che la votazione acquisti esistenza giuridica e<br />

validità soltanto per mezzo della proclamazione: al contrario, si direbbe<br />

che l'esistenza e la validità dell'atto sono il necessario presupposto<br />

della proclamazione stessa come atto dovuto. Non si riuscirebbe<br />

neppure a qualificare come obbligatorio l'atto proclamativo senza porre<br />

la condizione che ci sia stata una votazione e che essa sia stata valida:<br />

soltanto sulla base di tale premessa il Presidente è tenuto a proclamare<br />

e può farlo. Vero è solo che ove la proclamazione non intervenga nei<br />

tempi e nei modi conformi al principio della ininterruttibilità del procedimento<br />

(per es., in pratica, ove la seduta venga tolta senza che alla<br />

proclamazione si sia fatto luogo) la votazione già compiuta - attese<br />

quelle esigenze di certezza cui si è sopra accennato (§ 1) - si caduca,<br />

« diventa » invalida, e cioè si verifica una ipotesi di invalidità « sopravvenuta<br />

» dell'atto (78).<br />

Costitutiva, o perfettiva, è invece la natura della proclamazione<br />

nei confronti dell'effetto tipico della votazione. La formula con la<br />

quale il Presidente annuncia che la Camera ha approvato o respinto<br />

la proposta oggetto (o ha eletto le persone da investire al pubblico ufficio)<br />

non esprime un giudizio di conoscenza né assolve ad una fun-<br />

(76) Cosi L. GALATEMA, Gli organi, cit., voi. II, pag. 143.<br />

(77) Cfr. A. NIORO. op. cit., pag. 1001, nota 18, e letteratura citata.<br />

(78) F. SANTORO-PASSARELU, op. cit., pag. 226 e segg. Con la interruzione<br />

della seduta vengono meno le condizioni di pubblicità che circondano l'atto in attesa<br />

della proclamazione; tali condizioni non possono non considerarsi essenziali alla validità<br />

dell'atto stesso, in quanto connesse con l'esigenza di certezza di cui si è parlato<br />

nei § § 1, sub C, e 3 sub B.


602 La votazione<br />

zione di accertamento, dal momento che prima della dichiarazione presidenziale<br />

e fino a che questa non sia stata ritualmente compiuta, nessun<br />

evento esiste, né nella realtà naturale né in quella giurìdica, configurabile<br />

come decisione approvativa o reiettiva (oppure come scelta<br />

elettiva) dell'organo collegiale. Ciò che alla enunciazione della formula<br />

preesiste è solo il fatto della avvenuta o mancata formazione di una<br />

maggioranza di voti favorevoli alla proposta (o al candidato), ossia<br />

la fattispecie legalmente prevista per la produzione degli effetti, i quali<br />

pertanto in virtù dell'atto di proclamazione si costituiscono.<br />

Con la proclamazione il procedimento di votazione si conclude.<br />

Il risultato, una volta proclamato, è irretrattabile. Si ammette, peraltro,<br />

che in circostanze eccezionali al Presidente si « segnalino B i fatti che<br />

potrebbero invalidare una votazione (per es., l'equivoco nel quale sia<br />

caduta l'assemblea circa l'oggetto e i termini esatti della votazione stessa),<br />

ma senza provocare alcun voto collegiale, spettando esclusivamente al<br />

Presidente ogni decisione sul reclamo (79). Un solo caso vi è in cui una<br />

deliberazione collegiale già presa può venire invalidata successivamente<br />

per mezzo di un voto dell'assemblea, ed è quello dell'eventuale coordinamento<br />

di cui all'art. 91 Reg.<br />

5. - Come sopra accennato (§ 1), dal procedimento di votazione<br />

deliberativa, avente per oggetto la decisione (approvazione o reiezione)<br />

di un provvedimento della più varia natura, va distinto un procedimento<br />

di votazione elettiva, avente per oggetto la scelta fra più persone,<br />

al fine della costituzione di un organo. La distinzione è in corrispondenza<br />

con quella che la dottrina ha ben tracciato fra deliberazione<br />

ed elezione.<br />

È stato osservato che gli stessi testi normativi non usano, generalmente,<br />

il termine deliberazione per ricomprendervi anche il procedimento<br />

elettivo; talvolta anzi essi contrappongono nettamente le due fattispecie<br />

dettandone discipline diverse. Più intrinseche differenze sono<br />

rilevabili dall'analisi strutturale dei due procedimenti.<br />

Diversità si riscontrano anzitutto nei « presupposti ». La proposta<br />

e la discussione (o esame) rappresentano - abbiamo visto (sopra, § 1,<br />

sub A) - i presupposti del procedimento di votazione deliberativa. Essi<br />

mancano normalmente nel procedimento di votazione elettiva.<br />

La proposta è caratterizzata dal fatto che essa comporta una alternativa<br />

puramente binaria della decisione; per questo motivo, prima<br />

(79) U. GALEOTTI, Prìncipi, cit., pagg. 241-2.


La votazione 603<br />

della votazione deliberativa operano particolari meccanismi (scelta del<br />

testo base, ordine delle votazioni) diretti alla individuazione di una<br />

sola proposta fra le tante su cui indire la votazione (unicità dell'oggetto<br />

del voto: cfr. sopra, § 3), la quale perciò avrà un contenuto condizionato<br />

dalla proposta stessa, consistente appunto nella decisione fra due,<br />

e due sole, soluzioni prestabilite (approvazione o rigetto). La proposta<br />

manca, invece, di regola nei procedimenti elettivi, con la conseguenza<br />

che la votazione non avrà un contenuto rigidamente predeterminato.<br />

Può accadere, tuttavia, che oggetto della votazione sia una lista di candidati.<br />

Ciò si verifica, ad es., nel caso della Commissione inquirente<br />

per i giudizi di accusa, alla cui costituzione la Camera partecipa eleggendo<br />

all'inizio di ogni legislatura dieci deputati: l'art. 2 del Regolamento<br />

per i procedimenti d'accusa stabilisce che il Presidente della<br />

Camera, intesi i Presidenti dei gruppi parlamentari e il Presidente del<br />

Senato, determina la ripartizione dei dieci seggi tra i vari gruppi e<br />

forma la lista dei candidati che sottopone al voto dell'assemblea. La<br />

Camera può solo approvare o respingere la lista. Con analogo procedimento<br />

il Senato elegge dieci senatori. In dottrina si è distinto fra elezione<br />

e nomina, ravvisandosi quest'ultima figura in tutti i casi in cui<br />

la scelta tra le persone da investire ad un pubblico ufficio avviene con<br />

il sistema di una proposta, contenente uno o più nomi, sulla quale si<br />

voti, per modo che la votazione acquista carattere deliberativo (80).<br />

Alla stregua di questo criterio il procedimento di costituzione della<br />

Commissione inquirente non rappresenterebbe una elezione ma una nomina<br />

e pertanto una deliberazione.<br />

Nei procedimenti elettivi, non essendo il contenuto del voto predeterminato,<br />

si rivela superflua, e anzi nel silenzio della norma vietata,<br />

la discussione, la quale è diretta fondamentalmente alla valutazione<br />

della proposta, alla chiarificazione e alla eventuale modificazione<br />

del suo contenuto. (Si noti che, sia o non sia una proposta in senso<br />

tecnico la lista delle candidature per la Commissione inquirente, neppure<br />

in questo caso è ipotizzabile una discussione di merito, se non<br />

altro perché la formazione della lista è di esclusiva competenza del<br />

Presidente ed è pertanto sottratta alla Camera ogni valutazione dialettica<br />

dei criteri della sua compilazione).<br />

Scarti rilevanti sussistono anche tra le « fasi » dei due tipi di procedimento,<br />

deliberativo ed elettivo. Quelli che sono i momenti tipici della<br />

fase preliminare della votazione deliberativa - la scelta dell'ordine delle<br />

(80) G. GUARINO, op. cit., pag. 91.


604 La votazione<br />

votazioni, la determinazione della forma di voto, la verifica del numero<br />

legale e le dichiarazioni di voto - non si riscontrano nelle votazioni<br />

elettive. Non c'è da stabilire alcun ordine di votazioni, perché è appunto<br />

caratteristico del procedimento elettivo che la scelta fra più oggetti<br />

(persone) si realizzi con un unico atto, onde nessun problema di<br />

seriazione può sorgere. Né è dato scegliere la forma del voto, unica<br />

esperibile essendo quella segreta a mezzo di schede, secondo le modalità<br />

specificate dalla legge. Inoltre, in quanto si tratta di forma non<br />

sommaria, la verifica del numero legale non è mai preliminare; e in<br />

quanto si tratta di forma non palese, inammissibili devono considerarsi<br />

le dichiarazioni di voto (le quali, del resto, presupporrebbero una proposta<br />

ed un contenuto predeterminato della votazione).<br />

Dubbi, viceversa, possono prospettarsi in ordine alla ammissibilità<br />

di quei subprocedimenti cui potrebbero dar luogo questioni incidentali<br />

o procedurali relative alla votazione stessa. Il fenomeno non è<br />

certo sconosciuto al nostro Parlamento, essendosi ripetuto anzi con frequenza<br />

in occasione, ad esempio, della elezione dei rappresentanti italiani<br />

agli organismi europei (81). In tali occasioni sono state presentate<br />

persino delle pregiudiziali e sono state approvate delle sospensive; molteplici<br />

poi sono stati i dibattiti incidentati (per es. sull'ammissibilità del<br />

rifiuto dell'elezione da parte dell'eletto) e i richiami al Regolamento<br />

(circa l'applicabilità dell'art. 9 del Regolamento stesso). Atti di natura<br />

incidentale sono stati compiuti anche in procedimenti elettivi svoltisi<br />

nell'ambito del Parlamento in seduta comune, ma va ricordato che il<br />

Presidente, riservando a se stesso la competenza di decidere in materia<br />

procedurale, più volte ebbe ad avvertire che nessuna discussione può<br />

ammettersi in tale sede (82). Va sottolineato anche che ciò trova conferma<br />

nella più recente dottrina, che esclude per ragioni sistematiche<br />

qualunque dibattito in seno al Parlamento riunito a fini elettivi, verta<br />

in ipotesi tale dibattito sulla necessità di svolgere l'attività per la quale<br />

il Parlamento è stato convocato, o sulle modalità delle eleziom, ovvero<br />

sulle qualità dei candidati (83).<br />

La forma del voto - si è accennato - è quella segreta per schede.<br />

La segretezza del voto elettivo, e più in generale del voto che concerne<br />

persone, è principio comune alla maggioranza degli ordinamenti.<br />

Nel Regolamento del Senato tale principio è espressamente sancito dal-<br />

(81) V. oltre, note 88, 89, 92, 93, nelle quali peraltro sono citati solo alcuni<br />

dei casi verificatisi.<br />

(82) Cfr., per es., le sedute comuni del 29 luglio 1954 e del 2 maggio 1962.<br />

(83) G. FERRARA, op. cit., pag. 291 e segg.


La votazione 605<br />

l'art 76. Il voto per schede è una forma di votazione distinta: le<br />

forme sommarie hanno, evidentemente, il loro necessario presupposto<br />

nel carattere di alternativa della decisione, e perciò nell'esistenza di una<br />

proposta in senso tecnico. Al voto per scheda ciascun membro del collegio<br />

procede deponendo nell'urna la scheda sulla quale ha scrìtto<br />

il nome o i nomi dei candidati da lui prescelti, in numero pari a quello<br />

degli eligendi, oppure - ove la norma lo richieda, allo scopo di consentire<br />

la rappresentanza delle minoranze (cosiddetto « voto limitato »,<br />

cfr. per es., l'art. 9 Reg.) - in numero inferiore al (per es. ai due terzi del)<br />

totale delle persone da eleggere.<br />

La stessa determinazione del quorum di elezione segue criteri diversi<br />

da quelli che regolano la semplice alternativa dell'approvazione<br />

o del rigetto, differente essendo la tecnica di scelta, che ammette, come<br />

osservammo (§ 4), anche criteri numerici minoritari. L'art. 64 Cost, per<br />

tali ragioni, e per il riferimento testuale in esso contenuto alla sola<br />

materia delle deliberazioni, è stato considerato inapplicabile ai procedimenti<br />

elettivi (84), e certamente nei confronti di questi non può detenere<br />

alcun valore tassativo.<br />

Aspetti particolari assume anche il problema delle astensioni. Si<br />

è ritenuto che il membro del collegio può astenersi dalla elezione in<br />

quattro forme, e cioè non ritirando la scheda, non deponendola nella<br />

urna, depònendovela in bianco o dichiarando apertamente la propria<br />

astensione (85). Altri distingue fra astensione vera e propria e scheda<br />

bianca, la quale ultima rappresenterebbe viceversa un modo di esercitare<br />

il diritto di voto (86). Dubbi questi che confermano la estrema la*<br />

bilità dei concetti di voto e di astensione astrattamente considerati. Per<br />

quanto riguarda il computo, in alcuni casi la speciale maggioranza richiesta<br />

evita che si ponga la questione (maggioranze predeterminabili:<br />

sopra § 4): così per l'elezione del Presidente della Repubblica e per<br />

i primi due scrutìni relativi alla elezione, da parte delle Camere riunite,<br />

di giudici costituzionali e di membri del Consiglio superiore della<br />

Magistratura, la maggioranza prescritta va determinata sulla base dei<br />

componenti il collegio, nel cui numero gli astenuti, le schede bianche,<br />

ecc., sono automaticamente calcolate. Neppure sorge questione circa il<br />

primo scrutinio per la elezione del Presidente della Camera, prescrivendo<br />

al riguardo l'art. 4 Reg. la maggioranza dei voti, fra i quali esplicitamente<br />

(84) G. GUARINO, op. cit., pag. 95 e segg.<br />

(85) F. COSENTINO. Astensione, cit., pag. 90.<br />

(86) L. GALATERIA, Gli organi, cit., pagg. 134-5.


606 La votazione<br />

comprende le schede bianche. Incertezze, peraltro, si sono avute negli altri<br />

casi. Le schede bianche sono state computate - ma non del tutto pacificamente<br />

(87) - ai fini della determinazione della maggioranza per la elezione<br />

dei rappresentanti italiani alla C.E.E. e alla C.E.C.A., nonché, dopo il secondo<br />

scrutinio, per la elezione di membri del Consiglio superiore della<br />

Magistratura (ciò che può significare ambiguamente due cose: o che la<br />

scheda bianca rappresenta una forma di astensione, e come ogni forma<br />

di astensione nei procedimenti elettivi - diversamente che nei procedimenti<br />

deliberativi della Camera - va computata nella cifra di maggioranza;<br />

ovvero che le astensioni non entrano nel computo della maggioranza,<br />

sì invece le schede bianche perché non sono da qualificare<br />

come astensioni).<br />

Un'altra caratteristica differenziale delle votazioni elettive rispetto a<br />

quelle deliberative è individuabile negli effetti del mancato raggiungimento<br />

della maggioranza prescritta. Nel caso delle deliberazioni, se la<br />

proposta oggetto non è suffragata dalla maggioranza dei voti favorevoli,<br />

l'esito del voto, benché negativo, costituisce pur sempre una pronuncia<br />

dell'assemblea, nell'ipotesi una decisione di rigetto del provvedimento<br />

proposto. Qualora invece si pervenga ad un risultato negativo<br />

in una elezione, per non essersi raggiunto da nessuno dei candidati<br />

il quorum di voti stabilito, nessuna decisione sarà stata adottata dall'assemblea.<br />

La funzione del procedimento, quindi, si sarà realizzata<br />

nel primo caso ma non nel secondo, e perciò mentre nel primo caso -<br />

sussistendo il numero legale e non verificandosi irregolarità nella votazione<br />

- il procedimento risulta esaurito e chiuso, aperto esso rimane<br />

viceversa nella seconda ipotesi. Segue da ciò che nelle votazioni elettive,<br />

ove non si formi la maggioranza prescritta: a) il collegio resta<br />

obbligato ad effettuare una nuova votazione (sia pure, come di fatto<br />

è accaduto, in una diversa seduta), b) la nuova votazione fa parte dello<br />

stesso procedimento della prima e non può svolgersi perciò che con<br />

(87) Clamori sorsero nella seduta del 17 novembre 19SS quando, effettuata<br />

la votazione per l'elezione di nove rappresentanti alla C.E.C.A., il Presidente, Vicepresidente<br />

Macrelli, si accinse a proclamare il risultato elettivo non computando le<br />

schede bianche ai fini della determinazione della maggioranza. Il Presidente dispose<br />

il rinnovo della votazione. Questa ebbe luogo il giorno successivo, dopo una discussione<br />

sui criteri di computo delle schede bianche, che il Presidente incluse poi nel<br />

numero dei votanti (V. Atti parlamentari. Camera dei deputati, II legisl., sedute del<br />

17 e del 18 ottobre 1955, pagg. 22131 e 22147 e segg.). In tal senso si è stabilita<br />

la prassi.


La votazione 607<br />

le stesse modalità di questa, ferme restando le eventuali decisioni prelirninari<br />

adottate (88).<br />

Come già accennato (sopra, § 1), i procedimenti di votazione elettiva<br />

si possono distinguere a seconda che siano diretti alla costituzione<br />

personale di organi (od uffici) interni ovvero di organi (o uffici) esterni<br />

all'organo che procede alla votazione, e ancora, per quanto qui interessa,<br />

a seconda che il collegio votante sia costituito dalla sola Camera<br />

oppure dal Parlamento riunito in seduta comune. Si è già osservato<br />

anche che la classificazione non è priva di rilievo, agli stessi fini procedurali.<br />

Le modalità della votazione elettiva possono invero variare<br />

in dipendenza sia della natura interna od esterna dell'organo di cui la<br />

Camera elegge i componenti, sia della natura del collegio votante (Camera<br />

o Parlamento in seduta comune) che provvede alla elezione.<br />

Quando la Camera elegge i componenti dei suoi organi o i titolari<br />

dei suoi uffici interni, siamo dinanzi all'esercizio di quei poteri di autoorganizzazione<br />

(maggiori di quelli che pure competono ad altri organismi<br />

di diritto pubblico) nei quali si esprime, prima che in altri istituti,<br />

il noto principio di indipendenza delle assemblee legislative. Gli<br />

unici limiti che la Camera incontra nell'esercizio di questo potere non<br />

possono quindi discendere che dalla Costituzione, che all'art 63, primo<br />

comma, stabilisce dover ciascun ramo del Parlamento eleggere fra i<br />

suoi componenti il Presidente e l'Ufficio di Presidenza, e dal Regolamento,<br />

che per tali elezioni prevede più dettagliata procedura negli<br />

artt. 4, 5 (che richiama l'art. 9) e 6. Ove, invece, l'organo sia esterno<br />

alla Camera, la procedura di elezione non è più collegata con un fine<br />

di indipendenza autoorganizzativa e può trovare limiti nella legge che<br />

istituisce l'organo costituendo, nonché nella natura e nei compiti di questo.<br />

Valore di disposizione non tassativa detiene pertanto l'art 9 Reg.,<br />

che disciplina le modalità di elezione dei Commissari previsti dalla<br />

Costituzione o da leggi speciali (ciascun deputato scrive sulla scheda i<br />

nomi di due terzi del numero dei componenti la Commissione; eletti<br />

sono i deputati che a primo scrutinio ottengono maggior numero di<br />

voti, purché raggiungano l'ottavo dei votanti; per quelli che non lo<br />

abbiano raggiunto si procede al ballottaggio; analoga è la procedura<br />

per le elezioni suppletive). Ipotesi invece diversa è quella in cui la Camera,<br />

insieme al Senato (e, nei casi prescritti, insieme ai rappresentanti<br />

dei Consigli regionali) integri l'organo del Parlamento riunito in seduta<br />

comune per la elezione del Presidente della Repubblica, di giudici co-<br />

(88) Cfr. le dichiarazioni del Presidente Leone nella seduta del 18 aprile 1956<br />

{Atti parlamentari, Camera dei deputati, II legisl.. sed. del 18 aprile 1956, pagg. 25152-3).


608 La votazione<br />

stituzionali, ordinari ed aggiunti, e di membri del Consiglio superiore<br />

della Magistratura. Caratteristiche procedurali della votazione derivano<br />

qui anche dalla struttura e dalla natura del collegio votante. Il Presidente<br />

e l'ufficio di Presidenza sono quelli della Camera dei deputati<br />

(art 63, secondo comma, Cost). Della Camera si adotta anche il Regolamento,<br />

per quanto applicabile (art 15, ultimo comma, Reg. Camera).<br />

Una maggiore incidenza procedurale ha la natura del Parlamento<br />

in seduta comune, collegio non perfetto. Da ciò, si è visto, discende la<br />

inammissibilità di discussioni anche di natura procedurale nel corso<br />

dei procedimenti elettivi. Se dibattiti sono stati consentiti in occasione<br />

di elezioni alle quali la Camera procedeva separatamente, essi non possono<br />

in alcun modo ritenersi ammessi nell'ambito del Parlamento riunito<br />

in seduta comune, che - come è stato rilevato - non è competente<br />

della sua competenza, spettando in via esclusiva ad un soggetto distinto<br />

dal collegio stesso (e precisamente al Presidente della Camera) ogni<br />

potere di disposizione, e perciò anche di controllo, relativo sia al contenuto<br />

sia all'oggetto dell'attività che il Parlamento è chiamato a svolgere<br />

(89).<br />

Esamineremo, ora, brevemente nelle loro specifiche modalità alcuni<br />

tra i più importanti procedimenti elettivi delle tre categorie generali<br />

illustrate.<br />

A) Per ciò che riguarda l'elezione agli uffici interni alla stessa<br />

Camera, dispongono, come si è detto, gli artt 4, 5 e 6 Reg., relativi<br />

al Presidente della Camera e all'Ufficio di Presidenza, costituito da<br />

quattro Vicepresidenti, da tre Questori e da otto Segretari.<br />

Le elezioni del Presidente della Camera ha luogo nella prima riunione<br />

dell'assemblea all'inizio di ogni legislatura, costituitosi l'Ufficio<br />

di Presidenza provvisorio. L'art. 4 Reg. prescrive che al primo scrutinio<br />

si effettui la votazione a maggioranza assoluta dei votanti, computando<br />

fra i votanti anche le schede bianche. Qualora nessuno abbia riportato<br />

la maggioranza richiesta, la Camera deve procedere, nello stesso giorno<br />

o in quello successivo, ad una nuova elezione libera. Dopo questa, e<br />

nel giorno stesso, si procede eventualmente al ballottaggio tra i due<br />

candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. È proclamato<br />

eletto il candidato che nel ballottaggio consegue la maggioranza (relativa).<br />

La votazione avviene mediante scrutinio segreto per schede, e lo<br />

spoglio delle schede, ai sensi dell'art. 6 Reg., è fatto in seduta pubblica.<br />

Per l'elezione dei Vicepresidenti, dei Segretari e dei Questori si<br />

procede col sistema del voto limitato. Ciascun deputato scrive nella<br />

(89) G. FERRARA, op. cit., pag. 296.


La votazione 609<br />

scheda due nomi per i Vicepresidenti, due nomi per i Questori e quattro<br />

per i Segretari (artt. 5, primo e terzo comma, e 9, secondo comma,<br />

Reg.). Sono eletti coloro che a primo scrutinio hanno ottenuto maggior<br />

numero di voti (art. 5, secondo comma, Reg.). Lo spoglio delle<br />

schede viene effettuato da dodici scrutatori estratti a sorte: la presenza<br />

di sette di essi è necessaria per la validità delle operazioni di scrutinio<br />

(art. 6 Reg.). Il Regolamento tace delle elezioni suppletive dell'Ufficio<br />

di Presidenza. La dottrina ha distinto, a seconda che si tratti<br />

di sostituzioni singole o di sostituzioni multiple; nel primo caso, ciascun<br />

deputato scrive un solo nome sulla scheda, e risulta eletto quel<br />

candidato che ha conseguito maggior numero di suffragi; nel secondo<br />

caso, si è ulteriormente distinto: trattandosi di sostituire due Vicepresidenti<br />

o due Segretari, l'art. 5 troverebbe ancora in pieno la sua<br />

applicazione letterale; trattandosi invece di sostituire più di due Vicepresidenti<br />

o Segretari, o due Questori, ogni deputato dovrebbe votare<br />

soltanto un nome, al fine di rispettare il diritto delle minoranze (90).<br />

In tutti i procedimenti elettivi interni della Camera, come è palese,<br />

nessuna applicazione trova l'art. 64, terzo comma, Cosi<br />

B) Fra le elezioni di persone per cariche esterne alla Camera, si<br />

ricorderanno qui le votazioni per la rappresentanza italiana in seno all'Assemblea<br />

unica della C.E.E., dell'* Euratom » e della C.E.C.A. I<br />

delegati italiani all'Assemblea sono eletti in numero di 18 dalla Camera<br />

dei deputati e in pari numero dal Senato. Per la procedura dell'elezione<br />

i trattati istitutivi non contengono alcuna specifica disciplina;<br />

la scelta del sistema è anzi rimessa agli Stati membri. Le nostre Camere<br />

procedono all'elezione per scheda segreta, sulla quale ciascun deputato<br />

può scrivere i nomi di diciotto candidati; la maggioranza richiesta<br />

è quella assoluta. Tale procedura deroga a quella del citato<br />

art. 9 Reg. Camera (cfr. anche l'art. 8 Reg. Senato), che sancisce il<br />

sistema del voto limitato per la elezione dei Commissari previsti dalla<br />

Costituzione e da leggi speciali. La deroga suscitò vivaci polemiche<br />

sin dalla sua prima attuazione. Il 17 luglio 19S2 il Governo chiese<br />

alla Camera « di eleggere dal suo seno, a maggioranza assoluta, i nove<br />

rappresentanti di sua spettanza all'Assemblea della Comunità europea<br />

del carbone e dell'acciaio » (oggi assorbita nell'Assemblea unica). Nella<br />

seduta successiva, iscritta l'elezione all'ordine del giorno, si svolse una<br />

discussione incidentale, che si concluse con l'approvazione da parte<br />

della Camera del sistema di elezione proposto dal Governo (analogo<br />

22.<br />

(90) Così R. ASTRALDI-F. COSBNTINO, op. cit., pag. 90.


610 La votazione<br />

dibattito si svolse al Senato nello stesso giorno) (91). Un richiamo al<br />

Regolamento per l'applicazione dell'art. 9 fu sollevato e respinto successivamente,<br />

nella seduta del 4 maggio 1954(92). Da allora, con prassi<br />

costante, la Camera ha mantenuto, nella elezione dei delegati in tutti<br />

gli organismi europei, il criterio del voto a maggioranza assoluta: tuttavia,<br />

proprio in questo primo scorcio della V Legislatura, sono in corso<br />

studi e accordi per consentire, eventualmente attraverso un voto limitato,<br />

la partecipazione delle minoranze alla delegazione al Parlamento europeo,<br />

anche in attesa che questa possa essere nominata direttamente dal suffragio<br />

popolare.<br />

O II Parlamento in seduta comune elegge il Presidente della Repubblica,<br />

cinque dei membri ordinari e i sedici giudici aggregati della<br />

Corte costituzionale, nonché sette dei componenti il Consiglio superiore<br />

della Magistratura.<br />

Alla elezione del Presidente della Repubblica il Parlamento procede<br />

con la integrazione dei delegati regionali. I delegati eletti dai<br />

Consigli regionali sono tre per ogni Regione, tranne che per la Val<br />

d'Aosta, che invia un solo rappresentante (art. 83, secondo comma,<br />

Cost). Non essendosi, fino ad oggi, costituiti tutti i Consigli regionali,<br />

la partecipazione dei delegati delle Regioni non ha potuto attuarsi<br />

completamente. Per le elezioni presidenziali del 19SS, del 1962 e del<br />

1964 sono stati convocati i delegati delle quattro Regioni a statuto<br />

speciale. Ciò è stato da più parti ritenuto lesivo dell'eguaglianza di tutte<br />

le Regioni fra loro, e contrastante con la seconda delle disposizioni<br />

transitorie e finali della Costituzione stessa, in cui si stabilisce che « se<br />

alla data della elezione del Presidente della Repubblica non sono costituiti<br />

tutti i Consigli regionali, partecipano alla elezione soltanto i<br />

componenti delle due Camere » (93). Va ricordato che, mentre nella<br />

(91) Atti parlamentari, Camera dei deputati, I legislatura, seduta del 18 luglio<br />

19S2, pagg. 40319-25. Si noti che una protesta già vi fu nella seduta del 26 luglio<br />

1949, in occasione della elezione della rappresentanza italiana all'Assemblea consultiva<br />

del Consiglio d'Europa (v. Atti, cit., pag. 10958).<br />

(92) Atti parlamentari, Camera dei deputati, II legislatura, seduta del 5 maggio<br />

1954, pagg. 7699-7704 (v. pure nelle pagg. 7687-99 altre questioni incidentali). Analogo<br />

richiamo al regolamento fu sollevato, e respinto, nella seduta del 21 dicembre 1956 (Atti<br />

cit., pagg. 29992-5).<br />

(93) V. G. CONTINI, Osservazioni sulla partecipazione dei deputati regionali all'elezione<br />

del Presidente della Repubblica, in « Rassegna di dir. pubbl. », 1956, I,<br />

pag. 278 e segg. ; C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1958, 4» ed.,<br />

pag. 372; G. LUCATELLO. La partecipazione dei delegati delle Regioni alle elezioni presidenziali,<br />

in «Archivio Giuridico» 1962, I-U, pag. 28 e segg. V. anche C. MUSCARA,<br />

op. cit., voce « Delegati regionali, ecc. », pagg. 190-2 (che, in parte, anticipa la tesi<br />

della Presidenza, su cui appresso) e N. VALENTINO, L'elezione di Segni, Milano 1963,<br />

pagg. 37-53 (dello stesso A., La battaglia per il Quirinale, Milano 1965, pagg. 221-3).


La votazione 611<br />

seduta comune del 1955 nessuna osservazione fu in proposito avanzata<br />

dai membri del Parlamento né alcuna dichiarazione fu compiuta dal<br />

Presidente dell'assemblea, dissensi si sono manifestati invece in occasione<br />

della elezione del 1962. All'annunzio alla Camera della convocazione<br />

del Parlamento, il 10 aprile 1962, il deputato Roberti, pur dichiarando<br />

di non voler sollevare una discussione, tenne a ribadire la<br />

posizione del suo gruppo - già comunicata con lettera al Presidente<br />

della Camera - contraria alla partecipazione dei delegati regionali all'elezione<br />

del Presidente della Repubblica (94). Il 2 maggio 1962, prima<br />

di indire la votazione elettiva, il Presidente Leone comunicava all'assemblea<br />

il quesito sollevato dal deputato Roberti e dal senatore Franza,<br />

con lettera del 20 marzo, circa la legittimità della partecipazione alla<br />

seduta dei delegati delle Regioni a statuto speciale; e respingeva l'eccezione<br />

stessa richiamando il precedende della elezione del 1955 e affermando<br />

doversi la seconda delle disposizioni transitorie della Costistituzione<br />

riferire al solo caso della prima elezione presidenziale, avvenuta<br />

nel 1948, ciò che si evince sia dalla collocazione della norma<br />

sia dalla sua originaria formulazione (che alla prima elezione faceva<br />

esplicito riferimento) mutata poi per ragioni formali in sede di coordinamento.<br />

In questa stessa occasione il Presidente enunciò anche il<br />

principio, già ricordato, della inammissibilità di subprocedimenti incidentali<br />

di votazione nell'ambito del Parlamento riunito come « seggio<br />

elettorale! (95).<br />

Il quorum di maggioranza richiesto è dei due terzi dell'assemblea<br />

per i primi tre scrutini, e della maggioranza assoluta per i successivi.<br />

Allo scrutinio provvede personalmente il Presidente dell'assemblea, che<br />

legge le schede via via che le estrae dall'urna (la conta, peraltro, viene<br />

effettuata dai Segretari dell'Ufficio di Presidenza della Camera). Ove<br />

la maggioranza prescrìtta non sia stata raggiunta da nessun candidato,<br />

il Parlamento procede ad un nuovo scrutinio, immediatamente o dopo<br />

un più o meno breve rinvio della seduta (nell'ultima occasione si è<br />

preferito considerare tutti i rinvìi alla stregua di semplice e sospensione »,<br />

per modo che il procedimento elettivo si è svolto in un'unica tornata).<br />

Il Parlamento in seduta comune compila l'elenco dei giudici aggregati<br />

ed elegge cinque (ossia un terzo dei) giudici ordinari della Corte<br />

Costituzionale (art 125 Cost). L'elezione dei giudici ordinari avviene<br />

(94) Atti parlamentari. Camera dei deputati, II legislatura, sed. del 10 aprile<br />

1962, pag. 28870.<br />

(95) V. il Resoconto stenografico della seduta comune del 2 maggio 1962.


612 La votazione<br />

a scrutinio segreto, a maggioranza dei due terzi dei componenti dell'Assemblea<br />

nei primi tre scrutini, e dei tre quinti negli scrutini successivi.<br />

Eletti sono proclamati, ad ogni scrutinio, coloro che hanno riportato la<br />

maggioranza stabilita (art. 2 legge cost. 22 nov. 1967, n. 2). Le schede<br />

bianche, come si è detto, vengono computate come voti. Allo scrutinio<br />

provvede una apposita commissione sorteggiata, costituita da sei deputati<br />

e dai sei senatori, che effettua lo spoglio delle schede in un locale<br />

separato dall'Aula. Nel corso delle operazioni di scrutinio il Presidente<br />

può anche sospendere la seduta (96).<br />

Con le stesse modalità, il Parlamento in seduta comune compila<br />

ogni nove anni un elenco di persone tra le quali sono sorteggiati, in<br />

caso di necessità, i giudici aggregati che devono partecipare ai giudizi<br />

d'accusa contro il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio<br />

dei Ministri ed i Ministri (art. 1 legge cost. 22 novembre 1967, n. 2).<br />

L'elenco è costituito di 45 persone ed è integrato ogni volta che si<br />

riduca a meno di 36 (art. 9-bis Reg.; art. 1 Reg. per i procedimenti<br />

d'accusa: l'art. 9-bis Reg. non è stato ancora coordinato con la suddetta<br />

legge cost. che ha ridotto da 12 a 9 anni il termine per la rinnovazione<br />

dell'elenco).<br />

Procedimento del tutto simile a quello che ha luogo per i giudici<br />

costituzionali è previsto per la elezione dei sette membri (cioè di un<br />

terzo dei componenti non di diritto: art. 104, quarto comma, Cost.) del<br />

Consiglio superiore della Magistratura, di spettanza del Parlamento: la<br />

elezione avviene a scrutinio segreto, la maggioranza richiesta è dei tre<br />

quinti dell'assemblea, e dei tre quinti dei votanti (schede bianche incluse)<br />

per gli scrutini successivi al secondo (art. 22 legge ord. 24 marzo<br />

1958, n. 195). Anche qui la Commissione di scrutinio è sorteggiata, è<br />

costituita da sei deputati e da sei senatori, provvede allo spoglio delle<br />

schede in apposita sala e la seduta può venire sospesa.<br />

Dubbi sono stati manifestati sulla legittimità costituzionale del<br />

quorum stabilito dalla legge 11 marzo 1953, n. 87, per la elezione da<br />

parte del Parlamento dei giudici della Corte (il dubbio va quindi riferito<br />

anche al quorum di cui alla successiva legge 24 marzo 1958,<br />

n. 195, per la elezione dei membri del Consiglio superiore della Magistratura),<br />

ritenuto in contrasto con la norma dell'art. 64, terzo comma,<br />

Cost, che prescrive la semplice maggioranza per le deliberazioni del<br />

(96) V. sopra § 1, nota 9.


La votazione 613<br />

Parlamento (97). Ma il sospetto di incostituzionalità sembra destinato a<br />

cadere di fronte alla considerazione che il citato art 64, come sopra<br />

osservato, non può ritenersi riferito con pari rigore tassativo, stante la<br />

loro diversa tecnica decisionale, ai procedimenti deliberativi - i soli<br />

che l'articolo espressamente menziona - e ai procedimenti elettivi. Inoltre,<br />

l'art 137, secondo comma, Cost, stabilisce una esplicita riserva a<br />

favore della legge ordinaria per tutta la normativa necessaria alla « costituzione<br />

», oltre che al funzionamento della Corte. Né è del tutto<br />

implausibile, infine, la tesi che la maggioranza prescritta dall'art 64,<br />

ove la si voglia riferire anche alle votazioni elettive, rappresenti per<br />

queste un limite inferiore, al di sotto del quale non è concesso scendere,<br />

e non già un limite superiore che sarebbe illegittimo valicare con<br />

maggioranze aggravate, del tipo di quelle previste appunto per le elezioni<br />

dei giudici costituzionali e dei componenti il Consiglio superiore<br />

della Magistratura.<br />

[GAETANO CARCATERRA]<br />

(97) In questo senso S. GALEOTTI, Sull'elezione dei giudici della Corte costituzionale<br />

di competenza del Parlamento, in « Rassegna di dir. pubbl. », 1954, I,<br />

pag. 56 e segg. Alle obiezioni, e particolarmente a quelle contenute in O. GUARINO,<br />

op. cit. (che del rapporto fra deliberazione, nomina ed elezione si era occupato appunto<br />

• a proposito delle modalità di elezione da parte del Parlamento di un terzo dei giudici<br />

della Corte costituzionale»), S. GALEOTTI ha replicato con In tema di deliberazioni del<br />

Parlamento in seduta comune, in e Rassegna di dir. pubbL », 1956, I, pag. 461 e seguenti.


CAPO XII<br />

LA FUNZIONE ISPETTIVA<br />

E <strong>IL</strong> RAPPORTO PARLAMENTO-GOVERNO<br />

di Emilia Trento Baldini


CAPO XII<br />

LA FUNZIONE ISPETTIVA E <strong>IL</strong> RAPPORTO<br />

PARLAMENTO-GOVERNO<br />

SOMMARIO: 1. Generalità. — 2. Le interrogazioni. — 3. Le interpellanze. —<br />

4. Le mozioni. — 5. Le mozioni di fiducia e di sfiducia. — 6. La posizione<br />

della questione di fiducia. — 7. Le inchieste parlamentari.<br />

1. - L'attribuzione al Parlamento della funzione ispettiva risale a<br />

quando l'affermarsi del sistema detto del parlamentarismo, in quanto imputava<br />

all'organo elettivo la supremazia sugli altri organi costituzionali,<br />

sostituì in concreto la teoria della separazione dei poteri, elaborata in<br />

forma scientifica dal Montesquieu, alla quale in via tendenziale e teorica<br />

sembrano voler ispirarsi ancora, sia pure con aggiustamenti, le<br />

Carte costituzionali moderne.<br />

In concreto la funzione ispettiva comprende il potere di conoscere<br />

e giudicare tutto l'operato e l'azione del Governo e presuppone il diritto<br />

di valutare l'indirizzo politico governativo e quindi, in ultima analisi,<br />

di decidere della sopravvivenza o meno di un Governo, in relazione appunto<br />

al giudizio espresso sulla sua azione politica.<br />

La prassi e la dottrina tradizionale hanno elaborato alcuni strumenti<br />

tipici, che trovano la loro normativa nei regolamenti parlamentari,<br />

per l'esercizio del potere di sindacato politico delle Camere sul<br />

Governo. Si tratta, come è noto, dell'interrogazione, dell'interpellanza,<br />

della mozione e dell'inchiesta, che differiscono fra loro notevolmente<br />

per gli effetti procedurali e sostanziali che realizzano, oltre che, in concreto,<br />

per le cause che ad esse danno origine.<br />

L'ambito del presente studio limita la ricerca all'esame dei suddetti<br />

strumenti procedurali, ma può essere consentito, e forse utile ad<br />

una più approfondita conoscenza della portata degli strumenti stessi, un<br />

accenno ai mutati rapporti che la organizzazione dello Stato moderno<br />

presuppone, fra il tradizionale potere legislativo e il tradizionale potere<br />

esecutivo ed il conseguente nuovo ambito del cosiddetto controllo politico<br />

del Parlamento sul Governo.<br />

22*.


618 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

È noto in primo luogo che lo Stato moderno si assume come suo<br />

compito istituzionale il raggiungimento, nell'ambito delle norme e dei<br />

principi fissati dalla Costituzione, di fini sempre più ampi e incidenti<br />

su ogni aspetto della vita del paese, il che si traduce, in concreto, in un<br />

sempre più vasto intervento economico e sociale il quale presuppone<br />

scelte preliminari sulle modalità e sui tipi dell'intervento stesso. In secondo<br />

luogo va rilevato che i tipi di interventi pubblici da un lato, la<br />

sempre più evidente necessità di tecnicizzare e specializzare la legislazione<br />

in relazione alle concrete esigenze dall'altro, comportano un'estensione<br />

dei poteri dell'esecutivo ed un conseguente ridimensionamento dell'ambito<br />

nel quale può esplicarsi la funzione legislativa tradizionalmente<br />

affidata al Parlamento. Da tale situazione deriva l'obiettiva necessità<br />

di un nuovo tipo di rapporti fra il Parlamento, che conserva la natura<br />

di organo fondamentale del sistema, tramite il quale il popolo esercita<br />

concretamente la sua sovranità, e il Governo, al quale spetta in pratica<br />

di porre in atto gli strumenti necessari a realizzare i fini propri dello<br />

Stato moderno.<br />

Nell'ambito dell'ordinamento dello Stato moderno, la dottrina ha da<br />

tempo definito una cosiddetta funzione di indirizzo politico che, aderendo<br />

ad una recente elaborazione, può individuarsi nella funzione intesa<br />

a realizzare sul piano concreto e giuridico le molteplici e diverse finalità<br />

derivanti dalle scelte, operate entro i limiti posti dalle norme costituzionali,<br />

effettuate dalle forze di maggioranza. In concreto, quindi, si<br />

tratta della funzione rivolta ad attuare l'intera attività dello Stato secondo<br />

le direttive dettate da una determinata maggioranza.<br />

All'esercizio di tale funzione così definita partecipano, in particolare<br />

e per quanto qui interessa, sia il Governo, che è anzi l'organo principale<br />

di indirizzo politico, sia il Parlamento, quest'ultimo e mediante<br />

strumenti tipici e mediante la legge formale. Le Camere, infatti, sono<br />

chiamate anzitutto a sancire ed approvare le necessarie scelte preliminari<br />

operate dal Governo in ordine ai tipi dell'intervento pubblico nei<br />

diversi settori della vita del Paese, ed alle modalità concrete dell'intervento<br />

stesso.<br />

Il mezzo primo e caratteristico con il quale il Parlamento partecipa<br />

alla funzione di indirizzo politico è costituito dalla mozione di fiducia<br />

e da quella di sfiducia al Governo. Esamineremo in seguito sotto<br />

il profilo procedurale questi due strumenti tipici di indirizzo politico riservati<br />

al Parlamento: qui ci limitiamo a sottolineare preliminarmente<br />

il carattere particolare di tali tipi di mozione, che non costituiscono modi<br />

di esercizio della funzione ispettiva, come le altre mozioni, che si pos-


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 619<br />

sono dire semplici, ma stanno invece a monte della suddetta funzione<br />

e ne determinano la dimensione e la portata. Con la concessione della<br />

fiducia, infatti, le Camere aderiscono pubblicamente e fanno proprio<br />

l'indirizzo politico di cui è espressione il Governo e contemporaneamente<br />

autorizzano, in concreto, quel Governo stesso, che senza la fiducia non<br />

potrebbe funzionare, a mettere in opera tutti i mezzi e ad attuare tutti<br />

gli interventi necessari alla realizzazione dell'indirizzo medesimo.<br />

Con la votazione della fiducia, quindi, le Camere esercitano direttamente<br />

e collaborano alla funzione di indirizzo politico, ponendo in<br />

essere la premessa che giustifica sul piano teorico l'attribuzione della<br />

funzione ispettiva e ne individua il fondamento giuridico (1).<br />

L'instaurarsi, infatti, del rapporto fiduciario fra Camere e Governo<br />

comporta l'assunzione da parte dei due organi di reciproci obblighi, e<br />

della responsabilità politica del secondo nei confronti delle prime. Il<br />

rispetto di tali obblighi deve poter essere continuamente controllato: il<br />

Governo verifica in concreto il persistere della sua maggioranza attraverso<br />

l'approvazione delle leggi e l'appoggio alle iniziative che reputa<br />

necessario assumere per la realizzazione del suo indirizzo; alle Camere<br />

è invece riconosciuto il diritto di controllare con opportuni strumenti<br />

l'idoneità delle iniziative governative ad assicurare tale realizzazione,<br />

di accertare eventuali responsabilità, nonché di verificare la capacità<br />

dell'indirizzo scelto a soddisfare effettivamente le esigenze del paese. Un<br />

eventuale giudizio negativo delle Camere può arrivare quindi fino all'approvazione<br />

di una mozione di sfiducia con la quale si nega la suddetta<br />

capacità e si sollecita, perciò, la assunzione di un nuovo indirizzo politico.<br />

Dall'esistenza del rapporto fiduciario fra Governo e Parlamento e<br />

dal conseguente principio della responsabilità ministeriale, in forza del<br />

quale i ministri hanno l'obbligo giuridico di dar conto in qualsiasi momento<br />

alle Camere della loro azione pubblica, deriva il diritto dei<br />

(1) Vogliamo qui sottolineare che la più recente dottrina ha individuato vari<br />

altri casi in cui la Costituzione ha previsto e richiesto esplicitamente la partecipazione<br />

delle Camere all'esercizio della funzione di indirizzo politico predisposto dal Governo.<br />

Nella maggioranza di tali ipotesi l'attività delle Camere si esplica mediante l'approvazione<br />

di leggi formali. Fra tali leggi si distingue anzitutto quella che approva annualmente<br />

il bilancio preventivo; inoltre: la legge di piano; le leggi che autorizzano la<br />

ratifica di quei trattati internazionali che siano di natura politica, o prevedano arbitrati<br />

o regolamenti giudiziari, o importino variazioni del territorio od oneri alle finanze<br />

o modificazioni di leggi (cioè in sostanza quasi tutti i trattati internazionali, data soprattutto<br />

la generica dizione della prima categoria); le leggi di delega per la concessione<br />

della amnistia e dell'indulto. Un'altra ipotesi di prevista partecipazione delk<br />

Camere alla funzione di indirizzo politico è individuata nella dichiarazione dello stato<br />

di guerra.


620 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

membri del Parlamento di esercitare la funzione ispettiva e cioè di interrogare<br />

il Governo su fatti di interesse generale, o di richiamare la<br />

sua attenzione sulle pubbliche necessità, o di chiedere conto della condotta<br />

politica ed amministrativa dei suoi componenti. In concreto detta<br />

funzione consiste, nella sua manifestazione più completa, nell'acquisizione<br />

dei dati necessari alla esatta conoscenza di fatti di interesse generale<br />

e nella conseguente espressione di un giudizio alla luce della conoscenza<br />

così formatasi.<br />

2. - Esaminiamo ora gli strumenti, previsti dal Regolamento, mediante<br />

i quali i parlamentari possono esercitare in concreto la funzione<br />

ispettiva.<br />

Il primo di tali mezzi è costituito dall'interrogazione, regolata dagli<br />

artt. da 110 a 118 Reg., che consiste, come testualmente recita l'art. Ili,<br />

« nella semplice domanda se un fatto sia vero, se alcuna informazione sia<br />

giunta al Governo, o sia esatta, se il Governo intenda comunicare alla<br />

Camera documenti che al deputato occorrono, o abbia preso o sia per<br />

prendere alcuna risoluzione su oggetti determinati ». L'interrogazione deve<br />

essere presentata per iscritto al Presidente il quale, a norma dell'art. 90,<br />

può negarne l'accettazione se contenga frasi sconvenienti.<br />

Ci si può chiedere se spetti al Presidente accertare se l'oggetto dell'interrogazione<br />

rientra fra quelli indicati nel citato art. Ili e, qualora<br />

ravvisi una difformità fra l'interrogazione e la norma stessa, rifiutarsi<br />

di accettarla. Contro una eventuale risposta positiva al quesito potrebbe<br />

essere portata la considerazione che il Regolamento ha disposto espressamente,<br />

come si è visto, quando ha ritenuto necessario prevedere l'ipotesi<br />

di diniego di accettazione, sicché il silenzio nel caso in esame dovrebbe<br />

escludere ogni facoltà di intervento da parte del Presidente. Contro<br />

queste argomentazioni si può rilevare che resta però sempre fermo<br />

e prevalente il dovere del Presidente, a norma dell'art. 10, di far osservare<br />

il Regolamento e di assicurare il buon andamento dei lavori parlamentari<br />

il che, nella fattispecie in parola, comporta il potere-dovere di<br />

verificare il contenuto delle interrogazioni, in vista del loro successivo<br />

svolgimento, in relazione a quanto disposto dall'art. 111.<br />

L'applicazione delle successive norme che regolano lo svolgimento<br />

delle interrogazioni assicura il sollecito, completo e automatico esaurimento<br />

delle interrogazioni stesse, senza appesantire i lavori parlamentari<br />

e senza pregiudicare il diritto del Governo di valutare le conseguenze<br />

politiche di una sua risposta ad una interrogazione.


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 621<br />

Le interrogazioni, infatti, sono iscritte automaticamente all'ordine<br />

del giorno della seconda seduta dopo la presentazione e di tutte le seguenti<br />

sedute, fino all'esaurimento (art. 112) e sono senz'altro svolte<br />

all'inizio di ogni seduta secondo il turno di presentazione nel limite di<br />

15 al giorno (art. 113) ed entro il termine massimo di quaranta minuti<br />

(art. 117). Una deroga all'automaticità del turno di iscrizione in una<br />

determinata seduta deriva dal divieto posto dall'art. 116, per il quale<br />

nessun deputato può svolgere più di due interrogazioni in ciascuna seduta.<br />

L'iscrizione delle interrogazioni all'ordine del giorno non comporta<br />

l'obbligo di rispondere da parte del Governo. Questo, infatti, se non<br />

vuole rispondere quando cade il turno dell'interrogazione, può dichiarare<br />

di voler differire la risposta, indicando la data che ritiene opportuna,<br />

o può addirittura dichiarare che non intende rispondere (art. 113). In<br />

questi casi l'interrogante non può che attenersi alla decisione del Governo,<br />

nel senso che il Regolamento non gli mette a disposizione alcun<br />

mezzo per ottenere lo svolgimento della sua interrogazione. Può, però,<br />

naturalmente, trarre ulteriori conseguenze dall'atteggiamento del Governo<br />

e ritenere che il contenuto della sua interrogazione, proprio a seguito<br />

della mancata risposta, meriti di diventare oggetto di una interpellanza<br />

il cui svolgimento, come vedremo, può trovare diverso e più impegnativo<br />

sbocco.<br />

La risposta del Governo ad ogni singola interrogazione attribuisce<br />

all'interrogante un diritto di replica, che deve limitarsi alla dichiarazione,<br />

da contenere in un limite massimo di tempo di cinque minuti,<br />

se sia stata data risposta adeguata o no alla domanda (art. 114). Il ristretto<br />

limite di tempo e il limitato contenuto della replica vogliono evidentemente<br />

assicurare un sollecito svolgimento delle interrogazioni, l'oggetto<br />

delle quali, per la loro stessa natura, non può e non deve avere<br />

un valore politico tale da impegnare eccessivamente l'Assemblea (2).<br />

Si intende che, pur nel silenzio del Regolamento, il quale, in fondo,<br />

lascia al Governo di valutare la portata di ogni singola interrogazione,<br />

la risposta del Ministro deve essere ragionevolmente succinta.<br />

(2) In caso di interrogazioni firmate da più di un parlamentare, l'art 114 va<br />

interpretato nel senso che uno solo di essi ha diritto di replicare e dichiarare se sia<br />

o no soddisfatto; il Presidente ha quindi il diritto e il dovere di negare la parola ad<br />

un cofirmatario che la chiedesse. Diverso è il caso, naturalmente, di un deputato che<br />

appone la sua firma all'interrogazione di un collega, e ne presenta poi un'altra su<br />

analogo argomento. In tal caso egli avrà diritto di replicare, in qualità di presentatore<br />

di una interrogazione.


622 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

Se il Ministro dichiara di non voler rispondere o di voler differire<br />

la risposta ad altra data, l'interrogante ha diritto di chiedere la parola<br />

per precisare il suo giudizio sull'atteggiamento del Governo e sulle sue<br />

eventuali motivazioni? Il disposto dell'art. 114 sembra debba essere<br />

rettamente inteso nel senso che la replica dell'interrogante ivi prevista<br />

presuppone una dichiarazione del Governo sul merito dell'interrogazione<br />

sicché è inammissibile un intervento dell'interrogante stesso quando all'interrogazione<br />

non sia stata data, o non sia ancora stata data, formalmente<br />

risposta.<br />

Una norma che intende evidentemente favorire il sollecito esaurimento<br />

di una serie di interrogazioni il cui contenuto non è tale da interessare<br />

l'intera Assemblea, è quella contenuta nell'art. 115 che introduce<br />

e regola l'istituto dell'interrogazione con risposta scritta. Con questo strumento<br />

si vuole assicurare a tutti i deputati la possibilità di acquisire<br />

tutti quegli elementi e quelle notizie che ritengono necessario possedere,<br />

anche in considerazione di esigenze locali, senza però appesantire i lavori<br />

della Camera. Anche alle interrogazioni per le quali l'interrogante<br />

chiede la risposta scritta, che deve essere fornita entro 10 giorni dal<br />

Governo, è assicurata, però, una certa pubblicità, in quanto anche esse<br />

devono essere, come quelle a risposta orale, pubblicate nel resoconto<br />

sommario della seduta in cui sono annunciate dal Presidente, e la relativa<br />

risposta deve essere inserita nel resoconto stenografico della seduta<br />

nella quale il Governo ha comunicato di averla fornita. È chiaro che<br />

i risultati che l'istituto dell'interrogazione a risposta scritta vuole realizzare<br />

possono essere assicurati solo se viene rispettato il termine di<br />

10 giorni entro il quale il Governo deve dare la risposta.<br />

Sempre al fine di snellire i lavori senza pregiudicare il diritto di<br />

ogni deputato di venire comunque a conoscenza dei dati che ritiene necessari<br />

o utili, il secondo comma dell'art. 113 prevede che una interrogazione<br />

a risposta orale si trasformi in interrogazione a risposta scritta<br />

se l'interrogante non è presente quando arriva il turno della sua interrogazione.<br />

In tal modo l'interrogante perde il diritto di replicare al ministro<br />

e di precisare quindi il suo punto di vista in relazione alla risposta,<br />

ma non è privato però di quest'ultima.<br />

Caratteristica tipica dello strumento regolamentare in esame è che<br />

solo al Governo spetta di stabilire se una interrogazione riveste o meno<br />

carattere di urgenza. La dizione dell'art. 118, che regola il caso in cui<br />

il Governo « riconosca » l'urgenza di un'interrogazione, sembra presupporre<br />

che al Governo spetta di accertare l'esistenza di una condizione<br />

fatta presente da altri (nell'ipotesi dall'interrogante). Di fatto il presen-


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 623<br />

tatore dell'interrogazione sottolinea la necessità di un'urgente risposta<br />

e il Governo, se aderisce e condivide il giudizio dell'interrogante, può,<br />

a norma del citato art. 118, rispondere subito dopo l'annunzio del Presidente<br />

o nella successiva seduta. Occorre a questo punto richiamare<br />

l'attenzione sul fatto che la Camera non può esprimersi sull'urgenza di<br />

una interrogazione: la questione può essere risolta solo fra interrogante<br />

e Governo.<br />

La disposizione in esame attribuisce al Governo che abbia riconosciuto<br />

l'urgenza di un'interrogazione la « facoltà » di rispondere immediatamente,<br />

alterando, quindi, il normale turno di esaurimento collegato<br />

con il momento della presentazione. Trattandosi, però, di facoltà, sta<br />

alla discrezionalità del Governo stabilire se farne uso o meno, in relazione<br />

a considerazioni di opportunità politica, sicché è nel pieno diritto<br />

del Ministro rinviare una risposta immediata anche se esso ha riconosciuto<br />

il carattere urgente dell'interrogazione.<br />

Esaurito così l'esame degli articoli che disciplinano e regolano l'interrogazione,<br />

cerchiamo di mettere in luce le caratteristiche essenziali<br />

che la differenziano dagli altri strumenti grazie ai quali il Parlamento esercita<br />

la funzione ispettiva. L'interrogazione, anzitutto, vuole soltanto fornire<br />

all'interrogante la cognizione di un determinato fatto ed accertare<br />

la verità di una notizia, senza che su questo si pronunci e possa pronunciarsi<br />

un giudizio. Ciò chiarisce la ragione sostanziale per cui l'interrogazione<br />

crea solo un rapporto fra Governo e interrogante e non<br />

fra Governo e Assemblea, tanto che non solo il suo svolgimento non<br />

può concludersi con un voto, ma non può nemmeno aprirsi su di essa<br />

una discussione con la possibile partecipazione di tutti i parlamentari.<br />

Per le sue caratteristiche, perciò, l'interrogazione costituisce uno strumento<br />

di blando controllo parlamentare, può dirsi quasi di controllo<br />

personale, e trova la sua utilizzazione soprattutto per richiamare l'attenzione<br />

del Governo su situazioni ed esigenze particolari, anche di carattere<br />

locale o strettamente settoriale.<br />

3. - Il secondo strumento disciplinato dal Regolamento a disposizione<br />

dei parlamentari per esercitare il controllo politico sul Governo,<br />

è costituito dall'interpellanza che, secondo quanto stabilisce il secondo<br />

comma dell'art. 119, consiste in una domanda sui «motivi o gli intendimenti<br />

della condotta del Governo in questioni che riguardino determinati<br />

aspetti della sua politica».<br />

Dalla stessa citata definizione contenuta nell'art. 119 appare evidente<br />

la differenziazione sostanziale fra interrogazione e interpellanza.


624 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

Quest'ultima, infatti, non serve ad accertare la verità di fatti o l'esattezza<br />

di notizie, ma tende invece a chiedere conto dei motivi e degli<br />

intendimenti dell'azione del Governo, cioè sollecita spiegazioni e giustificazioni<br />

circa alcuni atti governativi e implica, perciò, non solo la<br />

conoscenza di fatti, ma anche un giudizio sugli stessi e sulla conseguente<br />

attività ministeriale. Un limite al contenuto delle interpellanze è dato<br />

dal fatto che la condotta del Governo cui esse si riferiscono deve riguardare<br />

solo questioni relative a « determinati aspetti della politica governativa<br />

» e non larghi settori della stessa che, per la loro stessa rilevanza<br />

e per il loro interesse generale, implicano la piena responsabilità<br />

del Governo e giustificano un voto parlamentare sull'argomento. Da notare<br />

che sono stati distinti in dottrina due tipi di interpellanza a seconda<br />

del loro contenuto: le interpellanze a carattere amministrativo concernenti<br />

solo gli atti effettivamente compiuti dal Ministro e quelle a carattere<br />

politico, che possono riguardare anche le azioni future e non sono<br />

quindi necessariamente collegate a fatti concreti.<br />

Le norme regolamentari relative alla presentazione e pubblicazione<br />

delle interpellanze, nonché all'eventuale intervento del Presidente in sede<br />

di accettazione, sono analoghe a quelle già illustrate a proposito delle interrogazioni,<br />

e valgono anche per esse le considerazioni sopra accennate.<br />

Si diversifica, invece, il procedimento relativo ai due suddetti tipi<br />

di strumenti di sindacato ispettivo per le norme regolanti l'effettivo svolgimento<br />

delle interrogazioni e delle interpellanze. Si è visto che il presentatore<br />

di una interrogazione non può pretenderne lo svolgimento<br />

quando il rappresentante del Governo dichiari di non voler rispondere.<br />

Tale facoltà del Ministro trova la sua giustificazione nel fatto che i singoli<br />

membri del Parlamento non possono costringere il Governo a rivelare<br />

fatti che esso, nell'ambito della sua discrezionalità, ritiene necessario<br />

tacere, senza che intervenga una ponderata deliberazione dell'Assemblea,<br />

di fronte alla quale soltanto il Governo è responsabile, deliberazione non<br />

prevista in nessun caso a conclusione dello svolgimento di una interrogazione<br />

che, come si è già detto, crea solo un rapporto fra interrogante<br />

e Ministro. L'elemento « giudizio », invece, implicito in ogni interpellanza,<br />

giustifica l'eventuale intervento dell'Assemblea ai fini dello svolgimento<br />

dell'interpellanza stessa.<br />

Le norme contenute negli artt. 120 e 121 Reg. disciplinano le modalità<br />

per la fissazione della data di svolgimento delle interpellanze secondo<br />

un sistema, frutto di successivi rimaneggiamenti, notevolmente<br />

complesso e per certi aspetti anche poco chiaro formalmente.


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 625<br />

Dopo che, infatti, l'ultimo comma dell'art. 119 ha previsto la trascrizione<br />

automatica delle interpellanze nell'ordine del giorno della seduta<br />

successiva a quella in cui sono state annunciate, l'ultimo comma<br />

dell'art. 120 dispone che ogni interpellanza viene iscritta secondo l'ordine<br />

di presentazione quando siano trascorsi tre giorni dall'annuncio senza<br />

che il Governo abbia fatto alcuna dichiarazione, dovendosi per ciò ritenere<br />

accettata l'interpellanza.<br />

Questo sistema di iscrizione all'ordine del giorno, già incoerente in<br />

quanto prevede da un lato una forma automatica e dell'altro richiede<br />

una preliminare accettazione governativa con, oltre tutto, una difformità<br />

nei termini (riferimento alla «seduta successiva» nell'art. 119 e<br />

ai « tre giorni successivi all'annunzio » nell'art. 120), è complicato dalla<br />

norma contenuta nel primo comma dell'art. 120, norma che, dopo aver<br />

attribuito al Governo la facoltà di riconoscere l'urgenza di una interpellanza<br />

consentendo il suo svolgimento immediato o nella seduta successiva,<br />

richiede che il Governo stesso, in ogni caso in cui non si tratti<br />

di interpellanze riconosciute urgenti, dichiari, non oltre la seduta successiva<br />

a quella in cui è stata annunciata, se e quando intende rispondere<br />

ad ogni interpellanza. A prescindere dalla difficoltà di conciliare<br />

quest'ultima disposizione con quella contenuta nello stesso articolo all'ultimo<br />

comma, sembra comunque che essa serva a stabilire anche<br />

l'ordine di svolgimento delle interpellanze, in quanto il Governo deve<br />

dichiarare quando intende rispondere ad ognuna di esse. L'art. 121,<br />

però, premesso che il lunedì deve essere destinato di preferenza allo<br />

svolgimento delle interpellanze, non consente che esso avvenga automaticamente<br />

secondo l'ordine determinato per effetto, o nonostante, le<br />

norme precedenti, in quanto stabilisce che i deputati che intendono svolgere<br />

le loro interpellanze nel lunedì successivo devono farne domanda<br />

a voce o per iscritto. Tale norma va naturalmente collegata a quella<br />

contenuta nell'ultimo comma dello stesso articolo, che si preoccupa di<br />

precisare che la Camera prosegue nel suo normale lavoro legislativo<br />

anche nel giorno destinato alle interpellanze se nessun presentatore ne<br />

ha sollecitato lo svolgimento o se non si è determinato un accordo. Con le<br />

ultime disposizioni citate ci si è preoccupati di evitare le decadenze dallo<br />

svolgimento di interpellanze e di assicurare un maggior ordine nei lavori.<br />

Le norme fin qui illustrate, che non sono state introdotte contestualmente<br />

nel Regolamento e delle quali non è mai stato fatto il necessario<br />

coordinamento, vengono applicate tenendo conto non della loro<br />

lettera, naturalmente, ma del loro significato sostanziale e delle ragioni<br />

concrete che le giustificano.


626 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

In pratica, in mancanza di accordo fra presentatore e Governo<br />

nel momento in cui la interpellanza viene in discussione secondo l'ordine<br />

di presentazione, l'Assemblea, sentiti l'interpellante e il Governo,<br />

decide senza discussione il giorno in cui la interpellanza deve essere<br />

svolta. Di fatto la scelta del giorno prescinde dalla preferenza che dovrebbe<br />

essere data al lunedì ed è determinata dall'urgenza della interpellanza<br />

o dalla disponibilità del Governo. Quest'ultimo, comunque (è<br />

bene sottolinearlo di nuovo), non è padrone, come nel caso dell'interrogazione,<br />

di non dar corso ad una interpellanza, né di differirne la risposta<br />

oltre il turno che per essa sarebbe normale, in quanto in queste ipotesi<br />

alla sua volontà può sovrapporsi quella dell'Assemblea che delibera il<br />

giorno di svolgimento, esprimendo con ciò stesso un implicito giudizio<br />

negativo sull'atteggiamento assunto dal Governo. Nel fissare il giorno,<br />

sembra debba intendersi che la Camera deve indicare una data certa e<br />

non collegata ad un avvenimento futuro il cui verificarsi sia indubitabile,<br />

ma indeterminato nel tempo. Tale interpretazione si ricava agevolmente<br />

dalla dizione letterale della norma dell'art. 120, che richiede la indicazione<br />

del « giorno » proposto per lo svolgimento, laddove invece, per<br />

quanto riguarda le dichiarazioni del Governo, stabilisce che quest'ultimo<br />

dichiarerà « quando » intende rispondere.<br />

Il Governo stesso non può, però, essere costretto a rispondere<br />

subito o nella seduta successiva ad una interpellanza giudicata urgente<br />

dal suo presentatore: ai sensi dei primi due commi dell'art. 120,<br />

infatti, se è riconosciuta all'Assemblea la facoltà di stabilire che l'interpellanza<br />

deve comunque essere illustrata e svolta, è lasciata però alla<br />

discrezionalità del Governo la decisione sull'urgenza. Né è ammissibile<br />

nemmeno una replica del presentatore alle argomentazioni portate dal<br />

Governo contro l'urgenza di una interpellanza, in quanto l'interpellante<br />

può replicare solo sul merito della risposta.<br />

Per assicurare un dibattito organico e completo su un determinato<br />

argomento, l'art. 122 prevede che la Camera possa consentire lo svolgimento<br />

congiunto e contemporaneo di più interpellanze relative a fatti<br />

o ad argomenti identici o strettamente connessi. Una disposizione successiva<br />

assicura che in tal caso, quando un solo presentatore solleciti lo<br />

svolgimento della sua interpellanza, anche gli altri interpellanti siano<br />

tempestivamente avvisati, in modo che non debbano perdere il loro<br />

diritto di prendere la parola.<br />

Con lo svolgimento dell'interpellanza da parte del presentatore, le<br />

spiegazioni fornite dal Governo sui motivi o le intenzioni della sua condotta<br />

nella questione in discussione, e l'eventuale dichiarazione dell'in-


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 627<br />

terpellante sulle ragioni per le quali egli sia o no soddisfatto della risposta,<br />

si esaurisce la procedura relativa all'interpellanza. Come nell'ipotesi<br />

dell'interrogazione, anche l'interpellanza, pur avendo carattere politico,<br />

non vale a promuovere un dibattito né tantomeno a provocare<br />

una deliberazione dell'Assemblea : essa, in quanto tale, si esaurisce in un<br />

colloquio fra interpellante e Governo, sia pure più articolato, rispetto a<br />

quello determinato da una interrogazione, sia perché il presentatore svolge<br />

la sua interpellanza e quindi illustra i motivi che lo hanno indotto a presentarla,<br />

sia perché, di fronte ad una evidentemente più ampia risposta del<br />

Governo, l'interpellante ha diritto non solo di dichiarare se sia o no<br />

soddisfatto, ma anche di spiegarne i motivi. Il discorso diventa perciò<br />

politico, in quanto investe direttamente le cause del reciproco atteggiamento.<br />

Gli effetti dell'interpellanza non sono, però, fin qui, diversi da<br />

quelli dell'interrogazione. È invece lo sbocco a cui può dar luogo l'interpellanza<br />

che attribuisce alla stessa particolare rilevanza politica, poiché<br />

fa di essa lo strumento con cui qualsiasi deputato può mettere in moto<br />

il meccanismo procedurale necessario al completo esercizio della funzione<br />

di controllo politico. Quando, infatti, l'interpellante non sia soddisfatto<br />

della risposta data dal Governo e ritenga necessario che sulle spiegazioni<br />

fornite da quest'ultimo si apra una discussione, può presentare<br />

una mozione al Presidente, che ne darà subito lettura. È questo il solo<br />

mezzo a disposizione del singolo deputato per sollecitare un dibattito<br />

politico (infatti la mozione non preceduta da interpellanza deve portare<br />

dieci firme) ed assume un particolare valore nel sistema attuale dove le<br />

iniziative dei singoli parlamentari sono notevolmente condizionate dai<br />

partiti e, in sede parlamentare, dai gruppi.<br />

La stessa facoltà di presentare una mozione sull'argomento che ha<br />

formato oggetto dell'interpellanza, spetta poi anche a qualsiasi deputato,<br />

qualora l'interpellante abbia dichiarato che non intende farlo. In questo<br />

modo nel dibattito fra interpellante e Governo può inserirsi, all'atto della<br />

sua conclusione, un qualsiasi parlamentare; sicché gli effetti del dibattito<br />

stesso non si esauriscono fra i due interlocutori ma sono suscettibili di<br />

ulteriori sviluppi esterni.<br />

4. - Con la presentazione di una mozione è l'intera Assemblea<br />

che è chiamata a discutere sull'operato del Governo ed a pronunciarsi<br />

in merito ad esso. Il Regolamento non definisce l'istituto della mozione,<br />

a differenza di quanto avviene per gli altri due strumenti di sindacato<br />

parlamentare precedentemente illustrati, ma dalle disposizioni che la<br />

regolano può ricavarsi che essa si concreta in un invito al Governo a


628 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

compiere un determinato atto, a prendere una deliberazione su un<br />

certo oggetto, o ad adottare una determinata condotta. Per le sue caratteristiche<br />

sostanziali e per gli effetti che intende realizzare, la mozione<br />

costituisce un atto di censura alla condotta generale del Governo o a<br />

quella particolare di un Ministro, condotta sulla quale si sollecita il<br />

giudizio motivato dell'Assemblea.<br />

L'importanza che deve avere l'argomento oggetto della mozione<br />

si ricava dalle norme che pongono le condizioni procedurali per la presentazione<br />

della mozione stessa. Abbiamo visto che a norma dell'articolo<br />

123 una mozione può essere proposta da un singolo deputato solo<br />

se il suo contenuto ha già formato oggetto di una interpellanza e se<br />

il Governo ha perciò già fornito all'Assemblea chiarimenti, che nella<br />

ipotesi sono stati giudicati insoddisfacenti, sui motivi o le intenzioni<br />

della sua condotta. La complessità della procedura richiesta è garanzia<br />

sufficiente dell'importanza dell'argomento sul quale il deputato vuole<br />

sollecitare la discussione e la decisione dell'Assemblea. Il successivo<br />

art. 124 prevede e regola però anche la possibilità di presentazione di<br />

mozioni non precedute da una interpellanza, ma in tal caso subordina<br />

la loro proponibilità alla condizione che siano firmate da almeno 10<br />

deputati: in questa ipotesi è il numero minimo dei firmatari che garantisce<br />

la serietà e la validità dell'argomento sul quale si sollecita<br />

una discussione ed una decisione assembleare.<br />

Per quanto riguarda i poteri del Presidente in ordine all'accettazione<br />

delle mozioni, egli può, come per l'ipotesi delle interrogazioni<br />

e delle interpellanze, dichiarare inaccettabile una mozione che contenga<br />

frasi sconvenienti. Quanto al contenuto, mancando anche una definizione<br />

dell'istituto, non sembra ammissibile un sindacato presidenziale sullo<br />

stesso, che avrà natura prevalentemente, se non addirittura esclusivamente,<br />

politica ed è lasciato quindi al giudizio insindacabile dei presentatori.<br />

A proposito del significato e del valore delle mozioni, merita di essere<br />

particolarmente sottolineato l'ultimo comma dell'art. 125, per il quale<br />

una mozione, una volta letta alla Camera (non appena, cioè, iniziato<br />

il suo iter procedurale di discussione) non può essere ritirata quando<br />

vi si oppongano dieci o più deputati. Da tale norma si ricava che, una<br />

volta sollevata una questione di fronte alla Camera e quindi di fronte<br />

al paese, diviene prevalente interesse politico che sulla questione stessa le<br />

varie parti prendano posizione e si determini una volontà dell'Assemblea.<br />

Il presentatore, o i presentatori, non possono più autonomamente decidere<br />

di non dar corso all'iniziativa che hanno avviato, perché la mozione<br />

non appartiene più a loro, ma all'Assemblea che su di essa deve


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 629<br />

deliberare e perché al loro interesse si sovrappone un interesse di ordine<br />

generale, inteso soprattutto ad assicurare chiarezza di rapporti fra<br />

Parlamento e Governo. Infatti il divieto di ritiro evita anche che con<br />

la presentazione di una mozione si compia un atto di censura nei confronti<br />

del Governo, impedendo poi alla Camera di pronunciarsi sulla<br />

censura stessa.<br />

L'interesse politico che ha la Camera a esaminare una questione<br />

che ha formato oggetto di una mozione risulta evidente dalla norma,<br />

contenuta nell'art. 125, che disciplina le modalità per la fissazione della<br />

data di svolgimento e discussione delle mozioni. In questa ipotesi la<br />

decisione dell'Assemblea diventa prevalente e determinante, poiché infatti<br />

ad essa spetta fissare il giorno, ed il Governo non può evitare il<br />

dibattito o ritardarlo. Esso deve però essere sentito, insieme con il presentatore,<br />

e non più di due deputati, prima che la Camera fissi la data.<br />

La disposizione dell'art. 125 deve essere, infatti, interpretata nel senso<br />

che la decisione circa il giorno di svolgimento e di discussione della<br />

mozione non può essere presa se non è stato previamente sentito il Governo<br />

il quale, prima di essere impegnato in un dibattito di notevole<br />

importanza sul piano politico, deve avere il diritto di indicare la data<br />

che ritiene più opportuna per la discussione, motivando la sua opinione,<br />

che può essere dipendente da situazioni di ordine pubblico o da avvenimenti<br />

internazionali o dalla necessità di non interferire con l'attività<br />

di altri organi, come ad esempio la Magistratura.<br />

Anche nell'ipotesi di fissazione della data di svolgimento di una<br />

mozione, ed a maggior ragione rispetto allo svolgimento di una interpellanza,<br />

la Camera deve indicare una data certa. Oltre al fatto che<br />

anche l'art. 125 richiede che la Camera determini « il giorno » in cui<br />

deve essere svolta e discussa una mozione, occorre osservare che è<br />

necessario alla chiarezza reciproca dei rapporti fra Parlamento e Governo<br />

ed al buon andamento dei rapporti stessi che sia indicato in<br />

modo certo il momento in cui deve avvenire un dibattito che, se non<br />

può concludersi con un voto che comporti l'obbligo di dimissioni del<br />

Gabinetto, costituisce però comunque un fatto di notevole importanza<br />

politica e può sfociare in una solenne dichiarazione di censura dell'operato<br />

del Governo.<br />

Può chiedersi che significato abbia una eventuale reiezione da parte<br />

della Camera di una proposta tendente a fissare la data di svolgimento<br />

e di discussione di una mozione. Tale reiezione sembra non possa essere<br />

intesa come manifestazione di volontà di non discutere la mozione,<br />

ma debba invece interpretarsi come semplice rinvio, fermo restando


630 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

quindi il diritto di avanzare successivamente altre proposte per la fissazione<br />

di una nuova data.<br />

L'art. 126 prevede poi la possibilità che siano discusse insieme più<br />

mozioni relative a fatti o argomenti identici o strettamente connessi ed<br />

il successivo art. 127 implicitamente consente che alla discussione di<br />

mozioni sia abbinato anche lo svolgimento di interpellanze. I due citati<br />

articoli disciplinano minutamente lo svolgimento del dibattito di più<br />

mozioni abbinate o di mozioni e interpellanze connesse, soprattutto per<br />

quanto riguarda l'ordine con cui devono prendere la parola i presentatori<br />

dei vari documenti.<br />

Su di una mozione, come già si è detto, si apre una discussione,<br />

cui possono partecipare tutti i membri della Camera, regolata dalle<br />

stesse norme che disciplinano la discussione generale dei progetti di<br />

legge, per l'esame delle quali si rinvia al Capo Vili del presente volume,<br />

ove tali norme sono analiticamente illustrate. In particolare gli artt. 128<br />

e 129 richiamano le disposizioni relative ai modi di presentazione di<br />

emendamenti, la discussione dei quali avviene dopo la chiusura della discussione<br />

generale, che a norma dell'ultimo comma dell'art. 129 il proponente<br />

della mozione ha diritto di concludere.<br />

Differenze rispetto alla discussione di progetti di legge, riguardano<br />

anzitutto gli ordini del giorno che non possono essere svolti, ma solo<br />

messi in votazione, e che non hanno la precedenza sulla mozione, nemmeno<br />

l'ordine del giorno puro e semplice (art. 128). Queste disposizioni<br />

relative agli ordini del giorno traggono origine e sono giustificate dal<br />

principio, cui già si è accennato, per il quale costituisce interesse politico<br />

prevalente il fatto che la Camera si pronunci sulla questione sollevata<br />

dalla mozione e che la sua deliberazione sia soprattutto univoca<br />

e chiaramente motivata dalla discussione a cui la questione suddetta<br />

ha dato luogo, discussione che non deve pertanto trasferirsi su argomenti<br />

marginali. Il suddetto principio trova ulteriore applicazione nelle<br />

norme che regolano l'ordine di votazione degli emendamenti presentati<br />

ad una mozione, norme che introducono un sistema completamente<br />

diverso da quello ordinario che si adotta per la votazione di emendamenti<br />

agli articoli di un progetto di legge, nel qual caso l'emendamento<br />

ha, di regola, la precedenza sul testo originario. Quando si tratti di<br />

una mozione, infatti, l'art. 130, dopo aver precisato che : « Se l'emendamento<br />

è aggiuntivo, si pone ai voti prima della mozione principale;<br />

se soppressivo, si pone ai voti il mantenimento dell'inciso », al secondo<br />

comma dispone che: « Se è sostitutivo, si pone prima ai voti l'inciso<br />

che l'emendamento tende a sostituire; se l'inciso è mantenuto, l'emen-


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 631<br />

damento cade; se è soppresso, si pone ai voti l'emendamento ». Le<br />

citate disposizioni intendono assicurare il risultato che la Camera si pronunci<br />

chiaramente sulla mozione così come è stata presentata (infatti gli<br />

emendamenti sostitutivi, come i soppressivi, non hanno la precedenza<br />

sull'inciso cui si riferiscono), salva la possibilità di integrarla e precisarla<br />

con opportune aggiunte.<br />

Le disposizioni qui sopra illustrate fanno della mozione uno strumento<br />

specifico e perfetto della funzione di sindacato ispettivo, l'esercizio<br />

della quale nella sua forma completa, costituita dall'elemento cognizione<br />

unito all'elemento giudizio, spetta alla Camera nel suo complesso<br />

e non ai singoli parlamentari. Questi ultimi hanno il diritto,<br />

singolarmente in caso di mozione presentata a seguito di una interpellanza,<br />

o nel numero stabilito, in caso di mozione autonoma, di denunciare<br />

con atto motivato alla Camera ed alla opinione pubblica una situazione<br />

che giudicano negativa e per la quale sollecitano una determinata<br />

azione governativa, ritenendo la precedente condotta ministeriale<br />

inadeguata o inopportuna.<br />

La Camera, così investita della questione, prende formalmente cognizione<br />

dell'argomento in discussione tramite l'illustrazione della mozione<br />

da parte del suo presentatore e la replica del Governo che chiarisce<br />

i motivi della sua condotta; valuta i diversi aspetti del problema<br />

messi in evidenza nel corso della discussione; infine esprime il suo giudizio<br />

motivato con il voto finale. L'approvazione di una mozione costituisce<br />

evidentemente un atto di censura della Camera nei confronti di<br />

un determinato aspetto della politica governativa o addirittura della<br />

condotta generale del Ministero, atto che se non ha alcun valore sul<br />

piano giuridico, ne ha però uno assai rilevante su quello politico poiché,<br />

se non interrompe il rapporto fiduciario che intercorre fra Parlamento<br />

e Governo, costituisce però l'espressione motivata del dissenso<br />

di una Camera dalla linea politica governativa o da un aspetto di<br />

tale linea.<br />

5. - Due tipi particolari di mozioni sono poi quelle regolate dall'art.<br />

131, cioè la mozione di fiducia e quella di sfiducia.<br />

Già si è accennato che con questi strumenti, previsti e disciplinati<br />

dall'art. 94 Cost, che per questa parte è sostanzialmente riprodotto<br />

dalla citata norma regolamentare, la Camera non esercita tanto la funzione<br />

di controllo, quanto invece quella di indirizzo politico.<br />

La Costituzione stabilisce che il Governo deve avere la fiducia<br />

delle Camere, fiducia che va accordata con mozione motivata e votata


632 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

per appello nominale. Le stesse condizioni procedurali sono riprese dall'art.<br />

131 Reg. laddove esso regola le mozioni di fiducia. Non è questa<br />

la sede per soffermarsi sulle molte teorie che han tentato di definire<br />

la natura giuridica dell'atto parlamentare di concessione della fiducia,<br />

in relazione all'atto presidenziale di nomina (3). Dobbiamo invece<br />

individuare, tramite l'esame delle norme regolamentari, il tipo di rapporto<br />

che con la mozione di fiducia viene a instaurarsi fra Camera e<br />

Governo.<br />

L'esplicita richiesta motivazione della mozione di fiducia, concettualmente<br />

superflua poiché ogni mozione, per la sua stessa natura, è<br />

motivata, implica e sottolinea la necessità che l'approvazione della mozione<br />

stessa costituisca una chiara adesione da parte della Camera alla<br />

scelta politica che quel Governo esprime ed ai modi da esso proposti<br />

per attuarla ed un impegno a collaborare alla definizione, sul piano<br />

dell'attuazione concreta, dell'indirizzo politico del Governo, La piena<br />

pubblicità del voto, poi, che deve essere espresso in forma palese, con<br />

appello nominale, comporta da un lato un impegno personale dei deputati,<br />

che su tale base possono essere giudicati dal corpo elettorale e<br />

dall'opinione pubblica, e dall'altro consente il controllo dei Gruppi e<br />

dei partiti sui propri iscritti.<br />

In pratica l'atto con cui viene concessa la fiducia ad un Governo<br />

di nuova nomina di regola fa riferimento, per assolvere all'obbligo della<br />

motivazione, alle dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio per<br />

illustrare il programma politico del suo Governo. Nel concedere la<br />

fiducia le Camere devono accettare nella sua unitarietà e senza limiti<br />

o condizioni il programma governativo: per questa ragione il citato<br />

articolo del Regolamento esclude che la mozione di fiducia possa votarsi<br />

per divisione e non consente la presentazione di ordini del giorno,<br />

che per il loro carattere particolaristico sono antitetici alla natura<br />

stessa della discussione sulla fiducia. Naturalmente la motivazione dell'atto<br />

con cui si manifesta la fiducia può non limitarsi al puro e semplice<br />

riferimento alle dichiarazioni programmatiche del Presidente del<br />

Consiglio, ma contenere elementi di giudizio autonomi. Ciò può comportare<br />

conseguenze sul piano politico, non su quello regolamentare<br />

(3) Ricordiamo soltanto che accanto alle teorie che fan ricorso a concetti e<br />

principi strettamente giurìdici (condizione sospensiva, condizione risolutiva, atto complesso),<br />

altre sottolineano invece il carattere politico-costituzionale della fiducia, che è<br />

vista come un atto di approvazione politica della nomina o di investitura politica, che<br />

deve seguire necessariamente quella giuridica attuata mediante il decreto presidenziale<br />

di nomina, o come atto di esplicita fissazione e assunzione, da parte delle Camere,<br />

di una determinata direttiva politica.


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 633<br />

(né costituzionale), perché sotto questo riguardo la motivazione è un<br />

autonomo elemento formativo della deliberazione della fiducia, distinto<br />

rispetto all'esposizione fatta dal Presidente del Consiglio del programma<br />

governativo.<br />

Accordando la fiducia ad un Governo di nuova nomina la Camera<br />

non esercita una funzione di controllo (del resto mancherebbe la stessa<br />

materia da controllare in quanto non esiste ancora una concreta azione<br />

governativa), ma accerta invece che il programma e la volontà del<br />

Governo corrispondano a quanto essa giudica opportuno e utile, nella<br />

situazione di fatto, agli interessi del Paese.<br />

Occorre peraltro notare che, accanto al suo contenuto oggettivo,<br />

che ha riguardo al programma espresso dal Governo, la fiducia presenta<br />

anche un contenuto soggettivo, che si riferisce, cioè, alle persone<br />

che compongono il Gabinetto. La fiducia, perciò, potrebbe essere negata<br />

perché la compagine ministeriale nel suo insieme, o per la presenza<br />

di alcuni elementi, viene giudicata inidonea ad attuare il programma<br />

governativo, di per sé valido. Questo aspetto soggettivo della<br />

fiducia risulta particolarmente evidente quando, per le dimissioni o la<br />

morte di uno o più ministri, divenga necessario procedere ad un rimpasto.<br />

In tal caso il Presidente del Consiglio deve comunicare alle<br />

Camere le sostituzioni operate e sulle sue comunicazioni può aprirsi<br />

un dibattito, che potrà eventualmente concludersi con un voto di fiducia<br />

o di sfiducia.<br />

Una mozione di fiducia può essere presentata anche nei confronti<br />

di un Governo che già gode la fiducia delle Camere. In tal caso essa<br />

costituirà uno strumento per verificare, in un momento magari politicamente<br />

incerto, l'esistenza di una maggioranza e per richiamare esplicitamente<br />

tale maggioranza alla necessità di mantenere gli impegni assunti<br />

nei confronti del Governo, o di assumersi la responsabilità di una crisi.<br />

Di fatto, comunque, è assai raro il ricorso alla mozione di fiducia, poiché<br />

di regola la verifica della sussistenza di una maggioranza viene fatta<br />

per iniziativa del Governo con la posizione della questione di fiducia,<br />

della quale tratteremo in seguito.<br />

Con la presentazione di una mozione di sfiducia si vuole ottenere<br />

il risultato di aprire una discussione sull'intera politica del Governo,<br />

giudicata inadeguata alle esigenze del Paese e intesa a realizzare fini<br />

dannosi, per giungere alla interruzione del rapporto fiduciario ed alle<br />

conseguenti dimissioni del Governo. La mozione di sfiducia è uno strumento<br />

di esercizio a un tempo della funzione di controllo e di quella<br />

di indirizzo politico, poiché se da un lato, esprimendo un giudizio ne-


634 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

gativo, chiama il Governo a dar conto della sua politica e della sua<br />

condotta, dall'altro indica esplicitamente o implicitamente le linee direttive<br />

di una nuova politica.<br />

La mozione di sfiducia deve essere anche essa motivata e votata<br />

per appello nominale; deve essere firmata da almeno un decimo dei<br />

componenti della Camera e non può essere discussa prima di tre giorni<br />

dalla sua presentazione, cioè dal giorno dell'annunzio all'Assemblea.<br />

La richiesta motivazione comporta da un lato la necessità che la mozione<br />

contenga una precisa indicazione delle ragioni per cui si ritiene<br />

di dover esprimere un giudizio negativo sull'operato del Governo, dall'altro<br />

lato una chiara assunzione di responsabilità politica da parte<br />

dei parlamentari promotori dell'iniziativa i quali, contestando le soluzioni<br />

adottate o programmate dal Governo, dovranno fornire nel contempo<br />

una loro indicazione sul futuro indirizzo politico da seguire.<br />

L'obbligo della votazione palese, poi, risponde alle stesse esigenze che<br />

ne hanno suggerito l'introduzione per la votazione della mozione di<br />

fiducia.<br />

Le successive norme procedurali {quorum dei presentatori e decorrenza<br />

di tre giorni prima della discussione) intendono soprattutto introdurre<br />

garanzie a favore della stabilità del Governo. La seconda condizione<br />

vuole evidentemente evitare i cosiddetti « assalti alla diligenza »,<br />

e cioè impedisce che Governo e maggioranza siano colti di sorpresa<br />

da un'improvvisa proposta di sfiducia che potrebbe essere intenzionalmente<br />

avanzata in un momento in cui la maggioranza non è in grado<br />

di assicurare la necessaria presenza. La suddetta condizione serve però<br />

anche a consentire ai vari partiti e gruppi di valutare la situazione<br />

e di assumere una meditata posizione nei confronti della mozione.<br />

Quanto alla norma che richiede che la mozione stessa sia firmata<br />

da un decimo dei componenti della Camera, essa vuole evidentemente<br />

assicurare l'ampiezza e la validità dei motivi per i quali la mozione<br />

di sfiducia viene presentata. In sostanza la disposizione mira ad evitare<br />

che sia impegnata la Camera e messo in perìcolo il Governo su<br />

questioni di interesse particolare, dovendo ciò verificarsi solo per questioni<br />

di carattere generale, carattere indirettamente accertato con la<br />

ottenuta adesione di un massiccio numero di parlamentari.<br />

Nell'attuale sistema organizzato in partiti e quindi, a livello parlamentare,<br />

in gruppi, l'iniziativa della presentazione di una mozione<br />

di sfiducia parte formalmente dai gruppi stessi, e non da singoli deputati,<br />

sulla base di valutazioni e di giudizi elaborati in sede di partito.


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 635<br />

Si deve però osservare che il quorum richiesto per la presentazione<br />

di una mozione di sfiducia può non essere raggiunto da un solo gruppo<br />

parlamentare, il quale, d'altro canto, potrebbe non trovare adesioni<br />

esterne, tanto più che dette adesioni devono riferirsi non solo al complessivo<br />

giudizio negativo sulla politica del Governo, ma anche alle<br />

motivazioni addotte per giustificare e chiarire il giudizio stesso. In<br />

sostanza, perciò, i gruppi di minor consistenza numerica vengono praticamente<br />

privati del tipico strumento regolamentare necessario per sollecitare<br />

una discussione sulla politica generale del Governo.<br />

Questo risultato possono invece raggiungere non solo i gruppi minori,<br />

ma anche i singoli parlamentari, in occasione di comunicazioni<br />

del Governo sulle quali, a richiesta di chiunque, può essere aperto un<br />

dibattito. Già si è accennato a questa situazione ricordando l'obbligo<br />

per il Presidente del Consiglio di dare comunicazione alle Camere di<br />

un avvenuto rimpasto. Quando, perciò, il Governo si presenti alla Camera<br />

per dare, di sua iniziativa o anche sollecitato in modo informale<br />

da uno o più gruppi, comunicazioni su qualche situazione eccezionale<br />

venutasi a creare o su suoi atteggiamenti o iniziative, esso può vedersi<br />

impegnato, anche su richiesta di un solo deputato, in una discussione<br />

che può anche sfociare in un voto di sfiducia (indipendentemente dal<br />

ricorso ad una formale mozione di sfiducia) potendo concludersi con<br />

la votazione, eventualmente negativa, su un ordine del giorno di fiducia.<br />

Anche in tale ipotesi, comunque, il rischio di pericoli improvvisi<br />

e inaspettati per il Governo è evitato dal fatto che è pur sempre quest'ultimo<br />

che sceglie il momento per fare le sue comunicazioni, sicché<br />

non rischia di venir colto di sorpresa da una discussione, e dal fatto<br />

che l'eventuale voto finale deve comunque avvenire in forma palese.<br />

6. - Si è accennato che la fiducia o la sfiducia possono essere<br />

votate anche indipendentemente dalla presentazione e discussione nelle<br />

forme rituali delle mozioni appunto di fiducia o sfiducia. Infatti,<br />

fermo restando che gli istituti della mozione di fiducia e della mozione<br />

di sfiducia costituiscono i tipici strumenti procedurali autonomi utili<br />

per realizzare gli scopi che derivano dalla loro stessa denominazione,<br />

la manifestazione di volontà dell'Assemblea favorevole o contraria al<br />

Governo può esprimersi anche tramite un ordine del giorno di fiducia<br />

o di sfiducia, presentato in relazione all'argomento in discussione. La<br />

votazione di tali ordini del giorno deve sempre avvenire per appello<br />

nominale, poiché si deve interpretare nel senso che questa forma di<br />

voto, indipendentemente dal tipo di documento a cui si riferisce, è stata


636 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

voluta dalla Costituzione e recepita dal Regolamento per definire i<br />

rapporti fra Governo e Camera e per garantire una situazione di chiarezza<br />

reciproca. Si deve invece ritenere che gli ordini del giorno implicanti<br />

sfiducia al Governo debbono essere posti in votazione subito,<br />

senza attendere tre giorni fra presentazione e votazione, poiché non<br />

sussistono i rischi che quella norma intendeva evitare, in quanto l'ordine<br />

del giorno di sfiducia viene presentato nel corso di una discussione,<br />

naturalmente politicamente importante, che già impegna maggioranza<br />

e Governo e in ordine alla quale hanno già avuto modo di<br />

definirsi gli orientamenti dei gruppi e delle varie forze politiche.<br />

La sussistenza o meno del rapporto fiduciario fra Camera e Governo<br />

può poi essere verificata anche fuori dei casi di votazione di<br />

documenti particolari di iniziativa parlamentare, per iniziativa, invece,<br />

del Governo. È principio comunemente accettato, infatti, e rispondente<br />

ai criteri fondamentali del sistema, che il Governo possa in qualsiasi<br />

momento porre la questione di fiducia sulla approvazione o reiezione<br />

di un qualunque provvedimento, o articolo, o documento in discussione.<br />

Con la posizione della questione di fiducia il Governo da un<br />

lato afferma che l'approvazione o la reiezione dell'oggetto sul quale<br />

la questione è stata posta è giudicata indispensabile e qualificante ai<br />

fini della realizzazione del suo programma politico, dall'altro richiama<br />

la responsabilità della maggioranza che lo appoggia alla necessità di<br />

sostenere e assicurare la realizzazione delle scelte politiche dal Governo<br />

stesso operate, ponendo in atto i mezzi e gli strumenti da quest'ultimo<br />

ritenuti necessari.<br />

Sul piano procedurale va sottolineato anzitutto che ogni qual volta<br />

la Camera debba effettuare una votazione dalla quale può derivare la<br />

fiducia o la sfiducia al Governo, la votazione stessa, per esigenze di<br />

chiarezza politica, deve avvenire per appello nominale sicché, se è<br />

stato chiesto lo scrutinio segreto per la votazione di un argomento<br />

sul quale il Governo ha poi posto la questione di fiducia, la richiesta<br />

suddetta decade, avendo per ragioni di principio la prevalenza l'appello<br />

nominale.<br />

La posizione della questione di fiducia comporta poi la indivisibilità,<br />

l'inemendabilità e la priorità nella votazione del testo che è<br />

oggetto della questione stessa. È evidente, infatti, che la Camera deve<br />

esprimersi sull'argomento nei termini in cui esso è stato posto dal<br />

Governo, e che la deliberazione deve essere preliminare ad ogni altra<br />

in quanto l'eventuale interruzione del rapporto fiduciario comporta immediate<br />

conseguenze anche sull'andamento dei lavori parlamentari. Per


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 637<br />

quanto questo principio abbia portato a violentissime opposizioni in<br />

sede parlamentare e politica generale, non vi è dubbio che ormai esso<br />

sia confortato da una prassi costante. Costante in senso negativo, è peraltro<br />

anche l'altro principio, secondo il quale non si è mai verificata la<br />

posizione della questione di fiducia sul complesso di un progetto di legge<br />

che - alla Camera - deve essere votato obbligatoriamente a scrutinio<br />

segreto.<br />

7. - L'ultimo strumento di sindacato ispettivo disciplinato dai Regolamenti<br />

parlamentari, che a questo proposito danno attuazione all'art.<br />

82 Cost, è costituito dalle inchieste parlamentari.<br />

Se per inchiesta parlamentare deve intendersi qualsiasi indagine<br />

ordinata dalla Camera per acquisire elementi necessari relativi ad un<br />

determinato oggetto o per indagare su fatti o avvenimenti che ritenga<br />

opportuno conoscere, risultano estranee alle ipotesi regolate dal<br />

Capo XV del Regolamento e qui esaminate, numerosi tipi di inchieste,<br />

quali quelle personali affidate, a norma dell'art. 74, ad una Commissione<br />

incaricata di indagare sulla fondatezza di eventuali accuse, mosse<br />

nel corso di una discussione, che ledano l'onorabilità di un deputato;<br />

le inchieste elettorali, svolte dalla Giunta delle elezioni; le inchieste,<br />

infine, affidate alla speciale Commissione interparlamentare, relative alla<br />

formulazione delle accuse in materia penale contro il Presidente della<br />

Repubblica, il Presidente del Consiglio, ed i Ministri.<br />

Gli artt. 135, 136 e 137 Reg. disciplinano invece solo le ipotesi<br />

di cosiddette inchieste politiche e inchieste legislative. Mediante le prime,<br />

disposte, a norma della Costituzione, su materie di pubblico interesse,<br />

la Camera mira ad esercitare il controllo ad essa spettante sull'operato<br />

del Governo ed a far valere l'eventuale responsabilità politica<br />

dei suoi membri; con le seconde, che solo in modo indiretto attengono<br />

all'attività ispettiva, la Camera intende soprattutto acquisire più<br />

ampie cognizioni in ordine a talune materie o a talune situazioni in<br />

vista di una futura regolazione legislativa.<br />

Nel dettare le norme procedurali per la deliberazione di un'inchiesta,<br />

l'art. 135 dispone anzitutto che la relativa proposta è equiparata<br />

« a qualsivoglia altra proposta di iniziativa parlamentare ». Può<br />

chiedersi se la dizione si riferisca in modo esplicito ed esclusivo alle<br />

proposte di legge, o se invece intenda equiparare la proposta di inchiesta<br />

anche ad un ordine del giorno o ad una mozione, strumenti che,<br />

per le loro caratteristiche e le loro finalità, rispondono certo al con-


638 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

cetto generico di « proposte di iniziativa parlamentare » (4). L'espressione<br />

« qualsivoglia altra » contenuta nella norma, sembra voler estendere<br />

appunto l'interpretazione nel senso che una inchiesta parlamentare<br />

può essere ritualmente deliberata indipendentemente da una particolare<br />

e tipica procedura. Per effetto della norma suddetta, comunque,<br />

quando una proposta di inchiesta venga avanzata nei modi e con<br />

le forme di una proposta di legge, la proposta stessa verrà esaminata,<br />

discussa e votata secondo le norme che regolano l'iter di una proposta<br />

di legge, e cioè le norme relative alla presentazione, lo svolgimento,<br />

la presa in considerazione, la trasmissione alla Commissione competente<br />

per materia, la discussione e la votazione.<br />

Occorre precisare che una buona regola di correttezza impone al<br />

Governo ed alla maggioranza di non rifiutare l'approvazione di una<br />

proposta di inchiesta, quando siano portati a favore argomenti ragionevolmente<br />

validi. D'altro canto la Camera, nell'esaminare le suddette<br />

proposte, deve astenersi dall'entrare eccessivamente nel merito tlell'argomento<br />

su cui si chiede l'inchiesta, per evitare di anticipare conclusioni<br />

che saranno possibili solo dopo l'esaurimento delle indagini che<br />

si vogliono effettuare proprio mediante l'inchiesta.<br />

L'equiparazione delle proposte di inchiesta alle proposte di legge,<br />

agli effetti dell'iter di approvazione, pone il problema se le prime,<br />

come le seconde, possano essere assegnate ad una Commissione in<br />

sede legislativa.<br />

La precisazione contenuta nell'art. 136, che fa riferimento all'esaurimento<br />

della « procedura ordinaria », non sembra essere sufficiente a<br />

giustificare una interpretazione in senso negativo, sia perché nel nostro<br />

sistema l'approvazione di una legge da parte di una Commissione,<br />

anziché dell'Assemblea, non può dirsi un procedimento speciale, sia<br />

perché la suddetta espressione deve essere piuttosto collegata a quanto<br />

stabilito nel precedente articolo, nel senso che riconferma con diversa<br />

dizione la necessità di applicare alle proposte di inchiesta le procedure<br />

stabilite dal Regolamento in relazione ai diversi tipi di iniziative parlamentari,<br />

mediante le quali può appunto trovare espressione la proposta<br />

di inchiesta.<br />

Meritevole di maggiore attenzione sembra invece essere un'altra<br />

considerazione a contrario, che prende le mosse dell'art. 72 Cost,<br />

che al terzo comma prevede espressamente, e quindi si dovrebbe ritenere<br />

esclusivamente, la possibilità di deferire a Commissioni l'appro-<br />

(4) Le corrispondenti norme del Reg. Senato non contengono disposizioni sui modi<br />

di deliberazione di un'inchiesta, che sono lasciati, quindi, alla prassi.


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 639<br />

vazione di progetti di legge e cioè di delegare ad esse l'esercizio dell'attività<br />

legislativa, ma non anche di quella ispettiva che compete alle<br />

Camere nel loro complesso. È pur vero, peraltro, che lo stesso articolo<br />

della Costituzione, al successivo comma, elenca le ipotesi in cui la<br />

legge deve essere approvata con procedura cosiddetta « normale » e<br />

cioè in Assemblea, sicché, nel silenzio in proposito della Carta costituzionale,<br />

potrebbe ritenersi ammissibile l'approvazione in Commissione<br />

di proposte di inchiesta (5).<br />

Non pare, invece, che possa incontrare comunque ostacoli di ordine<br />

logico e di ordine giuridico-costituzionale l'adozione della procedura<br />

disciplinata dall'art. 85 Reg. che, mentre utilizza l'attività della Commissione<br />

per la formulazione definitiva dell'articolato, riserva all'Assemblea<br />

l'approvazione degli articoli e l'approvazione finale dell'intero documento,<br />

conservando quindi all'organo titolare l'esercizio della funzione<br />

ispettiva, realizzato tramite la deliberazione di una inchiesta.<br />

Esaurita la procedura necessaria per deliberare una inchiesta, lo<br />

art 136, ripetendo sostanzialmente il dettato dell'art. 82 Cost, stabilisce<br />

che la Commissione incaricata di condurre l'inchiesta stessa deve<br />

essere nominata in modo che la sua composizione rispecchi la proporzione<br />

dei gruppi parlamentari, aggiungendo che la nomina può essere<br />

delegata al Presidente della Camera. Nulla stabilisce il Regolamento a<br />

proposito del numero dei commissari (6), talché può chiedersi se anche<br />

la determinazione di quest'ultimo può essere delegata al Presidente<br />

insieme alla nomina. Di regola il numero stesso è fissato dalla Camera<br />

all'atto in cui essa delibera l'inchiesta. Se poi la Camera intende procedere<br />

direttamente alla nomina dei membri, senza delegarne il compito<br />

al Presidente, non si potrà procedere ad una ubera votazione per<br />

la scelta delle persone, in quanto, così facendo, verrebbe in pratica<br />

necessariamente disatteso l'obbligo di rispettare la proporzione dei<br />

gruppi. Né basterebbe procedere ad una votazione per schede con voto<br />

limitato, poiché tale sistema assicura la presenza delle minoranze, ma<br />

non in modo proporzionale alla loro consistenza numerica. In pratica<br />

è perciò necessario che venga previamente fissato in modo informale<br />

(5) In pratica sia al Senato sia alla Camera durante la vigenza della Costituzione<br />

sono state approvate proposte di inchiesta da parte di Commissioni in sede<br />

legislativa: tuttavia tali casi possono considerarsi estremamente rari e non si sono più<br />

verificati negli ultimi anni.<br />

(6) Il Reg. Senato prevede invece che la Commissione sia formata su designazione<br />

dei gruppi, e implicitamente limita il numero dei componenti in quanto precisa<br />

che la designazione stessa deve avvenire in ragione di uno ogni venti iscritti o frazione<br />

non inferiore a dieci.


640 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

il numero di commissari spettante ad ogni gruppo, che procederà poi<br />

alle necessarie designazioni sulla base delle competenze personali.<br />

Le Commissioni di inchiesta devono essere composte esclusivamente<br />

di parlamentari, come si evince dalla stessa norma costituzionale, prima<br />

che da quelle regolamentari. Le Commissioni stesse, però, possono naturalmente<br />

avvalersi della collaborazione di persone estranee al Parlamento<br />

particolarmente competenti nel settore oggetto dell'indagine.<br />

Tali esperti dovranno limitarsi a fornire dati ed elementi di giudizio,<br />

utili o necessari ai commissari, restando però estranei alla formulazione<br />

delle conclusioni cui i commissari stessi potranno pervenire.<br />

Il terzo comma del già citato art. 136 Reg. riproduce quanto stabilito<br />

dal secondo comma dell'art. 82 Cost., che recita : « La Commissione<br />

di inchiesta procede alle indagini ed agli esami con gli stessi<br />

poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria ». Si può chiarire<br />

anzitutto che il riferimento all'attività giudiziaria comprende certamente<br />

gli organi di giurisdizione ordinaria, ma non sembra escludere , 'anche<br />

quelli di giustizia amministrativa, quali il Consiglio di Stato e la Corte<br />

dei Conti.<br />

Tenendo conto, poi, della dizione della norma (« la Commissione<br />

procede alle indagini e agli esami... ») e della natura e finalità stesse<br />

della Commissione di inchiesta, deve escludersi che il riferimento comprenda<br />

i poteri di giudizio, essendo invece limitato a quelli istruttori.<br />

In concreto, dovendo la Commissione procedere ad un controllo sull'attività<br />

e l'operato del Governo in un determinato settore o in una<br />

determinata questione, ovvero al reperimento di dati e notizie e all'accertamento<br />

delle cause di situazioni di fatto, al fine soprattutto di colmare<br />

eventuali lacune legislative, essa può trovarsi, e si trova in realtà<br />

assai sovente, nella necessità di acquisire elementi di giudizio e informazioni<br />

mediante l'escussione di testimoni, l'acquisizione di documenti,<br />

la visita dei luoghi; mediante, cioè, quegli strumenti cui può far ricorso<br />

l'autorità giudiziaria anche recando, salvo gli opportuni limiti e garanzie,<br />

limitazioni alle libertà dei singoli. In sostanza, perciò, la disposizione<br />

in esame consente alla Commissione di inchiesta di avvalersi<br />

degli stessi mezzi istruttori a disposizione dell'autorità giudiziaria.<br />

Per quanto riguarda i mezzi probatori, la Commissione può avvalersi<br />

di prove testimoniali, di ispezioni, di perizie, di richieste di documenti,<br />

ma è tenuta a procedere con le stesse limitazioni dell'autorità<br />

giudiziaria, rispettando in particolare i diritti dei cittadini garantiti dall'ordinamento.<br />

In particolare la Commissione può imporre ai testimoni<br />

l'obbligo del giuramento, a norma dell'art. 251 del codice di procedura


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 641<br />

civile, ma deve osservare anche gli arti. 350 e 351 del codice di procedura<br />

penale che prevedono il diritto di astenersi dal testimoniare per<br />

i prossimi congiunti e per coloro che sono tenuti al segreto di ufficio.<br />

Questi ultimi (e cioè sacerdoti cattolici o ministri di un culto ammesso;<br />

avvocati, procuratori, consulenti tecnici e notai; medici, farmacisti e<br />

ogni altro esercente una professione sanitaria) possono essere costretti<br />

a deporre solo previo accertamento da parte dell'autorità procedente<br />

che la dichiarazione fatta per esimersi dal testimoniare sia infondata.<br />

La ragione di questa disposizione deriva evidentemente dalla necessità<br />

di evitare che con argomenti pretestuosi si possa recar pregiudizio allo<br />

svolgimento delle indagini.<br />

Più gravi sono le conseguenze derivanti dalla necessità per la Commissione<br />

di inchiesta di applicare anche gli artt. 342 e 352 del codice<br />

di procedura penale. Il primo di tali articoli, infatti, stabilisce che i<br />

pubblici ufficiali, gli impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio<br />

possono esimersi dal consegnare su richiesta dell'autorità giudiziaria<br />

atti e documenti quando dichiarino per iscritto che si tratta di segreto<br />

politico o militare. L'art. 352 dispone che i pubblici ufficiali, gli impiegati<br />

e gli incaricati di un pubblico servizio non possono essere obbligati<br />

a deporre su fatti conosciuti per ragione di ufficio o che debbano<br />

rimanere segreti e che non debbono essere interrogati sui segreti<br />

politici o militari dello Stato o su altre notizie che, una volta rese note,<br />

possono nuocere alla sicurezza dello Stato o all'interesse pubblico. Nelle<br />

ipotesi disciplinate dai citati articoli l'autorità procedente che non<br />

ritenga fondata la dichiarazione fatta dalle persone ivi previste per<br />

essere esentati dall'obbligo della deposizione o della consegna di documenti,<br />

può solo farne rapporto al Procuratore generale presso la Corte<br />

di appello, che ne informa il Ministro della giustizia, l'autorizzazione<br />

del quale è condizione necessaria per procedere per il delitto di falsa<br />

testimonianza.<br />

Le norme richiamate del codice di procedura penale intendono<br />

salvaguardare gli interessi politici, militari o comunque pubblici dello<br />

Stato e consentono pertanto solo al Governo di eliminare con provvedimento<br />

pienamente discrezionale, debitamente valutata l'importanza<br />

e la gravità delle notizie degli atti e dei documenti richiesti, il vincolo<br />

del segreto per gli impiegati, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un<br />

pubblico servizio. L'applicazione di tali norme anche all'attività compiuta<br />

dalle Commissioni di inchiesta rischia in molti casi di frustrare<br />

gli scopi stessi per cui l'inchiesta è stata preordinata, in quanto potrebbe<br />

costituire un insormontabile ostacolo giuridico e procedurale al-<br />

23.


642 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

l'accertamento dei fatti appunto su cui l'indagine deve far luce, ed<br />

impedirebbe quindi l'esercizio concreto dell'attività di controllo.<br />

L'unica soluzione al problema derivante dalla necessità di applicare<br />

anche nell'ipotesi di Commissione di inchiesta le citate norme<br />

del codice di procedura penale, può essere trovata sul piano politico,<br />

tenuto conto del meccanismo del sistema parlamentare e della dinamica<br />

dei rapporti Parlamento-Governo. Poiché, infatti, la possibilità di allentare<br />

o addirittura eliminare in certe ipotesi il segreto di ufficio è lasciata<br />

al Governo, nel quadro di quella sua sfera di discrezionalità che è<br />

sottoposta al controllo politico delle Camere in relazione alla responsabilità<br />

politica ministeriale, spetterà alla Commissione e in ultima analisi<br />

alle Camere di trarre le conseguenze politiche dall'eventuale decisione<br />

del Governo che certe notizie utili all'inchiesta devono rimanere<br />

segrete.<br />

L'ultimo comma dell'art. 136 Reg. intende risolvere gli inconvenienti<br />

derivanti dal contemporaneo operare di due Commissioni parlamentari<br />

di inchiesta deliberate autonomamente dalle due Camere su<br />

identica materia. Tali inconvenienti consistono essenzialmente nella<br />

possibilità di una diversa impostazione del lavoro di indagine e del<br />

reperimento di informazioni diverse, e nella possibilità, quindi, di giungere<br />

a conclusioni diverse, se non addirittura contrastanti.<br />

Per ovviare a tali inconvenienti la norma citata dispone che le due<br />

Commissioni « possono, d'accordo, procedere in comune ». La corrispondente<br />

norma del Reg. Senato (art. 115, secondo comma) stabilisce,<br />

invece, che le due Commissioni « possono, d'accordo, deliberare di formare<br />

un'unica Commissione ». La difformità fra le due disposizioni<br />

può essere sanata in sede di applicazione avendo riguardo alla maggiore<br />

elasticità della norma contenuta nel Reg. Camera, poiché se il<br />

« procedere in comune » non presuppone necessariamente la formazione<br />

di un'unica Commissione, nemmeno espressamente la vieta, in quanto può<br />

ritenersi essere appunto la costituzione di una sola Commissione il modo<br />

concreto più opportuno per procedere in comune. Resta però il possibile<br />

inconveniente che le Commissioni originariamente costituite dalle due<br />

Camere siano composte da numero diverso di membri sicché si determinerebbe<br />

la prevalenza dei componenti di un ramo del Parlamento<br />

rispetto ai componenti dell'altro ramo, urtandosi in tal modo contro<br />

il principio che affida uguali poteri a entrambe le Camere per quanto<br />

riguarda sia l'attività legislativa sia quella ispettiva. Inoltre le due<br />

Camere potrebbero aver assegnato tennini diversi alle Commissioni per<br />

la presentazione della relazione, e difformità anche sensibili potrebbero


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 643<br />

derivare dal diverso sistema con cui i due Regolamenti disciplinano il<br />

modo per rispettare il principio fissato dalla Costituzione della proporzionalità<br />

dei Gruppi.<br />

Per ovviare a tutti i suddetti inconvenienti di fatto, si è ritenuto<br />

opportuno, quando entrambe le Camere hanno voluto esercitare il diritto<br />

di inchiesta, istituire una apposita Commissione mista o mediante<br />

una legge formale o mediante l'approvazione di un documento uguale<br />

da parte delle due Camere (7).<br />

A prescindere dalle perplessità cui può dar luogo, anche con riferimento<br />

all'efficacia della deliberazione nei confronti dei terzi, l'adozione<br />

di un sistema che, pur prevedendo la duplice votazione su uno<br />

stesso testo, non si concreta in un procedimento legislativo, a prescindere<br />

da ciò, si diceva, nei suddetti casi di deliberazione contestuale di<br />

un'inchiesta può chiedersi quali conseguenze abbia un eventuale voto<br />

difforme nelle due Camere e in particolare la mancata approvazione da<br />

parte di una Camera dopo il voto favorevole della prima. Può la Camera<br />

che intende aprire l'inchiesta procedere autonomamente con un<br />

nuovo atto (sia esso una proposta, una mozione, un ordine del giorno)<br />

per istituire una Commissione composta solo da suoi membri? L'eventuale<br />

risposta negativa al quesito comporterebbe la conseguenza che<br />

una Camera, per effetto della volontà contraria dell'altra, si vedrebbe<br />

privata di quel diritto a deliberare un'inchiesta che l'art 82 Cost attribuisce<br />

in modo esplicito a ciascun ramo del Parlamento, confermando il<br />

principio, chiaramente espresso nell'art. 94 Cost., che se la funzione ispettiva,<br />

come quella legislativa, spetta alle due Camere, esse però possono<br />

esercitarla autonomamente e disgiuntamente.<br />

Bisogna, però, chiarire che la suddetta ipotesi di contrasto fra le<br />

due Camere appare comunque essenzialmente di scuola, in quanto di<br />

regola il procedimento che porta alla deliberazione di una Commissione<br />

interparlamentare di inchiesta è preceduto, naturalmente, da una serie<br />

di accordi informali fra i rappresentanti dei due rami del Parlamento<br />

La possibilità di ricorrere ad una legge per deliberare un'inchiesta<br />

ha dato luogo a qualche perplessità di ordine giuridico-costituzionale.<br />

Da un lato si è potuto affermare, infatti, che la Costituzione, dalla quale<br />

(7) Questo secondo sistema è stato adottato solo una volta, nel 1955, per l'istituzione<br />

dell'inchiesta parlamentare sulle condizioni dei lavoratoli La comunicazione a<br />

firma dei Presidenti delle due Camere, dell'avvenuta deliberazione e il testo del documento<br />

furono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale fra le comunicazioni del Parlamento.


644 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

deriva il fondamento giuridico del diritto di inchiesta (8), ha provveduto<br />

a disciplinare in termini espliciti e tassativi i modi con cui un'inchiesta<br />

può essere deliberata, escludendo pertanto il ricorso a diverse<br />

procedure (9).<br />

Al contrario si è detto che la norma dell'art. 82 Cost. ha voluto<br />

attribuire in modo inequivocabile a ciascuna Camera il diritto di deliberare<br />

un'inchiesta, eliminando tutti gli inconvenienti che in materia<br />

si erano, lamentati in precedenza, nel silenzio sull'argomento dello Statuto<br />

albertino, ma con ciò ha escluso soltanto la necessità di una legge<br />

di inchiesta, non la possibilità di approvare quest'ultima che, integrando<br />

quanto dalla norma costituzionale stabilito, soddisfi particolari esigenze<br />

determinate da circostanze di fatto. Si è visto ad esempio, che la legge<br />

è parsa lo strumento più opportuno con il quale le Camere possono<br />

entrambe deliberare un'inchiesta e costituire un'unica Commissione interparlamentare,<br />

superando le difficoltà e gli inconvenienti a cui può<br />

dar luogo l'applicazione delle norme regolamentari.<br />

Altro è, invece, il problema se con legge è possibile ampliare i poteri<br />

conferiti dalla Costituzione alle Commissioni di inchiesta. Per dare<br />

risposta positiva al problema, si è detto autorevolmente in dottrina ed<br />

anche in sede parlamentare che con l'approvazione di una legge di inchiesta<br />

si realizza una fattispecie diversa da quella disciplinata dall'art.<br />

82 Cost., che mira esclusivamente a consentire la deliberazione<br />

di una inchiesta da parte di una sola Camera e che, se non vieta l'approvazione<br />

di una legge in materia, non ne limita nemmeno il contenuto.<br />

Altrettanto autorevolmente si è argomentato in contrario che la<br />

citata norma costituzionale non si limita a riconoscere a ciascuna Camera<br />

il diritto di inchiesta regolandone l'esercizio, ma disciplina in termini<br />

generali il modo con cui la funzione ispettiva è esercitata tramite<br />

l'inchiesta indipendentemente dalla forma procedurale con cui è disposta<br />

l'inchiesta stessa.<br />

Per quanto riguarda il modo con cui la Commissione d'inchiesta<br />

deve organizzare i suoi lavori e la procedura cui deve attenersi nell'ese-<br />

(8) In tal modo non sussiste più la necessità di giustificarlo solo nei limiti di<br />

un potere implicito e connaturato nelle Camere, in quanto mezzo necessario per l'esercizio<br />

degli altri poteri relativi alle funzioni di competenza delle Camere stesse.<br />

(9) Contro la costituzionalità della legge istitutiva di una inchiesta si è detto<br />

anche che la circostanza che pure essa, naturalmente, deve venire promulgata la rende<br />

inammissibile, in quanto con la promulgazione il Presidente della Repubblica interferirebbe<br />

da un lato sul problema se si debba addivenire o no alla deliberazione dell'inchiesta,<br />

e dall'altro sull'attività ispettiva di competenza esclusiva delle Camere. L'obiezione<br />

va ovviamente valutata in relazione alla natura giuridica che si attribuisce all'atto<br />

di promulgazione.


La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo 645<br />

guire i compiti affidatile, nessuna disposizione regolamentare disciplina<br />

la materia. Solo l'art. 137 stabilisce che quando una Commissione ritenga<br />

opportuno di trasferirsi o di inviare qualcuno dei suoi membri<br />

fuori della sede del Parlamento, deve informarne il Presidente e chiederne<br />

facoltà (10). La ragione della norma citata deve ricercarsi nella<br />

eccezionalità del fatto che alcuni membri della Camera possano svolgere<br />

funzioni inerenti al mandato parlamentare fuori della sede del<br />

Parlamento.<br />

Per la procedura dei lavori, nel silenzio del Regolamento, si deve<br />

ritenere che la Commissione non sia tenuta ad osservare particolari formalità.<br />

Per ragioni di funzionalità, essa dovrà comunque procedere alla<br />

sua costituzione mediante la nomina di un Presidente e di uno o più<br />

Vicepresidenti (con l'incarico di sostituire il primo in caso di assenza<br />

o di impedimento) e Segretari. Per snellire e agevolare i suoi lavori, la<br />

Commissione potrà poi decidere la costituzione nel suo seno di sottocommissioni,<br />

le indagini e conclusioni delle quali dovranno comunque<br />

essere valutate dal plenum della Commissione.<br />

Quest'ultima esaurisce i suoi lavori con la presentazione alla Camera<br />

entro il termine stabilito, che potrà essere eventualmente prorogato<br />

dall'Assemblea (11), di una relazione conclusiva che conterrà una<br />

valutazione della situazione di fatto ed eventuali proposte risolutive, o<br />

un giudizio politico sull'operato del Governo e dell'Amministrazione, a<br />

seconda che si tratti di Commissioni di inchiesta legislative o politiche.<br />

Sembra essere ammissibile, e di fatto è stata ammessa senza discussioni,<br />

la presentazione di relazioni interlocutorie su aspetti o questioni<br />

particolari dell'argomento oggetto dell'inchiesta. Non si può escludere,<br />

poi, la possibilità che siano presentate più relazioni, una di maggioranza<br />

e un'altra, o altre, di minoranza, quando i componenti la Commissione<br />

non abbiano raggiunto un giudizio unanime sui risultati dell'inchiesta.<br />

Si è detto che con la presentazione della relazione il procedimento<br />

di inchiesta è esaurito; sulle sue conclusioni può a questo punto inserirsi<br />

(e di regola si inserisce) il giudizio dell'Assemblea, che quindi con<br />

l'inchiesta esercita a due riprese la sua funzione ispettiva: una prima<br />

volta quando delibera l'inchiesta stessa, e riconosce quindi una determinata<br />

situazione tale da rendere necessaria un'approfondita indagine, ed<br />

(10) H corrispondente art. 116 Reg. Senato dispone che la comunicazione va<br />

fatta alla Presidenza e non pone l'obbligo della richiesta di autorizzazione.<br />

(11) La proroga del termine deve essere deliberata negli stessi modi con cui era<br />

stato fissato il termine originario, e perciò eventualmente con legge, quando l'inchiesta<br />

sia stata decisa in questa forma.


646 La funzione ispettiva e il rapporto Parlamento-Governo<br />

una seconda volta quando valuta le conclusioni a cui l'inchiesta stessa è<br />

pervenuta.<br />

L'apertura di un dibattito parlamentare sui risultati dell'inchiesta<br />

non è però una conseguenza necessaria della presentazione della relazione<br />

della Commissione.<br />

In proposito né la Costituzione, né i Regolamenti contengono norme<br />

particolari. In pratica la discussione sulla relazione della Commissione<br />

può pertanto aprirsi mediante presentazione di una mozione, che produrrà<br />

i risultati tipici di tale strumento regolamentare.<br />

* • *<br />

Abbiamo così esaminato le norme che regolano gli strumenti tipici<br />

di controllo parlamentare sul Governo, previsti e disciplinati dal Regolamento.<br />

Vogliamo ora solo ricordare che alle Camere spetta anche un particolare<br />

controllo sull'attività finanziaria svolta dal Governo, controllo<br />

che dovrebbe essere attuato attraverso l'esame dei decreti registrati con<br />

riserva dalla Corte dei conti (12) e delle relaziom presentate dalla Corte<br />

stessa sulla gestione finanziaria degli enti sovvenzionati dallo Stato. A<br />

proposito dell'esame di tali relazioni, nel silenzio dei regolamenti, sia<br />

al Senato sia alla Camera si vanno definendo in via di prassi particolari<br />

procedure, soprattutto in sede di Commissioni permanenti, intese ad<br />

assicurare un sollecito e approfondito esame delle suddette relazioni<br />

della Corte dei conti.<br />

Per concludere, accenneremo al fatto che il mutato ambito dei rapporti<br />

fra Parlamento e Governo, condizionato dall'ampiezza degli interventi<br />

governativi in uno Stato moderno e dalle particolari esigenze della<br />

tecnica legislativa attuale, ha da un lato determinato una maggiore importanza<br />

dell'attività svolta dalle Commissioni a norma dei commi sesto<br />

e settimo dell'art. 38 Reg. (Commissioni in sede politica), dall'altro ha<br />

indotto a ricercare nuove procedure, che non hanno ancora trovato una<br />

disciplina regolamentare, quali quelle realizzate con le cosiddette indagini<br />

conoscitive, mutuate dagli Stati Uniti, al fine di consentire alle Commissioni,<br />

e quindi alla Camera, una più approfondita conoscenza dei problemi<br />

e delle esigenze dei settori sui quali deve incidere l'attività legislativa.<br />

[EM<strong>IL</strong>IA TRENTO BALDINI]<br />

(12) Per queste ipotesi, l'art. 43 Reg. Camera fissa un termine di un mese per<br />

la presentazione della relazione da parte della Commissione e dispone che detta relazione<br />

sia subito messa all'ordine del giorno dell'Assemblea e discussa il primo martedì<br />

successivo, al posto delle interrogazioni. Tale articolo non trova pratica applicazione.


GUIDA BIBLIOGRAFICA<br />

di Silvio Furiarti


PREMESSA<br />

Nella redazione di questo contributo bibliografico sui regolamenti<br />

e sulla procedura parlamentare si è ritenuto utile non tanto di procedere<br />

ad una individuazione bibliografica degli scritti esistenti sull'argomento,<br />

opera che avrebbe comportato, anche se attuata con criteri<br />

selettivi, di fatto solo un'elencazione di titoli brevemente annotati che<br />

di per sé sarebbe riuscita alquanto scarna, quanto di tentare la presentazione<br />

di una visione della problematica esegetica che investe, nei suoi<br />

diversi aspetti, le norme, gli usi, gli organi interni parlamentari e la loro<br />

regolazione procedurale in modo da offrire a chiunque la possibilità,<br />

sul fondamento dei titoli bibliografici descritti, di trarne alimento, e soprattutto<br />

l'interesse, per proseguire proprie personali ricerche.<br />

Non di una bibliografia vera e propria, pertanto, si tratta, e neppure<br />

di una bibliografia ragionata, la cui redazione avrebbe comportato<br />

ben altra impostazione bibliotecnica e ben altra preparazione giuridica,<br />

al di là ed al di sopra delle capacità dell'autore, quanto di un tentativo<br />

di approntare una guida di rapida consultazione e soprattutto di immediato<br />

ausilio per quanti si interessano dell'argomento.<br />

La natura particolare di questo contributo spiega e giustifica, di<br />

conseguenza, l'omissione di una categoria di titoli, quali, ad esempio,<br />

di quelli dei manuali e dei trattati di diritto pubblico e costituzionale<br />

e delle serie dei periodici, la cui indicazione risulta fondamentale nella<br />

parte generale di un lavoro di bibliografia speciale, ma che assume in<br />

genere rilevanza marginale in un contributo che ha scopi di diretta e<br />

specifica iniziazione propedeutica e che registra, per così dire, la posizione<br />

delle questioni e non le questioni stesse nella loro più o meno<br />

integrale fenomenologia bibliografica, quantitativa e qualitativa.<br />

Nell'ambito di questi limiti l'autore confida di avere operato in<br />

modo da facilitare, se non altro, l'attività di quanti in futuro intenderanno<br />

documentarsi sull'argomento ed in modo di avere richiamato<br />

l'interesse di molti altri su problemi che di per sé possono sembrare


650 Premessa<br />

aridi, ma che assumono una vivacità tutta particolare nella realtà operante<br />

del funzionamento degli istituti parlamentari.<br />

È doveroso, infine, aggiungere che, nonostante la diligenza profusa<br />

nella raccolta dei titoli, raccolta che è stata facilitata in maniera determinante<br />

dal Saggio bibliografico sulla Costituzione italiana di G. B. Arista<br />

e dal Dizionario bibliografico delle riviste giuridiche italiane del<br />

Napoletano, è umana, considerata anche la natura particolare di questa<br />

guida, la mancata citazione di più di uno scritto, e di ciò l'autore, fin<br />

da questo momento ed anticipatamente, chiede venia ai non segnalati.<br />

[S<strong>IL</strong>VIO FURLANI]


CAPO I-II-1H.<br />

Sul Diritto parlamentare vedi V. MICELI, Diritto parlamentare<br />

(Enciclopedia giuridica italiana, IV, parte V, Milano 1912, 429 segg.);<br />

O. Th. L. ZSCHUCKE, Dos Parlamentsrecht als selbstàndiger Zweig der<br />

Rechtswissenschaft (Beamten-Jahrbuch, 19, 1932, 539-544); M. PRÉLOT,<br />

Droit parlementaire francais. Cours I. E. P., 1957-58; S. Tosi, Lezioni<br />

di diritto parlamentare. Firenze, 1962; M. PRÉLOT, Introduction au droit<br />

parlementaire (Politique. Revue internationale des idées, des institutions<br />

et de la vie politique. N. S. VI, 1963, 5-16); B. BUCCIARELLI<br />

Ducei, Introduzione allo studio del diritto parlamentare (Il Foro Amministrativo,<br />

40, 1964, parte III, 115-125, e Montecitorio, XVm, n. 7-9.<br />

luglio-settembre 1964, 5-21), KLAUS FRIEDRICH ARNDT, Parlamentarische<br />

Geschaftsordnungsautonomie und autonomes Parlamentsrecht. Berlin,<br />

1966. Sull'individuazione analogica di istituti moderni del diritto<br />

parlamentare nel diritto pubblico romano cfr. F. MOHRHOFF, // diritto<br />

parlamentare e la sua genesi romanistica (Montecitorio, XIII, nr. 1, gennaio<br />

1959, 16-22). Sulla rilevanza della procedura parlamentare vedi<br />

F. COSENTINO, Note sui principi della procedura parlamentare (Comitato<br />

Nazionale per la celebrazione del primo decennale della promulgazione<br />

della Costituzione. Studi sulla Costituzione, II. Milano 1958, 395-417);<br />

R. A. CHAPMAN, The signifìcance of parliamentary procedure (Parliamentary<br />

Affairs, XVI, 1962-63, 179-187). Sulle fonti della procedura<br />

parlamentare vedi la relazione di M. ROSETTT, Les sources de la procedure<br />

parlementaire (Union Interparlementaire. Informations constitutionnelles<br />

et parlementaires, 3 e sèrie, n. 57, janvier 1964, 15-31).<br />

Sulla consuetudine e sulle altre fonti della procedura parlamentare<br />

vedi le considerazioni di F. COSENTINO nei contributi La Costituzione,<br />

il Parlamento e le consuetudini parlamentari (La Politica parlamentare,<br />

IV, 1951, 51-54), Diritto parlamentare e regolamenti (La Politica parlamentare,<br />

IV, 1951, 127-130, e / principi del regime democratico parlamentare<br />

italiano (Rassegna di politica e di storia, I, nr. 7, maggio 1955,<br />

17-21), nonché V. FALZONE, La prassi nell'ordinamento costituzionale<br />

repubblicano. Consuntivo dopo dieci anni. (Comitato Nazionale per la<br />

celebrazione del primo decennale della promulgazione della Costituzione.<br />

Studi sulla Costituzione, <strong>IL</strong> Milano, 1958, 445-475).


652 Guida bibliografica<br />

Due interessanti e stimolanti saggi relativi anche a questioni sulla<br />

rilevanza della procedura parlamentare sono dovuti a E. BLAMONT, Le<br />

respect de la hi par les Parlements (Union Interparlementaire. Informations<br />

constitutionnelles et parlementaires, 3e sèrie, m\ 16, ler novembre<br />

1953, 197-216) e a R. GOY, Des vices de la volontà parlementaire (Politique,<br />

N. S. VI, 1963, 122-145).<br />

Il problema della natura giuridica dei regolamenti parlamentari e<br />

dell'autonomia delle Camere fu avvertito dai nostri studiosi di diritto<br />

per la prima volta incidentalmente in occasione di una decisione della<br />

IV Sezione del Consiglio di Stato nel 1898, anche se questa affermazione<br />

non esclude che pur precedentemente, in Italia, come del resto<br />

anche all'estero, non mancarono saggi sulla genesi dei regolamenti stessi<br />

e sulla applicazione procedurale nell'ambito delle singole assemblee,<br />

saggi che si trovano utilmente indicati in una diligente esposizione di<br />

TEMISTOCLE MARTINES, / regolamenti parlamentari nella letteratura giuridica<br />

del passato e del presente (Il Politico, II, 1950, 324-329). Le ragioni<br />

di questo interessamento meramente incidentale per un problema<br />

di indubbio riguardo rinvengono la loro spiegazione nel fermo e pacifico<br />

convincimento della piena autonomia del ramo rappresentativo del Parlamento<br />

di fronte al terzo ramo, la Corona, per cui la determinazione<br />

dei modi dell'esercizio delle proprie attribuzioni per mezzo di un regolamento<br />

interno, a norma dell'art. 61 dello Statuto, si veniva a tradurre<br />

in un potere di autoregolazione assai esteso con incerta definizione del<br />

reale oggetto degli interna corporis. Fu, come si è detto, una decisione<br />

della IV Sezione del Consiglio di Stato su un ricorso presentato da un<br />

partecipante al concorso bandito per la costruzione di una nuova aula<br />

in Montecitorio contro un deliberato della Camera dei Deputati riunita<br />

in Comitato Segreto (testo della decisione della IV Sezione in data<br />

9 novembre 1898, n. 415, in La Giustizia Amministrativa, DC, 1898,<br />

553-557) a stimolare l'acume dei nostri giuristi in ordine ad una interpretazione<br />

della reale figura degli atti interni delle Camere, della natura<br />

dei loro regolamenti e tout court della loro autonomia. In quella<br />

decisione la IV Sezione del Consiglio di Stato era infatti pervenuta alla<br />

conclusione di non poter ravvisare « un atto amministrativo nel deliberato<br />

della Camera dei Deputati in comitato segreto » e di essere incompetente,<br />

pertanto, a decidere su un atto impugnato, dalla cui manifesta<br />

natura si rilevava la mancanza della materia su cui deliberare. Contro<br />

questa « tesi enunciata e non dimostrata dalla IV Sezione » insorse in<br />

una nota su il Foro Italiano, XXIII 1898, IH, 105-109, C. LESSONA,<br />

il quale, dopo aver premesso l'ammissibilità di un'azione giudiziaria


Guida bibliografica 653<br />

« contro gli atti dei funzionari esecutivi del Parlamento, gli atti dei<br />

Questori e gli stessi atti delle assemblee relativi all'amministrazione<br />

interna, ove riescano lesivi del diritto altrui », manifestava la certezza<br />

che « le deliberazioni di un ramo del Parlamento, emanino esse dai questori,<br />

dal Consiglio di Presidenza, o della Camera o del Senato deliberanti<br />

per affari interni in comitato segreto, hanno non solo per oggetto<br />

veri atti amministrativi, ma anche carattere di atti d'una pubblica Amministrazione<br />

dello Stato », ragion per cui « la Camera ed il Senato, in<br />

quanto provvedono alla amministrazione interna, sono corpi amministrativi<br />

deliberanti e se ledono l'interesse di individui violando la legge,<br />

emettono deliberazioni impugnabili avanti alla IV Sezione ». Se poi si<br />

dovesse obbiettare - proseguiva sempre il LESSONA - operando una distinzione<br />

tra atto amministrativo impugnabile, per esempio per violazione<br />

di legge, nel deliberato dei Questori o del Consiglio di Presidenza<br />

ed atto non impugnabile nelle deliberazioni di un ramo del Parlamento<br />

in comitato segreto attinenti al servizio interno, è chiaro che tale distinzione<br />

non avrebbe base in quanto « la forma più solenne del deliberato<br />

non toglierebbe in alcun modo all'atto il suo carattere »; perché se è<br />

vero che « la Camera od il Senato in comitato segreto possono compiere<br />

funzioni legislative o politiche, e certo in tal caso sono irresponsabili,<br />

incensurabili, onnipotenti », è altrettanto vero che il comitato segreto<br />

« quando compie atti di natura amministrativa, può del pari essere un<br />

vero corpo amministrativo deliberante, come il Senato in comitato segreto<br />

può essere corpo giudiziario quando sia costituito in Alta Corte ».<br />

Né può sostenersi, continuava il LESSONA, che il ricorso non sia ammissibile<br />

perché atto o provvedimento emanato nell'esercizio del potere politico,<br />

perché « il Parlamento esercita sempre un potere politico » con il<br />

pericolo di vedere non « senza una ridicola contorsione del significato<br />

delle parole », qualificato atto di potere politico « l'illecito licenziamento<br />

di un impiegato della Camera o del Senato ». In ordine infine all'obbiezione<br />

desumibile « dal potere regolamentare statutariamente concesso a<br />

ciascun ramo del Parlamento per determinare il modo di esercitare le<br />

proprie attribuzioni » con la conseguenza di dedurne che « una tale facoltà<br />

implica la incensurabilità assoluta d'ogni potere di carattere esecutivo<br />

del Parlamento », il LESSONA, premesso che « il potere regolamentare<br />

di ciascun ramo del Parlamento non possa in alcun modo contraddire<br />

alle leggi », replica che « sarebbe evidente che un potere esecutivo<br />

di mero carattere amministrativo, come quello di cui parliamo, non<br />

potrebbe essere contrario alle leggi senza ammettere la massima che un<br />

solo ramo del Parlamento possa derogare alla legge comune ». *


654 Guida bibliografica<br />

La legittimità, così affermata, di un esperimento di gravami amministrativi<br />

avverso atti di natura amministrativa compiuti in comitato<br />

segreto dalle Camere (e sarebbe a questo proposito ancora tutt'oggi degna<br />

di maggiore approfondimento dottrinario la figura del Comitato Segreto<br />

in un apposito saggio) e, in senso più esteso, avverso quelli che per il<br />

LESSONA sono « veri atti amministrativi » delle assemblee parlamentari,<br />

nonché « atti di una pubblica Amministrazione dello Stato » non rimase<br />

senza eco. In opposizione a quanto scritto dal LESSONA fu replicato:<br />

1) in una nota alla decisione a firma E. M. (La Giustizia Amministrativa,<br />

IX, 1898, 553-57) che l'assoggettamento della Camera alla giurisdizione<br />

amministrativa non poteva argomentarsi dalla natura degli<br />

atti che compie, né « tanto meno da quello che die argomento alla presente<br />

decisione », anche se « la Camera dei deputati ha senza dubbio un<br />

duplice carattere: è corpo politico in quanto adempie alle sue funzioni<br />

statutarie; ma fuori di queste... negli atti della sua gestione interna, se<br />

pure rivesta in tal caso il carattere di persona giuridica e di corpo morale,<br />

non entra perciò nell'orbita della pubblica amministrazione, ed è<br />

quindi soggetta al Codice civile, ma non a quello amministrativo; potrà<br />

trovarsi in giudizio innanzi ai tribunali ordinari, non a quelli amministrativi<br />

»;<br />

2) in un articolo di L. CRISTOFANETTI (Se vi siano atti amministrativi<br />

del Senato e della Camera dei Deputati impugnabili avanti la<br />

IV Sezione del Consiglio di Stato, in La Legge, XXXIX, 1899, Voi. I,<br />

33-35) con la constatazione che « il Senato e la Camera dei deputati non<br />

son mai organi dell'amministrazione, rimangono sempre organi costituzionali,<br />

anche quando attendono ad amministrare, a gerire il loro patrimonio,<br />

la loro dotazione, ad organizzare i loro unici interni amministrativi<br />

per il disbrigo materiale delle loro attribuzioni legislative, delle<br />

loro funzioni costituzionali » e con l'avvertenza che l'opinione del LES­<br />

SONA si basava su una confusione di termini, e precisamente « nella identificazione<br />

del concetto: atto di amministrazione, comune a ogni persona<br />

fisica o giuridica, con l'altro: atto o provvedimento amministrativo<br />

che il nostro diritto pubblico positivo adopera specificamente per i<br />

soli atti emanati dalle autorità amministrative e per lo scopo diretto o<br />

indiretto di garentire l'ordine giuridico, di promuovere il pubblico benessere,<br />

o di organizzare gli uffici, di procurarsi i mezzi per ottenere poi<br />

questo stesso scopo », scopo che difetta assolutamente negli atti interni<br />

di amministrazione dei due rami del Parlamento, ove sussiste « solo quello<br />

di gerire, di amministrare un patrimonio, in quanto anche ciò è neces-


Guida bibliografica 655<br />

sario perché esse [le Camere] adempiano agli scopi costituzionali propri<br />

della loro essenza »;<br />

3) in una nota del SANTI ROMANO (Gli atti di un ramo del Parlamento<br />

e la loro pretesa impugnabilità dinanzi la IV Sezione del Consiglio<br />

di Stato, in II Circolo Giuridico, XXX, 1899, 77-86, ripubblicato negli<br />

Scritti minori, Milano 1950, Voi. n, 149-155) che esamina la questione<br />

tanto sotto il profilo della natura giuridica da assegnarsi agli atti compiuti<br />

da un solo ramo del Parlamento quanto dal punto di vista dei limiti<br />

riconoscibili alla competenza della IV Sezione del Consiglio di Stato.<br />

Afferma il ROMANO, in ordine alla natura degli atti, che ciascun ramo<br />

del Parlamento compie atti giurisdizionali, atti di governo ed « altri atti<br />

che non possono in alcun modo e per nessuna ragione differenziarsi, né<br />

pel contenuto né per la forma, dagli atti compiuti dalle autorità amministrative<br />

propriamente dette » e che una tendenza generale t inclina<br />

a sottrarre, quanto più è possibile, gli atti anche d'una sola delle Camere<br />

ad altri controlli che non siano i parlamentari », quale conseguenza e di<br />

quel caos indistinto ed ancora male analizzato dall'indagine scientifica<br />

che è il complesso degli atti cui si dà il nome é y interna corporis, la cui<br />

assoluta insindacabilità deve riconoscersi non solo quando essi servono<br />

di preparazione all'attività legislativa che per loro mezzo si compie, ma<br />

anche quando versano in tutt'altra attività ».<br />

A mo' di conclusione, gli interna corporis esistono senza dubbio alcuno<br />

anche se di incerta nozione e natura, ed « il fatto che la dommatica<br />

del diritto pubblico non ha ancora formulata la giustificazione teoretica<br />

del principio, non può certo indurre a sconoscere il principio<br />

stesso ». Avverte tuttavia il ROMANO che sul coacervo amorfo degli interna<br />

corporis a poco a poco si è proiettato un raggio di luce che tende<br />

ad affievolire l'insindacabilità assoluta dell'attività dei rami del Parlamento<br />

: « la grande regola [della] competenza giudiziaria nella difesa<br />

dei diritti civili e politici » che svolge una funzione qualificatrice, in maniera<br />

che « il fatto stesso che ci sono senza dubbio dei casi in cui le Camere<br />

possano essere tradotte in giudizio deve bastare per far venir meno<br />

la tendenza che escluderebbe tale ipotesi per gli atti amministrativi;<br />

giacché siffatta tendenza potrebbe solo giustificarsi col proclamare l'assoluta<br />

insindacabilità dei rami del Parlamento, che non trova riscontro<br />

nei fatti ». In questo primo stadio della sua indagine sulla natura degli<br />

atti compiuti dal Parlamento che lo stimolerà ad esaminare sistematicamente<br />

alcuni anni dopo la fonte di questa attività, i regolamenti parlamentari,<br />

il ROMANO, pur non qualificando ancora la natura degli atti<br />

stessi, sostiene tuttavia già l'esclusione dagli interna corporis degli atti


656 Guida bibliografica<br />

assimilabili a quelli amministrativi veri e propri, atti che nella seconda<br />

parte del suo saggio egli tuttavia sottrae al sindacato della IV Sezione<br />

del Consiglio di Stato. A questa conclusione il ROMANO perviene non<br />

perché egli neghi l'esistenza di atti amministrativi compiuti dalle Camere<br />

o perché accolga l'applicazione del principio degli interna corporis<br />

anche a tali atti, ma per la ragione che la natura del controllo esercitato<br />

dalla IV Sezione del Consiglio di Stato non è, a suo avviso, attività di<br />

giurisdizione amministrativa, ma di giustizia amministrativa contenziosa.<br />

Ne consegue che le attribuzioni della IV Sezione del Consiglio di Stato<br />

si traducono in « un controllo interno a quella parte d'amministrazione<br />

che, per usare la vecchia terminologia, vien designata col nome di « potere<br />

esecutivo». Più precisamente: «Solo gli atti che emanano dal re,<br />

dalla gerarchia a lui subordinata e dai corpi autarchici soggetti alla vigilanza<br />

governativa possono essere annullati dalla IV Sezione. Non così<br />

quelli che emanano da autorità e collegi che sono assolutamente indipendenti<br />

dal governo, di fronte al quale hanno una competenza coordinata<br />

e non subordinata. Il che può confermarsi osservando che in generale<br />

è da ritenersi ammissibile il ricorso alla IV Sezione, nei casi in cui<br />

ammissibile sarebbe il ricorso al re in sede amministrativa ».<br />

Ad identica soluzione perviene F. CAMMEO (La competenza della<br />

IV Sezione sugli atti amministrativi delle autorità non amministrative<br />

e la posizione costituzionale della Corte dei Conti; Giurisprudenza italiana,<br />

55, 1903, IV, 177-219). Sussiste una distinzione fondamentale<br />

negli atti di funzione amministrativa compiuti dagli organi legislativi<br />

tra atti deliberati in forma di legge col concorso di tutte e tre gli organi<br />

ed atti deliberati collegialmente o con deliberazione delle loro presidenze<br />

da una delle Camere separatamente, come « gli atti emanati per<br />

la polizia delle udienze (espulsione di disturbatori) e quelli disciplinari<br />

sui membri delle Camere (censura, esclusione dalle sedute); gli atti relativi<br />

alla nomina e alla carriera degli impiegati delle Camere stesse; gli<br />

atti di gestione dei loro interessi patrimoniali (appalti di lavori, forniture,<br />

ecc. ecc.) ». Per quanto concerne la rilevanza o meno di atto<br />

amministrativo degli ordini del giorno delle Camere che approvano o sollecitano<br />

un provvedimento di governo il CAMMEO è dell'opinione che<br />

ciò non influisce menomamente sulla competenza della IV Sezione, anche<br />

se in un'occasione con decisione 23 aprile 1897 quest'ultima ritenne<br />

legittima la modificazione dell'organico di un ministero impugnata per<br />

difetto di approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, ma emanata<br />

in base ad un ordine del giorno della Camera (Giurisprudenza italiana,<br />

49, 1897, III, 165-170, con nota dello stesso CAMMEO). Constatata


Guida bibliografica 657<br />

la mancanza di un requisito di legalità non può supplirvi in alcun modo<br />

sostanzialmente e giurìdicamente l'ordine del giorno della Camera.<br />

e L'ordine del giorno - così il CAMMEO nella nota alla decisione del 1897 -<br />

di un ramo del parlamento non ha e non può avere, ove non concerna il proprio<br />

regolamento o non decida sopra un'elezione, alcun valore giuridico, né come<br />

atto legislativo, né come atto amministrativo. Come atto legislativo non può<br />

valere, perché non è votato dall'altro ramo del parlamento, e non è sanzionato<br />

dal re. Come atto amministrativo non può nemmeno considerarsi, perché anche<br />

gli atti amministrativi attribuiti al parlamento debbono compiersi sotto forma<br />

di legge col concorso delle due Camere e la sanzione regia. Gli ordini del giorno,<br />

anche votati dalle due Camere, non sono che un'esplicazione della funzione di<br />

controllo attribuita al parlamento, fissi esprimono una intenzione, un desiderio<br />

delle Camere: forniscono al governo l'indicazione della linea di condotta che<br />

esso deve seguire per ottenere la fiducia; accordano o negano codesta fiducia.<br />

Essi non possono quindi avere altro effetto che in ordine alla responsabilità<br />

politica di un ministero o di un singolo ministro, in quanto possono determinarne<br />

la caduta: ma non hanno e non possono avere conseguenze diverse e<br />

maggiori. Gli atti amministrativi emanati dal governo in seguito ad un ordine<br />

del giorno non hanno efficacia diversa, che se quell'ordine del giorno non fosse<br />

stato votato. La responsabilità dell'amministrazione di fronte ai controlli giudiziari<br />

ed amministrativi rimane intera ». Ed ancora nel saggio del 1903 : « Ove...<br />

uno o anche tutti e due i rami del parlamento abbiano espresso un voto non<br />

uT forma di legge ma con ordine del giorno sia per approvare un atto emanato<br />

dal poter eesecutivo, sia per provocarne l'emanazione, ciò non influisce menomamente<br />

sulla competenza della IV Sezione. La manifestazione di uno o di entrambi<br />

i rami del parlamento non essendo in quella forma, legge, non converte<br />

in atto legislativo e perciò insindacabile il provvedimento dell'amministrazione.<br />

Il voto non attiene se non alla responsabilità politica del ministero; può provocarne<br />

o impedirne la caduta; ma non ha altri effetti. La responsabilità giuridica<br />

degli organi amministrativi rispetto a tutti i controlli non parlamentari<br />

e specialmente rispetto ai controlli giurisdizionali rimane integra, giacché i ministri<br />

non sono giuridicamente obbligati a ottemperare ai voti delle Camere<br />

potendo sempre o proporre una legge che sanzioni il provvedimento da prendersi,<br />

o dimettersi, o provocare dal re lo scioglimento della Camera dei deputati<br />

o la modificazione della composizione del Senato. Un ricorso prodotto<br />

contro un atto amministrativo emesso dal governo in conformità del voto non<br />

impugna il voto stesso, che, essendo un parere e un parere che non è obbligatorio<br />

seguire, non crea alcun rapporto giuridico e che conserva sempre come<br />

voto la sua importanza politica; il ricorso è semplicemente rivolto contro l'atto<br />

dèJTgoverno, chè~"è il^vero~negoziò~giuridico. Di qui la piena ammissibilità del<br />

ricorso alla IV Sezione. L'ordine del giorno delle camere non potrebbe nemmeno<br />

essere di ostacolo al ricorso alla IV Sezione, in quanto di per se solo sia<br />

capace di~convertire* un provvedimento in un atto di potere politico, sottratto<br />

*come"talé~alla^conoscenza~del nostro tribunale amministrativo per l'art 24<br />

della legge 2 giugno 1889. Infatti il carattere di atto politico procede dalla intrinseca<br />

finalità dell'atto di provvedere alla sicurezza interna o estera dello<br />

24.


658 Guida bibliografica<br />

Stato o ai rapporti fra il legislativo e l'esecutivo. L'ordine del giorno non determina<br />

da solo cotale finalità; può tutt'al più in determinati casi e quando concorrano<br />

circostanze obbiettive esserne un indizio ».<br />

Anche secondo lo ZANOBINI (Gli atti amministrativi delle autorità<br />

non amministrative e la competenza della IV Sezione del Consiglio di<br />

Stato, Rivista di diritto pubblico, X, 1918, II, 232-352) i provvedimenti<br />

degli atti di amministrazione interna delle Camere non sono impugnabili<br />

presso il Consiglio di Stato. Un'esposizione organica di tutta questa<br />

problematica in due parti (fondamento, storia e forme di esercizio dell'autonomia<br />

amministrativa ed economica delle assemblee legislative; esame<br />

di alcune questioni di diritto pubblico e privato a cui dà luogo questa<br />

autonomia o che con essa si connettono) trovasi nella monografia di<br />

C. FINZI, L'autonomia amministrativa ed economica delle assemblee legislative.<br />

Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1934, e più recentemente<br />

in un saggio di A. SAVIGNANO (Gli atti amministrativi delle<br />

camere parlamentari e la loro sindacabilità, in Rassegna di diritto pubblico,<br />

XV, 1960, 626-663) il quale, dalla constatazione che « la posizione<br />

attribuita al Parlamento nell'attuale sistema non è quella stessa dell'ordinamento<br />

albertino » e che « pur trovandosi nella nuova carta costituzionale<br />

numerose disposizioni che lasciano supporre la sopravvivenza<br />

del principio della insindacabilità degli atti delle Camere, tuttavia la posizione<br />

costituzionale delle stesse è chiaramente mutata », perviene alla<br />

conclusione che « relativamente agli atti a tipo amministrativo promananti<br />

dalle Camere parlamentari, debba affermarsi, una volta esclusa<br />

la loro assoggettabilità al sindacato del Consiglio di Stato, la competenza<br />

della autorità giudiziaria ordinaria ». Trattandosi, in tal caso, tuttavia,<br />

di una tutela giurisdizionale imperfetta, secondo il SAVIGNANO, rimane<br />

solo « la via dell'abrogazione dell'insindacabilità degli atti di amministrazione<br />

interna compiuti dalle Camere », perché « la riforma della disciplina<br />

giuridica prevista nei regolamenti parlamentari ovvero l'ampliamento<br />

della competenza del Consiglio di Stato... non solo costituirebbe<br />

il necessario adeguamento della legislazione ordinaria ai mutati<br />

principi, cui è ispirato l'attuale ordinamento costituzionale dello Stato,<br />

ma risponderebbe anche all'esigenza di assicurare una più perfetta tutela<br />

giurisdizionale degli interessi o diritti dei privati cittadini eventualmente<br />

lesi da un provvedimento a tipo amministrativo delle Camere parlamentari<br />

».<br />

Sulla legittimità di un'azione giudiziaria civile contro gli atti di<br />

tipo amministrativo delle Camere per danni di natura patrimoniale non


Guida bibliografica 659<br />

sussìste, come si è visto, incertezza alcuna nella dottrina e nella giurìsprudenza,<br />

come si ricava da due sentenze del 1904 (Giurisprudenza Italiana,<br />

56, 1904, 5, 889-899).<br />

Nella prima di queste sentenze fu fissato che • l'autorità giudiziaria non<br />

opera verun sindacato sull'esercizio della funzione legislativa nell'esaminare la<br />

questione se la Camera dei Deputati avesse incontrata una obbligazione contrattuale<br />

verso privati, di cui le sia divenuto impossibile o le sia impedito<br />

l'adempimento in seguito a voto della stessa Camera, sopra un progetto di<br />

legge relativo a quella materia; e se, per conseguenza, essa debba risarcire i<br />

danni secondo le norme del codice civile. La questione è, pertanto, di competenza<br />

giudiziaria; nella seconda (estensore L. MORTARA), pur venendo confutata<br />

la tesi che discerne < nella Camera dei Deputati una personalità di diritto privato,<br />

fornita di diritti patrimoniali, diversa dalla personalità di diritto pubblico<br />

investita del potere legislativo », si riconosce che « non come conseguenza della<br />

loro natura e nemmeno come condizione essenziale del loro ufficio politico,<br />

ma come prerogativa utile all'esercizio di questo, ciascuna Camera, pur mancando<br />

di ogni requisito e presupposto di personalità giuridica, compie ordinariamente<br />

una serie di atti nei quali, ad un contenuto reale di sovranità si accompagnano<br />

forme giuridiche proprie del diritto privato, come nomine di impiegati<br />

e serventi, provviste di carte, stampe, forniture d'altro genere, ecc. Questa<br />

attività non ha per substrato la personalità giuridica della Camera, ma la disponibilità<br />

dei fondi stanziati nel suo bilancio interno, fi in contemplazione di<br />

questi, cioè nei limiti della dotazione, che ciascuna Camera compie i predetti<br />

atti con le forme del diritto patrimoniale e contrattuale. Si potrebbe dire, in<br />

via di approssimazione, che nel compierle obbliga il proprio bilancio, non sé<br />

stessa, come un amministratore di beni altrui o un erede beneficiato obbliga<br />

il patrimonio amministrato e non il proprio... Non contraddice a questi concetti,<br />

la soggettività processuale riconosciuta alle Camere ed esplicantesi per organo,<br />

delle rispettive presidenze. Questa è pure una anomalia giuridica, connessa inscindibilmente<br />

alla prerogativa di compiere, come che sia e in qualsivoglia<br />

misura, atti patrimoniali donde nascono diritti ed obblighi concreti e determinati,<br />

ai quali non può essere negata la garanzia giurisdizionale a favore dei<br />

terzi o contro di essi. Ma non da ciò deriva che sia lecito attribuire personalità<br />

giuridica alle Camere; esse sono esclusivamente comitati politici, come le dichiara<br />

la dottrina, organi di rappresentanza politica della nazione e di potere<br />

legislativo, come le qualifica lo statuto ». In verità, e i regolamenti interni delle<br />

due Camere, che per l'art 61 dello statuto possono essere parificati nell'autorità<br />

loro alle leggi, contengono numerose disposizioni le quali contemplano l'esplicazione<br />

della predetta attività giuridica, ne regolano in parte le forme, ne designano<br />

gli organi competenti. Dove vi è esercizio di diritti e di doveri giuridici,<br />

non può mancare la possibilità dell'esercizio di azioni giudiziarie per la correlativa<br />

sanzione giurisdizionale. Quindi non è impossibile che il Senato e la<br />

Camera dei Deputati debbano comparire in giudizio come "parti in causa"»,<br />

cfr. L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile.<br />

IV ed. Milano 1923, II, 697-700.


660 Guida bibliografica<br />

Al quesito se la Camera abbia o no personalità giuridica ha dato<br />

una precisa risposta in uno scritto postumo UBALDO COSENTINO, La Camera<br />

ha personalità giuridica? (La Politica parlamentare, VI, 1953,<br />

77-78), dove si opera una chiara distinzione tra la Camera, organo costituzionale,<br />

la cui personalità giuridica si sostanzia in quella dello Stato e<br />

la Camera che, nel compimento di atti di gestione, esercita ed afferma,<br />

nell'orbita del diritto privato, « la propria personalità giuridica, indipendentemente<br />

- in questo campo - da quella dello Stato ».<br />

e Né sembri contraddittoria - conclude il COSENTINO - la sistemazione<br />

giuridica data alla difficile materia sottoposta oggi al nostro esame: data la<br />

situazione veramente singolare della Camera nel sistema del nostro diritto,<br />

nulla di anormale che la questione della sua personalità giuridica si risolva a<br />

seconda del punto di vista in cui si pone, in relazione alle sue profondamente<br />

diverse attribuzioni.<br />

Quando opera come potere legislativo alla Camera non potrebbe attribuirsi<br />

una personalità giuridica che non sia quella stessa dello Stato (salve "le prerogative<br />

d'indole eccezionale inerenti alla sua qualità di sovrano corpo collegiale:<br />

tutela penale del suo prestigio, ecc.): quando invece agisce come amministratrice,<br />

essa può, se vuole, assumere la personalità necessaria per il raggiungimento,<br />

in questa secondaria forma della sua attività, dei suoi scopi, nell'ambito<br />

del diritto privato ».<br />

Sotto il profilo particolare dell'autonomia contabile che è « la potestà<br />

di erogare autonomamente i fondi necessari al perseguimento delle<br />

finalità proprie », mentre l'autonomia amministrativa consisterebbe nel<br />

fatto di avere « un'amministrazione distinta ed autonoma rispetto al Potere<br />

esecutivo », le assemblee legislative sono oggetto di un esame in<br />

una monografia di S. BUSCEMA (Autonomia contabile degli organi costituzionali.<br />

Padova, 1958). L'autore, dopo aver constatato l'esistenza<br />

di un sistema anomalo « in quanto l'assegnazione dei fondi viene fatta...<br />

per mezzo del bilancio statale e quindi su proposta del Governo e con<br />

l'approvazione di ciascuna delle due Camere, mentre la rendicontazione<br />

diviene un fatto interno di ciascuna Assemblea », ravvisa la necessità<br />

« di conciliare l'esigenza autonomistica delle Assemblee legislative con<br />

l'unità del bilancio statale » (pag. 79) e censura l'illegittimità della prassi<br />

seguita in alcune parti del procedimento contabile autonomo delle Camere.<br />

Il BUSCEMA nota infine che se è giusta per i rendiconti delle assemblee<br />

legislative, la deroga all'accertamento della corretta gestione<br />

del pubblico denaro, che riguarda gli organi come tali, non è giustificata<br />

la sottrazione alla giurisdizione contabile della Corte dei Conti, la quale<br />

non riguarda gli organi come tali, ma le singole persone che hanno maneggio<br />

di pubblico denaro (pag. 92-100); e, dopo aver auspicato una di-


Guida bibliografica 661<br />

sciplina generale dell'autonomia contabile in generale e per gli organi<br />

costituzionali in particolare, ravvisa l'opportunità, per le assemblee legislative,<br />

di una legislazione adeguata sull'autonomia contabile, sulla<br />

determinazione della parte variabile dell'indennità parlamentare e sulla<br />

estensione della giurisdizione contabile della Corte dei Conti.<br />

All'estero, ha subito notevoli limitazioni, con un'ordinanza del<br />

17 novembre 1958, la tradizionale autonomia amministrativa delle assemblee<br />

legislative francesi, come rileva F. LE RECLUS, Les fmances des<br />

Chambres frangaises (Politique. N. S., VI, 1963, 176-191). Per quanto riguarda<br />

in particolare gli atti amministrativi, è stata riconosciuta la competenza<br />

degli organi di giustizia amministrativa non solo su tutti gli<br />

atti di gestione interna, ma addirittura su quelli attinenti allo stato giuridico<br />

degli impiegati delle assemblee in modo da esautorare i poteri<br />

dell'Ufficio di Presidenza tanto nei casi di controversie con terzi, quanto<br />

nelle questioni attinenti al personale alle proprie dipendenze. Di rilievo<br />

non minore sono le disposizioni fissate dall'ordinanza medesima in ordine<br />

all'autonomia finanziaria. È stabilito infatti che i crediti necessari<br />

al funzionamento delle assemblee legislative sono determinati su proposta<br />

di una Commissione composta dai Questori di ambedue le assemblee,<br />

commissione presieduta da un presidente di sezione della Corte<br />

dei Conti, ed assistita da due magistrati con voto consultivo. Questa<br />

norma, come nota C. BONÉFANT, L'autonomie financière et administrative<br />

des assemblées parlementaires en France (1789-1960), in Revue de<br />

science financière, 53, 1961, 293-326, è in palese contraddizione con<br />

l'autonomia finanziaria riconosciuta a ciascuna assemblea dalla stessa<br />

ordinanza, perché questa autonomia non sussiste nei riguardi del solo<br />

potere esecutivo, ma anche nei riguardi dell'altro ramo del Parlamento,<br />

il che non può essere in caso di deliberazione comune di due organi autonomi.<br />

A ciò si aggiunga l'introduzione di un'autorità estranea alle assemblee<br />

- la Corte dei Conti - nella determinazione stessa dei bilanci<br />

interni, introduzione che non si limita ad una funzione consultiva ma<br />

che si estende alla presidenza della commissione che provvede alla formazione<br />

del bilancio, assunta da un presidente di sezione della Corte dei<br />

Conti, quando è noto che « l'autonomia di un organo... implica che le sue<br />

deliberazioni siano presiedute da uno dei suoi membri e non da un<br />

funzionario designato da un'altra autorità » (pag. 317). Infine è negata,<br />

nella ordinanza del 1958, anche la capacità processuale della Camera<br />

dei Deputati in quanto il Presidente di assemblea intervenendo in giudizio,<br />

non assume più la rappresentanza giuridica della Camera» ma<br />

quella dello Stato, che «è responsabile dei danni di qualsiasi genere


662 Guida bibliografica<br />

causati dai Servizi delle Assemblee parlamentari » (art. 8 dell'Ordinanza).<br />

Secondo il BONÉFANT, pertanto, « l'Ordinanza non riconosce ai servizi<br />

delle Assemblee il carattere di autorità partecipanti all'indipendenza<br />

assoluta del potere legislativo e poste per questa ragione al di fuori della<br />

gerarchia normale », e, ponendo lo Stato al di sopra dei Poteri, il cui<br />

funzionamento è disciplinato da norme e da giurisdizioni comuni, decreta<br />

l'inapplicabilità di queste norme e di queste giurisdizioni alle assemblee<br />

parlamentari, sì da far constatare « che i servizi dell'Organo<br />

legislativo non godono della personalità conferita a certi organismi dipendenti<br />

dall'Esecutivo ». È dubbio che all'attribuzione della rappresentanza<br />

processuale dello Stato al Presidente di un'assemblea legislativa<br />

debba conferirsi la particolare rilevanza giurìdica dedotta dal BONÉFANT<br />

in ordine all'annullamento dell'autonomia amministrativa dell'assemblea<br />

stessa: in Germania, infatti, fu adottata nel primo dopoguerra, la stessa<br />

norma, risolvendo, come scrive il Fmzi, L'autonomia ecc. cit. pag. 144,<br />

« la questione... nel senso più logico e più confacente al prestigio delle<br />

due Assemblee », norma che è valida ancora oggi, anche se non espressamente<br />

recepita nella Costituzione della Repubblica Federale tedesca,<br />

e senza che ne risultasse in qualsiasi modo affievolito il principio dell'autonomia<br />

amministrativa del Bundestag, cfr. K. H. MATTERN, DOS Rubrum<br />

in Prozessen der Bundestagsverwaltung (Juristenzeitung. VIDL, 1953, 106).<br />

Quando ai primi del secolo SANTI ROMANO elaborò la sua esemplare<br />

indagine, che è anche la prima mai tentata in ordine di tempo, sulla determinazione<br />

della natura giurìdica da assegnarsi ai regolamenti delle<br />

Camere parlamentari (Sulla natura dei regolamenti delle Camere parlamentari;<br />

Archivio giurìdico, 75, 1905, p. 4-58 e ripubblicato negli<br />

Scritti minori, Milano, 1950, voi. I, p. 213-258), le figure giurìdiche cui<br />

i regolamenti stessi, prima di questo saggio, erano stati accostati erano<br />

più di una, senza che per questo la loro varietà - tuttavia - fosse stata<br />

frutto di una ricerca esauriente e soddisfacente. Tenendo ben presente<br />

che le considerazioni svolte nel suo scrìtto hanno per oggetto solamente<br />

i regolamenti parlamentari « quali si presentano nel diritto italiano e,<br />

pare, anche nel diritto degli Stati europei continentali » (con esclusione<br />

pertanto di quelli del diritto inglese, su cui scrìve: « nel diritto inglese,<br />

invece, la figura dei regolamenti medesimi è così diversa che non è ammissibile<br />

neppure un lontano raffronto. Essi di fatti sembra possano<br />

contenere disposizione non solo secundum e praeter legem, ma anche<br />

contra legem, in modo che hanno il carattere di una vera fonte di diritto<br />

autonoma, che sta accanto alla Common law e alle leggi », cfr. nota 51<br />

a pag. 244), di fronte alla affermazione che ai regolamenti parlamentari


Guida bibliografica 663<br />

si possa attribuire il carattere e l'efficacia di leggi formali (« legge interna<br />

» delle Camere), il ROMANO perviene alla conclusione t che i regolamenti<br />

parlamentari, almeno dal loro lato formate, non hanno alcun<br />

punto di attacco e di riferimento con la funzione legislativa e, in nessun<br />

caso, sono da riconnettersi ad una delegazione di quest'ultima »<br />

(pag. 221).<br />

I motivi addotti nella confutazione si basano sulla preliminare constatazione<br />

dell'impossibilità di un atto legislativo emanato senza il concorso dei tre<br />

rami del Parlamento e sulla conseguente fictio juris di una legge delegata ex<br />

art. 61 dello Statuto onde sottrarre e i regolamenti parlamentari... a quei controlli<br />

e sindacati, cui sono invece sottoposti, di regola, gli atti che non sono<br />

leggi o non ne hanno l'efficacia » (pag. 227), /ietto juris che, secondo il ROMANO,<br />

è priva di reale consistenza, in primo luogo perchè e l'insindacabilità, da parte<br />

di controlli esterni, degli atti interni delle Camere, non dipende già da un valore<br />

assouto, legislativo, che essi abbiano in sé e per sé, ma non é che un effetto<br />

della posizione di organi costituzionali autonomi, che alle Camere medesime<br />

compete e talvolta deriva anche (e ciò è pel caso attuale più importante) dal fatto,<br />

generalmente non notato, che si tratta di manifestazioni di volontà giuridicamente<br />

irrilevanti, rispetto a quella sfera di diritto alla cui difesa i controlli<br />

ordinari sono preposti » (pag. 218); in secondo luogo, perchè è inconcepibile<br />

< una delegazione che venga fatta come regola da una legge generale, quale<br />

sarebbe l'art 61 dello Statuto: contenuto di questa può essere un'attribuzione<br />

di competenza, mentre la delegazione presuppone che, in via eccezionale, e per<br />

un caso speciale, la competenza comune venga oltrepassata. Essa quindi si esaurisce<br />

volta per volta con l'esercizio delle facoltà che ne derivano ed, esauritasi,<br />

non può rivivere per virtù propria, ma ha bisogno di essere rinnovata. Il che<br />

non si verìfica certamente per la facoltà regolamentare delle Camere, che è<br />

propria di esse, ordinaria, permanente ed istituzionale »; in terzo luogo, infine,<br />

perché non si può in nessun modo sostenere < che l'articolo 61 dello Statuto<br />

attribuisca alle Camere una competenza che esse, senza quella disposizione, non<br />

avrebbero: sembra invece che tale articolo non faccia, per quanto concerne<br />

l'attuale punto di vista che riconoscere puramente e semplicemente un principio<br />

d'ordine generalissimo, che potrebbe anche non trovarsi scritto in nessuna<br />

legge, senza perder nulla nell'estensione e nel carattere della sua applicabilità.<br />

Ogni collegio, sia pertinente all'ordine costituzionale sia rientrante nell'organizzazione<br />

amministrativa, può, con un regolamento interno, disciplinare l'esercizio<br />

delle sue funzioni, nella parte in cui tale esercizio non è regolato da<br />

leggi.. Si tratta in sostanza di una facoltà connaturata con la qualità stessa dell'organo<br />

cui compete, di un attributo specifico che non gli si può togliere senza<br />

distruggere l'organo stesso o paralizzarlo, di una competenza che è sottintesa<br />

nelle altre che gli si deferiscono > (pag. 219).<br />

Altra figura giuridica assunta per determinare la natura dei regolamenti<br />

parlamentari fu « quella del regolamento esecutivo o, meglio,<br />

della cosiddetta ordinanza in genere », figura richiamata per la prima


664 Guida bibliografica<br />

volta dal MOHL (Kritische Erorterungen ùber Ordnung und Gewohnheiten<br />

des deutschen Reiches; Zeitschrift fur die gesammte Staatswissenschaft,<br />

30, 1874, 534) anche se ciò non è propriamente esatto in quanto la incolore<br />

formulazione del MOHL (Die Geschàftsordnung hat etwa die<br />

staatsrechtliche Bedeutung einer Verordnung = Il regolamento parlamentare<br />

ha press'a poco il significato giuspubblicistìco di un regolamento)<br />

non può essere in alcun modo interpretata, com'è stato recentemente<br />

osservato (K. F. ARNDT, Parlamentarische Geschaftsordnungsautonomie<br />

und autonomes Parlamentsrecht. Berlin 1966, pag. 142, nota 23), « alla<br />

stregua di un tentativo di una precisa qualificazione giuridica ». Comunque<br />

sia, in connessione a questa teoria il ROMANO non nega l'esistenza<br />

di analogie tra i regolamenti parlamentari e quelli emanati da autorità<br />

amministrative (221-222), ma, constatata da una parte la diversità di<br />

categorie di regolamenti provenienti da queste ultime, e dall'altra lo<br />

specifico contenuto delle disposizioni dei regolamenti parlamentari che<br />

si riferiscono unicamente a diritti particolari di pura organizzazione e di<br />

supremazia, osserva che i regolamenti parlamentari non hanno valore<br />

di norme giuridiche, mentre « diversamente si comportano quei regolamenti<br />

delle autorità amministrative, ai quali non si possono negare i<br />

caratteri di norme di diritto ».<br />

È vero che « con quelli parlamentari essi hanno in comune che possono<br />

emanarsi in conformità delle leggi e che rappresentano l'esercizio di un potere<br />

discrezionale, di un diritto che da queste è concesso », ma è egualmente<br />

esatto che « qui finiscono le analogie : una volta emanati, il loro effetto caratteristico<br />

è quello di dar vita a norme giuridiche su tale potere, per cui<br />

l'interprete, che cerca di stabilire i limiti di quest'ultimo, dovrà tener conto<br />

e delle leggi cui il regolamento fa capo e del regolamento medesimo, che<br />

si aggiunge, per così dire, alle prime, entrando a far parte dell'intero sistema<br />

del diritto obbiettivo » (244).<br />

In ordine alla figura della cosiddetta autonomia, la quale « nella<br />

dottrina italiana ha avuto scarso rilievo, nel senso che si è compresa<br />

in quella della facoltà regolamentare in genere, mentre, nella dottrina<br />

germanica, ha ottenuto una propria e distinta elaborazione » (pag. 222)<br />

- e vi rappresenta tuttora la dottrina dominante (cfr. ad esempio R.<br />

ALTMANN, Zum Rechtscharakter der Geschàftsordnung des Bundestages;<br />

Die Offentliche Verwaltung, 1956, p. 751-53, e ARNDT, op. cit., 139-41)<br />

sotto il profilo di una connessione con la figura dello statuto autonomo -,<br />

non ha senso, nota il ROMANO, includervi i regolamenti parlamentari ed<br />

è improprio ed inesatto, perché intendendosi « per autonomia... una volontà<br />

diretta a stabilire norme giuridiche, diversa da quella dello Stato »,


Guida bibliografica 665<br />

non è applicabile tale concetto alle Camere che sono organi statuali, e il<br />

che ammettono anche coloro che ai regolamenti medesimi attribuiscono<br />

il carattere dell'autonomia ». È probabile, pertanto, che « siffatte vedute<br />

[siano] un residuo dell'antica dottrina, che nelle Assemblee legislative<br />

vedeva non organi dello Stato, ma corporazioni poste fuori ed<br />

accanto lo Stato medesimo, dotate di propria personalità giuridica»<br />

(pag. 223). Successivamente in sede di individuazione e di determinazione<br />

della natura delle disposizioni dei regolamenti parlamentari, l'autore<br />

enuclea dai diritti di sovranità statuale speciali diritti di supremazia<br />

« che esistono e possono farsi valere, non verso la generalità dei sudditi,<br />

né verso categorie indeterminate di persone, ma verso subbietti che<br />

vengono in considerazione come singoli e in virtù di uno speciale rapporto<br />

in cui questi si trovano » (p. 226).<br />

Per quanto in particolare concerne i rapporti giuridici attinenti a) alla<br />

Camera dei Deputati o al Senato, comprensivamente considerati nella loro<br />

rispettiva entità di organi dello Stato; b) ai deputati o ai senatori singolarmente<br />

considerati; e e) alle persone estranee alle Camere, che con esse<br />

possono venire in qualche contatto, il ROMANO nota che in riferimento sub a)<br />

« si tratta di poteri organici, che rappresentano momenti della vita interna<br />

dello Stato, e sovranità non vi può essere se non quando tale vita si esplica<br />

al di fuori » (230); che sub b) e lo Stato, in quanto appare nell'esercizio del<br />

suo diritto di sovranità, si limita ad attribuire alle Camere un diritto di supremazia<br />

sui singoli loro membri » in modo da far entrare « i deputati e<br />

i senatori... in uno speciale stato di soggezione in cui si trovano le persone<br />

chiamate al servizio, in senso stretto, dello Stato sei come quest'ultime,<br />

essi sono sottoposti alla volontà che l'organo statuale di cui fanno parte<br />

esplica in quanto è rivestito di un potere, che può per l'appunto dirsi organico,<br />

e tale volontà si manifesta e consegue i suoi effetti, non con la forza<br />

del comando proveniente dalla generale sovranità dello Stato, ma con l'efficacia,<br />

da quest'ultima permessa, inerente allo speciale vincolo che il loro<br />

ufficio implica » (pag. 231); che sub e) l'esercizio di veri diritti di supremazia<br />

da parte delle Camere si attua tanto nei riguardi di coloro e che pur non<br />

appartenendo ad esse o venendo in considerazione per tutt'altra qualità, che<br />

non sia quella di deputato o senatore, cooperano in vario modo alle funzioni<br />

esercitate dalle Camere medesime, o costituiscono l'oggetto per cui tali funzioni<br />

sono esercitate > (pag. 234) sotto il profilo di un « obbligo [da parte<br />

dei Ministrij di sottomettersi alla volontà delle Camere tutte le volte che<br />

queste dispóngono sui modi e sul procedimento della propria attività »<br />

(pag. 235) quanto < in rapporto a coloro che, perfettamente estranei a tale<br />

partecipazione, possono con le Camere venire in un contatto accidentale e<br />

temporaneo, pel semplice fatto di trovarsi nei loro locali » (pag. 236). Sulla<br />

base di questa constatazione, è lecito affermare che le disposizioni dei regolamenti<br />

parlamentari « non si riferiscono che a quei diritti particolari di<br />

pura organizzazione e di supremazia, che si è cercato di lumeggiare », diritti


666 Guida bibliografica<br />

che « stabiliscono gli uffici, intesa questa parola in senso largo, delle singole<br />

Camere; determinano il procedimento della loro attività in quanto tale procedimento<br />

non è regolato dalle leggi ed è quindi, giuridicamente, rispetto<br />

a queste, irrilevante; assicurano la disciplina dei deputati e dei senatori; si<br />

occupano degli impiegati limitatamente a ciò per cui un siffatto rapporto<br />

d'impiego non dipende da principii generali; provvedono al rispetto dell'ordine<br />

da parte del pubblico » (pag. 243). Più precisamente, « tutte queste disposizioni...<br />

dimostrano che esse si riferiscono ai rapporti di cui si è fatta parola<br />

solo nei limiti consentiti dal diritto speciale che alle Camere è riconosciuto<br />

e rappresentano quindi un semplice esercizio di tale diritto, un uso di facoltà<br />

in questo comprese » (pag. 243); è egualmente lecito affermare che < i<br />

regolamenti parlamentari... non hanno giuridica esistenza per coloro che ancora<br />

o non più appartengono alle Camere; e quindi non solo non vincolano<br />

chi di queste non sia già membro, il che si avvererebbe anche se fossero di<br />

natura diversa, ma restano paralizzati in ogni loro efficacia rispetto a chi<br />

perde siffatta qualità » (pag. 246).<br />

Sciogliendo la riserva sul quesito se i regolamenti parlamentari<br />

debbano comprendersi nella categorìa degli atti dello Stato che costituiscono<br />

delle norme giuridiche, il ROMANO ritiene che « il carattere di<br />

norme giuridiche debba escludersi nei regolamenti parlamentari per tre<br />

criteri che, del resto, sono soltanto in apparenza diversi, e non rappresentano<br />

in sostanza che aspetti vari di un medesimo principio: pel difetto,<br />

cioè, in essi di novità, quando si raffrontino con l'intero sistema<br />

del diritto positivo, cui non possono né derogare né aggiungere; pel difetto<br />

di generalità, nel senso giuridicamente rilevante, che a tale parola<br />

può riferirsi; e, infine, perché si fondano - carattere decisivo che determina<br />

gli altri due - su un potere particolare, che non è il diritto di sovranità<br />

statuale ».<br />

Se tuttavia le disposizioni dei regolamenti parlamentari non hanno<br />

il carattere di norme giuridiche, non può negarsi che vi si trovino riferimenti<br />

a queste ultime in più di un caso, la cui interpretazione da parte<br />

della Camera non è l'autentica, che compete solo agli organi legislativi,<br />

in modo obbligatorio per tutti, ma quella « imposta da speciali poteri<br />

di supremazia alle persone che si trovano in un particolare stato di soggezione<br />

» (pag. 252), interpretazione che « non consiste essa stessa in<br />

una norma giuridica, ma rappresenta un puro mezzo di semplificare e<br />

agevolare l'applicazione di norme precedenti, alle quali non deroga né<br />

aggiunge » (pag. 253). È la figura dell''interpretazione di massima, « efficace<br />

solo per una categoria speciale di persone, in virtù degli speciali<br />

poteri che le legano al corpo cui appartengono » (pag. 252).<br />

Considerate sotto questo angolo visuale, « molte disposizioni dei regolamenti<br />

parlamentari che, a prima vista, si direbbe che sanciscono alti prin-


Guida bibliografica 667<br />

cipii di diritto costituzionale e che quindi o dovrebbero considerarsi viziata<br />

d'incompetenza o suffragherebbero l'opinione che vede in esse carattere legislativo,<br />

acquistano ben altra luce », perché < il loro contenuto è quello di<br />

vere norme giuridiche, ma queste non sono stabilite dai regolamenti medesimi,<br />

i quali non fanno che riferirle, trascriverle, tradurle nella forma e nell'interpretazione<br />

che alla Camera è sembrato doversi ad esse dare» e «la<br />

loro efficacia non deriva per conseguenza dal testo in cui si leggono, ma<br />

è anteriore, ed è l'efficacia propria a ciascuna delle norme medesime, variabile<br />

secondo la loro fonte ». Se ai regolamenti parlamentari difettano i caratteri<br />

per cui possa essere ad essi conferita la natura giuridica di una figura<br />

creatrice di norme giuridiche, e quindi di fonte del diritto, ciò non esclude<br />

tuttavia, secondo il ROMANO, una notevole importanza dei regolamenti stessi<br />

in ordine alla loro influenza indiretta sulla formazione di nuove norme dovuta<br />

alla possibilità di confermare certe consuetudini e di conferire Hficaria a determinati<br />

usi giuridicamente non garantiti da alcuna legge in modo da « determinare<br />

il passaggio di talune conventions da uno stato amorfo, nelle disposizioni<br />

positive, dirette o indirette, di un regolamento parlamentare. E<br />

questo, a sua volta, assicurandone l'osservanza e provocandone lo sviluppo,<br />

potrebbe agevolare una consolidazione ed una oggettivazione di tali regole,<br />

in modo da renderle adatte, se, quando e come ne abbiano la suscettibilità,<br />

ad essere assunte nel sistema delle vere norme giuridiche, sia pur consuetudinarie<br />

» (pag. 258).<br />

Il saggio del ROMANO, esemplare ancora oggi, come nota il MAR-<br />

TINES (/ regolamenti parlamentari ri/., pag. 325), « soprattutto per quanto<br />

riguarda l'impostazione metodologica da lui data all'argomento trattato<br />

i e le cui acute conclusioni non sembrano siano state tuttora superate<br />

(V. OLIVIERI SANGIACOMO, Regolamenti parlamentari e leggi interpretative<br />

della Costituzione; Foro italiano, 75» 1952, parte IV,<br />

101-104), rimase una rara avis nel vasto mare della produzione scientifico-giurìdica<br />

italiana, anche se qualche pubblicista, nelle opere istituzionali,<br />

dedicò allo stesso argomento qualche cenno, allegandovi interpretazioni<br />

di una certa originalità, dopo l'adozione della nuova Costituzione<br />

repubblicana, quali quelle del BALLADORB-PALLIBRI sulla loro natura<br />

di regolamenti di esecuzione della Costituzione (Diritto costituzionale,<br />

Vn ed. Milano 1963, pag. 136) e del PERGOLBSI che le inserisce<br />

nel sistema generale delle fonti di diritto oggettivo, con fondamento della<br />

loro legalità formale nella stessa Costituzione, pur riconoscendo alle Camere<br />

un potere regolamentare (interno) « per una specie di t supremazia<br />

speciale» di autorganizzazione quali organi investiti di poteri<br />

sovrani » con conseguente distinzione tra norme regolamentari di natura<br />

esecutiva che applicano principi formalmente costituzionali e di natura<br />

indipendente che non si ricollegano direttamente a norme costituzionali<br />

(Diritto costituzionale. XV ed. Padova, 1962, voi. I, pag. 519-520). Par-


668 Guida bibliografica<br />

ticolarmente fertile di osservazioni fu su questa materia invece l'attività<br />

dispiegata dalla dottrina pubblicistica germanica che sulle orme soprattutto<br />

del LABAND aderì in stragrande maggioranza all'opinione che individua<br />

nei regolamenti parlamentari la natura giuridica di statuti autonomi,<br />

anche se non difettano altre interpretazioni, quali quella di GEORG<br />

JELLINEK che reputa le norme dei regolamenti parlamentari da una parte<br />

di natura giuridica « in quanto integrano le disposizioni delle Costituzioni<br />

e delle leggi » (GEORG JELLINEK, Besondere Staatslehre, in Ausgeyvàhlte<br />

Schriften und Reden, Berlin 1911, voi. II, pag. 253) e, dall'altra<br />

parte, prive di tale natura in quanto disposizioni regolatrici di amministrazione<br />

e di procedura interna (GEORG JELLINEK, System der subjektiven<br />

óffentlichen Rechte. 2. Aufl. Tubingen 1905, pag. 169), sì da configurarle<br />

nel complesso quale manifestazione tipologica di un regolamento<br />

di organizzazione (Ist die Geschaftsordnung eine Art der Verordnung,<br />

so wird sie unter die Kategorie der organisatorischen Verordnung fallen,<br />

bei der es ja so schwer ist, die Grenze zwischen Rechtssatz und Nicht-<br />

Rechtssatz zu ziehen », G. JELLINEK, Besondere Staatslehre cit., pag. 256;<br />

per cui sembra dubbia la qualificazione di vero regolamento giuridico<br />

(Rechtsverordnung) attribuita al JELLINEK dall'/4RNDT, op. cit., pag. 141).<br />

Questa incertezza sulla natura normativa giuridica (Rechtsverordnung) o<br />

amministrativa (Verwaltungsverordnung) dei regolamenti parlamentari ha<br />

favorito anche l'ipotesi, da parte di qualche studioso, di un regolamento<br />

atipico misto, giuridico ed amministrativo, il cui primo assertore può<br />

essere considerato proprio il JELLINEK nella formulazione citata sopra<br />

(gemischte Rechts-und Verwaltungsverordnung, cfr. ARNDT, op. cit.,<br />

148-150), come pure di una « figura giuridica sui generis » non meglio<br />

specificata, come fa I'HAAGEN (Die Rechtsnatur der parlamentarischen<br />

Geschaftsordnung mit besonderer Beriicksichtigung der Geschaftsordnung<br />

gen des Preussischen Landtags und des Reichtstags. Diss. Breslau,<br />

1929). Non essendo, tuttavia, questa la sede di una analitica esposizione<br />

di tutte le figure giuridiche cui nella dottrina tedesca i regolamenti<br />

parlamentari sono stati apparentati (su di esse si può vedere<br />

utilmente l'opera dell'ARNDT da pag. 136 a pag. 156), è opportuno<br />

concludere questa rassegna con un richiamo alla teoria del<br />

HATSCHEK, il quale nei regolamenti parlamentari vede nuU'altro che<br />

« una somma di risoluzioni della Camera, senza alcun vincolo giuridico<br />

e che rappresentano solo regole convenzionali (Konventionalregeln), le<br />

quali non sono norme giuridiche, ma norme che nel processo di formazione<br />

del diritto rappresentano uno stadio preliminare (Vorstadium) del


Guida bibliografica 669<br />

diritto» (J. HATSCHEK, DOS Parlamentsrecht des Deutsehen Reiches.<br />

Berlin-Leipzig 1915, Teil I (unico pubblicato), in particolare pag. 14 e 42).<br />

Da noi la configurazione giuridica dei regolamenti parlamentari,<br />

dopo la stimolante monografia del SANTI ROMANO, divenne oggetto di<br />

indagine, da parte di diversi autori dopo il nuovo ordinamento costituzionale<br />

dello Stato e successivamente in connessione ad una sentenza<br />

della Corte Costituzionale del 1959, con particolare riferimento alla nozione<br />

degli interna corporis, basata, conforme ad una diligente indagine<br />

sull'oggetto effettuata dall'Esposno prima della decadenza dell'ordinamento<br />

statutario {La validità delle leggi, Padova 1934, 355), sul principio<br />

« secondo cui solo i requisiti immediati dell'atto legislativo, e non<br />

quelli sul modo con cui gli organi debbano procedere, agire, volere<br />

sono causa di nullità, e che perciò solo i primi vanno sindacati da chi<br />

debba obbedire o applicare le leggi, indipendentemente da uno speciale<br />

riconoscimento di potere da parte dell'ordinamento giuridico ».<br />

Trattazioni sistematiche all'argomento, con analitici richiami e critiche<br />

alle teorie esposte sulla materia, in Italia ed all'estero, dedicarono<br />

T. MARTINES e M. BON VALSASSINA. H MARTINES {La natura giuridica<br />

dei Regolamenti parlamentari. Pavia, 1952 = Studi nelle scienze giuridiche<br />

e sociali dell'Istituto di esercitazioni presso la Facoltà di Giurisprudenza<br />

dell'Università di Pavia, voi. XXXIII), si è accinto alla sua opera<br />

con l'intento di rispondere ai due interrogativi su quale sia il fondamento<br />

giuridico della potestà regolamentare delle Camere e se le norme<br />

dei regolamenti parlamentari costituiscano delle norme giuridiche rispetto<br />

all'ordinamento generale dello Stato.<br />

Dopo un esame attento delle varie teorie, in ordine al primo quesito,<br />

il MARTINES, rilevata la singolare posizione giuridica dei regolamenti parlamentari,<br />

afferma la necessità di una triplice partizione in categorie distinte<br />

delle loro norme, sì da t assegnare alla potestà regolamentare delle assemblee<br />

legislative non un unico fondamento giuridico, bensì un fondamento diverto<br />

per ognuna delle categorie in parola » (pag. 78), fondamento giuridico che<br />

si rinviene rispettivamente nelle norme costituzionali, quando si tratta del<br />

funzionamento delle Camere nel campo delle loro precipue funzioni legislative;<br />

nel potere di supremazia speciale, « proprio di ogni ente od istituto<br />

collegiale, quando devono essere emanate delle norme regolamentari per disciplinare<br />

i rapporti fra le Camere ed i loro membri e fra le Camere e quanti<br />

con esse vengano, comunque, in contatto » (pag. 85); nel potere di cui gode<br />

ogni ente collegiale di organizzare i propri uffici, fin generale, e netta posizione<br />

delle Camere come organi dello Stato che godono della più ampia<br />

indipendenza costituzionale, in particolare, quando vengono in esame le norme<br />

regolamentari che le assemblee legislative emanano onde provvedere atta propria<br />

organizzazione interna». Per quanto concerne la natura del fondamento<br />

giuridico della potestà regolamentare costituito sulle norme costituzionali


670<br />

Guida bibliografica<br />

l'autore chiarisce inoltre che, a suo avviso, non è questa da intendersi nel<br />

senso di una attribuzione di competenza, ma nel senso di una garanzia costituzionale<br />

del potere regolamentare, che spetta alle Camere iure proprio,<br />

per cui l'art. 64 della Costituzione vale e se non come solenne garanzia di<br />

un principio che andrebbe riconosciuto anche se il testo costituzionale non<br />

ne facesse diretta menzione > (pag. 77) e ciò perché « negli ordinamenti statali<br />

moderni le assemblee legislative, per la loro posizione di organi costituzionali,<br />

godono di una assoluta indipendenza dagli altri poteri od organi<br />

dello Stato» (pag. 84). Conclusione: «Di conseguenza le disposizioni dei testi<br />

costituzionali che si riferiscono ai regolamenti parlamentari statuendo che<br />

spetta alle Camere la loro emanazione, hanno - se espresse - valore puramente<br />

dichiarativo e non attributivo di competenza » (pag. 85).<br />

In ordine al quesito se le norme dei regolamenti parlamentari costituiscano<br />

norme giuridiche rispetto all'ordinamento generale dello stato, quesito<br />

cui lo stesso ROMANO, anche dopo la formulazione della teoria istituzionistica,<br />

aveva dato una risposta negativa (« i regolamenti interni delle Camere...<br />

per quanto la loro emanazione sia contemplata dal diritto generale dello<br />

Stato, anzi talvolta sia per esso obbligatorio, pur nondimeno non fanno corpo<br />

con questo, non si uniscono con le leggi e i regolamenti generali a costituire<br />

l'ordinamento generale dello Stato medesimo considerato come istituzione unica<br />

e complessiva », cfr. ROMANO. L'ordinamento giuridico. Pisa 1917, 197-198...;<br />

sulle asserite oscillazioni della posizione dottrinaria del ROMANO, cfr. S. GA­<br />

LEOTTI, Contributo alla teoria del procedimento legislativo. Milano, 1957,<br />

pag. 161, nota 52), il MARTINES esamina partitamente le tre categorìe di norme<br />

precedentemente enucleate, e rinviene tra di esse sia norme giurìdiche dotate<br />

del carattere deU'istituzionalità e di conseguenza costitutive dell'ordinamento<br />

generale dello Stato, sia norme interne, le quali « sono prive del carattere<br />

della giuridicità rispetto all'ordinamento statale, del quale non entrano a far<br />

parte; ma, nell'ambito degli ordinamenti particolari della Camera e del Senato<br />

(che esse essenzialmente costituiscono) perdono, evidentemente, la qualità<br />

di norme interne e sono pur sempre norme istituzionali rispetto agli<br />

ordinamenti delle assemblee e, come tali, nei limiti d'efficacia or ora segnati,<br />

sono norme giuridiche » (pag. 161). Sono in particolare norme giurìdiche: 1)<br />

le norme per cui la potestà regolamentare delle assemblee legislative rinviene<br />

il proprio fondamento in una disposizione costituzionale, le quali assumono<br />

la figura di tipiche norme di esecuzione di a) norme materialmente costituzionali<br />

(quelle riferentisi al procedimento di formazione della legge) e di b)<br />

norme meramente esecutive (quelle che possono ricollegarsi direttamente ad<br />

una disposizione costituzionale, quali ad esempio, le disposizioni regolamentari<br />

attinenti alla verìfica delle elezioni ex art 66 della Costituzione); 2) le<br />

norme disciplinari, per cui la potestà regolamentare rinviene il proprio fondamento<br />

in un potere di supremazia, in virtù della loro « natura di norme<br />

sanzionatone nel caso di violazione del dovere giurìdico di esercitare le loro<br />

funzioni, da parte dei parlamentari » (richiamo all'ordine, esclusione dall'aula,<br />

censura, ecc.). Sono, invece, norme interne: 1) le norme di polizia interna,<br />

le quali si indirizzano al pubblico ammesso nelle tribune o negli uffici delle<br />

Camere, mancanti di quel carattere dell'esteriorità, che appare essenziale (as-


Guida bibliografica 671<br />

sieme, od anche alternativamente a quello dell'istituzionalità) al concetto di<br />

norma giurìdica» (pag. 163); e 2) le norme di organizzazione in senso stretto,<br />

che « si riferiscono all'organizzazione interna delle Camere (uffici, attribuzioni<br />

della Presidenza, costituzione delle Camere ecc.) e... la cui validità non vi<br />

al di fuori dei singoli organi che le hanno emanate, e ila loro eventuale<br />

violazione non può avere, pertanto, ripercussioni su quello che è l'ordinamento<br />

giuridico dello Stato, né sorge per lo Stato un interesse a die esse<br />

vengano costantemente osservate, esaurendosi la loro efficacia all'interno delle<br />

assemblee legislative» (pag. 159). Tra queste norme di organizzazione il<br />

MARTINES enumera, tra le altre, le disposizioni regolamentari relative alla costituzione<br />

della Camera (elezione del Presidente e dell'Ufficio di Presidenza),<br />

alle petizioni ed alle inchieste parlamentari.<br />

A prescindere da ogni giudìzio a favore o contro sulle sue argomentazioni,<br />

si può concordare con quanto il MARTINES afferma al termine<br />

del suo saggio, che cioè « i tentativi compiuti... per dimostrare come,<br />

negli ordinamenti giuridici contemporanei, alcune norme dei regolamenti<br />

parlamentari abbiano assunto un pieno valore di norme giuridiche, siano<br />

serviti, quanto meno, a richiamare l'attenzione degli studiosi, per troppo<br />

lungo tempo sopita su tale argomento, ed a far sorgere dei dubbi (che<br />

si spera riescano fecondi di ricerche) sulla natura giuridica di norme interne<br />

assegnata dalla dottrina anche a quelle norme dei regolamenti parlamentari<br />

che sono apparse, al contrario, costitutive dell'ordinamento<br />

generale dello Stato » (pag. 162).<br />

Il richiamo del MARTINES per un maggior interessamento degli studiosi<br />

sull'argomento fu raccolto da MARINO BON VALSASSINA che nella sua monografia<br />

(Sui regolamenti parlamentari. Padova, 1955) perviene a condusioni<br />

diverse da quelle assunte dal MARTINES. In primo luogo, per quanto riguarda<br />

il fondamento giuridico della potestà regolamentare delle Camere, il BON VAL­<br />

SASSINA avverte che • la competenza delle Camere in ordine alla emanazione<br />

dei loro regolamenti è sì logicamente anteriore all'articolo della Costituzione<br />

che ne discorre, ma non alla configurazione dell'organo collegiale ad opera<br />

della Costituzione, né il suo esercizio dispiega effetti nell'ambito dell'ordinamento<br />

generale, se questo non esprima almeno implidtamente una volontà<br />

intesa a consentirli » (pag. 94). Di fronte, pertanto, alla affermazione dd MAI-<br />

TINES sul valore meramente dichiarativo e non attributivo di competenza delle<br />

disposizioni dei testi costituzionali in ordine al potere regolamentare delle<br />

Camere, BON VALSASSINA afferma il carattere di una e attribuzione costituzionale<br />

di competenza originaria e normale, su cui si fonda la facoltà regolamentare<br />

delle Camere» (pag. 39), con l'intento di edecosrJtuzionalizzare dò<br />

che non sarebbe stato altrimenti regolabile se non con norme costituzionali,<br />

creando una spede di «riserva di regolamento parlamentare» (pag. 43). Non<br />

accoglie l'autore la partizione proposta dal MARTINES, perché - nd confini<br />

tracciati ad essa dall'ordinamento giuridico - la volontà normatrice [della<br />

Camera] si determina con discrezionalità che dev'essere commisurata soltanto


672 Guida bibliografica<br />

alle sue finalità istituzionali » (pag. 100), in quanto < le disposizioni materiali<br />

della Costituzione - a differenza di quella, strumentale, che attribuisce alle<br />

singole Camere un potere di normazione esterna - esplicano... rispetto a questo,<br />

una funzione meramente negativa, limitatrice, e non quella positiva di<br />

un presupposto della legittimità « delle norme regolamentari parlamentari<br />

(pag. 74, nota 106). Non potendosi dubitare e che vi siano anche norme esterne<br />

e giuridiche (nell'ordinamento generale), singolarmente emanate, da un ramo<br />

del Parlamento e giustapposte nei regolamenti delle Camere a quelle interne ».<br />

Secondo il BON VALSASSINA, « fra gli indefiniti possibili criteri sulla cui<br />

base può in astratto compiersi una distinzione classificatoria delle disposizioni<br />

regolamentari questo [criterio] appare utile, praticamente, in quanto<br />

ne pone in rilievo sostanziali diversità, nonché ineccepibile dal punto di vista<br />

logico - in quanto fondato sopra un criterio unitario ed univoco: l'appartenenza<br />

all'ordinamento interno e particolare dell'Assemblea piuttosto che ~a<br />

quello generale ed intersubiettivo dello Stato - e pertanto meritevole di accoglimento<br />

> (pag. 73).<br />

Per quanto riguarda la potestà normativa interna delle Camere il BON<br />

VALSASSINA, sul fondamento del potere di autocostituzione delle Camere e<br />

di autodeterminazione del loro funzionamento, sostiene che questa riposa sull'obbligatorietà<br />

delle medesime di perseguire le proprie finalità istituzionali<br />

mediante « un ordinamento particolare, pienamente distinguibile da quello generale<br />

dello Stato e nel quale si individuano due principali gruppi di norme,<br />

Ifprimo costituito dalle disposizioni attraverso le quali il collegio si autorganizza;<br />

il secondo da quelle che, in virtù di un rapporto di supremazia speciale,<br />

regolano la condotta dei soggetti facenti parte di quella organizza/ione<br />

o che entrano con essa in particolari rapporti » (pag. 92).<br />

La potestà regolamentare esterna delle Camere rinviene invece il proprio<br />

fondamento nel fatto che < nei moderni ordinamenti rappresentativi si è ritenuto<br />

indispensabile, al fine di garantire alle singole Camere la possibilità<br />

dT svolgere le loro funzioni istituzionali, assoggettare alla loro normazione<br />

autonoma quei rapporti con soggetti estranei che tradizionalmente esse hanno<br />

avocato o tentato di avocare a sé, e che ciò pure è implicito nelle disposizioni<br />

concernenti la loro facoltà regolamentare », owerossia e mancando in<br />

proposito una determinazione positiva o negativa della costituzione o della<br />

legge; in assenza di direttive o di limiti, in esse contenuti, circa l'esercizio<br />

della potestà regolamentare delle Camere, la loro sovrana indipendenza comporta<br />

la facoltà di dettare la disciplina astratta e preventiva di rapporti e situazioni<br />

giuridiche coinvolgenti anche altri organi costituzionali o soggetti<br />

dell'ordinamento, in talune ipotesi che palesemente coinvolgono rilevanti interessi<br />

dell'assemblea parlamentare » (pag. 107). In ordine alla configurazione<br />

giuridica dei regolamenti parlamentari il BON VALSASSINA ne perora la natura<br />

di regolamento giuridico (pag. 77) con assimilazione delle loro disposizioni<br />

esterne alle ordinanze del potere esecutivo (pag. 173). Alla obbiezione che<br />

il potere regolamentare delle assemblee parlamentari non sia configurabile in<br />

tal guisa in quanto l'emanazione dei regolamenti è di competenza del potere<br />

esecutivo, il BON VALSASSINA oppone la considerazione che « non si vede<br />

perché le necessità dell'organizzazione statuale, le quali impongono di affidare,


Guida bibliografica 673<br />

a titolo particolare, la funzione legislativa materiale anche ad organi itfrfflh<br />

funzione esecutiva - discostandosi, senza distruggerli, dai principi generali<br />

concernenti la distribuzione delle competenze organiche — non possano gin»<br />

stìficare anche il singolare conferimento, a ciascuna delle Camere, della pò*<br />

testa di creare nuovo diritto oggettivo » (pag. 75-76). Premesso, inoltre, die<br />

è necessario distinguere fra due specie di regolamenti (le Rechtsverordnungen<br />

della dottrina tedesca), e quelli emanati in forza d'una competenza attribuita<br />

dalla costituzione e quelli basati su delegazione legislativa » e ricoidato die<br />

« i primi, detti altresì di competenza ordinaria, spettano ad un dato organo<br />

in forza dell'ordinamento generale delle competenze, stabilito dalla costituzione,<br />

e ne sono attribuzione propria, originaria, in quanto si connettono alla<br />

sua posizione costituzionale ed alle funzioni in cui essa si sostanzia, e cioè<br />

ai compiti naturali dell'organo > (pag. 103), l'autore, con richiamo all'autorità<br />

di G. JELLINEK attira l'attenzione su una distinzione discriminatoria fra e un<br />

potere regolamentare fondato su specifiche norme costituzionali, dal potere<br />

regolamentare che si basa sopra il fatto stesso dell'esistenza del governo, in<br />

quanto questo opera nell'ambito della costituzione ». E conclude: e Non si<br />

vede perché tale discriminazione non possa applicarsi anche se l'organo titolare<br />

della potestà regolamentare sia, putacaso, un'assemblea legislativa. Essenziale<br />

è, comunque, non perdere di vista che al titolo di competenza deve corrispondere<br />

una determinata funzione, cui l'organo assolve nel sistema costituzionale<br />

delle competenze ed alla quale accede logicamente la facoltà regolamentare.<br />

Quest'ultima, infatti, è sempre qualificata dall'ordinamento giuridico<br />

nel suo rilievo funzionale, in quanto ne risulta sempre specificato il<br />

fine - esecuzione della legge, autoorganizzazione, esercizio di una qualche<br />

prerogativa - cui è concretamente ordinata » (pag. 104).<br />

Secondo il TESAURO (Sulla natura giuridica dei regolamenti parlamentari;<br />

Rassegna di diritto pubblico, XIV, 1959, 193-206), in relazione<br />

all'oggetto dell'attività delle Camere disciplinate dalle norme regolamentari,<br />

la natura dei loro atti è costituzionale o amministrativa,<br />

sicché « i regolamenti che disciplinano l'attività amministrativa delk Camere<br />

sono atti amministrativi e si differenziano, per ciò, per la funzione<br />

cui sono destinati, dai regolamenti che disciplinano l'attività parlamentare<br />

delle Camere che sono atti costituzionali » (pag. 205).<br />

Ad avviso del Tesauro, i regolamenti stessi non sono né espressione di<br />

un potere di supremazia speciale che crea gli interna corporìs né norme convenzionali<br />

non giuridicamente obbligatorie, ma « atti dell'ordinamento statale<br />

ed in particolare, atti destinati ad integrare e, nello stesso tempo, a dare<br />

esecuzione alla carta costituzionale ed alle leggi costituzionali, la cui osservanza<br />

è garantita dalle Camere stesse, mediante il sistema dell'autotutela, non<br />

che dal Presidente della RepubbUca, in occasione della promulgazione di<br />

una legge, e dalla Corte costituzionale in occasione del controllo di legittimità<br />

dell'attività di legislazione o di esecuzione costituzionale». Ed ancora:<br />

ti regolamenti costituzionali delle Camere che disciplinano l'attività paria-<br />

25.


674 Guida bibliografica<br />

mentare non vanno confusi con i regolamenti che le Camere pongono in essere,<br />

ove ne ravvisino l'opportunità, per disciplinare l'attività amministrativa<br />

che svolgono, in via secondaria, per esercitare, ad esempio, il potere di polizia<br />

o quello relativo allo stato giurìdico dei propri impiegati... I regolamenti<br />

che disciplinano l'attività parlamentare non perdono, però, la loro natura<br />

di atti costituzionali per ciò che contengono anche norme di esecuzione del<br />

diritto amministrativo o del diritto privato, ad esempio, le norme che disciplinano<br />

l'attività di polizia, che gli organi delle Camere in esecuzione delle<br />

leggi ordinarie svolgono nell'ambito dei loro edifici o dei loro uffici, in sostituzione<br />

dei soggetti preposti in via generale all'attività stessa, nonché le<br />

norme che riflettono l'attività che le Camere svolgono, all'interno della loro<br />

organizzazione, per la formazione degli uffici, per lo svolgimento dei servizi,<br />

per disciplinare lo stato giurìdico ed economico del personale, per regolare<br />

l'esercizio dei diritti privati che le Camere hanno come qualsiasi altro soggetto<br />

privato, relativamente, ad esempio, alla stipula di contratti ovvero al<br />

godimento di diritti patrimoniali. Gli atti normativi in parola non fanno perdere<br />

ai regolamenti delle Camere la natura e la funzione di atti costituzionali,<br />

allo stesso modo che le norme del diritto pubblico, ed in particolare del diritto<br />

penale contenute nel codice civile, non gli fanno perdere la caratteristica<br />

di un complesso unitario di norme del diritto privato > (pag. 205-206).<br />

L'interpretazione del TESAURO si inalvea cronologicamente già nella<br />

polemica sulla estensione o meno della giurisdizione costituzionale agli<br />

interna corporis delle Camere, sollevata dalla sentenza n. 9 del 1959<br />

della Corte Costituzionale {Raccolta ufficiale delle sentenze e ordinanze<br />

della Corte Costituzionale, Voi. VII, 1959, 73-112), sentenza che viene<br />

a cadere - sia ricordato en passant - anche al momento dell'abbandono<br />

in Francia, per effetto del nuovo ordinamento costituzionale, della prevalenza<br />

del principio dell'autonomia regolamentare delle assemblee sul principio<br />

della superiorità della Costituzione (J. BBAUTÉ, L'antinomie de la<br />

suprématie de la Constitution et de l'autonomie réglementaire des assemblées;<br />

Politique, N. S. VI, 1963, 97-121). In questa sentenza la Corte<br />

Costituzionale, nei limiti delle questioni che qui interessano, ebbe a<br />

pronunciarsi: 1) sulla sua competenza agli effetti del controllo della<br />

legittimità del procedimento di formazione di una legge in ordine ad<br />

un giudizio sulla legittimità del procedimento formale o decentrato di<br />

approvazione della legge stessa a norma dell'ultimo comma dell'art 72<br />

della Costituzione; 2) sulla sua competenza ad esercitare il sindacato<br />

sugli atti anteriori in sede di controllo della legittimità del procedimento<br />

di formazione di una legge. La questione era sorta in seguito alla remissione<br />

da parte della Corte di Cassazione e del Tribunale di Bergamo,<br />

alla Corte Costituzionale, degli atti relativi a procedimenti civili vertenti<br />

tra FE.N.C.C. (Ente nazionale per la cellulosa e la carta) ed alcune cartiere


Guida bibliografica 675<br />

in seguito ad ordinanze sulla non manifesta infondatezza della questione<br />

di legittimità costituzionale sollevata in ordine alla legge 28 marzo<br />

1956, n. 168,<br />

Sul primo punto in esame, la Corte, - dopo l'affermazione che «nella<br />

competenza di giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale<br />

delle leggi, attribuita alla Corte dall'art 134 della Costituzione, rientra<br />

senza dubbio ed anzi in primo luogo quella di controllare l'osservanza<br />

delle norme della Costituzione sul procedimento di formazione delle leggi »<br />

(cfr. Raccolta cit., pag. 93) - doveva pronunciarsi sulla legittimità della procedura<br />

decentrata di esame e di approvazione di un disegno di legge, la coi<br />

materia non rientrava tra quelle specificatamente indicate all'ultimo comma<br />

dell'art 72 della Costituzione riservate alla procedura normale di esame e<br />

di approvazione diretta da parte della Camera (costituzionale, elettorale, delegazione<br />

legislativa, autorizzazione a ratificare trattati internazionali, approvazione<br />

di bilanci e consuntivi), ma su cui era stata posta, nella sede competente,<br />

la pregiudiziale sulla sua qualificazione o meno tra « i progetti ic<br />

materia tributaria », soggetti egualmente, accanto alle altre categorie indicate<br />

all'art. 72 dalla Costituzione, alla procedura normale di esame e di approva'<br />

zione a norma dell'art. 40 del regolamento della Camera dei Deputati. La<br />

Corte, nel caso concreto, ha ritenuto che non fosse fondata la questione di<br />

legittimità costituzionale, perché ammess, « che se la procedura e. d. decentrata<br />

fosse applicata per l'approvazione di un disegno di legge rientrante<br />

tra quelli elencati nell'ultimo comma dell'art. 72 della Costituzione, si avrebbe<br />

un vizio del procedimento di formazione della legge che sarebbe costituzionalmente<br />

rilevante perché consistente in una violazione della norma della<br />

Costituzione (art 72 u. e.) che esclude la procedura decentrata per tale specie<br />

di disegni di legge », non è fondata « la tesi... secondo la quale l'art 72 della<br />

Costituzione, deferendo al regolamento della Camera di stabilire in quali<br />

casi e forme un disegno può essere assegnato a Commissioni in sede legislativa,<br />

abbia posto una norma in bianco con la conseguenza che le disposizioni<br />

inserite a tale riguardo da una Camera nel suo regolamento assumono<br />

il valore di norme costituzionaU» (Raccolta, pag. 94). Di conseguenza, eia<br />

determinazione del senso e della portata della disposizione dell'art 40 del<br />

regolamento della Camera, che esclude la procedura decentrata per l'approvazione<br />

di «progetti in materia tributaria», riguarda una norma, suiia cui<br />

interpretazione, essendo stata posta dalla Camera nel suo regolamento esercitando<br />

la facoltà ad essa attribuita dall'art 72 della Costituzione, è da ritenersi<br />

decisivo l'apprezzamento della Camera. L'osservanza di quella disposizione<br />

eccettuativa è rimessa alla Camera stessa avuto anche riguardo alle<br />

disposizioni dell'art 72, terzo comma, della Costituzione e dell'art 40 del<br />

regolamento della Camera, che prevedono sia la possibilità di opposizioni al<br />

deferimento di un disegno di legge ad una Commissione in sede legislativa,<br />

sia la possibilità, su richiesta a determinate condizioni, che, fino al moment»<br />

dell'approvazione definitiva, un disegno di legge già deferito ad una Commissione<br />

in sede legislativa sia obbligatoriamente rimesso alla Camera»<br />

(pag. 95).


676 Guida bibliografica<br />

La pronuncia della Corte su questo punto è stata accolta dalla<br />

giuspubblicistica in vario modo.<br />

Favorevolmente in linea di massima da F. COSENTINO (Rassegna parlamentare,<br />

I, 1959, 122-123) in quanto « la Corte, in sostanza, non si è limitata<br />

alla implicita declinatoria di competenza nei confronti delle norme regolamentari<br />

di orìgine pretercostituzionale, ma ha tenuto a precisare che tale<br />

declinatoria si estende anche a tutte quelle disposizioni che in quanto discendono~~da<br />

una riserva di regolamento esistente nella Costituzione, potrebbero<br />

essere ritenute di contenuto materialmente costituzionale anche se formalmente<br />

non ne abbiano i requisiti », ma con la riserva che < la Corte ha<br />

esteso l'interpretazione letterale dell'art. 134 della Costituzione, affiancando<br />

all'esercizio indiscusso del sindacato di legittimità costituzionale materiale (il<br />

giudizio cioè della conformità costituzionale delle norme di legge e degli atti<br />

aventi forza di legge), quello invero opinabile del sindacato di legittimità<br />

formale (relativo alla regolarità costituzionale dell'iter legislativo) anche se<br />

limitato all'ottemperanza delle prescrizioni di natura regolamentare contenute<br />

nella Costituzione medesima »; favorevolmente da M. D'ANTONIO (Rassegna<br />

parlamentare, I, 1959), il quale, notata la validità dell'insegnamento impartito<br />

dal ROMANO in ordine ad un procedimento logico « che permetta di pervenire<br />

all'isolamento di quelli che ancora possono considerarsi gli interna<br />

corporis delle Camere » (130), osserva « come, configurato il diritto del cittadino<br />

alla costituzionalità delle leggi, perdesse forza di convinzione la teoria<br />

che vorrebbe le norme della Costituzione sul procedimento legislativo meno<br />

e rìgide » delle altre per la necessità di salvare gli interna corporis e in omaggio<br />

a quel principio di autonomia che ha valore se riferito ai rapporti delle<br />

Camere con gli altri poteri dello Stato, ma che rileva la sua debolezza quando<br />

lo si invochi per valutare le attività delle Camere in rapporto con il diritto<br />

alla costituzionalità del cittadino » (pag. 129) (diritto alla costituzionalità che<br />

è tuttavia opinabile, « dato che - come rileva il VIRGA, Sindacato sugli « interna<br />

corporis » e poteri di indagine della Corte costituzionale, Giurisprudenza<br />

costituzionale, IV, 1959, 1000-1001, nota 27 - il sistema di giurisdizione<br />

costituzionale adottato nel nostro ordinamento non consente di configurare<br />

diritti soggettivi perfetti alla costituzionalità delle leggi »), in quanto<br />

« ciò che, agli effetti del sindacato della Corte ha importanza è l'ossequio<br />

delle norme e dei principii del procedimento legislativo stabiliti nella Costituzione<br />

che è il solo in questione, nessun effetto avendo l'eventuale dichiarazione<br />

di incostituzionalità della legge per vizi formali sulla validità delle<br />

norme regolamentari », anche se e è chiaro, per altro, che le pronuncie della<br />

Corte non potranno non avere una incidenza indiretta anche sui regolamenti<br />

parlamentari per le implicazioni che le Camere liberamente vorranno dedurne »<br />

(pag. 130); positivo anche il giudizio di S. Tosi (Rassegna parlamentare, I,<br />

1959), secondo il quale e il discusso art. 40 è stato rettamente valutato come<br />

uno dei modi nei quali si esplica la facoltà attribuita dal terzo comma<br />

dell'art 72 della Costituzione a ciascuna Camera, di stabilire in quali casi<br />

e forme si può derogare alla procedura normale di esame e di approvazione<br />

di un disegno di legge. Non costituzionalizzazione della norma regolamentare,


Guida bibliografica<br />

dunque, ma riconoscimento dell'autonomia organizzativa degli organi assembleari,<br />

epperò del valore decisivo dell'apprezzamento della Camera stessa»,<br />

con l'avvertimento, però, che «non sembrerebbe del tutto convincente il riferimento<br />

della sentenza alle varie possibilità di richiamo in aula del disegno<br />

di legge demandato all'esame e all'approvazione di commissione deliberante,<br />

ove il riferimento fosse inteso come richiamo ad una garanzìa surrogatoria<br />

di quella dettata dall'ultimo comma dell'art. 72 della Costituzione», perché<br />

« la possibilità data al Governo, o a un decimo dei componenti della Camera,<br />

o a un quinto della commissione, di rimettere il testo all'esame dell'Assemblea,<br />

è ovviamente una facoltà (e non un obbligo) che, per il fatto di rispondere<br />

a mutevoli esigenze politiche di maggioranza o di minoranza, non può<br />

in alcun modo eguagliare la portata della garanzia tassativa di cui all'ultimo<br />

comma dell'art. 72 della Costituzione: questa si rivolge all'assolutezza di un<br />

interesse collettivo pubblico costituzionalmente protetto, quella inerisce alla<br />

relatività di un giudizio discrezionale, di natura politica contingente, delle<br />

forze politiche di maggioranza o di minoranza le quali potrebbero, in ipotesi,<br />

benissimo concordare sull'opportunità di una violazione costituzionale » (pag.<br />

138-139).<br />

Secondo F. PIERANDREI, Attività « interne » delle Camere del Parlamento<br />

e sindacato della Corte costituzionale (Giurisprudenza italiana, 111, 1959, I-I,<br />

1015-1016), che pone in rilievo l'importanza di tutta la sentenza « perché mediante<br />

essa la Corte costituzionale ha esercitato per la prima volta - e come<br />

primo organo in Italia - un sindacato sulle e attività interne » (interna corporis)<br />

delle Camere del Parlamento, al fine di accertarne la conformità con<br />

le norme della Costituzione », la pronuncia sul primo punto non assume<br />

una rilevanza qualificativa in riferimento a tale importanza, perché la questione<br />

sollevata dall'esame dell'art. 40 del regolamento «si riferiva bensì al<br />

procedimento di formazione della legge, ma non implicava, a stretto rigore, la<br />

necessità di un sindacato sugli interna corporis » (coli. 1022).<br />

Accanto a questi autori che hanno sostanzialmente interpretato la declinataria<br />

di competenza della Corte nei confronti della norma dell'art. 40<br />

del regolamento alla guisa di una limitazione della competenza stessa nei riguardi<br />

della vigenza tuttora valida del principio della insindacabilità degli<br />

interna corporis, altri autori come A. BERURI, C. ESPOSITO e V. GUBLI, non<br />

hanno fatto mistero delle loro riserve sull'atteggiamento assunto dalla Corte<br />

su questo punto. Il BERLIW, Problemi di diritto costituzionale tributario: violazione<br />

dei regolamenti parlamentari e retroattività delle leggi fiscali (Foro Italiano,<br />

83, 1960, I, 31-46) osserva che la dichiarazione di ritenere decisivo l'apprezzamento<br />

della Camera in ordine alla interpretazione autentica dell'art 40<br />

del regolamento è accettabile solo a due condizioni, e precisamente: e a) che<br />

la interpretazione sia compiuta dall'organo e con le forme stabilite per la modifica<br />

del regolamento, salva ed impregiudicata la questione se tale interpretazione<br />

abbia effetto retroattivo o meno; b) che tale interpretazione costituisca<br />

una manifestazione di volontà diretta appunto ad interpretare il regolamento,<br />

non potendosi ammettere che una semplice violazione debba interpretarsi come».<br />

una interpretazione, più o meno assurda del regolamento... Di fronte al regolamento<br />

della Camera che esclude la possibilità di approvazione da parte delle<br />

m


678 Guida bibliografica<br />

Commissioni di progetti di legge in materia tributaria come si può ammettere<br />

che il fatto che una Commissione abbia approvato un progetto istitutivo di un<br />

tributo equivalga o, meglio, integri una interpretazione, ad opera della Camera,<br />

del regolamento nel senso che questo... consenta alle Commissioni l'approvazione<br />

di tale legge?... Ed invero: - il fatto che l'assegnazione sia avvenuta ad opera<br />

del Presidente sarebbe rilevante solo se vi fosse una disposizione che conferisca<br />

al Presidente stesso la potestà di interpretare - e per di più con effetto vincolante<br />

e preclusivo di qualsiasi sindacato giurisdizionale - il regolamento, disposizione<br />

che invece manca; - il fatto che nessuno dei deputati presenti all'annunzio<br />

della presentazione della legge abbia fatto opposizione non può ovviamente<br />

essere interpretato come una manifestazione diretta ad interpretare il<br />

regolamento o, peggio, a legittimarne una violazione, a prescindere dal fatto<br />

che l'interpretazione autentica del regolamento da parte dell'Assemblea presupporrebbe<br />

la presenza della maggioranza dei suoi componenti; - le stesse considerazioni<br />

valgono, a fortìorì, per il terzo argomento, non potendosi ammettere<br />

che una semplice commissione sia arbitra di interpretare il regolamento, e per<br />

di più di disapplicarlo > (coli. 39-40). CARLO ESPOSITO, richiamandosi a quanto<br />

da lui affermato precedentemente alla pronuncia della sentenza in esame sull'interpretazione<br />

dell'art 72 della Costituzione (la norma non significa che « la<br />

Costituzione voglia disciplinare essa direttamente, sia pure in parte, il procedimento<br />

legislativo, ma bensì che la Costituzione vuole fissare principi e direttive<br />

per i regolamenti cui è rimesso di disciplinare il procedimento legislativo... con<br />

forza di regolamento, e non di legge e tanto meno di legge costituzionale »,<br />

in omaggio al e vecchio, tradizionale principio della insindacabilità degli interna<br />

corporis delle Camere, cfr. Questioni sulla invalidità della legge per (presunti)<br />

vizi del procedimento di approvazione; Giurisprudenza costituzionale, II, 1957,<br />

1332), osserva che « solo ponendo aprioristicamente tutti i momenti del procedimento<br />

legislativo sullo stesso piano e cedendo al pregiudizio che tutte le disposizioni<br />

relative al procedimento legislativo, in quanto formulate in costituzione<br />

rigida (e cioè modificabile con particolari procedure) siano norme rigide,<br />

rivolte alla legge e non mai al legislatore per guidarne il comportamento, la<br />

Corte ha potuto sostenere che, come in materia di atti amministrativi e come<br />

rispetto alle giurisdizioni di annullamento degli atti amministrativi, fosse da<br />

ricomprendere nel vizio di violazione di costituzione da parte della legge ogni<br />

vizio " in procedendo " del legislatore » (La Corte Costituzionale in Parlamento;<br />

Giurisprudenza costituzionale, IV, 1959, 626). Questo principio, che la<br />

violazione delle norme sul procedimento dà luogo a illegittimità della legge,<br />

la Corte ha voluto tuttavia conciliarlo t con l'evidente desiderio di non portare<br />

il principio a tutte le conseguenze », 11 che « si manifesta anche nelle argomentazioni<br />

con le quali essa ha escluso dal proprio sindacato la rispondenza del<br />

procedimento alle regole che la Costituzione rimette ai regolamenti parlamentari<br />

» (pag. 629). Nel difetto di una distinzione, nelle regole sul procedimento<br />

legislativo, tra regole con valore organizzatorio o direttivo degli organi e regole<br />

statuenti canoni di valutazione delle leggi, la Corte si è preclusa, secondo<br />

I'ESPOSITO, l'affermazione e che la Costituzione, quando rinvia ai regolamenti<br />

per la disciplina del procedimento e stabilisce che le Camere debbono procedere<br />

alle approvazioni delle leggi secondo le disposizioni regolamentari, intende che<br />

tali fonti del diritto pongano regole rivolte agli organi legislativi per discipli-


Guida bibliografica 679<br />

narne le attività e non canoni di valutazione delle leggi invalidanti Tatto legislativo<br />

per vizio di procedimento >, con la conseguenza di aver dovuto affermare<br />

da una parte, « che le regole dei regolamenti non danno luogo ad incostituzionalità<br />

della legge perché non costituzionalizzate », e, dall'altra, e che le nonne<br />

dei regolamenti delle Camere non possono dare luogo ad invalidità della legge<br />

perché non possono essere contraddette dal comportamento delle Camere », le<br />

quali, « in sede di esecuzione, darebbero dei regolamenti una interpretazione<br />

sempre vera, autentica, incontrovertibile » (pag. 629), come appunto nel caso<br />

presente dell'art 40. Concludendo, t le difficoltà che ha incontrato la Corte in<br />

seguito alla affermazione della propria competenza a sindacare i vizi in procedendo<br />

della legge sono tali e tante che sarebbe desiderabile che il legislatore,<br />

come è nei suoi compiti, offrisse alla Corte stessa criteri sicuri per l'esercizio<br />

del controllo e che insomma una legge costituzionale, a vantaggio della certezza<br />

del diritto, sancisse i criteri e i limiti del controllo giurisdizionale dei vizi del<br />

procedimento legislativo» (pag. 630). Anche il GUELI (Rassegna parlamentare,<br />

I, 1959, 131) avverte nella decisione della Corte e una qualche incertezza di<br />

orientamento e di atteggiamento, proprio a riguardo della estensione del poteri<br />

della stessa Corte giudicante e in definitiva della stessa posizione di quest'ultima<br />

nel complesso organismo delle istituzioni governative dello Stato » in ordine<br />

alla sindacabilità degli interna corporis e constata che, in riferimento al punto<br />

che qui interessa, la Corte « ha dato prova di un ritegno (a mio avviso) eccessivo,<br />

decidendo, con riguardo alla fattispecie, di non poter sottoporre al proprio<br />

sindacato la pretesa violazione dell'art 40 del regolamento della Camera ». Più<br />

precisamente, il GUELI, pur non ritenendo e il carattere costituzionale della<br />

materia (anche se teoricamente sostenibile) sufficiente ad attribuire la natura<br />

di vizio di incostituzionalità alla violazione di qualsiasi norma che la riguardi,<br />

qualunque ne sia l'efficacia formale », trova « d'altra parte che si ha della "legittimità<br />

" costituzionale delle leggi una troppo stretta nozione se si pensa che<br />

soltanto la violazione di una norma posta con legge formalmente costituzionale<br />

possa esser causa della loro illegittimità » (pag. 133), con il risultato che t i regolamenti<br />

parlamentari, in quanto contengano norme obbligatorie per la stessa<br />

Camera da cui emanano, siano da annoverare tra le fonti di norme non formalmente<br />

costituzionali che la Corte deve tuttavia tener presente per decidere<br />

della costituzionalità (formale, dato l'oggetto proprio di quelle norme regolamentari)<br />

di una legge ». Il quesito fondamentale, per il GUELI, è pertanto quello<br />

di « stabilire se e quando i regolamenti parlamentari contengano norme che le<br />

Camere debbono osservare nella loro attività legislativa» ed in verità calla<br />

sentenza della Corte qui considerata deve riconoscersi almeno il merito di avere<br />

colto il carattere centrale e decisivo di detta questione, risolvendola però erroneamente,<br />

allorché ha argomentato dalla facoltatività per le Camere della posizione<br />

della norma regolamentare in questione per concludere che la disciplina<br />

così dettata resti nell'ambito della disponibilità dello stesso Corpo da cui emana<br />

e che quindi l'interpretazione da questo datane sia sottratta al sindacato della<br />

Corte medesima ». Non è ammissibile, pertanto, entro i binari di questo ragionamento<br />

di una logica irreprensibile, eludere la natura della questione con un<br />

rinvio al decisivo apprezzamento interpretativo della Camera, perché « il vero<br />

è che in linea di principio ogni nònna di regolamento parlamentare è obbligatoria<br />

per la stessa Camera che l'ha posta e la sua violazione è vizio che invalida


680 Guida bibliografica<br />

la legge nel cui processo formativo sia intervenuta e, come tale, è sindacabile<br />

dalla Corte costituzionale. Ciò discende da un principio generale che riceve<br />

applicazione in vari casi per i quali è corrente, benché inesatta, la formula di<br />

"autolimitazione". La legge vincola gli stessi organi legislativi, che possono<br />

abrogarla, derogarvi, ma non trasgredirla » L'autonomia (in senso tecnico-giuridico)<br />

è in generale, e quindi anche quella delle Camere, di cui sono esplicazione<br />

i regolamenti parlamentari, egualmente un potere di porre norme come parti<br />

dell'ordinamento, e non già di dar norma letteralmente auto-nomica; poiché<br />

l'autorità che tale potere possiede ed esplica, ed è perciò legislativa (in senso<br />

materiale); è sempre distinta dall'autorità attiva, fosse pure quest'ultima (ed è<br />

in ciò un lato quasi paradossale della particolarissima fattispecie che ci occupa)<br />

un'autorità legislativamente attiva, ossia attiva al fine della formazione della<br />

legge e nel corso del relativo procedimento » (pag. 134).<br />

Sul secondo punto in esame la Corte afferma che la questione sulla legittimità<br />

costituzionale di una legge in riferimento all'art. 70 della Costituzione<br />

per difformità dei testi approvati rispettivamente dalle Commissioni della Camera<br />

e del Senato, non preclude il sindacato della Corte su tali atti anteriori<br />

all'attestazione contenuta nel messaggio dei Presidenti delle Camere, ritenuto<br />

che « la competenza della Corte di controllare l'osservanza delle norme costituzionali<br />

nel procedimento formativo delle leggi implica che quando la controversia<br />

sulla legittimità costituzionale di una legge sorge per la denunciata difformità<br />

fra i testi approvati dalle due Camere, la Corte ha la potestà di accertare<br />

se il testo, che il Presidente di una Camera nel suo messaggio di trasmissione<br />

attesta essere stato approvato, è effettivamente conforme al testo approvato<br />

dalla stessa Camera » (Raccolta cit., 100). È ovvio che per pervenire all'esame<br />

delle eventuali difformità denunciate fra i testi di legge approvati dalle<br />

due Camere è necessario determinare la natura giuridica del messaggio con<br />

cui i Presidenti attestano, o all'altra Camera o al Presidente della Repubblica<br />

per la promulgazione, l'avvenuta approvazione della legge. Secondo la concezione<br />

tradizionale questo messaggio è, come scrive il PIERANDREI (Giurisprudenza<br />

italiana, 111, 1959, I-I, 1024), t l'usbergo dd prindpio relativo all'autonomia<br />

delle Camere, la garanzia della insindacabilità degli interna corporis »,<br />

interpretazione che è di per sé preclusiva di ogni tentativo di sindacato di<br />

costituzionalità formale sugli atti anteriori di cui il messaggio stesso assume la<br />

natura di insindacabile attestazione erga omnes, cosicché i la Corte non sarebbe<br />

penetrata nell'interno delle Camere, per indagare dò che vi era accaduto, e<br />

avrebbe potuto accertare un vizio di procedimento, verificatosi prima dell'emanazione<br />

del messaggio, soltanto nell'ipotesi in cui esso fosse risultato dalla<br />

stessa formulazione del messaggio » (PIESANDREI, 1023). La Corte, opponendo<br />

alla concezione tradizionale dell'insindacabilità degli interna corporis, l'estensione<br />

del suo sindacato anche al contenuto del messaggio dei Presidenti delle<br />

Camere ha dovuto a tale scopo formulare una configurazione particolare della<br />

natura giuridica del messaggio, qualificandolo come mero atto di comunicazione<br />

dell'avvenuta approvazione di un disegno di legge da parte delle Camere,<br />

e pressamente: « Il messaggio del Presidente di una Camera, che è una formalità<br />

necessariamente inerente ad un procedimento di formazione della legge<br />

al quale, come in quello vigente, partecipano organi costituzionali diversi, ha<br />

la funzione di comunicare che un disegno di legge è stato approvato dalla


Guida bibliografica 681<br />

Camera. Esso, come appare dalla sua denominazione, non ha effetti che sì esauriscono<br />

nell'interno della Camera, essendone destinatario un altro organo costituzionale<br />

al quale dà notizia di un fatto (l'approvazione di un disegno di legge),<br />

che ha una essenziale rilevanza giuridica per il processo di formazione di una<br />

legge. E, pertanto, non preclude l'esercizio da parte della Corte costituzionale<br />

della sua competenza di controllare se il processo formativo di una legge si è<br />

compiuto in conformità alle norme con le quali la Costituzione direttamente<br />

regola tale procedimento. La posizione costituzionale di indipendenza delle<br />

Camere non implica... l'assoluta insindacabilità, da parte di qualsiasi altro organo<br />

dello Stato, del procedimento con cui gli atti delle Camere vengono deliberati,<br />

ed in particolare l'insindacabilità da parte della Corte costituzionale del<br />

procedimento di formazione di una legge » {Raccolta cit., 100-101). Osserva in<br />

connessione a ciò il PIERANDREI (1023) che «si ha quasi l'impressione che la<br />

Corte abbia voluto mettersi in una posizione di forza (la forza della sua posizione<br />

costituzionale) e parlare di lì... Il messaggio è certo un atto che ha per<br />

contenuto una comunicazione; ma - oltre a non limitarsi sempre ad attestare<br />

semplicemente che un testo legislativo è stato approvato, dovendo dare specifica<br />

notizia, quando ciò sia necessario, circa il particolare procedimento seguito<br />

- esso è anche, lo si ripete, il solo strumento di manifestazione ufficiate<br />

della volontà delle Assemblee, mentre i diversi " atti parlamentari ", a cui si sarebbe<br />

costretti a ricorrere in caso di contestazione, hanno lo scopo di dare<br />

pubblicità materiale ai lavori delle Assemblee stesse, quali si sono svolti nella<br />

realtà, e non hanno la funzione di far fede nei confronti dei terzi. Tuttavia la<br />

Corte non si è lasciata trattenere da questo argomento ». Opinioni sostanzialmente<br />

non diverse da questa del PIERANDREI in ordine alla erosione del principio<br />

dell'insindacabilità degli interna corporis sono manifestate dal BBBUHI e<br />

dal GUELI: il primo (Foro Italiano cit, 41-42) è dell'avviso che eia coraggiosa<br />

presa di posizione della Corte sia pienamente legittima e faccia sostanzialmente<br />

giustizia di una preoccupazione ispirata ad un lodevolissimo timore reverenziale,<br />

che peraltro non trova più fondamento nella legge. Una volta che il Parlamento<br />

non è più, almeno nella sua funzione di produttore di leggi ordinarie,<br />

sovrano o meglio legibus solutus, essendo tenuto a rispettare le norme della<br />

Costituzione, e una volta che le leggi da esso approvate sono soggette al sindacato<br />

di legittimità della Corte costituzionale, sembra inevitabile che questo<br />

giudice abbia tutti i poteri necessari per espletare la sua altissima funzione, e<br />

per impedire che, in perfetta buona fede o eventualmente anche in perfetta<br />

mala fede, uno degli organi dello Stato possa violare e rendere inoperante la<br />

Costituzione »; il secondo (Rassegna parlamentare, I, 1959, 132), dal fatto che<br />

la Corte non si sia arrestata dinanzi all'attestazione dei rispettivi Presidenti<br />

contenuta nel messaggio di trasmissione del progetto di legge dall'una Camera<br />

all'altra o al Capo dello Stato ed abbia spinto oltre l'esame, desume che • qui<br />

la Corte ha, invece [in contrapposizione alla prova di un ritegno eccessivo in<br />

ordine al sindacato sull'art 40 del Regolamento della Camera] mostrato un<br />

ardimento notevole (che potrà anche sembrare, a sua volta, eccessivo), tentando<br />

persino vie e modi di attività processuale praeter legem improntati addirittura<br />

ad un tipo di processo inquisitorio con l'inviare il Giudice relatore in mistione<br />

istruttoria presso la Camera dei Deputati ». Non sembra tuttavia forse azzardato<br />

ritenere che l'esercizio di un simile controllo sulla legittimità formale


682 Guida bibliografica<br />

degli atti anteriori del procedimento di formazione di una legge sia stato in<br />

parte facilitato dalla posizione assunta dal Presidente della Camera il quale,<br />

dopo aver negato il rilascio di copie dei processi verbali delle sedute delle Commissioni<br />

o della Camera trattandosi di atti interni e dopo aver precisato che<br />

i resoconti stenografici delle sedute tanto della Camera quanto delle Commissioni<br />

avevano carattere informativo ma non ufficiale e che il solo atto ufficiale<br />

relativo al procedimento di formazione di una legge avanti alla Camera era<br />

il messaggio col quale il Presidente trasmette al Presidente dell'altra Camera<br />

o al Capo dello Stato il testo del disegno di legge approvato dalla Camera, inviò,<br />

su richiesta di chiarimento da parte del Presidente della Corte, in un secondo<br />

tempo, una lettera con cui sostanzialmente, come rileva G. GROTTANELLI DE'<br />

SANTI, Note sul sindacato giurisdizionale degli atti del Parlamento nei paesi<br />

anglosassoni (Rivista trimestrale di diritto pubblico, IX, 1959, 218-236), « il Presidente<br />

della Camera aveva autenticato il testo dei resoconti stenografici delle<br />

sedute delle commissioni interessanti ai fini del giudizio, dichiarando che tale<br />

testo " riproduce fedelmente lo svolgimento dei lavori delle commissioni stesse " ><br />

(221). Ora, a prescindere dalla questione se la Corte per esercitare il controllo<br />

di legittimità avesse prestato unicamente fede ai resoconti stenografici,^ pur<br />

assumendone la non ufficialità, o avesse ritenuto determinante la autenticazione<br />

delle narrazioni non ufficiali degli stessi da parte del Presidente della Camera<br />

(per la interpretazione opposta a quella del GROTTANELLI, cfr. ESPOSITO, Giurisprudenza<br />

costituzionale, 1959, 633) sembra evidente che la posizione assunta<br />

dal Presidente della Camera abbia favorito l'esercizio della potestà di controllo<br />

al di là delle attestazioni ufficiali contenute nei messaggi dei Presidenti delle<br />

assemblee. Ecco, a tale proposito, le lapidari considerazioni del Tosi (Rassegna<br />

parlamentare, 1959, 139): tOra, sulla natura e gli effetti del messaggio del<br />

presidente di assemblea si possono nutrire tutte le opinioni. Ma resta il fatto<br />

che la citata dichiarazione della Presidenza della Camera appanna l'assolutezza<br />

della tesi che vuole quel messaggio come unica e definitiva attestazione insindacabile<br />

del procedimento seguito. È a tutti evidente infatti che la dichiarazione<br />

per la quale i resoconti riproducevano fedelmente lo svolgimento dei lavori<br />

contraddice alla tesi della insindacabilità del messaggio presidenziale. O<br />

esso è veramente insindacabile, e allora la riportata dichiarazione è pleonastica<br />

e anzi contraddittoria all'assunto; ovvero esso non è insindacabile come atto<br />

interno dell'assemblea, sibbene ha " una essenziale rilevanza giuridica per il processo<br />

di formazione di una legge " e pertanto è passibile di accertamento da<br />

parte della Corte costituzionale, e allora si giustifica razionalmente l'attestazione<br />

dichiarativa fornita dalla Presidenza della Camera: terùum non datur ».<br />

Con non minore convinzione e decisione, anche se esposta con un accorto dosaggio<br />

delle tinte sostantive, concorre in questa opinione anche il COSENTINO<br />

(Rassegna parlamentare, 1959, 124) quando, dopo aver richiamato l'attenzione<br />

sul « limite invalicabile », che l'indagine della Corte « rivolta ad accertare la<br />

sussistenza dei requisiti formali di validità di una legge "rinviene" nella natura<br />

stessa degli atti parlamentari, la cui esistenza di fatto, sotto forma di resoconti<br />

sommari e stenografici... non implica alcuna nozione di pubblico istrumento<br />

constatabile ex officio », così conclude: « Prova ne sia che la Corte è<br />

stata obbligata - nel corso del giudizio che si è concluso con la nota sentenza -<br />

a veri e propri atti ricognitivi presso la Presidenza della Camera per accertare


Guida bibliografica 683<br />

in loco l'esistenza di particolari norme interne necessarie al compimento del<br />

giudicato, norme che peraltro, di fatto, non dovevano essere certamente ignote<br />

ad alcuno dei componenti il collegio giudicante ! D'altra parte, anche l'acquisizione<br />

di elementi di giudizio relativi alla concordanza dei due testi approvati<br />

da ciascuna delle due Camere rispettivamente, non si vede come possa avvenire<br />

in forma diversa da quella ricognitiva, posto che i messaggi dei Presidenti<br />

delle Assemblee si esauriscono nella sfera delle attività di promulgazione e non<br />

divengono mai documenti di pubblica consultazione ». In connessione a dò,<br />

i sostenitori della qualificazione non interna degli e atti parlamentari » e della<br />

loro efficacia probatoria (PIERANDREI, 1024; VIRGA, Sindacato sugli "interna<br />

corporis" e poteri di indagine della Corte Costituzionale; Giurisprudenza costituzionale,<br />

1959, 998, sulla linea di ESPOSITO, Atti parlamentari, Enciclopedia<br />

del diritto, IV, 82 segg., che sembra tuttavia non identificarsi con le considerazioni<br />

svolte da ESPOSITO, La Corte costituzionale in Parlamento; Giurisprudenza<br />

costituzionale, 1959, 632-33; A. GUERRA, Potere di indagine detta Corte<br />

Costituzionale sulla attività legislativa del Parlamento; L'Amministrazione Italiana,<br />

XIII, 1958, 841-848) sono contraddetti, nella fattispecie, dalla sequenza<br />

dei momenti in cui, nei rapporti con il Presidente della Camera, si è esternata<br />

l'azione ricognitiva delle indagini della Corte, momenti che sostanzialmente si<br />

articolano, in un riconoscimento, da parte della Corte, della natura interna dei<br />

processi verbali ed in una successiva acquisizione per dichiarazione del Presidente<br />

della Camera, degli elementi formativi del procedimento legislativo attestati<br />

dai resoconti stenografici. Esatta, quindi, la deduzione generale tratta dal<br />

COSENTINO (Rassegna parlamentare, 1959, 125) che paia < degna della maggior<br />

lode la prudenza della Corte nel decidere la controversia accogliendo implicitamente...<br />

la tesi della più ampia discrezionalità delle Camere in materia di<br />

processo formativo della legge » con riferimento, secondo noi, anche alla discrezionalità<br />

delle Camere in sede di chiarimento sulla qualificazione della natura<br />

interna o meno di determinati atti, chiarimento sollecitato dalla Corte Costituzionale.<br />

Esemplare, inoltre, ai fini della configurazione delle funzioni e dei<br />

limiti dei singoli organi costituzionali e della dinamica inerente ai reciproci<br />

rapporti, l'osservazione del GUELI (Rassegna Parlamentare, 1959, 136) di poter<br />

« constatare, attraverso l'episodio riferito nella narrativa della sentenza commentata,<br />

relativamente al rifiuto del Presidente della Camera di dare esibizione<br />

dei verbali di Commissione in sede legislativa al Giudice costituzionale inviato<br />

in missione istruttoria, ancora un dato di esperienza attinente al fenomeno<br />

della oscillazione dei rapporti di forza fra gli organi costituzionali. £ ancora<br />

troppo poco per fondare su ciò una qualsiasi formulazione di principi costituzionali<br />

in cui possa esprimersi un punto di equilibrio sufficientemente stabile<br />

in quei rapporti di forza. Sia lecito soltanto esprimere il voto che le prese di<br />

posizione registrabili in siffatta dinamica non derivino da una volontà di spingersi<br />

fino al limite della propria potenza e dell'altrui resistenza, bensì dalla<br />

scrupolosa cura di osservare quanto di quella potenza è divenuto, nell'attuale<br />

ordinamento costituzionale, potere giuridico e quanto, di quella resistenza, giuridico<br />

dovere ».<br />

Per concludere su questo punto, è necessario infine richiamare un problema<br />

che t è un po' la chiave di volta (COSENTINO, 125) della complessa materia<br />

della pubblicità dei documenti assembleari e della loro ufficialità: la riu-<br />

i


684 Guida bibliografica<br />

nione in Comitato Segreto delle Camere a norma del secondo comma dell'art.<br />

64 della Costituzione, nel corso della quale le Camere "possono deliberare<br />

l'approvazione di qualsivoglia testo di legge senza redigere alcun resoconto<br />

stenografico o sommario" e perfino, come prevede l'art. 141 del Regolamento<br />

della Camera dei deputati, senza che sia esteso il processo verbale. Quid in tal<br />

caso, è lecito chiedersi, del controllo sul processo formativo della legge anche<br />

limitatamentte alle norme regolamentari contenute nella Costituzione? Si sarebbe<br />

indotti pertanto a concludere... che il sindacato formale di costituzionalità...<br />

trova un limite invalicabile, da un lato, nella situazione di fatto della<br />

non ufficialità degli atti parlamentari... [e] per soprammercato un ulteriore limite,<br />

ancor più invalicabile se ciò fosse possibile, nella contraddizione fra la facoltà<br />

delle Camere di tenere sedute segrete e la pretesa di indagare sul processo<br />

formativo della legge, che l'adunanza non pubblica sottrae senza rimedio anche<br />

alla sola conoscenza, vietando perfino al Presidente - salvo diversa deliberazione<br />

della Camera - di dare notizie all'esterno all'infuori del testo della decisione<br />

medesima ». Donde I'ESPOSITO (Giurisprudenza costituzionale, 1959, 632)<br />

deduce il dubbio fortemente nutrito di un difetto di potestà, da parte della<br />

Corte, di controllare la verità delle attestazioni ufficiali di ciò che è avvenuto<br />

nelle Camere, in quanto « la nostra Costituzione, ammettenlo il controllo sulla<br />

costituzionalità delle leggi, per quanto consenta alle Camere di deliberare in<br />

segreto, sembra escludere la esistenza di un nesso logico, essenziale, tra il controllo<br />

di costituzionalità e la potestà di accertare i fatti avvenuti entro le Camere.<br />

Né pare sostenibile che poiché è attribuito alla Corte Costituzionale il<br />

controllo di legittimità delle leggi e di accertare la legalità dei procedimenti<br />

legislativi svoltisi entro le Camere, questo procedimento (in genere o rispetto<br />

alla Corte) non possa essere segreto o che, rispetto alla Corte, non esistano sedute<br />

segrete o che ad essa spetta sempre di squarciare il velo del segreto >,<br />

e cfr. anche ESPOSITO, Questioni ecc., Giurisprudenza costituzionale, 1957, 1333.<br />

Argomento tuttavia che non appare decisivo al PIERANDREI (« Si tratta di una<br />

norma destinata ad avere applicazione in casi assolutamente eccezionali, e quasi<br />

mai, come è probabile, in occasione di discussioni di legge >, Giurisprudenza<br />

italiana, 1959, col. 1025, nota 15), anche se egli in ultima analisi è propenso<br />

ad accettarlo, perché < potrebbe valere il vecchio adagio circa i rapporti fra eccezione<br />

e regola, sul presupposto che per le leggi deliberate in " seduta segreta "<br />

non sarebbe certo possibile il sindacato degli interna corporh ». In verità, il problema<br />

del sindacato esercitato dalla Corte sul procedimento di formazione di<br />

una legge esaminata ed approvata in Comitato Segreto non si pone, non per le<br />

ragioni addotte di un difetto di attestazione di qualsiasi natura di simili deliberazioni,<br />

ma per la ragione che « non è possibile ammettere... che in quelle<br />

circostanze possa darsi luogo al processo di formazione della legge » (Tosi,<br />

Rassegna parlamentare, 1959, 140; cfr. anche VIRGA, Giurisprudenza costituzionale,<br />

1959, 998, nota 19; GUERRA, L'Amministrazione italiana, 1958, 846).<br />

Ineccepibili, sotto questo profilo si palesano le osservazioni di F. MOHRHOFF, La<br />

competenza della Corte costituzionale a controllare il procedimento di formazione<br />

delle leggi; Rassegna parlamentare, 1-1959, 2, 145-46): « La norma dell'art<br />

64, che appunto prevede la possibilità di ciascuna Camera di radunarsi<br />

in seduta segreta, incontra un limite: il limite di tutte le norme costituzionali<br />

che minutamente disciplinano il procedimento di formazione della volontà legi-


Guida bibliografica 685<br />

slativa. Non sembrerebbe, infatti, coerente, per il legislatore costituente, stabilire<br />

da una parte che ciascuna Camera possa, per l'approvazione di una legge,<br />

riunirsi in seduta segreta e dall'altra imporre alle Camere stesse il modo (l'unico<br />

modo) di procedere all'esame ed all'approvazione della legge. Riteniamo da<br />

parte nostra che l'art. 64 Cost. disponga invece per tutti quei casi che non<br />

risultino disciplinati dall'art. 72 Cost. o da altre norme costituzionali aventi<br />

il valore cogente del medesimo ».<br />

La decisione, da parte della Corte, di non ritenere il messaggio<br />

presidenziale insindacabile come atto interno dell'assemblea e l'autenticazione<br />

dei testi dei resoconti stenografici delle sedute quali fedeli<br />

riproduzioni dello svolgimento dei lavori delle commissioni stesse da<br />

parte del Presidente della Camera hanno aperto alla Corte la strada<br />

per l'indagine sulla assunta difformità dei testi votati rispettivamente<br />

dalle Commissioni della Camera e del Senato, su cui era stata egualmente<br />

sollevata la questione di legittimità costituzionale in riferimento<br />

all'art. 70 della Costituzione. Questa la fattispecie: la prima e la decima<br />

Commissione in sede legislativa della Camera erano procedute<br />

alla votazione finale del disegno di legge « con la riserva del coordinamento<br />

che le Commissioni, prima della votazione finale, avevano autorizzato<br />

la Presidenza ad eseguire secondo i criteri esposti dal deputato<br />

Agrimi ed accolti dalle Commissioni stesse » (Raccolta cit., 102). Ora.<br />

in sede di coordinamento, erano state introdotte modifiche tali - sostenevano<br />

i promotori dell'azione - da cambiare il senso e la portata delle<br />

disposizioni contenute nel testo approvato con votazione finale dalle<br />

Commissioni riunite, palesando un evidente vizio di legittimità costituzionale.<br />

La Corte, preso atto della prassi seguita di non ripresentare<br />

alla Camera o alla Commissione competente per una nuova votazione<br />

finale il testo di un disegno di legge coordinato dalla Presidenza su incarico<br />

della Camera o della Commissione stessa, non ritenne questa<br />

procedura di per sé contraria alla Costituzione, ma chiarì essere « evidente<br />

che il concetto stesso di coordinamento implica che il testo coordinato,<br />

in tanto può non essere sottoposto ad una nuova votazione finale,<br />

in quanto abbia una formulazione che non alteri la sostanza del<br />

testo che aveva formato oggetto della votazione finale della Camera o<br />

della Commissione competente. Tale prassi, perciò, non preclude l'esercizio,<br />

da parte della Corte Costituzionale, del potere di controllare la<br />

legittimità del procedimento di formazione della legge nel senso di<br />

accertare, caso per caso, se la formulazione data al testo legislativo<br />

coordinato si è manutenuta nei limiti nei quali il cwjrdinamento è alato<br />

autorizzato, in modo che essa esprima l'effettiva volontà della Camera,<br />

e sia idoneo a concorrere con una identica volontà dell'altra Camera a


686 Guida bibliografica<br />

produrre la legge » (Raccolta cit., 102-103). Da un raffronto fra il testo,<br />

votato dalle Commissioni con riserva del coordinamento, ed il testo coordinato<br />

e poi promulgato, la Corte non ha acquisito elementi tali per<br />

ritenere che, in sede di coordinamento, si sia deliberatamente voluto<br />

modificare la portata sostanziale di singole disposizioni, ragion per cui<br />

non ha ritenuto fondata l'eccezione di illegittimità costituzionale della<br />

legge sottoposta al suo giudizio per assunta difformità dei testi votati<br />

rispettivamente dalle Commissioni della Camera e del Senato, non essendovi<br />

state modificazioni di sostanza.<br />

Questa parte della sentenza sul coordinamento è stata oggetto di severa<br />

critica sia in ordine alla procedura di approvazione del disegno di legge ritenuta<br />

dalla Corte di per sé non contraria alla Costituzione, sia in riferimento alla<br />

linea di condotta seguita nella formulazione del criterio interpretativo della<br />

sostanziale identità delle disposizioni dei due testi del disegno di legge. Per<br />

quanto riguarda la procedura di approvazione della Camera è stato rilevato .che<br />

il testo coordinato, non essendo identico a quello approvato dalle Commissioni<br />

riunite prima del coordinamento stesso, doveva essere sottoposto alla votazione<br />

finale sul provvedimento richiesto a norma dell'art 72 della Costituzione, in<br />

quanto il testo definitivo, trasmesso con messaggio del Presidente della Camera<br />

al Senato, non corrispondeva a quello su cui, al termine del procedimento di<br />

esame del disegno di legge, era stata effettuata la asserita votazione finale. Sotto<br />

il profilo giuridico, non si è insomma concretata la manifestazione della volontà<br />

della Camera mediante la votazione a norma dell'art. 72 della Costituzione.<br />

£ fuori discussione, pertanto, secondo il Tosi (Rassegna parlamentare,<br />

1959-1, n. 4, 140-141) « che il coordinamento avvenuto in modo siffatto produca<br />

violazione dell'art. 91 del Regolamento della Camera... dal momento che<br />

è richiesta espressamente una deliberazione dopo che esso abbia avuto luogo.<br />

Né può collocarsi, la procedura nella prassi che consente, senza nuova votazione,<br />

il cosiddetto "coordinamento formale": lo stesso apprezzamento che<br />

la sentenza fa della fattispecie, dopo averla illustrata nel suo svolgimento, consente<br />

di affermare che il compito demandato dalle due commissioni riunite alla<br />

loro presidenza concreta manifestamente il coordinamento di cui all'art. 91,<br />

ed esso soltanto. Tuttavia, non si tratta qui di assumere la violazione di una<br />

norma regolamentare come violazione tout-court della Costituzione, la stessa<br />

Corte essendoselo in precedenza apprezzabilmente negato (conforme alla tesi<br />

ESPOSITO) a proposito dell'art 40 del "Regolamento della Camera". Si tratta<br />

bensì di rintracciare nella manifesta violazione dell'art. 91 il verificarsi o meno<br />

di una lesione dell'art. 72 della Costituzione, in ordine a quel che esso dispone<br />

circa la "votazione finale" o la "approvazione finale". Quanto è avvenuto in<br />

sede di coordinamento, cioè, pare a noi soggetto a sindacato di legittimità costituzionale<br />

non solo per la difformità dei testi (come di fatto è avvenuto) ma<br />

anche per la mancata espressione formale di una definitiva approvazione. Ora,<br />

se è del tutto convincente che il controllo costituzionale rimesso al Presidente<br />

della Repubblica attraverso il rinvio, non poteva qui esercitarsi (che il messaggio<br />

di trasmissione è sì, per il Capo dello Stato, l'unica ed insindacabile attesta-


Guida bibliografica 687<br />

zione della volontà delle Camere) (cfr., però, su questo, la puntualizzazione<br />

del VIRGA, Giurisprudenza costituzionale, 1959, 996-998), appare meno convincente<br />

l'argomentare condotto a questo riguardo da parte della Corte Costituzionale.<br />

La quale ha bensì affermato la sua competenza anche in questa materia,<br />

ma ha implicitamente ritenuto che la votazione finale dopo il coordinamento<br />

non sia requisito indispensabile ad substantiam. La predetta soluzione<br />

appare opinabile ed è lecito chiedersi se può trovare fondamento l'ammissibilità<br />

di una prassi parlamentare contro legem, quando essa produca manifestamente<br />

una modificazione tacita della Costituzione. Ben si comprende come una tesi<br />

siffatta sarebbe ineccepibile, ammettendosi la insindacabilità di tutti gii atti<br />

parlamentari quali "interna corporis": essa si comprende meno, quando si sia<br />

invece affermata la loro sindacabilità, se e in quanto posti in essere nel processo<br />

di formazione della legge. La rigidità della Costituzione è, al riguardo,<br />

elemento di valutazione che non può dirsi irrilevante. Per cui la prassi in questione,<br />

configurandosi come arbitraria estensione del potere discrezionale dette<br />

Camere (nel significato di cui all'art. 28 della legge 11 marzo 1953) concreta<br />

a parer nostro un eccesso di potere idoneo a produrre la illegittimità costituzionale<br />

della legge ».<br />

Atteggiamento di non minore contrarietà alla pronuncia della Corte sulla<br />

interpretazione del coordinamento, assume P. BAK<strong>IL</strong>B, // crollo di un antico<br />

feticcio (gli interna corporis) in una storica (ma insoddisfacente) sentenza (Giurisprudenza<br />

costituzionale, IV, 1959, 240-49), il quale si domanda: e Ma è<br />

legittimo quel coordinamento di cui s'è or ora parlato ? Ecco il punto dove<br />

la sentenza fa un grave salto logico: se la votazione finale è e non pud essere<br />

l'ultimo atto del subprocedimento che ha luogo davanti a ciascuna Camera,<br />

dopo il " coordinamento " la legge deve tornare ad essere approvata in aula od<br />

in assemblea. Invece, dice la Corte, la prassi adottata dalla Camera dei Deputati,<br />

secondo la quale, quando la Presidenza è autorizzata al "coordinamento",<br />

il testo del disegno di legge coordinato non è più ripresentato per una nuova<br />

votazione finale, "non pud ritenersi senz'altro contraria atta Costituzione".<br />

Questa affermazione lascia molto perplessi. Se l'una o l'altra Camera, per il<br />

principio base del bicameralismo debbono votare l'identico testo, come può<br />

dirsi che ciò avvenga quando le due votazioni finali siano state effettuate su due<br />

testi diversi? Quale base normativa testuale autorizza il Parlamento ad applicare<br />

in modo così approssimativo gli artt 70 e 72 Cost. ? Nessuna. La massima<br />

affermata dalla Corte, che permette che la Camera voti per l'ultima volta su di<br />

un disegno di legge in una forma che sicuramente è destinata ad essere trasformata,<br />

sembra contraria: a) agli artt. 70 e 72 Cost (oltre che agli stessi artt 74<br />

RegoL Senato e 91 Regol. Camera dei Deputati), perché abolisce la votazione<br />

finale; b) all'art. 72 Cost. sotto altro profilo, perché autorizza una delegazione<br />

della funzione legislativa estranea ai casi previsti dalla Costituzione. La funzione<br />

viene infatti in tal modo ad essere delegata (o subdelegata, per chi vede<br />

nella legislazione per commissione una delegazione) da un organo collegiale ad<br />

un organo singolare, dall'organo competente ad un altro organo sicuramente<br />

incompetente. La norma che ammette la "distribuzione di competenza" ma<br />

soltanto e tassativamente fra aula e commissioni viene ad essere palesemente<br />

violata ». (BAR<strong>IL</strong>E, pag. 247). Concludendo, ambedue gli studiosi citati assumono<br />

che la prassi del coordinamento seguita dalla Camera nell'applicazione del-


688 Guida bibliografica<br />

l'art. 91 del suo regolamento sia contraria a quanto stabilito dall'art. 72 della<br />

Costituzione. Questa interpretazione non appare tuttavia calzante se, al di là<br />

della lettera della sentenza, si individua nelle sue articolazioni l'interpretazione<br />

autentica della Corte. È interessante, intanto, osservare che la Corte anche<br />

a questo proposito, come già per l'art. 40 del regolamento, ha di fatto ritenuto<br />

decisivo l'apprezzamento della Camera, in quanto la determinazione del senso<br />

e della portata della disposizione riguarda una norma posta dalla Camera nel<br />

suo Regolamento, fermo restando l'esercizio del controllo, da parte della Corte,<br />

sul testo coordinato per accertarne la corrispondenza o meno alla volontà effettiva<br />

espressa dalla Camera. In altre parole, la Corte, negato il valore di norme<br />

costituzionali alle disposizioni inserite nei regolamenti parlamentari, ribadisce<br />

la sua competenza ad effettuare il controllo della legittimità del procedimento<br />

di formazione di una legge nei limiti dell'interpretazione dell'art. 72 della Costituzione,<br />

il quale, d'altra parte, nel suo primo comma riserva con innegabile<br />

chiarezza alle Camere stesse la determinazione analitica della procedura di<br />

esame, di approvazione e di votazione dei disegni di legge, entro i limiti generali,<br />

beninteso, fìssati dallo stesso articolo della Costituzione.<br />

Appare evidente pertanto che nei riguardi delle norme regolamentari<br />

costituzionalmente irrilevanti la Corte non si pone il problema della<br />

fonte della singola norma procedurale ed ammette implicitamente, ai<br />

fini della determinazione della natura dell'apprezzamento e dell'interpretazione<br />

data dall'assemblea, la validità tanto della norma regolamentare<br />

scrìtta quanto di quella risultante dalla prassi. Questo atteggiamento<br />

assunto dalla Corte, per cui « l'inserimento della consuetudine<br />

fra le fonti della procedura parlamentare accanto alla Costituzione, alle<br />

leggi e al regolamento è una caratteristica particolare dell'ordinamento<br />

italiano » (F. COSENTINO, Note sui principi della procedura parlamentare,<br />

Comitato Nazionale per la celebrazione del primo decennale della<br />

promulgazione della Costituzione. Studi sulla Costituzione, Milano, 1968,<br />

voi. II, 406), costituisce quindi testimonianza di un inserimento volontario<br />

e responsabile nell'alveo della tradizione parlamentare italiana, ed<br />

è conferma autorevole della tesi adombrata « in ordine alla flessibilità<br />

delle norme che disciplinano le assemblee e alla inderogabile esigenza<br />

che siffatta plasticità non venga turbata da rigorismi teoretici i quali,<br />

per troppo categorizzare e astrarre, finirebbero col mettere le procedure<br />

parlamentari a livello dei regolamenti di qualsiasi assemblea amministrativa,<br />

perdendone di vista l'intrinseca e specialissima natura che, in<br />

quanto atipica, rifugge da ogni comparazione » (COSENTINO, 416) in<br />

modo che è lecito ritenere che « la potestà normativa delle Camere in<br />

materia di interna corporis derivi più ancora che da una attribuzione<br />

costituzionale di competenza, da un riconoscimento costituzionale della<br />

competenza di ciascuna assemblea ad adottare norme di procedura


Guida bibliografica 689<br />

scritte o consuetudinarie che le consentano di svolgere le proprie funzioni<br />

con quella capacità di continuo adattamento in cui risiede la caratteristica<br />

peculiare degli organi rappresentativi politici » (COSEN­<br />

TINO, 417).<br />

Per quanto riguarda la liceità del coordinamento per il fatto che ai testi<br />

votati dalle due Camere non siano state apportate modificazioni di sostanza sono<br />

state mosse obbiezioni non meno rigorose di quelle che hanno accolto la prassi<br />

del coordinamento seguita dalla Camera. Secondo il BAR<strong>IL</strong>E (Giurisprudenza<br />

costituzionale, 1959, 240 segg.) l'affermazione della Corte di riservarsi, caso<br />

per caso, il potere di accertare la rilevanza sostanziale del coordinamento tra<br />

i testi, pregiudica incontestabilmente la certezza del diritto e t quasi cancella<br />

l'importanza storica del seppellimento della insindacabilità degli interna corporis<br />

» (BAR<strong>IL</strong>E, 249). Più esattamente, « la breccia che la Corte ha voluto lasciare<br />

aperta nel principio da essa stessa così coraggiosamente affermato è, a<br />

mio parere, gravissima: essa rende incerta una regola che avrebbe dovuto, per<br />

essere bene applicata, essere rigida e limpida; essa sminuisce - quasi annulla,<br />

direi - l'obbligo del rispetto assoluto della Costituzione, in uno dei suoi più<br />

saldi pilastri, da parte degli stessi organi costituzionali. Dire che è lecito il<br />

" coordinamento " - istituto sconosciuto al diritto scritto ed inoltre contrario,<br />

non solo alla Costituzione, ma agli stessi regolamenti parlamentari - senza una<br />

nuova votazione finale, a patto che il testo coordinato abbia " una formulazione<br />

che non alteri la sostanza del testo che aveva formato oggetto della votazione<br />

finale " significa lasciare campo libero ad un inammissibile arbitrio interpretativo<br />

dell'organo parlamentare e, perché no?, della stessa Corte, che si arroga una<br />

discrezionalità di apprezzamento sul contenuto di merito non costituzionale<br />

delle leggi che, sommessamente, non sembra rientrare nella sua competenza ><br />

(BAR<strong>IL</strong>E, 247-48); e « si vorrebbe dire in sostanza - incalza il PIERANDREI (Giurisprudenza<br />

italiana, 1959, I-I, 1026) - che, una volta accettato il principio del<br />

sindacato sugli interna corporis, la Corte Costituzionale avrebbe dovuto interpretare<br />

e applicare la norma rilevante nella fattispecie per ciò che essa chiaramente<br />

afferma e vuole, senza accogliere e confermare una prassi di discutibile<br />

conformità con tale norma. Non hanno del tutto torto i critici della sentenza<br />

allorché affermano che la Corte è caduta in una contraddizione, dal punto di<br />

vista della logica del suo comportamento, e ha dato, alla disposizione da applicare<br />

una interpretazione eccessivamente elastica e tollerante, non ammissibile<br />

quando sia stato accettato il principio del sindacato; non sarebbe giustificato<br />

che la Corte di volta in volta, secondo le norme da applicare e le circostanze,<br />

accogliesse un criterio interpretativo rigoroso oppure blando».<br />

Considerazioni queste che, in analogia a quelle di autori già citati<br />

(cui possono aggiungersi quelle di AMEDEO GIANNINI, Sulla natura<br />

e sul sindacato dei regolamenti parlamentari (Il Diritto dell'Economia,<br />

IV, 1958, 1395-1410), hanno un loro indubbio fondamento se motivate<br />

prevalentemente dall'esigenza di una interpretazione rigida della norma<br />

costituzionale in correlazione al disposto di una norma procedurale<br />

dell'assemblea parlamentare, ma la cui efficacia risulta notevolmente<br />

26.


690 Guida bibliografica<br />

affievolita, se non annullata, se si considera che la determinazione sul<br />

modo di manifestare la propria volontà in sede di votazione finale<br />

su un disegno di legge non è direttamente indicata dalla Costituzione,<br />

ragion per cui la Corte non ha ritenuto opportuno rilevare l'illegittimità<br />

di una prassi di per sé non contraria alla Costituzione in quanto manifestazione<br />

specifica della votazione finale da questa ultima espressamente<br />

stabilita, ma si è limitata, in coerenza al criterio generale da<br />

essa fissato in ordine alla sua competenza di esercitare il controllo sulla<br />

legittimità costituzionale del procedimento di formazione di una legge,<br />

ad esaminare se la manifestazione specifica della votazione finale effettuata<br />

in quel particolare modo ha corrisposto o meno all'effettiva volontà<br />

della Camera.<br />

* • *<br />

Per lo studio della procedura parlamentare è indispensabile la conoscenza<br />

dei testi dei singoli regolamenti delle Assemblee, il cui reperimento<br />

bibliografico presenta sempre delle notevoli difficoltà perché<br />

tali testi, tanto nei casi di una loro adozione integrale quanto in quelli<br />

di modifiche introdottevi, in generale vengono pubblicati solo in edizione<br />

curata direttamente dalle assemblee interessate né essi, salvi i casi<br />

in cui i regolamenti stessi siano approvati sotto forma di legge od in<br />

cui viga la tradizione di conferire ad essi pubblicità, vengono inseriti<br />

nei giornali ufficiali e nelle raccolte ufficiali delle leggi. Per i testi dei<br />

regolamenti e per le modifiche di nuova approvazione esiste, pertanto,<br />

per lo studioso, una certa difficoltà di informazione diretta ed immediata,<br />

cui tuttavia in parte è posto riparo dalla Unione Interparlamentare<br />

che riproduce, in traduzione francese ed inglese, tali testi nelle<br />

rispettive edizioni del periodico trimestrale lnformations constitutionnelles<br />

et parlementaires in modo da renderli accessibili a tutti in una<br />

lingua universale. Una documentazione corrente, in tal senso, è assicurata<br />

anche in Italia, dal Bollettino di informazioni costituzionali e<br />

parlamentari, edito a cura del Segretariato Generale della Camera dei<br />

Deputati, che ne presenta i testi in versione italiana, ed in misura minore<br />

in Germania dove la terza parte della silloge a fogli mobili curata<br />

dalla Interparlamentarische Arbeitsgemeinschaft (Recht und Organisation<br />

der Variamente, Bielefeld, Erich Schmìdt, 1958 segg.), è riservata<br />

appunto alla riproduzione in versione tedesca dei regolamenti parlamentari<br />

di determinati stati europei ed extraeuropei.<br />

Iniziative di privati per una pubblicazione dei regolamenti vigenti<br />

in diversi paesi in versione in una lingua accessibile a tutti o in altra<br />

lingua sono state estremamente scarse tanto è vero che, delle pubblica-


Guida bibliografica 691<br />

zioni del primo tipo, ne esiste solo una, dovuta a FELIX MOREAU e<br />

JOSEPH DELPECH, i quali curarono, ormai più di sessantanni fa, una<br />

raccolta in francese dei regolamenti dell'Austria-Ungheria, del Belgio,<br />

della Francia, della Germania, della Grecia, dell'Inghilterra, dell'Italia,<br />

della Norvegia, dei Paesi Bassi, della Spagna, degli Stati Uniti d'America,<br />

della Svezia e della Svizzera (Les règlements des Assemblées legislative<br />

s. Edition et traduction par F. Moreau et J. Delpech avec une<br />

préface de Charles Benoist. Paris, 1906-1907, 2 voi.); e, delle pubblicazioni<br />

del secondo tipo, egualmente solo una, dovuta all'iniziativa di<br />

MEUCCIO RUINI, il quale nel 1953 ha promosso una raccolta sistematica<br />

in traduzione italiana di regolamenti e di altri testi relativi agli<br />

istituti parlamentari, legislativi o interni, di cui è uscita, tuttavia, solo<br />

una prima serie comprendente i testi vigenti in cinque Paesi (/ regolamenti<br />

parlamentari. I serie: Italia-Francia-Germania Occidentale-Gran<br />

Bretagna-Stati Uniti d'America, con premessa di MEUCCIO RUINI. Milano,<br />

1953). Una raccolta corrente dei testi regolamentari vigenti in un<br />

determinato stato assume particolare rilevanza quando si tratti di stati<br />

federali o con attribuzioni di competenze a singole assemblee regionali<br />

sì che risulta sempre utile quella di O. TH. L. ZSCHUCKE, Die Geschàftsordnungen<br />

der Deutschen Parlamente, Berlin, 1928, che riproduce i<br />

testi vigenti all'epoca della Repubblica di Weimar tanto per il Reichstag<br />

quanto per le assemblee dei Lander, compito che viene assolto attualmente<br />

con il vantaggio di un tempestivo aggiornamento, grazie all'adozione<br />

del sistema a fogli mobili, per la Repubblica federale tedesca dalla<br />

raccolta Rechi und Organisation der Parlamente già citata. Testi nella<br />

lingua originale o in versione in altra lingua trovatisi inoltre riprodotti<br />

occasionalmente nelle grandi riviste nazionali di diritto pubblico e di<br />

diritto costituzionale, ben note allo studioso.<br />

Se la ricerca dei testi regolamentari vigenti (documentazione corrente)<br />

incontra in complesso notevoli ostacoli che solo in parte, su un<br />

piano mondiale, sono rimossi dalla esistenza delle pubblicazioni più<br />

sopra indicate, proibitive sono addirittura le condizioni di ricerca ai fini<br />

della documentazione retrospettiva, perché solamente per la Francia esiste<br />

una raccolta dei testi dei regolamenti dal 1789 al 1926 curata da<br />

ROGER BONNARD, Les règlements des assemblées législatives de la France<br />

depuis 1789 (Notice historiques et textes), Paris, 1926, cui l'autore si<br />

è accinto, a titolo di integrazione della silloge delle Costituzioni francesi<br />

promossa e aggiornata periodicamente con diverse edizioni dai<br />

DUGUIT, per offrire immediatamente un prezioso strumento di lavoro ai<br />

costituzionalisti, in quanto « l'elude historique du droit constitutionnel


692 Guida bibliografica<br />

- come osserva giustamente il BONNARD nella prefazione - doit, en effet,<br />

tenir compte non seulement des constitutions et des lois, mais aussi des<br />

règlements des assemblées », perché « généralement, depuis 1789, les<br />

assemblées ont possedè un pouvoir règlementaire assez large pour que<br />

la règlementation qu'elles ont ainsi établie touche non seulement à des<br />

détails secondaires, mais aussi à des points essentiels des régimes constitutionnels<br />

», ragion per cui « on connaìtrait incomplètement ces régimes<br />

si on faisait abstraction des règlements parlementaires » (BON­<br />

NARD, 5). Questa situazione oltremodo disagiata per il reperimento di<br />

testi di regolamenti di altre epoche costringe lo studioso a condurre<br />

snervanti ricerche dei testi stessi nei manuali ufficiali pubblicati dalle<br />

singole assemblee, ricerche che incontrano un primo notevole ostacolo<br />

nell'individuazione dei singoli titoli bibliografici a motivo della assoluta<br />

mancanza di qualsiasi bibliografia parlamentare, cui si ignora, entro<br />

quali limiti, possa ovviare la Introduction bibliographique à Vhistoire<br />

du droit et à l'éthnologie juridique, publiée sous la direction de John<br />

Gilissen, Bruxelles, 1963, a fogli mobili, se si constata, per esempio,<br />

che per la storia del parlamento inglese è citato in materia di procedura<br />

parlamentare solo il Trattato del May nella 14 a ed. del 1946 e<br />

non nella 16 a del 1957, e che è taciuta l'esistenza del Manuale del CAM-<br />

PION e della fondamentale storia della procedura parlamentare del<br />

REDLICH; ed incontrano successivamente un secondo ostacolo nel fatto<br />

che l'unico saggio di bibliografia ragionata sulla determinazione di alcuni<br />

di questi titoli assume una certa utilità solo per qualche stato e<br />

per un periodo circoscritto (A. BLAUSTEIN, Die Handbiicher der Pariamente;<br />

Zeitschrift fur Politik, III, 1910, 189-198).<br />

Più favorevole risulta la situazione in riferimento ad una rapida<br />

indicazione comparata degli usi e dei sistemi procedurali vigenti in singoli<br />

paesi secondo una strutturazione già attuata da A. REYNAERT,<br />

Histoire de la discipline parlementaire, Paris, 1894, in due volumi, ed<br />

ora rappresentata dall'opera di LORD CAMPION e di D. W. S. LIDDERDALE,<br />

European Parliamentary procedure. A comparative handbook, London<br />

1953, pubblicato a cura dell'Unione Interparlamentare e di cui esiste<br />

anche una traduzione francese (La procedure parlementaire en Europe.<br />

Etudé comparée. Paris, 1955) ove, dopo una introduzione sistematica<br />

comparativa, è esposta in singoli capitoli la procedura parlamentare<br />

vigente in diversi paesi europei (Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia,<br />

Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Svezia)<br />

e nell'Egitto. Condotta secondo lo stesso criterio di impostazione<br />

ma con il vantaggio di costituire una vera e propria trattazione siste-


Guida bibliografica 693<br />

matica di procedura parlamentare con abbandono del criterio sezionale<br />

nazionale è l'opera curata e pubblicata dall'Unione Interparlamentare<br />

con l'utilizzazione di dati relativi a 41 paesi nel 1961 ed edita in inglese<br />

ed in francese, di cui nel 1966 è uscita una nuova edizione con informazioni<br />

su ben 55 paesi (Union Interparlementaire. Parlements. Une<br />

étude comparative sur la structure et le fonctionnement des institutions<br />

représentatives dans 55 Pays, redigée par Michel Ameller. Préfacc<br />

D'ANDRÉ DE BLONAY e G. CODACCI-PISANELLI, 2me ed. augmentée et<br />

mise à jour, Paris, 1966). Una sintetica esposizione della procedura parlamentare<br />

vigente in Francia, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti d'America<br />

e Svizzera, trovasi in alcuni scritti pubblicati nella Revue francaise<br />

des sciences politiques, IV, 1954, 673-868 (ripubblicati sotto il titolo Le<br />

travail parlementaire en France et à l'étranger, Paris, 1955, a cura<br />

di FRANCOIS GOGUEL), i quali tuttavia hanno per oggetto soprattutto il<br />

procedimento di formazione della legge, mentre all'esame comparato dei<br />

sistemi procedurali in atto in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e<br />

Svizzera è dedicato il saggio del GOGUEL, Les méthodes du travail parlementaire<br />

(Revue cit, 674-708).<br />

Per quanto riguarda in particolare lo studio della procedura parlamentare<br />

nei diversi paesi si indicano ora, paese per paese, i più importanti<br />

titoli per una prima riflessione sulla storia della procedura e<br />

sulla prassi seguita nelle assemblee, così come essa può assumere veste<br />

di trattazione sistematica nei commenti ai singoli regolamenti e nei trattati<br />

e manuali di procedura parlamentare: è ovvio che la ripartizione<br />

delle opere in queste due categorie rinviene la propria ragion d'essere<br />

unicamente nella opportunità di un sommario ordinamento di titoli, e<br />

non nella distinzione tra opere sorte da opposte motivazioni genetiche,<br />

da esigenze di ricerca scientifica da una parte e da necessità di approntare<br />

meri strumenti di lavoro dall'altra, anche perché, per quanto attiene<br />

al contenuto delle opere stesse e per le caratteristiche particolari del<br />

loro oggetto, la conoscenza della storia della procedura e degli usi<br />

risulta spesso di indubbio valore strumentale pratico e viceversa i commenti<br />

ed i manuali sovrabbondano di informazioni, soprattutto in sede<br />

di indicazione di precedenti, di notevole utilità per l'indagine storica.<br />

Sulla storia dei regolamenti e della procedura parlamentare in Italia<br />

prima del 1848 mancano tanto saggi su singoli regolamenti quanto<br />

un lavoro d'assieme ed è giocoforza accontentarsi di cenni quali ad<br />

esempio quelli di CARLO GHISALBERTI, Le costituzioni * giacobine*<br />

(1796-1799), Milano, 1957, 234-239, sui regolamenti delle assemblee<br />

delle repubbliche giacobine italiane. Sulla storia dei regolamenti del


694 Guida bibliografica<br />

Parlamento subalpino ed italiano dalle origini in poi, si consulti R.<br />

ASTRALDI, Le norme regolamentari del Parlamento italiano, Roma, 1932,<br />

opera che è stata successivamente aggiornata fino al 1949 sì da costituire<br />

un prezioso ausilio anche per quanti desiderano documentarsi sulla<br />

procedura vigente (R. ASTRALDI-F. COSENTINO, / nuovi regolamenti del<br />

Parlamento italiano. Storia, esposizione, raffronti, interpretazioni, Roma,<br />

1950). Allo stesso ASTRALDI si deve un saggio su // diritto parlamentare<br />

italiano nel regolamento delle assemblee legislative (Il Centenario<br />

del Parlamento, 8 maggio 1848-8 maggio 1948, Roma, Segretariato Generale<br />

della Camera dei Deputati, 1948, 369-397).<br />

In sede di commenti al vigente Regolamento della Camera, considerato<br />

che esso si può far risalire al testo del 1° luglio 1900 ed in molte<br />

parti addirittura al 1868 ed al 1887-90, come osservano V. LONGI e<br />

M. STRAMACCI, è tuttora attuale la consultazione di U. GALEOTTI, //<br />

Regolamento della Camera dei Deputati commentato, Roma, Tipografia<br />

della Camera dei Deputati, 1902, che è stato ristampato nel 1966, a<br />

cui si affianca la diligente illustrazione, egualmente articolo per articolo,<br />

di V. LONGI-M. STRAMACCI, // Regolamento della Camera dei Deputati<br />

illustrato con i lavori preparatorii, 1848-1958, Milano, 1958. Sul<br />

Regolamento del Senato della Repubblica cfr. // Regolamento del Senato<br />

e i lavori preparatorii, Roma, Segretariato generale-Ufficio studi<br />

legislativi del Senato della Repubblica, 1949.<br />

Fin dall'introduzione del sistema del governo rappresentativo in<br />

Piemonte fu seguito con notevole interesse lo svolgimento dell'attività<br />

interna delle Camere e nello stesso anno 1848 fu pubblicata a Torino<br />

una versione italiana della Tactique des assemblées politiques déliberantes<br />

di GEREMIA BENTHAM, sotto il titolo La tattica parlamentare.<br />

Traduzione di Lorenzo Serozzi. Torino, 1848 (di cui inserì una nuova<br />

traduzione, nel 1888, ATT<strong>IL</strong>IO BRUNIALTI nella II parte del IV volume,<br />

717-844, della Biblioteca di Scienze Politiche da lui diretta), che fu seguita<br />

l'anno successivo da un'opera redatta da VINCENZO GARELLI,<br />

Prime regole di logica parlamentare. Savona, 1849, con titolo palesemente<br />

mutuato dalla nota opera di W<strong>IL</strong>LIAM GERARD HAM<strong>IL</strong>TON, Parliamentary<br />

Logick, uscita postuma a Londra nel 1808. Queste due opere<br />

pubblicate nel regno di Sardegna con l'intento di dare la possibilità<br />

ai nuovi deputati di districarsi tra le sottigliezze della schermaglia parlamentare,<br />

potevano assumere tuttavia solo una funzione propedeutica<br />

alla conoscenza dei segreti, per così dire, del mestiere, e non costituire<br />

un vademecum pratico, la cui compilazione era condizionata dal consolidamento<br />

degli usi procedurali, il che puntualmente si verificò, dopo


Guida bibliografica 695<br />

circa un trentennio, con la pubblicazione del manuale classico della procedura<br />

parlamentare italiana di MARIO MANCINI ed UGO GALEOTTI.<br />

Norme ed usi del Parlamento italiano. Trattato pratico di diritto e procedura<br />

parlamentare. Roma, 1887, con una 1* appendice. Roma, 1891,<br />

cui seguirono di U. GALEOTTI, Principii regolatori delle assemblee. Torino,<br />

1900, che vuol soprattutto servire di guida alla direzione di assemblee<br />

non parlamentari, ma che sostanzialmente si è trasformato in un<br />

agile manualetto di procedura parlamentare; e, dopo la decadenza dell'ordinamento<br />

statutario, i volumi di FEDERICO MOHRHOFF, Trattato di<br />

diritto e procedura parlamentare. Roma, 1948; Principii costituzionali<br />

e procedurali del Regolamento del Senato. Appendice al Trattato di<br />

diritto e procedura parlamentare. Roma, 1949; Giurisprudenza parlamentare.<br />

Dottrina e massimario. Roma, 1950; e di CORRADO MUSCARA,<br />

Manualetto del Deputato. Roma, 1953. diventato poi Manuale del Deputato.<br />

Roma, 1958. Una esposizione limpida e piana, di rara vivacità<br />

nella sua sintesi, della procedura parlamentare, si deve a CORALDO<br />

PIERMANI, Come funziona il Parlamento italiano. Roma. 1956, che dopo<br />

diverse ristampe ha avuto una seconda edizione nel 1967, ed a cui,<br />

per un consuntivo sulla prassi nel decennale della nuova Costituzione,<br />

si può affiancare V. FALZONE, La prassi nell'ordinamento costituzionale<br />

repubblicano (Comitato Nazionale per la celebrazione del primo decennale<br />

della promulgazione della Costituzione. Studi sulla Costituzione.<br />

II, Milano, 1958, 445-475). Sull'argomento della riforma dei regolamenti<br />

delle Camere, argomento tuttora di pressante attualità, cfr., a<br />

titolo indicativo, F. COSENTINO, La riforma dei Regolamenti delle Camere<br />

(Rassegna di politica e di storia, I, n. 2, dicembre 1954. 1-6), e<br />

M. D'ANTONIO, Linee di una riforma organica del Regolamento deha<br />

Camera dei Deputati (Rassegna parlamentare, V, 1963, 667-696).<br />

Sulla procedura parlamentare inglese è tuttora valido, per la determinazione<br />

dei precedenti JOHN HATSELL. Precedents of Proceedings<br />

in the House of Commons under separate titles; with observations. London,<br />

1781. nell'ultima edizione, la quarta, pubblicata in 4 volumi nel<br />

1818, ma il trattato classico di procedura parlamentare inglese, cui<br />

si è ricorso e tuttora si ricorre come ad un libro sacro m gran parte<br />

del mondo e soprattutto sul continente europeo per acclarate le singole<br />

questioni, è quello che THOMAS ERSKINE MAY negli anni del suo noviziato<br />

di funzionario parlamentare in servizio presso la Biblioteca.della<br />

Camera dei Comuni dal 1831, pubblicò nel 1844 sotto il titolo A<br />

Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings, and Usage of Parliament.<br />

London, 1844, seguito ben presto, nel 1851. da una nuova edi-


696 Guida bibliografica<br />

zione e da molte altre successive, aggiornate, dopo la morte dell'autore<br />

che dal 1871 al 1886 aveva ricoperto anche la suprema carica di clerk<br />

(Segretario Generale) della Camera dei Comuni, sempre periodicamente<br />

dai clerks a lui succeduti fino alla XVII edizione che è, per ora, la<br />

più recente (Erskine May's Treatise on the Law, Privileges, Proceedings<br />

and Usage of Parliament; Seventeenth (1964) edition, editor Sir BARNETT<br />

COCKS. London, 1964): Di questa opera classica esiste anche una traduzione<br />

italiana, condotta sulla nona edizione del 1883, inserita dal<br />

BRUNIALTI nella I parte del IV volume della Biblioteca di scienze politiche.<br />

Torino, 1888, ed intitolata Leggi, privilegi, procedura e consuetudini<br />

del Parlamento inglese; ed una in francese a cura di JOSEPH<br />

DELPECH basata sulFundicesima edizione del 1906 (Traité des lois, privileges,<br />

procédures et usages du Parlement. Paris, 1909, in due volumi).<br />

Assai utile, preceduto da una esauriente sintesi dello svolgimento storico<br />

e caratterizzato da una esposizione limpida della procedura vigente<br />

è il manuale di G. F. M. (poi Lord) CAMPION, An introduction<br />

to the procedure of the House of Commons. London, 1929, la cui ultima<br />

edizione, la terza, è stata edita nel 1958. Per una rapida, ma precisa<br />

informazione si possono anche vedere A. C. BOSSOM, Our House. An<br />

introduction to parliamentary procedure. London, 1948, e E. TAYLOR,<br />

The House of Commons at work. London, 1951, la cui IH ed. è del<br />

1958, ed in particolare, per le questioni procedurali, L. A. ABRAHAM-<br />

S. C. HAWTREY, A parliamentary dictionary. London, 1956 e A. H.<br />

HANSON-H. W. WISEMAN, Parliament at work; a case-book of parliamentary<br />

procedure. London, 1962. Di ottima consultazione, anche perché<br />

con riferimenti alla struttura parlamentare del Commonwealth, è<br />

N. W<strong>IL</strong>DING-P. LAUNDY, An encyclopaedia of Parliament. London,<br />

1958. Sulla storia della procedura parlamentare inglese l'opera classica<br />

è dovuta ad uno studioso austriaco, JOSEPH REDLICH, Recht und<br />

Technik des Englischen Parlamentarismus. Die Geschdftsordnung des<br />

House of Commons in ihrer geschichtlichen Entwicklung und gegenwàrtigen<br />

Gestalt. Leipzig, 1905, che è stata tradotta in inglese ed arricchita<br />

di un capitolo sulle modifiche procedurali del 1905 da Sir COUR-<br />

TENAY <strong>IL</strong>BERT, Clerk della Camera dei Comuni, sotto il titolo The procedure<br />

of the House of Commons. A study of its history and present<br />

form. London, 1908, in 3 voi. (l'opera del REDLICH riproduce in appendice<br />

i testi degli Standing Orders e dei Sessional Orders, nonché formulari<br />

di strumenti regolamentari).<br />

Per la Francia, il primo trattato di procedura parlamentare è stato<br />

redatto sotto la monarchia di luglio da P. VALETTE e da BENAT SAINT-


Guida bibliografica 697<br />

MARSY, Traiti de la confection des lois, ou examen raisonné des règlements<br />

suivis par les assemblées légìslatives frangaises, comparés aux<br />

formes parlementaires de l'Angleterre, des Etats-Unis, de la Belgique,<br />

de YEspagne, de la Suisse, etc. Paris, 1839, in cui, dopo una introduzione<br />

storica sui regolamenti parlamentari dal 1789 in poi, gli autori<br />

descrivono, con ricchezza di dati, e con particolare riguardo al procedimento<br />

di formazione della legge, le fasi della procedura all'interno<br />

delle Camere, facendo seguire, nell'ultima parte del volume, i testi dei<br />

regolamenti francesi vigenti. Sulla via tracciata dal VALBTTE, che fu poi<br />

il Segretario generale del Corpo legislativo napoleonico, si incamminò<br />

JULES POUDRA, genero del VALETTE, segretario generale della Camera<br />

dei Deputati dal 1875 al 1884, il quale, insieme ad EUGÈNE PIERRE,<br />

che alla morte improvvisa del collega ne fu il successore nella suprema<br />

carica, curò la pubblicazione del trattato di procedura parlamentare,<br />

considerato altrettanto classico quanto quello del MAY, il<br />

Traité pratique de droit parlementaire. Versailles-Paris, 1878, diventato<br />

poi, con unico autore il PIERRE, il Traité de droit politique électoral<br />

et parlementaire. Paris, 1893, la cui ultima edizione, è la V del 1924.<br />

DelFedizione-base del 1878 esiste una versione italiana pubblicata nella<br />

seconda parte del IV volume della Biblioteca di scienze politiche diretta<br />

da ATT<strong>IL</strong>IO BRUNIALTI, Torino, 1888, 1-727» sotto il titolo Trattalo<br />

pratico di diritto parlamentare. Il PIERRE è anche autore di una agile<br />

dissertazione sulla metodologia che informa l'interpretazione dei regolamenti<br />

e l'applicazione dei precedenti sì da svelare, come egli afferma,<br />

l'esprit de la procedure, dal titolo De la procedure parlementaire. Etude<br />

sur le mécanisme intérieur du pouvoir législatif. Paris, 1887. Sulla procedura<br />

parlamentare della IV Repubblica ha compilato una preziosa<br />

guida il Segretario generale dell'Assemblea nazionale EM<strong>IL</strong>E BLAMONT,<br />

Les techniques parlementaires. Paris, 1958, nella collana * Que saisje<br />

? » de Les Presses Universitaires de France.<br />

Per gli Stati Uniti d'America, è fondamentale il manuale compilato<br />

da THOMAS JEFFERSON, per sua guida nel periodo in cui dal 1797 al<br />

1801 esercitò la funzione di Vice Presidente degli Stati Uniti e di Presidente<br />

del Senato, A Manu al of parliamentary practice for the use<br />

of the Senate of the United State. Washington, 1801, il cui testo venne<br />

successivamente inserito ogni legislatura nei Manuali della Camera dei<br />

Rappresentanti e del Senato editi dai due rami del Congresso e di cui,<br />

a poca distanza dalla sua pubblicazione, furono preparate delle traduzioni<br />

in francese (Manuel du droit parlementaire ou préeis des régles<br />

suivies dans le Parlement d'Angleterre e dans le Congrès des Etats


698 Guida bibliografica<br />

Unis, pour l'introduction, la discussion et la décision des affaires, traduit<br />

de l'anglais par L. A. PICHON. Paris, 1814) ed in spagnuolo, condotta<br />

quest'ultima sulla traduzione francese (Manual del derecho parlamentario<br />

ó resumen de las reglas que se observan en el Parlamento<br />

de Inglaterra y en el Congreso de los Estados Unidos para la proposición,<br />

discusion y décision de los negocios... con notas por L. A. PICHON,<br />

traducido de la ultima edicion por Don JOAQUIN ORTEGA. Paris, Libreria<br />

Americana, 1827). Per i precedenti è fondamentale ASHER CROSBY<br />

HINDS, Precedents of the House of Representatives of the United States.<br />

Washington, 1907, 5 volumi, di cui ha curato una nuova edizione CLÀ-<br />

RENCE CANNON, Precedents of the House of Representatives of the United<br />

States including reference to provisions of the Constitution, the Laws<br />

and Decisions of the United States Senate. Washington, 1935, 5 volumi.<br />

Tra i trattati di procedura parlamentare si ricordano in primo luogo<br />

LUTHER STEARNS CUSHING, Manual of Parliamentary Practice. Rules of<br />

proceeding and debole in deliberative assemblies. Boston, 1845, con<br />

successive edizioni fino a quella riveduta da FRANCIS P. SULLIVAN. Baltimore,<br />

1950; e dello stesso autore Lex Parliamentaria americana. Elements<br />

of the law and practice of legislative assemblies in the United<br />

States of America. Boston, 1856; nonché C. CANNON, Connotis Procedure<br />

in the House of Representatives. Ili ed. Washington, 1939; e tra i più<br />

recenti, assai schematici, HUGO E. HELLMAN, Parliamentary procedure.<br />

New York-London, 1966; W. J. PITT, M.r Chairman, a point of order... !<br />

Vineland, N. J. 1966; A. F. STURGIS, Standard code of Parliamentary<br />

procedure. 2 ed. New York, 1966. Per osservazioni ed esposizioni sistematiche<br />

della procedura negli Stati Uniti, cfr. GEORGE B. GALLOWAY,<br />

Congress at the crossroads. New York, 1946; FLOYD M. RIDDICK, The<br />

United States Congress. Organization and Procedure. Manassas, 1949;<br />

S. K. BA<strong>IL</strong>EY, Congress at work. New York, 1952; GEORGE B. GAL­<br />

LOWAY, Congress and Parliament, their organization and operation<br />

in the United States and United Kingdom. Washington, 1955. Sulla<br />

storia della procedura nella Camera dei Rappresentanti vedi DE ALVA<br />

STANWOOD ALEXANDER, History and Procedure of the House of Representatives.<br />

Boston, 1916, e GEORGE B. GALLOWAY, History of the House<br />

of Representatives. New York, 1961.<br />

Per la Germania, non esistono trattati di procedura parlamentare,<br />

perché l'opera intrapresa da JULIUS HATSCHEK, DOS Parlamentsrecht<br />

des Deutschen Reiches. Berlin-Leipzig, 1915, è rimasta un torso ridotto<br />

al primo volume, il cui contenuto attiene ai fondamenti del diritto<br />

parlamentare tedesco, all'ordinamento della moderna rappresentanza pò-


Guida bibliografica 699<br />

litica con particolare riguardo al Reichstag ed alla composizione di<br />

quest'ultimo con richiami di diritto comparato (elettorato attivo e sistema<br />

elettorale, verifica dei poteri, prerogative dei deputati). Per una<br />

esposizione sistematica del regolamento in vigore al Reichstag imperiale<br />

cfr. KURT PERELS, DOS autonome Reichstagsrecht. Die Geschàftsordnung<br />

und die Observanz des Reichstages in systematischer Darstellung.<br />

Berlin, 1903, e di quello del Reichstag della Repubblica di Weimar il<br />

contributo dello stesso autore nel Handbuch des Deutschen Staatsrechts,<br />

hrsgg. von GERHARD ANSCHUTZ und RICHARD THOMA. Tiibingen,<br />

1930, voi. I, 449-466. Utile, perché arricchito anche della indicazione<br />

dei precedenti, è il commento, articolo per articolo, del regolamento<br />

della Camera dei Deputati del regno di Prussia di AUGUST PLATE,<br />

Die Geschàftsordnung des Preussischen Abgeordnetenhauses, ihre Geschichte<br />

und ihre Anwendung. II ed. Berlin, 1904. Sul regolamento del<br />

Bundestag della repubblica federale tedesca esiste un commento di<br />

HEINRICH G. RITZEL e HELMUT KOCH, Geschàftsordnung des Deutschen<br />

Bundestages beschlossen am 6. Dezember 1951. Text und Rammentar.<br />

Frankfurt am Main, 1952, da integrarsi e da completarsi, anche<br />

per le successive modifiche, con la sintetica esposizione di HANS TROS­<br />

SMANN, Der Deutsche Bundestag. Organisation und Arbeitsweise.<br />

II ed., Darmstadt, 1963; con quella analitica di FRIEDRICH SCHAFBR,<br />

Der Bundestag. Eine Darstellung seiner Aufgaben und seiner Arbeitsweise,<br />

verbunden mit Vorschlàgen zur Parlamentsreform. Kòln-Opladen,<br />

1967; e con il manuale redatto sulla base di voci in ordine alfabetico<br />

in analogia a quello italiano del MUSCARA di HANS TROSSMANN,<br />

Parlamentsrecht und Praxis des Deutschen Bundestages. Kommentar in<br />

alphabetischer Ordnung zu der Geschàftsordnung... nach dem Stand<br />

vom 1 Januar 1967. Bonn, 1967. Sulle questioni dibattute in sede di<br />

riforma parlamentare cfr. E. PIKART, Probleme der deutschen Parlamentspraxis<br />

(Zeitschrift tur Politik, N. F., IX, 1962, 201-211); HEINZ<br />

RAUSCH, Parlamentsreform. Tendenzen und Richtungen (Zeitschrift<br />

fiir Politik, N. F., XIV, 1967, 259-289); e l'opera citata di F. SCHAFBR,<br />

Der Bundestag. Kòln-Opladen, 1967. Una comparazione tra i regolamenti<br />

e la procedura del Reichstag della Repubblica di Weimar ed il<br />

Bundestag nei contributi di H. G. RITZEL, Parlamentarische Geschaftsordnungen<br />

im Weimarer Reichstag und im Deutschen Bundestag,<br />

e di H. TROSSMANN, Reichstag und Bundestag-Organisation und<br />

Arbeitsweise, nella silloge sulla storia del Reichstag dal 1871 al 1945,<br />

a cura di ERNST DEUERLEIN, Der Reichstag, Aufsatze, Protokolle und<br />

Darstellungen zur Geschichte der parlamentarischen Vertretung des


700 Guida bibliografica<br />

deutschen Volkes, 1871-1933. Bonn, 1963. Sotto il profilo storico cfr.,<br />

per il regolamento dell'Assemblea Nazionale Tedesca del 1848-49, K.<br />

SCHAUER, Der Einzelne und die Gemeinschaft. Vom Geschàftsverfahren<br />

des Frankfurter Parlaments. Frankfurt a. M., 1923 e G. ZIEBURÀ,<br />

Anfànge des deutschen Parlamentarismus {Geschàftsverfahren und<br />

Entscheidungsprozess in der ersten Deutschen Nationalversammlung,<br />

1848/49), in: Faktoren der Politischen Entscheidung. Festgabe fiir Ernst<br />

Fraenkel. Berlin, 1963, 185 segg. Sul regolamento del Reichstag vedi<br />

anche C. B<strong>IL</strong>FINGER, Die Geschàftsordnung des Reichstages und die<br />

Grenzen des parlamentarischen Systems (Zeitschrift fiir auslàndisches<br />

òffentliches Recht und Vòlkerrecht, II, Teil I, 1930-31, 439-454).<br />

Per i trattati e scritti sui regolamenti e sulla procedura parlamentare<br />

in altri paesi, cfr., per il Belgio, Ivo RENS, Le nouveau règlement de<br />

la Chambre des Représentants de Belgique (Montecitorio, XVII, nr. 5,<br />

maggio 1963, 31-65); il capitolo sulla procedura parlamentare nelTppera<br />

di HERMAN-FRANS DE CROO e PH<strong>IL</strong>IPPE SEIGNEUR, Parlement et gouvernement.<br />

Bruxelles, 1965, 137-194, e l'opera successiva di H. F. DE CROO<br />

e ROBERT HUENENS, Het Parlement aan het werk. Brussels, 1966; per<br />

l'Olanda, la storia ed il commento, articolo per articolo, del Regolamento<br />

della Seconda Camera di J. G. PIPPEL, Het Règlement van Orde<br />

van de Tweede Kamer der Staten-Generaal. Zijn geschiedenis en toepassing.<br />

III ed. 's-Gravenhage 1950, con supplemento del 1954, e la<br />

esposizione di E. VAN RAALTE, Het Nederlandse Parlement. 's-Gravenhage,<br />

1958, di cui esiste anche una traduzione inglese (The Parliament<br />

of the Kingdom of the Netherlands. The Hague, 1959), tìtoli da<br />

usarsi tutti con cautela perché editi anteriormente all'entrata in vigore<br />

del nuovo regolamento della Seconda Camera del 12 luglio 1966; per<br />

la Danimarca, i contributi sulla storia dei regolamenti di JENS M<strong>IL</strong>LER,<br />

Tingenes forretningsordener, e sulla procedura parlamentare di P.<br />

MUNCH, Hvorledes arbejder Rigsdagen ? nel IV volume pubblicato dal<br />

Parlamento danese a celebrazione del suo centenario (Den Danske<br />

Rigsdag 1849-1949. Kobenhavn, 1949, 5-270); Per la Svezia, il classico<br />

commento pubblicato per la prima volta nel 1921, di ROBERT MALM-<br />

GREN, Sveriges grundlagar och tillhórande fòrfattningar. VLTI ed., di<br />

GUSTAF PETRÉN e HALVAR G. F. SUNDBERG, Stockholm, 1964, nonché<br />

la monumentale storia pubblicata in 17 volumi dal Parlamento per il<br />

V Centenario della istituzione, Sveriges Riksdag. Historisk och statsvetenskaplig<br />

framstàllning. Stockholm, 1931-1935, ove diversi volumi trattano<br />

di singoli organi interni e della procedura parlamentare, ed infine<br />

la raccolta in 5 volumi pubblicata nel centenario del bicameralismo,


Guida bibliografica 701<br />

Samhàlle och Riksdag. Historisk och statsvetenskapUg framstàUning<br />

utgiven i anledning av Tvdkammarriksdagens 100-àriga tiUvaro. Stockholm,<br />

1966-67, il cui terzo volume di complessive 505 pagine, reca<br />

il contributo di N<strong>IL</strong>S STJERNQUIST, Riksdagens arbete och arbetsformer,<br />

che è una analitica esposizione delle norme e degli usi procedurali. Per<br />

la Svezia lo studioso ha inoltre ora a disposizione la esemplare bibliografia<br />

sistematica redatta dal bibliotecario del Riksdag, LARS FRYKHOLM,<br />

Bibliografi over skrifter rórande riksdagen, 1866-1965, pubblicata nel<br />

V volume da pagina 85 a pagina 216, dell'opera suddetta che è munita<br />

oltretutto di un utilissimo indice dei nomi degli autori e dei soggetti<br />

trattati nei titoli bibliografici elencati; per la Svizzera, cfr. P. CRON, Die<br />

Geschdftsordnung der Schweizerischen Bundesversammlung. Dogmengeschichtliche<br />

Darstellung des Geschàftsordnungsrechtes von der Glaubensspaltung<br />

bis zur Gegenwart. Freiburg, 1946; per l'Austria, la storia<br />

dei regolamenti e della procedura dal 1861 al 1909 di KARL ed OTTO<br />

NEISSER, Die Geschdftsordnung des Abgeordnetenhauses des Reichsrates.<br />

Wien-Leipzig 1909, in due volumi, con annesso un volumetto<br />

con il testo del regolamento del 1875 e le modifiche adottate fino al<br />

16 luglio 1908; per la Jugoslavia, la relazione di E. KARDELJ, Organizzazione<br />

e metodi di lavoro della nuova Assemblea federale jugoslava<br />

(Montecitorio, XIX, n. 3-4, marzo-aprile 1965, 6-33 e n. 5-6, maggiogiugno<br />

1965, 41-64); per la Polonia, il saggio di STÉFAN ROZMARYN,<br />

Observations sur le règlement de la Diète de la Répubblique populaire<br />

de Pologne (Revue du droit public et de la science politique, 76, 1960,<br />

935-971) cui è annessa una traduzione francese del regolamento nel<br />

testo vigente nel 1957; per la Spagna, MARAVALL, LOS reglamentos de<br />

las Camaras legislativas y el sistema de comisiones. Madrid, 1947;<br />

FRAGA IRIBARNE, El reglamento de las Cortes Espanolas (Revista de<br />

Estudios Politicos, 99, 1958, 57-82); PEREZ SERRANO, Naturaleza juridica<br />

del Reglamento parlamentario (Revista de Estudios Politicos, 105,<br />

1959, 99-170); R. MORORO LEONCIO, El principio de autonormadividad<br />

reglamentaria de los Parlamentos en el derecho constitucional (Estudios<br />

juridicos-sociales. Homenaje al Profesor Luis Legaz y Lacambra. Santiago<br />

de Compostela, 1960, II, 891-911); per l'India, A. R. MUKHERJEA,<br />

Parliamentary procedure in India. London, 1958; per il Congresso delle<br />

Filippine, JUAN F. RIVERA, The Congress of the Philippines. A study<br />

of its functions and powers and procedures. Manila, 1962; per l'Unione<br />

Sudafricana, R. K<strong>IL</strong>PIN, Parliamentary procedure. A short guide to the<br />

rules and practice of the House of Assembly of the Union of South<br />

Africa. 2nd impr. Cape Town-Johannesburg, 1946; per il Canada.


702 Guida bibliografica<br />

JOHN GEORGE BOURINOT, Parliamentary procedure and practice, with<br />

an introductory account of the origin and growth of parliamentary institutions<br />

in the Dominion of Canada. Montreal, 1884, di cui l'ultima edizione<br />

è la quarta, a cura di THOMAS BARNARD FLINT. Toronto, 1916;<br />

e W. F. DAWSON, Procedure in the Canadian House of Commons. Toronto,<br />

1962; per la procedura nel Senato federale australiano, J. R.<br />

ODGERS, Australian Senate Practice. 3rd ed., Canberra, 1967 (The Parliament<br />

of the Commonwealth of Australia. 1967-Parliamentary Paper<br />

n. 1). Infine, sull'adozione di accorgimenti per imprimere maggiore celerità<br />

all'attività parlamentare, vedi la relazione di A. P. MIÉGEV<strong>IL</strong>LE,<br />

Recherche et étude des moyens d'accélerer les travaux parlementaires<br />

(Union Interparlementaire. Informations constitutionnelles et parlementaires,<br />

3 e sèrie, nr. 16, 1° novembre 1953, 216-237).


CAPO IV.<br />

I deputati entrano nel pieno esercizio delle loro funzioni per il<br />

solo fatto della proclamazione della loro elezione da parte degli Uffici<br />

centrali circoscrizionali: sulla proclamazione cfr. FRANCESCO COSENTINO,<br />

La verifica dei poteri in Parlamento: la proclamazione (La Politica parlamentare,<br />

VI, 1953, 98-100); L. PRETI, Diritto elettorale politico. Milano<br />

1957, 335-360) nonché le riserve formulate sull'immissione dei parlamentari<br />

all'esercizio della loro funzione al momento della proclamazione<br />

da P. GIOCOLI NACCI, Prorogatio del parlamento, mandato parla'<br />

mentore e prerogative dei parlamentari (Rassegna di diritto pubblico,<br />

XIX, 1964, 732 segg.); e quindi a differenza del precedente ordinamento<br />

statutario non è più richiesta la prestazione del giuramento parlamentare<br />

ex art. 49 dello Statuto che costituiva la condizione imprescindibile<br />

per l'esercizio del mandato (su questo istituto, di interesse ormai solo<br />

storico, cfr. GUIDO PARDO, // giuramento parlamentare. Storia e dottrina.<br />

Arpino, 1915, che da pag. 102 a pag. 214 tratta per esteso della<br />

storia del giuramento parlamentare in Italia e riserva l'ultima parte del<br />

volume, da pag. 215 a pag. 333, all'esame della teoria del giuramento<br />

parlamentare). Sulla verificazione dei poteri svolta dalla Giunta delle<br />

Elezioni e che può sfociare nella proposta di convalida o di contestazione<br />

della elezione dei singoli deputati si cfr. PIETRO VIROA, La verìfica<br />

dei poteri. Palermo, 1949; FRANCESCO COSENTINO, La verifica dei poteri<br />

in Parlamento: la convalida (La Politica Parlamentare, VI, 1953, 110-<br />

112); G. SALVATORE, In tema di verifica dei poteri degli eletti al Par'<br />

lamento (Montecitorio, XVI, 1962, n. 7-8, 23-31); L. ELIA, Elezioni<br />

politiche (Contenzioso) nella Enciclopedia del diritto, XIV, 1965, 747-<br />

793. Per le norme sulla verifica dei poteri vigenti in alcuni ordinamenti<br />

costituzionali stranieri cfr. Le norme sulla verifica dei poteri in Gran<br />

Bretagna, Stati Uniti d'America, Francia, Germania federale. Roma,<br />

Segretariato Generale della Camera dei Deputati, 1966 (Supplemento<br />

n. 2 del Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari, Nuova<br />

serie). Sulla questione delle incompatibilità e della distinzione tra ineleggibilità<br />

ed incompatibilità ricchissima è la letteratura italiana e stra-


704 Guida bibliografica<br />

niera ed a titolo indicativo si elencano gli scritti di D. ZANICHELLI, Questioni<br />

di diritto costituzionale. Le incompatibilità parlamentari. Bologna,<br />

1887; e Sulle incompatibilità parlamentari (Rivista di diritto pubblico,<br />

II, 1890-91, 1023-40); V. E. ORLANDO, La legge sulle incompatibilità<br />

parlamentari e la necessità di una revisione di essa (Archivio di diritto<br />

pubbblico, IV, 1894, 43-48; I. TAMBARO, Le incompatibilità parlamentari.<br />

II ed., Palermo, 1899; V. MICELI, Le incompatibilità parlamentari.<br />

Milano, 1901; W. WEBER, Parlamentarische Unvereinbarkeiten (Inkompatibilitàten)<br />

(Archiv des òffentlichen Rechts, 58, 1930, 161-254); T.<br />

MARTINES, In tema di ineleggibilità e di incompatibilità parlamentari<br />

(Annali del Seminario giuridico dell'Università di Catania, III, 1948-49,<br />

462-489); A. MACCANICO, Un caso di ineleggibilità (La Politica parlamentare,<br />

IV, 1951, 89-90); G. DE GENNARO, Incompatibilità tra deputato<br />

al Parlamento e sindaco (L'Amministrazione Italiana, 1952, 822,<br />

ripubblicato in Scritti di diritto pubblico. Milano, 1955, II, 12);,F.<br />

HUMBLET, Rapport relatif aux incompatibilités parlementaires (Union<br />

interparlementaire. Informations constitutionnelles et parlementaires.<br />

Ili sèrie, n. 12, 1° novembre 1952, 232-45; trad. ital. in Rassegna parlamentare,<br />

II, 1960, 1412-1424); U. FRAGOLA, Sulla eleggibilità dei sindaci<br />

di capoluogo di provincia a deputati o senatori (Nuova rassegna di<br />

legislazione, dottrina e giurisprudenza, 1953, n. 12, 881); G. P. GRASSO,<br />

Le norme sull'eleggibilità nel diritto pubblico italiano (Rivista trimestrale<br />

di diritto pubblico, VII, 1957, 720-754 e 920-963); PIETRO GA-<br />

SPARRI, Capacità e compatibilità relative alle cariche parlamentari (Il<br />

Consiglio di Stato, XI, parte II, 1960, 34-50, e ripubblicato negli Studi<br />

in onore di Emilio Betti. Milano, 1962, V, 139-163); VINCENZO LONGI,<br />

Incompatibilità parlamentare (Rassegna parlamentare, II, 1960, 1391-<br />

1412); F. MOHRHOFF, Incompatibilità parlamentare (Montecitorio, XVII,<br />

1963, nr. 3-4, 5-22); F. MARCHESE, Quando cessano le cause di ineleggibilità<br />

a deputato o senatore dei Sindaci dei Comuni con popolazione<br />

superiore ai 20.000 abitanti (Nuova Rassegna di legislazione, dottrina e<br />

giurisprudenza, XX, 1964, 59) e la recente monografia di GERD STURM,<br />

Die Inkompatibilitàt. Munchen 1967, che esamina in particolare il problema<br />

nel vigente diritto pubblico tedesco; e sulla facoltà dell'opzione<br />

ammessa in casi specificamente indicati si cfr. le voci di SANTANGELO<br />

SPOTO {Digesto Italiano, Torino, 1904-8. XVII, 937-41) e di S<strong>IL</strong>VIO FUR-<br />

LANI (Novissimo Digesto Italiano, Torino, 1965, XI, 1088-1090).<br />

Sui limiti del carattere giurisdizionale e sull'indipendenza della<br />

Giunta delle Elezioni della Camera nei suoi giudizi cfr. M. MAZZIOTTI,<br />

Osservazioni sulla natura dei rapporti fra la Giunta delle Elezioni e


Guida bibliografica 705<br />

la Camera dei Deputati (Giurisprudenza costituzionale, IH, 1958,418-441).<br />

e A. BUZZELLI, Giunta delle Elezioni della Camera dei Deputati e Corte<br />

Costituzionale (Rassegna di diritto pubblico, XIV, 1959, 500-517), questione<br />

che è stata anche ulteriormente esaminata sotto i suoi diversi profili,<br />

in seguito alla pubblicazione di un'ordinanza della Corte costituzionale<br />

su un ricorso per conflitto di attribuzioni promosso avverso una<br />

deliberazione della Giunta delle Elezioni della Camera, con la quale era<br />

stata dichiarata l'incompatibilità tra la carica di membro del comitato<br />

direttivo di un ente territoriale e il mandato parlamentare, da VBZIO<br />

CRISAFULLI, Nota all'ordinanza 14-22 dicembre 1965, n. 91 (Giurisprudenza<br />

costituzionale, X, 1965, 1283-1286), e da VITTORIO DI DOLO, Incompatibilità<br />

parlamentari e conflitto fra poteri (Giurisprudenza costituzionale,<br />

1966, XI, 662-677), il quale, pur non escludendo che un conflitto<br />

tra i poteri dello Stato possa anche essere provocato da un atto<br />

della Giunta delle Elezioni in materia di incompatibilità, ritiene che la<br />

competenza a sollevare il conflitto spetta esclusivamente all'Assemblea»<br />

e che legittimata a costituirsi sia unicamente la Camera rappresentata dal<br />

suo Presidente.<br />

Sulle prerogative dei parlamentari ex art. 68 Cost. si consulti la<br />

monografia organica di GIUSEPPE LOJACONO, Le prerogative dei membri<br />

del Parlamento {Art. 68 della Costituzione). Milano, 1954, con l'integrazione<br />

della recensione di E. CAPALOZZA, L'articolo 68 della Costituzione<br />

e le prerogative dei membri del Parlamento (Il Nuovo Diritto,<br />

XXIII, 1956, 645-654), che ha dedicato numerosi e preziosi contributi<br />

a questo argomento in parte ripubblicati negli Scritti giuridico-penali<br />

{1932-1962). Padova, 1962, come L'autorizzazione a procedere contro<br />

membri del Parlamento. Santa Maria Capua Vetere, 1949; L'immunità<br />

parlamentare e l'art. 68, I comma, della Costituzione (Montecitorio, HI,<br />

1949, 7, 18-19); Contro un tentativo di limitazione delle prerogative funzionali<br />

del Parlamento (Giustizia penale, 56, 1951, I, 13-18); Parlamento,<br />

Magistratura e Corte Costituzionale: competenza sui limiti di efficacia<br />

dell'autorizzazione a procedere contro deputati e senatori (Archivio<br />

penale, Vili, parte II, 1952, 540-547); La liberazione del detenuto eletto:<br />

l'obbligo costituzionale (La Politica parlamentare, VI, 1953, 79-82); Immunità<br />

parlamentare ed autorizzazione a procedere (La Politica parlamentare,<br />

VII, 1954, n. 1, 7); Sulla ripetibilità del provvedimento di concessa<br />

o negata autorizzazione a procedere contro parlamentari (Giurisprudenza<br />

italiana, 116, 1964, II, 81-88); nonché R. PIETRONI, SuWarresto<br />

di imputati membri del Parlamento {2° e 3° comma dell'art. 68 della<br />

27.


706 Guida bibliografica<br />

Costituzione) (Il Foro Padano, VI, 1951, TV-1-10); F. MATARESB, Le<br />

prerogative parlamentari sancite dall'art. 68 della Costituzione (Rivista<br />

di polizia, IV, 1951, 101-104); C. MUSCÀRA, Prerogative parlamentari e<br />

procedimenti penali contro membri delle Camere legislative (Montecitorio,<br />

XVII, 1963, Nr. 5, 5-22); M. DE RUBERTIS, Brevi osservazioni sull'art.<br />

68 della Costituzione (Giustizia penale, 69, 1964, I, 88-90); S. CA-<br />

PORASO, Immunità parlamentare e indipendenza del giudice (Rassegna<br />

dei magistrati, V, 1965, 337-350).<br />

Sull'istituto dell'autorizzazione a procedere si guardi G. CAGIANELLI,<br />

L'autorizzazione a procedere (Montecitorio, III, 1949, n. 2-3, 16-17);<br />

G. BETTIOL, In tema di autorizzazione a procedere contro deputati (Rivista<br />

italiana di diritto penale, N. S. II, 1949, 539-542); G. SABATINI, Autorizzazione<br />

al procedimento e autorizzazione alla detenzione per i membri<br />

del Parlamento (Giustizia penale, 58, 1953, III, 516-523); A. CAS-<br />

SINA, L'autorizzazione a procedere (Archivio penale, 78, 1953, I, ih particolare<br />

475-479); in particolare per la sua natura giuridica, C. MASSA,<br />

Natura giuridica dell'autorizzazione a procedere (Archivio penale, VI,<br />

1950, I, 12-27). Sul significato della libertà personale riconosciuta al<br />

parlamentare ex art. 68 Cost. si veda la polemica tra F<strong>IL</strong>IPPO COLACE e<br />

PIERO STELLACCI (COLACE, L'arresto dei membri del Parlamento nella<br />

flagranza di un delitto, Giustizia penale, 55, 1950, III, 501-506; STELLAC­<br />

CI, Problemi nuovi sulle immunità dei membri del Parlamento, Giustizia<br />

penale, 56, 1951, I, 68-77; COLACE, Ancora sulle immunità<br />

parlamentari, Giustizia penale, 56, 1951, I, 237-242; STELLACCI, Postilla<br />

sulle immunità dei membri del Parlamento, Giustizia penale,<br />

57, 1952, I, 100-105); e A. AMATUCCI, L'imprenditore-deputato e la<br />

legge fallimentare (Rivista di diritto civile, XIII, 1967, parte II, 284-300);<br />

sulla vexata quaestio della natura irrevocabile dell'autorizzazione a procedere<br />

concessa da una Camera nei riguardi di un parlamentare rieletto<br />

o della ripetibilità di analogo provvedimento di concessa o negata<br />

autorizzazione a procedere da parte della nuova Camera, su cui vi è<br />

divergenza di opinioni in dottrina cfr. P. G. GRASSO, Se l'autorizzazione<br />

a procedere sia efficace nei confronti del deputato rieletto (Monitore dei<br />

Tribunali, 93, 1953, 321-323); GULLO-PANNAIN, Limiti dell'immunità parlamentare<br />

(Archivio Penale, X, 1954, II, 596-599); G. GUARINO, Durata<br />

delle Camere e prerogative parlamentari (Il Foro Italiano, 77, 1954, II,<br />

51-58); L. ELIA, Parlamentari rieletti ed autorizzazioni a procedere concesse<br />

nella prima legislatura (Il Foro Italiano, 77, 1954, II, 210-217); E.<br />

CIACCIO, L'autorizzazione a procedere contro il parlamentare rieletto


Guida bibliografica 707<br />

(Giurisprudenza italiana, 106, 1954, II, 81-86); L. ELIA, Durata della<br />

« prorogano » delle Camere e prerogative parlamentari Ql Foro Padano,<br />

IX, 1954, IV, 109-116); V. GUALTIERI, Autorizzazione a procedere<br />

e deputato rieletto (Archivio penale, XV, 1959, H, 332-336); C. BOQGIO,<br />

Parlamentare rieletto e nuova richiesta di autorizzazione a procedere<br />

(Rivista italiana di diritto e procedura penale, N. S.-VI, 1963, 1308-<br />

1317); E. CAPALOZZA, Sulla ripetibilità del provvedimento di concessa o<br />

negata autorizzazione a procedere contro parlamentari (Giurisprudenza<br />

italiana, 116, 1964, II, 81-88). Sulle norme relative alle autorizzazioni a<br />

procedere in singoli ordinamento costituzionali esteri cfr. TOMMASENI,<br />

Rapport relatif à l'immunité parlementaire (Union Interparlementaire.<br />

Informations constìtutionnelles et parlementaires, 3° sèrie, n. 8, 1° novembre<br />

1951, 237-251) e Le norme sulle autorizzazioni a procedere in Francia,<br />

Germania federale, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Gran Bretagna,<br />

Stati Uniti d'America, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.<br />

Roma, Segretariato Generale della Camera dei Deputati, 1966 (Supplemento<br />

n. 3 del Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari,<br />

nuova serie). Per una più approfondita conoscenza delle immunità parlamentari<br />

in alcuni stati stranieri si citano a titolo indicativo le opere<br />

di P. BOCKELMANN, Die Unverfolgbarkeit der Abgeordneten nach deutschem<br />

Immunitàtsrecht. Gòttingen, 1951; D. P. MAXWELL-FYFB, IST<br />

VISCOUNT K<strong>IL</strong>MUIR, The law of parliamentary privilege. London, 1959;<br />

W. R. BEYER, Immunitàt als Privileg. Eine verfassungsrechtliche Studie<br />

gegen die Abgeordnetenimmunitàt. Berlin-Neuwied a. Rh., 1966 (è a favore<br />

dell'abolizione della immunità); G. SOULIER, L'inviolabilité parlementaire<br />

en droit frangais. Paris, 1966.<br />

Sulla prerogativa ex art. 90 e 96 della Costituzione dell'istituto dell'accusa<br />

parlamentare cfr. P. VIRGA, / reati ministeriali (Jus, N. S.-V,<br />

1954, 80-105), il quale accetta l'opinione per cui l'attività esplicata dal<br />

Parlamento nell'accusare i ministri sia da assimilarsi a quella del pubblico<br />

ministero nell'esercizio dell'azione penale, e reputa che in sede di<br />

procedimento innanzi alla Corte Costituzionale l'arresto del ministro che<br />

sia membro del Parlamento, non possa essere eseguito senza l'autorizzazione<br />

della Camera di cui è membro. Su questa ultima questione, collegata<br />

a quella dell'alternativa tra l'ammissione del principio dell'obbligatorietà<br />

o della opportunità per la messa in stato di accusa del ministro<br />

da parte del Parlamento, le opinioni degli studiosi hanno imboccato<br />

strade divergenti, su cui cfr., sia per la sistematica dell'argomento, sia<br />

per una visione critica delle opinioni stesse nei primi anni, STEFANO<br />

RICCIO, // processo penale avanti la Corte costituzionale. Napoli. 1955.


708 Guida bibliografica<br />

Secondo GIUSEPPE MONTALBÀNO (L'accusa del Parlamento per i reati<br />

presidenziali e ministeriali, Rivista processuale penale, I, 1960, 330-340,<br />

e L'accusa del Parlamento e la competenza penale della Corte Costituzionale,<br />

Rivista penale, 89, 1965, 533-548), il quale ritiene che « l'istituto<br />

dell'accusa da parte del Parlamento per i reati presidenziali e ministeriali<br />

è basato sul principio di opportunità », « non c'è dubbio che, quando<br />

il Parlamento accusa un Ministro che sia anche deputato o senatore» manifesta<br />

al tempo stesso la volontà che si proceda contro di lui. In tal<br />

caso è inconcepibile che una delle due Camere possa - con l'eventuale<br />

rifiuto dell'autorizzazione a procedere - mettersi in conflitto con la deliberazione<br />

del Parlamento in seduta comune, che mette in stato d'accusa<br />

un Ministro e conseguentemente vuole che si proceda contro di lui. Veniamo,<br />

quindi, alla conclusione che, in caso di Ministri i quali siano<br />

deputati o senatori, la deliberazione di messa in stato d'accusa contiene<br />

implicitamente l'autorizzazione a procedere » (pag. 340). Alla medesima<br />

conclusione, confortato anche dall'autorità di GIOVANNI LEONE (Lineamenti<br />

di diritto processuale penale. IV ed. Napoli, 1956, 561), perviene<br />

VITO GIANTURCO (/ giudizi penali della Corte Costituzionale. Milano,<br />

1965) il quale, dopo aver insistito sulla superfluità dell'autorizzazione a<br />

procedere della Camera di appartenenza essendo quest'ultima implicita<br />

nella deliberazione di messa in stato di accusa adottata dal Parlamento<br />

riunito in seduta comune, chiarisce che « l'autorizzazione a procedere,<br />

risolvendosi nella rimozione di un limite alla funzione persecutoria dell'accusatore,<br />

presuppone, come è ovvio, un rapporto di differenziazione,<br />

se non di contrapposizione, tra chi autorizza e l'organo del pubblico ministero<br />

autorizzato, quale interviene nei processi comuni innanzi all'autorità<br />

giudiziaria ordinaria, mentre nella specie, si verificherebbe il fenomeno<br />

di un braccio del Parlamento, che, dopo aver preso parte alla<br />

deliberazione della messa in accusa, dovrebbe autorizzare il Parlamento,<br />

organo collegiale complesso dell'accusa, di cui esso stesso fece parte<br />

nell'assemblea bicamerale, a procedere contro il suo membro quasi che<br />

con atto unilaterale (rifiuto d'autorizzazione) uno degli organi compartecipi<br />

alla formazione dell'atto concorsuale potesse togliere efficacia all'atto<br />

deliberativo della messa in accusa, di rilievo assorbente, formato<br />

con il suo stesso intervento» (pag. 166).<br />

Questa interpretazione sulla superfluità dell'autorizzazione a procedere<br />

in senso lato acquistò valore normativo con la promulgazione<br />

della legge 25 gennaio 1962, n. 20, il cui art. 1 statuisce chiaramente che<br />

« per il procedimento di accusa e per il giudizio innanzi alla Corte Costituzionale<br />

non è necessaria l'autorizzazione, ancorché essa sia richiesta


Guida bibliografica 709<br />

per l'esercizio dell'azione penale » e che « non sono del pari necessarie,<br />

per l'esecuzione di provvedimenti coercitivi e cautelari, le autorizzazioni<br />

previste dall'articolo 68 della Costituzione ».<br />

Questa norma, che ictu oculi appare ovvia e logica accogliendo le<br />

considerazioni svolte dagli studiosi precedentemente citati, presenta tuttavia,<br />

come ha rilevato ROSARIO IOCCA, Sulla costituzionalità della legge<br />

25 gennaio 1962, n. 20 sui giudizi di accusa. (Rassegna di diritto pubblico,<br />

XX, 1965, 533-538), « l'enunciazione di due principi assolutamente<br />

nuovi, e quanto meno discutibili, in materia di diritto costituzionale e<br />

di interpretazione della Costituzione: 1) che si possa operare una distinzione<br />

nell'applicazione di una norma costituzionale, sicché essa possa<br />

o meno essere applicata in relazione a circostanze di fatto o valutazione<br />

dell'organo che dovrebbe applicarle; 2) che un organo del Parlamento<br />

si possa identificare col Parlamento stesso o con un ramo di esso ». In<br />

realtà, « se si dovesse accettare il principio secondo il quale l'applicazione<br />

dell'art. 68 dipende dalla specialità del procedimento o del tipo<br />

di reato commesso o dall'organo che deve giudicare si aprirebbe la via<br />

ai più gravi arbitri sotto i più diversi e speciosi motivi che lascerebbero<br />

il parlamentare spogliato di tutte le garanzie che la Costituzione prevede<br />

a tutela della sua funzione. L'accettazione del secondo principio<br />

secondo il quale poteri e attribuzioni che sono propri ed esclusivi dell'intera<br />

Assemblea possono essere attribuiti ad un organo di essa porta<br />

a confondere il Parlamento con una Commissione. Né vale l'obiezione<br />

che la commissione inquirente non ha poteri decisori e che in ultima<br />

analisi il potere deliberante è riservato al Parlamento in quanto alla<br />

stessa commissione sono attribuiti poteri per l'esercizio dei quali la Costituzione<br />

richiede l'intervento del Parlamento sotto forma di autorizzazione<br />

» (pag. 534-535). Lo IOCCA, che è dell'opinione che alla commissione<br />

inquirente sia attribuito il compimento di atti propri del procedimento<br />

penale, conclude pertanto che « mentre è legittima costituzionalmente<br />

l'opera della commissione diretta all'accertamento preliminare dei<br />

fatti, quando l'imputato sia un parlamentare, l'opera stessa diventa illegittima<br />

allorché la commissione, senza autorizzazione, compie atti<br />

propri del procedimento penale, e poiché la legge n. 20 facilita la commissione<br />

a compiere tutti gli atti istruttori propri del procedimento penale<br />

senza autorizzazione della Camera alla quale il parlamentare appartiene<br />

non vi è dubbio che tale norma debba considerarsi costituzionalmente<br />

illegittima » (pag. 537) e che pertanto « l'art. 68 della Costituzione<br />

sia stato svuotato di ogni contenuto », ragion per cui, ammessa la<br />

norma che lo stesso Parlamento non abbia bisogno di autorizzazioni.


710 Guida bibliografica<br />

« le norme in contestazione, siccome modificative dell'art. 68 della Costituzione,<br />

avrebbero dovuto essere adottate con legge costituzionale »<br />

(pag. 538). Sulla necessità di provvedere alla regolamentazione di questa<br />

particolare forma di autorizzazione a procedere con legge costituzionale<br />

e non ordinaria consente anche il BAR<strong>IL</strong>E (La messa in stato d'accusa<br />

dei Ministri, Montecitorio, XX, 1966, 5-6, 3-11), il quale, come anche<br />

FRANCO LABRUNA (// procedimento parlamentare d'accusa e i riflessi penali<br />

e costituzionali del caso Trabucchi, Democrazia e diritto, VI, 1965,<br />

403-412) viziano di illegittimità costituzionale diverse norme della legge<br />

del 1962, e del regolamento per i procedimenti d'accusa ed in particolare<br />

soprattutto quella che condiziona la messa in istato di accusa all'approvazione<br />

della maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento,<br />

maggioranza assoluta che è egualmente richiesta tanto per la revoca<br />

dell'archiviazione deliberata dalla Commissione inquirente e per<br />

il procedimento dell'inchiesta da parte della stessa e per la rimessione<br />

al Parlamento in seduta comune della deliberazione di non doversi procedere<br />

quanto, nel Parlamento riunito in seduta comune, per il compimento<br />

di ulteriori indagini da parte della Commissione, in modo da violare<br />

non solo, secondo il BAR<strong>IL</strong>E ed il LABRUNA, una precisa disposizione<br />

della Costituzione, ma estendendo anche illegittimamente ai reati<br />

ministeriali la richiesta di una maggioranza qualificata indicata dalla<br />

legge fondamentale per tipi particolari di reato. Più precisamente afferma<br />

il LABRUNA (art. cit, 406-407):<br />

« Statuisce l'articolo 90 della Costituzione che, se il Presidente della Repubblica<br />

attenti alla medesima, o commetta alto tradimento, la delibera comune<br />

debba dal Parlamento essere approvata a maggioranza assoluta. L'art. 17 della<br />

legge ordinaria 25 gennaio 1962, n. 20, concernente il procedimento d'accusa,<br />

richiama il precetto ora citato e, per relationem, estende anche ai reati ministeriali,<br />

tale qualificata maggioranza. La norma è manifestamente incostituzionale,<br />

perché, per un primo profilo, viola l'art 64 della Costituzione, il quale,<br />

per la validità delle deliberazioni di ciascuna Camera o del Parlamento richiede<br />

la maggioranza semplice, "salvo che la Costituzione prescriva ima maggioranza<br />

speciale" (artt. 73, 2° comma; 83, 3° comma; 90, 2° comma; 138, 1° comma);<br />

e, per un secondo profilo, viola il successivo art. 90, che, per la rilevanza dell'organo,<br />

per il prestigio della carica, per la gravità particolare degli illeciti,<br />

per i riflessi delle colpe sul piano nazionale e su quello internazionale, prescrive<br />

la maggioranza assoluta relativamente alle sole accuse concernenti il capo dello<br />

Stato ».<br />

Egualmente incostituzionali sono le norme del regolamento per i<br />

procedimenti d'accusa inerenti alla potestà di archiviare o di dichiarare<br />

rimprocedibilità dell'azione della commissione inquirente come pure le<br />

altre fissanti la maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento in


Guida bibliografica 7\\<br />

seduta comune. Sempre secondo il LABRUNA (art. cit, 407-408) « codeste<br />

norme contrastano con i precetti dettati dagli artt. 64 e 90 della Costituzione...<br />

ma poiché la competenza della Corte costituzionale concerne<br />

le sole controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e<br />

degli atti aventi forza di legge e non può quindi estendersi a norme regolamentari,<br />

l'autore di reati cosiddetti ministeriali verrebbe definitivamente<br />

sottratto, in forza delle rilevate illegittimità, e... in grazia dei poteri<br />

limitati di controllo conferiti alla» Corte Costituzionale, alla delibera<br />

dell'assemblea comune, prevista da una legge costituzionale (quella dell'I<br />

1 marzo 1953), e al giudizio della Corte, previsto dalla Costituzione<br />

medesima ». Questi rilievi di incostituzionalità, mossi anche nel Parlamento<br />

in seduta comune nel luglio 1965 durante la discussione dell'ordine<br />

del giorno relativo alla messa in stato di accusa dell'ex ministro<br />

Trabucchi, furono puntualizzati dal Presidente dell'Assemblea, Fon.<br />

Bucciarelli Ducei, il quale osservò che : 1) « la norma dell'articolo 64<br />

nella sua ultima parte, là dove dice « salvo che la Costituzione prescrìva<br />

una maggioranza speciale », si riferisce, in sostanza, ai casi in cui risulta<br />

già determinata la necessità di deliberare con una maggioranza<br />

speciale, ma non stabilisce affatto che soltanto ed unicamente in quei<br />

casi è possibile deliberare con una maggioranza diversa da quella dei<br />

presenti »; 2) « la potestà regolamentare del Parlamento, riconosciuta per<br />

attribuzione costituzionale di competenza, trova quindi un limite minimo<br />

di validità in materia di deliberazioni, che è più elevato in alcune<br />

fattispecie disciplinate direttamente da norme costituzionali, ma non<br />

trova alcun limite massimo se non nella propria autonoma sfera di determinazione<br />

che, trattandosi di organo costituzionale primario superiorem<br />

non recognoscens, presenta tutti i caratteri della sovranità»; e<br />

3) « nulla vieta che, in sede di revisione normativa, questo ed altri problemi<br />

siano oggetto di riesame sotto il profilo dell'opportunità», ma<br />

che « nessun dubbio possa sussistere sulla piena legittimità costituzionate<br />

delle norme che, nell'ambito del proprio insindacabile potere di autorganizzazione,<br />

le Camere hanno adottato per stabilire maggioranze più<br />

elevate di quella dei presenti in rapporto a circostanze del rutto particolari<br />

» (Camera dei Deputati - Senato della Repubblica. IV Legislatura.<br />

VI. Seduta comune da venerdì 16 a martedì 20 luglio 1965, 424-425).<br />

PAOLO BAR<strong>IL</strong>E (La messa in stato d'accusa dei Ministri, cit. 8-9) ha contrapposto<br />

a queste considerazioni quanto segue:<br />

«Per quanto riguarda il primo argomento: che il limite massimo possa<br />

essere introdotto dal Parlamento anche quando la Costituzione non lo prevede<br />

può essere esatto in via generale, non certo nel caso in esame, quando dalla


712 Guida bibliografica<br />

differente dizione dell'art. 96 rispetto all'art 90 si deduce chiaramente che il<br />

Costituente volle disporre la maggioranza assoluta nel caso della messa in stato<br />

d'accusa del Presidente della Repubblica, mentre non volle sicuramente disporla<br />

nel caso della messa in stato d'accusa del Presidente del Consiglio dei Ministri<br />

e dei Ministri.<br />

Il secondo argomento è vago e sfumato: basti qui ricordare che nessuna<br />

argomentazione sulla natura e soprattutto sull'ampiezza della insindacabilità<br />

degli interna corporis è "facile": ricordo comunque la sentenza n. 9 del 1959<br />

della Corte Costituzionale, in base alla quale gli interna corporis non possono<br />

mai comprendere ciò che è prescritto direttamente dalle norme costituzionali,<br />

e qui per l'appunto, ripeto, è proprio il combinato disposto degli artt 90 e<br />

96 Cost. che impone al Parlamento di non elevare la maggioranza per la messa<br />

in stato d'accusa dei Ministri.<br />

Al terzo argomento può facilmente replicarsi: in primo luogo, le maggioranze<br />

dei 3/5 disposte dalle due leggi ordinarie citate da Bucciarelli Ducei sono<br />

state investite da notevoli critiche di incostituzionalità da parte di taluni. È<br />

vero che altri hanno risposto, forse esattamente, distinguendo tra nomina e<br />

deliberazione, ed hanno dimostrato come per le nomine non valga l'art. ^4 Cosi,<br />

e come quindi siano conformi a Costituzione le norme delle leggi ordinarie<br />

che dispongono i 3/5 per la nomina dei giudici costituzionali e dei componenti<br />

del Consiglio Superiore della Magistratura. Ma, per l'appunto, nel caso in esame<br />

siamo di fronte non a nomine ma a deliberazioni: per cui prende pieno vigore<br />

l'art. 64 Cost., e comunque ancora una volta prevale il combinato disposto degli<br />

articoli 90 e 96 Cost. ».<br />

GIUSEPPE CONTINI, che ha dedicato uno stimolante studio all'aspetto<br />

relativo alla definizione della natura giurìdica dell'atto d'accusa ed a<br />

quello afferente la natura delle attività a tale atto connesse (Sulla natura<br />

giuridica dell'accusa parlamentare ex art. 96 della Costituzione, Giurisprudenza<br />

costituzionale, XI, 1966, 623-661), individua nell'accusa parlamentare<br />

« una specie di azione popolare indiretta, attribuita cioè invece<br />

che al popolo direttamente ai suoi rappresentanti eletti, nella loro<br />

globalità » (CONTINI, 633) con l'intento di « sottrarre ad un certo potere,<br />

nella specie al giurisdizionale, la valutazione politica relativamente ad atti<br />

o fatti posti in essere da chi, investito di una certa funzione costituzionale,<br />

può essersi trovato costretto, anche scientemente, ma nel superiore<br />

interesse del paese ad agire non rispettando certe norme penali » (631),<br />

tesi che, tra l'altro, viene confortata dalla facoltà della Commissione inquirente<br />

o del Parlamento in seduta comune di dichiarare la propria incompetenza<br />

(643). Nel definire la natura giuridica dell'attività che il Parlamento<br />

è chiamato a svolgere è pertanto improprio riferirsi a quella del<br />

giudice istruttore, alla denuncia ed alla figura del Pubblico Ministero, in<br />

quanto - secondo il CONTINI - « queste teorie soffrono di una forzatura<br />

in radice che consiste nel voler assolutamente riportare entro i consueti


Guida bibliografica 713<br />

schemi processualistìci una situazione che invece è, rispetto a quelli, assolutamente<br />

atipica fondandosi su basi assolutamente particolari e, fondamentalmente,<br />

sulla valutazione politica » (651). Ed ancora:<br />

« Il Parlamento infatti è limitato ratione materiae ad interessarsi di certe<br />

questioni, ma può anche, da un punto di vista giuridico, errare, il che conferma<br />

che pone in essere un'attività di controllo politico. Tant'è che,<br />

pur ritenendo un certo atto rientrante tra quelli da perseguire ai sensi dell'art.<br />

96 Cost, la Corte Costituzionale può dichiararlo non compreso tra essi e<br />

trasmettere gli atti all'Autorità Giudiziaria ordinaria. Né è da ritenere che il<br />

Parlamento debba necessariamente indicare quali norme penali ritiene siano<br />

state violate bensì quale comportamento del ministro sia da perseguire penalmente.<br />

Spetterà alla Corte, al termine dell'istruttoria, indicare le norme che si<br />

presume siano state violate ed alla Corte concludere definitivamente con il suo<br />

giudizio inappellabile. £ quindi soltanto la Corte che svolge in questo caso<br />

funzioni di organo tecnico-giurisdizionale e non il Parlamento. Ne discende<br />

che non può intendersi sussistere, a carico del Parlamento, l'obbligo di iniziare<br />

l'azione penale analogamente a quanto avviene per il Pubblico Ministero. La<br />

Costituzione ha voluto che in questo caso la valutazione degli interessi lesi sia<br />

riservata, pregiudizialmente, al Parlamento il quale, in quanto organo politico,<br />

valuta l'opportunità di perseguire penalmente il responsabile e non soltanto<br />

accerta se il fatto a questi addebitato sussista o meno. £ infatti solo con l'elezione<br />

dei commissari d'accusa che il Parlamento stesso, per il loro tramite, si<br />

costituisce parte del procedimento penale... Si può quindi dire che tutto il procedimento<br />

per l'accusa ed il giudizio dei ministri è assolutamente atipico e che<br />

pertanto necessariamente si arriva a conclusioni erronee relativamente alle diverse<br />

sue fasi ed alla natura giuridica degli atti e degli organi nonché alle<br />

stesse competenze di questi ultimi, quando si pretenda di trovare ad ogni costo<br />

delle eguaglianze laddove, al massimo, si può parlare di somiglianze tra organi,<br />

fasi od atti del procedimento penale costituzionale con quello ordinario.<br />

Ciò risulta chiaro partendo da quelli che sono gli interessi particolari e specifici<br />

che i due procedimenti tendono a tutelare e che pienamente giustificano<br />

tali diversità fondate sulla diversa loro natura giuridica, la quale, come si<br />

è voluto qui dimostrare, è essenzialmente politica in tutte le sue fasi salienti<br />

e nettamente differenziata sia dall'ordinaria attività giurisdizionale che da<br />

quella legislativa ed esecutiva. Non si tratta infatti di attività giurisdizionale<br />

od esecutiva, e nemmeno legislativa, in quanto essa è invece manifestazione<br />

tipica dell'attività di controllo politico od ispettivo che viene a concretizzarsi<br />

in un atto politico il quale, nella fattispecie, nasce da una valutazione derivante<br />

dall'indirizzo politico parlamentare e quindi è a questo direttamente<br />

connesso » (CONTINI, art cit., 659-660).<br />

Con la definizione dell'accusa parlamentare quale atto politico e con<br />

i gravami di maggioranze qualificate fissate in sede di regolamentazione<br />

del procedimento e delle sue singole fasi si è intanto in realtà dimostrata,<br />

secondo il MONTALBANO (Dopo il « caso Trabucchi ». Modifiche al procedimento<br />

per i reati ministeriali; Homo, VI, 1965, nr. 9, 27-33), l'impos-


714 Guida bibliografica<br />

sibilità di un effettivo funzionamento dell'istituto, con conseguenze diametralmente<br />

opposte a quelle che hanno sollecitato l'introduzione dell'istituto<br />

stesso nella Carta costituzionale, in modo da accordare l'impunità<br />

ai titolari di un incarico ministeriale per reati commessi nell'esercizio<br />

della loro funzione, in quanto « il non promuovimento dell'azione penale<br />

(per i reati di cui trattasi) da parte delle Camere riunite non significa riconoscimento<br />

(almeno implicito) dell'innocenza, rispettivamente, del Presidente,<br />

della Repubblica o del Ministro », perché « in particolare, se trattasi<br />

di reato ministeriale, la mancata approvazione dell'ordine del giorno<br />

di messa in stato d'accusa di un Ministro non è affatto assimilabile al decreto<br />

di archiviazione che, in base al testo originario (ora abrogato) del<br />

3° comma dell'art. 74 c.p.p., poteva emettere il pubblico ministero in caso<br />

di accusa manifestamente priva di qualsiasi fondamento » (MONTALBANO,<br />

art. cit., 28). Sempre sullo stesso argomento cfr. anche F. GIAMPIETRO,<br />

In tema di indagine processuale sugli illeciti presidenziali e ministeriali<br />

(Montecitorio, XX, n. 10-12, ottobre-dicembre 1966, 30-34).<br />

Sulle norme di procedura di accusa parlamentare vigenti in singoli<br />

ordinamenti costituzionali stranieri cfr. Le norme sul procedimento di ac~<br />

cusa parlamentare in Italia, Belgio, Francia, Germania federale, Lussemburgo,<br />

Olanda, Gran Bretagna, Stati Uniti a"America. Roma, Segretariato<br />

Generale della Camera dei Deputati, 1967 (Supplemento n. 5 del<br />

Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari, nuova serie).


CAPO V.<br />

Sull'Ufficio di presidenza provvisorio (che si costituisce all'apertura<br />

di ogni legislatura ed al quale compete l'indizione delle votazioni per la<br />

nomina dei membri dell'Ufficio di Presidenza con la cui elezione si procede<br />

alla costituzione della Camera), sui limiti delle sue attribuzioni e su<br />

quelle della Camera prima della sua costituzione sono ancora utili le osservazioni<br />

di ANGELO MAJORANA (L'Ufficio di presidenza provvisoria della<br />

Camera dei Deputati, Archivio del diritto pubblico, I, 1902, 257-265).<br />

Al tema particolare dell'elezione del Presidente da un punto di vista relativo<br />

alla procedura vigente in Inghilterra, negli Stati Uniti d'America,<br />

nella Francia ed in Germania ha dedicato un saggio KARL JOSEF PARTSGH<br />

(Die Wahl des Parlamentspràsidenten, Archiv des òffentlichen Rechts, 86,<br />

1961, 1-38). Per cenni comparati sulle modalità di elezione dei Presidenti<br />

e dei Vicepresidenti di Assemblea cfr. la relazione di E. FBLLOWES, Les<br />

pouvoirs des Présidents des assemblées parlementaires (Union interparlementaire.<br />

Informations constitutionnelles et parlementaires, 3 e sèrie, Nr. 20,<br />

1° novembre 1954, 182 segg.). Sull'evoluzione della presidenza assembleare<br />

in Italia si veda F. MOHRHOFF, Evoluzione costituzionale delVistituto<br />

della Presidenza della Camera (Montecitorio, XII, 1958, Nr. 11,<br />

5-7, e dello stesso, L'evoluzione dell'istituto p-esidenziale del Parlamento<br />

italiano (1848-1958) (Montecitorio, XIII, 1959, Nr. 1, 3-13). Per<br />

la ricchezza dei dati e l'accurato svolgimento dell'indagine è sempre<br />

utile l'opera di HENRI RIPERT (La Présidence des assemblées poUtiques<br />

avec une préface de Paul Deschanel. Paris, 1908) basata sulla distinzione<br />

tra la figura del Presidente funzionario nominato dal potere esecutivo e<br />

titolare in un certo senso di una funzione pubblica e del Presidente di<br />

scelta assembleare che esercita una magistratura elettiva. Questo sistema<br />

di classificazione ha pregiudicato tuttavia, da parte dell'autore, una esposizione<br />

organica e continuativa dell'istituto soprattutto in Francia con<br />

l'applicazione tra l'altro di un criterio cronologico a rovescio, in quanto<br />

la trattazione dei presidenti del Corpo Legislativo napoleonico dal 1852<br />

al 1870 precede l'altra sui presidenti della Camera dei Deputati della<br />

monarchia di luglio. È stato inoltre osservato (H. NÉZARD, Revue da


716 Guida bibliografica<br />

droit public et de la science politique, 26, 1909, 373-378) che questo<br />

criterio di classificazione, basato sulla forma della designazione, poteva<br />

essere utilmente sostituito da altro criterio che affonda le sue radici nella<br />

natura giuridica e nel ruolo politico dei Presidenti, ragion per cui<br />

si può concludere che l'opera del RIPERT, pregevole sotto tanti aspetti,<br />

non costituisce sostanzialmente una indagine sistematica sulla figura giuridica<br />

del Presidente sotto il profilo del diritto costituzionale, ma piuttosto<br />

una storia delle Presidenze, illustrata da gustosi aneddoti e da<br />

ritratti assai efficaci, cosicché, salvo il caso in cui non si intendesse approfondire<br />

le proprie conoscenze sul significato storico dell'opera svolta<br />

da un determinato Presidente o sulla particolare rilevanza giuridica di<br />

determinati atti, per avere un'idea della monografìa del RIPERT è preferibile<br />

alla lettura integrale diretta dell'opera quella di due saggi sintetici<br />

pubblicati dallo stesso autore prima dell'uscita deD'opera (La présidence<br />

des assemblées politiques, Annales des sciences politiques, 23„ 1908,<br />

346-368; La situation parlementaire des présidents dassemblées, Revue<br />

politique et parlementaire, 56, 1908, 253-270). È opportuno tuttavia<br />

chiarire che anche dopo la pubblicazione dell'opera del RIPERT la scienza<br />

giuridica non ha prestato eccessiva attenzione a questo argomento di indagine.<br />

Per la Francia, ad esempio, oltre alla dissertazione del POLLET<br />

(La Présidence des Chambres francaises. Thèse Poitiers, 1908), edita<br />

nello stesso anno del libro del RIPERT, si ricordano gli scritti di A.<br />

SÀUVAGEOT, Le Président de l'Assemblée Nationale (Revue politique et<br />

parlementaire, 196, 1948, 122-133), di JACQUES SOUBEYROL, Le Président<br />

de l'Assemblée Nationale (Revue du droit public et de la science politique,<br />

72, 1956, 526-563) e la monografia di YVES DAUDET (La Présidence<br />

des assemblées parlementaires frangaises. Paris, 1965, che pone<br />

l'accento maggiormente sull'aspetto sociologico e politico dell'argomento<br />

che non su quello giuridico e che indulge in notevole misura egualmente<br />

alla tesi implicita nella strutturazione dell'opera del RIPERT sull'inesistenza<br />

di una concezione francese della Presidenza delle Assemblee sostituita<br />

dalle figure di tutto rilievo, se del caso, delle singole individualità,<br />

ed in realtà può costituire, entro certi limiti, motivo di meditazione<br />

il dubbio se non possa riuscire prevalente nell'indagine anche giuridica<br />

di questa figura organica, che è l'unica a struttura monocratica tra quelle<br />

che agiscono all'interno dell'ordinamento specifico, la suggestione della<br />

manifestazione dell'individuo al di là ed al di sopra delle norme scritte<br />

e consuetudinarie che confortano l'esercizio di una funzione istituzionale.<br />

Nella pubblicistica italiana si ricorda lo studio giuridico di ENZO SICA,<br />

Rilievi sulla presidenza delle assemblee politiche (Rassegna di diritto


Guida bibliografica 717<br />

pubblico, VI, 1951, 238-282), il quale, rigettata la triplice classificazione<br />

tipologica del RIPERT (SU cui cfr. l'articolo cit. degli Annales des sciences<br />

politiques) in quanto ispirata ad un criterio di valutazione squisitamente<br />

politico, ha inteso dimostrare « che la configurazione dell'istituto<br />

è determinata essenzialmente dalla struttura dell'ordinamento costituzionale<br />

nel cui ambito esso sussiste », sicché « la composizione politica<br />

dell'Assemblea, la consuetudine, le norme di correttezza parlamentare,<br />

più che come cause della configurazione dell'istituto, si pongono, invece,<br />

quali condizioni determinanti graduazioni diverse nella funzionalità<br />

dell'istituto » (275-76); interpretazione che è stata assoggettata a revisione<br />

da parte di EM<strong>IL</strong>IA BALDINI (/ presidenti delle assemblee parìa'<br />

mentori con particolare riguardo all'ordinamento italiano; Sociologia.<br />

Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, 1960, 99-130) la quale ritiene che fl<br />

tentativo fatto dal SICA, nonostante le giuste premesse da cui parte, non<br />

abbia raggiunto dei risultati positivi ed accettabili, < in quanto... mentre<br />

è vero che l'istituto presidenziale della Camera dei Comuni si contrappone<br />

al corrispondente istituto della Camera dei Rappresentanti per una<br />

serie di caratteri propri e peculiari, l'istituto presidenziale italiano... presenta<br />

caratteri, comuni sia al primo che al secondo dei tipi considerati,<br />

assumendo però un profilo suo proprio tale da giustificare la convinzione<br />

che i Presidenti delle Assemblee italiane richiedono una definizione<br />

autonoma » (100). Improntata ad una struttura sistematica è infine<br />

l'opera di GIOVANNI FERRARA (// presidente di assemblea parlamentare.<br />

Milano, 1965) che rappresenta il primo tentativo riuscito di una configurazione<br />

in chiave giuridico-dottrinaria della funzione del presidente<br />

di assemblea nei moderni sistemi democratici con prevalente e particolare<br />

considerazione all'attuale ordinamento costituzionale italiano. Il<br />

FERRARA, dopo aver constatato l'insufficienza della dottrina tradizionale<br />

che si era limitata alla ricostruzione della figura del presidente di assemblea<br />

sulla base dell'unica relazione presidente-membro dell'assemblea,<br />

osserva che oggi « lo schema di detta relazione non esprime [più]<br />

adeguatamente la realtà complessa delle esigenze e dei fenomeni che<br />

devono essere rilevati e che condizionano le iniziative e le attività dei<br />

soggetti che agiscono nell'ambito delle istituzioni parlamentari » (5).<br />

Oggi, « lo schema della dialettica politica teorizzato ed applicato in regine<br />

liberale per le assemblee parlamentari » è ormai superato.<br />

« Queste, nella suddetta fase dello sviluppo storico degli ordinamenti, erano<br />

- come scrive il Ferrara - le matrici delle manifestazioni di volontà che esprimevano:<br />

la discussione libera ed aperta ne costituiva lo strumento «"""tate<br />

e formale che solo poteva produrle. Il Presidente doveva garantirne la libertà,


718 Guida bibliografica<br />

attraverso l'imparzialità dei suoi atti di registrazione della volontà prevalente<br />

(qualunque fosse il momento in cui questa si manifestasse) volta a perseguire<br />

le finalità che scaturivano come più razionali ed adeguate da un dibattito aperto,<br />

i cui risultati erano imprevedibili essendo condizionati dagli umori contingenti<br />

dei parlamentari svincolati da ogni disciplina di gruppo. L'imparzialità del Presidente<br />

era intesa non soltanto come neutralità rispetto al significato politico<br />

di una proposta, di un emendamento, di una eccezione procedurale o rispetto<br />

all'attitudine di ciascuno dei membri dell'assemblea nei confronti del Governo<br />

- condizione necessaria per la funzionalità di ogni assemblea politica democratica<br />

- ma soprattutto, nei confronti dei procedimenti da iniziare ed al significato<br />

politico che poteva assumere la scelta di un certo programma legislativo<br />

(ammesso pure che le deliberazioni relative all'ordine dei lavori parlamentari<br />

assumessero il significato attuale di determinazione dell'indirizzo legislativo<br />

da perseguire) » (10-11).<br />

Secondo il FERRARA, pertanto, l'imparzialità del Presidente era un<br />

imprescindibile corollario della concezione liberale dell'attività parlamentare,<br />

concezione che individuava nelle leggi in un certo qual senso<br />

i filoni cui ancorare stabilmente « l'ordine economico e sociale esistente<br />

accettato da tutta la rappresentanza politica ». Interpretazione che, a<br />

dire il vero, sembra palesarsi non solo quale una contradictio in adjecto<br />

sotto il profilo ideologico del sistema cui viene attribuita ma che anche<br />

sembra più frutto di volontà di configurazione sistematica in ordine alla<br />

indicata qualificazione dell'imparzialità del Presidente, sulla cui neutralità,<br />

anche all'epoca dello schema della dialettica politica teorizzato ed<br />

applicato in regime liberale, non poche indicazioni - ecco la suggestione<br />

delle manifestazioni dell'individuo ! - costituiscono dimostrazione in<br />

contrario. È lecito tuttavia indulgere a questa accentuazione di un mutamento<br />

della configurazione dell'istituto dettata dall'intento di chiarirne<br />

lo svolgimento in senso strutturale più che naturalmente progressivo,<br />

perché è innegabile la profonda trasfigurazione subita da esso nel quadro<br />

di un rapporto interorganico dell'ordinamento costituzionale vigente con<br />

le implicazioni derivanti da un sistema pluripartitico i cui riflessi acquistano<br />

rilevanza sia all'interno sia all'esterno dell'assemblea parlamentare<br />

nella dialettica tra i gruppi di maggioranza e quelli di opposizione. Attraverso<br />

l'indagine analitica dei poteri e degli atti esercitati dal Presidente<br />

di assemblea il FERRARA perviene così alla definizione ed alla rilevazione<br />

giuridica della funzione del Presidente nell'attuale sistema democratico-parlamentare,<br />

che è « funzione organizzatoria di tutti i fenomeni<br />

(articolazioni strutturali, fatti, atti, procedimenti) che rilevando sul<br />

piano del funzionamento dell'assemblea, possono essere tradotti nella<br />

realtà giuridica di ciascuno degli ordinamenti particolari costituiti dai<br />

due rami del Parlamento ». In particolare, « questa funzione organizza-


Guida bibliografica 719<br />

tona è esercitata dal Presidente di ciascuna Camera, in quanto ne rappresenta<br />

gli interessi istituzionali permanenti, che nella realtà dei sistemi<br />

pluripartitici coincidono con gli interessi dei gruppi visti nella loro globalità.<br />

Ne consegue un diretto e necessario inserimento del Presidente<br />

nel sistema in una posizione non solo di collegamento paritario, ma addirittura<br />

talora di eminente rilevanza, come efficacemente dice il<br />

FERRARA:<br />

e Allo stato attuale dei rapporti che si instaurano negli ordinamenti a regime<br />

democratico, organizzati sulla base del sistema parlamentare, tra maggioranza<br />

da una parte e minoranza dall'altra, può infatti avvenire che gli interessi<br />

della minoranza vengano a coincidere occasionalmente con gli interessi<br />

del regime alla sopravvivenza e con gli interessi alla garanzia ed all'effettivo<br />

funzionamento della regola dell'alternanza delle parti al potere. Sotto questo<br />

punto di vista si rileverà che non è tanto e non è solo il Presidente detta Repubblica<br />

a dover rendersi garante della imperturbata sopravvivenza nei rapporti<br />

tra maggioranza e minoranza, della regola dell'alternanza delle parti, ma è<br />

proprio il Presidente di assemblea che svolge sul piano tecnico e politioo la<br />

funzione più importante di garanzia anche e, forse soprattutto, attraverso atti<br />

che rilevano sul piano della funzionalità del sistema, cui sono collegati gli interessi<br />

politici della maggioranza » (14). Sulla monografia del Ferrara si vedano<br />

anche le osservazioni di NICOLA GRECO, Funzione di rappresentanza ed autonomia<br />

politica dei Presidenti di Assemblee parlamentari (Montecitorio, XXI, n. 1-2,<br />

gennaio-febbraio 1967, 5-29, e n. 3-6, marzo-giugno 1967, 3-18).<br />

Tra questi atti merita di essere ricordato uno assai singolare - critica<br />

della procedura seguita per l'apertura di una crisi ministeriale da<br />

parte di un presidente di assemblea mediante un discorso pronunciato<br />

in seduta pubblica - che ha attirato l'attenzione di GIUSEPPE CUOMO<br />

(Dimissioni volontarie del governo e poteri dei Presidenti di assemblea<br />

parlamentare; Rassegna giuridica sarda, II, 1960, 441-461; ripubblicato<br />

negli Studi in memoria di Guido Zanobini. Milano, 1965, IH, 211-239),<br />

in quanto esso è argomento a contrario dell'inserimento razionale ed organico<br />

del Presidente di assemblea nel sistema costituzionale, la cui funzionalità<br />

può essere gravemente compromessa dalla abusiva recezione di<br />

atti che razionalmente non vi ineriscono. Risulta, infatti, chiaro dall'indagine<br />

svolta dal CUOMO che i Presidenti di assemblea debbano astenersi<br />

dal discutere le dimissioni volontarie del Governo, perché:<br />

« l'assemblea intesa nel suo complesso come organo di controllo politico<br />

dell'Esecutivo non ha un ruolo nella soluzione della crisi; interviene nella fase<br />

successiva alla nomina per ottemperare al dettato costituzionale che prevede<br />

l'instaurarsi di un rapporto fiduciario, in modo che investitura da un lato e<br />

sfiducia o dimissioni volontarie del Governo dall'altro costituiscono i due momenti<br />

- inizio e fine - di una collaborazione politica e di un periodo di con-


720 Guida bibliografica<br />

frollo parlamentare... La crisi, quindi, caratterizza una fase di iniziativa del<br />

Presidente (della Repubblica) che si esaurisce con la "messa in moto" del<br />

sistema costituzionale. E un eventuale intervento delle Camere come organi<br />

nella risoluzione della stessa crisi costituirebbe una invasione delle competenze<br />

del Capo dello Stato... La posizione di collaboratore istituzionale dei governi<br />

esclude che nei confronti di uno di essi il Presidente di assemblea prenda posizione<br />

esprimendo un giudizio politico e criticandone le decisioni adottate in<br />

base a quel principio di autonomia che concorre a caratterizzare il governo<br />

parlamentare. E ciò a maggior ragione quando, come si verifica con le dimissioni<br />

volontarie, un intervento del Presidente contrasta con la sua posizione<br />

di imparzialità nei confronti dei gruppi rappresentati in assemblea e costituisce<br />

una indebita ingerenza nelle competenze del Presidente della Repubblica »<br />

(459-460).<br />

Ad un tema particolare mai affrontato dai nostri giuspubblicisti ma<br />

che può riuscire di un certo interesse una volta accolta la tesi della rilevanza<br />

della funzione esercitata dal Presidente di assemblea nella struttura<br />

del sistema costituzionale, e più precisamente alla questione della<br />

ammissibilità o meno della revoca sollevata nella Repubblica federale<br />

tedesca nel 1962 da una proposta formulata nell'Assemblea regionale<br />

della Bassa Sassonia, ha dedicato un saggio OTTO UHLITZ (Zur Frage<br />

der Abberufbarkeit der Parlamentspràsidenten, Archiv des òffentlichen<br />

Rechts, 87, 1962, 296-310) con cenni anche alla posizione dei vicepresidenti<br />

e dei segretari delle assemblee. Per quanto riguarda inoltre i vicepresidenti<br />

si cfr. F. MOHRHOFF, 1 Vicepresidenti delle Assemblee legislative.<br />

Roma, 1962. Chi desidera particolari informazioni sulla figura<br />

dello Speaker in Inghilterra e negli Stati Uniti può consultare M.<br />

MACDONAGH, The Speaker of the House. Lx>ndon-Edinburgh, 1914; PH.<br />

LAUNDY, The office of Speaker. London, 1964; e MARY P. FOLLETT, The<br />

Speaker of the House of Representatives. New York, 1896; CHANG-WEI<br />

CHIÙ, The Speaker of the House of Representatives since 1896. New York,<br />

1928; G. HITCHNER, The Speaker of the House of Representatives (Parliamentary<br />

Affairs, 13, 1959-1960, 185-197); GEORGE B. GALLOWAY,<br />

History of the House of Representatives. New York, 1961, passim. Sulla<br />

figura giuridica del Presidente nel Reichstag gughelmino ed in quello<br />

della repubblica di Weimar nonché nel Bundestag cfr. K. SPENGLER, Die<br />

rechtliche Stellung und die Befugnisse des Reichstagspràsidenten. Diss.<br />

Wurzburg, 1912; R. SELIGMANN, Die staatsrechtliche Stellung des deutschen<br />

Reichstagspràsidenten. Frankfurt a. M., 1912; H. VON BRENTANO DI TRÉ-<br />

MEZZO, Die Rechtsstellung des Parlamentspràsidenten nach Deutschem<br />

Verfassungs-und Geschaftsordnungsrecht. Diss. Giessen, 1930, G. KLINKE,<br />

Die Geschaftsordnung des Bundestages, insbesondere die Rechtsstellung<br />

des Bundestagspràsidenten. Diss. Kòln, 1959.


Guida bibliografica 721<br />

Sulla configurazione della natura giuridica dei gruppi parlamentari<br />

sono state avanzate diverse teorie in correlazione anche alla qualificazione<br />

assunta da essi nello svolgimento dei lavori assembleari ed alla rilevanza<br />

derivatane nel meccanismo dell'ordinamento costituzionale. PIERO<br />

RESCIGNO (L'attività di diritto dei gruppi parlamentari. Giurisprudenza<br />

costituzionale, VI, 1961, 295-307), in sede di commento ad una sentenza<br />

del Tribunale di Roma (Giurisprudenza Costituzionale, ibidem) che attribuisce<br />

ai gruppi parlamentari la natura di organi interni delle Camere<br />

e perciò organi dello Stato, per esentarli dall'adempimento ad obbligazioni<br />

contratte nello svolgimento di una attività privata (conclusione che<br />

giustamente il RESCIGNO reputa assai singolare), ha confutato questa<br />

dottrina, facendo presente che esiste tutto un settore di attività del gruppo,<br />

affidato all'autonomia del gruppo stesso, di natura patrimoniale ed<br />

amministrativa, che rimane assolutamente estraneo ed indifferente alla<br />

funzione costituzionale che i gruppi assolvono, cosicché < appare per lo<br />

meno viziata da unilateralità la tesi, accolta dal Tribunale di Roma, secondo<br />

la quale i gruppi parlamentari sarebbero in ogni caso, e in ogni<br />

rapporto che istituiscono, anche con privati, « organi dello Stato » (298).<br />

Precisato successivamente che « non è dimostrato che il gruppo parlamentare,<br />

ove sia da ritenersi organo della Camera, per ciò stesso divenga,<br />

altresì, un organo dello Stato, il RESCIGNO ritiene discutibile la<br />

stessa qualifica di « organo della Camera », in quanto :<br />

t nessuna delle attività svolte dai gruppi parlamentari e menzionate nella<br />

Costituzione, è direttamente imputabile alla Camera, considerata quest'ultima<br />

come organo legislativo dello Stato », tanto è vero che « la Costituzione (rinviando<br />

ai regolamenti parlamentari per quanto riguarda la disciplina del recedimento)<br />

si limita a richiedere che le Commissioni legislative e le Commissioni<br />

di inchiesta siano composte in maniera da rispecchiare il rapporto numerico<br />

tra i vari gruppi rappresentati in Assemblea. La Costituzione non richiede<br />

una designazione dei gruppi come indispensabile presupposto della nomina<br />

dei vari componenti le Commissioni, e perciò non sarebbe contraria alla<br />

Costituzione stessa la nomina dei membri delle diverse Commissioni legislative<br />

da parte della Presidenza della Camera, all'infuori di qualsiasi designazione;<br />

e alla scelta dovrà provvedere, senza dubbio, la Presidenza nel caso di<br />

omessa designazione da parte del gruppo. Perciò la rilevanza dei gruppi sul<br />

piano costituzionale si riduce ad assicurare, nella composizione delle Commissioni,<br />

il rapporto proporzionale tra le forze politiche presenti nell'Assemblea e<br />

le stesse forze che devono essere rappresentate in ciascuna Coimnissioiie. D<br />

gruppo parlamentare è solitamente il termine di riferimento onde realizzare tate<br />

proporzione » (304).<br />

A sua volta il RESCIGNO definisce il gruppo parlamentare come organo<br />

di partito, opponendosi tanto a coloro che come il VmoA (// par-<br />

28.


722 Guida bibliografica<br />

tito nell'ordinamento giuridico. Milano, 1948, 182) sostengono costituire<br />

ciò un disconoscimento della peculiare posizione che al deputato, quale<br />

membro di un organo statale, l'ordinamento costituzionale riserva, quanto<br />

a chi come il BISCARETTI DI RUFFIA (/ partiti politici nell'ordinamento<br />

costituzionale, Il Politico, XV, 1950, 16) è dell'opinione essere i<br />

gruppi « delle vere e proprie unioni istituzionali fra il gruppo parlamentare<br />

- organo dello Stato ed il gruppo parlamentare - organo del<br />

partito »; ed attribuisce la perplessità altrui nei riguardi di una qualificazione<br />

dei gruppi quali organi del partito politico, alla riluttanza di affrontare<br />

il quesito del coordinamento di tale natura giuridica dei gruppi<br />

con il divieto del mandato imperativo fissato dall'articolo 67 della Costituzione,<br />

mentre, secondo il RESCIGNO, « un serio tentativo di ricostruzione<br />

sistematica deve partire, invece, dalla constatazione che il vincolo<br />

di gruppo e la disciplina di partito hanno reso praticamente inoperante<br />

il divieto del mandato imperativo » (300).<br />

Alle considerazioni del RESCIGNO sono state mosse delle contestazioni<br />

da ARISTIDE SAVIGNANO (I gruppi parlamentari. Napoli, 1965) il<br />

quale, nel ribadire la qualificazione dei gruppi come organi interni delle<br />

Camere, pone l'accento essenzialmente sulla articolazione formale della<br />

costituzione e della attività dei gruppi parlamentari a dimostrazione della<br />

asserita particolare natura giuridica. Secondo il SAVIGNANO, « i gruppi<br />

politici e i gruppi parlamentari sono per il regolamento della Camera<br />

dei Deputati, delle entità nettamente distinte, che non possono in alcun<br />

modo confondersi tra di loro »..., « né può diversamente ritenersi per il<br />

Senato, all'interno del quale i gruppi parlamentari pur dovendo corrispondere<br />

di norma ai partiti politici, sono tuttavia assoggettati ad una<br />

regolamentazione che non si discosta, sia per quanto concerne la loro<br />

costituzione che l'esercizio dei poteri ad essi rimessi, dai principi fissati<br />

in materia dalla Camera dei Deputati » (216-217) tanto è vero che « la<br />

normativa regolamentare... non conferisce rilevanza formale a tutti i<br />

gruppi formati dai deputati e dai senatori iscritti allo stesso partito, ma<br />

esclusivamente a quelli che presentino taluni requisiti, assumendoli nell'ordinamento<br />

interno delle Camere quali gruppi parlamentari a certi<br />

effetti ed entro limiti rigorosamente contenuti, e non viceversa, in ogni<br />

loro possibile manifestazione. A questi, del resto, e non a quelli sono<br />

imputate le molteplici funzioni a suo tempo esaminate, non riducibili al<br />

potere di designazione dei componenti delle Commissioni permanenti o<br />

di inchiesta, ma riguardanti gli aspetti di maggiore interesse dell'attività<br />

assembleare » (217). Di conseguenza « si è venuto chiaramente delineando<br />

il rapporto che sussiste tra i gruppi parlamentari e i partiti politici. La


Guida bibliografica 723<br />

impossibilità di identificare con i gruppi parlamentari la rappresentanza<br />

conseguita da ciascun partito nelle Camere - che si raccoglie unitariamente<br />

per suo conto e che preesiste alle elezioni, avendo una propria<br />

continuità -, consente di affermare che esso si risolve nel vincolo associativo,<br />

che lega i componenti del gruppo al partito nelle cui liste siano<br />

stati candidati. Pertanto, tra i gruppi parlamentari e i partiti politici è<br />

configurabile una relazione meramente funzionale, di modo che i primi,<br />

pur esprimendo nell'ambito delle Camere l'indirizzo politico dei secondi,<br />

non si pongono né potrebbero porsi come organi di questi ultimi »<br />

(218-219). Infine, «la mancanza di un qualsiasi vincolo formale tra i<br />

gruppi parlamentari e i partiti politici esclude che possa utilmente invocarsi<br />

a questo riguardo il divieto del mandato imperativo, a meno che<br />

non si voglia estenderne la sfera di applicazione ad un rapporto che si<br />

stabilisce in termini sostanziali » (220). Nella conclusione finale Fautore,<br />

d'altra parte, ammette la legittimazione dei partiti a dirigere tutta l'azione<br />

parlamentare dei gruppi, e che « i gruppi parlamentari sono divenuti te<br />

unità organiche e gli elementi di determinazione dell'attività parlamentare,<br />

mentre il Parlamento, a sua volta, si è trasformato in una associazione<br />

di gruppi parlamentari » (223-224). Tanto la configurazione dei<br />

gruppi parlamentari quali organi del partito quanto l'altra di organi<br />

delle Camere è stata confutata da THEODOR MAUNZ e GÙNTBR DOIK»<br />

nel loro commento alla costituzione tedesca (MAUNZ-DCRIG, Grumi'<br />

gesetzkommentar, Munchen-Berlin, 1964 segg. ad art 40, 14) che propendono<br />

a considerarli « di fatto i rappresentanti dei partiti nel Parlamento<br />

». Particolare attenzione ha dedicato alla esegesi della natura<br />

giuridica dei gruppi parlamentari HANS JÙRGBN MOECKB (Die Rechtsnatur<br />

der parlamentarischen Fraktìonen, Neue Juristische Wochenschrift,<br />

18, 1965, I. Halbband, 276-282; Die parlamentarischen Fraktkh<br />

nen als Vereine des offentlichen Rechts, ibidem, 567-572; Die verfassungsmassige<br />

Stellung der Fraktìonen. Staatsrechtliche und dogmatische<br />

Probleme ihrer lnstitutionalisierung, Die offendici» Verwaltung, 19.<br />

1966, 162-172), il quale, dopo aver negato la loro configurazione di<br />

organi del Parlamento, di organi dei partiti, di corporazioni di diritto<br />

pubblico, di associazioni di carattere privato fornite di personalità giuridica<br />

o di associazioni non riconosciute come persone giurididie, in<br />

quanto nessuna di queste figure ammette un inquadramento soddisfacente<br />

dei gruppi parlamentari nella rispettiva categoria, è dell'opinione<br />

che si tratti di associazioni di natura particolare, che si sono e*otote<br />

con specifiche caratteristiche in correlazione allo svolgimento deffistituto<br />

parlamentare negli ultimi cento anni. Tenuto conto della realtà


724 Guida bibliografica<br />

costituzionale il MOECKE sostiene, da parte sua, che i gruppi parlamentari<br />

sono associazioni di diritto pubblico, la cui attività organizzatoria<br />

segue in notevole misura i principi fissati dal diritto di associazione, con<br />

l'avvertenza che i gruppi, data la loro natura di membri integrati nell'ordinamento<br />

costituzionale, si manifestano quali associazioni di diritto<br />

costituzionale. Ne consegue che, come in genere nel diritto pubblico,<br />

siano applicabili ai gruppi le norme del diritto associativo civile nei<br />

limiti in cui queste non contrastano con la particolare posizione costituzionale<br />

dei gruppi e dei loro componenti. Le norme del diritto di<br />

associazione civile saranno pertanto sempre oggetto di una indagine<br />

particolare sotto il profilo della applicazione delle loro norme generali<br />

al diritto costituzionale con riguardo soprattutto alla norma del divieto<br />

del mandato imperativo e della speciale posizione costituzionale dei<br />

gruppi parlamentari e dei loro componenti (MOECKE, Die Rechtsnatur<br />

cit., 280). La qualificazione giuridica particolare dei gruppi parlamentari<br />

come associazioni di diritto pubblico (Vereine des óffenttichen<br />

Rechts) dovrebbe essere, secondo l'autore, regolamentata a mezzo di<br />

una legge che dovrà fissare appunto i limiti di applicazione delle norme<br />

di diritto privato e contemporaneamente statuire che i gruppi sono equiparati<br />

agli enti pubblici, sempre nei limiti in cui ciò non contrasta<br />

tanto con la posizione costituzionale loro quanto di quella dei singoli<br />

componenti, cfr. sulla soluzione legislativa MOECKE, Die parlamentarischen<br />

Fraktionen cit., 570 segg.; e nei limiti dell'equiparazione agli<br />

enti pubblici (Kòrperschaften des óffenttichen Rechts), MOECKE, Die<br />

Rechtsnatur cit., 280-282. Secondo il MOECKE, questa regolamentazione<br />

avrebbe il pregio di rafforzare tanto l'indipendenza dei gruppi parlamentari<br />

dai partiti estendendo la separazione organizzativa dei gruppi<br />

dai partiti quanto la posizione particolare dei gruppi nel Parlamento<br />

con chiara indicazione degli elementi distintivi in ordine agli organi<br />

parlamentari veri e propri quali ad esempio le Commissioni. In riferimento<br />

a quest'ultimo aspetto della questione l'autore formula queste<br />

considerazioni : « questa conseguenza non può non essere ritenuta positiva,<br />

perché anche secondo l'attuale situazione giuridica i gruppi parlamentari<br />

assumono maggior rilievo delle Commissioni e di altri organi<br />

del Parlamento. Anzitutto, i gruppi parlamentari non hanno solo il<br />

diritto di proporre i componenti di organi parlamentari, ma addirittura<br />

quello di designazione diretta senza che sia necessaria una elezione<br />

formale o il consenso dell'assemblea plenaria ed entro questi limiti il<br />

regolamento interno ha già preso atto dei gruppi quali titolari della<br />

formazione della volontà del Parlamento e quali sezioni nell'ambito del


Guida bibliografica 725<br />

Parlamento cui è riconosciuto il diritto di partecipazione a tutte le votazioni.<br />

Mentre le Commissioni devono esaminare le singole proposte<br />

ad esse assegnate per sottometterle alla decisione dell'assemblea plenaria,<br />

le attribuzioni dei gruppi si sono scaglionate ad un gradino anteriore<br />

a quello delle Commissioni e dell'assemblea plenaria. S fatto<br />

che volutamente si sia rinunciato per la composizione degli organi parlamentari<br />

all'adozione del principio maggioritario per garantire la partecipazione<br />

di tutti i gruppi parlamentari agli organi deliberanti» dimostra<br />

che le attribuzioni e la posizione dei gruppi si situa ad un grado<br />

anteriore a quello dei suddetti organi... Le associazioni dei deputati<br />

da tempo si sono conquistate il loro posto di unità legittimate ad<br />

agire ». Secondo il MOECKE, « è pertanto logico che la dottrina si adegui<br />

a questo evoluzione reale nella ricerca di una via per definire la capacità<br />

giuridica dei gruppi parlamentari, capacità che ad essi necessita<br />

per l'esercizio della funzione ad essi assegnata dalle norme del regolamento<br />

interno » MOECKE, Die verfassungsmassige Stellung der Fraktìonen<br />

cit., 165).<br />

Una configurazione giuridica diversa da quelle già esposte è stata<br />

attribuita ai gruppi parlamentari da ALFONSO TBSAURO (Rassegna di<br />

diritto pubblico, XXII, 1967, 197-213), il quale ritiene che<br />

« i gruppi parlamentari, alla stregua della realtà politica in cui si concretano<br />

e delle regole giuridiche dei loro statuti, della Carta Costituzionale «<br />

dei regolamenti delle Camere che li disciplinano, non sono né organi dei partiti,<br />

né organi del Parlamento, né organi ad un tempo dei partiti e ddftplamento,<br />

né una realtà interna delle Camere, ma organze* a sé^ «tanti,<br />

I gruppi parlamentari si concretano in particolare in assocumom poUtwh* alia.<br />

doni dei partiti politici e delle altre forze politiche e t"*«r°J»» "**<br />

sione della libertà e della autonomia tipica dei cittadini • dd****l prtmti<br />

in genere. I gruppi parlamentari, però, pur « r " ^ . * ^ * ^ * ^<br />

esistenti nel paese e rappresentate nelle Camere, sono « " ^ J ^ ^<br />

stituzionale della funzione di designare, in proporzione alla loro •****»»<br />

ponenti delle Commissioni parlamentari e quindi c ° ^ c ° £ ^<br />

delle Camere. I gruppi parlamentari hanno tutte le «rattensùche essentela<br />

tipiche delle associazioni in genere e delle associazioni Pobod» i> !•£*-<br />

/gruppi P^lamentari s i t a n o ^ ^ ^ J S ^ ^ ^ ^ ^<br />

zioni; non sorgono in virtù d un atto « * ^ Mm f^^am»<br />

dello stato, ma per ^ Z r ^ Z T ^ ^ é i n i . I grappa!<br />

della libertà e dell'autonomia £ cu» godono^ ^ m t dcUa wlolItà<br />

mentari non sorgono in virtù di un atto di J* * . « wn,<br />

dello stato perché ,a « ^ ^ ^ J S T £ ^ ~


726 Guida bibliografica<br />

giuntamente fini politici... I gruppi parlamentari, a considerare in profondità,<br />

non soddisfano solo una esigenza propria del parlamento in ogni luogo ed in<br />

ogni tempo, ma rispondono ad una necessità tipica della vita costituzionale attuale<br />

nell'ordinamento italiano. Il parlamento, invero, secondo i dettami della<br />

carta costituzionale, è eletto dal popolo, ne esercita il potere sovrano ed è destinato<br />

a svolgere la sua funzione collegandosi con i gruppi per seguire l'orientamento<br />

delle forze politiche rappresentate in parlamento ed evitare una frattura<br />

tra paese e parlamento che porterebbe, fatalmente, alla rottura dell'equilibrio<br />

essenziale allo svolgimento della vita costituzionale. I gruppi parlamentari,<br />

per ciò stesso che assicurano il collegamento tra le camere e le forze politiche<br />

dominanti nel paese, contrariamente a quanto si afferma, non solo non<br />

importano il disconoscimento dei principi della democrazia e della rappresentatività<br />

delle forze politiche in seno all'organizzazione dello stato e degli altri<br />

enti pubblici, ma assicurano una realizzazione dei principi stessi in modo sempre<br />

più rispondente alle esigenze. In particolare il sistema dei gruppi non è<br />

affatto in contrasto con la norma della carta costituzionale la quale, ispirandosi<br />

al principio della rappresentatività, stabilisce che ogni membro del parlamento<br />

rappresenta la nazione. La norma in parola, invero, considerata nel suo, contenuto<br />

particolare ed in collegamento con le altre norme, sta a significare che il<br />

parlamentare non rappresenta sé stesso quale portatore di fini, di interessi o<br />

di idee particolari di uomo o di cittadino..., ma rappresenta la nazione che si<br />

concreta nella comunità di tutti gli italiani inquadrati nelle diverse forze politiche,<br />

comunità destinata ad avere una politica che i partiti con metodo democratico<br />

concorrono a determinare nel paese e di cui i gruppi si rendono<br />

interpreti collegandosi con le camere del parlamento ».<br />

Sull'attenuata rilevanza dell'istituzionalizzazione dei gruppi parlamentari<br />

formulata dal TESAURO grava tuttavia l'ombra della natura della<br />

disciplina di partito che nelle diverse interpretazioni date da studiosi<br />

in correlazione all'art. 49 della nostra Costituzione è talora giustificata<br />

addirittura con il richiamo alla esistenza nel nostro ordinamento di un<br />

vero e proprio mandato imperativo (P. L. ZAMPETTI, Dallo Stato liberale<br />

allo stato dei partiti: La rappresentanza politica. Milano 1965, soprattutto<br />

112-118) o perlomeno con il riconoscimento «che i partiti<br />

occupino e si suddividano tra di loro il Parlamento, sotto forma di<br />

gruppi parlamentari » per realizzare l'unità di indirizzo politico « attraverso<br />

lo strumento del vincolo di partito, che tra loro collega, sottoponendoli<br />

ad una stessa disciplina, cittadini non elettori, cittadini elettori,<br />

parlamentari e uomini al Governo » (V. CRISAFULLI, Partiti, Parlamento,<br />

Governo, in La funzionalità dei partiti nello stato democratico.<br />

Atti del I Congresso nazionale di dottrina dello stato. Milano 1967, 98)<br />

con l'auspicio di conciliare le disposizioni costituzionali relative alla<br />

natura non imperativa del mandato parlamentare ed alla posizione dei<br />

partiti mediante l'opinione di « ravvisare nella seconda parte dell'art.<br />

67 un limite a possibili implicazioni estreme che volessero trarsi


Guida bibliografica t%f<br />

dal principio risultante dal combinato disposto degli articoli 1 e 49:<br />

revocabilità dei mandati, perdita del mandato in conseguenza di espulsione<br />

o dimissioni dal partito e simili » (CRISAFULLI, 101); ed anche te<br />

si ritiene invece che maggiore sia il peso esercitato dai grappi parlamentari<br />

sul partito di quello esercitato dal partito sui grappi parlamentari<br />

« è abbastanza incauto... dedurre dall'elezione per il grappo<br />

parlamentare una maggiore legittimazione democratica di quanto noti<br />

abbia il cosiddetto apparato, quando si ponga mente alle modalità con<br />

le quali è avvenuta la designazione democratica degli eletti i, designazione<br />

residente « nella potestà - di fatto arbitraria - che ha il partito<br />

di proporre e in pratica di imporre, le candidature: nell'imposizione<br />

cioè al corpo elettorale di una classe politica già precostituita » (S<strong>IL</strong>VANO<br />

TOSI, La funzionalità dei partiti cit., 228-229), osservazione che, ponendo<br />

una questione di principio, non può venire contraddetta dall'asserzione<br />

dell'impossibilità di « un contrasto di volontà tra gli organi del partito<br />

e i suoi parlamentari, perché altrimenti si dovrebbe far luogo ad una<br />

configurazione dei gruppi parlamentari affatto autonoma e indipendendente<br />

dalla forza politica che rappresentano, non solo formalmente»<br />

(EM<strong>IL</strong>IO LOPANE, // mandato parlamentare e i partiti; Democrazia e<br />

diritto, V, 1964, 147). A mo' di conclusione, quale che sia la natura<br />

dei rapporti tra i gruppi parlamentari ed i partiti e di riflesso l'oggetto<br />

della configurazione giuridica dei primi, resta il fatto che e il serali<br />

vain de vouloir dissimuler les griefs que Fon peut formuler à Fencontre<br />

des groupes parlementaires », come dice il WALINB in un documentato<br />

saggio sui gruppi parlamentari in Francia (JBAN WALINB, Les groupes<br />

parlementaires en France; Revue du droit public et de la sdence politique,<br />

77, 1961, 1170-1237, qui 1236) e come è dimostrato da un abbondante<br />

elenco di scritti sulla disciplina di partito di cui si citano alcuni<br />

a titolo informativo: K. LOEWENSTEIN, Vber die parlamentarische Parteidisziplin<br />

im Auslande. Deutsche Rechtszeitschrift, V, 1950, 241-245»<br />

riprodotto anche nella silloge Die politischen Parteien im Verfassmgsrechi,<br />

Tubingen, 1950, 25-40; E. DREHER, Zum Fraktkmswang


728 Guida bibliografica<br />

CLIFFORD A. L. RICH, // problema della disciplina di partito negli Stati<br />

Uniti (ibidem, 13-14); G. LOEWENBERG, Parliamentarianism in Western<br />

Germany: the functioning of the Bundestag (American Politicai Science<br />

Review, 56, 1961, in particolare 93-97); G. MUSAGCHIA, / partiti nella<br />

formazione e nel funzionamento della Camera dei Deputati (H Circolo<br />

giuridico « L. Sampolo ». N. S. XXXIV, 1963, soprattutto 181-192); CH.<br />

MULLER, Dos imperative und freie Mandai. Leiden, 1966, W. SACHER,<br />

Dos freie Mandai (Osterreichische Zeitschrift fur òffentliches Recht,<br />

Neue Folge XVII, 1967, 270-286); F. SCHAFER, Der Bundestag. Eine<br />

Darstellung seiner Aufgaben und seiner Arbeitsweise, verbunden mit<br />

Vorschlàgen zur Parlamentsreform. Kòln-Opladen, 1967, 131-152; e per<br />

un colpo d'occhio sulla posizione dei partiti nei meccanismi parlamentari<br />

odierni cfr. M. ROSETTI, Le statuì des partis politiques au sein des<br />

Parlements (Unione Interparlementaire. Informations constitutionnelles<br />

et parlementaires, 3 e sèrie, Nr. 21, 15 janvier 1955, 35-40).<br />

Sulle commissioni parlamentari si veda il contributo di LEOPOLDO<br />

ELIA nell'Enciclopedia del diritto. Milano, 1960, VII, 895-910, e quello<br />

di FEDERICO MOHRHOFF nel Novissimo Digesto Italiano. Torino, 1959,<br />

HI, 649-656. Sull'istituzione del sistema delle commissioni nel 1920<br />

cfr. G. AMBROSINI, Partiti politici e gruppi parlamentari dopo la proporzionale.<br />

Firenze, 1921. Sulle commissioni legislative nella nuova Costituzione,<br />

sul funzionamento delle Commissioni parlamentari e sulla<br />

natura giuridica delle Commissioni legislative cfr. V. LONGI-M. STRA-<br />

MACCI. Le commissioni legislative nel Parlamento italiano. Roma, 1953,<br />

riprodotto, con qualche modifica de verbo ad ver bum nel saggio degli<br />

stessi autori su Le Commissioni parlamentari e la Costituzione. Milano,<br />

1953, e R. GARRUTO, Le Commissioni parlamentari (La Funzione amministrativa,<br />

XIV, 1965, 744-768 e 796-819). Sulla originalità delle commissioni<br />

legislative nel nostro ordinamento, M. REUNI, Le Commissioni<br />

parlamentari (Montecitorio, IV, 1950, n. 5 (maggio), 2-3) e sulla modifica<br />

regolamentare del 1958 che ha aumentato il numero delle commissioni<br />

permanenti, E. AZZENA, Le commissioni della Camera dopo<br />

le ultime modifiche del Regolamento (Montecitorio, XII, 1958, n. 6-7<br />

(giugno-luglio), 14-16). Per dati sulla formazione, sulle attribuzioni e<br />

sulla procedura delle attività delle commissioni nelle assemblee parlamentari<br />

dei singoli stati cfr. M. R. PAUWELS, Les commissions parlementaires<br />

(Union Interparlementarire. Informations constitutionnelles et<br />

parlementaires. 3 e sèrie, Nr. 24, l er novembre 1955, 159-270), una cui<br />

traduzione italiana è stata pubblicata nel Bollettino di informazioni<br />

costituzionali e parlamentari. Roma, Segretariato Generale della Camera


Guida bibliografica 1%}<br />

dei Deputati, 1957, Vili, Nr. 1, 255-349; e sulla funzione delle commissioni<br />

nelle assemblee degli Stati Uniti d'America, delTIngJifltem,<br />

della Francia e dell'Italia vedi G. D'EUFEMIA, Le commissioni pariamentori<br />

nelle costituzioni moderne (Rivista trimestrale di diritto pubblico,<br />

VI, 1956, 16-53). Sul funzionamento delle commissioni nelle<br />

assemblee parlamentari straniere, cfr. i diversi trattati nazionali di procedura<br />

parlamentare ed i commenti a regolamenti interni elencati al<br />

capo I cui possono aggiungersi per ulteriori utili indicazioni, per la<br />

Francia, J. BARTHÉLÉMY, Essai sur le travedi parlementaire et le système<br />

des commissions. Paris, 1934; PACTBT, Les commissions parìementaires<br />

(Revue du droit public et de la science politique, 60, 1954,<br />

127-172); per l'Inghilterra, R. BODY, Unoffcial committees in the Home<br />

of Commons (Parliamentary Affairs, XI, 1957-58, 295 segg.); C J.<br />

BOULTON, Le Commissioni della Camera dei Comuni (Bollettino di<br />

informazioni costituzionali e parlamentari, Roma, Segretariato Generale<br />

della Camera dei Deputati, 1967, XVIII, nr. 1, 69-75); per gli Stati Uniti<br />

d'America, A. NEVINS, The development of the Committee System in<br />

the American Congress (Parliamentary Affairs, IH, 1949-50, 136-146);<br />

G. B. GALLOWAY, Development of the Committee System in the Home<br />

of Representatives (American Historical Review 65, 1959, 17 segg.); nonché<br />

sulla rilevanza del Legislative Reorganization Act del 1946 G. B.<br />

GALLOWAY, Congress at the crossroads. New York, 1948; M. FRAGA<br />

IRIBARNE, La reforma del Congreso de los Estados Unidos. La Legislative<br />

Reorganization Act de 1946. Madrid, 1948; G. B. GALLOWAY, The<br />

legislative process in Congress. New York, 1953; per la Svizzera, sulla<br />

questione particolare della rappresentanza delle minoranze alloglotte si<br />

veda J. MEYNAUD, La représentation des minorités romande et tessinoise<br />

dans les commissions parlementaires helvétiques (Res publica, VIBU<br />

1966, 381-395) e sulla funzione esercitata dalla (ammissione degli affitti<br />

esteri in particolare ARNOLD E. HUGENTOBLER, Les Ckambres fèdere**<br />

et la conduite des affaires étrangères en Suisse (Politique, N. S. IV,<br />

1962, 146-175), argomento che per l'Italia è stato esaminato da G.<br />

NEGRI e P. UNGARI, Politica estera ed opinione pubblica neWesperienza<br />

delle Commissioni esteri del Parlamento italiano (Rassegna pariamentare,<br />

III, 1962, 546-560); per la Germania cfr. l'ancora valido contributo<br />

di TH. HEUSS, Der Parlaments-Ausschuss (Jahrbuch fiir politisene<br />

Forschung, I, 1933, 129-150) e la monografia di B. DBCHAMPS, Macht<br />

und Arbeit der Ausschusse. Meisenheim, 1954. Sulle commissioni miste<br />

quali congegni per la risoluzione dei conflitti legislativi nel sistema tacamerale<br />

cfr. P. VIRGA, Le commissioni miste (Rivista tnmotrale di di-


730 Guida bibliografica<br />

ritto pubblico, III, 1953, 513-553); e sulla commissione di mediazione<br />

dell'ordinamento costituzionale attuato nella Repubblica federale tedesca<br />

vedi in particolare F. WESSEL, Der Vermittlungsausschuss nach<br />

Artikel 77 des Grundgesetzes (Archiv des òffentlichen Rechts, 77,<br />

1951-52, 283-313) e sulla attuale procedura francese cfr. J. LYON, La<br />

procedure de la commission mixte paritaire dans la Constitution frati"<br />

caise (Rassegna parlamentare, V, 1963, 278-291).<br />

Sulle commissioni d'indagine e sulle commissioni d'inchiesta cfr.<br />

la bibliografia del capo VI e del capo XII. Sulla commissione inquirente<br />

per i procedimenti d'accusa vedi V. GIANTURCO, / giudizi penali<br />

della Corte Costituzionale. Milano, 1965, e G. CONTINI, Sulla natura<br />

giuridica dell'accusa parlamentare ex art. 96 della Costituzione (Giurisprudenza<br />

costituzionale, XI, 1966, 623-661) nonché la bibliografia indicata<br />

al capo IV. Sulle commissioni di vigilanza, ed in particolare su<br />

quella sulle radiodiffusioni, si ricorda A. A. ROMANO, In tema di controllo<br />

parlamentare sulla radiotelevisione (Il Circolo Giuridico « L. Saninolo<br />

», N. S. XXXV, 1964, 81-120). Sulle commissioni consultive previste<br />

dalle leggi di delega legislativa al Governo cfr. G. BALBONI-ACQUA,<br />

Le Commissioni parlamentari consultive previste dalle leggi di delega<br />

(Giurisprudenza costituzionale, IX, 1964, 909-915). Sulle Giunte, oltre<br />

alle considerazioni volte nei trattati nazionali di procedura parlamentare,<br />

si vedano sulla Giunta delle Elezioni e su quella per l'autorizzazione<br />

a procedere i titoli indicati al capo IV e sulla prima anche il<br />

contributo Elezioni politiche (contenzioso) di L. ELIA nell'Enciclopedia<br />

del diritto. Milano, 1963, XIV, 747-793.<br />

Condizione preliminare per lo svolgimento regolare della loro attività<br />

da parte dei parlamentari e degli organi attraverso i quali agisce<br />

il potere legislativo è l'esistenza di un ordinamento burocratico con funzioni<br />

ausiliarie, la cui struttura fondamentale non presenta sostanziali<br />

modifiche nei vari paesi, come si può desumere dalla relazione stessa<br />

per l'Unione Interparlamentare da MOSHE ROSETTI e ASHER ZIDON<br />

{Rapport relatif à l'organisation administrative des Parlements; Union<br />

Interparlementaire. Informations constitutionnelles et parlementaires<br />

3 C sèrie, Nr. 8, l er november 1951, 199-208). A capo dei servizi amministrativi<br />

delle Camere sono - indicati con nomi talora diversi - i Segretari<br />

Generali, sulla cui figura, che va ben al di là di una mera funzione<br />

burocratica, con particolare riferimento all'ordinamento italiano<br />

cfr. F. MOHRHOFF, / Segretari Generali delle Assemblee legislative<br />

(Montecitorio, XIV, gennaio 1962, n. 1, 11-22); e per una visione comparata.<br />

M. KAUL, L'étendue de l'indépendance des Secrétariats des par-


Guida bibliogrqfica 731<br />

lements vis-a-vis de l'Exécutif (Union Interparlementaire. Informations<br />

constitutionnelles et parlamentaires, 3 e sèrie, n. 57, janvier 1964, 31-53).<br />

Sulla particolare condizione giuridica degli impiegati del Parlamento<br />

si vedano C. FINZI, L'autonomia amministrativa ed economica<br />

delle assemblee legislative. Roma, 1934, 169-176. ed altri titoK citati<br />

al Capo II come pure, per l'esigenza di una tutela giurisdizionale, dei<br />

dipendenti stessi, M. D'ANTONIO, Linee di una riforma organica del<br />

Regolamento della Camera dei Deputati (Rassegna parlamentafe, V,<br />

1963, in particolare 691-692); e per lo status in qualche ordinamento<br />

estero si consulti, ad esempio per la Repubblica federale tedesca, K.-H.<br />

MATTERN, Zum Begriff des Bundestagsbeamten (Die òffentliche Verwaltung,<br />

VI, 1953, 7-9). Sull'importanza di una più estesa collaborazione<br />

dei servizi amministrativi delle assemblee legislative ai fini soprattutto<br />

di predisporre ima più organica elaborazione delle leggi e di garantire<br />

la perfezione formale dei provvedimenti è stato ripetutamente richiamata<br />

l'attenzione dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, soprattutto<br />

in ordine alle attività di documentazione e di studio e ricerche<br />

legislative sul modello soprattutto del Legislative Reference Service<br />

del Congresso statunitense; e cfr., per un quadro della situazione<br />

esistente al momento della sua redazione e per le esigenze formulate,<br />

la relazione di E. BLAMONT, Rapport sur l'organisation dun service de<br />

documentation étrangère dans une assemblée parlementaire (Union Interparlementaire.<br />

Informations constitutionnelles et parlementaires, & sèrie,<br />

Nr. 4, 15 novembre 1950, 190-200) e per l'importanza dell'adozione<br />

di un tale servizio ausiliario legislativo nei Parlamenti del giorno d'oggi<br />

con particolare riguardo alle necessità riscontrate nella Repubblica federale<br />

tedesca, si vedano gli scritti di K. KLEINRAHM, GesetzgebungshUfsdienst<br />

fur deutsche Parlamente? (Archiv des offentlichen Rechts, 79.<br />

1953-54, 137-187), e di E. PKART, Probleme der deuschen Parlamento*<br />

praxis. Ein Beitrag zur Diskussion um den * Parlamentarischen Hilfs*<br />

dienst • (Zeitschrift fiir Politik, Neue Folge, 9, 1962, 201-211). Per Pltalia<br />

vedi anche VITTORIO DI CIOLO, Note preliminari in tema di riorganizzazione<br />

del Parlamento italiano (Jus, N. S. XVH. 1966. 462-476). Documentazione,<br />

come è ovvio, è anche quella acquisita direttamente dalle<br />

Commissioni parlamentari per il tramite dei hearings sulla cui introduzione<br />

nella prassi della nostra Camera cfr. CARLO DI ROBERTO, La<br />

«specializzazione* delle Camere (Foro amministrativo, 43. 1967.<br />

parte IH, 249-254).


CAPO VI.<br />

La riunione delle assemblee parlamentari è condizionata dall'esercizio<br />

del potere di convocazione da parte dei titolari che ne sono legittimati,<br />

con l'avvertenza, come chiarisce lucidamente VINCENZO LoNGl<br />

all'esordio di un suo saggio dedicato a questo particolare argomento<br />

(Convocazione della Camera; Rassegna parlamentare, I, 1959, numero<br />

8-9, 46-58) che il termine di convocazione della Camera può assumere<br />

due significati, « in senso oggettivo, significa riunione di essa in<br />

seguito all'iniziatva degli organi che detengono tale facoltà in base alla<br />

Costituzione e alle altre fonti nel diritto parlamentare; in senso soggettivo,<br />

l'atto che da tale iniziativa consegue e che mette praticamente in<br />

movimento il complesso motore dei lavori parlamentari ». Esclusa ogni<br />

contemporaneità tra i due termini della convocazione, il LONOI formula<br />

due osservazioni, di cui la prima deriva « dalla differenziazione giuridica<br />

tra convocazione e riunione della Camera », e la seconda « dalle<br />

conseguenze che tale differenziazione ha nei riguardi degli organi costituzionali<br />

interessati... alla messa in moto dei lavori parlamentari ».<br />

In particolare, ila prima osservazione è che mentre la riunione delle Camere<br />

costituisce un diritto originario non solo delle Assemblee ma anche di<br />

altri organi costituzionali, la convocazione è un potere-dovere che non può<br />

operare ove non sia esercitato quel diritto. Ne consegue (seconda osservazione)<br />

che gli organi che hanno il diritto di provocare la riunione detta Camera non<br />

sono gli stessi che hanno il potere-dovere di procedere atta convocazione. E<br />

qui è bene affermare subito che mentre il diritto di provocare la riunione della<br />

Camera spetta al Presidente della Repubblica, al Presidente detta Camera, alla<br />

Camera stessa o una sua minoranza qualificata, il potere-dovere di convocazione<br />

ha un solo soggetto: e cioè il Presidente della Camera. Egli è quindi<br />

il solo che racchiuda in sé i due elementi giuridici che sostanzialmente e formalmente<br />

permettono l'inizio dei lavori parlamentari; tutti gli altri soggetti<br />

esercitano il diritto di riunione della Assemblea nei confronti del Presidente<br />

della Camera il quale, in conseguenza, procede alla convocazione della Assemblea<br />

medesima » (LONCI, 48).<br />

L'autore, dopo avere respinto quei tipi di classificazioiie della convocazione<br />

basati su un elemento cronologico o motivati dalla determinazione<br />

dell'organo titolare che esercita la prima mossa richiesta dal-


734 Guida bibliografica<br />

l'avviamento dei lavori parlamentari perché, a suo avviso, di dubbio<br />

valore sostanziale ed attinenti piuttosto al diritto di riunione delle Camere<br />

che non alla convocazione vera e propria, insiste sulla « differente<br />

configurazione giuridica deiriniziativa della riunione e della convocazione<br />

della Camera », che assume palese rilevanza sostanziale in<br />

riferimento alla fissazione dell'ordine del giorno, « elemento caratteristico<br />

del potere di convocazione in senso soggettivo e non dell'iniziativa<br />

della riunione » (LONGI, 50), potere che viene sempre esercitato unicamente<br />

dal Presidente dell'Assemblea. A sua volta, il LONGI opera<br />

una classificazione tra riunioni ordinarie e straordinarie : sono ordinarie,<br />

a suo avviso, le riunioni della prima seduta della legislatura ex<br />

art. 61 Cost., quelle delle sedute durante il normale periodo dei lavori<br />

parlamentari, nonché quelle di diritto in febbraio ed in ottobre ex<br />

art. 62, comma 1°, Cost.; sono invece straordinarie le riunioni promosse<br />

in via straordinaria dal Presidente della Repubblica, dallo stesso Presidente<br />

della Camera o da un terzo dei componenti dell'Assemblea ex<br />

art. 62, comma 2° e 3°, Cost., nonché le altre per la conversione di<br />

decreti-legge ex art. 77 Cost., per la concessione della fiducia al Governo<br />

ex art. 94 Cost., ed infine quelle promosse dall'Assemblea mentre<br />

è in funzione mediante lo strumento della mozione o in sede di appello<br />

contro una diversa decisione presidenziale.<br />

Sussiste infine la forma ibrida delle convocazioni a domicilio che e sono,<br />

in certo senso, ad un tempo ordinarie e straordinarie. Sono ordinarie nella sostanza,<br />

perché non sono effettuate per permettere una riunione imprevista della<br />

Assemblea per qualche grave motivo politico, ma fanno riprendere l'attività<br />

della Camera dopo un consueto periodo di ferie; sono però nella forma di carattere<br />

straordinario perché si rendono possibili in quanto il Presidente della<br />

Camera, oltre al potere-dovere di convocazione, detiene, in base all'articolo 62<br />

della Costituzione, la facoltà di provocare la riunione dell'Assemblea... Anche<br />

per le convocazioni a domicilio, naturalmente, vale il principio per cui l'ordine<br />

del giorno è deciso dal Presidente e, in questo caso, senza possibilità di appello<br />

da parte della Camera, la quale riprenderà l'esercizio di tale facoltà dopo<br />

la prima seduta del nuovo periodo di attività » (LONGI, 52-53).<br />

La distinzione formulata dal LONGI tra il diritto di provocare la<br />

riunione della Camera ed il potere di convocarla che è di competenza<br />

del Presidente di ciascun ramo del Parlamento è accolta anche dal FER­<br />

RARA (// Presidente di Assemblea parlamentare. Milano, 1965, che tuttavia<br />

è dell'opinione che sia preferibile parlare di « un potere di provocare<br />

la riunione della Camera » anziché di un diritto, 92, nota 8), ed<br />

esamina l'atto di convocazione sotto il profilo della sua struttura giuridica.<br />

Premesso che Tatto di convocazione ha un suo oggetto « Teserei-


Guida bibliografica 735<br />

zio delle funzioni parlamentari: legislativa, costitutiva (o risolutiva) del<br />

rapporto Parlamento-Governo, di controUo politico sull'attività del Governo<br />

stesso, organizzatoria interna (collegata alla posizione di autonomia<br />

costituzionale di ciascuna Camera e che si manifesta nella predisposizione<br />

delle norme regolamentari, nella verifica dei poteri, nel piocedimento<br />

di esame delle richieste di autorizzazioni a procedere) », FER­<br />

RARA, 118-119, l'autore ricorda che anche il contenuto deve considerarsi<br />

elemento essenziale della convocazione stessa, contenuto costituito « dall'argomento<br />

o dalla quistione che si pone come materia dell'attività<br />

parlamentare nel giorno fissato per la riunione» come pure «la data<br />

fissata per la riunione del ramo del parlamento destinatario dell'atto<br />

» e « l'ordine dei lavori delle sedute successive a quella tosata<br />

per la riunione », componenti che possono risultare vincolate o<br />

libere, « dando luogo a figure diverse di convocazione, individuate<br />

appunto dal carattere vincolato o libero di una o di ambedue le<br />

componenti e, cioè, dell'argomento da trattare nel corso della riunione<br />

o della data di questa » (FERRARA, 119-120). Per quanto riguarda inoltre<br />

la rilevanza del fine dell'atto di convocazione il Ferrara ricorda e che<br />

esso può risultare predeterminato da norme costituzionali o regolamentari,<br />

da una deliberazione del collegio destinatario della convocazione,<br />

ovvero da una autonoma determinazione del Presidente » e che « quest'ultima<br />

ipotesi ricorre allorché il Presidente di una delle due Camere<br />

esercita il potere di convocazione straordinaria », in modo che t Tatto<br />

relativo risulta libero nel fine, mentre in tutti gli altri casi il suo presupposto<br />

assume valore vincolante dell'elemento fine, condizionandolo al<br />

punto da configurare una fattispecie di atto dovuto» (FERRARA, 120).<br />

Svolti questi lineamenti di una dottrina dell'atto di convocazione, l'autore<br />

indica le varie figure con cui l'istituto della convocazione si presenta<br />

(FERRARA, 120-132), e precisamente: a) le convocazioni ordinarie,<br />

valide nelle due ipotesi in cui l'Assemblea, su proposta del Presidente,<br />

delibera la data della sua riunione più prossima, determinandone TOTdine<br />

del giorno; e nel caso in cui, ponendo termine al periodo di aggiornamento,<br />

il Presidente convoca la Camera che presiede, convocazioni<br />

che « risultano essere tutte vincolate nel fine » e che « possono esserlo<br />

anche nell'oggetto e nel contenuto o in uno solo di questi elementi ovvero<br />

in una delle componenti del contenuto dell'atto »; b) le convocazioni<br />

di diritto ex art. 62, primo comma, Cost, che nell'ipotesi dilima<br />

stasi dell'attività della Camera con conseguente necessità di attivazione<br />

automatica appunto prevista dalla norma ^ ^ " ^ ^ ^ ^ ^<br />

atto dovuto, perché vincolate nel fine, nonché in una delle componenti


736 Guida bibliografica<br />

del contenuto, la data della riunione; e) convocazioni ex art. 94 Cost.<br />

per la presentazione del Governo alle Camere con la richiesta della fiducia,<br />

che sono vincolate nel fine e nel contenuto; d) convocazione ex<br />

art. 77 Cost. per la conversione dei decreti-legge che al di fuori dei<br />

periodi di naturale attività delle Camere, si configura come atto dovuto;<br />

e) convocazioni straordinarie, condizionate dall'esercizio del potere di<br />

iniziativa che provoca la riunione delle Camere da parte del Presidente<br />

di ciascuna Camera, del Presidente della Repubblica o di un terzo dei<br />

componenti di ciascun ramo del Parlamento. Nel primo caso, l'atto di<br />

convocazione è libero nel contenuto e nel fine; negli altri due, è vincolato<br />

in ambedue gli elementi in quanto effetto dell'iniziativa di un titolare<br />

diverso dal soggetto a cui compete jure proprio. In riferimento infine<br />

alla convocazione automatica dell'altro ramo del Parlamento nei casi<br />

in cui esso non sia il destinatario diretto dell'atto di iniziativa per provocare<br />

la riunione, « l'atto risulta vincolato interamente, salvo *che per<br />

quanto attiene al margine di disponibilità previsto dalla norma che, pur<br />

prescrivendo la contemporaneità delle due riunioni, consente che esse<br />

non avvengano simultaneamente » (FERRARA, 132). Nella classificazione<br />

del FERRARA manca ogni cenno alla prima riunione delle Camere dopo<br />

le elezioni ex art. 61 e 87 Cost., che rappresenta secondo il LONGI il<br />

caso più semplice di riunione ordinaria provocata su iniziativa del Presidente<br />

della Repubblica, ma essa non è priva d'altra parte di elementi<br />

suoi particolari, perché « una volta eletta la nuova Camera, la convocazione<br />

vera e propria è diramata dal Presidente della Camera precedente,<br />

sia in virtù del secondo comma dell'articolo 61 della Costituzione, che<br />

proroga i poteri dell'Assemblea preesistente fino alla riunione (e non<br />

già soltanto alla elezione) della nuova, sia in base al secondo comma dell'articolo<br />

14 del Regolamento della Camera il quale, specificando il disposto<br />

costituzionale prima segnalato, afferma espressamente che l'intero<br />

Ufficio di Presidenza rimane in carica nell'intervallo tra una Camera<br />

e l'altra » (LONGI, 50). Si tratta, a nostro avviso, di una figura particolare<br />

di convocazione che ha per oggetto le Camere non ancora costituite,<br />

mentre in tutti gli altri casi ricordati le Camere risultano già<br />

formalmente costituite a norma dell'art. 7 del Regolamento della Camera<br />

e dell'art. 6 di quello del Senato che individuano nell'elezione degli<br />

Unici di Presidenza i fatti di rilevanza giuridica creativa della costituzione<br />

delle Camere stesse. È questo uno dei casi in cui l'ordinamento<br />

positivo esige l'atto formale di costituzione, mentre generalmente, come<br />

ha osservato il GALATERIA (Gli organi collegiali amministrativi. Milano,<br />

1956, I, 41) il fatto giuridico della costituzione è prodotto dai singoli


Guida bibliografica 737<br />

atti di investitura (proclamazione, nomina), e nel caso particolare qui in<br />

esame le Camere non ancora costituite sono convocate, su esercizio del<br />

potere-dovere di provocarne la riunione vincolato nel contenuto e nel<br />

fine da parte del Presidente della Repubblica, nell'assenza del fattore<br />

costitutivo (così è chiamato il Presidente della Camera dal FERRARA, 18)<br />

dell'organo dal titolare cui spettava quel potere nei riguardi di un altro<br />

destinatario, situazione giuridicamente anomala, come si vede, che può<br />

rinvenire una sua giustificazione da una parte con il ricorso alla dottrina<br />

della continuità degli organi costituzionali e dall'altra con un richiamo<br />

alla particolare autonomia delle Camere in modo da escludere ogni forma<br />

di eteroconvocazione.<br />

Sulla natura giuridica dell'ordine del giorno, la cui fissazione viene<br />

a costituire una componente di sostanziale rilevanza dell'atto di convocazione,<br />

sussistono due opinioni opposte, l'una tradizionale che si richiama<br />

al MANCINI ed al GALEOTTI, tendente a conferirgli il valore di<br />

una proposta del Presidente dell'Assemblea, l'altra propensa ad individuarvi<br />

l'esercizio di un potere autonomo del Presidente stesso. L'interpretazione<br />

tradizionale è stata recentemente inserita dal FERRARA in maniera<br />

assai felice ed organica nella visione sistematica della funzione dei<br />

Presidenti delle Camere nel vigente ordinamento costituzionale, sì da<br />

porre in particolare rilievo l'importanza che assume la fissazione dell'ordine<br />

del giorno nei rapporti dell'Assemblea con la maggioranza parlamentare<br />

e con il Governo:<br />

« Lo strumento mediante il quale il Presidente di assemblea può assicurare<br />

la realizzazione del programma di maggioranza, divenuto, per la sua obbiettivizzazione,<br />

programma di azione legislativa della Camera, è la proposta di ordine<br />

del giorno.<br />

Il carattere discrezionale dell'atto di proposta risulta evidente, data la<br />

pluralità di contenuti che può assumere.<br />

La varietà di tali contenuti è rappresentata dall'insieme dei procedimenti<br />

instaurati che attendono il verificarsi delle condizioni idonee a consentire il<br />

loro perfezionamento. Il vincolo positivo che incontra la proposta di ordine<br />

del giorno è la realizzazione del programma legislativo deliberato dall'assemblea.<br />

Per il titolare del potere di proposta ne consegue una attività di valutazione<br />

dei fini che concretamente si propongono gli atti volti ad instaurare la<br />

fase perfettiva dei procedimenti legislativi rispetto agli obiettivi del programma.<br />

La rispondenza dell'oggetto della valutazione del Presidente al parametro<br />

generale degli obiettivi politici determinatisi con l'approvazione della mozione<br />

di fiducia, la idoneità dei medesimi atti instauratori della fase perfettiva dei<br />

procedimenti a realizzare uno dei « punti programmatici » costituisce il presupposto<br />

per l'emanazione della proposta di ordine del giorno.<br />

Va ancora considerato che il programma di azione legislativa approvato<br />

con la mozione di fiducia non costituisce uno schema rigoroso che comporta<br />

29.


738 Guida bibliografica<br />

prescrizioni tassative in ordine alle priorità ed ai tempi di attuazione. La discrezionalità<br />

dell'atto presidenziale di proposta di ordine del giorno risulta confermata<br />

perché espressa da un ulteriore elemento: il vincolo positivo, derivante<br />

dal programma legislativo ha carattere complessivo e generale; non individua,<br />

cioè, in tutti i suoi elementi l'atto di proposta, ma soltanto il fine<br />

che questo deve perseguire.<br />

Ne consegue che la proposta di ordine del giorno è atto vincolato nel<br />

fine ed è espressione di un potere vincolato nell'an; la forma che deve assumere<br />

la proposta di ordine del giorno è prescritta come orale. Gli altri elementi<br />

dell'atto risultano rimessi alla valutazione del Presidente.<br />

Dal vincolo positivo nel fine dell'atto di proposta, rappresentato dal programma<br />

di azione legislativa, derivano conseguenze ulteriori che vanno ora individuate.<br />

Esse attengono alla irrilevanza dell'indirizzo politico concretamente<br />

seguito dal governo sul piano della valutazione operata dal Presidente di Assemblea.<br />

Questo è vincolato da un atto dell'assemblea, deliberativo del programma<br />

di azione legislativa, che lo sottrae ad ogni pressione governativa volta<br />

a conseguire in modo tacito o indiretto obiettivi che non risultano conformi<br />

al programma approvato.<br />

La configurazione del vincolo posto all'esercizio del potere presidenziale<br />

di proposta di ordine del giorno, è tale da garantire, anzi, nei confronti del<br />

governo, i singoli gruppi della maggioranza da eventuali modifiche del contenuto<br />

del programma in fase di attuazione. La corrispondenza dell'indirizzo politico<br />

concretamente seguito al programma concordato tra i gruppi di maggioranza<br />

ed approvato con la mozione di fiducia è garantita, almeno in principio,<br />

dal vincolo posto al Presidente di Assemblea. Ne risulta che le eventuali<br />

discrasie tra programma approvato ed indirizzo concretamente seguito o la realizzazione<br />

di un indirizzo politico legislativo diverso rispetto al programma<br />

approvato con la mozione di fiducia potranno essere rilevate al momento stesso<br />

in cui le discrasie stanno per determinarsi, ovvero sta per realizzarsi un indirizzo<br />

politico diverso da quello corrispondente al programma approvato > (FER­<br />

RARA, op. cit., 254-257).<br />

Sulla natura di questo strumento procedurale parlamentare l'autore<br />

svolge inoltre le seguenti considerazioni specifiche:<br />

« La proposta di ordine del giorno formulata dal Presidente viene discussa<br />

dall'Assemblea ove non venga accolta tacitamente. Nel caso che si voglia mutare<br />

l'indirizzo che deriva dal programma legislativo approvato con la mozione<br />

di fiducia, sarà necessario che da parte di qualcuno dei gruppi di maggioranza<br />

venga formulata una proposta diversa da quella del Presidente; ovvero, di fronte<br />

agli emendamenti o alle proposte che l'opposizione riterrà di avanzare sul contenuto<br />

di quanto il Presidente ha ritenuto di proporre, volta a volta, per la<br />

realizzazione del programma legislativo, i gruppi di maggioranza sono costretti<br />

ad assumere una posizione che, ove risultasse difforme rispetto alla esigenza<br />

di dare attuazione al programma stesso, dovrebbe essere comunque motivata.<br />

Ne deriverà una assunzione di responsabilità diretta e comune a tutti i gruppi<br />

di maggioranza ed una esplicazione delle ragioni che inducano a mutazioni con-


Guida bibliografica 739<br />

tingenti o all'abbandono dell'indirizzo politico corrispondente al pmg«mm«<br />

approvato con la mozione di fiducia.<br />

Solo a queste condizioni e cioè in virtù di una novazione del contenuto<br />

del rapporto che intercorre tra i gruppi che partecipano alla maggioranza e tra<br />

questi e il governo - novazione espUcita e rilevabile da tutte le parti politiche<br />

e dalla pubblica opinione - può risultare adottato un indirizzo politico diverso<br />

rispetto a quello che risulta coerente col programma legislativo approvato con<br />

la mozione di fiducia.<br />

Ne risulta confermata la funzione di garanzia assolta dal Presidente di<br />

Assemblea nei confronti di tutte le parti che operano all'interno della dimensione<br />

organica costituita da ciascuna delle due Camere del parlamento. Il vincolo<br />

che deriva al Presidente per la formulazione della proposta di ordine del<br />

giorno tutela al tempo stesso i gruppi di maggioranza nei toro rapporti reciproci,<br />

l'intera coalizione nei confronti del governo, i gruppi di minoranza nei<br />

confronti della maggioranza e del governo nella misura i cui non risultano sottratti<br />

alla discussione ed alla valutazione dell'opinione pubblica i momenti rilevanti<br />

dell'indirizzo politico di maggioranza, la coerenza di questo con il programma<br />

che rappresenta il contenuto del rapporto fiduciario costituitosi sulla<br />

base di una mozione di fiducia motivata che rinvia alle dichiarazioni programmatiche<br />

del Presidente del Consiglio » (FERRARA, op. cit., 258-260).<br />

Sostanzialmente identiche sono le conclusioni tratte in materia di<br />

individuazione dei presupposti e del significato della fissazione dell'ordine<br />

del giorno dal LONGI (Convocazione della Camera cit., 51-52), con<br />

una accentuazione particolare e rilevante, tuttavia, della funzione autonoma<br />

esercitata dal Presidente dell'Assemblea:<br />

« Un antico insegnamento della prassi parlamentare è quello che afferma<br />

essere la Camera, essa sola, "padrona del suo ordine del giorno"; tuttavia<br />

questa proposizione deve essere interpretata con alcune limitazioni e soprattutto<br />

con un significato diverso da quello che a prima vista potrebbe esserle attribuito.<br />

Durante il normale ciclo dei suoi lavori, infatti, la Camera può decidere<br />

essa stessa il calendario e l'oggetto dei dibattiti, ma soltanto in sede di appello<br />

contro la deliberazione del Presidente il quale, a norma dell'articolo 46"<br />

del Regolamento, annunzia l'ora della seduta seguente e l'ordine del giorno.<br />

Non si tratta cioè di una proposta del Presidente che debba necessariamente<br />

essere votata dalla Camera, ma dell'esercizio di un potere autonomo del Presidente<br />

stesso che sbocca in una sua decisione. Questa, come tutte le deliberazioni<br />

presidenziali (ad eccezione di casi ben determinati dal Regolamento e<br />

dalla prassi), può provocare la opposizione della Assemblea, la quale ha dunque<br />

la possibilità di riformarla. La questione non è soltanto formale: basti<br />

pensare che se ci si trovasse di fronte ad una proposta presidenziale che, per<br />

entrare in vigore, dovesse essere approvata dall'Assemblea, non sarebbe concepibile<br />

la convocazione della Camera a domicilio dopo lunghe sospensioni dei<br />

lavori; non esistendo infatti una Assemblea in funzione che approvasse la proposta,<br />

e cioè prendesse essa la deliberazione, si arriverebbe ali assurdo che<br />

nessun organo potrebbe permettere alla Camera di riunirsi con un determinato<br />

ordine del giorno !


740<br />

Guida bibliografica<br />

L'attribuzione alla Camera, pertanto, del potere di determinare il suo ordine<br />

dei lavori in periodi normali è esatta ed ha un grande rilievo se la si<br />

considera dal punto di vista politico; su questo piano, d'altra parte, sarebbe<br />

ingiusto negare l'importanza dell'influenza che esercitano il Governo e i Gruppi<br />

parlamentari sulla fissazione della materia da discutere; ma è indubbio che,<br />

come è il Presidente della Camera che indice la convocazione giorno per giorno<br />

durante il periodo dei lavori parlamentari, così è lo stesso organo che fissa<br />

l'ordine del giorno tenendo conto, ripetiamo, delle esigenze politico-legislative<br />

espresse dal Governo e dai Gruppi, e lasciando comunque libera l'Assemblea<br />

di appellarsi contro le sue decisioni. Non è del resto senza significato che tutte<br />

le questioni riguardanti la data o l'ordine dei lavori siano parificate dall'articolo<br />

79 del Regolamento della Camera, per quanto riguarda il modo di votazione,<br />

ai casi in cui la Camera sia chiamata a deliberare in appello alle decisioni del<br />

Presidente.<br />

Riassumiamo dunque il significato della riunione e della convocazione<br />

della Camera in periodi di normale lavoro. Il diritto di riunione spetta tanto<br />

al Presidente che alla stessa Assemblea, il potere-dovere di convocazione sempre<br />

e soltanto al Presidente della Camera, che decide l'ordine del giorno; questo<br />

può essere variato su appello della Camera contro la deliberazione presidenziale,<br />

ma la sua fissazione rientra nella competenza del Presidente stesso in<br />

materia di convocazione ».<br />

Questa configurazione di un autonomo potere esercitato dal Presidente<br />

non è contraddetta neppure dalla natura delle decisioni prese<br />

dalla Conferenza dei Presidenti, perché « l'articolo 13-bis del Regolamento<br />

della Camera, infatti, che prevede distintamente l'organizzazione<br />

dell'ordine dei lavori di un certo periodo o della discussione di una particolare<br />

materia, non elimina il potere presidenziale della fissazione, seduta<br />

per seduta, dell'ordine del giorno » e « d'altra parte lo stesso articolo<br />

13-bis, nel suo ultimo comma, espressamente fa salvi tutti i poteri<br />

presidenziali a norma dell'articolo 10 del Regolamento » (LONGI, 52,<br />

nota 9). Altri titoli bibliografici sull'ordine del giorno sono: UGO GA­<br />

LEOTTI, Principi regolatori delle assemblee. Torino 1900, 12-14 e 76-78;<br />

SANTANGELO SPOTO, Ordine del giorno (Digesto Italiano, XVII, Torino<br />

1907-1908, 992-998); MANFREDI, Ordine del giorno (Enciclopedia giuridica<br />

italiana, XII, 2 a parte, Milano, 1915, 888-891); R. Tozzi CONDIVI,<br />

Formazione dell'ordine del giorno (Montecitorio, XI, Nr. 7-8-9, luglioagosto-settembre<br />

1957, 9), il quale è favorevole ad un rafforzamento del<br />

potere di decisione presidenziale collegato ad una più accurata tutela<br />

della stabilità della decisione stessa, fatti salvi i diritti di modifica della<br />

maggioranza qualificata nei riguardi delle minoranze trasformatesi occasionalmente<br />

in titolari di una maggioranza presunta; L. GALÀTERIA, Gli<br />

organi collegiali amministrativi. Milano 1959, Voi. II, 35-44; J. M. COT-<br />

TERET, L'ordre du jour des assemblees parlementaires (Revue du droit


Guida bibliogràfica 741<br />

public et de la science politique, 77, 1961. 813-827) di cui esiste anche<br />

una traduzione italiana (L'ordine del giorno delle assemblee parlamentari<br />

in Francia; Montecitorio, XVI, n. 5, maggio 1962, 11-26) ed in cui l'autore<br />

sostiene la tesi che « esaminando l'ordine del giorno in quanto strumento<br />

di lavoro parlamentare, si può constatare che questo strumento è<br />

attualmente nelle mani del Governo » e che « d'altra parte, esaminando<br />

l'ordine del giorno in quanto mezzo di azione politica, si vedrà che anche<br />

in questo campo il Governo ha finito per sovrapporsi al Parlamento »<br />

(Montecitorio cit, 15); U. GARGIULO, / collegi amministrativi. Napoli<br />

1962, 161-163; S. FURLANI, Ordine del giorno (Novissimo Digesto Italiano.<br />

Torino 1965, XII, 112-114); J. GRANGE, La fixation de Vordre du<br />

jour des assemblées parlementaires (Etudes sur le Parlement de la V*<br />

République par E. GUICHARD-AYOUB, CH. ROIGET, J. GRANGE. Paris,<br />

1965, 167-289).<br />

Sul processo verbale, oltre i diversi trattati nazionali di procedura<br />

parlamentare, cfr. U. GALEOTTI, Principi regolatori delle assemblee. Torino<br />

1900, 60-65.<br />

Sulla questione dei congedi che assume rilevanza in ordine alla determinazione<br />

del numero legale si possono consultare gli scritti relativi<br />

appunto all'argomento del numero legale che è stato oggetto di particolari<br />

trattazioni in seguito all'entrata in vigore della Costituzione, il cui<br />

articolo 64, 3° comma, statuisce che « le deliberazioni di ciascuna Camera<br />

e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza<br />

dei loro componenti ». È stato GIOVANNI DE GENNARO (Quorum e<br />

maggioranza nelle Camere parlamentari secondo Vart. 64 della Costi*<br />

tuzione al lume della dottrina sul principio maggioritario (Rassegna di<br />

diritto pubblico, VI, 1951, 283-318, ripubblicato negli Scritti di diritto<br />

pubblico. Milano 1955, voi. I, 317-359 dello stesso) ad osservare che,<br />

una volta accolto il principio che il quorum si debba ragguagliare sul<br />

numero dei membri assegnati alla Camera dalla legge elettorale con conseguente<br />

divieto di contorcimento del numero legale mediante sottrazione,<br />

nel computo, dei deputati in congedo e di quelli assenti per incarico<br />

della Camera stessa come già si usava sotto l'imperio dello Statuto<br />

albertino, non sia ammissibile l'estensione di tale interpretazione, già di<br />

per sé illegittima, alla nuova norma costituzionale, e che « con la nuova<br />

Costituzione si sarebbe dovuto sancire, con indiscutibili locuzioni ghiridico-tecniche,<br />

quanto, non fondatamente, dal punto di vista graridk»,<br />

ma per necessità di fatto, stabilivano i precedenti regolamenti ». Sul merito<br />

di tutta la questione, il DE GENNARO ricorda che « l'art 53 dello<br />

Statuto Albertino prescriveva, per la validità delle adunanze delle Ca-


742 Guida bibliografica<br />

mere « la maggioranza assoluta dei loro membri » e fa presente che « la<br />

locuzione venne criticata, in quanto, trattandosi di quorum l'aggettivo<br />

assoluta era del tutto superfluo; ma si era tutti concordi nell'asserire che<br />

la maggioranza riferivasi ai componenti di diritto dell'assemblea, così<br />

come interpretavasi l'art. 38 della Costituzione Belga, sulla quale fu in<br />

gran parte modellato lo Statuto Albertino; e come, del resto, veniva disposto<br />

nei regolamenti di tutti gli altri Stati parlamentari, sancendo, così,<br />

un quorum invariabile e predeterminato, che, come noi abbiamo sempre<br />

sostenuto, sia preferibile » (DE GENNARO, 303). Questa la conclusione<br />

dell'autore:<br />

« Se si ritiene sia eccessivo per le Camere parlamentari il quorum della<br />

semplice maggioranza, riferito all'assemblea di diritto, piuttosto che continuare<br />

nello stato precedente, che oseremmo definire antigiuridico, di interpretare indebitamente<br />

quale maggioranza dei membri in carica, la norma statutaria, e<br />

poi, con uno strano contorcimento ridurlo ancora ai componenti funzionanti,<br />

sarebbe stato preferibile sancire esplicitamente, con la norma costituzionale o un<br />

quorum fisso basso, tipo inglese, col quale viene meno ogni discussione sulla<br />

sua valutazione; oppure un quorum proporzionale, non maggioritario, riferito<br />

all'assemblea di diritto, come per es. sancisce l'art. 54 della Costituzione Cecoslovacca<br />

9 maggio 1948.<br />

Per contro si è preferito continuare, o, inavvertitamente seguire il vecchio<br />

sistema vigente sotto il dominio dello Statuto Albertino, del cui art. 53 si è<br />

soppresso il vocabolo superfluo: assoluta, rimanendo tutto il concetto giuridico<br />

in esso articolo sancito, e interpretare a torto la nuova locuzione contro il principio<br />

generale della valutazione del quorum, e, per giunta, stabilendo ancora<br />

tutta una serie di contorcimenti, con gli artt. 51 e 52 del regolamento 15 novembre<br />

1949 della Camera dei Deputati e con l'art. 43 del regolamento 18<br />

giugno 1948 del Senato » (DE GENNARO, 304).<br />

Le asserzioni del DE GENNARO sono state contestate da FRANCESCO<br />

COSENTINO e da VINCENZO LONGI. Il COSENTINO, da una parte ha giustificato<br />

« il principio per cui il numero legale è determinato sulla base<br />

non già dei componenti dell'Assemblea in linea assoluta, bensì su di un<br />

numero inferiore, non tenendo conto cioè dei deputati in congedo, ovvero<br />

assenti per missione dell'Assemblea » invocando sia la legittimità<br />

di una interpretazione estensiva del dettato costituzionale in sede di attuazione<br />

dello stesso attraverso le norme regolamentari delle Camere<br />

sia la forza giuridica costituita dalla ricezione di una consuetudine secolare<br />

(// computo della maggioranza alla Camera; La Politica parlamentare,<br />

VI, 1953, 123); e, dall'altra parte, pur condividendo successivamente<br />

l'inadeguatezza di questa interpretazione estensiva dell'articolo<br />

64 della Costituzione, ha puntualizzato gli inconvenienti che derive-


Guida bibliogràfica 743<br />

rebbero da una applicazione letterale soprattutto sotto U profilo della<br />

determinazione della maggioranza in sede di votazione per la rilevanza<br />

effettiva assunta dalle astensioni (su questo argomento cfr. la bibliografia<br />

citata al Capo XI), in quanto « una modifica siffatta, tuttavia, accentuerebbe,<br />

soprattutto riguardo al problema della maggioranza, l'effetto assurdo<br />

che... può provocare l'inserimento degli astenuti tra i votanti, con<br />

l'aggravante di inasprire ancor più il conflitto fra soggetti attivi di volontà<br />

(votanti), e soggetti passivi di agnosticismo (astenuti) e perfino di<br />

indifferenza (presenti), fino al punto di rendere talvolta impossibile una<br />

decisione della Camera, come può accadere nel caso che nessuna delle<br />

due proposizioni eventualmente sottoposte al voto su un medesimo oggetto<br />

riporti la maggioranza », sì da condurre ad una « incongruità che<br />

urta contro i principi basilari del funzionamento degli organi rappresentativi<br />

» (F. COSENTINO, Astensione; Rassegna parlamentare. I, Nr. 4><br />

aprile 1959, 99-100). Concorda con il COSENTINO anche il Tosi il quale<br />

ritiene che « tale fenomeno (numero legale determinato mediante la sottrazione<br />

dei parlamentari in congedo o in missione) possa valutarsi, quale<br />

è nel fatto, una conseguenza della elasticità della costituzione, piuttosto<br />

che una modificazione della medesima », poiché « esso non incide infatti<br />

in alcun modo né sui principi e i congegni fondamentali di garanzia, né<br />

sulla sopraordinata articolazione delle forze politiche istituzionalizzate»<br />

(S. TOSI, Modificazioni tacite della Costituzione attraverso il diritto parlamentare.<br />

Milano 1959, 85). Anche il LONGI (Numero legale; Rassegna<br />

parlamentare, I, Nr. 7, luglio 1959, 52-61) concorda sulla legittimità della<br />

consuetudine vigente nelle nostre Camere per la determinazione del numero<br />

legale, ma sostenendo che «il principio del numero legale delle<br />

Assemblee è strettamente connesso con quello della validità delle deliberazioni<br />

», opera una sottile distinzione sul significato del termine « deliberazione<br />

» in connessione al dettato della norma costituzionale, che<br />

si riferisce, a suo avviso, unicamente alla funzione deliberante delle Camere,<br />

e non anche in sede di esercizio di funzioni diverse. Dopo aver<br />

ricordato che « la decisione valida della assemblea non è in nessun caso<br />

raggiungibile se non vi è costituzione valida della assemblea stessa, al<br />

momento del voto », il LONGI svolge la seguente dimostrazione:<br />

« Questo concetto è molto importante per stabilire l'efficacia del numero<br />

legale agli effetti della deliberazione, ma non di qualsiasi attività di una assemblea<br />

politica. In proposito la nuova Costituzione, all'articolo 64, V<br />

coa ^*J<br />

ancora più esplicita dello Statuto albertino: mentre infatti questo (art 53) distingueva<br />

tra legalità delle sedute e validità delle deUberazioni, entrambe comunque<br />

condizionate dall'esistenza del numero legale, la Carta vigente paria<br />

solo di validità delle deliberazioni condizionata dalla presenza della


744 Guida bibliografica<br />

ranza dei membri, il che sembra significare ammissibilità della < legalità » delle<br />

sedute senza numero legale, purché non vengano prese decisioni formali. Ciò<br />

è in piena coerenza con lo sviluppo che nella disciplina parlamentare ha subito<br />

l'istituto del numero legale in Italia e che fra l'altro ha portato al divieto della<br />

verifica del numero quando le Camere non siano in procinto di prendere una<br />

decisione mediante la votazione.<br />

Né si dica che un'Assemblea politica non può non avere esclusivamente<br />

una funzione deliberante; essa può invece costituire in certi casi la sede per<br />

l'esercizio di funzioni diverse: si pensi ad esempio allo svolgimento di interpellanze<br />

e interrogazioni nelle Camere; alle riunioni di queste quando ascoltano<br />

le relazioni di Commissioni di indagine o di comunicazioni della Giunta<br />

delle elezioni, tutti documenti sui quali non è consentita la votazione; alla presentazione<br />

di atti parlamentari, alle commemorazioni ecc.. Chi potrebbe seriamente<br />

sostenere in simili ipotesi la legittimità della.verifica del numero? Essa<br />

non solo sarebbe espressamente vietata dal Regolamento se avvenisse su richiesta<br />

di dieci deputati, ma a nostro parere sarebbe inammissibile anche su<br />

iniziativa autonoma del Presidente della Camera che può in qualunque momento<br />

(ma, aggiungiamo noi, sempre che vi siano deliberazioni da prendere)<br />

disporre il controllo dei presenti » (LONGI, 53).<br />

Ne consegue necessariamente la presunzione del numero legale in<br />

ogni momento della durata dei lavori dell'assemblea, presunzione che<br />

cade solo « quando vien posto in essere un atto giuridicamente rilevante<br />

che prova la mancanza del numero dei deputati necessario per deliberare<br />

» (LONGI, 61). A questa distinzione tra i termini seduta e deliberazione,<br />

esattissima sotto il profilo giuridico, che tende a porre in rilievo<br />

la legittimità costituzionale delle norme regolamentari, è stato tuttavia<br />

contrapposta una formulazione che esclude la ammissibilità della distinzione<br />

stessa, e che assume di poter costituire l'interpretazione autentica<br />

della norma costituzionale, come afferma S<strong>IL</strong>VIO FURLANI, Numero<br />

legale (Diritto pubblico) nel Novissimo Digesto Italiano, Torino 1965,<br />

XI, 513):<br />

« Codesta interpretazione restrittiva del termine « deliberazioni », fondata<br />

sulla supposta volontà da parte del costituente di sopprimere la rilevanza giuridica<br />

del numero legale in tutte le funzioni non formalmente deliberanti delle<br />

assemblee politiche, non corrisponde affatto alla intenzione del costituente, tanto<br />

è vero che l'on. Ruini ebbe a dichiarare il 10 ottobre 1947, a nome della Commissione<br />

dei 75, essere stati stabiliti al 3° comma dell'art. 64 e due principi:<br />

che le sedute non sono valide se non è presente la maggioranza dei deputati;<br />

e che le deliberazioni non sono valide se non sono approvate dalla maggioranza<br />

dei presenti ». È evidente pertanto che il sostantivo « deliberazioni » fa<br />

riferimento tanto alle adunanze quanto alle deliberazioni formali e che ogni<br />

distorsione della norma costituzionale a favore di una interpretazione diversa<br />

si traduce in una giustificazione giuridica della mancanza del numero legale e<br />

di fatto dell'assenteismo dei membri delle due Camere ».


Guida bibliografica 745<br />

Sul numero legale cfr. anche V. MICELI, Le « quorum » dans les<br />

assemblées politiques (Revue du droit public et de la science politkrae,<br />

XVIII, 1902, 193-253); W. JELLINEK, Die gesetzliche MitgUederzahl<br />

(Mensch und Staat in Recht und Geschichte, Festschrift fUr Hobert<br />

Kraus, Kitzingen 1954, 88-94); L. GALATERIA, Gli organi collegiali amministrativi.<br />

Milano 1959, Voi. II, 45-71; P. DAGTOGLU, Kollegialorgane<br />

und Kollegialakte der Verwaltung. Stuttgart 1960, 93-115; U. GAROIULO,<br />

/ collegi amministrativi. Napoli 1962, 195-216.<br />

Per quanto riguarda il diritto che hanno le Camere di provvedete<br />

alla disciplina delle sedute e di dettare norme sull'esercizio delle funzioni<br />

dei deputati e dei senatori che a quelle funzioni partecipano, tono<br />

sostanzialmente sempre valide le osservazioni di SANTI ROMANO, il quale<br />

vi individua l'esercizio di un potere di supremazia speciale da parte degli<br />

organi cui esso è attribuito, che si può configurare come potere di disciplina,<br />

o avere per oggetto la cosiddetta polizia delle sedute, o infine<br />

essere considerato effetto giuridico del principio del HAUSRBCHT, SÌ da<br />

tradursi nella costituzione di un rapporto di soggezione speciale per i<br />

parlamentari, cfr. SANTI ROMANO, Sulla natura dei regolamenti delle Camere<br />

parlamentari = Scritti minori, I, 225-239, interpretazione che limitatamente<br />

per quelle che egli chiama norme disciplinari e norme di polizia<br />

interna è accolta anche dal MARTINES {La natura giuridica dei regolamenti<br />

parlamentari cit., 60 segg., 133 segg., 163) e contestata invece<br />

dal BON VALSASSINA, secondo il quale il caso delle sanzioni disciplinari<br />

vere e proprie « che costituiscono virtuale minaccia all'esercizio veramente<br />

indipendente dei diritti e dei poteri del parlamentare, è sottratto<br />

all'ordinamento interno dell'Assemblea benché questa, quale organo<br />

della sovranità generale, sia squisitamente competente in merito • (M.<br />

BON VALSASSINA, Sui regolamenti parlamentari, cit., 70-71, nota 100).<br />

Sull'ammissibilità delle pene cfr. anche R. BONGHI, L'autorità disciplinare<br />

del Presidente (Nuova Antologia, 1° luglio 1891, 145-160). Il primo<br />

trattato sistematico sull'esercizio di un potere disciplinare nelle assemblee,<br />

che ne individua il fondamento quale configurazione giuridica di<br />

un potere di supremazia speciale, è dovuto ad EDUARD HUBRICH (Dk<br />

parlamentarische Redefreiheit und Disciplin. Berlin, 1899) il quale, nelle<br />

due parti del suo volume, esamina lo svolgimento e la natura giuridica<br />

della libertà di parola e della disciplina parlamentare in Inghilterra, negli<br />

Stati Uniti d'America, in Francia ed in Belgio, ed infine in Germania,<br />

con particolare riguardo alla Prussia ed al Reichstag imperiale.<br />

Sullo stesso argomento, con confutazione in alcuni casi delle opinioni<br />

sostenute dallo HUBRICH, ha scritto un esauriente saggio HBRMANH F.


746 Guida bibliografica<br />

SCHMID {Parlamentarische Disziplin. Eine rechtsvergleichende Studie,<br />

Archiv des òffentlichen Rechts, XXXII, 1914, 439-579), il quale ha tenuto<br />

presente, accanto a quella delle assemblee parlamentari di tutti gli<br />

stati tedeschi, anche la procedura vigente in Austria, in Italia ed in Ungheria.<br />

Sempre in materia di esercizio di un potere disciplinare nei riguardi<br />

dei parlamentari, dei rappresentanti del governo e del pubblico<br />

è utile la sintetica monografia di REINHART VOGLER {Die Ordnungsgewa.lt<br />

der deutschen Parlamente. Hamburg, 1926) che si interessa della questione<br />

con riferimento limitato alle norme vigenti in Germania durante<br />

la repubblica di Weimar, e che reca una soddisfacente bibliografia sull'argomento,<br />

cui si rinvia per una ulteriore e più esauriente informazione,<br />

nonché l'altra di K. A. VON PECHMANN, Die Ordnungsgewalt von Parlamentsprcisidententen.<br />

Diss. Wurzburg, 1956. Per un elenco delle infrazioni<br />

e delle sanzioni disciplinari previste attualmente nelle diverse assemblee<br />

parlamentari del mondo cfr. le relazioni di P. V. CONNELL, Les<br />

sujétions imposées aux Parlementaires dans leur comportement et leurs<br />

actìvités (Union Interparlementaire. Informations constitutionnelles et<br />

parlementaires. 3 e sèrie, Nr. 64, octobre 1965, 214-243) e Les délits contre<br />

le Parlement (Union Interparlementaire. Informations costitutionnelles et<br />

parlementaires. 3° sèrie, Nr. 72, octobre 1967, 160-176). Per una storia<br />

della disciplina parlamentare si cfr. anche i due volumi di A. REYNAERT,<br />

Histoire de la discipline parlementaire. Paris, 1884.<br />

Sulla pubblicità delle sedute, tutelata dall'art. 64, 2° comma, della<br />

Costituzione, intesa non solo come ammissione di persone estranee alle<br />

Camere che possano assistere alle sedute delle medesime dalle apposite<br />

tribune destinate al pubblico ma anche come riconoscimento del diritto<br />

di riferire oralmente o a mezzo della stampa, o altri strumenti di comunicazione<br />

audiovisivi, sull'andamento delle discussioni parlamentari, si<br />

ricorda il saggio di E. MERG, Die Oeffentlichkeit der Parlamentsverhandlung.<br />

Berlin 1920. Sul diritto di informazione dell'attività parlamentare<br />

da parte di terzi si cfr. SLADECEK, Ueber die lmmunitàt der<br />

parlamentarischen Reden und der parlamentarischen Berichterstattung<br />

(Zeitschrift fùr die gesamte Strafrechtswissenschaft, 16, 1896, 127 segg.);<br />

HUBRICH, Die lmmunitàt der parlamentarischen Berichterstattung (Annalen<br />

des deutschen Reichs, 1897, 1-65), il quale dedica a questo argomento<br />

anche l'ultimo paragrafo della seconda parte dell'opera prima citata<br />

{Die parlamentarische Redefreiheit und Disciplin cit., 469-494).<br />

Un'attività informativa sulle sedute è svolta egualmente dalle Camere<br />

stesse per il tramite dei cosiddetti resoconti sommari e stenografici, sulla<br />

cui genesi e redazione in Inghilterra, Spagna (che, a titolo di curiosità,


Guida bibliografica 141<br />

fu la prima nazione d'Europa ad avere un resoconto stenografico parlamentare,<br />

con carattere completamente ufficiale e redatto da stenografi<br />

impiegati dello Stato, fin dalle Cortes di Cadice del 1810), Francia, Germania,<br />

Austria, Ungheria, ecc., ecc., ed Italia, si cfr. l'articolo, ricco di<br />

dati, di RAFFAELE D'ISOLA, / resoconti parlamentari all'estero ed in Italia<br />

(Rivista moderna politica e letteraria, VI, Nr. 23, 1° dicembre 1902,<br />

26-48, e Nr. 24, 15 dicembre 1902, 31-49). Tali resoconti stenografici non<br />

assumono tuttavia nel nostro ordinamento carattere ufficiale, come risultò<br />

confermato, in occasione dell'indagine svolta dal giudice relatore<br />

in merito alla questione di legittimità costituzionale di singole parti della<br />

legge 21 marzo 1956, n. 168, dalle dichiarazioni del Presidente della Camera<br />

sul carattere informativo ma non ufficiale dei resoconti stenografici<br />

delle sedute della Camera e delle Commissioni (Raccolta ufficiale<br />

delle sentenze e ordinanze della Corte Costituzionale, VII, 1959, 91), i<br />

quali, pertanto, in unione con tutti i cosiddetti atti parlamentari, sono<br />

da ritenersi « meri strumenti materiali giuridicamente ordinati al fine di<br />

dare pubblicità materiale ai lavori delle Camere nella loro realtà storica<br />

e fenomenica » (CARLO ESPOSITO, Atti parlamentari; Enciclopedia del<br />

diritto. Milano, 1959, IV, 82). La pubblicità delle sedute è esclusa nei casi<br />

in cui ciascuna Camera e il Parlamento a Camere riunite deliberino, a<br />

norma dell'art. 64, 2° comma, della Cost., di riunirsi in seduta segreta,<br />

ma né la Costituzione né i regolamenti vincolano la manifestazione della<br />

volontà delle assemblee in tal senso a determinati oggetti di discussione<br />

ed i regolamenti in particolare rimettono alla discrezionalità delle assemblee<br />

l'esame o meno in seduta segreta dei bilanci interni. Sembra tuttavia<br />

da escludersi la facoltà di procedere in seduta segreta all'approvazione<br />

di una legge, cfr. F. MOHRHOFF, La competenza della Corte Costituzionale<br />

a controllare il procedimento di formazione delle leggi (Rassegna<br />

parlamentare, I, Nr. 6, giugno 1959, 145-146), e per l'opinione<br />

contraria, F. COSENTINO (Rassegna parlamentare, I, Nr. 4, aprile 1959, 125).<br />

Sul fenomeno parlamentare dell'ostruzionismo si vedano per una<br />

prima e rapida informazione le voci di SANTANGELO SPOTO nel Digesto<br />

italiano. Torino 1904-1908, XVII, 1107-1114 e nell'Enciclopedia Giuridica<br />

Italiana, Voi. XII - Parte II, 1272-1292; e di F. MOHRHOFF sul Novissimo<br />

Digesto Italiano. Torino 1965, XII, 289-295. Tra gli scritti in italiano<br />

sull'oggetto si possono consultare: A. FERRACCIÙ, L'ostruzione parlamentare<br />

davanti al diritto ed alla politica costituzionale (Il Filangieri,<br />

XXVI, 1901, 321-343 e 401-417); O. NIGRO, L'ostruzionismo parlamentare<br />

e i possibili rimedi. Studio di diritto pubblico. Torino, 1918; G.<br />

MELONI, L'ostruzionismo parlamentare (Annali della Università di Ma-


748 Guida bibliografica<br />

cerata per cura della Facoltà giuridica, XVIII, 1951, 171-195); R. TA­<br />

BACCHI, L'ostruzionismo parlamentare nella dottrina e nella prassi costituzionale<br />

(Montecitorio, VI, n. 12, dicembre 1952, 7-11); V. LONGI,<br />

Ostruzionismo parlamentare (negli Scritti vari in materia costituzionale<br />

e parlamentare. Milano 1953, 13-16); F. FARANDA, L'ostruzionismo parlamentare<br />

(Montecitorio, XVI, 1962, Nr. 2, 5-13 e Nr. 3-4, 5-18); S<strong>IL</strong>VIO<br />

TRAVERSA-STEFANO MARIA CICCONETTI, Ostruzionismo e Antiostruzionismo:<br />

cronaca della più lunga seduta parlamentare (Foro amministrativo,<br />

43, 1967, parte III, 625-632); N. VALENTINO, L'ostruzionismo in<br />

parlamento (Cronache legislative, dicembre 1967, 3-9); e tra quelli in<br />

altre lingue, H. MASSON, De l'obstruction parlementaire. Montauban,<br />

1902; G. JELLINEK, Die parlamentarische Obstruktion (Neue Freie Presse<br />

del 26 luglio 1903, ripubblicato in Ausgewàhlte Schriften und Reden.<br />

Berlin 1911, II, 419-430); BRANDENBURG, Die parlamentarische Obstruktion,<br />

ihre Geschichte und ihre Bedeutung. Dresden, 1904; RADWTZKY,<br />

Das Wesen der Obstruktionstaktìk (Zeitschrift fiir das Privat-und òffentliche<br />

Recht der Gegenwart, XXXI, 1904); SCHWARZ, Die Rechtslehre der<br />

Obstruktion (Zeitschrift fiir das Privat-und òffentliche Recht der Gegenwart,<br />

XXXIII, 1906); O. KOLLER, Die Obstruktion. Eine Studie aus<br />

dem vergleichenden Parlamentsrechte. Ziirich-Selnau, 1910; SCH. MAR­<br />

MOREE:, L'obstruction au Parlement Autrichien. Paris, 1910; F. EICHEN-<br />

BERG, Ist die tàtliche oder skandalierende parlamentarische Obstruktion<br />

nach Par. 105 Strafgesetzbuch strambar ? Hamburg, 1924; H. FUCHS, Die<br />

parlamentarische Obstruktion durch Abstinenz der Minderheit. Diss.<br />

Heidelberg, 1928. L'ostruzionismo, interpretato alla stregua di una figura<br />

giuridica di resistenza che è manifestazione dell'istituto della tutela dei<br />

diritti delle minoranze, come ha osservato GEORG JELLINEK {DOS Recht<br />

der Minoritàten. Wien 1898, 35 segg.) rientra pertanto nello studio dei<br />

diritti delle minoranze parlamentari su cui si possono tuttora utilmente<br />

consultare i saggi di F. MORSTEIN-MARX, Beitràge zum Problem des<br />

Parlamentarischen Minderheitenschutzes. Hamburg, 1924, e di K.<br />

LEHMANN, Das Recht der parlamentarischen Minderheiten. Berlin-<br />

Grunewald, 1933, ma è confìgurabile anche un ostruzionismo di maggioranza<br />

giusta l'indicazione di P. CALAMANDREI, L'ostruzionismo di maggioranza<br />

(Il Ponte, IX, 1953, 128-136; 274-281; 433-450). Per la particolare<br />

situazione in Belgio cfr. I. RENS, Les garanties parlementaires<br />

contre la minorisation et la révision constitutionnelle en Belgique (Res<br />

Publica, VII, 1965, 189-221).<br />

Sul Parlamento in seduta comune cfr. G. FERRARI, Problemi nuovi<br />

del nuovo Parlamento bicamerale (Annuario di diritto comparato e di


Guida bibliografica 749<br />

studi legislativi, III serie (speciale), XXV, 1949, 215-230) e per una sua<br />

qualificazione come collegio perfetto, L. PALADIN, Sulla natura del Parlamento<br />

in seduta comune (Rivista trimestrale di diritto pubblico, X,<br />

1960, 388-418, ripubblicato anche negli Studi in memoria di Guido Zanobini.<br />

Milano 1965, III, 425-455). Sull'integrazione per l'elezione del<br />

Presidente della Repubblica mediante i delegati dei Consigli regionali<br />

esistenti, A. GELPI, L'integrazione del Parlamento per l'elezione del Presidente<br />

della Repubblica (L'Amministrazione Italiana, XX, 1965, 966-967).<br />

Per la bibliografia attinente alla messa in stato d'accusa del Presidente<br />

della Repubblica e dei ministri, vedi le indicazioni al Capo IV. Ai fini<br />

di un confronto con il Parlamento in seduta comune in altri ordinamenti<br />

costituzionali cfr., per il Belgio, il saggio di W. S. PLAVSIC, La procedure<br />

des Chambres réunies en Belgique (Res Publica, VII, 1965, 165-176).


CAPO VII-VIII-IX-X.<br />

Sull'iter legislativo nel nostro ordinamento costituzionale cfr. l'agile<br />

contributo di M. RUINI, La funzione legislativa (Tecnica delle leggi e<br />

lavori parlamentari). Milano, 1953, e, sotto il profilo soprattutto della<br />

dogmatica, il consistente volume di SERIO GALEOTTI, Contributo alla teoria<br />

del procedimento legislativo. Milano, 1957. Per una rapida informazione<br />

sul procedimento di approvazione nell'ordinamento statutario vedi<br />

D. DONATI, // procedimento della approvazione delle leggi nelle Camere<br />

italiane. Macerata, 1914. Sull'iniziativa legislativa si consulti il primo<br />

volume sul potere di iniziativa legislativa di un'opera prevista in più<br />

tomi di E. SPAGNA-MUSSO, L'iniziativa legislativa nella formazione delle<br />

leggi italiane. Napoli, 1958. Per una sintesi puntuale della configurazione<br />

giuridica dell'oggetto si veda G. INVERNIZZI, L'iniziativa legislativa nell'ordinamento<br />

italiano (Montecitorio, XVII, n. 6, giugno 1963, 23-35);<br />

e per informazioni soprattutto sulla natura dell'incidenza quantitativa<br />

dei singoli soggetti titolari del diritto di iniziativa legislativa nel nostro<br />

ordinamento, BENIAMINO LEONI, Note sull'iniziativa delle leggi (Giurisprudenza<br />

costituzionale, Vili, 1963, 1274-1293), il quale formula anche<br />

proposte per eliminare determinati inconvenienti riscontrati nella prassi<br />

vigente. Sull'iniziativa parlamentare si veda E. LARCHER, L'initiative<br />

parlementaire en Trance. Paris, 1896; L. MICHON, L'initiative parlementaìre<br />

et la riforme du travail législatif. Paris, 1898; F. MOREAU, L'initiative<br />

parlementaire (Revue du droit public et de la science politique, XV,<br />

1901, 251-296); V. MICELI, Iniziativa parlamentare, Enciclopedia giuridica<br />

italiana, Milano 1913, Voi. Vili - Parte II, 246-267; LYON,<br />

Le droit d'initiative parlementaire dans la nouvelle constitution francaise<br />

(Rassegna parlamentare, 1959, n. 7, 68 segg.); L. A. MINEL­<br />

LA Die parlamentarische lnitiative gemass Art. 93 der Bundesverfassung.<br />

Ursprung, Wesen, Zweck. Zurich, 1965, che tratta della<br />

questione, sollevata nella Confederazione elvetica nel 1964, se la norma<br />

costituzionale che garantisce ai membri delle due Camere l'esercizio<br />

del diritto di iniziativa includa anche quello specifico della presentazione<br />

di una proposta di legge; P. G. LUCIFREDI, L'iniziativa legislativa<br />

parlamentare. Milano, 1966; e sulla particolare iniziativa dei Private


752 Guida bibliografica<br />

Bills nel mondo anglosassone, P. A. BROMHEAD, Private members' Bills<br />

in the British Parliament. London, 1956, e E. DAVIES, The rote of Private<br />

Member's Bill (Politicai Quarterly, 1957, 32 segg.). Sulla iniziativa legislativa<br />

esercitata da soggetti diversi dai membri delle due Camere e dal<br />

Governo, oltre all'opera dello SPAGNA-MUSSO, 76-99, cfr., a titolo indicativo,<br />

sull'iniziativa del popolo V. CRISAFULLI, Stato e popolo nella<br />

Costituzione italiana (Comitato nazionale per la celebrazione del primo<br />

decennale della promulgazione della costituzione. Studi sulla Costituzione.<br />

Milano, 1958, Voi. II, 139-153); sull'iniziativa del Consiglio Nazionale<br />

dell'Economia e del Lavoro, M. STRAMACCI, // Consiglio Nazionale<br />

dell'Economia e del Lavoro. II ediz. Milano 1959, 95-98; sull'iniziativa<br />

dei Consigli Regionali, T. MARTINES, // Consiglio Regionale.<br />

Milano, 1961, 87-88.<br />

Per quanto riguarda l'istituto della presa in considerazione, atto costitutivo<br />

dell'iniziativa legislativa parlamentare durante il regime ^statutario<br />

per l'esigenza che « l'iniziativa parlamentare fosse ricondotta alla<br />

volontà della Camera unitariamente considerata, dal momento che<br />

l'art. 10 dello Statuto non l'attribuiva direttamente ai singoli membri<br />

delle Camere » (SPAGNA-MUSSO, 72), esso vige tuttora alla Camera, limitatamente<br />

per le proposte di contenuto finanziario, ma non più al Senato.<br />

Recepito dal sistema inglese delle tre letture, dove la prima fase<br />

della seconda lettura corrisponde appunto alla presa in considerazione,<br />

« la mancanza di contenuto sostanziale di tale istituto è uno degli esempi<br />

più classici - come osserva FRANCESCO COSENTINO (// procedimento legislativo<br />

nel sistema parlamentare; Rassegna parlamentare, II, 1960,<br />

1197-1216, e riprodotto in lezione corretta in: Problemi della Pubblica<br />

Amministrazione. Ciclo di conferenze promosso dalla Scuola di perfezionamento<br />

di scienze amministrative presso l'Università di Bologna nell'anno<br />

accademico 1958-59. Bologna 1960, voi. Ili, 181-199) - della crisi<br />

di adattamento subita dal regime parlamentare nel corso della sua inserzione<br />

nell'ordinamento giuridico italiano » (COSENTINO, 187). Di fronte<br />

al carattere meramente formale assunto dalla presa in considerazione<br />

nel nostro ordinamento, nel sistema inglese essa ha tuttora « un valore<br />

sostanziale ormai ignoto a quello italiano, consentendo una prima deliberazione<br />

sommaria della opportunità della legge in modo tale da evitare,<br />

qualora non riscuota il consenso tacito od espresso della maggioranza,<br />

che i Comuni e la Commissione debbano perdere il tempo necessario<br />

ad esaminarla per poi concludere con un ordine del giorno di non<br />

passaggio agli articoli, come spesso invece accade nelle Assemblee continentali<br />

» (COSENTINO, 188).


Guida bibliografica 753<br />

Dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana l'iniziativa legislativa<br />

parlamentare ha raggiunto indici numerici particolarmente elevati<br />

con riflessi negativi tanto sullo svolgimento della attività delle Camere<br />

quanto sul livello dei provvedimenti e della tecnica legislativa,<br />

(su questo punto cfr., a titolo indicativo, R. LUCIFREDI, Miglioramento<br />

della tecnica legislativa ed illusorietà di una scienza della legislazione.<br />

Il Diritto dell'economia, VI, 1960, 1102-1110; R. LUCIFREDI, Inflazione<br />

legislativa o caos nella legislazione ?, Civitas, N. S.„ II, 1951, fase. 8,<br />

15-23; F. COSENTINO, // problema della produzione legislativa nel sistema<br />

parlamentare italiano (Montecitorio, 1965, n. 5-6, 5 segg.), e diversi<br />

autori hanno creduto di poter individuare uno dei motivi di questa<br />

situazione di disagio nella mancanza di qualsiasi freno posto all'esercizio<br />

dell'iniziativa stessa, e prima di tutto nella soppressione dell'istituto della<br />

presa in considerazione. Così, secondo ROMOLO ASTRALDI (L'iniziativa<br />

parlamentare e la necessità di una più rigida disciplina; Roma economica,<br />

V, 1952, 481), « si potrebbe, ad esempio, imporre come norma obbligatoria<br />

in ogni caso lo svolgimento della proposta di legge in assemblea<br />

plenaria con conseguente divieto di stampa preventiva di una relazione;<br />

inoltre la cosìdetta « presa in considerazione » non dovrebbe più<br />

essere un semplice atto formale di cortesia, prescrivendosi che sia preceduta<br />

da una dichiarazione esplicita del Governo se ritiene la proposta<br />

tale che ne possa essere consentito l'esame da parte dell'Assemblea, la<br />

quale dovrebbe sempre decidere sull'ammissibilità o meno della proposta<br />

stessa con votazione a scrutinio segreto »; ed anche nell'opinione<br />

dello SPAGNA-MUSSO la integrale adozione della presa in considerazione<br />

quale strumento procedurale potrebbe contribuire ad uno svolgimento<br />

più razionale del lavoro legislativo, assegnandogli una funzione determinante<br />

nel coordinamento della dialettica dei rapporti tra Parlamento<br />

e Governo:<br />

« La presa in considerazione consente che l'iniziativa del singolo membro<br />

di una delle Camere attivi il procedimento legislativo soltanto quando goda<br />

del consenso della maggioranza parlamentare, quando, cioè, si ponga come iniziativa<br />

della maggioranza parlamentare. In tal modo si conseguono due obiettivi,<br />

anzitutto di assicurare la conformità dell'iniziativa parlamentare al programma<br />

politico di cui sono portatori governo e maggioranza parlamentare,<br />

garantendo così la funzionalità del sistema; in secondo luogo, di alleggerire<br />

il lavoro delle Commissioni parlamentari impedendo l'esame di quei disegni di<br />

legge che non hanno possibilità di essere approvati, ed eliminando, di conseguenza,<br />

« ingorghi > nell'attività legislativa. Si migliora, in definitiva, il rendimento<br />

degli organi legiferanti sia sotto il profilo qualitativo della omogeneità<br />

della legislazione, sia sotto il profilo quantitativo della maggiore espansione ><br />

(SPAGNA-MUSSO, 73).<br />

30.


754 Guida bibliografica<br />

Alle considerazioni svolte contro l'ammissibilità della presa in considerazione<br />

nel nostro attuale ordinamento costituzionale, che cioè<br />

- come fu rilevato in sede di elaborazione del regolamento del Senato<br />

della Repubblica del 1948 - « non era concepibile sottoporre a determinate<br />

procedure preliminari, come la presa in considerazione, l'esercizio<br />

del diritto di iniziativa dei membri del Parlamento, quando nessuna<br />

condizione era richiesta per altri organi ed enti costituzionalmente<br />

abilitati all'esercizio di tale diritto » (LEONI, Note sull'iniziativa<br />

delle leggi, cit., 1288), fu opposta la scarsa motivazione di questo ragionamento,<br />

« in quanto sembra ignorare che l'iniziativa del Governo è<br />

vincolata alla preventiva autorizzazione del Capo dello Stato, cioè ad un<br />

controllo pieno di legittimità costituzionale, che è da ritenersi perlomeno<br />

equivalente alla preliminare presa in considerazione da parte delle Camere,<br />

la quale appunto perciò non era e non è richiesta per i disegni<br />

di legge governativi; comunque sarebbe stato logico non abolire, ma<br />

estendere l'istituto della presa in considerazione alle altre nuove forme<br />

d'iniziativa extragovernativa ammessa dalla Costituzione ». E questa è,<br />

ad avviso del LEONI, una ragione determinante per cui l'istituto della<br />

presa in considerazione, una volta ammessa la trasmissione alle Camere<br />

dei disegni di legge governativi muniti della duplice presunzione di conformità<br />

alla Costituzione e alle direttive del Parlamento,<br />

« dovrebbe essere introdotto con carattere generale e reso obbligatorio<br />

per tutte le proposte di legge extragovernative, qualunque ne sia l'oggetto, anche<br />

se non comportino nuovi o maggiori oneri finanziari o riduzione di entrate<br />

». In particolare, « una commissione permanente che potrebbe denominarsi<br />

Giunta o Comitato Generale di Legislazione, presso ciascuna Camera, avrebbe<br />

il compito di rendere operante l'istituto della presa in considerazione, effettuando<br />

l'esame delibatorio delle proposte, con riferimento sia all'art 81 Cost,<br />

sia ad ogni altra valutazione e questione di carattere pregiudiziale. Questo<br />

esame andrebbe compiuto con l'intervento del rappresentante del Governo, nel<br />

quale compito potrebbero utilmente avvicendarsi il Ministro per i Rapporti con<br />

il Parlamento ed i Ministri di Grazia e Giustizia e del Tesoro. Le conclusioni<br />

della Giunta andrebbero sottoposte all'Assemblea e, solo nel caso di favorevole<br />

deliberazione di quest'ultima, le singole proposte potrebbero iniziare il loro<br />

corso di merito presso le competenti commissioni... I regolamenti delle Camere<br />

ben possono stabilire determinate forme e cautele procedurali per lo svolgimento<br />

e l'esame delle proposte di legge: ciò attiene all'iter parlamentare e<br />

all'esercizio della funzione legislativa e non è inconciliabile con il diritto di<br />

iniziativa garantito dalla Costituzione. La facoltà di promuovere il procedimento<br />

di formazione delle leggi trova un limite naturale in quel complesso di norme<br />

con le quali le Assemblee legislative, nella loro autonomia sovrana, disciplinano<br />

le proprie funzioni. Quella facoltà comporta bensì l'obbligo per le Camere di<br />

prendere in esame le proposte di legge presentate, ma l'esame può scindersi in


Guida bibliografica 755<br />

due fasi distinte, una preliminare di ammissibilità, l'altra di merito, senza che<br />

tale procedura interferisca nel libero esercizio del diritto d'iniziativa.<br />

L'istituto della presa in considerazione, come stadio preliminare per il<br />

passaggio all'esame di merito, è dunque legittimo ed è anche, in mancanza di<br />

una severa autodisciplina, il solo mezzo efficace per ridurre l'iniziativa parlamentare<br />

a giuste dimensioni e per frenarne l'eccesso, specie in ordine ai problemi<br />

di maggiore importanza, sui quali è dovere costituzionale del Governo<br />

promuovere la funzione legislativa » (LEONI, 1290-91).<br />

Nettamente contraria all'istituto della presa in considerazione in<br />

cui ravvisa elementi sufficienti per affermarne la incostituzionalità è<br />

l'opinione di ALDO BOZZI (L'iniziativa legislativa parlamentare e la<br />

presa in considerazione; Scritti in memoria di Antonino Giuffrè. Milano,<br />

1967, voi. Ili, 173-185), secondo il quale l'istituto della presa in considerazione<br />

è « una sopravvivenza storica non più compatibile con il<br />

sistema costituzionale repubblicano », perché a l'art. 71, comma 1°,<br />

Cost. conferisce l'iniziativa delle leggi " a ciascun membro delle Camere";<br />

pone in essere, cioè, un diritto politico di cui il parlamentare,<br />

uti singulus, in forza di questa sua qualità, viene ad essere portatore<br />

per investitura diretta della Costituzione e l'art. 72, comma 1°, di fronte<br />

a quel diritto, stabilisce il correlativo dovere della Camera considerata<br />

come organo complesso, di dare la sua prestazione volta allo svolgimento<br />

della procedura necessaria allo scopo di determinare la votazione<br />

sulla proposta di legge » (Bozzi, 179). Constatata inoltre la natura<br />

giuridica di atto dovuto (sempre a norma dell'art. 72, comma 1°,<br />

Cost.) dell'assegnazione alla commissione delle proposte di legge da<br />

parte del Presidente della Camera, il Bozzi non condivide l'opinione<br />

di coloro che attribuiscono alla presa in considerazione una funzione<br />

di accertamento della costituzionalità della proposta oggetto dell'iniziativa,<br />

perché è una tesi non fondata e pericolosa:<br />

« non fondata, perché essa si ricollega alla configurazione della presa in<br />

considerazione come atto autorizzativo interno dell'efficacia della proposta, mentre<br />

la Costituzione, secondo i concetti innanzi delineati, esclude tale condizione di<br />

operatività per la proposta già presentata; pericolosa, perché il controllo di<br />

costituzionalità (ad esempio, adempimento del precetto dell'art. 81 Cost. sulla<br />

cosi detta copertura finanziaria; esistenza, per la materia oggetto dell'iniziativa,<br />

d'una riserva di legge costituzionale) richiede un sindacato intrinseco, e a volte<br />

complesso, quindi non una deliberazione sommaria sottoposta per di più ai<br />

colpi di mano di fluttuanti maggioranze scarsamente informate » (Bozzi, 181).<br />

In opposizione a quanti poi sostengono l'assimilazione della funzione<br />

di controllo esercitata dal Presidente della Repubblica nei confronti<br />

dei disegni di legge governativi con quella esercitata dalla Ca-


756 Guida bibliografica<br />

mera mediante la presa in considerazione nei confronti delle proposte<br />

di legge, il Bozzi, rilevato che secondo questa tesi a il decreto presidenziale<br />

autorizza la " presentazione " (art. 87 Cost.) del disegno di legge<br />

governativo alle Camere, mentre la presa in considerazione autorizzerebbe<br />

l'ulteriore operatività d'una proposta presentata », ne indica l'effetto<br />

procedurale assai diverso, ed incostituzionale nel secondo caso,<br />

in quanto dopo la presentazione « che determina un rapporto interno<br />

e diretto fra proponente e Camera, dal quale scaturiscono diritti e doveri,<br />

l'annuncio del Presidente dell'Assemblea e l'assegnazione in commissione<br />

sono atti dovuti non eliminabili » (Bozzi, 182). Dissente inoltre<br />

il Bozzi dallo SPAGNA-MUSSO sia nella valutazione della funzione<br />

selettiva di un ripristino integrale della presa in considerazione in ordine<br />

ad una presunta razionalizzazione dell'attività parlamentare, sia nell'impostazione<br />

della natura giuridica dell'istituto, impostazione che, secondo<br />

il Bozzi,<br />

« sembra non conforme alla lettera dell'art 71 Cost., che colloca su un<br />

piano di parità giuridica tutti i centri politici titolari di potere d'iniziativa legislativa;<br />

e anche in contrasto con la logica del sistema, la quale riconosce la funzione<br />

determinante dell'indirizzo politico di maggioranza, e quindi il valore<br />

preminente della proposizione legislativa del governo e dei gruppi che l'appoggiano,<br />

ma li inquadra nella dialettica maggioranza-opposizione, in un congegno<br />

di garantismo pluralistico e decentrato, che trova nell'iniziativa parlamentare<br />

uno dei canali di manifestazione, con efficacia di integrazione (l'espressione è<br />

dello Spagna-Musso) della legislazione di maggioranza o quanto meno di forza<br />

d'urto e di protesta, che sono pure elementi vitali di una dinamica democratica<br />

correttamente funzionante ».<br />

Concludendo, il Bozzi ritiene infine che il rimedio contro l'eccessiva<br />

proliferazione dell'iniziativa legislativa non possa essere costituito<br />

da una razionalizzazione dell'istituto della presa in considerazione, ma<br />

è da ricercare piuttosto,<br />

« sia in una maggiore disciplina che, nella materia dell'iniziativa legislativa,<br />

i gruppi parlamentari dovrebbero pretendere dai propri iscritti, sia, e soprattutto,<br />

in un nuovo costume che consenta di resistere ai centri di pressione i quali<br />

riescono a far rappresentare da iniziative parlamentari, a volte formulate da<br />

presentatori di diversa appartenenza politica, di maggioranza e di opposizione,<br />

loro interessi non soltanto estranei o difformi dall'indirizzo di governo, ma<br />

meramente particolari e settoriali e dissonanti con i fini generali politici »<br />

(Bozzi, 185).<br />

Sempre in riferimento all'istituto della presa in considerazione è<br />

oggetto di rilievi la procedura seguita alla Camera per le proposte legislative<br />

dei Consigli regionali a causa della loro assimilazione alle


Guida bibliografica 757<br />

proposte di legge di iniziativa parlamentare, perché la prassi inaugurata<br />

nel 1951 « menoma - come dice il Bozzi (177) - nel momento decisivo<br />

della sua operatività, il diritto di iniziativa legislativa che la Costituzione<br />

ha attribuito ai Consigli regionali in situazione paritaria con gli<br />

altri titolari ». E ciò - come ebbe ad osservare C. A. MARCHETTI, Sulla<br />

« presa in considerazione » delle proposte di iniziativa regionale (Montecitorio,<br />

X, nr. 11, novembre 1956, 5) -<br />

« non soltanto nei confronti del diritto d'iniziativa del Governo, ma anche<br />

rispetto a quello, già più limitato, degli stessi membri della Camera », perché<br />

« mentre un deputato ha infatti, a termini dell'art. 134 del regolamento, oltre<br />

che il diritto di svolgere i motivi della proposta e la facoltà di rinunciare allo<br />

svolgimento, anche il diritto di replicare ad un eventuale intervento contrario<br />

alla presa in considerazione, la proposta di legge d'iniziativa della Regione, una<br />

volta presentata alla Camera, resta invece, per così dire, del tutto priva del<br />

patrocinio del proponente; ciò che risulterà ancor più evidente ove si pensi al<br />

diritto che il deputato autore di una proposta di legge ha invece di seguirne<br />

personalmente l'esame fino dinanzi ad una commissione della quale non faccia<br />

parte e della facoltà che la commissione ha di nominarlo addirittura relatore ».<br />

Sul diritto di petizione alle Camere, che può considerarsi la matrice<br />

storica dell'iniziativa parlamentare, e che è tutelato dall'art. 50<br />

Cost., sussiste divergenza di opinioni tra gli studiosi in ordine alla sua<br />

qualificazione giuridica, come ha acclarato in un suo saggio ENRICO<br />

SPAGNA MUSSO (Note sul diritto di petizione; Rassegna di diritto pubblico,<br />

XII, 1957, 94-152), il quale lo definisce quale diritto civico ed<br />

individua nella iniziativa legislativa popolare la moderna evoluzione del<br />

diritto di petizione, « come la petizione del Parlamento inglese al Re in<br />

materia legislativa si trasformò nell'iniziativa legislativa parlamentare,<br />

analogamente, oggigiorno, la petizione del cittadino al Parlamento appare<br />

superata dalla più evoluta iniziativa legislativa popolare » (SPAGNA-<br />

MUSSO, 141). Tutto sommato, il diritto di petizione è un istituto recepito<br />

dall'ordinamento dello Stato assoluto, e « può presentare degli<br />

aspetti ancora vitali nell'esperienza costituzionale degli Stati democratici<br />

solo in quanto il principio della sovranità popolare non sempre ed<br />

immediatamente riesce a trasfondersi nella sua pienezza nelle istituzioni<br />

che caratterizzano un dato ordinamento statale » (SPAGNA MUSSO,<br />

Note cit., 151). Per indicazioni ulteriori su questo diritto che, tuttavia,<br />

anche ultimamente ha dimostrato indubbia vitalità sotto forma delle<br />

cosiddette petizioni collettive cfr. R. VON MOHL, Beitràge zur Lehre<br />

vom Petitionsrechte in constitutionellen Staaten (in: MOHL, Staatsrecht,<br />

Vòlkerrecht und Politik, Tubingen 1860, I, 222-280); C. BORNHAK, DOS<br />

Petitionsrechet (Archiv fiir òffentliches Recht. 16, 1901, 403-424; W.


758 Guida bibliografica<br />

VAN CALKER, Entstehung, rechtliche Natur und Umfang des Petitionsrechts<br />

nach hessischem Staatsrecht (Staatsrechtliche Abhandlungen.<br />

Festgabe tur Paul Laband, Tiibingen 1908, II, 365-441); M. RICHARD»<br />

Le droit de pétition. Paris, 1932; G. Lo VERDE, L'evoluzione del diritto<br />

di petizione (Rivista di diritto pubblico, 1938, parte I, 673-683); P.<br />

VIRGA, Tutela dei diritti fondamentali e petizioni collettive (Foro Padano,<br />

IV, 1949, parte IV, 146-158); E. FAVARA, Osservazioni sul diritto<br />

di petizione nella nuova Costituzione italiana (Foro Padano, VI, 1951,<br />

parte IV, 151-156); F. COSSIGA, Diritto di petizione e diritti di libertà<br />

(Foro Padano, VI, 1951, parte IV, 289-310); R. VOLPE, Sul diritto di<br />

petizione (Foro Padano, VII, 1952, 105-113); R. VOLPE, // diritto di<br />

petizione ed i limiti al suo esercizio penalmente rilevanti (Rassegna di<br />

diritto pubblico, VII, 1952, parte II, 72-84); M. G. MANFREDINI, // diritto<br />

di petizione come istituto di democrazia diretta (Foro Padano,<br />

V<strong>IL</strong>I, 1953, parte IV, 49-64); K. H. MATTERN, Petitionsrecht (in; Die<br />

Grundrechte. Handbuch der Theorie und Praxis der Grundrechte, hsgg.<br />

von Neumann, Nipperdey, Scheuner. Berlin, 1954, II, 623-639); C.<br />

LEYS, Petitioning in the Nineteenth and Twentieth Centuries (Politicai<br />

Studies, III, 1955, 45-64), il quale, sulla base della particolare esperienza<br />

inglese in materia di petizioni collettive in epoca recente, rileva<br />

la funzione positiva di queste ultime quale indizio di una discordanza<br />

di azione politica tra una parte dell'opinione pubblica ed i partiti (a<br />

successfully organized pétition indicates a lack of consonance between<br />

some body of opinion and the parties which is incontestably the business<br />

of the student of politics, 63); W. EITEL, DOS Grundrecht der Pétition<br />

gemàss Artikel 17 des Grundgesetzes. Diss. Tiibingen, 1960; GIAN<br />

PAOLO MEUCCI, Petizione {diritto di) (Novissimo Digesto Italiano, Torino<br />

1966, XIII, 5-9). Per indicazioni sul diritto di petizione nei singoli<br />

parlamenti cfr. A. F. SCHEPEL, Les pétitions (Union Interparlementaire.<br />

Informations constitutionnelles et parlementaires, 3* sèrie, Nr. 48,<br />

octobre 1961, 211-231). Una rivitalizzazione del diritto di petizione è stata<br />

conseguita in alcuni ordinamenti costituzionali mediante l'istituto del-<br />

Vombudsman, su cui, a titolo indicativo, si ricordano, tra i diversi contributi,<br />

quelli di J. F. NORTHEY, A New Zealand ombudsman? (Public<br />

Law, 1962, 43-51); DONALD C. ROWAT ed., The ombudsman. Citizen's<br />

defender, London, 1965; G. NAPIONE, Lombudsman. Vicenza, 1965; e<br />

F. SCHAFER, Der Bundestag. Eine Darstellung seiner Aufgaben und<br />

seiner Arbeitsweise, verbunden mit Vorschlagen zur Parlamentsreform.<br />

Kòln-Opladen, 1967, 249 segg., che ne ricava appunto la funzione determinante<br />

esercitata ai fini di una rivalutazione del diritto di petizione;


Guida bibliografica 759<br />

e per ulteriori dati bibliografici il saggio di bibliografia critica di MAURI­<br />

ZIO CORTESE, // Commissario parlamentare. Roma, 1968.<br />

Sull'esame preliminare dei progetti di legge presso le Commissioni<br />

parlamentari si veda V. LONGI-M. STRAMACCI, Le Commissioni parlamentari<br />

e la Costituzione. Milano, 1953, nonché, tanto per l'ordinamento<br />

italiano quanto per le procedure adottate in singoli parlamenti<br />

stranieri, gli scritti citati al Capo V di questa Bibliografia; e sulla questione<br />

particolare della ripartizione in numero eguale in ciascuna delle<br />

quattordici Commissioni dei deputati iscritti ai gruppi per effetto della<br />

modifica introdotta nel 1963 nel Regolamento della Camera cfr. R.<br />

Tozzi CONDIVI, Sulla modifica dell'art. 27 del Regolamento della Camera<br />

dei Deputati (Montecitorio, XVII, n. 6, giugno 1963, 42-44), il<br />

quale richiama l'attenzione sulle difficoltà che l'adozione di tale ripartizione<br />

viene a costituire per gli iscritti a gruppi designati a funzioni<br />

in altri organi interni della Camera ed in incarichi di governo. Sul procedimento<br />

legislativo e sull'attività delle Commissioni in Isvizzera, negli<br />

Stati Uniti d'America, in Inghilterra ed in Francia si vedano per un<br />

sintetico colpo d'occhio i contributi di P. H. COEYTAUX (L'organisation<br />

et les méthodes du travail parlementaire en Suisse), M. S. STEDMAN JR.<br />

(Le travail du Congrès), DOROTHY PICKLES, (Le travail parlementaire<br />

en Grande-Bretagné) e di GEORGES GALICHON (Aspects de la procedure<br />

legislative en Francé), pubblicati nel Nr. 4 della Revue frangaise de<br />

science politique del 1954, cui si possono aggiungere, per la Terza Repubblica,<br />

H. CANNAC, Eléments de procedure legislative en droit parlementaire<br />

francais. Paris, 1939, ed ancora per uno sguardo generale<br />

GEORGES LANGROD, O processo legislativo na Europa ocidental. Rio de<br />

Janeiro, 1954. Per gli Stati Uniti cfr. anche C. J. ZINN, // procedimento<br />

legislativo negli Stati Uniti (Montecitorio, XIX, 3-4, marzo-aprile 1965,<br />

35-74); L. ELIA, Forma di governo e procedimento legislativo negli Stati<br />

Uniti d'America. Milano, 1961.<br />

Per quanto riguarda la discussione alquanto rari sono i contributi<br />

dedicati specificamente a questo argomento ed è opportuna la constatazione<br />

che difettano pressoché interamente le ricerche di natura dommatica<br />

e che le sole puntualizzazioni sull'oggetto possono rinvenirsi unicamente<br />

nei trattati di procedura parlamentare veri e propri, cui pertanto<br />

sì rinvia per ogni eventuale ricerca generale e particolare, sia in<br />

ordine ai sistemi procedurali vigenti nei singoli ordinamenti per l'iter<br />

legis sia per l'evoluzione storica degli istituti della discussione, ma cfr.<br />

per un sintetico apercu comparato CH. ZINN, L'organisation du travail<br />

parlementaire (Union Interparlementaire. Informations constitutionnelles


760 Guida bibliografica<br />

et parlementaires, 3 e serie, Nr. 48, octobre 1961). Per singole questioni<br />

attinenti alla discussione in assemblea plenaria si ricordano per gli<br />

ordini del giorno U. GALEOTTI, Principii regolatori delle assemblee. Torino,<br />

1900, 99-121, il quale dedica tutta la seconda parte del suo volume<br />

alla discussione; A. ESMEIN, Les additions aux ordres du jour<br />

motivés (Revue politique et parlementaire, 27, 1901, 502-510; F. CAM­<br />

MEO, La competenza della IV Sezione sugli atti amministrativi delle<br />

autorità, non amministrative e la posizione costituzionale della Corte<br />

dei Conti (Giurisprudenza italiana, 55, 1903, IV, 190-191), il quale, in<br />

riferimento ad una decisione del Consiglio di Stato del 1897, contesta<br />

la validità di atto legislativo o di atto amministrativo di un ordine del<br />

giorno approvato da una o da ambedue le Camere e nella fattispecie<br />

l'efficacia sanatoria di tale ordine del giorno per la legittimazione di un<br />

procedimento amministrativo viziato di nullità; SANTANGELO SPOTO, Ordine<br />

del giorno (Digesto Italiano, XVII, Torino 1907-1908, 992:998);<br />

MANFREDI, Ordine del giorno (Enciclopedia giuridica italiana, XII,<br />

2 a parte, Milano 1915, 888-891); E. SPAGNA-MUSSO, L'iniziativa nella<br />

formazione delle leggi italiane. Napoli, 1958, I, 170-177, che lo considera<br />

quale strumento di chiarificazione della volontà delle Camere; S.<br />

FURLANI, Ordine del giorno (Novissimo Digesto Italiano, Torino 1965,<br />

XII, 112-114); per gli emendamenti, si veda ora la trattazione in E.<br />

SPAGNA-MUSSO, L'iniziativa cit., 147-170, e per la procedura vigente<br />

sull'oggetto nei singoli parlamenti, D. W. S. LIDDERDALE, Les amendements<br />

(Union Interparlementaire. Informations constitutionnelles et parlementaires.<br />

3 C sèrie, Nr. 36, octobre 1958, 214-227). Sulla natura degli<br />

atti presidenziali attinenti alle questioni incidentali cfr. FERRARA, // Presidente<br />

di Assemblea parlamentare. Milano, 1965, capitolo V, passim;<br />

sulle questioni incidentali, U. GALEOTTI, Principii regolatori cit., 144-<br />

150, R. TROMBETTI, Ordini del giorno e preclusione (Montecitorio, XI,<br />

n. 4, aprile 1957, 11-13), e V. LONGI, Pregiudiziale e sospensiva (Rassegna<br />

parlamentare, III, 1961, 596-604), nonché le osservazioni di A.<br />

Bozzi, L'iniziativa legislativa parlamentare e la presa in considerazione<br />

cit., sulla funzione della pregiudiziale quale garanzia di serietà e di<br />

approfondimento nell'esame delle proposte legislative. Sul fatto personale<br />

e sulle attribuzioni delle cosiddette Commissioni di indagine o<br />

inchieste parlamentari personali ex art. 74 del Regolamento della Camera<br />

ed art. 60 del Regolamento del Senato cfr. S. FURLANI, Le Commissioni<br />

parlamentari d'inchiesta. Milano, 1954, 71-75; G. CUOMO, Appunti<br />

sull'inchiesta politica delle Camere (Rassegna di diritto pubblico,<br />

XIV, 1959, in particolare, 31-35, ripubblicato anche negli Studi in onore


Guida bibliografica 761<br />

di Emilio Crosa, Milano 1960, I, 657-712); M. PACELLI, L'inchiesta parlamentare<br />

come strumento di controllo politico (Nuova rassegna di legislazione,<br />

dottrina e giurisprudenza, XXI, 1966, 2902).<br />

Sulla natura giuridica delle commissioni in sede legislativa sono<br />

state avanzate, già durante l'elaborazione della nuova carta costituzionale<br />

da parte di membri dell'Assemblea costituente e successivamente<br />

da studiosi, opinioni alquanto difformi. Da una parte si ritiene che le<br />

Commissioni vengano investite di una delega da parte dell'organo competente<br />

cui spetta in via normale l'attività legislativa, « sicché sembra<br />

esatto far entrare la fattispecie nella figura della delegazione » come<br />

afferma COSTANTINO MORTATI {Istituzioni di diritto pubblico, VII ediz.,<br />

Padova, 1967, II, 644), autorevole sostenitore di questa tesi. Dall'altra<br />

parte si ritiene, invece, che « le Commissioni non sono organi diversi<br />

dalle assemblee del Parlamento, ma sono organi delle assemblee stesse:<br />

in quanto legiferano le commissioni, le loro manifestazioni di volontà<br />

sono proprie delle Assemblee di cui fanno parte », come afferma il PIE-<br />

RANDREI (Le Commissioni legislative del Parlamento italiano; Foro Padano,<br />

VII, 1952, parte IV, 73-90) il quale nega la fattispecie della delegazione<br />

all'istituto in oggetto a motivo dell'inapplicabilità del principio<br />

delegatus delegare non potest all'esercizio della potestà legislativa<br />

da parte del Parlamento, « delegata » dal popolo o dalla Nazione, il<br />

cui significato non è giuridico, ma politico (PIERANDREI, 85). L'assimilazione<br />

all'istituto della delega è egualmente contestata da VINCENZO<br />

LONGI e MAURO STRAMACCI (Le Commissioni parlamentari e la Costituzione.<br />

Milano, 1953) i quali sono dell'avviso che<br />

« dal punto di vista normativo, le commissioni appaiono come un istituto<br />

autonomo creato dalla nuova Costituzione, che ha delegato i Regolamenti a stabilire<br />

le norme (sostanzialmente, dunque, legislative) per il loro funzionamento.<br />

Senza queste norme è evidente che le Commissioni deliberanti non esisterebbero<br />

malgrado il disposto costituzionale, nello stesso senso in cui non può esistere<br />

Corte Costituzionale o referendum fino a quando non sia emanata la relativa<br />

legge ordinaria di applicazione; mentre nessuno può contestare, per tornare<br />

all'esempio citato, che le riunioni del Parlamento in seduta comune dei due<br />

rami potrebbero e dovrebbero essere presiedute dal Presidente della Camera,<br />

in base all'art 63 della Costituzione, anche se non fossero state introdotte nei<br />

Regolamenti delle Camere correlative norme, che chiameremo in questo caso<br />

non di applicazione ma di adeguamento o di specificazione » (60-61).<br />

Segue quindi la crìtica dal punto di vista della funzione:<br />

« Dal punto di vista della funzione, l'autonomia delle Commissioni legislative<br />

nei confronti dell'Assemblea è a parer nostro ugualmente chiara.


762 Guida bibliografica<br />

E innanzitutto lo studio dei lavori della Costituente dimostra che fu<br />

proprio di quella Assemblea, esauritosi il lavoro preparatorio in sottocommissione,<br />

l'atto di coraggio di troncare ogni legame normale e continuativo tra<br />

lavori delle Commissioni legislative e dell'Aula, sottraendo a quest'ultima l'obbligo<br />

e il diritto di una votazione finale su ogni progetto esaminato in Commissione.<br />

La deliberazione, poi, del Senato, tosto seguita dalla Camera, di affidare<br />

alla autorità del Presidente la incombenza della scelta della sede legislativa<br />

o referente per la discussione dei progetti, incombenza che in un primo tempo<br />

si sarebbe voluto attribuire all'Assemblea, ampliò ancora i limiti di autonomia<br />

delle Commissioni nei confronti della Camera.<br />

Sembrerebbe, dunque, eliminato ogni rapporto diretto funzionale tra i due<br />

istituti: eppure sussiste ancora, ed è anzi prevalentemente accettata, una teoria<br />

che considera il deferimento dei progetti alle Commissioni in sede legislativa<br />

come attribuzione della funzione stessa di legiferare, fatta dalla Assemblea a<br />

suoi organi. Nulla è più inesatto di questa tesi, che evidentemente ha potuto<br />

sorgere e farsi strada per un dato di fatto sul quale ritorneremo, l'identità delle<br />

Commissioni nelle varie sedi. Purtroppo anche la lettera dell'art. 40 e dell'art.<br />

26, rispettivamente dei Regolamenti della Camera e del Senato, sembra<br />

accettare un tale orientamento, che è in contrasto con l'art 72 della Costituzione.<br />

L'equivoco sul quale è basata la interpretazione che noi critichiamo consiste<br />

in questo: che la delega non riguarda già la funzione legislativa e non è<br />

attuata dalle due Camere nei confronti delle due rispettive Commissioni referenti,<br />

per cui queste a un certo momento, come illuminandosi di luce riflessa,<br />

acquistino la possibilità di approvare in via definitiva una legge. La delega è<br />

invece fra le norme della Costituzione e norme dei Regolamenti ed è di carattere<br />

generale e permanente.<br />

In altri termini, che vi siano Commissioni permanenti o speciali che possano<br />

in ogni momento discutere e approvare una legge, ciò rappresenta l'istituto<br />

costituzionale delle Commissioni deliberanti; che poi l'Assemblea materialmente<br />

scelga quali provvedimenti debbano essere assegnati all'esame di queste<br />

Commissioni, ciò è la conseguenza pratica, per la cui attuazione esiste appunto<br />

la delega della Costituzione ai Regolamenti. Dunque, le Commissioni legislative<br />

sono tali ab origine in virtù della Costituzione, non per volontà dell'Assemblea,<br />

e se per assurdo caso questa, o il suo Presidente, decidessero a un certo punto<br />

di non deferire più provvedimenti all'esame delle Commissioni in sede deliberante,<br />

ciò non significherebbe annullare, ma se mai rendere inoperante l'istituto<br />

delle Commissioni legislative stesse.<br />

Per quanto poi riguarda l'identità delle Commissioni legislative e referenti,<br />

che a nostro avviso è stata una delle principali cause del rafforzamento<br />

della teoria della " delega di funzioni ", ricordiamo nuovamentte che è una<br />

identità di fatto e non di diritto e che niente impone che le Commissioni previste<br />

dal 3° comma dell'art. 72 siano quelle stesse che discutono in via preliminare<br />

le leggi, ai sensi del primo comma dello stesso articolo; tanto è vero<br />

che al Senato, come pure abbiamo ricordato, si discusse sulla opportunità della<br />

identità delle Commissioni, e che ancor oggi provvedimenti possono essere approvati<br />

in sede deliberante da Commissioni speciali » (61-62).


Guida bibliografica 763<br />

Per concludere, il LONGI e lo STRAMACCI sostengono che il rapporto<br />

che intercorre tra le Commissioni legislative e l'Assemblea possa configurarsi<br />

alla stregua di quello tra rappresentanti e rappresentati:<br />

< A nostro avviso l'autonomia funzionale delle Commissioni da una parte,<br />

e il suo inquadramento nella attività della Camera dall'altra, potrebbero far<br />

ritenere tale rapporto implicante attività di rappresentanza, e in questo senso<br />

vi è anzi, attualmente, un preciso orientamento: si tratta comunque di un<br />

problema non certo chiaro e risolto, perché le disposizioni dell'art. 72 della<br />

Costituzione giungono proprio a complicare, da questo punto di vista, le già<br />

notevoli e tradizionali controversie sulla natura delle relazioni degli organi dello<br />

Stato fra di loro e nei confronti dei propri uffici.<br />

Si tratterebbe, in ogni caso, tuttavia, di rappresentanza permanente in<br />

forza di legge, anzi di Costituzione; che, in caso contrario, e cioè ammettendo<br />

la rappresentanza volontaria caso per caso, si ricadrebbe nella teoria della<br />

" delega di funzioni " che non possiamo, per le ragioni già esposte, assolutamente<br />

accettare » (63).<br />

Il ricorso a questo istituto di diritto privato è stato criticato da<br />

MARIO PASQUINI (Contributo per uno studio sulle commissioni deliberanti;<br />

Montecitorio, XIII, n. 6, giugno 1959, 27-30) il quale ha osservato:<br />

« Premesso che l'adozione nel campo pubblicistico di concetti ed istituti<br />

propri del diritto privato comporta delle difficoltà notevoli per le forzature e<br />

gli adattamenti che tali istituti debbono subire, è da osservare che i caratteri<br />

specifici della rappresentanza, comunque intesa, sono l'agire nomine alieno per<br />

la tutela di un interesse altrui e più esattamentte l'agire non come agirebbe il<br />

rappresentato, ma in nome e per conto del rappresentato, in sue veci e, quindi, in<br />

qualche caso anche suo malgrado, con la conseguenza che gli effetti dell'attività<br />

del rappresentante si ripercuotono nella sfera giurìdica del rappresentato. £<br />

chiaro, pertanto, come non possa sussistere alcun rapporto di rappresentanza<br />

tra l'Assemblea e le Commissioni deliberanti, poiché queste ultime agiscono con<br />

poteri propri e per conto proprio e l'attività da esse svolta non ha il fine di<br />

tutelare gli interessi dell'Assemblea, costituendo l'esercizio di una potestà.<br />

Inoltre ancor più difficile ci sembra configurare la ipotesi di una rappresentanza<br />

permanente con la limitata durata di alcune Commissioni, poiché se<br />

è vero che le Commissioni possono essere permanenti, è anche vero che possono<br />

essere speciali, nel senso che possono essere nominate per compiti determinati<br />

(ad es. la Commissione Speciale per l'esame dei provvedimenti sul risarcimento<br />

dei danni di guerra), di modo che terminata la loro funzione cessano<br />

di esistere» (28-29).<br />

Fautori della tesi delle commissioni in sede legislativa quali organi<br />

interni delle Camere sono anche G. DE GENNARO (La legislazione ordinaria<br />

indiretta delle commissioni permanenti parlamentari; L'Amministrazione<br />

italiana, Vili, 1953, 315-391) ed, entro certi limiti, anche<br />

GIUSEPPE D'EUFEMIA (Le Commissioni parlamentari nelle costituzioni


764 Guida bibliografica<br />

moderne; Rivista trimestrale di diritto pubblico, VI, 1956, 16-53). H<br />

primo opina che « le Commissioni non costituiscono un organo giuridico<br />

diverso dalle relative Assemblee; ma sono esse stesse, diversamente<br />

considerate; esse disimpegnano la stessa attività delle Camere; e tutto<br />

al più, nell'attribuzione di competenza fatta per legge alle Commissioni,<br />

potrebbe ravvisarsi, in confronto all'attività delle Camere stesse, una<br />

distribuzione interna di funzioni » (DE GENNARO, 390); il secondo afferma<br />

non essere possibile « sostenere che la commissione in sede deliberante<br />

non sia un organo a sé distinto dalla Camera cui appartiene<br />

e che sia priva di giuridica esistenza verso l'esterno in quanto l'esistenza<br />

di tale organo è espressamente riconosciuta dall'ordinamento costituzionale,<br />

né certo contrastano la qualifica di organo esterno la limitazione<br />

delle funzioni e i caratteri della dipendenza e accessorietà ad<br />

altro organo », e conclude :<br />

« A nostro avviso bisogna tener conto che la carta costituzionale nello<br />

stabilire una attribuzione di competenza legislativa stabile e permanente alle<br />

camere ha anche precostituito organi secondari di esse e l'efficacia degli atti di<br />

tali organi ha equiparato all'efficacia propria degli atti degli organi primari. Fra<br />

assemblee plenarie e commissioni in sede deliberante la competenza è stata<br />

ripartita in modo che fra le prime e le seconde intercede lo stesso rapporto<br />

che intercorre fra organo primario e organo secondario e non contrasta la natura<br />

di tale rapporto il fatto che l'organo secondario possa assumere l'esercizio<br />

della competenza dell'organo primario soltanto su iniziativa di quest'ultimo,<br />

come di frequente avviene senza alterare la natura del rapporto. La commissione<br />

in sede deliberante è organo secondario della corrispondente assemblea<br />

e l'atto del presidente che deferisce l'approvazione del disegno di legge alla<br />

commissione costituisce la condizione che consente alla commissione di esercitare<br />

la funzione legislativa in nome e per conto dell'assemblea e che l'assemblea<br />

può revocare nei modi prestabiliti nell'articolo 72 Costituzione. Non si tratta<br />

perciò di delegazione ma di rapporto organico essendo la commissione organo<br />

di altro organo » (D'EUFEMIA, 46).<br />

LEOPOLDO ELIA (Le commissioni parlamentari italiane nel procedimento<br />

legislativo; Archivio giuridico, 160, 1961, 42-124), dopo aver<br />

respinto la tesi delle commissioni quali organi interni soprattutto per<br />

la conseguenza assai grave della e riduzione del sistema delle commissioni<br />

deliberanti a semplice distribuzione della funzione legiferante tra<br />

uffici di uno stesso organo, rientrante nel normale potere di auto-organizzazione<br />

dei corpi legislativi » (ELIA, 80), respinge anche la tesi della<br />

delega con considerazioni, che sono frutto di un attento ed elaborato<br />

esame di tutta la materia del contendere:<br />

f Una volta disattesa la opinione più diffusa, sembrerebbe d'obbligo aderire<br />

senz'altro a quella minoritaria. Ma pare necessario compiere alcune di-


Guida bibliografica 765<br />

stinzioni, precisando che nella tesi del Mortati relativa alla delegazione (le<br />

commissioni sarebbero organi delegati a legiferare dall'assemblea) c'è un elemento<br />

di verità per così dire permanente, che coglie l'aspetto essenziale del<br />

sistema, e un elemento di verità affatto contingente, legato ad una effimera<br />

realizzazione del sistema stesso. Il primo elemento consiste nella esatta percezione<br />

dell'autonomia dell'organo assemblea rispetto agli organi-commissioni,<br />

sia pure nell'ambito di una stessa istituzione (una delle due Camere); il secondo<br />

elemento si riferisce alla figura della delegazione, che è il mezzo con cui il potere<br />

legislativo, o il suo esercizio, passa dal collegio più grande ai collegi minori.<br />

Intanto, si potrebbe obbiettare, la figura della delega, non solo non è prevista<br />

dalla Costituzione (art. 72 comma 3), ma, anzi, è esclusa; come emerge,<br />

oltreché dalla lettera della disposizione, anche dai lavori preparatori dell'assemblea<br />

costituentte, era il regolamento parlamentare che avrebbe dovuto operare,<br />

a parte i casi previsti nel comma 4 dell'art. 72, la ripartizione di competenza<br />

tra l'assemblea e le commissioni; come si è già avuto occasione di chiarire,<br />

questa ripartizione si rivelò impossibile, o per lo meno troppo difficile; e allora<br />

il Senato, rendendosene conto in sede di formazione del proprio regolamento,<br />

attribuì senz'altro al suo Presidente il potere di deferire disegni di legge all'esame<br />

e all'approvazione di una commissione parlamentare. La Camera dei<br />

deputati, invece, quando affrontò la questione delle commissioni in sede legislativa,<br />

ritenne di dover adottare una soluzione diversa: e stabilì che il Presidente<br />

della Camera avrebbe proposto all'assemblea di investire una commissione<br />

permanente della discussione e dell'approvazione di un disegno di legge;<br />

dopodiché l'assemblea avrebbe votato sulla proposta per alzata e seduta (l'approvazione,<br />

nei periodi di aggiornamento, spettando all'ufficio di Presidenza).<br />

Ora, essendo l'assemblea l'organo della Camera investito dalla Costituzione di<br />

un potere legislativo ordinario potenzialmente illimitato, è chiaro che il suo<br />

atto di volontà, tendente a far esercitare un potere di questo tipo (in ordine ad<br />

un singolo disegno di legge) ad una commissione, rientrava senz'altro nella categoria<br />

della delega. Ma la Camera dei deputati si attenne al sistema della delegazione<br />

soltanto dal 15 settembre 1948 al 10 febbraio 1949, giacché in questa<br />

ultima seduta adottò la disciplina già disposta dal Senato, facendo peraltro salva<br />

la possibilità per l'assemblea di opporsi alla decisione di deferimento in occasione<br />

del suo annunzio in aula. In questa situazione nuova (e che dura tutt'ora)<br />

sembra difficile mantenere la costruzione della delega: a parte la circostanza<br />

che l'opposizione, finora mai manifestatasi, è un istituto, in tale contesto, assolutamente<br />

contraddittorio, sta di fatto che, a norma dell'attuale regolamento,<br />

l'assemblea può opporsi a un deferimento, ma non può mai, da sola, determinarlo.<br />

Insomma il potere di delegare, eminentemente positivo, non può confondersi<br />

con una "faculté d'empécher", per sua natura affatto negativa; né si<br />

può parlare, a proposito delle varie forme di rimessione in assemblea, richieste<br />

in base all'art. 72, comma 3, Cost, di una revoca di delegazione perché, anzi,<br />

tali rimedi sembrano alludere ad una situazione prevista dal costituente come<br />

diversa dalla delega: la richiesta di un decimo dei componenti dell'assemblea,<br />

di un quinto dei membri della commissione oppure del Governo non doveva<br />

contrapporsi (nella ratio della norma costituzionale) a una deliberazione maggioritaria,<br />

ma era prevista come un modo per rendere derogabili le norme regolamentari<br />

sulla ripartizione della competenza. Le citate richieste non costitui-


766 Guida bibliografica<br />

scono ora una revoca di delegazione (che, specie quella su domanda del Governo,<br />

apparirebbe del tutto anomala) ma piuttosto un atto che si sostituisce<br />

all'atto di assegnazione del Presidente.<br />

Ci si potrebbe rispondere, per salvare la figura della delega, anche nel<br />

contesto normativo attuale, che il Presidente agisce come organo dell'assemblea,<br />

e che quindi, per il suo tramite, è sempre quest'ultima a deliberare circa l'esercizio<br />

delle proprie competenze; ma sembra che tale costruzione non corrisponda<br />

alla realtà in quanto il Presidente, nel momento della scelta, si pone al di fuori<br />

e al di sopra sia dell'assemblea che della commissione, come organo dell'istituzione'<br />

Camera (quasi nell'atteggiamento di chi deve affidare o all'una o all'altra<br />

un lavoro da compiere). In tale veste il Presidente agisce autonomamente,<br />

realizzando non la volontà dell'assemblea in quanto tale, ma solamente le prescrizioni<br />

regolamentari che gli conferiscono la facoltà di assegnare. E a ciò<br />

corrisponde il carattere unitario (ma soltanto negli effetti, cfr. n. 4b a pag. 20)<br />

dell'atto di assegnazione che, quando si indirizza alla commissione in sede<br />

referente rende attuale la competenza dell'assemblea, e quando si dirige alla<br />

commissione in sede deliberante rende attuale la competenza della commissione.<br />

Ciò non significa che assemblea e commissioni siano organi pariorflinati :<br />

esse non lo sono per quanto concerne l'ampiezza della competenza; ma ciò non<br />

impedisce che esse lo siano, nei limiti ora accennati, quanto all'atto che inizialmente<br />

rende esercitabile la competenza stessa. Da quel che si è detto emerge<br />

anche che non c'è, in senso tecnico, un rapporto giuridico tra assemblea e<br />

commissione, a meno che non si voglia parlare genericamente di un rapporto<br />

di accessorietà e di dipendenza: si tratti di centri differenziati del potere legislativo<br />

rispetto ai quali, secondo la disciplina costituzionale e regolamentare<br />

ora vigente, potranno porsi problemi di competenza, ma non mai relazioni giuridicamente<br />

rilevanti paragonabili, ad esempio, con quella che la cosidetta delegazione<br />

imperativa stabilisce tra il Parlamento (che dà i criteri direttivi) e il<br />

Governo: le commissioni deliberanti non ricevono istruzioni o direttive dall'assemblea,<br />

ma agiscono in assoluta indipendenza e tendono a presentarsi come<br />

monadi in quell'organo complesso che è ormai ciascuna Camera » (81-85).<br />

Al termine del suo saggio I'ELIA avanza quindi una sua interpretazione<br />

personale con il porre in rilievo una assimilazione tra le commissioni<br />

legislative deliberanti ed i comitati interministeriali:<br />

« È opportuno trarre ora alcune conclusioni in ordine al potere deliberante<br />

delle commissioni legislative italiane sia dal punto di vista degli organi<br />

sia sul piano degli atti normativi cui essi danno luogo. Mentre non sorgono<br />

particolari problemi a proposito delle commissioni in sede referente, è invece<br />

non pacifica la figura costituzionale delle commissioni in sede deliberante: da<br />

quanto si è detto risulta che è impossibile qualificarle " organi interni ", " organi<br />

di decentramento interno " come in generale si è fatto fin qui. Anzi, guardando<br />

a certi aspetti, si dovrebbe dire che le commissioni legislative deliberanti denunciano<br />

una notevole affinità di struttura con i comitati interministeriali istituiti<br />

con legge. Naturalmente alludiamo ai comitati di cui siano membri soltanto<br />

alcuni componenti del Consiglio dei Ministri, giacché solo in questo caso<br />

si manifesta l'affinità strutturale di cui si è detto: l'elemento personale delle


Guida bibliografica 767<br />

commissioni è fornito da una parte degli appartenenti all'assemblea parlamentare,<br />

così come l'elemento personale dei comitati è costituito da un'aliquota<br />

dei membri del Consiglio dei Ministri. Si tratta in entrambi i casi di organi,<br />

i quali non possono dirsi costituzionali, perché, tra l'altro, non sono previsti<br />

come necessari dalla Costituzione [anzi i Comitati non previsti affatto] e mancano<br />

comunque di quelle caratteristiche di indefettibilità che contrassegnano,<br />

secondo la comune opinione, una tale specie di organi): modificando i regolamenti<br />

delle Camere si potrebbe far cessare da un momento all'altro l'attività<br />

delle commissioni deliberanti, allo stesso modo che, modificando le leggi istitutive,<br />

potrebbero sopprimersi i comitati interministeriali. Inoltre, nei due casi,<br />

è almeno in taluni casi analoga la ratio che presiede alla istituzione dei minori<br />

collegi: che è quella di alleggerire i compiti del collegio maggiore, sostituendosi<br />

ad esso, e non già di prepararne le deliberazioni, come è invece il caso<br />

per le commissioni in sede referente e per i comitati interministeriali a rilievo<br />

puramente interno. Tuttavia, mentre la competenza delle Camere è chiaramente<br />

circoscritta sul piano formale dalla nozione di legge in senso tecnico, assai più<br />

incerta si presenta da questo punto di vista la competenza del Consiglio dei<br />

Ministri, e non da questo solo: giacché non è facile definire i limiti dell'attività<br />

di indirizzi politico ed amministrativo spettante al Consiglio.<br />

Ma contro l'assimilazione ora accennata tra le commissioni legislative<br />

deliberanti e i comitati potrebbe rilevarsi come gli atti delle commissioni, al<br />

pari di quelle dell'assemblea, siano sempre atti delle Camere, mentre le deliberazioni<br />

dei comitati dei ministri non si imputano, di fronte ai terzi, a nessun<br />

organo o istituzione diversa: indubbiamente la Costituzione parla del "Governo<br />

", ma è chiaro che nell'ambito di quest'organo complesso, gli organi che<br />

lo costituiscono (Consiglio dei ministri, ministri, comitati) hanno una rilevanza<br />

esterna immediata, che manca nel caso delle commissioni parlamentari. Ciò non<br />

toglie, a nostro avviso (stante la rilevanza esterna mediata delle commissioni<br />

deliberanti), che sussista in via di approssimazione una sostanziale analogia tra<br />

la figura dei comitati e quella delle commissioni; ma sottolinea anche la necessità<br />

di giungere ad una più precisa qualificazione dei peculiari rapporti tra le<br />

commissioni, l'assemblea e la Camera * (120-122).<br />

Il MORTATI {Istituzioni di diritto pubblico cit., 644-645) ha ribadito<br />

a sua volta, punto per punto, le contestazioni mosse alla tesi della<br />

delega :<br />

« £ stata contestata l'esattezza del richiamo alla figura della delegazione,<br />

nella considerazione che le commissioni non sono un organo distinto dal plenum.<br />

L'obiezione non pare però convincente Che le commissioni in sede legislativa<br />

siano un organo a sé stante si desume dalla diversità della composizione<br />

e del funzionamento, e poiché sono fornite di una competenza non suscettibile<br />

di essere esercitata di propria iniziativa, ma solo per volontà del plenum (sia<br />

pure manifestata sotto la forma della non opposizione alla proposta formulata<br />

dal Presidente), non si riscontra nessuna difficoltà a ricondurre tale investitura<br />

alla delegazione, analogamente a quanto si ammette quando deliberazioni imputabili<br />

ad un ministero siano prese dal sottosegretario titolare. L'anomalia<br />

rispetto alle regole che disciplinano la delegazione sta solo nella possibilità


768 Guida bibliografica<br />

conferita a soggetti diversi da delegante (oltre che a questo) di disporre la<br />

revoca della delegazione: circostanza quest'ultima che dovrebbe indurre a<br />

qualche riflessione coloro che, forse troppo affrettatamente, pongono su uno<br />

stesso piano le due competenze, che sono invece fra loro nel rapporto di ordinaria<br />

e speciale » (644-645).<br />

Per quanto riguarda infine le considerazioni svolte dalTEuA, il<br />

MORTATI ha precisato:<br />

« Egli (ELIA) ha fatto osservare come il deferimento dei progetti alle commissioni<br />

deliberanti sia opera del presidente e non già dell'assemblea e che<br />

questi nell'effettuare la scelta si pone al di fuori e al di sopra sia dell'assemblea<br />

che delle commissioni, sicché la scelta stessa non trasferisce l'esercizio di poteri,<br />

bensì è solo assegnazione di compiti rientranti potenzialmente nella competenza<br />

delle commissioni. Pur dando atto dell'acutezza dei rilievi sembra potersi<br />

osservare che anche la semplice facoltà dell'assemblea di opporsi alla<br />

determinazione presidenziale (quale è prevista dall'art. 40 reg. Camera) comprovi<br />

che quest'ultima è presa da chi riveste qualità di capo del plenum, ed<br />

agisce quale suo esponente. Che il plenum sia il titolare naturale del potere<br />

legiferante emerge, oltre che dalle considerazioni prima enunciate, anche dal<br />

rilievo che, a tenore dello stesso art 40, l'assegnazione alle commissioni è<br />

solamente eventuale, sicché, ove per avventura il presidente nulla decidesse<br />

per un singolo progetto, esso ope legis dovrebbe essere affidato alla competenza<br />

dell'assemblea » (644, nota 1).<br />

Se la querelle sulle commissioni deliberanti verte unicamente sulla<br />

natura della configurazione giuridica delle stesse, e non può avere per<br />

oggetto, come è ovvio, una loro presunta incostituzionalità, sono stati<br />

invece mossi rilievi sulla legittimità costituzionale a quel particolare istituto<br />

della commissione in sede redigente, introdotta nel Regolamento<br />

della Camera nel 1949. Secondo E. CAPALOZZA {Appunti sulla delega<br />

legislativa alle Commissioni parlamentari; Montecitorio, III, n. 9, dicembre<br />

1949, 15) « questa delega in bianco e senza appello non esiste<br />

nel nostro diritto » e « può esistere, tutt'al più, il problema di crearla,<br />

di giuridicizzarla, ciò che importa, però, una modifica della Costituzione,<br />

che non può avvenire se non con la rigorosa e solenne procedura<br />

che è la Costituzione stessa ad indicare »; mentre per I'ELIA {Le Commissioni<br />

parlamentari cit., 105-112) il procedimento è conforme a Costituzione<br />

sul piano del rapporto commissione-assemblea, ma appare<br />

« non congruente con la Costituzione » non tanto l'istituto della sede<br />

redigente in sé quanto la disciplina datane dalla Camera che ne fonda<br />

l'applicazione su una decisione maggioritaria senza tutelare i diritti<br />

della minoranza che a norma dell'art. 72, 3° comma, fino al momento<br />

della approvazione di un disegno di legge ha sempre la facoltà di ri-


Guida bibliografica 769<br />

chiamarne in assemblea Tesarne su richiesta di un decimo dei componenti<br />

della Camera. Su questo argomento cfr. anche F. G. I. Le Commissioni<br />

permanenti della Camera e l'art. 85 del Regolamento (La Politica<br />

parlamentare, IV 1951, 2-4) e F. COSENTINO, Regolamento, consuetudine,<br />

prassi parlamentare (La Politica parlamentare, IV, 1951,<br />

19-20).<br />

Sul procedimento di approvazione delle leggi da parte delle Commissioni<br />

deliberanti si cfr. V. LONGI, Approvazione di proposte di legge<br />

e di inchiesta parlamentare da parte di Commissioni in sede deliberante<br />

(in Scritti in materia costituzionale e parlamentare. Milano, 1953,<br />

33-36), che ritiene l'assegnazione delle proposte di legge di iniziativa<br />

parlamentare alle Commissioni in sede legislativa alla Camera una deroga<br />

al principio fissato in tal senso dalla Costituzione per i soli disegni<br />

di legge presentati dal Governo, accentuando la validità qualificatrìce<br />

della distinzione, operata dal Regolamento della Camera, tra i disegni<br />

di legge governativi e le proposte legislative di iniziativa parlamentare;<br />

F. GOGUEL, La procedure italienne de vote des lois par les Commissions<br />

(Revue francaise de science politique, IV, 1954, 836-842); GIAN­<br />

CARLO PERONE, // Parlamento e la produzione normativa (Iustitia, XVIII,<br />

1965, 214-219), il quale rileva gli aspetti della disfunzione legislativa<br />

derivante dall'eccessivo ricorso all'approvazione delle leggi da parte<br />

delle Commissioni deliberanti; P. BAR<strong>IL</strong>E, Osservazioni sulle proposte<br />

di legge costituzionale di riforma dell'art. 72 Cost. (Il Foro Civile, IV,<br />

1951, 262-266), che contesta l'opportunità di una proposta di legge presentata<br />

dall'Ori. Bianca Bianchi durante la I legislatura tendente a condizionare<br />

il richiamo in assemblea dei disegni di legge assegnati ad una<br />

Commissione deliberante non più alla richiesta di un decimo dei componenti<br />

della Camera, ma al voto espresso dalla maggioranza della<br />

Camera.<br />

Sul trasferimento dei disegni di legge da una Camera all'altra, che è<br />

ammesso solo quando il provvedimento si trova nel ciclo preliminare<br />

ed antecedente a qualsiasi esame da parte delle Commissioni, esiste un<br />

contributo di CORRADO MUSCARÀ, Trasferimento di disegni di legge da<br />

una Camera air altra prima della loro approvazione (Rassegna parlamentare,<br />

II, 1960, 1888-1894).<br />

Sul ritiro dei disegni e delle proposte di legge, sui rapporti intercorrenti<br />

tra l'esercizio del potere di iniziativa e di ritiro, gli unici saggi<br />

specifici sull'argomento sono quelli di C. MUSCARÀ, Ritiro di progetti<br />

di legge (Rassegna parlamentare, I, n. 11, novembre 1959, 80-97) e di<br />

31.


770 Guida bibliografica<br />

STEFANO MARIA CICCONETTI, // potere di ritiro nel procedimento di formazione<br />

delle leggi (Rivista trimestrale di diritto pubblico, XV, 1965,<br />

381-419), il quale dedica anche l'ultimo capitolo del suo studio alla differenza<br />

esistente tra l'atto di ritiro e la richiesta di trasferimento da una<br />

Camera all'altra.<br />

Sugli effetti derivanti dall'approvazione di un progetto di legge da<br />

parte di una sola Camera e che non era stato approvato dall'altra<br />

all'atto dello scioglimento di uno dei due rami del Parlamento, argomento<br />

che aveva assunto un particolare rilievo prima della modifica<br />

costituzionale del 1963 che eguagliò il periodo di durata di ambedue<br />

le Camere, si vedano anche per eventuali analogie sotto l'imperio dello<br />

Statuto albertino e per osservazioni sugli istituti della sessione e della<br />

legislatura non più vigenti nell'attuale ordinamento costituzionale, P.<br />

MANFRIN, La durata delle sessioni parlamentari (Nuova Antologia,<br />

29 giugno 1875, 409-442); V. MICELI, La chiusura della sessione parlamentare<br />

e i suoi effetti giuridici (Annali dell'Università di Perugia.<br />

Pubblicazioni periodiche della facoltà di giurisprudenza. Nuova Serie,<br />

Voi. V, 1895, 117-181); M. E. Livio MINGUZZI, La chiusura della sessione<br />

parlamentare (Istituto lombardo di scienze e lettere. Rendiconti.<br />

Milano, 1911, Serie II, 44, 572-585); V. LONGI, Periodi di attività delle<br />

Camere e conseguenze del loro rinnovamento sui progetti di legge in<br />

corso di esame (negli Scritti cit., Milano, 1953, 37-42); T. MARTINES,<br />

Sulla decadenza delle leggi approvate da un solo ramo del Parlamento<br />

(Burocrazia, 1953, 7); G. DANESE, Sulla sopravvivenza dei provvedimenti<br />

legislativi approvati da un solo ramo del Parlamento (Foro Padano,<br />

XIII, 1958, parte terza, 89-94), M. LA TORRE, Legislatura e sessione<br />

(Comitato Nazionale per le celebrazioni del primo decennale della<br />

promulgazione della Costituzione. Studi sulla Costituzione. Milano, 1958,<br />

II, 492-514). Sulla genesi di questi istituti nel parlamento inglese si<br />

può sempre utilmente consultare il saggio di J. HATSCHEK, Session, Prorogation,<br />

Adjournement und Dissolution des Parlaments (Zeitschìft fiir<br />

die gesamte Staatswissenschaft, 57, 1901, 152-192). Il problema della discontinuità<br />

delle legislature è stato anche oggetto di disamina in questi<br />

ultimi anni nella Repubblica federale tedesca, stimolando i contributi<br />

di K. SCHWEIGER, Die Diskontinuitàt der Legislaturperioden (Die òffentliche<br />

Verwaltung, VII, 1954, 161-163); K. MOLLER. Kontinuierliche<br />

oder intervallierte Gesetzgebung. J mistiche und politisene Bemerkungen<br />

zum Diskontinuitàtsprinzip (Die òffentliche Verwaltung, XVIII, 1965,<br />

505-510). U. SCHEUNER, Vom Nutzen der Diskontinuitàt zwischen Le-


Guida bibliografica 771<br />

gislaturperioden (Die òffentliche Verwaltung, XVIII, 1965, 510-513);<br />

M. H<strong>IL</strong>F, Durchbrechung der Diskontinuitàt der parlamentarischen<br />

Tàtigkeit. Zu Art 143 a der Verfassung von Rheinland-Pfalz, eingefiigt<br />

durch Gesetz vom 28. Juli 1966, una zum belgischen Rechi bis zum<br />

Gesetz vom 30. 3uni 1966 (Zeitschrift fiir auslàndisches òffentliches<br />

Recht und Vólkerrecht, 27, 1967, 742-758).<br />

Sul rinvio presidenziale della legge alle Camere da parte del Presidente<br />

della Repubblica ctr., tra gli scritti recenti, A. Bozzi, Note sul<br />

rinvio presidenziale della legge (Rivista trimestrale di diritto pubblico,<br />

Vili, 1958, 739-773, ripubblicato con aggiunte negli Studi di diritto<br />

costituzionale. Milano, 1961, 11-48, dello stesso autore); P. BISCARETTI<br />

DI RUFFIA, // rinvio presidenziale delle leggi dopo lo scioglimento delle<br />

Camere, (Rivista trimestrale di diritto pubblico, XIV, 1964, 3-19); G.<br />

FERRARA, // rinvio della legge alle Camere prorogate. Milano, 1964;<br />

S. CARDARELLI, // messaggio di rinvio del Capo dello Stato (La Funzione<br />

Amministrativa, XVI, 1967, 424-437); e, in connessione ad alcuni<br />

saggi sulla natura e sui limiti della prorogatio si veda V. LONGI, Sulla<br />

proroga dei poteri delle Camere (negli Scritti vari cit. Milano, 1953,<br />

43-45), L. ELIA, Durata della « prorogatio » delle Camere e prerogative<br />

parlamentari (Foro Padano, IX, 1954, parte IV, 109-116); L. ELIA, sub<br />

voce Amministrazione ordinaria degli organi costituzionali (Enciclopedia<br />

del Diritto. Milano, 1958, II, 228-229); L. ELIA, La continuità nel<br />

funzionamento degli organi costituzionali. Milano, 1958, voi. I (unico<br />

pubblicato), 61-67; L. ELIA, Sulla « ordinaria amministrazione » degli<br />

organi costituzionali (Archivio giuridico, 154, 1958, in particolare 144-<br />

153); G. GUARINO, Durata delle Camere e prerogative parlamentari (Il<br />

Foro Italiano, 77, 1954, Parte II, 51-58); L. ELIA, Parlamentari rieletti<br />

ed autorizzazioni a procedere concesse nella prima legislatura (Il Foro<br />

Italiano, 77, 1954, Parte II, 210-217); E. CAPALOZZA, Sulla ripetibilità<br />

del provvedimento di concessa o negata autorizzazione a procedere contro<br />

parlamentari (Giurisprudenza italiana, 116, 1964, Parte II, 79-88);<br />

P. GIOCOLI NACCI, Prorogatio del Parlamento, mandato parlamentare e<br />

prerogative dei parlamentari (Rassegna di diritto pubblico, XIX, 1964,<br />

700-755); A. A. ROMANO, La « prorogatio » negli organi costituzionali.<br />

Milano 1967.<br />

Sull'esame dei bilanci, con particolare riguardo ai principii fissati<br />

dall'art. 81 della Costituzione ed alle innovazioni introdotte nella formazione<br />

del bilancio dalla legge 1° marzo 1964, n. 62, tra i molti altri<br />

titoli bibliografici per la cui individuazione si rinvia alla bibliografia in-


772 Guida bibliografica<br />

dicata nel volume di S. BUSCEMA (// bilancio dello Stato, delle Regioni,<br />

dei Comuni, delle Province, degli enti pubblici istituzionali. Milano,<br />

1966), cfr. M. RUINI, // bilancio dello Stato e Vart. 81 della Costituzione<br />

(Rivista di politica economica, 45, 1954, 1005-1027); A. MACCANICO,<br />

L'articolo 81 della Costituzione nel sistema delle garanzie costituzionali<br />

della spesa pubblica (Comitato Nazionale per la celebrazione del primo<br />

decennale della promulgazione della Costituzione. Studi sulla Costituzione.<br />

Milano 1958, II, 527-552); M. STRAMACCI, Contributo all'interpretazione<br />

dell'articolo 81 della Costituzione (Rassegna parlamentare, I,<br />

Nr. 12, dicembre 1959, 151-191); A. BENNATI, La legge del bilancio (Il<br />

Consiglio di Stato, XI, parte II, 107-117); C. ANELLI, La legge di approvazione<br />

del bilancio e l'art. 81, terzo comma, della Costituzione (La Finanza<br />

Pubblica, II, 1960, parte I, 67-90; 95-118); V. SICA, Osservazioni<br />

sulla « legge del bilancio » (art. 81 della Costituzione) (Rassegna di diritto<br />

pubblico, XV, 1960, 49-96); T. TESSITORI, L'articolo 81 della Costituzione<br />

e i regolamenti delle due Camere (Problemi della Pubblica<br />

Amministrazione, II, n. 3, giugno 1961, 9-11); G. CUOMO, Osservazioni<br />

e proposte sulla disciplina dei bilanci e della procedura di approvazione<br />

(Rassegna di diritto pubblico, XVIII, 1963, 277-297); G. ALPINO, Perplessità<br />

e riserve sulla riforma dei bilanci (Rivista di politica economica,<br />

54, 1964, 771-783); C BENTIVENGA, La recente riforma della contabilità<br />

pubblica e l'affievolimento della funzione giuridica del bilancio (La Finanza<br />

Pubblica, VI, 1964, parte I, 85-90); Centro Italiano di Studi Finanziari.<br />

Aspetti della riforma del Bilancio dello Stato e della pubblica<br />

contabilità. Atti del 111 Convegno di studi di politica economica e finanziaria,<br />

Napoli, 16-17 febbraio 1963. Milano, 1964; R. ONOFRI, La<br />

nuova disciplina e la nuova struttura del bilancio statale (La Scienza e<br />

la Tecnica della Organizzazione della Pubblica Amministrazione, XI,<br />

1964, 302-319); F. ZACCARIA, // bilancio dello Stato e degli enti pubblici<br />

nella nuova disciplina legislativa (Enpas, XII, 1964, 220-268); C ANELLI,<br />

Natura giuridica dei bilanci pubblici (edito a puntate nel Corriere Amministrativo,<br />

dal 1965 in poi e ripubblicato in volume con lo stesso titolo,<br />

Empoli, 1967); S. SCOCA, Leggi di bilancio e leggi finanziarie nell'articolo<br />

81 della Costituzione (Studi in memoria di Guido Zanobini.<br />

Milano 1965, III, 647-669). Sulla vexata quaestio della natura giuridica<br />

della legge del bilancio è sempre utile la consultazione della monografia<br />

di G. VITAGLIANO, // contenuto giuridico della legge del bilancio. Roma,<br />

1910, su cui si cfr. la recensione dall'identico titolo pubblicata da V. E.<br />

ORLANDO (Rivista di diritto pubblico. Ili, 1911, parte I, 268-276). Per


Guida bibliografica 773<br />

indicazioni sul controllo parlamentare del bilancio, inteso come controllo<br />

politico, cfr. la relazione presentata all'Unione Interparlamentare da A.<br />

DOUTREPONT, Le contròie parlementaire du budget (Union Interparlementaire.<br />

Compte rendu de la XLP Conférence tenue à Berne du 28 aoùt<br />

au 2 septembre 1952. Genève 1952, 290-302); e per una informazione<br />

più particolare della questione negli Stati Uniti d'America, vedi<br />

HERMANN, La préparation et le vote du budget federai aux Etats-Unis.<br />

Paris, 1955; ed in Francia, J. M. COTTERET, Le pouvoir réglementaire en<br />

matière budgétaire (Revue de science financière, 55, 1963, 372-419); J.<br />

P. LASSALE, Le Parlement et Vautorisation des dépenses publiques (Revue<br />

de science financière, 55, 1963, 580-623); P. DEVOLVÉ-H. LESGU<strong>IL</strong>LONS,<br />

Le contròie parlementaire sur la politique économique et budgétaire.<br />

Paris, 1964. Per indicazioni sulle procedure seguite nei singoli Parlamenti<br />

per l'esame dei bilanci, vedi M. S. L. SHAKDHER, Les systèmes<br />

budgétaires (Union Interparlementaire. Informations constitutionnelles et<br />

parlementaires, 3 e sèrie, Nr. 33, janvier 1958, 1-87).<br />

Sulle cosiddette leggi di approvazione si vedano le osservazioni tuttora<br />

stimolanti del SANTI ROMANO, Saggio di una teoria sulle leggi di<br />

approvazione (Il Filangieri, XXIII, 1898, 161-169, 249-271, 330-345, e<br />

ripubblicato negb' Scritti minori. Milano 1950, voi I, 47-92), la cui interpretazione<br />

deve essere tuttavia parzialmente rettificata nel significato<br />

ultimamente definito, ad esempio da G. IANNITTO, Limiti costituzionali<br />

alla legge di bilancio (Archivio finanziario, IX, 1960, 142-173), il quale,<br />

dopo aver rilevato la mancata produzione di effetti giuridici di questo<br />

atto amministrativo fino all'approvazione da parte del Parlamento, ricorda<br />

che « a conferma di ciò basta considerare che anche quando il bilancio<br />

non viene approvato in tempo..., non può l'autorità amministrativa<br />

da sola conferirgli rilevanza giuridica, ma occorre l'intervento parlamentare<br />

per l'autorizzazione del così detto esercizio provvisorio ».<br />

Pertanto, « non avendo lo schema di bilancio, in sé stesso, valore giuridico,<br />

non si può attribuire al medesimo che un valore analogo a qualsiasi<br />

altro progetto di legge in attesa di approvazione parlamentare. E crediamo che<br />

nessuno può agevolmente considerare atto amministrativo un qualsiasi progetto<br />

di legge sol perché esso sia di iniziativa governativa. Ci sembra quindi che il<br />

progetto di bilancio, fino a quando non sia regolarmente approvato dal Parlamento,<br />

non possa considerarsi atto amministrativo in senso proprio, ma debba<br />

considerarsi un atto preparatorio che produce effetti giuridici solamente dopo<br />

che il Parlamento lo avrà esaminato ed approvato. E non riteniamo che possa<br />

invalidare tale concetto, il fatto che per l'art 81 (1° comma) della Costituzione<br />

spetta solamente al Governo l'iniziativa del bilancio, in quanto tale limitazione,


774 Guida bibliografica<br />

per la iniziativa, non fa venir meno e non menoma il potere del Parlamento dì<br />

approvare e fare quindi proprio il progetto di bilancio, così come fa proprio<br />

qualsiasi progetto di iniziativa governativa quando lo trasforma in legge »<br />

(IANNITTO, 146).<br />

Sulla procedura di esame del bilancio dello Stato che è in vigore<br />

dalla riforma regolamentare della Camera del 1965 si veda lo scritto di<br />

F. BEZZI e di A. TROISI, // bilancio dello Stato in Parlamento (Montecitorio,<br />

IX, n. 7-8, luglio-agosto 1955, 1-10), che hanno sostanzialmente<br />

patrocinato tale riforma. Modifiche regolamentari per accelerare la discussione<br />

del bilancio nel Parlamento furono approvate nel 1960 e nel<br />

1962 anche in Belgio, e per un giudizio sulla loro funzionalità cfr. A.<br />

BRUYNEEL, Aspects nouveaux de Vexamen des budgets par les Chambres<br />

législatives (Res Publica, VII, 1965, 38-47).<br />

Sulla configurazione delle leggi di approvazione attinenti all'autorizzazione<br />

parlamentare per ratificare i trattati internazionali si può sempre<br />

consultare B. MiRKiNE-GuETzÉVTrcH, Droit constitutionnel international.<br />

Paris, 1933, e GEORGOPOULOS, La ratification des traités et la collaboration<br />

du Parlement. Paris, 1939, e per l'ordinamento nella nostra vigente<br />

Costituzione vedi R. MONACO, / trattati internazionali e la nuova costituzione<br />

(Rassegna di diritto pubblico, IV, 1949, 197-217); R. SOCINI,<br />

L'adeguamento degli ordinamenti statuali all'ordinamento internazionale.<br />

Milano 1954, passim; e R. MONACO, Osservazioni sulla costituzionalità<br />

degli accordi internazionali (Comitato Nazionale per la celebrazione del<br />

primo decennale della promulgazione della Costituzione. Studi sulla Costituzione,<br />

II. Milano, 1958, 168-186). Su una deroga alla procedura normale<br />

di esame e di approvazione diretta da parte della Camera a norma<br />

dell'art 72, comma 4, della Costituzione, cfr. T. PERASSI, Una svista, non<br />

un precedente (La Voce Repubblicana del 30 novembre 1951 e ripubblicato<br />

nella Rivista di diritto internazionale, 50, 1967, 81-83), il quale,<br />

dall'approvazione del disegno di legge per autorizzare il Governo della<br />

Repubblica ad aderire alla Convenzione per la prevenzione e la repressione<br />

del delitto di genocidio da parte della Commissione affari esteri<br />

in sede legislativa della Camera, deduce una inosservanza della norma<br />

costituzionale che viene a costituire vizio di legittimità del procedimento<br />

formativo della legge. Sull'improponiblità di emendamenti in sede di discussione<br />

di disegni di legge di ratifica di trattati internazionali cfr. V.<br />

FALZONE, La prassi nell'ordinamento costituzionale repubblicano (Comitato<br />

Nazionale per la celebrazione del primo decennale della promulgazione<br />

della Costituzione. Studi sulla Costituzione, II. Milano, 1958,


Guida bibliografica 775<br />

462-463). Sull'approvazione nell'ordinamento costituzionale belga si veda<br />

PÀUL-F. SMETS, L'assentiment des Chambres législatives aux traités internationaux<br />

et Varticle 68 alinea 2 de la Constitution belge. Bruxelles,<br />

1964 (con riferimenti anche di diritto comparato) e H. VAN IMPE, De<br />

parlementaire behandeling van internationale verdragen in Belgie (Res<br />

Publica, Vili, 1966, 321-327), il quale sostiene l'opportunità, considerata<br />

anche l'incidenza sull'ordinamento interno derivante da molte norme automatiche<br />

di accordi internazionali, di un esame più approfondito degli<br />

accordi stessi da parte del Parlamento, attuabile, secondo l'autore, mediante<br />

l'intervento non solo delle commissioni Affari Esteri, ma anche<br />

di altre settorialmente competenti.<br />

Sulla delegazione legislativa si ricordano, a titolo indicativo, i seguenti<br />

scritti: LIGNOLA, La delegazione legislativa. Milano, 1956; G.<br />

ABBAMONTE, Aspetti della delegazione legislativa (Annali della Università<br />

di Macerata a cura della Facoltà giuridica. Milano 1959, XXIII,<br />

163-204); G. BALBONI-ACQUA, Le commissioni parlamentari consultive<br />

previste dalle leggi di delega (Giurisprudenza costituzionale, IX, 1964,<br />

909-915); S. M. CICCONETTI, / limiti « ulteriori » della delegazione legislativa<br />

(Rivista trimestrale di diritto pubblico, XVII, 1966, 568-622). Per<br />

un sintetico colpo d'occhio sulla delegazione legislativa nei diversi stati<br />

cfir. E. OLSEN, La législation deléguée (Union Interparlementaire. Informations<br />

constitutionnelles et parlementaires. 3 e serie, Nr. 30, avril 1957,<br />

75-97).<br />

Sulle leggi rinforzate, cioè sulla rilevanza costituzionale conferita<br />

alla consulenza nel nostro ordinamento costituzionale, vedi G. FERRARI,<br />

Le leggi rinforzate nell'ordinamento italiano (Comitato Nazionale per la<br />

celebrazione del primo decennale della promulgazione della Costituzione.<br />

Studi sulla costituzione, <strong>IL</strong> Milano 1958, 479-490).<br />

Sugli atti delle Camere, per cui la norma costituzionale non prescrive<br />

esplicitamente l'adozione con legge, vedi L. ELIA, Gli atti bicamerali non<br />

legislativi (Comitato Nazionale per la celebrazione del primo decennale<br />

della promulgazione della Costituzione. Studi sulla costituzione, II. Milano<br />

1958, 421-441).<br />

Sulle leggi costituzionali e sulla revisione costituzionale si vedano<br />

P. BISCARETTI DI RUFFIA, Sull't agganciamento » ad altri ordinamenti<br />

giuridici di taluni « limiti • della « revisione costituzionale » (Studi di<br />

diritto costituzionale in memoria di Luigi Rossi. Milano 1952, 19-41);<br />

C. MORTATI, Concetto, limiti, procedimento della revisione costituzionale<br />

(Studi di diritto costituzionale in memoria di Luigi Rossi. Milano


776 Guida bibliografica<br />

1952, 379-415); V. LONGI, Sulla procedura di approvazione delle leggi<br />

costituzionali (negli Scritti vari cit. dello stesso autore. Milano 1953,<br />

17-27); V. LONGI, Revisione della Costituzione - Leggi costituzionali<br />

(Rassegna parlamentare, II, 1960, 100-116); C. ESPOSITO, Costituzione,<br />

legge di revisione della Costituzione e « altre » leggi costituzionali (Raccolta<br />

di scrìtti in onore di Arturo Carlo Jemolo. Milano 1963, III,<br />

191-219); G. MOTZO, Disposizioni di revisione materiale e provvedimenti<br />

di « rottura » della Costituzione (Rassegna di diritto pubblico, XIX,<br />

1964, 323-374). Per una visione sintetica comparata dei procedimenti di<br />

revisione costituzionale cfr. F. BEZZI, Les procédures de révision constitutionnelle<br />

(Union Interparlementaire. Informations constitutionnelles et<br />

parlementaires, 3 e sèrie, nr. 72, octobre 1967, 177-198).


CAPO XI.<br />

Sulla votazione quale fase del procedimento per giungere alla determinazione<br />

della volontà collegiale cfr. C. VOTA, Gli atti collegiali.<br />

Roma 1920, capitolo V; L. GALATERIA, Gli organi collegiali amministrativi.<br />

Milano, 1959, voi. II, 89-144; U. GARGIULO, / collegi amministrativi.<br />

Napoli 1962, 221-239. Sui sistemi di votazione in uso nelle assemblee<br />

parlamentari si veda JEAN D'AMMAN, Le vote au sein des assemblées<br />

législatives. Etude de droit parlementaire compare. Lausanne,<br />

1912 e E. BLAMONT, Essai comparatif sur les modes de votation en usage<br />

dans les principaux parlements (Revue du droit public et de la science<br />

politique, 66, 1950, 820-832) oltre naturalmente ai vari trattati nazionali<br />

di procedura parlamentare. Per i sistemi vigenti nell'ordinamento parlamentare<br />

italiano, oltre al Manuale del Mancini e del Galeotti, all'opera<br />

dell'Astraldi e del Cosentino ed a quelle del Mohrhoff, si consulti tuttora<br />

utilmente U. GALEOTTI, Principii regolatori delle Assemblee. Torino,<br />

1900, 151-252.<br />

Sullo scrutinio segreto e sulla sua funzione di tutelare la libertà di<br />

opinione del votante sono tuttora valide le considerazioni svolte da RO­<br />

BERT VON MOHL, Staatsrecht, Vòlkerrecht und Politile. Tiibingen 1862,<br />

Voi. I, 299-301 (ristampa anastatica, Graz 1962) anche se esse hanno<br />

per oggetto l'esercizio del voto segreto nelle consultazioni elettorali e<br />

non in particolare quello in seno alle assemblee parlamentari; ma è stato<br />

anche osservato che, tenuto conto della pubblicità dei lavori parlamentari,<br />

è oltremodo grave per un Parlamento deliberare a scrutinio segreto<br />

sui suoi lavori (E. JACOBI, Zum geheimen Stimmrecht; Forschungen und<br />

Berichte aus dem òffentlichen Recht. Gedachtnisschrift fiir Walter Jellinek.<br />

Miinchen 1955, 152-153). Da un altro punto di vista, lo scrutinio<br />

segreto, considerato il rapporto di dipendenza attualmente esistente dalle<br />

segreterie dei partiti e dai gruppi parlamentari dei singoli deputati, è<br />

stato considerato una garanzia per l'esercizio di un mandato non imperativo<br />

(W. GREWE, Fraktionszwanz und geheime Abstimmung; Archiv


778 Guida bibliografica<br />

des òffentlichen Rechts, 75, 1949, 470), ma l'argomentazione si presta a<br />

svolgimenti non univoci, se si pone attenzione non solo alla rilevanza<br />

assunta oggi dal concorso dei partiti politici nella determinazione della<br />

politica nazionale e dalla funzione dei gruppi parlamentari a prescindere<br />

dalla qualificazione di organi interni del Parlamento o di organi dei partiti<br />

stessi attribuita ad essi. Sul fondamento di questa mutata prospettiva<br />

è stato oggetto di contestazione il mantenimento dell'obbligatorietà della<br />

votazione a scrutinio segreto nelle nostre assemblee parlamentari, perché,<br />

come nota ALFONSO BONACCI, Sovranità popolare, partiti politici e<br />

parlamento (Democrazia e Diritto, Vili, 1967, 193-210), « sembra che<br />

anche da un punto di vista giuridico-costituzionale, là dove il popolo è<br />

detentore della sovranità e « la esercita nelle forme e nei limiti della<br />

Costituzione », e quindi i parlamentari non sono detentori in proprio<br />

del potere, bensì delegati dai loro elettori in funzione del perseguimento<br />

di determinate finalità politiche, sia logico che a questi elettori sia, riconosciuto<br />

il diritto di conoscere il comportamento dei singoli parlamentari<br />

in ogni fase della loro attività di rappresentanti del popolo » (BO­<br />

NACCI, 205). Anche se il ricorso ad una assimilazione del mandato parlamentare<br />

all'istituto della delega appare alquanto improprio, è innegabile<br />

tuttavia l'esatta formulazione della diagnosi che riflette con precisione<br />

la semeiotica della natura attuale del mandato parlamentare, descrìtta<br />

dallo stesso BONACCI, con l'indicazione della problematica cui essa<br />

dà luogo, come segue (BONACCI, 206-207):<br />

« L'assurdo sistema sancito dai regolamenti parlamentari italiani, sottraendo<br />

i parlamentari al controllo dei loro elettori e in genere del popolo, oltre che<br />

dei loro partiti, ben si presta alla corruzione che su di essi può essere esercitata<br />

da gruppi di pressione politicamente irresponsabili, o anche dal Governo; e, per<br />

contro, può - come si è frequentemente verificato anche nella corrente legislatura<br />

- favorire le manovre antigovernative di gruppi che, pur non avendo alla<br />

base una forza sufficiente per contrastare una determinata politica adottata dal<br />

loro partito, svolgono, in ogni occasione propizia, l'azione sabotatrice detta dei<br />

"franchi tiratori".<br />

Quale ragione può, del resto, avere in uno Stato fondato sui partiti - nel<br />

quale i parlamentari sono tenuti ad appartenere a "gruppi" secondo il loro<br />

orientamento politico - l'istituto del voto segreto sulle leggi ? Esclusivamente<br />

quella di rendere possibile ai singoli parlamentari la elusione della disciplina<br />

del "gruppo"; ma questo, lungi dal costituire una tutela della personalità dei<br />

rappresentanti del popolo ed una salvaguardia per l'esercizio del mandato ricevuto,<br />

si risolve in una negazione del sistema che proprio la Costituzione ha<br />

voluto instaurare, attribuendo al popolo l'esercizio della sovranità ed ai partiti<br />

politici la funzione di strumento per tale esercizio.<br />

La irrevocabilità del mandato parlamentare pone il deputato o senatore<br />

dissidente - talvolta per sincero convincimento sulla necessità od utilità di


Guida bibliografica 779<br />

seguire una diversa strada nell'interesse dei suoi rappresentanti - dalla linea<br />

di azione fissata dal gruppo politico di appartenenza, nella possibilità di esprimere<br />

e motivare apertamente la sua opinione, nonché di agire in Parlamento<br />

conformemente a tale opinione; ma il dissidente in buona fede non ha il diritto<br />

- né, se è veramente tale, può pretendere - di sottrarre il suo comportamento<br />

al giudizio del popolo, e in particolare dei suoi elettori: soltanto chi ha coscienza<br />

della colpevolezza della sua dissidenza, e quindi del tradimento della<br />

sua missione, può considerare la segretezza del voto come sistema per "mantenersi<br />

a galla" pur venendo meno alla fedeltà al suo gruppo e al mandato<br />

ricevuto dagli elettori. Ed è evidente che un sano sistema democratico non<br />

può consentire un simile svilimento dell'istituto parlamentare ».<br />

Sul computo della maggioranza nelle votazioni della Camera e del<br />

Senato esiste una letteratura alquanto ricca, alimentata dalla norma fissata<br />

al 3° comma dell'art 64 della Costituzione che condiziona la validità<br />

delle deliberazioni all'approvazione della maggioranza dei presenti<br />

in riferimento al numero legale dei componenti delle assemblee quando<br />

non si accetta tacitamente, per effetto di una norma interna del regolamento,<br />

il principio della presunzione del numero legale stesso (sul numero<br />

legale cfr. Capo VI) nelle votazioni per alzata e seduta e per divisione.<br />

Sul reale significato del termine « maggioranza dei presenti » vi<br />

è discordanza di valutazione tra la prassi vigente alla Camera ed al Senato,<br />

perché se, secondo la lettera della Costituzione, dovessero considerarsi<br />

presenti anche coloro che si astengono dal voto, è conforme alla<br />

Costituzione la procedura seguita al Senato, e non quella della Camera,<br />

dove, mediante la qualificazione di non votanti degli astenuti, questi ultimi<br />

non sono compresi nel computo della maggioranza di approvazione.<br />

La determinazione degli effetti particolari della astensione è incerta<br />

anche in dottrina, tanto è vero che GASTON JÈZE, Essai dune théorìe<br />

generale de l'abstention en droit public (Revue du droit public et de la<br />

science politique, 22, 1905, 764-785) ritiene i voti degli astenuti come<br />

voti contrari e che WALTER JELLINEK (Forme di votazione negativa;<br />

Studi di diritto pubblico in onore di Oreste Ranelletti. Padova, 1931,<br />

voi. II, 67-71) l'ha classificata tra le forme di votazione negativa, sia pure<br />

la meno efficiente dopo l'assenza ed il voto contrario; ma è stato osservato<br />

che « in tal modo l'astensione sarebbe votazione, mentre l'astensione<br />

non è votazione » e che « in conclusione l'astenuto non è affatto un votante,<br />

ed egli va escluso dal numero dei votanti, da prendere a base per<br />

determinare la maggioranza » e che « si può bene asserire che, ormai, in<br />

dottrina non vi sia controversia in proposito » (G. DE GENNARO, Quorum<br />

e maggioranza nelle Camere parlamentari secondo l'art. 64 della Costituzione;<br />

Rassegna di diritto pubblico, VI, 1951, 308). Sotto questo prò-


780 Guida bibliografica<br />

filo logicamente e giurìdicamente risulta pertanto valida la qualificazione<br />

adottata dalla Camera, in modo che, secondo quanto afferma F. CO­<br />

SENTINO, // computo della maggioranza alla Camera (La Politica Parlamentare,<br />

VI, 1953, 123), « è possibile concludere che l'interpretazione<br />

data dalla Camera al 3° comma dell'art. 64 della Costituzione, oltre a<br />

corrispondere pienamente alla volontà del Costituente, è anche conforme<br />

alla logica, alle consuetudini, ai principii contenuti nei regolamenti stranieri<br />

più affini al nostro ed è legittimata dal postulato che le norme statutarie<br />

dirette a disciplinare i principii informatori delle attività interne<br />

di organizzazione e di funzionamento delle Assemblee legislative sono<br />

suscettibili di interpretazione »; ma resta la constatazione fatta, con richiamo<br />

proprio ad un regolamento straniero, cioè a quello francese, a<br />

suo tempo dallo JÈZE, nella previsione di un caso limite alquanto improbabile<br />

ma pur sempre possibile, che « atteint le quorum réglementaire<br />

pour délibérer, si deux membres votent dans le méme sens, cela muffirà<br />

pour que l'assemblée toute entière soit censée avoir pris la décision préconisée<br />

par les deux votants » e questo anche indipendentemente dal<br />

fatto che « dès premier tour de scrutin, s'il s'agit d'une désignation,<br />

l'assemblée ait fait une désignation qui l'engagé tout entière » (JÈZE, 785).<br />

D'altra parte, computando la maggioranza sui presenti, ivi compresi<br />

gli astenuti, secondo la procedura seguita al Senato, si viene a conferire<br />

all'astensione un significato che essa non può avere, « in quanto atto<br />

giuridicamente diretto a non partecipare alla formazione di una maggioranza<br />

positiva o negativa, anche se è politicamente suscettibile di<br />

esprimere un atteggiamento particolare, [essa] non può essere assimilata<br />

alla manifestazione di volontà positiva o negativa, che si sostanzia nel<br />

voto » (F. COSENTINO, Astensione; Rassegna parlamentare, I, nr. 4,<br />

aprile 1959, 99).<br />

« Il voto, è opportuno rilevarlo, è caratterizzato - afferma sempre il CO­<br />

SENTINO - dall'essere il soggetto favorevole oppure contrario ad una certa tesi,<br />

come dimostrano, senza che vi sia bisogno di soffermarvisi ulteriormente, i<br />

regolamenti delle due Assemblee nel prescrivere le norme relative al significato<br />

del voto per ciascun tipo di votazione. Votanti sono, di conseguenza, coloro<br />

i quali, palesemente o segretamente, danno il proprio voto favorevole ovvero<br />

contrario all'oggetto della votazione, a cui essi soltanto quindi partecipano e<br />

non anche coloro che, astenendosi, rinunciano a valersi del diritto di dire sì o<br />

no e cioè, in sostanza, rinunciano a partecipare alla votazione ».<br />

Accertata in ultima analisi la natura non conforme all'art. 64 della<br />

Costituzione tanto del Regolamento della Camera quanto di quello del<br />

Senato in ordine alla determinazione del numero legale (vedi bibliogra-


Guida bibliografica 781<br />

fia capo VI) ed al computo della maggioranza nelle votazioni, è d'obbligo<br />

concludere che ambedue i regolamenti necessitano di una radicale<br />

modifica:<br />

« per essere entrambi adeguati alla lettera dell'art 64 della Costituzione,<br />

onde stabilire:<br />

a) che la maggioranza va computata sui presenti (salvo che la Costituzione<br />

non disponga altrimenti) compresi quindi gli astenuti e perfino gli indifferenti;<br />

b) che il numero legale va computato sulla base della metà più uno dei<br />

componenti di ciascuna Assemblea, senza detrazione alcuna di congedi o di<br />

assenti per missione ufficiale.<br />

Una modifica siffatta, tuttavia, accentuerebbe, soprattutto riguardo al<br />

problema della maggioranza, l'effetto assurdo che già si è visto può provocare<br />

l'inserimento degli astenuti tra i votanti, con l'aggravante di inasprire ancor<br />

più il conflitto fra soggetti attivi di volontà (votanti), e soggetti passivi di agnosticismo<br />

(astenuti) e perfino di indifferenza (presenti), fino al punto di rendere<br />

talvolta impossibile una decisione della Camera, come può accadere nel caso<br />

che nessuna delle due proposizioni eventualmente sottoposte al voto su un<br />

medesimo oggetto riporti la maggioranza.<br />

Di fronte a tale incongruità che urta contro i principi basilari del funzionamento<br />

degli organi rappresentativi, anche una Costituzione rigida non può<br />

non segnare il passo; ed ancor più ciò vale ove si ponga mente al procedimento<br />

di formazione della norma costituzionale di che trattasi, la cui oscura<br />

incertezza di origine giustifica appieno il difforme convincimento che ha finora<br />

indotto la Camera a disattenderla » (COSENTINO, Astensione cit., 99-100).<br />

Sull'argomento è tornato recentemente IGNAZIO FASO, Assenteismo<br />

ed astensione nel procedimento di formazione della volontà collegiale<br />

nel diritto costituzionale (Rassegna di diritto pubblico, XX, 1965, 49-120)<br />

il quale, in sede di esame dell'art. 64 Cost, dopo aver premesso che i<br />

due risultati alternativi della votazione sono costituiti dall'approvazione<br />

o dal rigetto della proposta, svolge le seguenti considerazioni:<br />

« Ciascun votante si dichiarerà quindi a favore o contro l'approvazione<br />

della proposta. Il risultato della votazione non sempre diviene contenuto della<br />

deliberazione. Infatti, mentre i due risultati possibili della votazione sono costituiti<br />

dalla prevalenza della tesi favorevole all'approvazione o dalla prevalenza<br />

della tesi favorevole al rigetto, perché il risultato della votazione si trasformi<br />

in conteneuto della deliberazione, secondo il precetto costituzionale, non è sufficiente<br />

la prevalenza aritmetica dei voti a favore su quelli contrari o viceversa,<br />

ma si richiede che il risultato della votazione sia costituito dalla somma<br />

dei voti omogenei espressi dalla maggioranza dei presenti. Può, tuttavia, verificarsi<br />

che una proposta sia approvata con una maggioranza inferiore a quella<br />

richiesta dalla Costituzione; in questa ipotesi la deliberazione deve considerarsi<br />

non valida, con la conseguenza che invalidità della deliberazione e rigetto della<br />

proposta coincidono. Ma questo risultato che favorisce il successo della tesi


782 Guida bibliografica<br />

contraria all'approvazione è anche esso difforme dal precetto costituzionale;<br />

infatti, equivalendosi sul piano degli effetti pratici invalidità della deliberazione<br />

e rigetto della proposta, viene imputata a volontà della Camera la volontà della<br />

fazione numericamente soccombente. Mentre sarebbe stato più logico stabilire,<br />

tanto per l'approvazione che per il rigetto della proposta, un esplicito voto della<br />

maggioranza dei presenti, anche prevedendo una seconda votazione nella ipotesi<br />

in cui nessuno dei possibili risultati avesse ottenuto il suffragio della prescritta<br />

maggioranza.<br />

La Costituzione, dunque, non ha previsto la terza ipotesi secondo la quale<br />

nessuno dei due risultati possibili ottenga la maggioranza e, stabilendo l'invalidità<br />

delle deliberazioni non adottate a maggioranza dei presenti, ha trasformato<br />

il principio maggioritario in principio minoritario, permettendo alle minoranze<br />

di provocare il rigetto delle proposte attraverso l'utilizzazione dei comportamenti<br />

astensionistici. Così, ad esempio, se, presenti 100 parlamentari, su<br />

una proposta in votazione, 45 di essi si pronunciassero a favore dell'approvazione,<br />

35 contro e 15 si astenessero, secondo l'art. 64 la deliberazione non sarebbe<br />

valida, idest la proposta dovrebbe considerarsi rigettata, permettendo<br />

alla minoranza di prevalere sulla maggioranza.<br />

L'aver omesso di disciplinare l'astensione come comportamento neutrale,<br />

utilizzabile solo ai fini della validità della seduta, comporta la grave conseguenza<br />

di costringere i parlamentari indecisi o incerti su una proposta a disertare<br />

l'aula ed a confondere la loro posizione con quella degli assenti involontari,<br />

modificando i rapporti di forza tra i vari gruppi parlamentari > (FASO,<br />

Assenteismo cit., 99-100).<br />

Concludendo, « la nostra Costituzione ha quindi operato un disconoscimento<br />

del diritto all'astensione dei parlamentari, implicitamente regolando<br />

le astensioni come forma di votazione negativa. L'astensione è,<br />

invece, l'estrinsecazione di un atteggiamento psicologico neutrale, rinunciatario,<br />

estraneo alla lotta per la prevalenza della volontà della maggioranza<br />

e della minoranza. Chi si astiene, infatti, può considerarsi tanto<br />

lontano dal volere il rigetto della proposta almeno quanto lo è dal volerne<br />

l'approvazione ».<br />

Quali i rimedi ?<br />

« Indicare, de iure condendo, una soluzione che ponga termine allo stridente<br />

contrasto tra precetto costituzionale e regolamenti e prassi delle due<br />

Camere non è compito specifico dell'interprete il quale, nello studio di qualsiasi<br />

istituto, non può fare astrazione dal dato positivo. Tuttavia ci sia consentito<br />

auspicare una riforma della norma costituzionale nel senso di escludere<br />

esplicitamente le astensioni, sotto qualsiasi forma, dal computo della maggioranza<br />

di approvazione. Basterebbe tornare alla formula dell'art 54 dello Statuto<br />

Albertino che richiedeva la " maggiorità di voti ", formula elastica che<br />

lasciava adito ai regolamenti delle Camere di chiarificare e di disciplinare, ciascuna<br />

autonomamente, l'interpretazione della volontà del collegio. Se, poi, ciascuna<br />

Camera volesse continuare a seguire una prassi diversa, ciò bene sarebbe<br />

consono al potere di autoregolamentazione ad essa concesso dalla Costituzione


Guida bibliografica 783<br />

e, come i differenti sistemi elettorali per l'elezione delle due Camere, costituirebbe<br />

una ulteriore non inutile differenziazione in seno alla struttura del sistema<br />

bicamerale » (FASO, 103).<br />

Tuttavia, né la proposta del Faso - esclusione delle astensioni dal<br />

computo della maggioranza di appprovazione - né la sottile distinzione<br />

tra astensione prima del voto ed astensione nel voto rilevata nel regolamento<br />

del Senato da L. GALATERIA (Astensione; Enciclopedia del Diritto.<br />

Milano 1958, III, 943-944), possono contribuire ad una soluzione<br />

logica della questione, perché sempre e comunque continuerebbe a sussistere<br />

eventualmente la minaccia del caso limite indicato dallo JÈZE, cui<br />

è possibile porre riparo, per conferire validità ad una votazione, solo<br />

mediante l'adozione di una clausola che già trova applicazione nel procedimento<br />

elettorale vigente in sistemi maggioritari uninominali e plurinominali,<br />

e precisamente, la richiesta di un quorum di voti omogenei<br />

per costituire maggioranza di approvazione o di reiezione della proposta<br />

su cui si delibera; accorgimento già indicato da WALTER JELLINEK (Forme<br />

di votazione negativa cit., 70-71), ed esplicitamente propugnato da<br />

FRANCO BEZZI ed ADOLFO TROISI, / conti delle Camere (H Mondo, VI,<br />

26 gennaio 1954, 1-2), secondo i quali appunto « il giusto temperamento<br />

potrebbe essere trovato in una norma che considerasse approvate le deliberazioni<br />

per le quali i voti favorevoli fossero in numero maggiore<br />

di quelli contrari, sempre che gli stessi voti favorevoli rappresentassero<br />

almeno un terzo di coloro che hanno comunque partecipato alla votazione,<br />

compresi quindi anche coloro che hanno dichiarato di astenersi ».<br />

Non è sufficiente pertanto la scelta di una soluzione alternativa tra una<br />

modifica dei regolamenti delle Camere e tra una revisione costituzionale,<br />

né più auspicabile - come ritiene il FURLANI (Numero legale; Novissimo<br />

Digesto Italiano. Torino 1965, XI, 513) - la seconda « per impedire soprattutto<br />

agli agnostici ed agli indifferenti di alterare la natura della<br />

reale manifestazione della volontà delle assemblee nel computo della<br />

maggioranza di approvazione e di reiezione », perché anche nel caso dell'esclusione<br />

degli astenuti dal numero dei votanti, la volontà dell'assemblea<br />

può essere eventualmente espressione non della maggioranza ma<br />

di una minoranza talora anche insignificante.<br />

Altri scritti su questioni pertinenti alle votazioni sono : H. BREIHOLDT,<br />

Die Abstimmung im Reichstag (Archiv des dffentlichen Rechts. Neue<br />

Folge, 10, 1926, 289-371); F. HAYMANN, Die Mehrheitsentscheidung, ihr<br />

Sinn und ihre Schranke (Festgabe fur Rudolf Stammler. Berlin-Leipzig<br />

1926, 395-476); P. DAGTOGLU, Kollegialorgane und Kollegialakte der<br />

Verwaltung. Stuttgart, 1960, che da pag. 136 a pag. 140 si occupa del-


784 Guida bibliografica<br />

l'astensione con richiami al diritto comparato; R. Tozzi CONDIVI, // computo<br />

degli astenuti alla Camera dei Deputati (Nuova rassegna di legislazione,<br />

dottrina e giurisprudenza, XV, 1959, 10-11), che sottolinea le<br />

motivazioni politiche di periodici richiami al regolamento da parte dell'opposizione<br />

per la qualificazione degli astenuti come votanti alla<br />

Camera.<br />

Sulle votazioni personali, per una determinazione dei concetti relativi,<br />

cfr. G. GUARINO, Deliberazione-nomina-elezione (Rivista italiana<br />

per le scienze giuridiche, 90, 1954, 73-100). Sulle schede bianche e su<br />

quelle nulle vedi: G. DE GENNARO, Quorum e maggioranza nelle camere<br />

parlamentari cit. (Rassegna di diritto pubblico, VI, 1951, 309-311); L.<br />

GALATERIA, Gli organi collegiali amministrativi. Milano, 1959, voi. II,<br />

120-122 e 133-138; P. DAGTOGLU, Kollegialorgane cit. Stuttgart 1960,<br />

141-143. U. GARGIULO, / collegi amministrativi. Napoli 1962, 232-233;<br />

I. FASO, Assenteismo ed astensione cit. (Rassegna di diritto pubblico,<br />

XX, 1955, 49-120, passim). Sulla particolare questione della durata del<br />

mandato dei membri italiani del Parlamento europeo per effetto dell'elezione<br />

intervenuta alla Camera ed al Senato cfr. MARIO ANGIOY, La verifica<br />

dei poteri nel Parlamento europeo ed il rinnovo della delegazione<br />

italiana (Rivista di diritto europeo, VI, 1966, 21-24).


CAPO XII.<br />

Per una sintetica visione del controllo parlamentare sul Governo e<br />

sulla pubblica amministrazione e sui mezzi della funzione ispettiva cfr.<br />

A. BRAGAGLIA, // sindacato parlamentare. Principii, norme, forme. Torino-Roma,<br />

1903; Gino PALLOTTA, // controllo politico del Parlamento sul<br />

Governo. Roma, 1954; Il controllo parlamentare sulla pubblica amministrazione<br />

con interventi di GIOVANNI CORSO, PIETRO GASPARRI, GIUSEPPE<br />

GUGLIELMI, MICHELE LA TORRE, COSTANTINO MORTATI, ONORATO SEPB<br />

e GIUSTO TOLLOY (Rassegna parlamentare, VII, 1965, 328-378); K.<br />

EICHENBERGER, Die Problematìk der parlamentarischen Kontrolle im<br />

Verwaltungsstaat (Schweizerische Juristen-Zeitung, 61, 1965, 269-273 e<br />

285-291); R. HELG, La haute surveìllance du parlement sur le gouvernement<br />

et l'administration (Zeitschrift fur schweizerisches Rechi, N. F., 85,<br />

1966, II, Halbband, 85-164); R. BAUMLIN, Die Kontrolle des Parlaments<br />

iiber Regierung und Verwaltung (Zeitschrift tur schweizerisches Recht,<br />

N. F., 85, 1966, II, Halbband, 165-319). Per dati sugli strumenti del controllo<br />

parlamentare in diversi ordinamenti stranieri cfr. la seconda parte<br />

della relazione di E. FELLOWES, L'étendue du contròie de Vaction gouvernementale<br />

par les Parlements (Union Interparlementaire. Informations<br />

constitutionnelles et parlementaires, 3* serie, Nr. 44, octobre 1960,<br />

200-217); e per indicazioni non limitate solo agli Stati Uniti d'America<br />

J. P. HARRIS, Congressìonal control of administration. Washington, 1964.<br />

Sulla interrogazione parlamentare, che costituisce il più immediato<br />

e più importante mezzo di controllo sull'attività politica governativa e<br />

sull'amministrazione pubblica, e che è sorta in Inghilterra dove, tuttavia,<br />

il significato tecnico della question congloba anche il nostro istituto dell'interpellanza,<br />

cfr. soprattutto, oltre naturalmente ai diversi manuali e<br />

commenti sulle procedure parlamentari nazionali, gli scritti dedicati recentemente<br />

a questo argomento da autori inglesi quali P. HOWARTH,<br />

Questions in the House. The history of a unique British Institution.<br />

London, 1956, che è una storia dell'istituto dal 1723, data della prima<br />

interrogazione documentata negli atti, al 1881, pregevole, tuttavia, maggiormente<br />

per l'esposizione del contenuto delle interrogazioni che non<br />

per l'esame delle questioni procedurali; e D. N. CHESTER - NONA BOWRING,<br />

32.


786 Guida bibliografica<br />

Questions in Parliament. Oxford, 1962, in cui oggetto dell'indagine è soprattutto<br />

la storia della procedura e l'uso delle norme attualmente vigenti<br />

alla Camera dei Comuni. Altri contributi di utile consultazione sulle<br />

interrogazioni nella prassi parlamentare inglese sono R. W. Me CULLOCH,<br />

Question time in the British House of Commons (American Politicai Science<br />

Review, 27, 1933, 971 segg.); K. BRADSHAW, Parliamentary Questions.<br />

A historical note (Parliamentary Affairs, VII, 1953-54, 317-326); N.<br />

JOHNSON, Parliamentary Questions and the conduct of Administration<br />

(Public Administration, 39, 1961, 131-148); J. P. HARRIS, Le interrogazioni<br />

parlamentari alla Camera dei Comuni (Studi in onore di Silvio<br />

Lessona. Bologna 1963, I, 387-425); R. D. BARLAS, Les questions orales<br />

au Parlement britannique (Union Interparlementaire. Informations constitutionnelles<br />

et parlementaires, 3 e sèrie, nr. 65, janvier 1966, 33-40); R.<br />

D. BARLAS, La Question Hour nel Parlamento britannico (Bollettino di informazioni<br />

costituzionali e parlamentari. Nuova serie. Roma, ^ Segretariato<br />

Generale della Camera dei Deputati, anno 17°, n. 2, 1966, 45-52).<br />

Fondamentale è l'opera di MICHEL AMELLER, Les questions instrument<br />

du contróle parlement air e. Paris, 1964, le cui pagine conclusive trovami<br />

anche ripubblicate nell'originale francese, in una rivista italiana (Montecitorio,<br />

XLX, n. 1-2, gennaio-febbraio 1965, 14-31). Sulle interrogazioni<br />

nell'ordinamento parlamentare italiano cfr. il capitolo di G. PALLOTTA,<br />

// controllo politico cit., 48-56; A. MOLA, Nascita, vita e avvenire delle<br />

interrogazioni alle Camere (Montecitorio, XI, n. 3, marzo 1957, 7-12); e<br />

le pagine di M. STRAMACCI nello scritto dedicato al diritto di interpellanza<br />

(Rassegna parlamentare, I, nr. 5, maggio 1959, 117-119); con particolare<br />

riguardo al Belgio, C. REMY, La question parlementaire orale (Res<br />

Publica, III, 1961, 161-168); nel Canada, H. W. WALKER, Question Time<br />

in Canada (Parliamentary Affaire, V, 1951-52, 461-468); nella Repubblica<br />

federale tedesca, N. JOHNSON, Questions in the Bundestag (Parliamentary<br />

Affaire, XVI, 1962-1963, 22-34); P. SCHINDLER, Die Funktion<br />

der Fragestunde des Deutschen Bundestages. Berlin, 1965; e sulla funzione<br />

delle interrogazioni in generale vedi E. FELLOWES, Kapport sur les<br />

moyens d'obliger les Gouvernements à repondre aux questions posées<br />

par les membres des Assemblées parlementaires (Union Interparlementaire.<br />

Informations constitutionnelles et parlementaires, 3 e sèrie, nr. 4,<br />

15 novembre 1950, 201-208).<br />

Sul diritto di interpellanza vedi ANTONIO BRAGAGLIA, // sindacato<br />

parlamentare. Torino-Roma 1903, 141-148; HANS LUDWIG ROSEGGER,<br />

Dos parlamentarische Interpellationsrecht. Leipzig 1907, che, dopo una<br />

parte generale sulla natura, sul fine, sull'oggetto e sulla configurazione


Guida bibliografica 787<br />

giuridica dell'interpellanza, ne esamina la particolare procedura in Germania<br />

ed in Prussia, in Austria, in Francia ed in Gran Bretagna; V.<br />

MICELI, Interpellanza parlamentare (Enciclopedia Giurìdica italiana,<br />

Milano 1913, Vili - parte II, 682-704); J. HATSCHEK, DOS Interpellationsrecht<br />

im Rahmen der modernen Ministerverantwortlichkeit.<br />

Leipzig 1909, che esamina l'istituto dal punto di vista del diritto<br />

comparato ivi compreso l'ordinamento italiano da pag. 47 a pag. 66;<br />

G. PALLOTTA, // controllo politico cit. Roma 1954, 57-70; M. STRA-<br />

MACCI, Interpellanza (Diritto di); (Rassegna parlamentare, I, n. 5,<br />

maggio 1959, 110-130). Per informazioni sulla procedura oggi vigente<br />

in singoli Parlamenti vedi A. GWIZDZ, Les interpellations<br />

(Union Interparlementaire. Informations constitutìonnelles et parlementaires,<br />

3 e sèrie, n. 53, janvier 1963, 20-41), che reca anche nelle<br />

ultime due pagine una utile nota bibliografica suddivisa per paese;<br />

ed, in particolare, per la procedura seguita allo SEJM, cfr. ST.<br />

SKRZESZEWSKI, Le interpellanze parlamentari alla Dieta polacca (Montecitorio,<br />

XVI, n. 3-4, marzo-aprile 1962, 37-39); e per quella al Soviet<br />

Supremo dell'URSS, D. N. BACHRACH, O deputatskom zaprose (Sovetskoe<br />

Gosudarstvo i Pravo, settembre 1960, nr. 9, 100-104). Sulle mozioni<br />

vedi A. BRAGAGLIA, // sindacato parlamentare cit. Torino-Roma, 1903,<br />

149-159; G. PALLOTTA, // controllo politico cit. Roma 1964, 71-86; M.<br />

STRAMACCI, Interpellanza cit.; (Rassegna parlamentare, I, nr. 5, maggio<br />

1959, 122-124). Sulle mozioni di fiducia e di sfiducia ex art. 94 Cost.<br />

vedi F. MOHRHOFF, Rapporti fra Parlamento e Governo nella Costituzione<br />

italiana (Scioglimento delle Camere - Questione di fiducia). Milano,<br />

1953; E. SA<strong>IL</strong>IS, Rapporto fiduciario fra Governo e Camere nel<br />

regime parlamentare (Istituto di scienze giuridiche, economiche e politiche<br />

della Università di Cagliari. Studi economico-giuridici. Padova 1953,<br />

XXXVI, 1952-53, 275-279); G. PALLOTTA, // controllo politico cit. Roma,<br />

1954, 71-86; L. PRETI, // Governo nella Costituzione italiana. Milano,<br />

1954, 175 segg.; A. GIANNINI, Sul voto di fiducia (Rivista amministrativa<br />

della Repubblica Italiana, 105, 1954, 381-387); GIOVANNI CONTI, La questione<br />

di fiducia nel sistema della Costituzione (La Politica parlamentare,<br />

VIII, 1955, 65-66); M. STRAMACCI, Interpellanza cit. (Rassegna parlamentare,<br />

I, nr. 5, maggio 1959, 124-125); L. ELIA, Mozione di fiducia nei<br />

confronti di un Governo al quale la fiducia sia già stata accordata (Giurisprudenza<br />

costituzionale, V, 1960, 416-420).<br />

Sulla posizione della questione di fiducia è controversa in dottrina<br />

la questione se la disciplina fissata dall'art. 94 Cost. attraverso la presentazione<br />

di una mozione votata per appello nominale sia tassativa-


788 Guida bibliografica<br />

mente vincolante in modo da escludere ogni richiesta da parte del Governo<br />

di un voto di fiducia su un oggetto particolare sottoposto all'esame<br />

delle Camere. Secondo VINCENZO SICA, La fiducia nel sistema parlamentare<br />

italiano (Studi in onore di G. M. De Francesco. Milano 1957, voi. I,<br />

605-626):<br />

« L'art. 94 disciplina il rapporto fiduciario sia materialmente, vincolando<br />

la fiducia e la sua revoca ad una valutazione dell'indirizzo politico del Governo,<br />

attraverso la mozione motivata, sia formalmente, prescrivendo particolari modalità<br />

in genere, quali la votazione per appello nominale e, specificamente per<br />

la mozione di sfiducia, la sottoscrizione di almeno un decimo dei componenti<br />

della Assemblea e la sua discussione successiva per lo meno di tre giorni alla<br />

sua presentazione. Da tale disciplina non è deducibile, però, alcun vincolo o<br />

limite relativamente alla richiesta da parte del Governo di un voto di fiducia<br />

collegato ad una questione particolare. Le condizioni sancite riguardano l'iniziativa<br />

dell'Assemblea e non quella eventuale del Governo, al quale deve essere<br />

lasciata, coerentemente ai princìpi del sistema, piena libertà nella sua «zione<br />

politica ed innanzitutto, quindi, nella sua relazione col Parlamento » (623-624).<br />

Questa argomentazione non è tuttavia condivisa pacificamente da<br />

altri autori che si sono occupati della questione. Secondo ROMOLO<br />

ASTRALDI, L'ostruzionismo parlamentare e la questione di fiducia (Roma<br />

economica, VI, 1953, 67-73) il dettato costituzionale non lascia adito<br />

a dubbi ed alla domanda se le nuove norme hanno innovato sulla prassi<br />

formatasi sulla questione di fiducia durante l'ordinamento precedente<br />

egli risponde senza ambiguità:<br />

< Bisogna riconoscere di sì, perché a differenza dello Statuto Albertino<br />

che taceva completamente al riguardo, ha regolato la materia in un apposito<br />

articolo, il 94, stabilendo che "il Governo deve avere la fiducia delle due Camere<br />

" e che " la Camera l'accorda o la revoca mediante mozione motivata e<br />

votata per appello nominale ". Non solo, ma la Costituzione ha voluto anche<br />

fissare le modalità di posizione della questione e della votazione. Essa deve<br />

essere presentata con una mozione, di fiducia o di sfiducia motivata e, quella<br />

di fiducia, firmata da almeno un decimo dei componenti dell'Assemblea. La<br />

discussione può avvenire soltanto tre giorni dopo la sua presentazione e la votazione<br />

esclusivamente per appello nominale, il che è intuitivo, perché il Capo<br />

dello Stato, ai fini della risoluzione della crisi, deve conoscere i nomi di tutti<br />

gli oppositori. Ha poi annesso soltanto al voto contrario di una mozione di<br />

fiducia o viceversa, l'obbligo per il Governo di dimettersi, in quanto ha soggiunto<br />

che un voto contrario su di una proposta del Governo non importa<br />

un tale obbligo. Ed infine la Costituzione ha anche determinato il tempo in cui<br />

il Governo è obbligato ad ottenere la fiducia alla Camera: entro dieci giorni<br />

dalla sua formazione.<br />

Tutte queste modalità sono state ripetute nei Regolamenti della Camera<br />

dei Deputati (art. 131) e del Senato (art 114)


Guida bibliografica 789<br />

Ciò, premesso, domandiamoci, ponendoci da un punto di vista esclusivamente<br />

giuridico, se e quali conseguenze si possono trarre dal senso letterale di<br />

tale disposizione della Costituzione.<br />

Innanzi tutto quella che essa ha voluto riservare alle Camere il diritto<br />

di provocare un voto di fiducia o sfiducia; ha infatti parlato di " mozione " e le<br />

mozioni le presentano i deputati e non il Governo; ha usato la locuzione che<br />

il Governo all'atto della formazione si presenta alla Camera per "ottenere"<br />

la fiducia sul suo programma e non già per chiederla; ha aggiunto che il voto<br />

contrario su una proposta del Governo non importa l'obbligo delle dimissioni;<br />

obbligo invece che nella prassi parlamentare, oggi a questo riguardo codificata<br />

nella Costituzione, la quale dice espressamente (art. 94) che il Governo deve<br />

avere fiducia delle due Camere, è stato sempre ed è insito ed inseparabile dalla<br />

questione di fiducia.<br />

Da ciò discende un'altra conseguenza: quella che la Costituzione ha cancellato<br />

tutta la prassi formatasi sotto l'impero dello Statuto Albertino circa il<br />

diritto di scelta da parte del governo dell'argomento su cui porre la fiducia:<br />

l'argomento non può essere che una mozione, altrimenti non avrebbe senso la<br />

disposizione suddetta che il voto contrario su ogni proposta di governo non<br />

ha l'effetto dell'obbligo delle dimissioni. Mancando un tale obbligo rimane<br />

esclusa la possibilità di porre su qualsiasi proposta la fiducia, in quanto sfiducia<br />

e dimissioni sono due entità inseparabili del così detto governo di gabinetto.<br />

In queste condizioni non può avere un significato ed una efficacia giuridica<br />

la dichiarazione del governo di porre la questione di fiducia sopra un<br />

articolo di legge o un emendamento e tanto meno sopra un intero disegno<br />

di legge e per di più con esclusione di emendamenti. Infatti « dove la legge<br />

volle disse » e la Costituzione invece non solo ha taciuto, ma ha dettato disposizioni<br />

incompatibili con una diversa interpretazione perché è ovvio che,<br />

se avesse voluto accogliere tutta la precedente prassi, avrebbe soggiunto che<br />

il Governo ha sempre il diritto, indipendentemente da una mozione, di porre<br />

di sua iniziativa la questione di fiducia e su qualsiasi argomento oggetto di<br />

una deliberazione.<br />

Ma vi è di più. La mozione, anche se il regolamento non la definisce,<br />

altro non è se non un invito al Governo di prendere una deliberazione o di<br />

adottare un provvedimento, di assumere la responsabilità di compiere determinati<br />

atti e simili e, nel caso di fiducia, un invito al Governo di rimanere,<br />

di andarsene invece in quello di sfiducia: pertanto se, come espressamente stabilisce<br />

la Costituzione, la fiducia o la sfiducia non possono estrinsecarsi se<br />

non attraverso una mozione, ne consegue che il Governo - dato e non concesso<br />

che abbia il diritto di determinare l'argomento di estrinsecazione della<br />

fiducia - mai potrebbe porla su articoli di legge o su emendamenti. Non solo,<br />

ma di fronte alla precisa disposizione della Costituzione, ciò non potrebbe<br />

nemmeno essere consentito a un deputato o senatore in una mozione, che<br />

essi presentassero, in quanto non ha senso un invito al Governo di approvare un<br />

progetto di legge da lui presentato dato che spetta alla Camera di deliberare.<br />

E, a fortiori, sarebbe un non senso giuridico la questione di fiducia con significato<br />

di approvazione di un intero testo di legge con preclusione di emendarlo,<br />

per la impossibilità di annullare il diritto del Parlamento di discutere


790 Guida bibliografica<br />

ed eventualmente di emendare un testo di legge, diritto consacrato dalla Costituzione<br />

e dal Regolamento e che costituisce la fondamentale essenza della<br />

sua funzione.<br />

È vero che, vigendo l'attuale Costituzione, già una volta il Governo credè<br />

di porre la fiducia in occasione della revisione del trattamento degli statali.<br />

Ma sta di fatto che in questo caso si trattò di fiducia sulla proposta di un<br />

deputato, l'on. Bettiol, diretta a contenere l'importo globale della maggiore<br />

spesa in una determinata cifra e quindi la votazione di essa, con una interpretazione<br />

lata della norma della Costituzione, poteva in qualche modo equipararsi<br />

b riportarsi a quella di una mozione di fiducia mentre il caso della<br />

legge elettorale, assolutamente nuovo nella forma e negli effetti, era del tutto<br />

diverso trattandosi di fiducia su di un testo di legge presentato dal Governo<br />

stesso e che era quindi impossibile ricondurre o per analogia o per interpretazione<br />

lata sotto la forma di mozione.<br />

Né può reggere il paragone che è stato fatto con la questione di fiducia<br />

posta più volte su testi di disegni di legge dal governo francese all'Assemblea<br />

Nazionale, perché la nuova Costituzione francese del 27 ottobre 1946 non<br />

contiene una norma come quella dell'art 94 della nostra Costituzione ed<br />

anzi stabilisce espressamente (art. 49) che la questione di fiducia deve essere<br />

promossa dal Presidente del Consiglio e all'Assemblea consente soltanto di<br />

proporre una mozione di censura, il cui voto favorevole comporta le dimissioni<br />

del Gabinetto (art. 50).<br />

Tale essendo la posizione giuridica e costituzionale della questione, non<br />

rimane che prendere atto con compiacimento della dichiarazione fatta dal<br />

Presidente del Consiglio nella seduta del 17 gennaio u. s. alla Camera che<br />

e il Governo aveva richiesto la fiducia solo quando si era trovato di fronte<br />

non più al rallentamento, ma al sabotaggio della macchina legislativa e che<br />

pur essendo, la procedura proposta, doverosa e lecita, era usata in un momento<br />

eccezionale ed egli ne sentiva profondamente, nella sua coscienza, i<br />

limiti ». Ragioni dunque esclusivamente di ordine politico hanno indotto il<br />

Governo a ricorrere ad un atto che doveva essere considerato soltanto -<br />

sono anche queste parole dell'on. De Gasperi - « quale mezzo, quale strumento<br />

per permettere alla Camera di riaffermare la sua fede nella vitalità<br />

del Parlamento e nella democrazia > (ASTRALDI, 72-73).<br />

Concorda con questa interpretazione anche ARNALDO DE VALLES,<br />

Limiti che pone la questione di fiducia da parte del Governo (Rivista<br />

amministrativa, 105, 1954, 614-617):<br />

« La nostra Costituzione si riattacca assai poco allo statuto albertino;<br />

anzi è sorta in opposizione ad esso, e in opposizione ai principi che erano<br />

prevalsi durante il ventennio fascista; principi che volevano una supremazia<br />

dell'esecutivo sul legislativo, della « gerarchia • sulla rappresentanza popolare.<br />

Perciò non può essere invocata la tradizione, sviluppatasi nel clima politico<br />

del tutto diverso, del periodo anteriore al fascismo; e tanto meno la norma<br />

può essere interpretata in base a concezioni apertamente sconfessate.<br />

Il porre la questione di fiducia sopra un dato progetto di legge costituisce<br />

indubbiamente una interferenza del potere esecutivo sul potere legista-


Guida bibliografica 791<br />

tivo; in quanto: a) limita la libertà di questo, in quanto costringe le Camere<br />

ad esaminare, insieme ad una questione legislativa, la questione politica<br />

di una eventuale crisi del gabinetto; subordinando anzi la prima alla seconda:<br />

b) provoca un voto di fiducia o di sfiducia evitando che esso sia preceduto<br />

da una discussione di politica generale, eludendo anche il termine stabilito<br />

dall'ultimo comma dell'art 94.<br />

Questo complesso di effetti, che aggiunge alla mozione di sfiducia prevista<br />

dall'art. 94 della Costituzione un altro mezzo, dallo stesso articolo non<br />

previsto, mi sembra non possa essere consentito. L'antico brocardo: lex libi<br />

voluit dixit, ubi noluit tacuit, che contiene un principio di interpretazione<br />

tuttora vigente, deve trovare applicazione anche in una materia cosi delicata,<br />

in cui quanto la norma dice manifesta la volontà del legislatore di svincolarsi<br />

dal sistema tradizionale, che collegava il voto di fiducia con una proposta<br />

governativa, per porlo invece come conseguenza di un riesame della politica<br />

generale.<br />

Già precedentemente, in tutti i paesi a regime parlamentare, questo sistema<br />

aveva ricevuto delle attenuazioni, che palesavano la tendenza ad evitare<br />

che il voto sulla fiducia al governo compromettesse definitivamente una proposta<br />

di legge; ed infatti la questione di fiducia veniva - e viene solitamente<br />

anche oggi - posta su proposte di ordine secondario e formale: sospensioni,<br />

rinvìi, ecc. Forse un istintivo senso di correttezza portava a separare la funzione<br />

amministrativa, della conferma o della sostituzione di un Governo, dalla<br />

funzione legislativa, insita nell'approvazione o nel rigetto di una proposta<br />

di legge.<br />

La discussione che ha preceduto la formulazione di quello che poi è<br />

diventato l'art 94 della Costituzione conferma due punti, che emergono chiari<br />

dal testo adottato: 1) svincolare il voto sulla fiducia da una particolare proposta,<br />

che non la concretasse specificatamente; 2) dare alla discussione ed al<br />

voto carattere generale e particolare solennità (615-616).<br />

Concludendo, l'autore assume che la Costituzione italiana<br />

e abbia voluto escludere che il Governo possa esercitare una interferenza<br />

così determinante sulla funzione legislativa, da alterare il principio della<br />

separazione, che domina la nostra Costituzione; tanto che qualcuno ha potuto<br />

parlare di ricatto del Governo al Parlamento.<br />

Questa mia affermazione non esclude che il Governo possa, sempre<br />

quando lo ritenga opportuno, saggiare gli umori del Parlamento, e richiedere<br />

una votazione sulla fiducia, che deve sempre avere, come dice il primo<br />

comma dell'art. 94. Ma per far questo deve proporre, o far proporre, una apposita<br />

mozione, separata dalla discussione sopra una specifica proposta. Si<br />

potrà consentire che la proposta della mozione possa esser fatta, prescindendo<br />

da qualsiasi quorum di proponenti; non che si possa eludere il termine di<br />

tre giorni per iniziare la discussione, la prescrizione dell'appello nominale;<br />

soprattutto che si possa discutere della politica generale, a proposito di una<br />

specifica proposta.<br />

Questa elusione altera il limite tra i singoli poteri; altera il procedimento<br />

di approvazione o di rigetto di una proposta di legge, facendovi Inter-


792<br />

Guida bibliografica<br />

venire elementi estranei alla valutazione del Parlamento sulla proposta di<br />

legge; per questo, secondo me, è contraria alla norma costituzionale, interpretata<br />

secondo i principi vigenti nel nostro diritto » (617).<br />

Questa opinione relativa ad una rigorosa interpretazione ad litteram<br />

dell'art. 94 Cost. è stata confutata da FEDERICO MOHRHOFF {Rapporti<br />

fra Parlamento e Governo nella Costituzione italiana. Milano, 1953,<br />

88-92) con l'ausilio dei seguenti argomenti:<br />

« La Costituzione non ha espressamente disciplinato il caso in cui il<br />

Governo, dopo aver ottenuta la fiducia all'atto della sua formazione e senza<br />

che sia stata presentata una mozione di sfiducia, volendo essere confortato<br />

dal voto politico dell'Assemblea, ponga esso la questione di fiducia su una<br />

« risoluzione » (ordine del giorno o mozione di fiducia) conclusiva di una discussione<br />

politica già avvenuta.<br />

Il silenzio della Costituzione deve essere interpretato in favore dell'ommissibilità<br />

della questione di fiducia su di ordine del giorno, per le seguenti<br />

ragioni, che discendono dalla lettera e dallo spirito della Costituzione, dai<br />

principi generali del diritto e dalla consuetudine costituzionale e parlamentare:<br />

a) La Costituzione contiene norme generali e principi di massima, mentre<br />

la disciplina dei singoli problemi e tutte le disposizioni di carattere esecutivo<br />

sono deferite alla legislazione ordinaria, che integra le norme costituzionali,<br />

o alla consuetudine parlamentare, che interpreta tali norme costituzionali.<br />

La Costituzione, quindi, se non prevede espressamente che su di un<br />

ordine del giorno conclusivo di una discussione politica il Governo possa<br />

porre la questione di fiducia, nemmeno espressamente o implicitamente<br />

esclude che ciò possa farsi, - non avendo dettato disposizioni incompatibili<br />

con una diversa interpretazione - per cui il Governo ha sempre la facoltà<br />

di porre di sua iniziativa la questione di fiducia su qualsiasi argomento oggetto<br />

di una deliberazione.<br />

b) Esiste una assoluta identità concettuale fra la mozione di fiducia,<br />

conseguente alle dichiarazioni di un Governo di nuova formazione, e qualsiasi<br />

strumento procedurale - ordine del giorno di fiducia - su cui il Governo<br />

pone la questione di fiducia al termine di una qualsiasi discussione<br />

politica.<br />

e) Qualora si volesse demandare la soluzione del problema alla consuetudine<br />

costituzionale, i precedenti in materia dimostrano che, in occasione<br />

della presentazione di o.d.g., sui quali il Governo ha posto la questione di<br />

fiducia ne è stata ammessa la proponibilità, con conscguente discussione e<br />

votazione di tali o.d.g., cioè la questione è stata già risolta in maniera<br />

autonoma dal Parlamento, il quale si è pronunciato per l'ammissibilità della<br />

questione di fiducia su un o.d.g.<br />

d) Un raffronto con altre Costituzioni, limitato per il momento a<br />

quella francese, dimostra che la questione di fiducia può porsi ed è stata<br />

posta in Francia su qualsiasi ordine del giorno. Ci riferiamo espressamente<br />

alla Costituzione francese del 27 ottobre 1946, le cui norme contenute negli<br />

artt 49 e 50 sono configurate in modo analogo a quelle dell'art 94 della


Guida bibliografica 793<br />

Costituzione italiana, salvo alcune differenze che non incidono sul contenuto<br />

dell'istituto, ma rivelando una più rigida razionalizzazione, riflettono la di»<br />

sciplina di aspetti procedurali, quali la obbligatorietà della preventiva deliberazione<br />

del Consiglio dei Ministri prima che sia posta la questione di fiducia,<br />

la richiesta della maggioranza assoluta dei componenti per il rifiuto<br />

della fiducia e la diversità di durata di termine per la discussione e votazione.<br />

Risolto affermativamente il primo quesito sull'ammissibilità della questione<br />

di fiducia su d'un o.d.g., in relazione al disposto dell'art 94 della<br />

nostra Costituzione, ne derivano i seguenti corollari di natura prevalentemente<br />

procedurale:<br />

a) Per il suo carattere pregiudiziale o preliminare: la priorità dello<br />

esame e votazione dell'o.d.g. di fiducia rispetto a tutti gli altri o.d.g. anche<br />

se precedentemente presentati. I precedenti parlamentari stabiliscono che l'o.d.g.<br />

su cui è posta la questione di fiducia ha la priorità su tutti gli altri, anche<br />

su quello puro e semplice in quanto costituisce una pregiudiziale a qualsiasi<br />

altra pregiudiziale; se, infatti, il Governo fosse obbligato a dimettersi in seguito<br />

ad una votazione di sfiducia, l'ulteriore prosecuzione del dibattito sarebbe<br />

preclusa fino a che un nuovo Governo non si presenti alla Camera.<br />

b) Agli effetti della discussione: l'inemendabilità del testo sul quale<br />

è posta la fiducia, cioè preclusione allo svolgimento di emendamenti.<br />

e) Agli effetti della votazione:<br />

1) la inscindibilità del testo sul quale è stata posta la fiducia ossia<br />

non possibilità di votazione per divisione (art 131 Reg. Camera);<br />

2) la votazione per appello nominale del testo sul quale è stata<br />

posta la fiducia » (88-92).<br />

Codesta interpretazione su cui concordano anche altri autori indicati<br />

dal DE VALLES, Limiti cit. (Rivista amministrativa, 105, 1954,<br />

614-615) e L. PRETI, // Governo nella Costituzione italiana. Milano,<br />

1954, 177-179, ha sancito la qualificazione sostanziale quali mozioni degli<br />

ordini del giorno di fiducia o di sfiducia votati per appello nominale,<br />

sì da porre la questione, come scrive il LONGI, Sulle mozioni e gli ordini<br />

del giorno di fiducia e di sfiducia (negli Scritti vari in materia costituzionale<br />

cit. Milano 1953, 31), nei seguenti termini:<br />

11) ove manchino mozioni di sfiducia, un ordine del giorno di fiducia<br />

puro e semplice o motivato altro non è che una mozione, e ne segue la procedura<br />

(votazione per appello nominale). Di fronte ad esso, in caso di votazione,<br />

decadono gli altri ordini del giorno di sfiducia che fossero stati presentati<br />

nel corso di una qualsiasi discussione.<br />

2) ove manchino mozioni e inoltre ordini del giorno di fiducia, qualunque<br />

ordine del giorno presentato durante qualsiasi discussione, anche con<br />

biasimo aperto e motivato della politica del governo, potrà essere posto in<br />

votazione, sempre col vincolo dell'appello nominale e purché, evidentemente,<br />

abbia un riferimento alla materia in esame.<br />

£ ovvio perciò che, in sede di discussione su comunicazioni politiche<br />

del governo, ove ricorrano le suddette condizioni che permettono la vota-


794 Guida bibliografica<br />

zione dell'ordine del giorno contenente sfiducia, questo non è altro che una<br />

relativa mozione, con la semplice differenza di essere immediatamente sottoponibile<br />

al voto. Infatti, quando il Governo stesso accetti o promuova una<br />

discussione il cui oggetto, per sua natura, implichi problemi di fiducia o di<br />

sfiducia, esso non può invocare la garanzia dei tre giorni di intervallo tra<br />

presentazione e votazione ».<br />

Motivo di contestazione è tuttora la posizione della questione di fiducia<br />

da parte del Governo « su un voto inerente al procedimento legislativo,<br />

e in connessione con un oggetto determinato, non implicante in<br />

sé stesso, né esplicitamente comprensivo di alcuna dichiarazione di fiducia<br />

o di sfiducia nel Governo », non in quanto la posizione stessa sia<br />

inammissibile, ma per la sua irrilevanza costituzionale che sussiste tutte<br />

le volte che non si ricorre allo strumento della mozione di fiducia o di<br />

sfiducia votate per appello nominale, come ebbe a sostenere Lucio Luz-<br />

ZATTO, // voto di fiducia al Governo e Vordinamento costituzionale<br />

(Mondo operaio, Nuova serie, V, nr. 4, 16 febbraio 1952, 12-13) :"<br />

« Il Governo può e porre la questione di fiducia », può, cioè, avvertire<br />

che ha deciso di rassegnare le dimissioni nel caso di un determinato esito di<br />

un voto: nessuno può impedirgli di fare alle Camere una comunicazione di<br />

tal genere. Ma tale comunicazione non ha alcuna rilevanza costituzionale -<br />

né, quindi, regolamentare. È un fatto politico : un fatto che attiene al e costume<br />

», di cui parlava l'8 gennaio 1947 l'on. Mortati; il costume che l'art 94<br />

della Costituzione indica, non dovrebbe indulgere a tal pratica, che era del<br />

vecchio ordinamento costituzionale e parlamentare, non è proprio di quello<br />

che vige nella Repubblica Italiana dal 1° gennaio 1948. Tuttavia lo può fare,<br />

può essendo ciò atto veramente politico, non previsto dal nostro diritto pubblico,<br />

non fornito di alcun effetto giuridico, estraneo alla Costituzione ed<br />

estraneo al Regolamento della Camera dei Deputati, tale dichiarazione del<br />

Governo non può avere alcun effetto regolamentare. Il voto in corso resterà,<br />

dal punto di vista regolamentare, quello che è, anche dalla dichiarazione<br />

del Governo di volervi collegare, come si diceva un tempo, e oggi impropriamente<br />

si ripete, la • questione di fiducia », acquisterà particolare importanza<br />

politica. Di conseguenza si voterà come il Regolamento della Camera stabilisce<br />

per quel caso, e secondo il procedimento della discussione che il Regolamento<br />

stabilisce, senza fare cenno alcuno di una diversa disciplina per<br />

il fatto di una determinata dichiarazione governativa.<br />

Questo mi sembra sia senza dubbio il disposto del nostro ordinamento<br />

costituzionale vigente. Se il Governo potesse sempre alterare il procedimento<br />

dei lavori parlamentari con proprio atto, gravi conseguenze ne deriverebbero<br />

sul piano politico, ma, sul piano giuridico, conseguenze semplicemente impossibili.<br />

Nel caso di voto sul complesso di un disegno di legge, ad esempio,<br />

è noto che deve votarsi a scrutinio segreto, e certo non potrebbe imporre<br />

il voto nominale la questione di fiducia, che pure, politicamente, potrebbe il<br />

Governo enunciare anche in tal caso. Il procedimento del voto nominale, di<br />

fiducia o di sfiducia, con effetto costituzionale, è sol quello dell'art 94 della


Guida bibliografica 795<br />

Costituzione, dell'art. 131 del Regolamento della Camera. Fuori di questo<br />

caso, si è in campo veramente politico; e per il retto funzionamento della<br />

Assemblea legislativa, per la garanzia delle minoranze, per la certezza del<br />

diritto, non possono applicarsi in fatto di Regolamento, se non le norme tassative<br />

dal Regolamento stesso esplicitamente stabilite, senza estensioni analogiche<br />

inconcepibili in tema di norme eccezionali e speciali > (13).<br />

Argomentazione che è stata con maggiore analisi degli elementi particolari<br />

recentemente sviluppata da FLAVIO COLONNA, La « fiducia » e<br />

il voto per appello nominale (Democrazia e Diritto, VII, 1966, 430-436) :<br />

t Infatti quando il governo dichiara che pone la « questione di fiducia ><br />

vuol dire che egli dichiara che se le Camere voteranno in modo a lui sfavorevole<br />

egli ne trarrà delle conseguenze politiche (che possono anche non<br />

essere le dimissioni). Questa dichiarazione ha un preciso significato: il governo,<br />

considerata l'importanza della questione all'esame delle Camere, rifiuta<br />

di avvalersi delle garanzie a suo favore previste dall'art 94 e rende determinante<br />

il voto delle Camere per la sua sopravvivenza. Egli non chiede la<br />

fiducia; ce l'ha già; il voto contrario delle Camere non può significare revoca<br />

della fiducia perché costituzionalmente (art. 94) non comporta obbligo di dimissioni.<br />

In conclusione il governo assume un impegno che può essere considerato<br />

solo politico e non giuridico a dimettersi. In sostanza il discorso che<br />

il governo fa alle Camere è del seguente tenore: io godo la vostra fiducia,<br />

il voto che voi state per dare, anche se a me sfavorevole, non mi obbliga<br />

a dimettermi, tuttavia, poiché io considero essenziale per poter continuare<br />

la mia attività, avere sulla questione al vostro esame, qualificante per il mio<br />

programma politico, un voto favorevole, vi avverto, che se vi sarà un voto<br />

contrario io mi dimetterò. Con ciò, il governo assume un impegno politico.<br />

In ipotesi, infatti, se, a seguito del voto contrario su una proposta sulla<br />

quale è stata posta la questione di fiducia, il governo non si dimettesse potrebbe<br />

continuare la sua attività fino a che non intervenisse una mozione di<br />

sfiducia votata ai sensi dell'art. 94. Solo in quel caso, infatti, vi è l'obbligo<br />

costituzionale di dimettersi.<br />

Qualcuno potrebbe anche sostenere che avendo posto la questione di<br />

fiducia il governo assume l'obbligo anche giuridico-costituzionale di dimettersi<br />

in caso di votazione a lui sfavorevole. In questo caso è però comunque evidente,<br />

che esso rinuncia a usufruire delle garanzie previste dall'art 94. Qualunque<br />

sia, perciò, il valore che si vuole attribuire all'impegno del governo<br />

a dimettersi, resta comunque chiaro che, ponendo la questione di fiducia,<br />

il governo mette in atto un meccanismo notevolmente diverso nella sua sostanza,<br />

anche se può divenire uguale nel risultato, da quello previsto dall'art<br />

94.<br />

Se questo è vero ne deriva che a proposito della e questione di fiducia »<br />

non è possibile mettere in atto nessuna delle procedure previste per la votazione<br />

della mozione di sfiducia, e, per quello che ci interessa, ritenere doverosa<br />

la votazione per appello nominale. Questa è voluta per garantire il<br />

governo da improvvisi « assalti alla diligenza > e per responsabilizzare i parlamentari<br />

al momento in cui si assumono la responsabilità di far cadere il


796 Guida bibliografica<br />

governo nelle forme previste dalla Costituzione, ma non ha nessuna base<br />

costituzionale quando il governo a quelle forme di garanzia rinuncia con il<br />

rischio di una votazione diciamo cosi « allo scoperto ».<br />

Né si può dire che il voto per appello nominale è sempre connesso alla<br />

concessione o alla revoca della fiducia, e pertanto deve essere usato anche<br />

quando viene posta la « questione di fiducia ». In questo caso, infatti, la conseguenza<br />

delle dimissioni viene tratta dal governo nell'ambito della sua valutazione<br />

autonoma e discrezionale e non è dovuta alla determinazione spontanea<br />

della Camera che non condivide più la politica governativa. In pratica<br />

il discorso che può fare la maggioranza è di questo tenore: « io continuo<br />

ad avere fiducia in te; non sono d'accordo su questo determinato provvedimento<br />

e non provoco una mozione di sfiducia, per me puoi continuare a<br />

governare, se poi vuoi dimetterti, la responsabilità delle dimissioni è completamente<br />

tua. Io non ti nego la fiducia, e non ti obbligo a dimetterti (se<br />

ciò volessi presenterei e voterei una mozione di sfiducia). Se tu politicamente<br />

ritieni di non potere continuare a governare, queste sono considerazioni nel<br />

merito delle quali io non posso e non voglio entrare » (433-434).<br />

In altre parole, la questione di fiducia così posta non è assimilabile<br />

all'istituto della fiducia previsto dalla Costituzione e ad essa non sono<br />

applicabili le condizioni fissate all'art. 94:<br />

« Quale è allora la disciplina applicabile ? Non vi è alcun dubbio che<br />

sia quella prevista dai Regolamenti delle Camere e, in mancanza, dalla prassi<br />

istituitasi, salva in quest'ultima ipotesi, una diversa statuizione delle singole<br />

assemblee. Infatti, come si torna a ripetere, nella Costituzione questo caso<br />

non è previsto. £ poiché neanche i Regolamenti - sia quello della Camera,<br />

che quello del Senato - trattano la questione, sembrerebbe che si possa fare<br />

riferimento unicamente alla prassi, e per quanto riguarda la Camera, alle decisioni<br />

prese da quella Assemblea nella seduta del 6 marzo 1951.<br />

Ma se ciò è vero per quanto riguarda la possibilità di porre la questione<br />

di fiducia, l'oggetto su cui può essere posta, le forme che può assumere,<br />

le modalità della discussione, non è altrettanto vero per quanto riguarda<br />

i modi di votazione. Questi infatti sono espressamente previsti nei<br />

Regolamenti della Camera (art. 92) e del Senato (art 76); ad essi ci si deve<br />

attenere e i Presidenti delle Assemblee hanno l'obbligo di farli osservare.<br />

Ora come è noto i modi di votazione delle Camere sono i seguenti: per alzata<br />

e per seduta, per divisione, per appello nominale e per scrutinio segreto.<br />

Tra essi vi è una gerarchia di importanza, per cui nell'elenco sopra dato i<br />

successivi modi prevalgono sopra i precedenti (92, 2° e ultimo comma Reg.<br />

Cam.; art. 76, 2°, 3° comma Reg. Sen.). Al vertice vi è lo scrutinio segreto<br />

che prevale su tutti gli altri (art 92 ultimo comma Reg. Cam. e 76 ultimo<br />

comma Reg. Sen.). Non vi è dubbio quindi che, secondo i Regolamenti detta<br />

Camera e del Senato, quando vi sia una richiesta di votazione per scrutinio<br />

segreto regolarmente presentata, la votazione deve avvenire in quella procedura<br />

anche in presenza di una richiesta di votazione per appello nominale.<br />

Di conseguenza nel caso che su un qualche argomento venga posta la<br />

questione di fiducia ed i parlamentari chiedano, nelle prescritte forme, la


Guida bibliografica 797<br />

votazione per scrutinio segreto, la votazione deve avere luogo con queste ultime<br />

modalità, anche se sia stato in precedenza chiesto (dal governo, o da<br />

altri parlamentari) la votazione per appello nominale. Si osserva inoltre, che,<br />

come per qualsiasi altra normale votazione, l'appello nominale sulla questione<br />

di fiducia deve essere espressamente richiesto. In caso contrario si procederà<br />

alla votazione per alzata e seduta > (435).<br />

Concludendo, secondo il COLONNA, questo tipo di questione di fiducia<br />

« si risolve in uno strumento puramente politico, a disposizione<br />

del governo, per esercitare una pressione sulla propria maggioranza, al<br />

fine di impedirne la disgregazione, ma dalle possibilità della sua esistenza<br />

non può derivarne alcuna conseguenza costituzionale e, soprattutto, non<br />

può scaturirne un'alterazione del meccanismo dell'attività delle assemblee<br />

ed una compressione della libertà di decisione delle assemblee<br />

stesse » (436).<br />

A questa interpretazione si può, tuttavia, opporre - come afferma<br />

FRANCESCO COSENTINO, La Costituzione, il Parlamento e le consuetudini<br />

parlamentari (La Politica parlamentare, IV, 1951, 51-54) - che, in sede<br />

di posizione della questione di fiducia, « l'obbligo della votazione palese<br />

discenderebbe sempre, anzitutto dallo spirito della Costituzione..., e in<br />

secondo luogo dalle consuetudini parlamentari ».<br />

Infatti « queste sono chiare e precise. In regime di Statuto Albertino<br />

le dimissioni dei Gabinetti erano provocate dai voti politici delle Camere e<br />

spesso anche da voti tecnici ai quali il Presidente del Consiglio attribuiva valore<br />

politico; in sostanza il Governo poneva la questione di fiducia su un<br />

qualsiasi oggetto: la votazione avveniva per appello nominale - e in ciò i<br />

precedenti sono unanimamente concordi dal 1848 al 1922 - e, se questa aveva<br />

esito negativo, le dimissioni susseguivano immediatamente.<br />

Quando il costituente volle codificare questa prassi, egli mirò soprattutto,<br />

in omaggio al principio fondamentale che lo aveva ispirato e a cui si<br />

attenne fin dalle prime discussioni in sede di sottocommissione, ad assicurare<br />

la massima stabilità governativa, pur nel pieno rispetto delle prerogative<br />

del Parlamento, escludendo, attraverso il tassativo requisito della mozione<br />

di sfiducia e le molteplici garanzie ad essa connesse, le sorprese dell'ora<br />

tarda e le cosi dette e bucce di limone » su cui i Governi erano soliti cadere<br />

nel periodo prefascista In tali termini si espresse chiaramente il Presidente<br />

della Commissione, onorevole Ruini.<br />

Ma soprattutto si volle codificare il principio che le votazioni politiche<br />

avvenissero per appello nominale, al fine di consentire al Capo dello Stato,<br />

nel caso che il Governo fosse rovesciato, di trarre dal voto le debite conseguenze<br />

in sede di consultazioni.<br />

Si noti, inoltre, che in regime albertino, la consuetudine del voto palese<br />

si affermò nell'assoluto silenzio in proposito dello Statuto, il quale non prevedeva<br />

alcuna particolare norma per le votazioni sulle questioni di fiducia,<br />

ed in contrasto con la priorità stabilita anche allora dal regolamento per il voto


798 Guida bibliografica<br />

segreto; ora se ciò avvenne allora, e a fortiori » deve ritenersi ammissibile<br />

oggi che la Costituzione ha recepito l'antica prassi e l'ha codificata almeno in<br />

parte» (53-54).<br />

Sul potere d'inchiesta delle Camere e sulle inchieste parlamentari<br />

vedi, per una rapida informazione, in primo luogo le voci di V. MICELI<br />

(Enciclopedia giuridica italiana. Milano, 1902, voi. Vili, parte I, 634-56);<br />

A. FERRACCIÙ (Digesto Italiano. Milano 1903, voi. XIII, parte I, 496-521);<br />

F. PERGOLESI (Enciclopedia forense. Milano 1959, IV, 332-336); F. PIE-<br />

RANDREI (Novissimo Digesto Italiano. Torino 1962, VIE, 516-522). Tra<br />

gli scritti pubblicati durante l'ordinamento statutario si ricordano G.<br />

ARCOLEO, L'inchiesta nel governo parlamentare. Napoli, 1881; G. JONA,<br />

Le inchieste parlamentari e la legge (Archivio giuridico, 38, 1887,<br />

238-269); T. MARTELLI, // diritto di inchiesta nelle Assemblee parlamentari<br />

(Studi Senesi, 15, 1898, 301-340); A. FERRACCIÙ, Le inchieste<br />

parlamentari nel diritto pubblico moderno. Torino, 1899; A. BRAGAGLIA,<br />

// sindacato parlamentare. Torino-Roma 1903, 160-205; A. FERRACCIÙ,<br />

Sul potere di inchiesta personale nelle assemblee parlamentari (Studi Senesi,<br />

30, 1914, 92-99). Sulla regolamentazione del diritto di inchiesta<br />

ex art. 82 Cost. eff. P. VIRGA, Le inchieste parlamentari (Annali del Seminario<br />

giuridico dell'Università di Catania. Nuova serie, IV, 1949-50,<br />

252-282); P. VIRGA, Inchieste parlamentari ed inchieste governative (Rassegna<br />

di diritto pubblico, 5, 1950, parte II, 907-918); S. FURLANI, Le<br />

Commissioni parlamentari ^inchiesta. Milano, 1954; AMEDEO GIANNINI,<br />

Inchieste pubbliche e inchieste nel pubblico interesse (H Consiglio di<br />

Stato, V, 1954, parte II, 125-135); G. PALLOTTA, // controllo politico del<br />

Parlamento sul Governo. Roma, 1954, 87-100; F. PERGOLESI, In tema di<br />

inchieste parlamentari di pubblico interesse (Il Diritto dell'economia, II,<br />

1956, 455-475, ripubblicato con revisioni ed integrazioni negli Studi in<br />

onore di Emilio Crosa. Milano 1960, II, 1339-1363); L. RUBMACCI, Le<br />

Commissioni parlamentari di inchiesta (Comitato nazionale per la celebrazione<br />

del primo decennale della promulgazione della Costituzione.<br />

Studi sulla Costituzione. Milano, 1958. IH, 107-129); A. TESAURO, //<br />

potere d'inchiesta delle Camere del Parlamento (Rassegna di diritto pubblico,<br />

XIII, 1958, 511-516); V. CRISAFULLI, G. DEUTALA, C. ESPOSITO,<br />

MASSIMO SEVERO GIANNINI, C. MORTATI, G. VASSALLI, P. VIRGA, Dibattito<br />

sulle inchieste parlamentari (Giurisprudenza costituzionale, IV, 1959,<br />

596-621); G. CUOMO. Appunti sull'inchiesta politica delle Camere (Rassegna<br />

di diritto pubblico, XIV, 1959, 13-69, ripubblicato in Studi in<br />

onore di Emilio Crosa. Milano, 1960,1, 659-712); G. FERRARA, L'inchiesta<br />

parlamentare. Parma, 1959; M. PACELLI, L'inchiesta parlamentare


Guida bibliografica 799<br />

come strumento di controllo politico (Nuova rassegna di legislazione,<br />

dottrina e giurisprudenza, XXI, 1965, 2893-2914); R. GARRUTO, Le Commissioni<br />

parlamentari (La Funzione Amministrativa, XIV, 1965, 800-819,<br />

sulle commissioni parlamentari di inchiesta). Sulla configurazione delle<br />

Commissioni parlamentari d'inchiesta quale atto complesso non legislativo<br />

del diritto parlamentare cfr. L. ELIA, Gli atti bicamerali non legislativi<br />

(Comitato Nazionale per la Celebrazione del primo decennale<br />

della promulgazione della Costituzione. Studi sulla Costituzione. Milano<br />

1959, II, 427-429.<br />

Sulla natura e sui limiti dei poteri dell'autorità giudiziaria applicabili<br />

alla procedura di indagine delle commissioni parlamentari d'inchiesta<br />

cfr. R. ORIANI, L'inchiesta parlamentare sull'* Anonima Banchieri<br />

» (Giurisprudenza costituzionale, V, 1960, 429-442). Sul dovere<br />

delle commissioni parlamentari di inchiesta di riferire all'autorità giudiziaria<br />

le notizie dei reati di cui fossero venute a conoscenza nell'espletamento<br />

delle loro indagini vedi G. SAMMARCO, Se ai fini dell'art. 368<br />

C.p. le Commissioni parlamentari d'inchiesta sono autorità aventi l'obbligo<br />

di riferire all'Autorità giudiziaria (Giustizia penale, 71, 1966, parte<br />

II, 998-1004). Sulla dubbia legittimità costituzionale dell'approvazione<br />

di una proposta di inchiesta parlamentare da parte di commissioni in<br />

sede deliberante vedi V. LONGI, Approvazione di proposte di legge e di<br />

inchiesta parlamentare da parte di commissioni in sede deliberante (negli<br />

Scritti vari in materia costituzionale cit. Milano, 1953, 33-36).<br />

Per cenni sul diritto parlamentare d'inchiesta in Austria, Belgio,<br />

Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Lussemburgo, Olanda<br />

e negli Stati Uniti d'America vedi S. FURLANI, Le commissioni parlamentari<br />

d'inchiesta. Milano, 1954, 77-131. Per una indagine più approfondita<br />

sulle commissioni parlamentari di inchiesta negli Stati Uniti,<br />

vedi G. B. GALLOWAY, Tre Investigative function of Congress (American<br />

Politicai Science Review, 21, 1927, 47-70); E. J. EBERLING, Congressional<br />

investigations. New York, 1928; M. E. DIMOCK, Congressional<br />

Investigating Committees. Baltimore, 1929; M. N. MCGREARY, The<br />

development of Congressional Investigative power. New York, 1940;<br />

A. BARTH, Government by investigation. New York, 1955; T. TAYLOR,<br />

Grand Inquest. The story of Congressional Investigations. New York,<br />

1955; in Francia, BIAYS, Les commissions denquète parlementaire (Revue<br />

du droit public et de la science politique, 58, 1952, 443 segg.); per<br />

la Germania, K. HECK, DOS parlamentarische Untersuchungsrecht. Stuttgart,<br />

1925; W. STEFFANI, Funktion und Kompetenz parlamentarìscher<br />

Untersuchungsausschusse (Politisene Vierteljaressschrift, I, 1960-61, 153-


800 Guida bibliografica<br />

177); U. KESSLER, Die Aktenvorlage una Beamtenaussage im parlamentarischen<br />

Untersuchungsverfahren (Archiv des òffentlichen Rechts, 88,<br />

1963, 313-331), il quale sostiene che le Commissioni parlamentari hanno<br />

il potere di richiedere da parte di pubblici ufficiali e pubblici impiegati,<br />

deposizioni anche su fatti tutelati dal segreto d'ufficio, in quanto<br />

l'interesse pubblico del controllo parlamentare (funzione ispettiva e non<br />

legislativa delle Commissioni parlamentari di inchiesta) esauriente ed<br />

effettivo risulta preminente di fronte all'interesse al segreto d'ufficio invocato<br />

dalla pubblica amministrazione nei riguardi degli interessi processuali<br />

penali dello Stato (KESSLER, 323).


Finito di stampare nel<br />

maggio 1969 negli<br />

stabilimenti tipografici<br />

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