Manuale di diritto europeo della non discriminazione
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motivi <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione oggetto <strong>di</strong> protezione<br />
na o neederlandofona. I genitori dei bambini <strong>di</strong> lingua francese che vivevano<br />
nella regione <strong>di</strong> lingua olandese lamentavano che ciò impe<strong>di</strong>va ai loro figli, o<br />
rendeva loro notevolmente più <strong>di</strong>fficile, ricevere un’istruzione nella loro lingua<br />
materna. Pur riconoscendo una <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> trattamento, la Cedu ha ritenuto<br />
tale <strong>di</strong>fferenza giustificata. Essendo le regioni prevalentemente monolingue<br />
<strong>non</strong> sarebbe stato economicamente praticabile offrire l’insegnamento in entrambe<br />
le lingue. Inoltre, <strong>non</strong> era vietato alle famiglie <strong>di</strong> fare ricorso all’istruzione<br />
privata in francese nelle regioni <strong>di</strong> lingua olandese.<br />
Per maggiori delucidazioni circa il modo in cui la lingua, e il relativo <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>scriminazione, funzioni in pratica, si richiamano due casi decisi dal Comitato dei<br />
<strong>di</strong>ritti umani delle Nazioni Unite (HRC), responsabile <strong>di</strong> interpretare e controllare<br />
il rispetto del Patto internazionale sui <strong>di</strong>ritti civili e politici (sottoscritto da tutti gli<br />
Stati membri dell’UE).<br />
Esempio: nella causa Diergaardt c. Namibia i ricorrenti appartenevano a un<br />
gruppo minoritario <strong>di</strong> ascendenza europea che in precedenza aveva goduto <strong>di</strong><br />
autonomia politica e ora faceva parte <strong>della</strong> Namibia 234 . La lingua parlata da tale<br />
comunità era l’afrikaans. I ricorrenti lamentavano che durante un proce<strong>di</strong>mento<br />
giu<strong>di</strong>ziario erano stati obbligati a usare l’inglese anziché la loro lingua madre.<br />
Contestavano inoltre la politica dello Stato <strong>di</strong> rifiutare <strong>di</strong> rispondere in afrikaans<br />
a qualsiasi comunicazione scritta o orale dei ricorrenti, anche se vi erano persone<br />
in grado <strong>di</strong> farlo. L’HRC ha constatato che il <strong>di</strong>ritto a un processo equo <strong>non</strong><br />
era stato violato, in quanto i ricorrenti <strong>non</strong> potevano <strong>di</strong>mostrare <strong>di</strong> aver subito<br />
un pregiu<strong>di</strong>zio a causa dell’uso dell’inglese durante il proce<strong>di</strong>mento. Ciò lascia<br />
desumere che il <strong>di</strong>ritto a farsi assistere da un interprete durante un processo<br />
<strong>non</strong> si applichi a situazioni in cui la lingua semplicemente <strong>non</strong> è la lingua madre<br />
<strong>della</strong> presunta vittima. È necessario che la vittima <strong>non</strong> sia sufficientemente<br />
in grado <strong>di</strong> comprendere o <strong>di</strong> comunicare in tale lingua. L’HRC ha invece ritenuto<br />
che la politica ufficiale dello Stato <strong>di</strong> rifiutare <strong>di</strong> comunicare in una lingua<br />
<strong>di</strong>versa da quella ufficiale (l’inglese) costituisse una violazione del <strong>di</strong>ritto<br />
all’uguaglianza <strong>di</strong>nanzi alla legge in ragione <strong>della</strong> lingua. Lo Stato può scegliere<br />
la propria lingua ufficiale, ma deve permettere ai funzionari <strong>di</strong> rispondere in<br />
altre lingue se sono in grado <strong>di</strong> farlo.<br />
234 HRC, Diergaardt e a. c. Namibia, Comunicazione n. 760/1997, 6 settembre 2000.<br />
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