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36 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl www.gimle.fsm.it 3. sostituzione dei cuscinetti e delle ante di una porta di salita (lavorazione staticamente confinata in locale separato); 4. sostituzione di un pacco scaldiglie del riscaldamento (lavorazione staticamente confinata con vettura in officina); 5. sostituzione di inverter e lampade al neon nell’impianto di illuminazione (lavorazione staticamente confinata con vettura in officina). RISULTATI Sono stati analizzati 15 campioni per l’aerodisperso, di cui uno, peraltro, risultato inidoneo per le misure, in quanto sovraccarico di particellato. Il 28.5% dei campioni idonei osservati ha presentato una concentrazione di fibre vetrose pari a 0.2 ff/L. Il 71.5% non ha invece evidenziato fibre sulla superficie esaminata. Non sono state osservate fibre ceramiche. Tutti i tracciati EDAX hanno mostrato una concentrazione in ossidi alcalino-terrosi > 18% (vedi considerazioni conclusive). La Tab. II mostra i risultati delle analisi. CONCLUSIONI Attualmente le fibre artificiali vetrose sono inserite fra le sostanze pericolose e sottoposte all’obbligo di etichettatura dalla Direttiva 97/69/CE, recante il 23° adeguamento al progresso tecnico della Direttiva 67/548/CEE del Consiglio. Il Ministero della Sanità, con la circolare n.4 del 15 marzo 2000 e con il Decreto Ministeriale 10 gennaio 2002, ha stabilito le seguenti definizioni di fibre artificiali vetrose: ⇒ lane minerali [fibre artificiali vetrose (silicati), che presentano un’orientazione casuale e un tenore di ossidi alcalini e ossidi alcalino-terrosi (Na 2 O + K 2 O + CaO + MgO + BaO) superiore al 18% in peso] ⇒ fibre ceramiche refrattarie [fibre artificiali vetrose (silicati), che presentano un’orientazione casuale e un tenore di ossidi alcalini e ossidi alcalino-terrosi (Na 2 O + K 2 O + CaO + MgO + BaO) pari o inferiore al 18% in peso]. La circolare n. 4 del 15 marzo 2000 con la nota R stabilisce che la classificazione “cancerogeno” non si applica alle fibre il cui diametro medio geometrico ponderato rispetto alla lunghezza meno due errori standard risulti maggiore di 6 Φm. La stessa circolare con la nota Q stabilisce che la classificazione “cancerogeno” non si applica se è possibile dimostrare che la sostanza in questione rispetta una delle seguenti condizioni: – una prova di persistenza biologica a breve termine mediante inalazione ha mostrato che le fibre di lunghezza superiore a 20 Φm presentano un tempo di dimezzamento ponderato inferiore a 10 giorni; oppure – una prova di persistenza biologica a breve termine mediante instillazione intratracheale ha mostrato che le fibre di lunghezza superiore a 20 Φm presentano un tempo di dimezzamento ponderato inferiore a 40 giorni; oppure – un’adeguata prova intraperitoneale non ha rivelato un’eccessiva cancerogenicità; oppure – una prova di inalazione appropriata a lungo termine ha portato alla conclusione che non ci sono effetti patogeni significativi o alterazioni neoplastiche. Tabella I. Modalità operative della misura strumentale in Microscopia Elettronica a Scansione (SEM) Tabella II. Risultati delle determinazioni ambientali
G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 37 www.gimle.fsm.it A parte l’errore nella traduzione che ha portato la circolare a parlare di “eccessiva cancerogenicità” che è un non senso medico, la norma stabilisce alcuni studi da effettuare per escludere la cancerogenicità di una sostanza. Se le lane minerali non sono state testate con gli studi predetti devono essere etichettate R 40 (“Possibilità di effetti cancerogeni - prove insufficienti”). Le fibre ceramiche sono invece comunque etichettate R 49 (“Può provocare il cancro per inalazione”). È da segnalare che la ACGIH (3) classifica le fibre ceramiche refrattarie come A2 (“Cancerogeno umano sospetto”) e le fibre di lana di vetro come A3 (“Cancerogeno animale confermato con rilevanza sconosciuta per l’uomo”). Le fibre osservate nel presente studio sono state tutte identificate dalla microanalisi come lane minerali con tenore in ossidi alcalini e alcalino-terrosi > 18% in peso. Alla luce di quanto detto le fibre reperite durante lo studio non possono beneficiare della nota R in quanto il loro diametro medio geometrico pesato sulla lunghezza meno due errori standard era < 6 Φm. Per quanto riguarda la nota Q, non sono a nostra disposizione notizie relative alla etichettatura delle fibre osservate da parte del produttore e prudenzialmente sono da considerare come R40. Tuttavia è doveroso evidenziare che la comunità scientifica con l’ultima monografia della International Agency For Research On Cancer (IARC) sulle Man-Made Vitreous Fibres (2) classifica le lane minerali in gruppo 3 cioè “agente non classificabile come cancerogeno per l’uomo”. Inoltre le concentrazioni riscontrate nello studio, come si può notare, sono risultate molto basse, pari a 4 ordini di grandezza inferiori al valore limite di soglia (TLV). Infatti l’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) (3) per il 2005 e il 2006 stabilisce, in sede di produzione o utilizzo di fibre vetrose e lane minerali, un TLV pari a 1ff/cc (1000 ff/L); questo TLV è stato anche recepito dall’Associazione Italiana degli Igienisti Industriali (AIDII). Le concentrazioni da noi osservate sono invece addirittura sovrapponibili ai valori di esposizione negli ambienti di vita riportati nella circolare del Ministero della Sanità 20/12/1991 (0,1-0,2 ff/L). Pertanto possiamo ritenere che le lavorazioni monitorate non espongano i lavoratori a rischi per la salute. È tuttavia comunque necessario assicurare l’adozione delle più efficaci misure di prevenzione primaria che consentano il mantenimento dei bassissimi livelli della polverosità riscontrata, verificare nel tempo le condizioni di lavoro con ulteriori indagini ambientali e sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria. BIBLIOGRAFIA 1) Piolatto PG, Putzu MG, Massola A, Bettinelli M, Massiccio M, Botta GC, Fubini B, Tomatis M, Turci F. Monitoraggio Ambientale e Biologico Dell’Esposizione Professionale a Xenobiotici. Minoia C, Perbellini L, editors. Morgan Edizioni Tecniche, Volume 9, Fibre Minerali pp 38 e 85 vol. 9. 2) World Health Organisation International Agency For Research On Cancer: Iarc Monographs On The Evaluation Of Carcinogenic Risk To Humans vol. 81 Man-Made Vitreous Fibres IARC LYON FRAN- CE 2002. 3) ACGIH TLVs and BEIs. Threshold Limit Values for Chemical Substances and Physical Agents and Biological Exposure Indices. Cincinnati, Ohio (2006). II SESSIONE EPIDEMIOLOGIA OCCUPAZIONALE P-01 FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA ED ATTIVITÀ LAVORATIVA. UNO STUDIO CASO-CONTROLLO N. Murgia 1 , M. Dell’Omo 1 , G. Muzi 1 , G. Brugnami 1 , M. Biancalana 1 , G. Abbritti 1 1 Sezione di Medicina del Lavoro, Malattie Respiratorie e Tossicologia Professionali e Ambientali, Università di Perugia, Via Enrico dal Pozzo - 06126 Perugia Corrispondenza: Nicola Murgia - Sezione di Medicina del Lavoro, Malattie Respiratorie e Tossicologia Professionali e Ambientali, Università di Perugia, Via Enrico dal Pozzo - 06126 Perugia, Italy - E-mail: nicola.murgia@med.unipg.it IDIOPATHIC PULMONARY FIBROSIS AND OCCUPATION. A CASE-CONTROL STUDY Key words: idiopathic pulmonary fibrosis, occupational, workers. ABSTRACT. Idiopathic pulmonary fibrosis (IPF) is a chronic lung disease with unknown etiology and poor prognosis. The aim of this study is to evaluate the influence of occupational risk factors on the etiology of this disease. Agroup of patients with IPF (n. = 68) was selected among in-patients of an internal medicine clinic, and compared with a group of patients with other diseases (n. 144). Data about diagnosis, occupation and other possible risk factors were obtained from patients’ records, reviewed by skilled occupational physicians. No difference in age, sex, smoking, BMI, history of previous infectious diseases of the respiratory system was found between the two groups. Patients with IPF have worked longer. We found an association between IPF and occupational exposure to mineral dusts (OR 2,9, IC95% 1,3-6,2) and pesticides (OR 1,9; IC95% 1-3,8). Patients who worked as building construction workers had higher risk of developing IPF (OR=5,4; IC95% 1,8-16,1). Our results support the hypothesis that occupational risk factors could play a role in the etiology of IPF. INTRODUZIONE La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia cronica e progressiva del polmone ad eziologia ignota, caratterizzata da fibrosi del parenchima polmonare e prognosi infausta (1). Alcuni studi epidemiologici hanno evidenziato un’associazione tra IPF e patologie infettive, in particolare infezioni da virus epatotropi e di Epstein Barr, assunzione di farmaci, abitudine al fumo di tabacco e residenza in ambiente rurale (3). Altri studi hanno rilevato un’associazione tra IPF ed esposizione professionale a polveri organiche, metalli, legno, solventi e fibre minerali e un aumento del rischio di fibrosi polmonare per agricoltori, allevatori, parrucchieri, imbianchini, minatori e addetti al taglio della pietra (4, 5, 6). Lo scopo del presente studio è di valutare l’eventuale associazione tra attività lavorativa e fibrosi polmonare idiopatica e i fattori di rischio che potrebbero concorrere a determinarne la comparsa. MATERIALI E METODI Lo studio è stato condotto su una serie consecutiva di pazienti con diagnosi altamente probabile di fibrosi polmonare idiopatica (criteri ATS 2000) (7) ricoverati in un reparto di Medicina del Lavoro (con significativa attività pneumologico-internistica) nel periodo 2000-2004, confrontati con 144 pazienti di controllo dello stesso reparto, selezionati con sistema di randomizzazione digitale. Sono stati esclusi dallo studio tutti i pazienti affetti da interstiziopatia polmonare da causa nota e i pazienti con dati insufficienti per una diagnosi di elevata probabilità (assenza di una tomografia computerizzata toracica ad alta risoluzione, di uno studio polmonare funzionale o di esami
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