Indice - Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia ...

Volume XXVIII, N. 3 Supplemento Luglio-Settembre 2006
www.gimle.fsm.it Issn 0391-9889
GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO
ED ERGONOMIA
Rivista di Medicina del Lavoro (Medicina occupazionale, Igiene del lavoro e ambientale,
Tossicologia occupazionale) ed Ergonomia (Valutazione del rapporto uomo/lavoro,
Riabilitazione occupazionale, Psicologia del lavoro, Bioingegneria)
Comitato Scientifico
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Franco Ottenga, Enrico Pira, Pietro Sartorelli, Stefano Signorini, Francesco Violante
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GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
Volume XXVIII - N. 3 Supplemento Luglio-Settembre 2006
INDICE
69° CONGRESSO NAZIONALE
SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA DEL LAVORO E IGIENE INDUSTRIALE
Sviluppo della Medicina del Lavoro nella società in rapido cambiamento
Montesilvano (PE), 26-28 ottobre 2006
a cura di Paolo Boscolo, Mario Di Gioacchino, Luca Di Giampaolo, Andrea Antonucci
I SESSIONE - TOSSICOLOGIA INDUSTRIALE
Esposizione professionale ed ambientale ad arsenico
(As) ed eliminazione urinaria di specie del metallo:
risultati preliminari
M.R. Gigante, A. Antelmi, L. Soleo, P. Lovreglio,
T. Gagliardi, I. Drago, S. Iavicoli, B. Persechino,
M. Conversano, F. Bailardi, L. Greco,
M.E. Gilberti, P. Apostoli 11
Studio degli effetti biologici degli endocrine disrupters
chemicals (EDC) sulla salute riproduttiva
A. Pera, L. Caporossi, M. De Rosa, I. Vita,
C. Bastianelli, B. Papaleo 12
Monitoraggio ambientale dell’Acido Peracetico
in una Azienda Ospedaliera Universitaria
M. Pacenti, S. Dugheri, P. Boccalon,
G. Arcangeli, V. Cupelli 13
Mieloma Multiplo: rischio occupazionale od ambientale?
M. Riccò, M. del Mar J. Sanchez, S. Cavalca,
C. di Maggio, E. Adami, E. Bergamaschi, I. Franchini 15
32P-Postlabeling e poliacrilamide gel elettroforesi:
confronto e applicazione delle due tecniche per il
rilevamento degli addotti al DNA
B. Pappalardi, M.V. Policastro, P. Chiumarulo,
G. Assennato, P. Corsi 16
Esposizione professionale a sostanze con attività
endocrina e valutazione del rischio per la salute
dei lavoratori
E. Barbassa, L. Frusteri 17
Effetti neurocomportamentali dell’esposizione
a basse dosi di piombo
C. Fenga, E. Micali, A. Verzera, S. Ricciardo Calderaro,
C. Di Nola, D. Germanò 18
Monitoraggio Biologico in Medicina del Lavoro
G. Tranchina, E. Tranchino 19
Attività di vigilanza nel settore di lavorazione
di marmi e graniti
M. Marino, M.T. Marrapodi, S. Ercolani,
L. Lione, O. Argentino, E. Orlando,
F. De Rasis, L. Catera, G. Remia 20
POSTER
Estrazione pietra del Cardoso: 2 casi di silicosi
L. Lastrucci, R. Iacometti, D. Tavarini, P. Saccardi 21
Valutazione della genotossicità dell’Imidacloprid
in relazione all’attivazione metabolica ed alla
composizione del prodotto commerciale
C. Costa, S. Catania, A. A. Melchini, G. M. Scribano,
E. Legato, V. Silvari 23
Patologie delle alte vie aeree ed esposizione
professionale nella produzione di cemento
I. Iavicoli, G.C. Passali, A. Magrini, L. Calò,
G. Paludetti, A. Bergamaschi 24
Attività di galvanica e migliori tecniche disponibili:
la direttiva IPPC nella prevenzione dell’esposizione
a Cromo esavalente
P.E. Cirla, L. Settimi, A. Filipponi, M.R. Aiani,
M. Buratti, D. Cavallo, V. Foà 26
Meccanismi molecolari apoptotici ed anti apoptotici
del Vanadio
I. Iavicoli, L. Fontana, G. Carelli G, A. Bergamaschi 27
Il monitoraggio biologico dell’esposizione a benzene:
significato del dosaggio dell’acido t,t-muconico
urinario in una popolazione di lavoratori esposti
a bassi livelli ambientali di benzene
G. Taino, F. Fabris, L. Brena, A. Marinoni,
M. Ferrari, M. Imbriani 28
Glomerulopatia membranosa in seguito ad
intossicazione acuta da solventi: un caso clinico
M. del Mar J. Sanchez, M. Riccò, D. Somenzi,
C. Dimaggio, E. Adami, A. Mutti, I. Franchini 29
Difficoltà delle operazioni di taratura dei
sistemi di misura in continuo per il controllo
delle emissioni in atmosfera degli impianti
industriali - D.M. 21/12/1995
G. Gianello, R. La Bua, G. Gianello, C. Laurini,
A. Messina, A. Bergamaschi 30
Dispersione di fibre artificiali vetrose nelle linee
di assemblaggio dei piani cottura
G. Gianello, B. Sperduto, R. La Bua, C. Laurini,
F. Draicchio, A. Bergamaschi 31
(segue)

GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
Le metalloproteasi di matrice ed i loro inibitori: nuovi
biomarker nell’esposizione professionale ai metalli
M. Lamberti, M Giuliano, M. Cammarota, N. Sannolo 33
L’esposizione a persolfato d’ammonio riduce
il controllo non adrenergico, non colineregico
inibitorio (NANC-i) nelle vie aeree di cavia
A. Dellabianca, E. De Amici, E. Cervio, B. Balestra,
S. Tonini, S.M. Candura 34
Un’esperienza di monitoraggio ambientale di fibre
minerali artificiali in operazioni di manutenzione
di carrozze ferroviarie
M.G. Putzu, C. Causarano, C. Orria,
B. Margaira, C. Romano 35
II SESSIONE - EPIDEMIOLOGIA OCCUPAZIONALE
Fibrosi polmonare idiopatica ed attività lavorativa.
Uno studio caso-controllo
N. Murgia, M. Dell’Omo, G. Muzi, G. Brugnami,
M. Biancalana, G. Abbritti 37
Risultati della sorveglianza sanitaria su ex esposti
a silice cristallina non silicotici
A. Ragone, R. Leonori, S. Ponticiello, F. Cavariani,
E. Cardona, L. Bedini, I. Scrocchia, A. Fersini,
R. Bertoldi, A. Quercia 38
Abitudine al fumo e propensione a smettere di fumare
tra gli infermieri di un’Azienda Ospedaliera
M. dell’Omo, N. Murgia, G. Tosoni, A. Gambelunghe,
A. Corbino, C. Tinozzi, G. Abbritti, G. Muzi 39
Effetti del particolato aerodisperso fine
sulla mucosa nasale
G.C. Passali, I. Iavicoli, A. Magrini, L. Calò,
M. Rigante, G. Paludetti, A. Bergamaschi 40
Studio osservazionale degli infortuni accaduti
nel periodo 1999-2004 in una ASL della
Provincia di Chieti
D. Cieri, A. Suriani 42
Controllo di qualità dei dati sanitari riguardanti
le patologie osteoarticolari
S. Ponticiello, R. Leonori, G. Monteforte,
D. Mola, I. Scrocchia, A. Fersini, A. Quercia 43
Sindrome di Brugada al lavoro
S. Fantini, S. Signorini, L. Marcellini, V. Jannone,
A. Palatiello, A. Martini 44
Analisi delle inchieste infortuni svolte
da un servizio di vigilanza della ASL
A. Caponetti, F. Pavone, A. Di Zio, S. Amoroso,
A. Di Giammarco 45
Effetti dell’esposizione lavorativa sulla gravidanza.
risultati di un’indagine epidemiologica condotta
nella zona pisana dell’azienda USL 5
C. Di Pede, E. Menichini, B. Piegaia, A. Angino,
S. Baldacci, F. Martini, F. Di Pede, M. Simoni,
L. Carrozzi, G. Viegi 46
Aspetti attuali della patologia professionale:
analisi di una casistica clinica
M. Baldassarre, G. Moscato, V. Martellosio, S. Strambi,
A. Agosti, L. Perfetti, G. Pala, A. Canto, C.M. Minelli,
G.L. Rosso, F. Scafa, S.M. Candura 47
Analisi dei ricoveri per asma professionale della sezione
di medicina del lavoro di Siena nel periodo 2000-2005
A.G. Sisinni, I. Rotta, R. Nuti, R. Romeo, P. Sartorelli 49
Analisi degli infortuni a rischio biologico nel personale
sanitario dell’azienda sanitaria locale di Rimini
L. Vimercati, A. Russo, A. Lo Izzo, M. Delbianco,
A. Campolattano, M. Gabellini, A. Ricci,
L. Macinagrossa, G. Assennato 51
Descrizione di un caso clinico di neoplasia vescicale
in un addetto alla viabilità
N. Mangiapane, G. Lacca, A. Provenzani, D. Picciotto 51
Tumore alle ghiandole salivari in parrucchiera:
descrizione di un caso clinico
A. Fiorito, F. Larese, A. Damian, R. Nardella 52
Risultati della sorveglianza sanitaria su ex-esposti
a silice cristallina affetti da silicosi
S. Ponticiello, R. Leonori, A. Ragone, F. Cavariani,
E. Cardona, L. Bedini, I. Scrocchia, A. Fersini,
R. Bertoldi, A. Quercia 53
Analisi del fenomeno infortunistico nel macrosettore
delle costruzioni: provvedimenti di ordine preventivo
F. Vegna, M. Di Giovanni, A. Giunta, V. Vegna 54
Analisi a livello popolazionistico della relazione
ACP1-rapporto sessi nelle madri fumatrici
U. Iannaccone, A. Magrini, F. Gloria, G.F. Meloni,
M. La Torre, G. Somma, L. Coppeta,
E. Pagliari, A. Bergamaschi 55
III SESSIONE - PROTOCOLLI DI SORVEGLIANZA SANITARIA
Alcol e lavoro: uno studio esplorativo
L. Vimercati, A. Lo Izzo, V. Carbonara, T. Simone,
M.T. Salerno, G. Assennato 57
Alcool?… Non ci cado!
A. Cocchini, A. Castelli, N. Cacchione,
G. Di Feliciantonio, V. Rosci, V. Liberati 58
Rilevazione degli interventi del Sistema di Emergenza
del Servizio Sanitario Regionale (118) negli impianti
di lavoro e negli uffici
A. Sacco, E. Malandruccolo, G. Monteforte,
M.T. Mirone, A. De Santis 59
Criteri di idoneità per il lavoro all’estero:
il settore dell’informazione
P. Bianco, V. Anzelmo 60
La valutazione del “danno biologico” nelle tecnopatie
e nell’infortunistica sul lavoro. nostre esperienze
a oltre cinque anni dalla pubblicazione della tabella
F. Martire, G. De Luca 61
Medicina del lavoro in ospedale ed e-learning:
contributo allo sviluppo delle attività
di informazione e formazione
E. Nicoli, P. Melodia, P. Almagioni,
L. Piacenza, M. La Gioia 62
Aspetti etici e di liceità dell’applicazione degli
screening genetici in ambito occupazionale
A. Asmundo, D. Sapienza, G. Spatari 63
(segue)

GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
I dati anonimi collettivi come strumento di verifica
dell’attività del medico competente da parte
dell’organo di vigilanza
G. Becchetti, L. Bevilacqua, G. Giunta, F. Lancia,
M. Presto, V. Pisciottano, N. Pupp, N. Magnavita 64
Programmazione dell’audit sulle attivita
del medico competente
M. Marano, M. D’Ambrosio, G. Bilancio, A. Sacco,
L. Bevilacqua, N. Magnavita 66
Analisi della qualità delle spirometrie nella sorveglianza
sanitaria di una popolazione di lavoratori edili
M.E. Raeli, C. Capitta, C. Notarangelo, I. Scrocchia,
G. Manzari, M.G. Mondello, D. Gamberale, A. Quercia 67
Analisi della qualità delle audiometrie nella sorveglianza
sanitaria di una popolazione di lavoratori edili
M.E. Raeli, A.R. Sordini, M.T. Mangiabene, A. Fersini,
G. Manzari, M. G. Mondello, D. Gamberale, A. Quercia 68
Le malattie professionali sono sottostimate in edilizia?
G. Pavesi, C. Bancone, F.Bartolozzi, M.M. Riva,
G. Mosconi 70
IV SESSIONE - ALLERGOLOGIA E IMMUNOLOGIA CLINICA
Follow up della risposta immunitaria di lavoratori
di un museo esposti a campo elettro-magnetico
originato dall’impianto elettrico
L. Di Giampaolo, A. Di Donato, G. Paiardini, G. Spagnoli,
A. Antonucci, P. Travaglini, A. Magrini, M. Reale,
V. Dadorante, M. Kouri, A. D’Intino, M. Grapshi,
S. Pulini, M. Di Gioacchino, P. Boscolo 71
Nuovi dati sulla risposta del sistema immunitario
di donne esposte a campi elettromagnetici indotti
da stazioni radiotelevisive
P. Boscolo, A. Donato, G. Paiardini, S. Morelli,
M. Reale, A. Antonucci, V. Dadorante, A. D’Intino,
M. Grapshi, S. Pulini, D. Di Giuseppe, M. Koury,
M. Di Gioacchino, L. Di Giampaolo 72
Progetto di bonifica dal latice della gomma
nell’azienda sanitaria santa croce e carle di Cuneo
B. Violante, A. Curcio, L. Gerbaudo 73
Allergia al lattice: la tutela degli operatori sanitari e
del paziente nell’esperienza di un presidio ospedaliero
S. Gentilli, F. Duzioni 75
Evidenza di possibile infezione da Mycobacterium
Bovis nel personale veterinario di un’azienda sanitaria
M. Rao, F. Aloia, R. Caruso, C. Cortese, R. Docimo,
F. Gialdini, A. Maradei, R. Talone, F. Tarsitano 75
Il fenomeno infortunistico a rischio biologico nel
personale infermieristico dell’Azienda Ospedaliera
di Foggia: individuazione del fabbisogno formativo
A. Russo, L. Vimercati, A. Lo Izzo, L. Bisceglia,
L. Macinagrossa, S. Falcone, G. Assennato 76
Anticorpi contro la Tossina Tetanica nei lavoratori
esposti a rischio
L. Di Marco, M. Morandin, C. Frasson, A. Bruno,
M. Beggio, E. Davanzo, M. Galdarossa,
M. Cattai, A. Trevisan 78
Prevalenza della positività della sierodiagnosi
di Widal in una popolazione di operatori
ecologici siciliana
P. De Marchis, S. Schillaci, M.G. Verso, D. Picciotto 79
Stato immunitario degli operatori sanitari
dell’A.S.O. santa croce e carle di Cuneo nei
confronti delle malattie infettive occupazionali
per cui è disponibile la vaccinoprofilassi
L. Gerbaudo, S. Bozzano, A. Caroccia, G. Lovera,
E. Pellegrino, B. Violante 80
Sorveglianza sanitaria e Rischio Biologico:
valutazione dello status vaccinale negli “allievi
infermieri” dell’università di Parma
M. Riccò, F.S. Renzulli, S. Cavalca, M. del Mar J. Sanchez,
C. Di Maggio, E. Adami, P. Carta, E. Bergamaschi,
L. Selis, I. Franchini 81
Incidente biologico con sieroconversione ed epatite C
acuta in operatore sanitario
L. Cologni, M. Bacis, L. Belotti, R. Iuliucci,
E. Minola, G. Mosconi 83
Asma professionale in parrucchiere: iter diagnostico
e casi clinici
M. Angelucci, R. Fuciarelli 83
Asma professionale non immunologico: meccanismi
eziopatogenetici e casi clinici
M. Angelucci, R. Fuciarelli 85
Asma professionale nel falegname: esposizione
ad isocianati ed anidride ftalica
M. Angelucci, R. Fuciarelli 86
Tutela della salute dei lavoratori di uno stabilimento
di macellazione dell’irpinia: gestione
del rischio brucellosi
E. Pennarola, S. Di Pietro, P. Di Pietro, G. Marino,
N. Minichiello, C. Padula, F. Guardascione 87
Lo stato di immunizzazione dei lavoratori
della Polizia DI Stato a distanza di tempo
dalla vaccinazione anti-epatite B
F. Campana 88
Livelli plasmatici di icams-1 nell’infezione
da Chlamydophila Psittaci
C. Fenga, V. Rapisarda, A. Familiari, R. Crimaldi,
L. Barbaro Martino, S. Ricciardo Calderaro,
M.A. Tringali, S. Callipari, C. Di Nola,
A. Cacciola, M. Valentino, G. Spatari 89
Metabolismo della Fosfatidilserina nell’Apoptosi
indotta da Cromo Esavalente in cellule
linfocitarie umane
A. Gambelunghe, M. Felicetti, S. Buratta, C. Marchetti,
N. Murgia, R. Mozzi, G. Migliorati, G. Muzi 90
Silice e immunopatie: possibili prospettive
in Medicina del Lavoro
A. Todaro, A. Chiodini, L. Bordini, L. Riboldi 92
Sieroprevalenza di Borreliosi di Lyme
in lavoratori del corpo forestale del Lazio
P. Tomao, S. Di Renzi, P. Bettolo Marini,
N. Vonesch, M.C. D’Ovidio, A. Martini,
L. Arces, S. Vita, P. Melis, S. Signorini 93
(segue)

GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
Influenza aviaria: strumenti informativi per lavoratori
a rischio di esposizione
M.C. D’Ovidio, P. Tomao, S. Di Renzi, A. Martini,
V. Meloni, S. Signorini, D. Sbardella,
P. Valente, N. Vonesch 94
VSESSIONE - ATTIVITÀ DI PREVENZIONE
E SORVEGLIANZA SANITARIA
Valutazione dei ricorsi all’organo di vigilanza
(ex art. 17 del D.Lgs. 626/94)
N. Briga, G. Robuffo, A. Di Giammarco, A. Caponetti 96
Le procedure per l’esame del ricorso avverso
il giudizio del medico competente
(art. 17, c. 4 D.Lgs. 626/94)
D. Sallese, M. Rossi 97
Qualità e classificazione ILO dei radiogrammi
del torace: risultati di un programma di controllo
R. Leonori, E. Cardona, S. Ponticiello, I. Scrocchia,
A. Fersini, A. Ragone, A. Brustolin, A. Quercia 98
La realizzazione di una rete di flussi informativi
per la gestione di una emergenza sanitaria
in Medicina Del Lavoro
D. Sallese, R. Anulli, G. N. Bauleo,
M. Rossi, P. Scatolini 99
Ruolo dei servizi territoriali di emergenza
e di prevenzione nella organizzazione
del Pronto Soccorso Aziendale
A. Sacco, E. Malandruccolo, M.T. Mirone,
G. Monteforte, A. De Santis 100
Riconoscimento giuridico e standard di tutela
per gli operatori subacquei in ambito europeo
V. Anzelmo, P. Giovagnoli, P. Giovagnoli,
D. Staiti, P. Bianco 101
Tabagismo, scolarità e lavoro nei giovani apprendisti
A. Messineo, M. Leone, P. D’Altilia 102
Aspetti normativi inerenti l’assunzione di bevande
alcoliche sui luoghi di lavoro
G. Lacca, A. Provenzani, E. Tranchina, M.G. Verso 103
Un caso di revisione del giudizio del medico
competente: una esperienza dello S.P.E.S.A.L.
della ASL FG/1
S. Cesareo, M. Masullo 104
Prevenzione degli infortuni sul lavoro per il personale
ospedaliero: analisi e proposte
R. Papetti, A. Musa, S. Celletti, A. Sacco 105
Vigilanza dei rischi non infortunistici
nei cantieri edili
L. Bevilacqua, G. Becchetti, G. Giunta, F. Lancia,
V. Pisciottano, M. Presto, N. Pupp, N. Magnavita 106
L’utilizzo di un modello operativo come strumento
di analisi e partecipazione del medico competente
alla valutazione dei rischi lavorativi. Primi risultati
della sua applicazione nei confronti di lavoratori
occupati in una Pubblica Amministrazione
R. Donghi, P. Butti, S. Cairoli, G. Cavallone,
A. Di Maria, L. Giubileo, A. Petri, E. Proto, M. Ricci,
G. Sozzi, N. Taverna 108
Attività di vigilanza nel settore oleario
M. Marino, M.T. Marrapodi, S. Ercolani,
L. Lione, O. Argentino, E. Orlando, F. De Rasis,
L. Catera, G. Remia 109
Strategia vaccinale in lavoratori del settore
petrolchimico operanti all’estero: esperienza
del servizio medico ENI
M. Valentino, V. Rapisarda, M. Ciuccarelli,
F. Mariani, F. Uberti, V. Nicosia, A. Madera 110
Le opere di supporto logistico nei cantieri
edili, indagine sulle modalità di realizzazione
ed impiego
A. Antonucci, A. Pacini, P. Di Giampaolo,
A. Pierfelice, L. Di Giampaolo 112
VI SESSIONE - RISCHIO CHIMICO FISICO
Valutazione dei campi elettromagnetici emessi
da dispositivi per la determinazione di intensità
di campo elettromagnetico per telefonia mobile
A. Bergamaschi, A.Magrini, M. Leone, A. Imperatore,
E. Pagliari L. Coppeta, A. Pietroiusti,
B. Morelli, A. Messineo 114
Trasduzione del segnale mediata da campi magnetici:
un nuovo approccio per gli effetti dell’esposizione
ai campi magnetici
C. Cerella, M.C. Alberini, A. Accorsi, M. De Nicola,
L. Ghibelli, A. Magrini, L. Coppeta, A. Bergamaschi 115
Risonanza magnetica e tutela della salute
dei lavoratori
B. Persechino, F. Campanella 116
Valutazione di campi elettromagnetici emessi da
apparecchiature elettroniche collocate in ufficio
A. Bergamaschi, A. Magrini, A. Barbato, A. Imperatore,
L. Coppeta, E. Pagliari, E. Natalizia, A. Messineo 117
Esposizione cronica a campi elettromagnetici ad alta
frequenza ed alterazioni della funzione cardiaca
S. Schillaci, G. Lacca, A. Provenzani, M.G. Verso,
P. De Marchis, D. Picciotto 118
Misure di intensità di induzione magnetica
e di campo elettrico generati da linee AT, cabine
di trasformazione primarie AT/MT e cabine
di trasformazione secondarie MT/BT
nel territorio Campano
R. d’Angelo, E. Russo, A. Del Gaudio,
L. Attaianese, L. Esposito 119
Verifica della qualità della sorveglianza sanitaria
nei lavoratori esposti a rischio rumore
L. Bevilacqua, G. Becchetti, G. Giunta, F. Lancia,
M. Presto, N. Pupp, N. Magnavita 120
Il controllo del microcircolo in lavoratori esposti
a vibrazioni
R. Pennarola, R. Barletta, E. Pennarola, L. Cavaliere,
E. Russo, L. Visciglio, A. Ruggieri 121
Ipoacusia tecnopatica e protesi acustica open fitting
A. Tanzariello, S. Callipari, M.A. Tringali,
M. Cantio, V. Tanzariello 122
(segue)

GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
Modificazioni indotte dal rumore sulla funzione
respiratoria in un gruppo di giovani volontari
U. Muraca, A. Abbate, G. Muraca, G. D’Arrigo,
S. Abbate, C. Graceffa, R. Brecciaroli 124
Esposizione a polveri di cemento valutata usando
uno spettrometro grimm 1.108
G. Somma, A. Magrini, E. Romeo, L. Coppeta,
M. Grana, L. Vicentini, A. Bergamaschi 125
Studio degli effetti acuti sull’apparato respiratorio
dovuti all’esposizione occupazionale a polveri
di cemento
E. Romeo, A. Magrini, L. Coppeta, G. Somma,
A. Pietroiusti, A.Cattani, A. Bergamaschi 126
Adsorbimento di streptavidina su nanotubi
di carbonio a parete singola: realizzazione
di nanostrutture fluorescenti
M. Bottini, A. Magrini, E. Bergamaschi, L. Coppeta,
G. Somma, A. Pietroiusti, A. Bergamaschi 127
Stato delle conoscenze sugli effetti a distanza
del fall-out radioattivo di Chernobyl
G. Sciannamblo, F. Caputo, S. Bruno, A. Lorusso,
S. Pranzo, N. L’Abbate 129
Un caso di pneumoconiosi in un’azienda italiana
di confezione di jeans
G. De Filippis, B. Tamborino, L. Nuzzo,
L. Di Lorenzo, A. Basso, S. Trabucco, L. Soleo 130
Valutazione del rischio cancerogeno nel comparto
galvanico
R. d’Angelo, E. Russo, G. Lama, A. Del Gaudio,
L. Attaianese 131
Vigilanza sul rischio chimico nei calzaturifici,
come premessa per un audit gestionale
G. Bilancio, A. Sacco, L. Bevilacqua, N. Magnavita 132
La rappresentazione grafica del rumore in ambienti
di lavoro e il D.Lgs. 195/06
R. La Bua, G. Gianello, A. Miceli,
S.C.R. Pisano, A. Bergamaschi 133
VII SESSIONE - RISCHIO ORGANIZZATIVO ED ERGONOMIA
Valutazione dei disturbi muscolo-scheletrici
nel lavoratore in formazione fisioterapica
S. Cavalca, M. Riccò, M. del Mar J. Sanchez,
C. di Maggio, F.S. Renzulli, P. Carta, L. Selis,
I. Franchini 135
Sintomi astenopici e muscolo-scheletrici
in lavoratori che utilizzano il microscopio
A. Lorusso, S. Bruno, F. Caputo, S. Pranzo,
G. Sciannamblo, N. L’Abbate 136
Fattori individuali ed ergonomici correlati a disturbi
muscolo-scheletrici in tecnici di radiologia
A. Lorusso, S. Bruno, F. Caputo, S. Pranzo,
G. Sciannamblo, N. L’Abbate 137
La valutazione del rischio da movimentazione manuale
dei pazienti nelle strutture ospedaliere padovane
S. Maso, C. Garbin, C. Guggiana, S. Gemelli,
L. Colombera, P. Paruzzolo, B. Saia 138
Valutazione del rischio da movimentazione
manuale di carichi in una popolazione
lavorativa sulla base dei risultati anonimi
collettivi della sorveglianza sanitaria
A. Messineo, M. Leone, P. D’Altilia 139
Effetto degli interventi ergonomici preventivi
sull’andamento del fenomeno infortunistico
per lombalgia acuta da sforzo nel personale
infermieristico dell’Ospedale Policlinico di Bari
F. Caputo, A. Lorusso, I. Albano, S. Bruno,
G. Sciannamblo, G. Marinelli, N. L’Abbate 140
Prevalenza di disturbi muscoloscheletrici
in pianisti studenti di conservatorio
S. Bruno, A. Lorusso, F. Caputo, S. Pranzo,
G. Sciannamblo, N. L’Abbate 141
Un’esperienza di Back School in edilizia:
ruolo formativo e preventivo
M. Santini, P. Leghissa, G. Molinero, G. Mosconi 143
Rischio di infortunio: confronto fra diversi
sistemi di turnazione e mansione lavorativa
S. Garbarino, F. Spigno, F. Traversa, B. Mascialino,
G. Cuomo, G. Mantineo, F. Ferrillo, A.D. Bonsignore 144
I disturbi da costrittività organizzativa
in ambito INAIL nel periodo 1999-2004.
Aspetti medico-legali e tutela assicurativa
V. Anzelmo, F. D’Auria, P. Bianco 145
Analisi qualitativa degli ostacoli che limitano la
pratica professionale basata su prove di efficacia
P. Grandi, A. Franchi, G. Corona,
M. Minerva, G. Franco 146
Analisi della postazione di lavoro dei banconi
sportelleria degli uffici postali e proposte
di interventi strutturali
V. Molinaro, E. Badellino, S. Del Ferraro,
A. Silvetti, F. Draicchio 147
Valutazione del rischio ostetrico-ginecologico
nelle impiegate della manifattura calzaturiera
M. Valentino, V. Rapisarda, M. Ciuccarelli,
L.A.Tranquilli, N. Montik, L. Di Nunzio 148
Lavoro sedentario e sindrome metabolica
M. Bracci, N. Croce, G. Ceccarelli,
F. Monaco, L. Santarelli 150
Elementi analitici per la progettazione
di postazioni di lavoro di persone disabili
alle casse dei supermercati
F. Draicchio, A. Silvetti, E. Badellino, V. Molinaro,
S. Del Ferraro, G. Gianello, A. Bergamaschi 151
Lo psicologo in azienda: analisi preliminare
dell’esperienza di counselling all’interno di
uno stabilimento petrolchimico multisocietario
R. Morreale, P. Barbiero 152
Sorveglianza sanitaria e valutazione del livello
d’ansia in un gruppo di vigili urbani campani
R. Barletta, E. De Notaris, E. Pennarola, E. Russo,
E. Nigro, G. Bulgarelli, G. Marino, E. Farinaro 153
Stress e lavoro. ruolo ed importanza dei fattori
causali lavorativi
G. Galtieri, M. Migliara, G. Legato 154
(segue)

GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
Mobbing: un fattore di rischio professionale
sovrastimato?
F. Manfredini, D. Borleri, M. M. Riva, D. Ramenghi,
S. Spada, P. Zoncheddu, G. Mosconi 155
Approccio alla valutazione dello stress cronico,
delle costrittività organizzative e del mobbing
B. Sed, A. Magrini, L. Livigni, A. Pietroiusti,
G. Somma, L. Coppeta, E. Romeo, P. Boscolo,
A. Bergamaschi 157
Il mobbing, verso una rivoluzione culturale
e giuridica? Indagini preliminari in collaborazione
con i previdenzialisti di Bari
L.A. Fino 158
Prevalenza dell’ulcera duodenale nei lavoratori
in turno dispeptici con infezione da H. Pylori
A. Pietroiusti, A. Forlini, A. Magrini, A. Galante,
L. Coppeta, G. Somma, E. Bergamaschi,
A. Bergamaschi 159
Aspetti psicosociali dello stress e provvedimenti
di ordine preventivo
F. Vegna, A. Giunta, V. Vegna 160
Evaluation of social, working conditions and
wealth characteristics in harassed workers
M. Barattucci, E. Di Ninni, E. Scassa, A. Ambrosi,
N. Celsi, A Valente 161
Movimentazione manuale dei carichi nella piccola
impresa collegate con la CNA di Pescara
A. Antonucci, M. Di Carlantonio, D. Di Giuseppe,
L. Di Giampaolo 163
VIII SESSIONE - ESPOSIZIONE AD ASBESTO
Incidenza degli infortuni nelle attività di rimozione
dei materiali contenente amianto
G. Robuffo, E. Giancaterino, G. Zappacosta,
R. De Santis, B. Nicola, A. Caponetti 164
Ruolo della mesotelina sierica come marker
di diagnosi precoce del mesotelioma maligno
M. Amati, L. Mariotti, M. Ciuccarelli,
M. Tomasetti, M. Valentino 165
Mesotelioma maligno nel sesso femminile
in provincia di Bergamo
F. Bartolozzi, S. Facchinetti, P. Leghissa, M. Caironi,
M. Migliori, G. Mandelli, G Mosconi 167
Un caso di mesotelioma maligno della tunica
vaginale del testicolo con esposizione
professionale ad Asbesto
C. Dimaggio, F. Roscelli, C. Tanzi,
M. del Mar J. Sanchez, M. Riccò, I. Franchini 168
Mesotelioma primitivo dell’ovaio: descrizione
di un caso
M. Musti, D. Cavone, T. Massaro, L. Convertini,
G. Cauzillo, D. De Santis, A.M. Leo,
G. Montagano, G. Serio 169
Il registro regionale dei mesoteliomi Asbestocorrelati:
risultati del primo anno di attività
nella regione Abruzzo
L. Trafficante, S. Gatta, A.M. Di Giammarco 171

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl, 9-171 © PI-ME, Pavia 2006
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69° Congresso Nazionale
Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale
SVILUPPO DELLA MEDICINA DEL LAVORO
NELLA SOCIETÀ IN RAPIDO CAMBIAMENTO
Montesilvano (PE), 26-28 ottobre 2006
a cura di Paolo Boscolo, Mario Di Gioacchino,
Luca Di Giampaolo, Andrea Antonucci
POSTER

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 11
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I SESSIONE
TOSSICOLOGIA INDUSTRIALE
P-01
ESPOSIZIONE PROFESSIONALE ED AMBIENTALE AD ARSENICO
(As) ED ELIMINAZIONE URINARIA DI SPECIE DEL METALLO:
RISULTATI PRELIMINARI
M.R. Gigante1 , A. Antelmi1 , L. Soleo1 , P. Lovreglio1 , T. Gagliardi1 ,
I. Drago1 , S. Iavicoli2 , B. Persechino2 , M. Conversano2 , F. Bailardi2 ,
L. Greco4 , M.E. Gilberti5 , P. Apostoli5 1 Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica,
Sezione di Medicina del Lavoro “E.C. Vigliani”, Università di Bari
2 ISPESL, Monteporzio Catone, Roma
3 ASL TA/1, Taranto
4 Servizio Sanitario ILVA SpA, Taranto
5 Cattedra di Tossicologia Industriale, Università di Brescia
Corrispondenza: Prof. Leonardo Soleo - Dipartimento di Medicina
Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro
“E.C. Vigliani”, Policlinico, P.zza G. Giulio Cesare, 11 - 70124 Bari, Italy
- Tel. e Fax 080-5478201, E-mail: l.soleo@medlav.uniba.it
OCCUPATIONAL AND ENVIRONMENTAL EXPOSURE
TO ARSENIC (As) AND URINARY EXCRETION OF As SPECIES:
PRELIMINARY RESULTS
Key words: inorganic arsenic, speciation, arsenobetaine.
ABSTRACT. INTRODUCTION. The biotransformation mechanisms of
inorganic and organic arsenic (As) occurring when they are absorbed
into the human organism are not entirely known. Aim of this research was
to assess the contribution of occupational and environmental exposure to
As on urinary elimination of the different chemical species of this metal.
MATERIALS AND METHODS. We examined 49 workers at the steelworks
factory in Taranto with possible exposure to inorganic arsenic (exposed
subjects). As control group, we examined 50 subjects resident in
a district approximately 20 Km away from the steelworks (non exposed
subjects). All subjects were administered a questionnaire. Urinary
analysis for iAs, MMA, DMA, arsenobetaine and total As was
performed of the urine at the end of the work shift in exposed subjects
and of the second urine of the day, in the control group.
RESULTS. No differences in urinary elimination of iAs, MMA, DMA
and total As were observed between exposed and non exposed subjects.
The different species of arsenic were all significantly inter correlated.
In both groups, the elimination of arsenobetaine, iAs and total As was
dependent on the consumption of crustaceans and/or seafood within
the three days before urine sampling.
CONCLUSIONS. Our results seem to indicate that a diet rich of crustaceans
and/or seafood consumed within three days before urine sampling can
affect the urinary content not only of total As and arsenobetaine, but
also of iAs.
INTRODUZIONE
L’esposizione occupazionale ad arsenico (As) inorganico avviene in
settori professionali quali le fonderie di metalli non
ferrosi, la produzione del vetro, la produzione di
pesticidi, dove l’assorbimento del metallo si verifica
soprattutto per via inalatoria. Nell’ambiente di
vita, invece, prevale l’introduzione per via digestiva
sia dell’As inorganico, principalmente attraverso
l’ingestione di acqua, che delle forme organiche
contenute nei prodotti ittici, in particolare crostacei
e molluschi. La tossicità dell’As nell’uomo
dipende dalla sua forma chimica: arseniti e arseniati
(As III e As V) sono le forme più tossiche, seguite
dall’acido monometilarsonico (MMA) e dal-
l’acido dimetilarsinico (DMA) che sono le forme meno tossiche e dall’arsenobetaina,
arsenocolina e arsenozuccheri che non sembrano dotate
di tossicità (1, 6, 9, 10).
Dopo l’assorbimento, l’As inorganico viene in parte biotrasformato
nelle forme metilate (MMA e DMA) ed in parte escreto tal quale con le
urine; analogamente, anche i composti organici sarebbero eliminati in
parte tal quali ed in parte previa biotrasformazione. Secondo studi recenti,
infatti, l’aumento di DMA riscontrato nelle urine di soggetti che avevano
assunto prodotti ittici sarebbe spiegato dal catabolismo di composti organoarsenicali
presenti nel cibo e non solo dalla metilazione dell’As inorganico,
come sinora ritenuto (3, 7).
L’obiettivo della ricerca è stato quello di verificare il contributo dell’esposizione
professionale ed ambientale ad As sull’eliminazione urinaria
delle differenti specie chimiche del metallo.
MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati 49 lavoratori di sesso maschile (soggetti esposti),
di età compresa tra i 18 ed i 60 anni, dipendenti di un impianto siderurgico
sito nell’area tarantina e appartenenti ai reparti in cui si presumeva
ci fosse, se pur a concentrazioni molto basse, esposizione ad As
inorganico. Sono stati inoltre reclutati 50 soggetti di sesso maschile (soggetti
non esposti) residenti nella città di Taranto a circa 20 Km dal siderurgico
e non professionalmente esposti ad As.
A tutti i soggetti è stato somministrato un questionario con domande
su età, altezza, peso, consumo di alcol, abitudine al fumo di sigaretta, tipo
di residenza, tipo di acqua ingerita, consumo di crostacei e molluschi e
giorno trascorso dall’ultimo pasto a base di questi ultimi. Tutti i partecipanti
hanno fornito il loro consenso a partecipare alla ricerca.
Nei lavoratori del siderurgico l’esposizione ad As è stata verificata
attraverso l’analisi mineralogica delle materie prime e il monitoraggio
ambientale. Il monitoraggio ambientale è stato eseguito mediante campionatori
sia fissi che personali indossati dai lavoratori per l’intera durata
del turno lavorativo. L’esposizione ad As è stata inoltre verificata sia nei
soggetti esposti che nei soggetti non esposti anche attraverso la determinazione
delle diverse specie di arsenico nelle urine. A tal fine i lavoratori
esposti hanno raccolto le urine alla fine del turno di lavoro ed i soggetti
non esposti le seconde urine del mattino.
La speciazione delle diverse forme di As nelle urine è stata eseguita
mediante spettrofotometria in assorbimento atomico per la determinazione
dell’iAs (arsenico inorganico+MMA+DMA), mediante HPLC-MS
per la determinazione di MMA e DMA e arsenobetaina e mediante ICP-
Massa per la determinazione dell’As totale. L’analisi statistica è stata eseguita
mediante l’utilizzo di un package statistico (SPSS 12, 0).
RISULTATI
L’analisi mineralogica delle materie prime ha evidenziato la presenza
di arsenico in quantità contenute pressoché quasi sempre entro i 40
mg/Kg, concentrazione ritenuta accettabile in terreni non contaminati
(10). L’esposizione ambientale ad As ha evidenziato nella frazione respirabile
della polvere concentrazioni di As al di sotto di 0.001 mg/m 3 , ovvero
dieci volte inferiori al TLV-TWA dell’ACGIH per il 2005 corrispondente
a 0.01 mg/m 3 (2).
Gli esposti sono apparsi significativamente più giovani rispetto ai
non esposti, mentre il BMI non è risultato differente nei due gruppi.
Esposti e non esposti non hanno mostrato differenze delle medie della
concentrazione di iAs, MMA, DMA e As totale, mentre l’arsenobetaina
è risultata significativamente più elevata nei soggetti non esposti rispetto
agli esposti (Tabella I). Nei soggetti esposti e in quelli non espo-
Tabella I. Concentrazione urinaria delle diverse specie di arsenico (mg/L)
nei soggetti esposti e nei non esposti
Specie ESPOSTI (N. 49) NON ESPOSTI (N. 50)
dell’Arsenico Media DS Mediana Range Media DS Mediana Range
iAs
(As inorganico + 13.9 17.5 5 0.3-75 10.3 13.2 5.5 0.6-84
MMA + DMA)
MMA 5.4 17.8 1 0.25-120 2 3.3 1.2 0.25-22
DMA 14 21.6 5.5 0.25-116 13.8 24.3 6 1-168
Arsenobetaina * 85.9 239 29.4 0.25-1636 105.5 167 36 1.3-1020
As totale 141.2 330 62 3.1-2271 295.1 1163 79 11-8300
* t = 2.05; p = 0.043

12 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
sti le diverse specie di arsenico sono risultate tutte significativamente
correlate tra loro. È risultata una significativa eliminazione di arsenobetaina
associata all’alto consumo di molluschi e una significativa eliminazione
di arsenobetaina, MMA, iAs e As totale associata al consumo
di molluschi e/o crostacei nei tre giorni precedenti la raccolta
delle urine. L’analisi della regressione applicata su tutte le variabili continue
ha mostrato negli esposti e nei non esposti una dipendenza significativa
dell’eliminazione di arsenobetaina, iAs e As totale dal consumo
dell’ultimo pasto a base di crostacei e/o molluschi nei tre giorni precedenti
la raccolta delle urine.
DISCUSSIONE
I risultati della ricerca sembrano indicare, in accordo con i dati di
letteratura, che una dieta a base di crostacei e/o molluschi, consumati
tre giorni prima della raccolta delle urine, sia in grado di condizionare
l’eliminazione urinaria non solo di As totale e arsenobetaina, ma anche
dell’iAs determinato mediante spettrofotometria in assorbimento atomico
(As inorganico+MMA+DMA) (3, 4, 7). Crostacei e molluschi,
infatti, tendono ad assumere l’arsenico inorganico presente nelle acque
e nei sedimenti marini e a trasformarlo e ad accumularlo in forme organiche.
Al riguardo numerosi studi di speciazione condotti recentemente
sui prodotti ittici hanno evidenziato come in crostacei e molluschi,
oltre alle specie organiche dell’arsenico, siano presenti anche
forme inorganiche in percentuale variabile dall’1 al 41% rispetto all’arsenico
totale (8).
Ulteriori studi andrebbero condotti nell’uomo al fine di comprendere
se l’aumento dell’iAs urinario dosato con la spettrofotometria in assorbimento
atomico sia da attribuirsi all’incremento dell’MMA o del DMA derivato
dal metabolismo dell’arsenico inorganico o, come riportato in letteratura,
dal catabolismo di composti organoarsenicali presenti nei prodotti
ittici oppure sia da attribuirsi all’aumentata escrezione di arsenico
inorganico assunto con i crostacei e molluschi (5).
BIBLIOGRAFIA
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profile for arsenic update. ATSDR, Atlanta GA 2000.
2) American Conference of Govermental Industrial Hygienists
(ACGIH). TLVs and BEIs for chemical substances and psysical
agents. ACGIH, Cincinnati OH 2005.
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occupational exposure to inorganic arsenic. Occup Environ Med
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4) Arbouine MW, Wilson HK. The effect of seafood consumption on
the assessment of occupational exposure to arsenic by urinary arsenic
speciation measurements. J Trace Elem Electrolytes Health Dis
1992; 6: 153-160.
5) Brima EI, Haris PH, Jeckins RO, Polya DA, Gault AG, Harrington
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of arsenic levels in urine, hair and fingernails of healthy volunteers
from three unexposed ethnic groups in the United Kingdom. Toxicol
Appl Pharmacol 2006. Available on line.
6) Buchet JP, Lison D, Ruggeri M, Foa V, Elia G. Assesment of exposure
to inorganic arsenic, a human carcinogen, due to consumption
of seafood. Arch Toxicol 1996; 70: 773-778.
7) Buchet JP, Pauwels J, Lauwerys R. Assessment of exposure to inorganic
arsenic following ingestion of marine organism by volunteers.
Environ Res 1994; 66: 44-51.
8) Fattorini D, Alonso-Hernandez CM, Diaz-Asencio M, Munoz-Caravaca
A, Pannacciulli FG, Tangherlini M, Regoli F. Chemical speciation
of arsenic in different marine organisms: immportance in monitoring
studies. Mar Environ Res 2004; 58: 845-850.
9) Hughes MH. Arsenic toxicity and potential mechanisms of action.
Toxicol Lett 2002; 133: 1-16.
10) International Programme on Chemical Safety: Environmental Health
Criteria 224. Arsenic and arsenic compounds. WHO, Geneva, 2001.
11) Kales SN, Huyck KL, Goldman RH. Elevated Urine Arsenic: un-speciated
results lead to unnecessary concern and further evaluations. J
Anal Toxicol 2006; 30: 80-85.
12) Ricerca realizzata anche con il contributo del Ministero del Lavoro/ISPESL
PMS/22/02/UO13.
P-02
STUDIO DEGLI EFFETTI BIOLOGICI DEGLI ENDOCRINE
DISRUPTERS CHEMICALS (EDC) SULLA SALUTE RIPRODUTTIVA
A. Pera1 , L. Caporossi1 , M. De Rosa1 , I. Vita1 , C. Bastianelli2 ,
B. Papaleo1 1 ISPESL - Dipartimento Medicina del Lavor, Monteporzio Catone, Roma
Via di Fontana Candida, 1 - 00040 Roma
2 Dipartimento di Scienze Ginecologiche del Policlinico Umberto I
di Roma
Corrispondenza: Dr.ssa Alessandra Pera - ISPESL, Dipartimento
di Medicina del Lavoro - Via Fontana Candida, 1 - 00040 Monteporzio
Catone (RM), Italy - Tel. 06-94181282, E-mail: Alessandra.pera@ispesl.it
EFFECTS OF ENDOCRINE DISRUPTERS(EDC) ON ENDOCRINE
SYSTEMS AND REPRODUCTIVE HEALTH
Key words: reproducive Health, endocrine disrupters, workers.
ABSTRACT. Our study had the following aims: to verify retrospectively
whether exposure to EDCs is associated with menstrual disorders
(polymenorrhea, oligomenorrhea, amenorrhea); to verify whether
exposure to EDCs is associated with loss of fertility, as indicated
particularly by a prolongation of time to pregnancy; to verify whether
there is a correlation between exposure to EDCs and the incidence
of endometriosis. This epidemiologic study enrolled 80 women
attending the gynecological outpatient clinics at the Policlinico
Umberto I, in Rome. A specifically designed questionnaire was used
to collect information on their home environment, dietary habits,
recreations and other activities outside work. The questionnaire asked
for details of their current and previous jobs, so as to draw a complete
occupational picture and assess any types of risk they had been exposed
to that might have had repercussions on their health; from analysis
of extrapolated data it seems there may well be an association between
exposure to EDCs and some endocrine pathologies in women. Celiac
disease gave an interesting finding. One outstanding need is for
biomarkers of susceptibility and exposure, especially since these
substances are so widespread in the environment and in food, a factor
that limits epidemiological studies.
INTRODUZIONE
È noto da oltre un decennio come sostanze chimiche oggi largamente
presenti nell’ambiente di vita e di lavoro possano produrre effetti negativi
sulla funzione endocrina e riproduttiva, anche nella specie umana. Queste
sostanze agiscono sia alterando direttamente la funzione endocrina a
causa della loro affinità per i recettori ormonale, sia attraverso un effetto
di tipo tossico sul sistema immunitario, sia nell’uomo che nella donna.
Un esempio classico è fornito dalle diossine che determinano nella donna
gravida incremento dell’aborto spontaneo, mentre nel neonato (tramite il
latte materno) possono provocare atrofia del tessuto linfatico con ritardi
di crescita ed altre anomalie. Un agente chimico può alterare i diversi processi
cellulari: differenziazione, mitosi, meiosi, apoptosi, riparazione del
DNA, e può produrre effetti indiretti, modificando la produzione ormonale
endogena. Si è molto discusso dell’effetto di questi “distruttori endocrini”
sulla funzione riproduttiva maschile ed in particolare sulla spermatogenesi
e sull’incidenza di tumori testicolari. Nella donna questi effetti
sembrano più sfumati e per molti manca la prova che alle concentrazioni
di norma rilevate, vi sia un chiaro effetto negativo, sia pure su particolari
sottogruppi a rischio. Alla luce di questa analisi dei rischi lo studio
si propone di verificare in modo retrospettivo se l’esposizione ad
agenti che rientrano nella categoria degli interferenti endocrini sia o meno
associata a: disordini del ciclo mestruale (polimenorrea, oligomenorrea,
amenorrea), ad ipofertilità con aumento del “time to pregnancy” e ad aumento
dell’incidenza di endometriosi.
MATERIALI E METODI
Lo studio epidemiologico è stato effettuato arruolando 80 donne (età
media 34aa) afferenti agli ambulatori del Dipartimento di Scienze Ginecologiche
del Policlinico Umberto I di Roma che sono state divise in tre
gruppi, in relazione alla patologia per la quale si erano sottoposte a con-

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 13
www.gimle.fsm.it
trollo specialistico: 59 con cicli irregolari, 16 con endometriosi e 5 con
ipofertilità; il gruppo di controllo comprende 80 donne sane con cicli regolari,
con normale sintomatologia catameniale, gravidanze ottenute entro
12 mesi di rapporti liberi, con al massimo un aborto spontaneo, senza
storia di pregresse morti intrauterine e prematurità. È stato predisposto e
compilato un questionario, per la raccolta di informazioni sugli ambienti
di vita, le abitudini alimentari, attività ricreative ed extralavorative. Abbiamo
indagato sull’attività lavorativa attuale ma anche su quella pregressa,
per ricostruire una storia lavorativa completa e valutare i tipi di rischi
a cui la donna è stata esposta. L’anamnesi ostetrica prevedeva domande
sull’età dell’insorgenza del menarca, sulle caratteristiche del
flusso mestruale, sul “Time to pregnangy” e quindi sul numero delle gravidanze,sull’evoluzione
e esito delle stesse, in termini di gravidanze a termine,
gravidanze pre-termine, aborti spontanei ed infine sulla presenza di
endometriosi.
L’indagine sullo stile di vita ha considerato. la residenza, il fumo, le
abitudini alimentari e il modo di conservare i cibi. Questo nasce da evidenze
che dimostrano che alcuni di questi “interferenti endocrini” come
gli ftalati sono presenti in molti prodotti e sono destinati ad essere rilasciati
nell’ambiente. Li ritroviamo infatti nel suolo, nelle acque, negli alimenti
ed è comprensibile, come la caratteristica dell’ubiquitarietà di queste
sostanze renda difficile lo studio epidemiologico sull’uomo, mentre
sono ormai certi gli effetti sugli animali. Vengono usati in una vasta
gamma di formulazioni in PVC, un polimero altrimenti rigido, e in un numero
incalcolabile di prodotti per renderli idonei ai vari usi: dispositivi
medicali, giocattoli, cosmetici, profumi, pavimenti, pellicola per alimenti,
tappezzerie lavabili, detergenti, fili isolanti, tende per doccia, bottiglie
di acqua minerale, borse, parti interne di automobili, colle, deodoranti
ambientali, perfino tessuti. Si possono ingerire ed inalare e in quanto
semivolatili è difficile capirne la provenienza. Gli esperti contano che
nell’ambiente ci siano mille volte più ftalati che pesticidi. Ogni anno se
ne usano 9 milioni di tonnellate per rendere la plastica flessibile e morbida.
In relazione ai dati occupazionali è stato richiesto di descrivere l’attività
lavorativa, sia pregressa che attuale, per ottenere informazioni anche
su esposizioni avvenute in passato. Riguardo alla residenza sono stati
delineati 2 gruppi per distinguere l’ambiente rurale da quello urbano con
attenzione alla presenza o meno di aziende agricole, campi coltivati e/o
industrie nei pressi delle abitazioni. È importante ricordare come l’habitat
in cui si vive, può essere fonte residua di inquinanti. Le abitudini alimentari
sono state indagate perché la letteratura scientifica ha riportato
dati allarmanti riguardo alla presenza di alcune delle sostanze indagate
non solo in alcuni tipi di alimenti (pesci, crostacei ecc.) ma anche negli
utensili che si utilizzano per la vendita e la conservazione di cibi. Le indagini
hanno individuato il tipo di mansione svolta ed il tempo dedicato
a quella mansione, suddividendo i settori lavorativi in industrie, professioni
sanitarie, terziario e altro. È stato richiesto di ricordare se si sono verificati
incidenti durante l’attività lavorativa, il tipo di Dispositivo di Protezione
Individuale utilizzato. È stato effettuato quindi uno studio sulle
correlazioni tra l’esposizione a tali agenti e disordini del ciclo mestruale,
ipofertilità ed endometriosi.
RISULTATI
È stata eseguita l’analisi statistica dei dati acquisiti tramite i questionari
somministrati.
La maggiore significatività è stata riscontrata tra l’insorgenza di patologie
endocrine e consumo di alcolici, cibi in scatola e pesce (crostacei,
sgombro, aringa, salmone, anguilla, halibut), confermando quanto riportato
da molti dati della letteratura. Tra le abitudini alimentari, per quanto
riguarda la dieta, si è riscontrato che tutti i casi di ipofertilità hanno elevato
sia il consumo settimanale e mensile di cibi in scatola e di crostacei,
che l’utilizzo di materiale plastico per la conservazione di cibi grassi.
Stessa valutazione si può fare anche per il gruppo con irregolarità mestruali
ed endometriosi. Riguardo il gruppo di controllo abbiamo riscontrato
che l’utilizzo delle stesse sostanze sia per scopo alimentare che per
conservazione avviene in maniera saltuaria durante il mese. Un dato interessante
riguarda il morbo celiaco. Questa patologia è stata riscontrata
in soggetti in cui il Time to pregnancy è stato significativo. È importante
ricordare come negli ultimi anni la “celiachia” è stata messa in relazione
con la possibile esposizione ad interferenti endocrini; dai dati ottenuti sarebbe
quindi auspicabile la predisposizione di ulteriori studi.
Si è riscontrata, purtroppo, una carenza di informazioni riguardante
le sostanze manipolate dalle lavoratrici; infatti spesso non abbiamo otte-
nuti dati chiari sulle sostanze utilizzate (dato più frequente tra soggetti di
basso ceto sociale).
CONCLUSIONI
Anche se finora la valutazione del rischio di queste sostanze è sempre
su base sperimentale, dall’elaborazione dei dati estrapolati si osserva come
sia possibile l’associazione tra esposizione a interferenti endocrini ed alcune
patologie associate all’alterazione della funzione endocrina nella
donna. Questo dato rafforza la necessità di programmare ed implementare
i programmi di formazione ed informazione negli ambienti di lavoro. Rimane
tuttavia necessario determinare dei biomarker di suscettibilità ed
esposizione, soprattutto in relazione all’ampia presenza di queste sostanze
nell’ambiente e negli alimenti, fattori che limitano gli studi epidemiologici.
BIBLIOGRAFIA
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and plasma hormone concentrations in male workers exposed to bisphenol
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3) Papaleo B et al. Esposizione professionale a distruttori endocrini:
stato dell’arte. G Ital Med Lav Erg 2004; 26, 3; 171-179.
P-03
MONITORAGGIO AMBIENTALE DELL’ACIDO PERACETICO
IN UNA AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA
M. Pacenti, S. Dugheri, P. Boccalon, G. Arcangeli, V. Cupelli
SOD Medicina del Lavoro, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi,
Firenze
Corrispondenza: Dr. Marco Pacenti - SOD Medicina del Lavoro,
Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi - Largo Palagi, 1
- 50100 Firenze, Italy - E-mail: marco.pacenti@unifi.it.
EVALUATION OF THE OCCUPATIONAL EXPOSURE
TO PEROXYACETIC ACID IN SOME ENDOSCOPIC SERVICES
IN AN ITALIAN HOSPITAL
Key words: peroxyacetic acid, MTSOO, occupational exposure.
ABSTRACT. Peroxyacetic acid is recently used for medical purposes,
mainly for sterilizing of the instruments and it is tending to replace
glutaraldehyde. After a survey performed in a hospital in Florence, it
was pointed out that peroxyacetic acid formed from hydrogen peroxide
and N-acetylcaprolactam reaction was used in fifteen operative units
with 1-month consumption (February 2005) of 755L. Air monitoring
was performed by active sampling in fifteen endoscope units in a
hospital during the replacement of peroxyacetic acid solution in basins
(eleven units) and automatic endoscope washing machines (four units).
The analysis of the basic silica gel coating with methyl p-tolylsulfoxide
(MTSO) was performed by liquid chromatography with UV detection
of the methyl p-tolylsulfone (MTSOO) generated by the sampling
of peroxyacetic acid. On the basis of a limit values of Institut National
de Recherch et Sècuritè (INRS) the results obtained during this
campaign of measurements are compared. We measured average
environmental concentration values of peroxyacetic acid lower that 1/10
of TLV-TWA and 1/4 of TLV-STEL. The highest level of peroxyacetic
acid were observed in units where lavaendoscopes without aspirating
hood were used.
INTRODUZIONE
L’acido peracetico è un perossiacido organico caratterizzato da un
elevato potere ossidante, da una notevole efficacia biocida (superiore alla
glutaraldeide) e può risultare sterilizzante a freddo anche a concentrazioni
inferiori allo 0,2%. In questi ultimi anni, ne è stato introdotto l’uso nel
settore sanitario “in sostituzione della glutaraldeide” per la sterilizzazione
a freddo di dispositivi medico-chirurgici non autoclavabili (1).

14 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
Tuttavia, l’acido peracetico, caratterizzato da uno stato di elevata
energia, è da ritenersi un composto altamente instabile e può vedere la sua
efficacia ridotta nel tempo. La preparazione di soluzioni diluite, ottenute
direttamente da acido peracetico concentrato oppure come prodotto dalla
reazione di diversi precursori chimici (perossido d’idrogeno e substrati
N-acetilati, perossido d’idrogeno ed acido acetico), viene eseguita al momento
dell’utilizzo.
Usato ad alte concentrazioni presenta attività di corrosione di cute e
mucose sia per ingestione che per contatto cutaneo ed i vapori hanno
un’elevata attività irritante per occhi, naso e gola (2).
Per il prelievo dell’acido peracetico aerodisperso possono essere utilizzati
substrati solidi o liquidi trattati con: 2,2’-azino-bis(3-ethyl-benzothiazoline)-6-sulfonate
(ABTS) (3), 2-([3-{2-[4-amino-2-(methylsulfanyl)phenyl]-1-diazenyl}phenyl]sulfonyl)-1-ethanol
(ADS) (4), methylp-tolyl
sulfide (MTS) (4) e methyl p-tolylsulfoxide (MTSO) (5). I campionatori
(fiale di vetro o impinger) vengono collegati ad una pompa
aspirante con flussi da 0,3 a 2 l/min per periodi di prelievo ≥15 minuti.
L’analisi dei rispettivi sulfossidi o del radicale cationico, viene eseguita
in cromatografia liquida (LC/UV) (4, 5) o in spettrofotometria (3). Alcuni
Autori (6) propongono un campionamento mediante l’uso di una trappola
criogenica Horibe (–90° C) e un’analisi in LC/fluorescenza dopo derivatizzazione
(post-colonna) con acido p-idrossifenilacetico.
Scopo del lavoro è la valutazione dell’esposizione professionale a
vapori di acido peracetico durante l’attività di routine e di sostituzione
delle soluzioni nei lavaendoscopi e nelle bacinelle.
MATERIALI E METODI
Un’indagine conoscitiva effettuata nel febbraio 2005 ha evidenziato
che la soluzione idroalcolica di acido peracetico (Oxyster G, Farmec)
viene utilizzata in 15 reparti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di
Careggi con consumi mensili pari a 755 litri.
In 11 reparti la disinfezione/sterilizzazione dei dispositivi medicochirurgici
viene effettuata manualmente in appositi contenitori chiusi da
1 o 5 litri (bacinelle). Negli altri 4 reparti vengono utilizzate le seguenti
macchine sterilizzatrici: tre CIRCLEAN 3000 e un CIRCLEAN MC 12
(SHOEI) posizionati in un piccolo locale con 15 ricambi/h (reparto 1); un
F2 LABCAIRE SYSTEM LIMITED U.K. dotato di un sistema di aspirazione
attiva (reparto 2); un CIRCLEAN MC 12 A (SHOEI) posizionato
all’interno di un box munito di aspirazione localizzata (reparto 3); un
CIRCLEAN MC 12 A (SHOEI) posizionato in un locale privo di sistemi
di aspirazione (reparto 4).
Per la preparazione della soluzione di acido peracetico (0,2%) viene
utilizzato un generatore contenente i gruppi perossidici che operano l’attacco
nucleofilo al legame carbonilico dell’N-acetil donatore presente
nell’attivatore (Fig. 1).
Per la determinazione delle concentrazioni di acido peracetico nell’aria
ambiente è stata adottata la metodica proposta da Hecht e Coll. (5)
che prevede: il prelievo con fiale contenenti gel di silice alcalinizzato ed
impregnato di MTSO ad 1 l/min, l’eluizione chimica del substrato con
acetonitrile, l’analisi del derivato methyl p-tolylsulfone (MTSOO) in
LC/UV a 224 nm utilizzando una colonna a fase inversa C18 (250 mm x
3,2 mm, 5 µm) e una fase mobile 57/43 acetonitrile/acqua.
Figura 1. Reazione di attivazione dell’acido peracetico
Sono stati eseguiti 21 prelievi in postazione fissa, 12 in prossimità
delle bacinelle e 9 dei lavaendoscopi, per valutare i livelli d’inquinamento
ambientale durante l’intero turno lavorativo. Inoltre, sono state effettuate
18 dosimetrie personali negli addetti all’attivazione e al travaso
(carico e scarico) delle soluzioni di acido peracetico, 7 nei lavaendoscopi
e 11 nelle bacinelle, per tutta la durata dell’operazione (circa 10-20 minuti).
Le concentrazioni ambientali dell’acido peracetico sono state confrontate
con i valori limite proposti da Gagnaire e Coll. (7) e dall’INRS
(Institut National de Recherche et Sècuritè): TLV-TWA = 0,62 mg/m 3
(0,2 ppm); TLV-STEL = 1,56 mg/m 3 (0,5 ppm).
RISULTATI
Dall’esame della Fig. 2 si evince che tutti i valori di acido peracetico
rilevati in postazione fissa a livello dei lavaendoscopi (p.f. lavaend.) e
delle bacinelle (p.f. bacinelle) sono nettamente inferiori al TLV-TWA di
0,62 mg/m 3 . Le concentrazioni del perossiacido riscontrate nelle dosimetrie
personali degli addetti alla sostituzione della soluzione nei lavaendoscopi
(op. lavaend.) e nelle bacinelle (op. bacinelle) sono inferiori al TLV-
STEL di 1,56 mg/m 3 ad eccezione di un addetto del reparto 1 che ha travasato,
in circa 20 minuti, 35 l in due lavaendoscopi (2,14 mg/m 3 ).
Figura 2. Concentrazioni ambientali di acido peracetico riscontrate
in 15 reparti
I valori medi di concentrazione ambientale di acido peracetico rilevati
in prossimità dei lavaendoscopi e delle bacinelle durante l’attività di
routine e le operazioni di sostituzione sono risultati, rispettivamente, pari
a 0,07±0,05 mg/m 3 (range: 0,01-0,16 mg/m 3 ) e a 0,04±0,05 mg/m 3
(range:

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 15
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6) Xu J, Chen Z. Determination of peroxides in environmental samples
by high performance liquid cheromatography with fluorescence detection.
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7) Gagnaire F, Marignac B, Hecht G, Hery M. Sensory irritation of acetic
acid, hydrogen peroxide, peroxyacetic acid and their mixture in
mice. Ann Occ Hyg 2002; 46(1): 97-102.
8) Pacenti M, Dugheri S, Pieraccini G, Boccalon P, Arcangeli G, Cupelli
V. Evaluation of the occupational exposure to glutaraldehyde in
some endoscopic services in an italian hospital. Indoor Built Environ
2006; 15(1): 63-68.
P-04
MIELOMA MULTIPLO: RISCHIO OCCUPAZIONALE OD AMBIENTALE?
M. Riccò, M. del Mar J. Sanchez, S. Cavalca, C. di Maggio,
E. Adami, E. Bergamaschi, I. Franchini
Università degli Studi di Parma - Dipartimento di Clinica Medica,
Nefrologia, Scienze della Prevenzione
Corrispondenza: Dr. Matteo Riccò - Università degli Studi di Parma,
Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia, Scienze della Prevenzione,
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Tel. (cellulare
e domicilio) 339/2994343, Residenza: Via Enza n°3, 43100 Parma, Italy
- E-mail: mricco2000@yahoo.it
MULTIPLE MYELOMA: OCCUPATIONAL OR ENVIRONMENTAL
RISK?
Key words: multiple myeloma, solvents, occupational exposure.
ABSTRACT. Multiple myeloma (MM) is a malignant disease of
unknown etiology, aring from bone marrow cells committed to express
immunoglobulin chains. Occupational exposures to solvents
(particularly benzene), pesticides, and/or fuels exhausts were supposed
to induce evolution to malignancy, eventually in presence of favorable
genotypes. A small cluster of subjects working in the same enterprise
affected by MM was identified, and occupational etiology therefore
supposed. Patients (3 males, 1 female; mean age 64 years) were
employed in the same woodworking enterprise, but in different tasks
(application of varnishes or glues, refining, or as electrician). Massive
use of various classes of solvents (> 5 L/month) was identified in three
patients. Personal or group protection equipments were defined as
unavailable or inadequate. Patients lived in the same colonial house,
and were chronically exposed (> 20 years) to pesticides applied in the
near fields. Another subject residing in the same house and previously
receiving diagnosis of MM was identified. In the cluster we present,
occupational etiology of MM was initially suspected: the different tasks
performed by the subjects, the exposure to different classes of solvents
employed, and also the common living environment suggest a possible
role for non-occupational agents.
INTRODUZIONE
Il mieloma multiplo (MM) è una neoplasia B-cellulare caratterizzata
dall’accumulo e dalla proliferazione di cellule maligne a caratteri plasmacellulari,
generalmente derivate dal midollo osseo, secernenti un’immunoproteina
monoclonale sierica (1-2). Le complesse interazioni fra il
clone neoplastico e l’organismo ospite determinano i sintomi e le disfunzioni
d’organo tipiche del mieloma: dolore osseo, insufficienza renale,
alta suscettibilità alle infezioni, anemia, ipercalcemia. Questi ultimi sintomi
innescano solitamente il processo diagnostico che porta all’identificazione
della patologia (3). L’età media di insorgenza è di 68 anni. Giustifica
l’1% di tutte le patologie neoplastiche della razza bianca ed il 13%
di tutte le neoplasie ematologiche (4).
Non esiste una singola mutazione in grado di determinare MM che,
invece, appare il risultato del susseguirsi di più eventi a livello cellulare
e subcellulare (5). L’eziologia del MM rimane pertanto oscura, ma un
gran numero di esposizioni ambientali, come radiazioni e pesticidi, stimolazione
antigenica cronica ed infezioni vitali sono state considerate
quali possibili fattori predisponenti (6-8), e così l’esposizione a solventi
organici o petrolio (9). Il sospetto di un’associazione MM ed attività professionali
era già stata avanzata da metanalisi condotte a partire dagli anni
’80 (10), e più recentemente ribadito da Mester et al in un uno studio su
attività professionale e linfoma maligno, nel campo specifico dell’ambiente
agricolo (11). A tutt’oggi, comunque, uno specifico ruolo per esposizioni
occupazionali rimane non pienamente dimostrato. Di seguito, presentiamo
una piccola casistica, in cui la clusterizzazione dei casi ha inizialmente
indotto il sospetto di un’eziologia professionale della malattia.
SOGGETTI E METODI
Quattro pazienti (3 maschi - di 59, 65, 72 anni - 1 femmina di 60
anni) ricevono diagnosi di MM, con conferma istologica, fra il 1999 e
2002. Due di essi, (pazienti A e C) decedono entro 12 mesi dalla diagnosi.
Dei due restanti (coniugi), uno (paziente D) è attualmente in insufficienza
renale terminale ed in trattamento emodialitico. Il quarto paziente (paziente
B) è in buon compenso midollare a 5 anni dalla diagnosi.
I pazienti erano stati impiegati nello stesso mobilificio per una media
di 21 anni (min 20, max 25), in quattro settori separati (paziente A =
incollaggio; paziente B = verniciatura; paziente C = impiantistica elettrica;
paziente D = rifinitura). Nel sospetto di un’eziologia occupazionale
della malattia, veniva condotta un’accurata raccolta anamnestica professionale
– per via diretta, nel caso dei pazienti ancora viventi, indirettamente
tramite famigliari e colleghi nel caso dei soggetti deceduti.
RISULTATI
Nei pazienti A, B e D è stato possibile evidenziare a livello anamnestico
una cronica, prolungata esposizione professionale a solventi organici
(varie classi, in funzione delle diverse procedure ed attività quotidiane,
esposizione retrospettivamente stimata > 5 L/mese), impiegati in
ambienti di piccole dimensioni, privi di presidi di areazione/ventilazione
e scarsamente aerati. Anche l’impiego di dispostivi di protezione individuale,
particolarmente prima del 1994, era definito “deficitario”. Non era
riferito l’impiego extra-professionale di solventi o derivati del petrolio,
ed in particolare di composti contenenti benzene od analoghi. Nel caso
del paziente C (addetto all’impiantistica elettrica) l’impiego di solventi o
vernici non è stato confermato.
Tutti i pazienti avevano vissuto per oltre 15 anni prima della diagnosi
in una casa colonica isolata, lontano dall’impresa, fra campi coltivati e
frequentemente sottoposti a trattamento con fertilizzanti ed alla distribuzione
di pesticidi aerodispersi - talora anche tramite aeromobile.
Durante la raccolta anamnestica, veniva infine segnalata la precedente
diagnosi di MM anche nella madre del paziente D, casalinga ed in
precedenza impiegata in attività agricole, alloggiata nella stessa abitazione
e deceduta circa due anni prima che la malattia fosse diagnosticata
nella figlia.
CONCLUSIONI
L’aggregazione famigliare del MM è sostenuta da diversi case reports,
studi condotti su gemelli identici, alcuni studi caso controllo e studi
di corte (12). Tale associazione potrebbe essere determinata da un comune
background genetico, una comune esposizione ambientale delle famiglie,
incluse l’esposizione ad alte dosi di radiazioni, pesticidi, esausti
di diesel ed altri fattori occupazionali. In effetti, il reperto di piccoli cluster
di MM in coppie e conviventi è sostenuto da diversi case reports (8,
13-16). Nella casistica da noi descritta, i pazienti provenivano da uno
stesso stabilimento industriale, impiegati tuttavia in attività diverse svolte
in diversi ambienti di lavoro: in tre dei quattro pazienti si rilevava l’impiego
quotidiano di elevate quantità di solventi industriali, tuttavia eterogenei
per composizione chimica, modalità di impiego e di esposizione.
L’analisi di questi elementi, la cronica esposizione domestica a fattori potenzialmente
implicati nella patogenesi della malattia (17), permettono
tuttavia di sospettare un ruolo per agenti patogeni extra-professionali ed
ambientali.
BIBLIOGRAFIA
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P-05
32 P-POSTLABELING E POLIACRILAMIDE GEL ELETTROFORESI:
CONFRONTO E APPLICAZIONE DELLE DUE TECNICHE
PER IL RILEVAMENTO DEGLI ADDOTTI AL DNA
B. Pappalardi1 , M.V. Policastro1 , P. Chiumarulo1 , G. Assennato1 ,
P. Corsi2 1 Dip. di Medicina Interna e Pubblica, Sez. di Medicina del Lavoro
B. Ramazzini
2 Dip. di Farmacologia e Fisiologia Umana
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari,
Policlinico, Piazza G. Cesare 11, 70124 Bari
Corrispondenza: Brigida Pappalardi - Dip. di Medicina Interna
e Pubblica, Sez. di Medicina del Lavoro B. Ramazzini, Facoltà
di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari, Policlinico
- Piazza G. Cesare 11 - 70124 Bari, Italy
32 P-POSTLABELING AND POLYACRYLAMIDE GEL
ELECTROPHORESIS ANALYSIS: COMPARISON OF TWO
TECHNIQUES FOR THE DETECTION OF DNA ADDUCTS
Key words: 32 P-Postlabeling/PAGE, addotti BPDE, TLC.
ABSTRACT. BACKGROUND. 32 P-Postlabeling analysis is a powerful
technique to detect DNA adducts induced by endogenous and exogenous
mutagens or carcinogens. OBJECTIVES. In the present study two
techniques were applied to the detection of BPDE-DNA adducts:
a newly developed Postlabeling coupled with nondenaturing
20% polyacrylamide gel electrophoresis, 32 P-Postlabeling/PAGE
and 32 P-Postlabeling/TLC. The aim was to consider PAGE valuable
and widely useful also for biomonitoring study of exposure to PAH.
METHODS. Polyethylenimine (PEI)-cellulose TLC plates were used
to separate 32 P-labeled adducts two-dimensionally under several
different buffer conditions; the same DNA samples were applied
on nondenaturing 20% polyacrylamide gel electrophoresis for
32 P-Postlabeling/PAGE. CONCLUSIONS. While the major advantage
of this technique is that many DNA samples can be analysed
on the same gel and resolved in a few hours nevertheless it showed
lower recoveries of BPDE-DNA adducts compared to TLC.
INTRODUZIONE
Il 32 P-Postlabeling/TLC è una tecnica largamente utilizzata in studi di
biomonitoraggio in lavoratori esposti a contaminanti ambientali e cancerogeni.
Inoltre è capace di valutare una grande varietà di addotti partendo
da esigue quantità di DNA (1-5 µg) (1, 2). Nell’analisi per 32 P-Postlabeling
i nucleotidi modificati e marcati in posizione idrossilica 5’ con [γ 32 P]-
ATP sono caricati su lastre di polietilenimina cellulosa e migrano per cromatografia
su strato sottile (TLC) (4). Di recente in letteratura è emersa
una procedura di identificazione degli addotti al DNA che si basa sull’applicazione
di gel di elettroforesi non denaturante al 30% poliacrilamide all’analisi
del 32 P-Postlabeling ( 32 P-Postlabeling/PAGE) (5). I maggiori
vantaggi di questa tecnica comprendono la possibilità di valutare più campioni
di DNA caricandoli su un unico gel e una sola corsa di migrazione
in tempi più brevi (6 ore). Questa tecnica offrirebbe la stessa versatilità
nella rilevazione di diversi tipi di addotti e con un limite di rilevamento
pari a 0,007 addotti /10 6 nucleotidi per 5 µg di DNA. Nel presente studio
è stato verificata la sensibilità delle due tecniche di Postlabeling usando
uno standard di DNA contenente da 0,007 addotti/10 6 nucleotidi fino a 7
addotti/10 6 nucleotidi questo allo scopo di verificare il grado di sensibilità
del PAGE per future applicazioni a studi di bio-monitoraggio ambientale.
METODI
Campioni di DNA standard (5 µg) contenenti da 0,007 addotti/10 6
nucleotidi a 7 addotti/10 6 nucleotidi sono stati idrolizzati e marcati
usando il metodo monofosfato (3). Per 32 P-Postlabelling/TLC i campioni
marcati sono stati caricati su lastre di PEI e separati in due dimensioni secondo
il metodo classico (4). Per 32 P-Postlabelling/PAGE i campioni venivano
caricati su gel di elettroforesi non denaturante al 20% di poliacrilamide
e fatti migrare in tampone TBE (5). Per entrambi i metodi gli addotti
al DNA venivano analizzati mediante acquisizione al Phosphor Imager
STORM 820 (Amersham).
RISULTATI
I campioni di DNA standard utilizzati per i due metodi di Postlabeling,
sono stati ottenuti aggiungendo a 5 µg di DNA genomico umano
quantità scalari di dG-BPDE in modo da ottenere 7 addotti/10 6 dNp, 0,7
addotti/10 6 dNp, 0,07 addotti/10 6 dNp, 0,007 addotti/10 6 dNp rispettivamente.
I campioni così preparati davano due spots visibili sia sul gel che
sulle lastrine di TLC/PEI, Figura 1. Dall’analisi con il Phosphor Imager
risultavano valori di addotti pari al 12% del valore iniziale per il PAGE e
al 50% per la TLC, (Correlation test, r 2 =0,9159), Tabella I.
Tabella I. 32 P-Postlabeling
PAGE TLC
r 2
7 addotti/10 6 dNp 0,695±0,45 3,515±1,245 0,9159
0,7 addotti/10 6 dNp 0,115±0,085 0,380±0,020
0,07 addotti/10 6 dNp 0,004±0,001 0,058±0,041
0,007 addotti/10 6 dNp 0,001±0,0002 0,001±0,0002
Figura 1. Determinazione degli addotti BPDE-DNA secondo la tecnica
del 32 P-Postlabeling/PAGE (A) e del 32 P-Postlabeling/TLC (B).
N.1=0,007; N.2=0,07; N.3=0,7; N.4=7 addotti /10 6 dNp.

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DISCUSSIONE
Dai risultati preliminari ottenuti è emerso che il PAGE non mostra un
elevato grado di sensibilità nella rilevazione degli addotti BPDE. Rispetto
alla tecnica tradizionale sono state determinate basse percentuali di recupero
degli addotti tuttavia i valori ottenuti con il PAGE correlano bene
con quelli della TLC. Per la sua convenienza pratica si potrebbe pertanto
considerare l’applicazione di questa tecnica in sostituzione della TLC.
BIBLIOGRAFIA
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non radioactive aromatic carcinogens-DNA adducts. Carcinogenesis,
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gel electrophoresis analysis: application to the detection of DNA
adducts. Chem Res Toxicol 2002; 15 (3): 305-311.
P-06
ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A SOSTANZE CON ATTIVITÀ
ENDOCRINA E VALUTAZIONE DEL RISCHIO PER LA SALUTE
DEI LAVORATORI
E. Barbassa1 , L. Frusteri2 1 INAIL - Direzione Regionale Lombardia, CON.T.A.R.P.,
Corso di Porta Nuova, 19 - 20121 Milano
2 INAIL - Direzione Generale, CON.T.A.R.P. Centrale,
Via R. Ferruzzi, 40 - 00143 Roma
Corrispondenza: Dr.ssa Elisabetta Barbassa - INAIL, Direzione
regionale Lombardia, CON.T.A.R.P., Corso di Porta Nuova, 19
- 20121 Milano, Italy - Tel. 02-62586005, Fax 02-62586004,
E-mail: e.barbassa@inail.it
OCCUPATIONAL EXPOSURE TO ENDOCRINE DISRUPTING
CHEMICALS AND RISK EVALUATION FOR THE WORKERS
HEALTH
Key words: endocrine disrupting chemicals, occupational exposure,
epidemiological studies.
ABSTRACT. The “Endocrine Disrupting Chemicals” (EDC)
are an heterogeneous chemicals group, including polychlorinated
biphenyls (PCBs), dioxins, some pesticides, alkylphenols, phthalates,
polibrominated flame retardants, some heavy metals and organic
solvents, which are able to interfer through different mechanisms
(receptor-mediated, metabolic) with the endocrine system, causing
alterations of reproductive and development processes and metabolic
diseases.
Aims of the current work were the analysis of the main epidemiological
and toxicological studies that allowed to evaluate the occupational
exposures to the Endocrine Disrupting Chemicals and to point out
the adverse effects on the reproductive system caused by the EDCs
and to underline the importance, in order to protect the workers health,
to increase the prevention measures.
INTRODUZIONE
Molte sostanze chimiche sia di sintesi che naturali, ampiamente diffuse
negli ambienti di vita e di lavoro e negli alimenti, possono interferire
col sistema endocrino producendo una serie di effetti avversi sulla salute
umana, quali: alterazioni dello sviluppo e della funzionalità dell’apparato
riproduttivo sia maschile che femminile con problemi di infertilità,
incremento di abortività precoce, aumentata incidenza del carcinoma alla
mammella ed ai testicoli, alterazioni del sistema immunitario e neurologico,
sviluppo di patologie metaboliche.
Le sostanze chimiche con potenziale attività endocrina comprendono:
contaminanti organici persistenti (POPs), quali policlorobifenili
(PCB), diossine;
gruppi di pesticidi usati in agricoltura, quali: insetticidi organoclorurati
(aldrin, dieldrin, DDT,etc.), fungicidi (etilenbisditiocarbammati,
vinclozolin etc.) ed erbicidi;
sostanze di largo uso industriale, tra cui: alchilfenoli, ftalati, ritardanti
di fiamma polibromurati, metalli pesanti (Cd, As, Cr) e solventi
organici (stirene, xilene etc.);
i fitoestrogeni (flavoni, isoflavoni), sostanze naturali presenti nei vegetali
(es. soia).
Scopo del presente lavoro è stato quello di analizzare i principali
studi epidemiologici che hanno evidenziato gli effetti avversi dell’esposizione
ad EDCs (Endocrine Disrupting Chemicals) in ambito lavorativo e
di porre in rilievo l’importanza, per la tutela della salute dei lavoratori, di
aumentare e migliorare le misure di prevenzione.
MATERIALI E METODI
Si sono consultate le principali banche dati di tipo biomedico e tossicologico
(MEDLINE, TOXLINE, DART - ETIC, etc.) che hanno permesso
di selezionare le pubblicazioni scientifiche più significative che, a
partire dagli anni ’80, hanno avuto per oggetto lo studio dell’esposizione
in ambito lavorativo ad EDC e degli effetti avversi causati.
In particolare le tematiche di ricerca oggetto di approfondimenti sono
state:
– studi epidemiologici di tipo caso – controllo (retrospettivi), di coorte
(prospettici) ed incrociati condotti su popolazioni lavorative esposte
ad EDC;
– studi tossicologici in vivo sugli animali da laboratorio e studi sperimentali
in vitro su colture cellulari allo scopo di indagare gli effetti
tossici ed i meccanismi d’azione degli EDC;
– valutazione dell’esposizione lavorativa mediante misure di monitoraggio
biologico di EDCs o loro metaboliti eseguite sui fluidi biologici
di lavoratori esposti e, per le esposizioni pregresse, attraverso la
consultazione di banche dati sui profili d’uso;
– individuazione, ove possibile, di biomarcatori di esposizione professionale
ad EDCs.
RISULTATI
Gli studi epidemiologici riguardanti lavoratori esposti ad EDCs sono
piuttosto limitati a causa della difficoltà nel predisporre un accurato disegno
epidemiologico derivante dalla contemporanea ampia diffusione degli
EDCs anche negli ambienti di vita.
Nell’ambito di un progetto di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità
che ha condotto un’indagine retrospettiva (1) sulla vita riproduttiva di 3
gruppi di lavoratori con diversi livelli di esposizione a pesticidi potenziali
EDCs (agricoltori in possesso del patentino per l’uso di antiparassitari
con esposizione media e discontinua, lavoratori in serra con esposizione
alta e continua e lavoratori dei centri di disinfestazione con esposizione
massima) sono emersi ritardi significativi nel concepimento (di oltre 6
mesi) fra i lavoratori in serra che effettuavano più di 100 applicazioni all’anno
di pesticidi (Odds Ratio: 2.4; Intervallo di Confidenza 95%: 1.2-
5.1) rispetto agli agricoltori ed alla popolazione di riferimento. Gli agricoltori
mostravano un modesto aumento, non significativo, rispetto ai
controlli presumibilmente perché sono esposti ai pesticidi in modo intermittente.
Un altro studio epidemiologico incrociato (2) ha consentito di evidenziare
che le mogli dei lavoratori in serra che hanno dichiarato di utilizzare
al momento delle gravidanze almeno uno dei principi attivi identificati
come EDCs (in particolare atrazina, benomil-carbendazim, carbaril)
hanno sperimentato un rischio di aborto spontaneo circa 12 volte
maggiore rispetto al gruppo di controllo costituito dai lavoratori delle
serre che non utilizzavano tali sostanze.
I dati degli studi epidemiologici pongono quindi in evidenza come
una significativa esposizione paterna a pesticidi tossici per la riproduzione
possa indurre un danno alle prime fasi embrionali, evidenziato innanzitutto
dall’aumentato tasso di abortività nelle mogli.
L’attività endocrina di alcune classi di pesticidi (insetticidi organoclorurati,
fungicidi) è stata confermata da studi tossicologici in vivo condotti
sui roditori.
Le misure di monitoraggio biologico dei tossici riproduttivi effettuate
sulle diverse matrici biologiche (sangue, urina e liquido seminale) dei la-

18 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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voratori esposti hanno evidenziato che le concentrazioni di EDCs nel liquido
seminale sono inferiori a quelle riscontrate nel sangue e nell’urina
raccolta durante le 24 ore e pertanto il liquido seminale rappresenta un biomarcatore
di esposizione meno sensibile rispetto al sangue ed all’urina.
È stato condotto anche un progetto di ricerca multicentrico (Asclepios
project) (3), che ha preso in considerazione l’esposizione lavorativa a fungicidi,
stirene e piombo inorganico come fonte di rischio, evidenziando che
un’esposizione a stirene ed a Pb inorganico porta ad una riduzione nel numero
degli spermatozoi statisticamente significativa rispetto ai controlli.
La ricerca sui distruttori endocrini si sta indirizzando anche verso patologie
differenti da quelle riproduttive, quali l’osteoporosi, il diabete, le
patologie autoimmuni e cardiovascolari; studi epidemiologici associano
ad es. l’esposizione ad arsenico inorganico ad un significativo aumento
del rischio di diabete mellito di tipo 2 insulino-indipendente (4).
DISCUSSIONE
L’analisi degli studi epidemiologici disponibili in letteratura sull’esposizione
professionale ad EDCs ha messo in rilievo la necessità di definire
dei protocolli operativi per la valutazione del rischio di esposizione
lavorativa, partendo dall’identificazione del rischio fino alla definizione
della corrispondenza dose/risposta.
Il problema principale è rappresentato dalla misura dell’esposizione
professionale ad EDCs che è resa difficile da vari fattori, tra cui:
l’esposizione ambientale pregressa che condiziona la dose interna
della popolazione;
problemi legati all’esecuzione di studi tossicologici in vivo con
EDCs;
l’esposizione lavorativa a miscele complesse di EDC e l’additività di
effetti riscontrata nel caso di esposizione a sostanze con simili meccanismi
d’azione e/o bersagli.
Poiché i valori limite di esposizione occupazionale stabiliti per gli EDCs
non riguardano la salute riproduttiva, è importante, per la tutela della salute
delle lavoratrici, considerare valori limite di esposizione più bassi ed incrementare
le misure di prevenzione in quanto gli effetti avversi avvengono anche
per esposizioni a basse dosi e si possono combinare sinergicamente.
A fini preventivi riveste particolare rilievo l’individuazione e selezione
di idonei bioindicatori di esposizione anche mediante l’utilizzo di
tecnologie innovative sviluppate nell’ambito della genomica e della proteomica,
quali la microarray che permette di analizzare simultaneamente
le alterazioni di espressione di molti geni aumentando la probabilità di
identificare set di geni coinvolti nella risposta a specifici EDCs.
BIBLIOGRAFIA
1) Petrelli G, Figà-Talamanca I. Reduction in fertility in male greenhouse
workers exposed to pesticides. European Journal of Epidemiology
2001; 17: 675-677.
2) Petrelli G et al. Spontaneous abortion in spouses of greenhouse
workers exposed to pesticides. Environmental Health and Preventive
Medicine 2003; 8: 77-81.
3) Bonde JPE et al. Objectives, designs and populations of the european
Asclepios study on occupational hazards to male reproductive capability.
Scandinavian Journal of Work Environmental Health, 199; 25,
1: 49-61.
4) Tseng CH et al. Epidemiologic evidence of diabetogenic effect of arsenic.
Toxicological Letters 2002; 133: 69-76.
P-07
EFFETTI NEUROCOMPORTAMENTALI DELL’ESPOSIZIONE A BASSE
DOSI DI PIOMBO
C. Fenga1 , E. Micali1 , A. Verzera2 , S. Ricciardo Calderaro1 ,
C. Di Nola1 , D. Germanò1 1 Università degli Studi di Messina. Dipartimento Medicina Sociale del
Territorio Sezione di Medicina del Lavoro
2 Dirigente Medico. ASL n. 5, Messina
Corrispondenza: Prof.ssa Concettina Fenga - Policlinico Universitario:
“G. Martino” Pad. H, Via Consolare Valeria, 1 (Gazzi) - 98124 Messina,
Italy - Tel. + 39 090 2212068, Fax +39 090 2212051, E-mail: cfenga@unime.it
NEUROBEHAVIORAL EFFECTS OF EXPOSURE TO LOW
ENVIRONMENTAL CONCENTRATIONS OF LEAD
Key words: neurobehavioral, lead, depression.
ABSTRACT. The occupational exposure to low doses of metallic lead
can induce neurobehavoral alterations in the exposed subjects, that
have not yet been well defined in international literature.
A study was conducted for appraising the neurobehavioral effects of
chronic exposure to low environmental concentrations of lead on a group
of male workers of a Sicilian industry for the demolition of exhausted
batteries with a series of psicodiagnostic validated and standardized
tests.
The sample studied comprised twenty male subjects exposed to low lead
concentrations. The control group was composed of twenty men not
exposed to lead with adminnistrative duties in neighbouring firms.
The results have underlined that in the group exoposed to high levels of
lead concentrations there was a decrement in the neurobehavioral
performance and a lowering of spirit.
INTRODUZIONE
Il piombo è tra i più frequenti agenti tossici studiati ed i relativi effetti
nocivi sono documentati.
La riduzione delle sorgenti di contaminazione ambientale da piombo
non ha completamente eliminato la possibilità di effetti avversi sul SNC.
Numerosi studi documentano che valori di piombemia superiori ai 10
µg/dl possono determinare effetti negativi su alcune facoltà cognitive e
sulle performance neurocomportamentali, incidendo anche sulla sfera affettiva
ed emotiva (1). L’esposizione cronica a piombo, secondo alcuni autori
determina anomalie della corteccia prefrontale responsabile dell’impoverimento
di alcune funzioni intellettuali le cui conseguenze possono in
alcuni casi essere permanenti, mentre in altri transitorie e reversibili (2).
Il ruolo della corteccia prefrontale nel determinare la funzionalità
neuropsichica e le performance neurocomportamentali viene esplicitato
dai livelli della memoria a breve termine, dall’attenzione. dalla concentrazione,
dalla coordinazione motoria, dalla destrezza manuale e dalla velocità
psicomotoria.
Studi di metanalisi mettono in discussione la certezza degli effetti
nocivi di basse esposizioni ambientali a piombo sulle funzioni neurosensoriali,
neuromotorie, mnesiche ed attentive dei lavoratori (3).
Per alcuni autori livelli medio-bassi di piombemia non possono essere
considerati sicuri per il decremento delle performance neuropsichiche
dei lavoratori (4).
Viceversa studi sperimentali su animali (5) hanno dimostrato deficit
della memoria ed aumento dei tempi di risposta agli stimoli semplici, con
decremento dell’attenzione, in seguito all’esposizione a piombo.
I dati attualmente disponibili sugli effetti neurocomportamentali dell’esposizione
occupazionale a piombo sono divergenti e non conclusivi.
Il presente studio condotto con una batteria di test psicodiagnostici validati
e standardizzati, mira a valutare gli effetti neurocomportamentali dell’esposizione
cronica a basse concentrazioni ambientali di piombo, su un
gruppo di lavoratori maschi di un’industria Siciliana, per la frantumazione
di batterie esauste. I livelli di piombo ambientale erano al di sotto
di 0,05 mg/m’, secondo gli standard indicati dall’American Conference
of Governmental Industrial Hygienist (ACGIH).
MATERIALI E METODI
Il campione in studio, composto da 20 soggetti di sesso maschile con
età media di anni 35,75, con scolarità media di anni 11,4 ed anzianità lavorativa
di 4 anni, dopo il consenso informato, è stato sottoposto a visita
medica e prelievo ematico durante il turno lavorativo. Si è indagato sulle
abitudini di vita, l’uso di alcool e farmaci, la dominanza cerebrale, l’anamnesi
remota e prossima per escludere la presenza di patologie neuropsichiatriche
che potessero interferire con lo studio.
Successivamente all’inizio del turno lavorativo, individualmente e
nelle medesime condizioni ambientali e temporali è stato somministrato
al campione degli esposti un protocollo psicodiagnostico, della durata
complessiva di 45 minuti, comprendente:
BAMT (Branches Alternate Movements Task), per la coordinazione
motoria; consiste nel far eseguire al soggetto 5 sequenze motorie incrociate
per 30 secondi, controllando le sequenze corrette (6).
FT (Finger Tapping Speed), misura il numero massimo di movimenti
ripetitivi effettuati battendo il più velocemente possibile un tasto con

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 19
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il dito indice, mantenendo il braccio appoggiato in una posizione
fissa e confortevole alternando la mano dominante a quella non dominante
per un totale di 6 prove in 10 secondi (7).
DS (Digit Span) una prova tradizionale di valutazione della memoria a
breve termine. Una serie di numeri, volta in volta di lunghezza crescente
viene letta enunciando le cifre, una prima prova consiste nella ripetizione
diretta delle sequenze numeriche, la seconda prova consiste
nella ripetizione delle sequenze in ordine inverso a quello di presentazione.
Il punteggio del test è in funzione delle risposte corrette (8).
POMS (Profile of Mood States), somministrabile ad adulti con
scuola dell’obbligo in un tempo massimo di 10 minuti è composto
nella versione italiana da 58 item che definiscono i seguenti sei stati
dell’umore (9).
Tensione - Ansia = T
Depressione - Avvilimento = D
Aggressività - Rabbia = A
Vigore - Attività = V
Stanchezza - Indolenza = S
Confusione - Sconcerto = C
Per ottenere il punteggio dei singoli Sei fattori si sommano i punteggi
delle risposte date ai singoli item che definiscono il fattore stesso. Ad
ogni item si assegnano 0,1,2,3, o 4 punti, fanno eccezione i due termini
“rilassato” nella scala Tensione-Ansia ed “efficiente” nella scala Confusione-Sconcerto
che vanno invertiti nell’assegnazione del punteggio
(cioè 4,3,2,1 e 0). Il fattore Vigore-Attività viene valutato con segno negativo
e rapportato al sesso maschile. I punteggi grezzi vengono convertiti
in punteggi standard. Sommando i punteggi ottenuti dai Sei fattori si
ottiene il punteggio totale dei disturbi dell’umore. (POMS T).
Il medesimo protocollo è stato somministrato ad un gruppo controllo
di 20 maschi reclutato tra i soggetti non esposti a piombo con mansioni
amministrative in aziende limitrofe, omogeneo per età, scolarità ed ubicazione
geografica al gruppo degli esposti e che rispettava gli stessi criteri
di inclusione ed esclusione del gruppo sperimentale.
RISULTATI
I risultati hanno evidenziato nel gruppo degli esposti che livelli più
alti di piombemia erano associati a deficit della memoria a breve termine,
ad errori nelle prove di coordinazione motoria. e ad errori nelle ripetitività
dei movimenti della mano dominante (tutti i soggetti erano destrimani)
Lo stato psicoemotivo nel gruppo sperimentale era caratterizzato
da sintomatologia ansioso-depressiva con rabbia e tensione intrapsichica.
Nel gruppo dei non esposti i risultati dei test neurocomportamentali non
hanno evidenziato anomalie degne di nota. e non è stato rilevato alcun disturbo
psicoemozionale (Tab. I).
Tabella I. Risultati tests neurocomportamentali
CAMPIONE ESPOSTI CAMPIONE NON ESPOSTI
n. 20 soggetti Deficit Normale n. 20 soggetti Deficit Normale
maschi maschi
BAMT 70% 30% BAMT 11% 89%
FT 70% 30% FT 9% 91%
DS 85% 15% DS 15% 85%
POMST 68% 32% POMST 38% 62%
DISCUSSIONE
Il nostro studio, anche se effettuato su un campione numericamente
modesto, conferma i risultati di alcune indagini (10) che mostrano una significativa
riduzione di alcune funzioni intellettive anche per livelli di
piombemia inferiori ai 70 µg/dl, valore considerato fino ad oggi sicuro
per il Sistema Nervoso Centrale (11).
Il nostro protocollo ha evidenziato prevalentemente deficit sulla memoria
a breve termine, seguiti da deficit sulla coordinazione motoria e
dalla velocità dei movimenti ripetitivi delle dita delle mani.
Tale impoverimento delle performance neurocomportamentali si associa
con la caduta del tono dell’umore che si esprime con ansia, tensione
ed astenia.
I nostri dati sono in accordo con alcuni studi che evidenziano come
livelli medio-bassi di piombemia possano essere indicativi per il decremento
delle performance neurocomportamentali. In conclusione, si può
affermare che l’utilizzo di test psicometrici, capaci di esaminare le funzioni
sensitivo-motorie e mnesiche, permette di riconoscere nei lavoratori
alterazioni neurocomportamentali determinate dall’esposizione cronica a
basse dosi di piombo metallico.
BIBLIOGRAFIA
1) Barth A, Schaffer AW, Osterode W. Reduced cognitive abilities in lead
- exposed men. Int Arch Occup Environ health 2002; 75: 394-398.
2) Baker EL, Fieldman RG. Occupational lead neurotoxicity: a behavioural
and electrophysiological evaluation. Study design and year
one results. Br J Ind Med 1984; 41(3): 352-61.
3) Meyer-Raron M, Seeber A. A meta analysis for neurobehavioural results
due to occupational lead exposure with blood lead concentrations

20 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
principali vie (respiratoria, cutanea, gastrointestinale), fornendo preziose
informazioni che vanno ad affiancarsi a quelle offerte dal monitoraggio
ambientale, individuando inoltre una esposizione extralavorativa e valutando
l’efficacia delle misure di protezione individuali. È importante ricordare
che esistono indicatori biologici di dose che riguardano la misurazione
dello xenobiotico tal quale o dei suoi metaboliti e indicatori biologici
di effetto che misurano le modificazioni biologiche legate all’azione
della sostanza tossica. I Valori limite Biologici (IBE) rappresentano
la concentrazione di una sostanza, o di uno dei suoi metaboliti presenti
nei tessuti, nei liquidi biologici o nell’aria espirata dei lavoratori esposti
ad una concentrazione ambientale corrispondente al relativo valore limite
ambientale, specifico di quella stessa sostanza. Essi sono riferiti ad esposizioni
di 8 ore per cinque giorni settimanali (1). Negli ultimi tempi la diminuzione
dell’esposizione lavorativa aveva messo in secondo piano l’utilità
degli IBE tradizionali, inoltre esiste ancora il problema legato alla
presenza di fattori che influenzano la validità degli indicatori di bioesposizione
(suscettibilità individuale, stili di vita ed abitudini voluttuarie, difficoltà
legate ai tempi di raccolta del campione). Oggi invece la scienza
tende a rivalutare, con la ricerca di nuovi IBE, il monitoraggio biologico
come strumento essenziale per il medico competente che svolge la sua attività
di prevenzione e di tutela della salute e dell’integrità psicofisica dei
lavoratori. La letteratura più recente ha definito per convenzione come
nuovi indicatori di esposizione quelli scoperti o introdotti negli ultimi
cinque anni riferendosi a metalli, composti organici tal quali e loro metaboliti,
loro miscele, specie o prodotti di reazione; indicatori già conosciuti
dosati in matrici diverse da quelle tradizionali; indicatori già proposti ma
di cui sia stata verificata l’applicabilità in situazioni in cui non erano stati
sperimentati in passato (2, 3). Il rapido progresso delle tecniche analitiche
nel campo della tossicologia con l’impiego di sempre più sofisticate
apparecchiature quali la cromatografia gas-liquido (GLC), la cromatografia
liquida ad alta prestazione (HPLC), la spettroscopia ad assorbimento
atomico, la spettrometria a plasma ad accoppiamento induttivo
(ICP), la spettroscopia di massa, ci fa ben sperare per il futuro, consentendo
un sempre più accurato dosaggio dei vari analiti. Questi strumenti
permettono di misurare metalli quali Piombo, Cobalto, Tungsteno, Berillio,
metaboliti di solventi quali il 2,5 esandione per l’Esano, l’Acido
Mandelico e l’Acido Fenilgliossilico per lo stirene, l’Acido Trans,Transmuconico
per il Benzene e l’alcool Esafluoroisopropilico per gli Anestetici
quali il Sevoflurano per citarne solo alcuni. L’attuale Legislazione ha
sottolineato l’importanza degli indici biologici di esposizione introducendo
l’obbligo del monitoraggio biologico per i lavoratori per i quali è
stato fissato un valore limite biologico. L’ACGIH ha introdotto gli IBE e,
come per i TLV, vengono aggiornati ogni anno. Dei risultati viene informato
il lavoratore interessato. In questo quadro, quindi, il medico competente
è sempre più portato ad utilizzare il monitoraggio biologico come
fondamentale mezzo per realizzare la sorveglianza sanitaria dei singoli
lavoratori, e la sorveglianza epidemiologica a livello di gruppo. Alla luce
di quanto detto a nostro giudizio sarebbe auspicabile investire maggiormente
sia dal punto di vista dell’informazione sia dal punto di vista economico
su quegli indicatori biologici di esposizione che danno garanzie
sulla loro affidabilità e validità.
MATERIALI E METODI
Lo studio ha riguardato il dosaggio di Acido Trans,Trans-muconico
urinario mediante HPLC (4) e il dosaggio di fenoli urinari mediante Spettrofotometro
UV di 40 soggetti addetti alla distribuzione del carburante
ed il dosaggio di 200 Piombemie di Forestali dotati di armi da fuoco mediante
Spettroscopia ad Assorbimento Atomico (5).
RISULTATI
I risultati hanno evidenziato valori entro i limiti della norma. Il dosaggio
del Trans,Trans-muconico in particolare risulta molto importante
sia per la popolazione generale sia per quella lavorativa perché ci permette
di monitorare nel tempo l’esposizione a quella che è una sostanza
cancerogena purtroppo ormai ben conosciuta.
DISCUSSIONE
Gli Indicatori Biologici di Esposizione sono da considerare un validissimo
aiuto per il Medico Competente. In particolare oggi apparecchiature
quali la cromatografia gas-liquido (GLC), la cromatografia liquida
ad alta prestazione (HPLC), la Spettroscopia ad assorbimento atomico, la
spettrometria a plasma ad accoppiamento induttivo (ICP), la Spettrosco-
pia di massa sono gli strumenti a nostra di disposizione che ci permetteranno
sempre di più in futuro di esplorare e di approfondire le nostre conoscenze
in un ramo affascinante e complesso come quello della Tossicologia
Industriale. I nuovi Indici di esposizione e le nuove matrici in cui
li andiamo a dosare sono anche il risultato del perfezionamento di questi
preziosi gioielli della tecnologia. In ogni caso è importante dire che i limiti
di esposizione biologica vanno considerati come semplici valori di
raccomandazione e che vanno ovviamente completati da tutti quegli
esami che fanno già parte integrante della Sorveglianza Sanitaria (Visite
preventive e periodiche, anamnesi completa ed accurata in tutte le sue
parti specialmente in quella lavorativa etc…). In conclusione il monitoraggio
biologico rappresenta un punto di arrivo importante finalizzato al
mantenimento entro i limiti previsti dalle normative vigenti dei parametri
valutati periodicamente nell’ambito della prevenzione secondaria.
BIBLIOGRAFIA
1) Casula D. Medicina del Lavoro 3 a edizione 2003; 28.
2) Apostoli P, Bergonzi R, Catalani S, Neri G, Sarnico M, Foa V, Fustinoni
S, Colombi A, Buratti M, Campo L, Scibetta L, Sannolo N, Pieri
M, Basile A,Bartolucci GB, Carrieri M, Scapellato ML, Manini P,
Poli D, Corradi M, Andreoli R, Goldoni M, Mutti A, Imbriani M,
Ghittori S, Maestri L, Negri S, Pira E, Pavan I, Discalzi G, Perbellini
L. New biomarkers of exposure. G Ital Med Lav Ergon 2004 Oct-
Dec; 26(4): 278-97.
3) Manno M, Sannolo N. Toxicological significance of biological
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trans,trans-muconic acid as a biomarker for benzene exposure. J Chromatography
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of the European Community. The Science of the Total Environment
1990; 95: 89-105.
P-09
ATTIVITÀ DI VIGILANZA NEL SETTORE DI LAVORAZIONE
DI MARMI E GRANITI
M. Marino, M.T. Marrapodi, S. Ercolani, L. Lione, O. Argentino,
E. Orlando, F. De Rasis, L. Catera, G. Remia
Azienda Sanitaria n. 3 di Rossano (CS), Viale De Rosis
- 87068 Rossano (CS) - Tel. 0983-517420/517431,
Fax 0983-517420, E-mail: asl3rossanospisal@libero.it
Corrispondenza: S. Ercolani / L. Lione - Azienda Sanitaria n. 3
di Rossano (CS), Viale De Rosis - 87068 Rossano (CS), Italy
- Tel. 0983-517420/517431, Fax 0983-517420, E-mail: leonardo.lione@cisl.it
ACTIVITY OF VIGILANCE IN THE FIELD OF THE WORKING
OF MARBLE AND GRANITE
Key words: vigilanza, frantoi, studi epidemiologici.
ABSTRACT. The group Spisal of the AS3 Rossano has developed
an epidemiologic study in the field of marble and granite working,
to analyze the hygienic-environmental conditions and the respect of the
rules concerning safety in the work-places.During the investigation,
the group has estimated the organization of work, the structural aspects,
the safety of machines, the fulfilment concerning the Dlgs. 626/94, the
exposure to noise, the risk powder. The group inspected twenty
factories; of these, only seven, except the evaluation of the risk-powder,
have resulted fully qualified with the rules. The prescriptions have
concerned mainly the drafting or the revision of the document of
estimation of the risks.
A correct evaluation of the environmental pulverization had never been
made; only in two cases there had been a measuring of the total
pulverization, without the determination of the concentration of free
crystalline silica. In spite of the use of the inhaling means,
accumulation of powder has been found, caused by the wrong working
of the inhaling opening and/or by the absent habit of carrying out
a daily careful cleaning of the work-places.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 21
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INTRODUZIONE
Lo SPISAL della Azienda Sanitaria di Rossano ha intrapreso uno studio
epidemiologico nel settore della lavorazione di marmi e graniti presenti
nell’ambito del proprio territorio, con l’obiettivo di valutare l’applicazione
delle norme relative alla sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
Dall’indagine è emerso che i materiali utilizzati sono rappresentati
da marmi e graniti provenienti dall’Italia e dall’estero, a basso tenore di
quarzo (travertino, marmo di Carrara, pietre calcaree, arenarie) ed in minor
misura, graniti con percentuali in quarzo variabili (granito grigio, rosa
beta, rosa porrino). Il rischio connesso all’inalazione di polveri minerali
contenenti una concentrazione non trascurabile di silice libera cristallina,
quale quella che si può riscontrare nel settore della lavorazione di marmi
e graniti, rientra nel campo di applicazione delle norme particolari che regolano
l’assicurazione speciale contro la silicosi (art. 153 DPR 30/06/65
n. 1124, mod. art. 10 Legge 27/12/75 n. 780). L’indice di rischio relativo
a tale fattore è fortemente influenzato dai sistemi di prevenzione impiegati.
Anche quando le materie prime sono ad alto tenore di quarzo, ma le
condizioni ambientali e l’organizzazione del lavoro sono ottimali, i valori
di sicurezza risultano rispettati. L’indagine conoscitiva è stata avviata con
l’obiettivo di valutare il processo prevenzionale, in relazione ai rischi per
la sicurezza e per la salute dei lavoratori, rappresentati fondamentalmente
dal rumore, dalla movimentazione manuale dei carichi e dalle polveri
(inerti e/o silicotigene).
MATERIALI E METODI
Lo studio si è basato sul censimento delle attività produttive, attraverso
i dati forniteci dalla Camera di Commercio, incrociate con quelli in
nostro possesso. Si è proceduto quindi ad inviare delle schede informative
ad ogni azienda individuata con le quali si chiedeva: dati aziendali,
tipologia marmi lavorati, numero di dipendenti. Tutte le attività interpellate
hanno restituito le schede compilate. Nel complesso, sono state censite
40 marmerie; tra queste è stato scelto un campione rappresentativo
costituito dalle 20 aziende nelle quali c’era almeno un lavoratore. Nel
corso dei sopralluoghi sono stati valutati diversi aspetti suddivisi in
aspetti strutturali (pavimentazione, impianti elettrici, ecc.), sicurezza
macchine (omologazione, manutenzione, stato, ecc.), mezzi di prevenzione
collettivi ed individuali, adempimenti legislativi relativi al DLgs
626/94, valutazione rischio rumore, valutazione rischio polveri.
RISULTATI
Delle 20 aziende controllate solo 7 sono risultate completamente in
regola per tutti gli aspetti precedentemente elencati. Tuttavia anche in
questi casi il rischio polveri, di cui parleremo più estesamente in seguito,
è stato sottovalutato. I dati relativi alle inadempienze riscontrate sono
stati raggruppati nelle seguenti classi:
Caratteristiche strutturali:
⇒ otto aziende presentavano caratteristiche strutturali più o meno
inadeguate ad un’attività di tipo industriale (pavimenti non lavabili
e sconnessi, pareti non intonacate, servizi igienici inadeguati,
impiantistica elettrica non a norma).
Valutazione dei rischi:
⇒ sei aziende non avevano valutato il rischio ne predisposto il documento
di valutazione dei rischi ai sensi del DLgs 626/94;
⇒ due aziende avevano presentato il documento di valutazione dei
rischi ma non era stato aggiornato negli ultimi 3 anni;
⇒ sei aziende non avevano effettuato la valutazione del rischio rumore;
⇒ in nessun caso era stato valutato il rischio da MMC.
Campionamento delle polveri:
⇒ cinque aziende hanno eseguito la effettiva valutazione della polverosità
ambientale; tuttavia è stata misurata la polverosità totale
senza alcun riferimento alla percentuale di silice libera cristallina
e senza che venissero rispettati tempi di campionamento
rappresentativi dell’intero ciclo lavorativo.
Sorveglianza sanitaria:
⇒ quattro aziende non avevano nominato il medico competente.
Analisi del ciclo di lavorazione:
⇒ in tutti i casi le varie operazioni tecnologiche come la segagione
dei marmi, la fresatura e la levigatura venivano effettuate con
macchinari dotati di sistemi di abbattimento ad acqua, che limitano
notevolmente la dispersione delle polveri. Tuttavia alcune
operazioni di rifinitura finali quali la tornitura, la trapanatura e
soprattutto la frullinatura dei bordi delle lastre venivano effettuate
a secco, manualmente, su banconi dotati di sistemi di aspirazione
delle polveri, spesso inadeguati e insufficienti, se non
completamente assenti. Nella maggior parte delle aziende, inoltre,
non si procedeva ad una pulizia quotidiana dei locali.
A conclusione dei sopralluoghi effettuati e delle valutazioni della documentazione
visionata, le prescrizioni hanno riguardato la valutazione
dei rischi e l’elaborazione e l’aggiornamento del documento di valutazione
dei rischi, la valutazione del rischio MMC, la nomina del medico
competente, la valutazione dell’esposizione al rumore, la nomina del Responsabile
del Servizio di Prevenzione e Protezione, il ripristino degli
aspetti strutturali (pavimenti, intonaci ed impianti).
DISCUSSIONE
Dalle valutazioni effettuate in azienda e dall’analisi della documentazione
visionata, è emerso un quadro abbastanza eterogeneo per quanto
riguarda gli aspetti relativi alla sicurezza. Il problema più rilevante è rappresentato
dalla scarsa importanza attribuita al documento di valutazione
dei rischi, che è considerato ancora come un mero obbligo formale; quasi
mai specchio delle reali condizioni di lavoro. Infatti, nella maggior parte
dei casi, nel documento non veniva descritto analiticamente il ciclo lavorativo
né si faceva riferimento alle caratteristiche strutturali degli ambienti
di lavoro e delle infrastrutture. In molti casi infatti i pavimenti e le
pareti avevano superficie non lavabili, gli ambienti di lavoro erano ingombri
di materiali di scarto e gli attrezzi di lavoro erano disposti disordinatamente.
L’ambiente di lavoro era, pertanto, difficilmente pulibile e
fonte di rischi di natura infortunistica. Inoltre, nonostante la presenza di
mezzi di aspirazione generalizzata o localizzata nelle varie postazioni di
lavoro, sui piani di lavoro e sul pavimento si riscontravano spesso accumuli
di polveri e residui di pietre lavorate. In alcuni casi è stato possibile
attribuire ciò al mal funzionamento delle bocchette di aspirazione, laddove
presenti, e/o alla mancata abitudine di effettuare una pulizia quotidiana
accurata dei locali. A nostro parere tale situazione è dovuta ad una
scarsa cultura della prevenzione e ad una carente percezione del rischio,
da parte sia dei datori di lavoro che dei lavoratori stessi. Altro aspetto
emerso da questo studio è la mancata valutazione del rischio silicotigeno
in tutte le aziende da noi visitate. Tuttavia si è deciso di non effettuare
prescrizioni in merito, in quanto, per come si evince anche dalla letteratura,
laddove si lavorano prevalentemente marmi e calcari, come nel caso
delle aziende del nostro territorio, l’indice di rischio per la silicosi, in
virtù delle basse percentuali di silice in essi contenute, è considerato
basso anche quando l’ambiente di lavoro risulti polveroso. Gli interventi
sono stati mirati alla crescita della consapevolezza e dell’assunzione di
responsabilità. Si è inciso sul processo prevenzionale, accompagnando i
datori di lavoro, i responsabili e gli stessi lavoratori verso una maggiore
attenzione alla tutela della salute e della sicurezza. Attraverso una azione
diffusa di “vigilanza partecipata” si è agito sui comportamenti più che sugli
aspetti formali, incrementando le attività formative ed informative che
hanno avuto lo scopo di consolidare una nuova ed efficace cultura della
sicurezza aziendale.
BIBLIOGRAFIA
1) Iotti A, Rimordi B, Tripi L. Valutazione del rischio da silice nel settore
lapideo. Sezione: Silice.
P-10
ESTRAZIONE PIETRA DEL CARDOSO: 2 CASI DI SILICOSI
L. Lastrucci, R. Iacometti, D. Tavarini, P. Saccardi
Unità Funzionale Prevenzione, Igiene e Sicurezza Luoghi di Lavoro
Azienda U.S.L. 12 “Viareggio”, Via Garibaldi, 92
- 55045 Pietrasanta (LU)
Corrispondenza: Lamberto Lastrucci - U.F. PISLL Az. USL 12,
Via Garibaldi, 92 - 55045 Pietrasanta (LU), Italy - Tel. 0584-6058813/2,
Fax 0584-792065, E-mail: l.lastrucci@usl12.toscana.it
THE CARDOSO STONE QUARRING: TWO CASES OF SILICOSIS
Key words: silicosis, crystalline silica, cardoso stone.

22 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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ABSTRACT. The quarrying industry relevant to the Cardoso stone
is one of the working activities in Versilia. The SiO2 content in the
Cardoso stone can reach to up to 60%. Silicosis is the most well-known
disease caused by inhalation of the crystalline silica. The IARC
evaluation of the crystalline silica as a Type 1 human carcinogen, has
revealed the necessity of an assessment regarding exposure levels to the
silica dust. The aim of the above-mentioned evaluation is to promote
different actions in order to prevent the risk and to ameliorate the
medical monitoring. Eight workers operating in three different quarry
site were involved in this research. The worker’s exposure was
measured following the NIS and the UNI EN 689/97 rules. The average
of the values related to silica exposure levels is higher than the TLV-
TWA proposed by ACGIH (0.0025 mg/m3). The specialists in
occupational medicine of the quarrying companies were involved in this
study. The chest X-rays were done and classified according to the 1980
(ILO) “International Classification of Radiographs of
Pneumoconiosis”. The pulmonary function testing was carried out by
the Occupational Medicine Unit - USL 12 “Viareggio”. Two workers
from among those taken into consideration are affected by silicosis.
INTRODUZIONE
In Versilia esiste una attività estrattiva di nicchia riguardante la pietra
del Cardoso. La pietra del Cardoso è una arenaria metamorfica di colore
grigio scuro costituita da alternanza di strati di quarzo microgranulare
e carbonato e da lamine di muscovite isoorientate; il contenuto in
SiO2 può arrivare al 60%. La patologia più nota nei lavoratori esposti a
polveri contenenti silice cristallina è la silicosi polmonare. Alla luce della
classificazione da parte della IARC (International Agency for Research
on Cancer) della silice cristallina come agente cancerogeno, quando inalata
in forma di quarzo o cristobalite in sorgenti occupazionali, si è resa
necessaria una più precisa stima dei livelli di esposizione nell’estrazione
della pietra del Cardoso, in modo da consentire una successiva analisi
delle soluzioni possibili da adottare per una efficace riduzione dell’esposizione
degli addetti e promuovere il miglioramento della qualità della
sorveglianza sanitaria effettuata dai medici competenti.
MATERIALI E METODI
L’indagine ha coinvolto in totale 8 lavoratori che operavano presso 3
cave di estrazione di pietra del Cardoso. Sono stati effettuati: incontri preliminari
con le parti sociali per illustrare gli obiettivi dell’indagine e successivamente
sono stati effettuati sopralluoghi conoscitivi per verificare
le realtà lavorative sul campo: caratteristiche degli ambienti di lavoro, attrezzature
utilizzate, organizzazione del lavoro, mansioni, operazioni
svolte, gruppi omogenei di esposizione, sistemi di prevenzione collettiva
e individuale utilizzati. In base alle conoscenze acquisite è stata effettuata
la scelta delle modalità di campionamento seguendo sia per questa fase
che per la valutazione dei risultati la norma di buona tecnica UNI EN
689/97. Le misure dei livelli di esposizione personale degli addetti sono
state effettuate secondo le linee guida redatte dal Network Italiano Silice
(NIS) utilizzando campionatori personali attivi con il “selettore GK 269”
della ditta SKC e filtri in esteri misti di cellulosa, diametro 37 mm porosità
0.8 µm. Le membrane sono state condizionate e pesate prima e dopo
il campionamento dal Laboratorio di Sanità Pubblica di Area Vasta Toscana
Nord Ovest.
Sono stati coinvolti i medici competenti che effettuavano la sorveglianza
sanitaria dei lavoratori e in accordo con loro sono stati effettuati
i seguenti accertamenti diagnostici:
• radiografie del torace che sono state eseguite presso le strutture della
U.O. Radiologia dell’Az. USL 12 di Viareggio ed è stata effettuata la
lettura dei radiogrammi secondo le indicazioni Ilo-BIT con lettore B
reader;
• spirometria, valutazione dei volumi polmonari statici e valutazione
della diffusione alveolo-capillare del CO che sono state eseguite
presso l’ambulatorio della nostra U.F. PISLL (Unità Funzionale Prevenzione,
Igiene e Sicurezza Luoghi di Lavoro). Da parte della nostra
U.F. si è provveduto, quando necessario per i singoli lavoratori,
al coordinamento e alla gestione degli esami di approfondimento diagnostico
effettuati presso altre strutture sanitarie.
RISULTATI
I valori di media geometrica e deviazione standard geometrica
(GM±GSD) dei livelli di esposizione degli addetti esposti a silice libera
cristallina, riportati in Tabella I in riferimento a due periodi diversi di
campionamento (aprile, settembre-ottobre), erano al di sopra del TLV-
TWA di 0,0025 mg/m3 proposte dall’ACGIH (American Conference of
Governmental Industrial Hygienists).
Nell’ambito dell’intervento sono stati redatti per 2 lavoratori il primo
certificato medico di malattia professionale per silicosi polmonare; in entrambi
i casi la patologia professionale era in accordo sia con l’anamnesi
lavorativa che con i livelli di esposizione a silice.
Tabella I
Ditta 1 Ditta 2 Ditta 3
GM±GSD mg/m3 0,05 ± 2,31 0,08 ± 1,87 0,08 ± 1,52 0,14 ± 2,13 0,05 ± 1,82 0,10 ± 2,10
In particolare è interessante il caso di un lavoratore asintomatico con
lettura ILO/Bit del radiogramma del torace con 3/2 di profusione e dimensione
delle nodulazione q/q. La presenza di silicosi era confermata
dai successivi esami di diagnostica differenziale. Il quadro radiografico
particolarmente impegnato (Figura 1) e confermato dalla TC torace in
HRCT non trovava uguale riscontro di gravità nelle prove di funzionalità
respiratoria; infatti l’unico dato significativo è stata una riduzione modesta
ma significativa della diffusione alveolo-capillare del CO e dei volumi
polmonari statici evidenziata ad un anno dai primi accertamenti.
Figura 1
DISCUSSIONE
I livelli di esposizione a silice e i casi di silicosi evidenziati dall’indagine
dimostrano la mancanza di efficacia dei sistemi di abbattimento del rischio e
della sorveglianza sanitaria periodica effettuata ai lavoratori esposti. Si impone
da parte dei datori di lavoro e dei loro consulenti (tecnici e medici) una maggiore
responsabilità nella valutazione del rischio, del danno e degli atti conseguenti.
Si conferma la necessità nell’effettuazione della sorveglianza sanitaria
che il radiogramma del torace venga effettuato secondo le indicazioni ILO-
BIT e soprattutto che la lettura venga eseguita anche da lettore B reader. Nell’ambito
della sorveglianza sanitaria periodica le prove di funzionalità respiratoria
non devono limitarsi alla sola esecuzione della spirometria ma devono
comprendere la valutazione dei volumi polmonari statici e la valutazione della
diffusione alveolo-capillare dei gas almeno con periodicità biennale.
BIBLIOGRAFIA
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“Patologie da silice: silicosi, cancro ed altre malattie”. Trento 8 maggio
2001.
2) Atti III International Symposium on Silica, Silicosis, Cancer and
Other Diseases - Santa Margherita Ligure, 21-25 October 2002. La
Medicina del Lavoro Vol. 93 Sup. 2002.
3) Linee guida nell’esposizione professionale a silice cristallina. Documenti
preparatori. Network Italiano Silice / Coordinamento Regioni
- ISPESL - ISS - INAIL, settembre 2005.

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5) Guidelines for the use of the ILO International Classification of Radiographs
of Pneumoconioses. Revised Edition 2000. International
Labour Office, Geneve.
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Reader Certification Program JOM 1992; 34, n 9: 879- 874.
7) Wilt JL, Parker JE, Banks DE. The diagnosis of pneumoconiosis and
novel therapies. Occupational Lung Disease. Edited by Banks E and
John E Parker. Published in 1998 by Chapman & Hall.
8) Angotzi G, Bramanti L, Tavarini D, Gragnani M, Cassiodoro L, Morioni
L, Saccaridi P, I.Pinto, Stacchini N, Bovenzi M. World at work:
Marble quarrying in Tuscany. Occup Environ Med 2005; 1- 7.
P-11
VALUTAZIONE DELLA GENOTOSSICITÀ DELL’IMIDACLOPRID
IN RELAZIONE ALL’ATTIVAZIONE METABOLICA
ED ALLA COMPOSIZIONE DEL PRODOTTO COMMERCIALE
C. Costa1 , S. Catania2 , A. A. Melchini2 , G. M. Scribano2 , E. Legato2 ,
V. Silvari3 1 Dip. Medicina Sociale del Territorio, Sez. Medicina del Lavoro,
Università di Messina
2 Dip. Farmaco-Biologico, Facoltà di Farmacia, Università di Messina
3 Dept. of Biochemistry, University College Cork, UCC, Cork, Ireland
Corrispondenza: Chiara Costa - Dipartimento di Medicina Sociale
del Territorio, Sez. Medicina del Lavoro A.O.U. “Policlinico
G. Martino”, pad. H Via Consolare Valeria - 98125 Messina, Italy
- Tel. 090-2213092, Fax 090-2213720, E-mail: ccosta@unime.it
GENOTOXICITY OF IMIDACLOPRID IN RELATION
TO METABOLIC ACTIVATION AND COMPOSITION
OF THE COMMERCIAL PRODUCT
Key words: neonicotinoids, comet assay, micronuclei.
ABSTRACT. Imidacloprid is a neonicotinoid insecticide combining
excellent efficacy against parasites and low toxicity for mammalians.
It is commercialised with coformulants including dimethylsulfoxide,
methylpyrrolidone and mineral oil, which can modify its bioavailability
and toxicological profile for human following occupational exposure.
A combined in vitro approach employing comet assay and micronucleus
test was used to assess the genotoxicity of imidacloprid in relation to
formulation, metabolic activation and exposure level. Human peripheral
blood lymphocytes from unexposed healthy volunteers were treated with
imidacloprid (0.2, 2 e 20 µM) and equimolar concentrations of
a commercial product, with and without addition of S9 fraction.
Imidacloprid increased significantly comet score and frequency of
micronuclei only at the highest dose tested. DNA damage was slightly
more severe with commercial product, and was increased by metabolic
activation. These results suggest that at doses

24 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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tisticamente significativa. L’attivazione metabolica del pesticida ha fatto
osservare un più accentuato effetto genotossico: rispetto al basale: l’imidacloprid
20 µM ha mostrato un p

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 25
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PATOLOGIE INFIAMMATORIE
Studi su animali hanno mostrato come la polvere di cemento induca
modificazioni atrofiche ed ipertrofiche nella mucosa nasale e faringea e
bronchiti croniche esfoliative (4, 5).
Uno studio sulla condizione della mucosa orale è stata effettuato da
Struzak-Wysokinska e Bozyk (6) su una popolazione di lavoratori di un
impianto polacco di produzione del cemento. Le visite effettuate hanno
mostrato in tutti i lavoratori caratteristiche di traumi meccanici e infiammazione
della mucosa orale.
In uno studio successivo (7), l’esame clinico dei lavoratori esposti a
polvere di cemento ha mostrato disordini delle vie aeree superiori che includono
per lo più riniti croniche, laringiti e faringiti produttive.
Autori russi (8) hanno invece calcolato che un’esposizione lavorativa
media inferiore ai 20 anni alla polvere di cemento porta ad un’elevata incidenza
di fenomeni distrofici a carico della mucosa di fosse nasali e faringe.
Janicka-Beuth e Korenkiewicz (9) hanno osservato come la deposizione
della polvere di cemento nel naso in 90 soggetti professionalmente
esposti porti a modificazioni atrofiche (37.8%) e ipertrofiche (13.3%).
Alcuni studi effettuati mediante somministrazione di questionari sui
sintomi respiratori hanno mostrato come i lavoratori dell’industria di produzione
del cemento manifestino sintomi riferibili a disturbi delle alte vie
aeree superiori (3, 10).
Intuitivamente appare chiaro come le funzioni di filtro e difesa aspecifica
di naso e faringe, come quella di sfintere della laringe, espongano
questi organi ad una maggiore concentrazione di irritanti, tossici ed inquinanti
nei lavoratori che vengono a contatto con la polvere di cemento,
però molto povera è la letteratura tesa ad indagare in tal senso e soprattutto
basata su studi con campioni esigui di popolazione per i quali è fra
l’altro difficile fare una distinzione fra l’esposizione lavorativa e gli altri
fattori di rischio noti.
PATOLOGIE NEOPLASTICHE
In uno studio caso controllo di Maier e coll. (11) effettuato su 200
soggetti con carcinoma a cellule squamose della laringe (44.5%), della
cavità orale (23.5%), dell’orofaringe (24%) e dell’ipofaringe (8%) e su
800 controlli si è visto che vi era un aumentato rischio di cancro della testa
e del collo dopo esposizione a polvere di cemento (Rischio relativo
= 4.4). Il rischio ha mostrato una correlazione positiva con la durata dell’esposizione
ed è rimasto significativamente elevato dopo la correzione
statistica rispetto altri fattori di rischio quali il consumo di alcol e tabacco.
In un altro studio caso controllo (12) sul carcinoma a cellule squamose
della laringe e i fattori occupazionali effettuato su un gruppo di 164
pazienti e 656 controlli, gli autori hanno osservato come il rischio associato
alla polvere di cemento era prevalentemente correlato alla comparsa
di patologie maligne della regione sopraglottica (Rischio relativo = 1.88;
intervallo di confidenza = 0.8-4.3) dopo la correzione per l’uso di alcol e
tabacco. Giungendo alle medesime conclusioni di uno studio caso controllo
francese (13) che ha evidenziato come il cancro della laringe sopraglottico
sia associato con l’esposizione alla polvere di cemento (Odds
Ratio = 4.2; intervallo di confidenza al 95% = 1.1-16.4).
In un altro studio caso-controllo (14) effettuato su 209 soggetti maschi
con carcinoma a cellule squamose della cavità orale, della laringe e
del faringe e su 110 soggetti di controllo senza patologie maligne con le
stesse caratteristiche relative all’età, consumo di alcol e tabacco si è visto
che vi era un aumentato rischio di cancro per i lavoratori esposti a polvere
di cemento (Odds Ratio = 12.9; p < 0.001).
Un recente studio caso-controllo di Dietz (15) su 257 pazienti con
cancro della laringe confermato istologicamente e su 769 controlli ha mostrato
dopo correzione per l’uso di tabacco e alcol un OR di 2.42 (intervallo
di confidenza al 95% = 1.14-5.15; p

26 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
P-13
ATTIVITÀ DI GALVANICA E MIGLIORI TECNICHE DISPONIBILI:
LA DIRETTIVA IPPC NELLA PREVENZIONE DELL’ESPOSIZIONE
A CROMO ESAVALENTE
P.E. Cirla1 , L. Settimi2 , A. Filipponi1 , M.R. Aiani2 , M. Buratti1 ,
D. Cavallo3 , V. Foà1 1 Università degli Studi di Milano e Fondazione “Ospedale Maggiore
Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena” I.R.C.C.S., Dipartimento
di Medicina del Lavoro, Via S. Barnaba, 8 - 20122 Milano
2 ASL della provincia di Como, Dipartimento di prevenzione
Servizio Servizio PSAL, Como
3 Università degli Studi dell’Insubria, Dipartimento di Scienze
Chimiche ed Ambientali, Como
Corrispondenza: Piero Emanuele Cirla - Tel. 02-50320.110,
Fax 02-50320.111, E-mail: piero.cirla@gruppocimal.it
GALVANIC PLATING ACTIVITIES AND BEST AVAILABLE
TECHNIQUES (BAT): THE IPPC EUROPEAN COMMUNITY SVE
FOR PREVENTING HEXAVALENT CHROMIUM EXPOSURE
Key words: hexavalent chromium, best available techniques, exposure
monitoring.
ABSTRACT. In galvanic plating activities the exposure to toxic fumes
and vapours are historically the most important occupational risk,
mainly because of the hexavalent chromium content (allergic sensitizer
and carcinogen to human IARC Group 1). Recently, for these industry
also, the European Community Directive 96/61/EC regarding the
Integrated Pollution Prevention and Control (IPPC) became in force.
Among the many law obligations, there is one adopting all the
preventive measures to assume an high level of protection for global
environment, according to Best Available Techniques (BAT).
In the PPTP-Galvanic Study of Lombardy Region, a group of 44 plating
workers (directly or indirectly exposed to hexavalent chromium) was
investigated by means of environmental-air monitoring (personal
and area sampling) and of biological monitoring (urinary, plasmatic
and intra-erythrocytic chromium). Our results showed that chromium
exposure in these workers was low and generally not higher than that
observed in not exposed subjects (median values of urinary chromium
0.6 µg/g creatinine). The most exposed 12 workers (median 2.5 µg/g
creatinine) were investigated also after the introduction of new
preventive low cost measures at work place, according to BAT,
and the results shows a significant reduction of workers exposure
(p=0.04, median 1.1 µg/g creatinine).
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni si è assistito ad una notevole diminuzione delle
emissioni di sostanze inquinanti nell’ambiente da parte dell’industria europea,
ma non si può certamente ancora affermare che tutte le attuali modalità
di produzione siano rispettose dei principi dello sviluppo sostenibile.
In questo senso l’obbiettivo della salvaguardia ambientale ha ricevuto
un nuovo forte impulso con l’applicazione Direttiva 96/61/EC sulla
prevenzione e controllo integrati dell’inquinamento (Integrated Pollution
Prevention and Control - IPPC), trasposta nella legislazione italiana
con il D.Lgs.372/99 e recentemente divenuta operativa anche negli impianti
per il trattamento galvanico con vasche destinate al trattamento di
volume superiore a 30 m 3 . Tra la serie di obblighi che ne scaturiscono,
in particolare, vi è quello di adottare tutte le misure preventive appropriate
per assicurare un livello elevato di protezione dell’ambiente nel
suo complesso (aria, acqua e suolo), con specifico riferimento all’utilizzo
delle migliori tecniche disponibili (Best Available Techniques -
BAT) (1). Il nuovo approccio, non più basato sul controllo diretto delle
emissioni ma su coerenti opzioni tecnologiche (tecnologie impiegate,
modalità di costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell’impianto),
modifica i tradizionali criteri nelle scelte di investimento e apre
importanti prospettive di integrazione fra differenti obiettivi quali produttività,
qualità, sostenibilità e non da ultimo sicurezza e salute degli
ambienti di lavoro (2).
Nell’ambito delle attività di galvanica l’attenzione, sia per i risvolti
ecologici sia per quelli di salute occupazionale, viene rivolta storicamente
soprattutto verso i composti metallici usati come materie prime ed in particolare
al cromo esavalente (3-4). Dal punto di vista tossicologico, oltre
alla spiccata capacità sensibilizzante (asma e dermatite allergica da contatto),
di sicuro rilievo è infatti il riconosciuto potenziale cancerogeno per
l’apparato respiratorio (“Gruppo 1 - Sufficienti evidenze di cancerogenicità
nell’uomo” della International Agency for Research on Cancer; frase
di rischio “R49 – può provocare il cancro per inalazione” dell’Unione Europea).
È in questo quadro complessivo, puntando ad una integrazione
coerente delle condizioni tecniche produttive e dell’organizzazione dell’azienda,
che si vanno ad inserire gli interventi di prevenzione e si è sviluppato
lo Studio PPTP-Galvanica (Progetto Prevenzione Tumori Professionali
nelle attività di Galvanica) della Regione Lombardia.
MATERIALI E METODI
Partendo dal database integrato INAIL/ISPESL/Regione e dalla memoria
storica del locale servizio di prevenzione ASL, sono state individuate
e catalogate mediante sopralluogo con ausilio di scheda mirata
(tecnologia, quantitativi di cromo, aspirazione, ecc.), tutte le 69 attività
di cromatura presenti nella provincia di Como. Nelle 14 aziende che utilizzavano
cromo esavalente è stata condotta un indagine di monitoraggio
ambientale (personale e centro ambiente, frazione inalabile, filtri a membrana
di esteri misti di cellulosa) e biologico (cromuria inizio e fine
turno nella seconda parte della settimana), su tutti i 44 lavoratori con una
possibile esposizione diretta o indiretta (conduzione e controllo vasche,
analisi delle vasche, carico-scarico pezzi dai telai). Sui 12 soggetti risultati
maggiormente esposti è stato ripetuto il monitoraggio biologico alcuni
mesi dopo l’introduzione di interventi preventivi a miglioramento
del ciclo tecnologico (efficienza dei sistemi di lavaggio tra un trattamento
e l’altro, procedure di pulizia dei telai e sistemi di aspirazione),
tutti conformi alle BAT e caratterizzati per la bassa criticità economica
(bassi investimenti con rientro entro 2 anni). La valutazione è stata integrata
con la determinazione (secondo campione in Vacutainer da 7 ml
tappo blu metal-free) del cromo plasmatico ed intraeritrocitario (cromo
esavalente). Ogni soggetto è stato sottoposto ad anamnesi ed intervista
da parte di personale medico (questionario mirato al controllo di fattori
di confondimento), ed ha espresso libero consenso informato a partecipare
all’indagine. La determinazione analitica del cromo è stata condotta
con uno spettrometro ad assorbimento atomico (AAS), usando una fornace
di grafite per l’atomizzazione elettrotermica (limite di detezione del
metodo 0,1 µg/l).
RISULTATI
Il monitoraggio ambientale ha mostrato livelli medi di cromo molto
bassi: 1,4 µg/m 3 (range 0,03-15,2 µg/m 3 ) in centro ambiente e 2,3 µg/m 3
(range 0,03-40,9 µg/m 3 ) con il campionatore personale (TLV-ACGIH per
Cromo totale 500 µg/m 3 e per Cromo esavalente solubile 50 µg/m 3 ). In
particolare il campione ha mostrato condizioni ottime nelle grosse realtà
aziendali (dove è ormai in uso un sistema di lavorazione a “ciclo
chiuso”), molto buone nelle aziende di medie dimensioni e picchi più
problematici in quelle a conduzione famigliare (1 o 2 addetti). Il monitoraggio
biologico (Tabella I) ha rilevato valori mediani prossimi a quelli
riscontrati in popolazione non professionalmente esposta (5), con qualche
limitata eccezione (fine turno fino a 5,8 µg/g creatinina). I risultati delle
due indagini effettuate nel sottogruppo di soggetti maggiormente esposti
(prima e dopo l’introduzione di nuove misure preventive conformi alle
BAT), hanno mostrato un abbassamento dei livelli espositivi statisticamente
significativo: differenza media tra fine e inizio turno rispettivamente
di 0,73 e 0,04 µg/g creatinina (t-test p=0,04). I risultati dei dosaggi
di cromo plasmatico ed intraeritrocitario hanno confermato i bassi livelli
espositivi dei lavoratori, anche negli ultimi mesi.
Tabella I. Concentrazioni di cromo nelle urine (µg/g creatinina),
nel plasma (µg/l) e negli eritrociti (µg/l): mediana (5°- 95° centile)
SOGGETTI CROMO URINARIO CROMO CROMO
INIZIO TURNO FINE TURNO PLASMATICO ERITROCITARIO
Pre-BAT (n. 44) 0,7 (0,1 – 3,6) 0,6 (0,1 – 3,6) n.d. n.d
Pre-BAT (n. 12) 1,2 (0,4 – 3,5) 2,5 (0,5 – 3,9) n.d. n.d.
Post-BAT (n. 12) 1,1 (0,4 – 3,4) 1,1 (0,3 – 3,6) 1,1 (0,6 – 2,2) 1,4 (0,5 – 2,7)

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 27
www.gimle.fsm.it
DISCUSSIONE
L’indagine ha mostrato attraverso il monitoraggio ambientale e biologico
buone condizioni di processo e di protezione, tali da assicurare livelli
espositivi a cromo generalmente bassi ed in buona parte sovrapponibili
a quelli della popolazione generale. Ai fini della valutazione del rischio,
non si può però escludere che situazioni di lavoro particolari possano
portare ad un’esposizione a cromo esavalente meritevole di maggiore
attenzione.
L’attuazione di interventi preventivi sull’ambiente di lavoro a basso
costo e basati sulle BAT ha permesso di ottenere un significativo miglioramento
delle condizioni di lavoro nel gruppo di soggetti più esposti, a
conferma del positivo impatto sugli aspetti di salute occupazionale di interventi
di protezione e prevenzione legati a problematiche ambientali in
questo settore e di un possibile futuro miglior controllo del rischio cancerogeno.
Con l’utilizzo delle BAT il rapporto costi-benefici complessivo
porta con sé quindi consistenti vantaggi non solo all’ambiente esterno ed
alla competitività economica, ma anche all’ambiente di lavoro ed ai lavoratori.
Per il successo di questo innovativo percorso di prevenzione diventa
soprattutto fondamentale un approccio multidisciplinare, che coinvolga
le diverse realtà consulenziali ed aziendali: esperti di processo,
esperti di salute ed esperti di sicurezza possono così collaborare ed integrarsi
vicendevolmente, per ottenere i migliori risultati disponibili in
campo preventivo.
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P-14
MECCANISMI MOLECOLARI APOPTOTICI ED ANTI APOPTOTICI
DEL VANADIO
I. Iavicoli1 , L. Fontana1 , G. Carelli G1 , A. Bergamaschi1 1 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Largo Francesco Vito, 1 - 00168 Roma
Corrispondenza: Dr. Ivo Iavicoli - Centro di Igiene Industriale,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Francesco Vito, 1
- 00168 Roma, Italy - Tel. 06-30154486, Fax 06-3053612,
E-mail: iavicoli.ivo@rm.unicatt.it
PRO-APOPTOTIC AND ANTI APOPTOTIC MOLECULAR
MECHANISMS OF VANADIUM
Key words: vanadio, apoptosi, cancerogenesi.
ABSTRACT. Vanadium (V) is a transition metal widely distributed in
the environment. Occupational exposure to vanadium is common in oilfired
electrical generating plants and the petrochemical, steel, and
mining industries. The International Agency for Research on Cancer
(IARC) has classified vanadium as Group 2B, possibly carcinogenic to
humans. Vanadium might cause apoptosis in some types of cells, but
may be anti apoptotic in other types of cells. The exposure of some
types of cells to vanadate resulted in generation of reactive oxygen
species (ROS) and in activation of p53 activity - the most important
apoptotic pathway induced by this metal. However, in some cell lines,
the protein tyrosin phosphatase inhibitor sodium vanadate enhanced
levels of protein tyrosine phosphorylation and it stimulated PI3K and its
downstream kinase Akt/PKB that prevents apoptosis. It is not clear why
vanadium is anti apoptotic in some types of cells, but pro apoptotic in
other cells. The varying effects of vanadium on cell apoptosis may be
due to the use of different forms of the metal, to the use of different
doses of vanadium or to the different types of cells used in each
experiment.
INTRODUZIONE
Il vanadio (V) è un metallo di transizione ampiamente distribuito nell’ambiente.
L’esposizione professionale coinvolge principalmente i lavoratori
dell’industria petrolchimica, metallurgica, mineraria e delle centrali
elettriche a combustione (1).
Il potenziale cancerogeno del vanadio deve ancora essere definito in
modo chiaro ed esaustivo. Sulla base di una sufficiente evidenza di cancerogenicità
del pentossido di vanadio nella sperimentazione animale ed
in assenza di informazioni relative alla correlazione tra esposizione al
metallo e cancro umano, l’International Agency for Research on Cancer
(IARC) ha valutato il pentossido di vanadio come possibile cancerogeno
per l’uomo e lo ha inserito nel gruppo 2B (2).
Lo scopo di questa rassegna è analizzare e confrontare le vie metaboliche
pro-apoptotiche ed anti-apoptotiche del vanadio, al fine di fornire
uno strumento utile ad una migliore comprensione dei meccanismi molecolari
che sottendono la tossicità del metallo.
MECCANISMI MOLECOLARI PRO APOPTOTICI
Gli studi sperimentali che si sono occupati dell’apoptosi indotta dal vanadio
hanno dimostrato che la genesi dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS)
gioca un ruolo primario nell’induzione di questa risposta cellulare (3-6).
Se la produzione dei ROS diviene superiore ai meccanismi di compenso
intracellulari, garantiti dalla presenza di sistemi riducenti, si determina
una condizione di stress ossidativo in cui l’eccesso dei radicali liberi
dell’ossigeno danneggia le principali componenti cellulari tra cui il
DNA ed i mitocondri.
Il danno a carico del DNA comporta delle modificazioni post-traslazionali
a carico del fattore di trascrizione p53, il quale una volta attivato
favorisce l’espressione di numerosi geni coinvolti nella regolazione del
ciclo cellulare, nella riparazione del DNA e nell’apoptosi.
L’attivazione del fattore di trascrizione p53 rappresenterebbe quindi
la principale via metabolica coinvolta nell’apoptosi indotta dal vanadio,
anche se rimane da chiarire quali siano i geni da esso indotti.
Un meccanismo molecolare, indipendente dall’attivazione del p53,
che può favorire il programma apoptotico è rappresentato dall’alterazione
della funzionalità mitocondriale. I ROS possono provocare un aumento
della permeabilità della membrana mitocondriale esterna, che determina
il rilascio, dallo spazio intermembranaceo al citoplasma, di diversi fattori
pro-apoptotici i quali, mediante i meccanismi molecolari dell’apoptosi intrinseca,
innescano il programma di suicidio cellulare.
MECCANISMI MOLECOLARI ANTI-APOPTOTICI
Gli studi che si sono occupati degli effetti anti-apoptotici del vanadio
indicano che il principale meccanismo molecolare sfruttato dal metallo per
indurre una risposta di sopravvivenza cellulare è rappresentato dall’inibizione
delle Tirosin-Fosfatasi (PTPs) (7-10). Il vanadio è un inibitore aspecifico
delle PTPs. L’inibizione esercitata nei confronti di questi enzimi può
essere, a seconda della specie chimica del metallo, reversibile o irreversibile.
L’inibizione di questa classe enzimatica comporta un aumento dell’attività
chinasica intracellulare che a sua volta provocherebbe l’attivazione
di diverse vie metaboliche in grado di garantire la sopravvivenza
della cellula. L’incremento della fosfotirosina intracellulare, provocato
dall’esposizione al vanadio, influenzerebbe positivamente l’attività della
fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K) con la conseguente attivazione della
Akt/PKB. La Akt/PKB svolge la propria azione enzimatica su diversi substrati
coinvolti sia nella risposta di sopravvivenza cellulare che in quella
apoptotica. Uno di questi è la proteina pro-apoptotica BAD che fa parte
della famiglia delle Bcl-2. La fosforilazione di questa proteina da parte
della Akt/PKB ne provoca il sequestro cellulare e quindi l’inattivazione.
L’attività anti-apoptotica della Akt/PKB si estrinseca anche mediante l’attivazione
del fattore di trascrizione nucleare anti-apoptotico NF-κB, che
avviene tramite la fosforilazione della subunità inibitoria IκB.
DISCUSSIONE
Il vanadio è in grado di suscitare risposte cellulari divergenti. I motivi
che sono alla base di questo differente comportamento del metallo

28 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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non sono noti, ma lo studio della letteratura permette di avanzare alcune
ipotesi.
Lo stress ossidativo, generato dalla riduzione intracellulare del metallo,
sarebbe il principale responsabile dell’attivazione delle vie metaboliche
che conducono all’apoptosi. Tuttavia la produzione di differenti
ROS può indurre risposte cellulari diverse.
Il destino delle cellule può essere influenzato dalla concentrazione
dello xenobiotico poiché basse dosi di esposizione sono associate ad una
risposta cellulare di sopravvivenza mentre dosi più elevate facilitano la
trasduzione del segnale apoptotico.
La diversa efficacia e durata dell’inibizione sulle PTPs, che è funzione
della specie chimica del metallo a cui le cellule sono esposte, potrebbe
suscitare risposte cellulari divergenti.
Infine bisogna considerare che le cellule provenienti da tessuti o da
specie animali diverse sono dotate di apparati enzimatici eterogenei.
Quindi, in presenza di un comune fattore stimolante come l’esposizione al
vanadio, le cellule possono esibire una maggiore o minore efficacia sia
nella genesi dei ROS sia nella capacità di contrastarne gli effetti citotossici.
CONCLUSIONI
Nonostante i numerosi studi sul vanadio, non è stato ancora possibile
definire il potenziale cancerogeno del metallo e rimane da chiarire la relazione
tra esposizione ed apoptosi cellulare. Queste due tematiche sono
intimamente connesse tra loro perché le cellule in cui il vanadio provoca
un danno irreparabile del DNA e che pertanto possono subire una trasformazione
cancerogena, vengono eliminate mediante apoptosi. Tuttavia
è stato osservato che il metallo possiede capacità anti-apoptotiche e può
quindi consentire l’accumulo di cellule potenzialmente cancerogene.
Appare quindi evidente la necessità di approfondire la conoscenza
dei meccanismi molecolari che disciplinano la relazione tra l’apoptosi
cellulare e l’esposizione al vanadio per ottenere una migliore comprensione
dei sistemi difensivi che le cellule utilizzano per affrontare una possibile
minaccia tumorale ed al contempo per definire il potenziale cancerogeno
del metallo.
BIBLIOGRAFIA
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P-15
IL MONITORAGGIO BIOLOGICO DELL’ESPOSIZIONE A BENZENE:
SIGNIFICATO DEL DOSAGGIO DELL’ACIDO T,T-MUCONICO
URINARIO IN UNA POPOLAZIONE DI LAVORATORI ESPOSTI
A BASSI LIVELLI AMBIENTALI DI BENZENE
G. Taino1 , F. Fabris1 , L. Brena2 , A. Marinoni2 , M. Ferrari3 , M. Imbriani3 1 U.O. Medicina Ambientale e Medicina Occupazionale,
IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri, Via Maugeri, 4 - Pavia
2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro,
Università degli Studi di Pavia, Via Boezio, 24 - Pavia
3 Dipartimento di Medicina Preventiva, Occupazionale e di Comunità,
Università degli Studi di Pavia, Via Maugeri, 4 - Pavia
Corrispondenza: Dr. Giuseppe Taino - E-mail: gtaino@fsm.it
BIOLOGICAL MONITORING OF EXPOSURE TO BENZENE:
ANALYSIS OF URINARY T,T-MUCONIC ACID IN WORKERS
EXPOSED TO LOW OCCUPATIONAL LEVELS OF BENZENE.
Key words: t,t-muconic acid, benzene, biological monitoring.
ABSTRACT. Trans, trans-muconic acid in the urine has been
considered for many years a valid biomarker of occupational exposure
to benzene. Our study covered a population of workers exposed to low
occupational levels of benzene. Biological monitoring has been
performed on 371 males working in 4 different divisions of an oil
refining plant. We measured urinary concentrations of t,t-muconic acid
at the beginning and at the end of the work shift. Since it is not allowed
to smoke during work shift, the biological results would have not been
significantly influenced by this habit. The mean urinary excretion
of t,t-muconic acid, both at the beginning (76,32 µg/g creat) and
at the end of the work shift (112,52 µg/g creat.) were similar to the one
measured in non-exposed population. These data confirms the
effectiveness of preventive measures adopted in order to minimize the
occupational exposure of workers employed in different oil refining
processes. However, it is important to point out that, in every different
divisions examined, the mean urinary concentrations of t,t-muconic acid
at the end of the work shift resulted significantly higher than at the
beginning of the shift. This observation could be due to the effective
exposure to benzene, even at low concentration, in the workplace.
In conclusion our data suggest that, even in the case of a low
professional exposure to benzene, the urinary t,t-muconic acid is a very
sensitive marker able to show minimal occupational exposure.
INTRODUZIONE
Il benzene è stato ampiamente utilizzato in ambito industriale, ma per
le caratteristiche tossicologiche e per la comprovata cancerogenicità, è stato
progressivamente sostituito da altri solventi aromatici o alifatici. Continua
tuttavia ad essere impiegato in alcuni processi chimici di sintesi e nei laboratori
di analisi. Anche la raffinazione del petrolio, la preparazione e la distribuzione
dei distillati sono attività che possono comportare un’esposizione
professionale a benzene. La sua presenza nei carburanti (benzine) in
concentrazione prossima all’1% e, di conseguenza, nei gas di scarico delle
autovetture con marmitte il cui processo di catalisi risulta esaurito, ha di
fatto contribuito a rendere il benzene un inquinante ubiquitario.
L’anello benzenico è chimicamente molto stabile, ma, per una percentuale
intorno al 2%, è prevista la sua apertura per formare un metabolita,
l’acido trans, trans- muconico, non dotato di tossicità ed escreto con le
urine. L’acido t,t-muconico urinario ha acquistato rilevanza crescente nell’ultimo
decennio in quanto si è rilevato un metabolita utilizzabile come indicatore
per il monitoraggio biologico dell’esposizione a benzene (1, 2).
Tuttavia, nell’impiego di questo indicatore per il monitoraggio biologico
dell’esposizione occupazionale a bassi livelli ambientali di benzene,
risultano essere rilevanti le interferenze rappresentate dalla quota
urinaria di acido t,t-muconico di altra origine: alimenti e bevande, conservanti
presenti negli alimenti (acido sorbico), fumo di sigaretta, ecc. (3,
4, 5). Alcuni autori hanno anche indagato i valori di escrezione urinaria
di acido t,t-muconico urinario in popolazioni di soggetti non professionalmente
esposti a benzene (Tab. I). Il valore BEI proposto dall’ACGIH
per l’acido t,t-muconico urinario è di 500 µg/g di creatinina.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 29
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Tabella I. Valori medi di escrezione urinaria di acido muconico
(espressi in µg/g creat. o in µg/l) nella popolazione generale
FUMATORI NON FUMATORI AUTORE
130 µg/g creat. 60 µg/g creat. Lauwerys et al.1994
169 µg/l 77 µg/l Buratti et al. 1996
130 (60-390) µmg/g creat. 65 (20-590) µg/g creat. Ruppert et al. 1997
160 µg/l 110 µg/l Valente et al. 2002
37,6 µg/g creatinina 15,6 µg/g creatinina Cocco et al. 2003
MATERIALI E METODI
Il miglioramento tecnologico dei processi industriali, unitamente all’attuazione
di efficaci misure di prevenzione mirate al contenimento dell’esposizione
occupazionale al rischio, hanno consentito il raggiungimento
di bassi livelli di esposizione a benzene in diversi settori lavorativi.
Tuttavia, proprio in considerazione dei ben noti effetti sulla salute riconosciuti
ed attribuibili all’esposizione occupazionale a benzene, è ancora
attuale la necessità di individuare indicatori biologici di esposizione
sufficientemente sensibili nel monitorare anche le esposizioni ai bassi livelli
ambientali.
Nel nostro studio è stata presa in esame una popolazione di lavoratori
esposta a bassi livelli ambientali di benzene. In particolare, il monitoraggio
biologico ha riguardato 371 lavoratori di sesso maschile, appartenenti
a quattro reparti operativi di un impianto per la raffinazione del
petrolio, sottoposti al dosaggio dell’acido t,t-muconico urinario a inizio e
fine turno. Poiché è rigorosamente rispettato il divieto di fumare durante
l’attività di lavoro, il consumo di sigarette è risultato occasionale, limitato
alle pause di lavoro previste e non tale da influenzare significativamente
i risultati del monitoraggio biologico.
Lo scopo dello studio è quello di valutare il significato dell’escrezione
urinaria di acido t,t-muconico come indicatore per il monitoraggio
biologico dell’esposizione occupazionale a bassi livelli ambientali di
benzene.
RISULTATI
I valori medi di escrezione dell’acido t,t-muconico urinario sono risultati
paragonabili a quelli della popolazione non professionalmente
esposta sia all’inizio che alla fine del turno di lavoro e giustificabili
sulla base della bassa esposizione occupazionale. Il dato sembra confermare
l’efficacia delle misure di prevenzione messe in atto per ridurre
a livelli trascurabili l’esposizione occupazionale dei lavoratori. Appare
tuttavia significativo sottolineare il fatto che, in tutti i gruppi di lavoratori
esaminati, sono stati riscontrati valori medi di escrezione urinaria di
acido t,t-muconico di fine turno superiori rispetto a quelli di inizio
turno, con una elevata significatività statistica in tutti i confronti effettuati
(Tab. IIA e IIB).
Tabella IIA. Valori di acido t,t-muconico urinario riscontrati
ad inizio turno lavorativo.
Valore di riferimento ACGIH < 500 µg/g di creatinina
Tabella IIB. Valori di acido t,t-muconico urinario riscontrati
a fine turno lavorativo.
Valore di riferimento ACGIH < 500 µg/g di creatinina
DISCUSSIONE
L’elevata significatività statistica nell’incremento dell’escrezione urinaria
media di acido t,t-muconico a fine turno lavorativo in tutti i gruppi di
lavoratori esaminati rappresenta sicuramente un dato interessante in grado
di suscitare riflessioni e considerazioni che possano ragionevolmente giustificare
e spiegare il risultato. Il riscontro potrebbe essere imputabile all’effettiva
esposizione, seppure assai contenuta, dei lavoratori al fattore di
rischio “benzene” nell’ambiente di lavoro. Alla luce di questo risultato si
potrebbe concludere che, pur in presenza di una bassa e trascurabile esposizione
professionale, l’indicatore biologico acido t,t,-muconico urinario risulta
essere sufficientemente sensibile nell’evidenziare il contributo, seppure
modesto, dell’esposizione occupazionale. In considerazione del divieto
di fumare che viene rispettato dai lavoratori sul luogo di lavoro, il
fumo di sigaretta non è risultato, nel nostro studio, un fattore interferenziale
in grado di modificare significativamente l’escrezione urinaria di acido t,tmuconico.
Questo dato sembra sostenere l’ipotesi formulata e confermare
l’attendibilità dell’indicatore preso in esame anche per le basse esposizioni
occupazionali. D’altra parte, ulteriori studi e ricerche appaiono necessari
sia per confermare il risultato del nostro studio, sia per valutare l’influenza
di altri fattori interferenziali (alimenti, bevande, particolari conservanti
come l’acido sorbico, farmaci, ecc.) che in letteratura sono noti per essere
in grado di modificare l’escrezione urinaria di acido t,t-muconico.
BIBLIOGRAFIA
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P-16
GLOMERULOPATIA MEMBRANOSA IN SEGUITO AD INTOSSICAZIONE
ACUTA DA SOLVENTI: UN CASO CLINICO
M. del Mar J. Sanchez, M. Riccò, D. Somenzi, C. Dimaggio, E. Adami,
A. Mutti, I. Franchini
Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Clinica Medica,
Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Via Gramsci, 14 - 43100 Parma
Corrispondenza: Dr.ssa Maria del Mar Jordana Sanchez - Dipartimento
di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione,
Via Gramsci, 14 - 43100 Parma, Italy
MEMBRANOUS GLOMERULOPATHY AFTER ACUTE
EXPOSURE TO ORGANIC SOLVENTS: A CASE REPORT
Key words: organic solvents, membranous glomerulopathy,
hearing loss.
ABSTRACT. We describe a case of a 46 years old male worker that,
after an acute intoxication of organic solvents mixture, presented a
nephrotic syndrome characterized by hypertension, lower extremity
edema, proteinuria in the nephrotic range, hypoproteinemia and
hypoalbuminemia; the renal biopsy showed a membranous
glomerulopathy at early stage. The patient was chronically exposed to
such substances, but has never been symptomatic before. The worker,
with previous occupational hearing loss, has presented a worsening in
his audiometric pattern after the episode.
According to the literature and to the clinical presentation and
anamnesis, previously latent and unknown, we deduce that the
glomerular damage could have been worsened after the acute episode
in a worker chronically exposed to nephrotoxic substances. Moreover,
the synergic effect of solvents mixture and noise exposure could worse
the audiometric pattern in a patient with previous hearing loss.

30 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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INTRODUZIONE
Diversi studi hanno suggerito come l’esposizione a solventi organici
sia associata alla comparsa di nefropatie glomerulari, benché questo rapporto
rimanga controverso (1). Una delle ipotesi patogenetiche della glomerulopatia
membranosa consiste nella formazione di immunocomplessi
“in situ” sul versante epiteliale della membrana basale glomerulare
(MBG) (2). In seguito, si verificherebbe una sintesi di matrice extracellulare
intorno a tali immunocomplessi con ispessimento della MBG. Una
cronica esposizione a solventi potrebbe facilitare l’esposizione ad antigeni
presenti sul lato epiteliale della MBG, non riconosciuti come “self”,
provocando la formazione d’anticorpi e conseguente deposizione di immunocomplessi
in tale sede. Una seconda ipotesi consisterebbe in un
danno glomerulare secondario alla presenza di antigeni tubulari esposti in
seguito ad un danno diretto del tossico (3). Entrambi questi effetti nefrotossici
dei solventi potrebbero verificarsi in seguito ad una prolungata
esposizione a basse concentrazioni oppure a ripetuti picchi d’esposizione,
anche a miscele di sostanze nefrotossiche diverse (4). Il presente lavoro
descrive il caso clinico di un verniciatore esposto a solventi e rumore, che
ha presentato comparsa di glomerulopatia membranosa e una progressiva
riduzione della capacità uditiva.
CASO CLINICO - MATERIALI E METODI
Uomo di 46 anni, restauratore e verniciatore da circa 20 anni, che manifestò
un episodio d’intossicazione acuta, mentre eseguiva verniciatura
“a spruzzo” di un bagno. L’ambiente era confinato e presentava minima
aerazione tramite una finestra. I prodotti utilizzati erano composti da solventi
organici (toluene e xilene mescolati con nafta leggera aromatica,
acetato di etile, etanolo, propan-1-olo e butanolo) e resine epossidiche. Il
quadro clinico si presentò con comparsa improvvisa di cefalea, nausea,
vomito, vertigini, acufeni, calo del visus e successiva perdita di coscienza
di circa 10 minuti, risoltosi dopo l’allontanamento dalla stanza da parte dei
colleghi. Nei giorni successivi all’episodio si verificò la comparsa “ex
novo” di ipertensione arteriosa (fino a 200/100 mmHg), mentre dopo alcune
settimane comparvero marcati edemi declivi e proteinuria nel range
nefrosico (5 g/24 h). Nei sei mesi seguenti persisteva ipertensione arteriosa.
Per tale motivo veniva effettuata una biopsia renale che mostrava
glomerulonefrite membranosa al I stadio. Il lavoratore aveva eseguito annualmente
controlli clinico-laboratoristici fin da giovane adulto in quanto
praticante attività sportiva agonistica a livello internazionale. Tali controlli
non avevano mai evidenziato ipertensione arteriosa né proteinuria patologica.
Era invece già nota ipoacusia professionale da rumore diagnosticata
mediante audiometrie eseguite con cadenza circa annuale.
Dopo tre anni dall’intossicazione era presente lieve insufficienza renale,
misurata mediante clearance della creatinina e confermata dalla
scintigrafia renale (filtrato glomerulare: 62 ml/min). Il trattamento della
glomerulopatia membranosa con metilprednisolone e ciclosporina A non
ha impedito la progressione della nefropatia, in un periodo di venti anni,
fino alla necessità di terapia sostitutiva emodialitica e, dopo cinque anni,
trapianto renale. Durante quest’ultimo ricovero ci è giunta la segnalazione
del caso da parte dei colleghi nefrologi.
A distanza di tempo dall’intossicazione acuta sono persistiti gli acufeni
e si è verificato un peggioramento dell’ipoacusia. La curva audiometrica
mostrava un deficit neurosensoriale bilaterale, più accentuato a
sinistra con calo significativo della capacità uditiva a 4000 Hz, ed in minore
misura tra i 3000 e i 5000 Hz. L’anamnesi patologica remota e prossima
evidenziava esposizione a traumi acustici acuti (tiro al piattello con
imbracciatura a destra) ma risultava negativa per uso di farmaci potenzialmente
ototossici (diuretici, antibiotici aminoglicosidi, antineoplastici,
etc), consumo di alcol, abitudine tabagica e traumi cranici.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
In letteratura sono stati riportati diversi case-report che correlano l’esposizione
professionale a solventi organici con numerose nefropatie, sia tubulointerstiziali
che glomerulari. Tra questi segnaliamo alcuni casi di glomerulopatia
membranosa (5) e danni tubulo-interstiziali (6) associati ad esposizione
cronica a solventi e casi di intossicazione acuta associata a sindrome di Goodpasture
(7), caratterizzata dalla presenza di anticorpi anti-MBG.
Recenti meta-analisi hanno dimostrato un significativo aumento dell’odd-ratio
nella relazione tra esposizione a solventi e glomerulonefriti primitive
(8). Nessun solvente specifico però è stato individuato come responsabile
di nefropatia, benché sia stata confermato un rapporto positivo
tra esposizione a solventi e glomerulonefriti non sistemiche (9). Inoltre è
stato riportato come la sospensione dell’esposizione a solventi in alcuni
casi abbia permesso il miglioramento della glomerulonefrite [10] ed addirittura
la mancata progressione verso l’insufficienza renale terminale (11).
L’analisi della letteratura disponibile non ha rivelato nessuna segnalazione
di un’associazione tra esposizione acuta a solventi e glomerulopatia
membranosa. Con questo case-report descriviamo un’esposizione
acuta ad una miscela di solventi organici in un lavoratore cronicamente
esposto, dopo la quale si è verificata la comparsa di una glomerulopatia
membranosa biopticamente diagnosticata.
Questo caso quindi supporta l’ipotesi di un rapporto d’associazione,
in un lavoratore cronicamente esposto, fra un’intossicazione acuta da solventi
e la comparsa di glomerulopatia membranosa progredita in insufficienza
renale cronica terminale.
Inoltre i dati riscontrati confermano un effetto additivo nel danno da
coesposizione fra rumore e solventi organici sull’organo uditivo (12, 13)
in una già presente ipoacusia da rumore.
Questo caso sottolinea altresì l’importanza del monitoraggio di parametri
urinari ed audiometrici nei soggetti cronicamente esposti a solventi.
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solvents on the inner ear: a field study. Int J Occup Med Environ
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P-17
DIFFICOLTÀ DELLE OPERAZIONI DI TARATURA DEI SISTEMI
DI MISURA IN CONTINUO PER IL CONTROLLO DELLE EMISSIONI
IN ATMOSFERA DEGLI IMPIANTI INDUSTRIALI - D.M. 21/12/1995
G. Gianello, R. La Bua, G. Gianello, C. Laurini, A. Messina, A. Bergamaschi
Università Cattolica S. Cuore, Roma - Centro di Igiene Industriale,
Largo Francesco Vito, 1 - 00168 Roma
Corrispondenza: Dr. Giorgio Gianello - Università Cattolica S. Cuore,
Roma - Centro di Igiene Industriale, Largo Francesco Vito, 1
- 00168 Roma, Italy - Tel. 06-30154486/7, Fax 06-3053612,
E-mail: gg.gianello@rm.unicatt.it

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 31
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CALIBRATION PROBLEMS OF CONTINUOUS MEASUREMENT
SYSTEMS FOR STACK GAS EMISSIONS FROM INDUSTRIAL
PLANTS
Key words: calibration, continuous - analysers, stack - emission.
ABSTRACT. The D.M. 21/12/95, regulating methods of evaluating
results obtained from continuous analysers for stack emissions
monitoring of NO x , CO and O 2 in flue gas, makes considerable
problems when validating and testing the accuracy of measurements.
In fact, the analysers usually employed have a sensitivity that is often
on a par with the lowest emission level of the pollutant investigated;
this sometimes prevents calculation of the minimum percentage required
for the relative accuracy Index.
INTRODUZIONE
Il Decreto Ministeriale del 21/12/1995 disciplina i metodi di controllo
delle emissioni in atmosfera degli impianti industriali nonché i metodi
di valutazione dei risultati ottenuti con sistemi di rilevamento automatici
in continuo.
È stata effettuata la verifica dell’accuratezza di un sistema di controllo
in continuo relativo alle emissioni di due caldaie di centrali turbogas
da 46.5 MW ciascuna, situate presso un centro di produzione di calore
e di energia situato nell’Italia centromeridionale. Durante i monitoraggi
il rendimento delle caldaie era del 45%.
Gli strumenti di rilevazione in continuo situati nel condotto di espulsione
dei fumi di scarico delle caldaie delle centrali turbogas, esprimono
valori in ppm di NO x (espresso come NO 2 ), CO e O 2 con una frequenza
di una misurazione al minuto. È stata effettuata una verifica dei risultati
elaborati dal sistema automatico confrontandoli con quelli ottenuti con un
sistema portatile per l’analisi dei fumi di combustione
MATERIALI E METODI
Il sistema di rilievo è costituito da una apparecchiatura automatica ad
infrarossi MIR 9000, con riferimento campione a correlazione di gas noti
con accuratezza del 2%, e da un riferimento costituito dall’abbinamento
di due strumenti Testo 350 - Testo 454 muniti di celle elettrochimiche per
l’analisi dei fumi di combustione.
La sonda del sistema di riferimento è stata posizionata in prossimità
del punto di prelievo del sistema di rilevazione in continuo, programmando
la stessa frequenza di campionamento del sistema in esame.
Prima dell’inizio dei rilievi, il sistema di controllo Testo 350-454 è
stato controllato con la miscela standard di gas utilizzata per la taratura
del sistema automatico, verificando che le divergenze dai valori nominali
fossero pari o inferiori all’1%.
La calibrazione del sistema di monitoraggio automatico è stata effettuata
mediante l’indice di accuratezza relativo (IAR) come previsto dal
DM 21.12.95.
Tale indice viene calcolato dopo aver determinato i valori assoluti
delle differenze delle concentrazioni misurate dai due sistemi nelle N
prove effettuate. Indicato con Xi il valore assoluto di detta differenza
nella i-esima prova si ha:
IAR = 100 x [ 1- (M + Ic) ]
Mr
Dove:
M è la media aritmetica degli N valori Xi;
Mr è la media dei valori delle concentrazioni rilevate dal sistema di riferimento;
Ic è il valore assoluto dell’intervallo di confidenza calcolato per la media
degli N valori Xi:
Ic = tn* S / √N
Dove:
N è il numero delle misure effettuate;
tn è il t di Student calcolato per un livello di fiducia del 95% e per un numero
di gradi di libertà pari a (N-1);
S è la deviazione standard della distribuzione dei valori Xi.
Per i sistemi di monitoraggio automatici il Decreto Ministeriale, indica
come soddisfacenti valori di IAR superiori all’80%.
RISULTATI
Per quanto riguarda gli NOx (espressi come NO 2 ), sia il sistema “Testo
350 - 454” sia il sistema di rilevazione in continuo, hanno riportato
concentrazioni che rientrano nel limite autorizzato di 145 mg/Nm 3 .
L’IAR per tutti i confronti che sono stati fatti è risultato superiore
all’80%, evidenziando quindi una sufficiente accuratezza del sistema automatico
secondo i criteri stabiliti dal D.M. del 21/12/1995.
Il CO, rilevato sia dal sistema di riferimento “ Testo 350 - 454” che dal
sistema di rilevazione in continuo, mostra valori molto al di sotto del limite
autorizzato di 100 mg/Nm 3 con risultati che oscillano tra lo 0 e i 3 mg/Nm 3 .
L’IAR in questo caso non è da considerarsi attendibile in quanto il sistema
di rilevazione in continuo non fornisce dati abbastanza accurati in presenza
di concentrazioni prossime al valore del limite di rivelabilità (1 ppm).
Per quanto riguarda l’O 2 , l’autorizzazione stabilisce un tenore pari al
15%. Tutte le misurazioni effettuate sia con il sistema automatico che con
il sistema di riferimento sono risultate vicine al valore autorizzato.
Anche in questo caso l’IAR dà un risultato soddisfacente con valori
prossimi al 100%.
DISCUSSIONE
Come si evince dai risultati ottenuti, in presenza di livelli di concentrazioni
difficilmente apprezzabili utilizzando strumenti con scarsa risoluzione,
l’indice di accuratezza relativo risulta inevitabilmente molto
basso anche se le concentrazioni sono ampiamente al di sotto del limite
autorizzato e quasi prossime allo zero.
Non si ritiene quindi utile adottare questo tipo di indice in presenza
di tali concentrazioni che richiederebbero l’impiego di strumentazione
automatica con tecnologia superiore tale da consentire un indice IAR superiore
all’80% come previsto dal Decreto Ministeriale 21.12.1995.
BIBLIOGRAFIA
– Decreto Ministeriale 21/12/95.
P-18
DISPERSIONE DI FIBRE ARTIFICIALI VETROSE NELLE LINEE
DI ASSEMBLAGGIO DEI PIANI COTTURA
G. Gianello1 , B. Sperduto1 , R. La Bua1 , C. Laurini1 , F. Draicchio2 ,
A. Bergamaschi1 1 Università Cattolica S. Cuore, Centro di Igiene Industriale
2 Ispesl - Laboratorio di Fisiologia ed Ergonomia
Corrispondenza: Dr. Giorgio Gianello - Università Cattolica S. Cuore,
Roma, Centro di Igiene Industriale, Largo Francesco Vito, 1
- 00168 Roma, Italy - Tel. 06-30154486/7, Fax, 06-3053612,
E-mail: gg.gianello@rm.unicatt.it

32 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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DISPERSION OF ARTIFICIAL FIBREGLASS ON THE
ASSEMBLY LINES OF COOK TOPS
Key words: fibreglass, cook tops, AES.
ABSTRACT. Assembly of some of the latest cook tops models entails
placing radiant heat elements onto a base that is insulated with
artificial mineral fibres and fitted into a steel plate with insulating rim.
Handling during this operation inevitably leads to the dispersion of dust
that is deposited on the worktop and dispersed along the assembly line
during the various stages of manufacture.
Environmental monitoring showed the presence of fibres, albeit
in a very low concentration. In theese cases, however, observation by
Walton-Beckett optical microscope does not allow us to make a good
rate of mean exposure.
INTRODUZIONE
L’assemblaggio dei piani cottura di nuova generazione prevede l’inserimento
delle piastre radianti in un alloggiamento metallico coibentato
con un materiale a base di silice amorfa, ossidi di titanio e ferro con presenza
di silicato di potassio, rinforzato con fibre minerali artificiali.
Durante la lavorazione avviene l’inevitabile dispersione di polveri,
dovute alla manipolazione del coibente, che rimangono depositate sul
piano di lavoro e che si disperdono lungo la linea nelle varie fasi di lavorazione.
Sono state prese in esame alcune linee di montaggio codificate come
L2, L3, L4 e L5 costituite da nove posizioni. Nella prima parte di ogni linea
è presente una stazione di lavoro (formata da due posizioni P1 e P2)
in cui inizia l’assemblaggio dei piani cottura. Nelle posizioni P3 e P4, in
un’asola fuori linea, avviene l’operazione di preparazione delle piastre radianti:
che consiste nel prelievo di quattro piastre da un contenitore, con
posizionamento sul banco di lavoro, fissaggio di alcuni particolari ed inserimento
finale delle piastre, capovolgendole, nel piano di cottura. I banchi
di lavoro sono forati in modo da consentire la caduta delle polveri in
un raccoglitore di plastica; tuttavia parte dei residui della lavorazione
delle piastre si accumulano, sui piani di lavoro e sul pavimento.
Completato il fissaggio delle piastre nel piano, questo viene prelevato
e posizionato sulla linea di assemblaggio finale (P5, P6, P7, P8, P9).
Le piastre montate sulle Linee L2, L3, L4 e L5 sono di tre tipi e presentano,
sia sul fondo che sul bordo, una base isolante che si diversifica
nella composizione chimica.
Dalle schede tecniche si riscontra come la base isolante del primo
tipo sia costituita da silicati amorfi, minerali e lana di vetro solubile; mentre
quella del bordo consiste in una miscela di vermiculite e fibre di vetro
dichiarate a bassa biopersistenza. Il produttore del coibente del secondo
tipo ha fornito solo la scheda di sicurezza dell’isolante termico della base.
Tale isolante ha una composizione caratterizzata da una miscela di silice
amorfa, fibre di vetro, vermiculite, silicato di calcio, ossido di alluminio
e ossidi di ferro.
Nella scheda viene dichiarato che le fibre hanno un diametro > 3 µm,
ma tale affermazione, non fornendo le indicazioni previste dalla normativa
a riguardo, non risulta di alcuna utilità.
Il materiale isolante del terzo tipo è corredato della scheda di sicurezza
sia della base che del bordo: nella composizione della base sono
presenti silice amorfa, silicati di zirconio e composti di boro; la composizione
del bordo è invece costituita da silice amorfa, fibre di vetro, silicato
di potassio e vermiculite. Anche in questo caso nella scheda viene dichiarato
che le fibre hanno un diametro > 3 µm e quindi vengono dichiarate
non classificabili come respirabili, con le lacune legislative sopra
menzionate.
MATERIALI E METODI
In considerazione della particolare composizione dei materiali (agglomerati
di ossidi con bassa presenza di fibre minerali artificiali, comprese
tra lo 0 e il 20%), non sono state eseguite le analisi per la determinazione
della natura delle fibre di vetro per l’evidente difficoltà di separare
le stesse dalla matrice conglomerata. D’altro canto le informazioni,
desunte dalle schede di sicurezza fornite dai produttori, erano quanto
meno lacunose e quindi abbiamo ritenuto opportuno effettuare un’indagine
approfondita sull’esposizione dei lavoratori, non potendo in alcun
modo avere la certezza che le fibre in esame potessero considerarsi completamente
inerti.
L’indagine è stata condotta, come detto, su tutte e 4 le linee di produzione
monitorando per tre giornate le operazioni che avvenivano in
corrispondenza dell’inizio, del centro e del fine linea.
DISCUSSIONE DEI RISULTATI
I risultati sono stati espressi sia in termini di fibre per litro di aria campionata
lungo le varie linee di assemblaggio, sia come frequenza relativa
di campioni nei quali è stata riscontrata la presenza di fibre (Grafico 1).
Come si può osservare dal grafico accluso (Grafico 2) i campionamenti
hanno fornito concentrazioni ambientali di fibre di vetro variabili
tra < 0.2 ff/l e 0.9 ff/l, mettendo in risalto una maggiore dispersione al
centro della linea, dove avviene in maggior misura la manipolazione del
coibente, con valori bassi all’inizio e ancor più alla fine della linea.
Grafico 1. Fibre artificiali vetrose aerodisperse sulle Linee 2 - 3 - 4 - 5
Grafico 2
Considerando una rotazione casuale degli addetti nelle varie posizioni
si ottiene un valore di esposizione medio di 0.25 ff/l.
Anche esaminando la distribuzione dei valori in termini di frequenza
relativa dei campionamenti che presentano concentrazioni superiori al limite
di rivelabilità, si osserva un andamento del tutto sovrapponibile a testimonianza
che i 2 metodi di valutazione utilizzati forniscono risultati
coincidenti.
Per quanto riguarda la valutazione del rischio di esposizione possiamo
individuare due scenari: se le fibre superassero le prove di biopersistenza
il rischio sarebbe chiaramente trascurabile, altrimenti si cade nell’ambito
dell’esposizione a sostanze cancerogene o sospette tali.
In quest’ultimo caso per potere esprimere un giudizio sul rischio di
esposizione è necessaria una metodica analitica che abbia una maggiore
sensibilità, che può essere ottenuta ad esempio aumentando la percentuale
del filtro esaminata. Infatti utilizzando la metodica utilizzata negli
ambienti di lavoro si raggiunge lo 0.5% circa esplorando 200 campi del
filtro in esame o poco meno dell’1% esaminandone 400.
Pertanto per avere una maggiore sensibilità si dovrà aumentare il numero
di campi esplorati di almeno un ordine di grandezza oppure, in alternativa,
l’area del campo in maniera analoga. Evidentemente la prima
opzione risulta impossibile da realizzare e pertanto non rimane che aumentare
l’area del campo esaminato.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 33
www.gimle.fsm.it
P-19
LE METALLOPROTEASI DI MATRICE ED I LORO INIBITORI:
NUOVI BIOMARKER NELL’ESPOSIZIONE PROFESSIONALE
AI METALLI
M. Lamberti1 , M Giuliano2 , M. Cammarota2 , N. Sannolo1 Dip. Medicina Sperimentale, 1 Sezione di Medicina del Lavoro,
Igiene e Tossicologia industriale; 2 Sezione di Biotecnologie e Biologia
Molecolare; Facoltà di Medicina e Chirurgia, II Università degli Studi
di Napoli, Via L. De Crecchio, 7 - 80100 Napoli
Corrispondenza: Monica Lamberti - Viale Colli Aminei, 279
- 80131 Napoli, Italy (abitazione); Facoltà di Medicina e Chirurgia, II
Università degli Studi di Napoli - Via L. De Crecchio, 7 - 80100 Napoli,
Italy
MATRIX METALLOPROTEINASES AND THEIR INHIBITORS:
NEW BIOMARKERS IN THE OCCUPATIONAL EXPOSURE
TO METALS
Key words: matrix metalloproteinases, biomarker, HaCat (Human
Keratinocyte).
ABSTRACT. Traditional tests that measure both sensitization and
elicitation response require the use of animals. We developed an in vitro
model to screen for potential toxic compounds. Human keratinocytes
(HaCat) were used as target cells while matrix metalloproteinases
(MMP) were selected as responders, developing and in vitro model of
contact dermatitis. The chemical agents: potassium dichromate and
nickel sulphate as positive tester, because represent the main etiological
agents of contact dermatitis. Nickel contact at very low concentrations
(10 -5 , 10 -6 M) induced upregulation of MMP-2 and IL-8 mRNA
production. MMP-9 accumulation was found in the medium of treated
cells respect to controls. Chromium contact at very low concentrations
killed all cells. Our simple in vitro model can be applied as a useful
preliminary complement to the animal studies, to screen for the effects
of new potential toxic compounds and to confirm the security of the
actual chemical agents in the workplace.
INTRODUZIONE
Le dermatiti allergiche, irritative (DIC) e allergiche (DAC), rappresentano
il 15-20% di tutte le patologie occupazionali. Le ipersensibilità al
cromo ed al nichel sono alla base delle più comuni forme di dermatiti allergiche
da contatto.Determinante è lo sviluppo di modelli complementari
a quelli in vivo, per l’individuazione di alterazioni molecolari prima
di quelle fenotipiche. Le dermatiti allergiche vedono coinvolte citochine
pro-infiammatorie e mediatori del danno come le metalloproteasi
(MMPs); queste sono endopeptidasi zinco dipendenti, che partecipano al
rimodellamento della matrice extracellulare. Lo squilibrio tra MMP e
TIMP, i loro inibitori, è stato dimostrato alla base di un largo numero di
patologie. Lo scopo di questo studio è di validare l’uso delle MMP come
biomarker, confrontando la risposta cellulare al nichel con un altro metallo
come il cromo che ha presentato meccanismi diversi di citotossicità.
MATERIALI E METODI
(HaCat). Le HaCat sono state esposte a concentrazioni variabili di solfato
di nichel (NiSO 4 ⋅6H 2 O) e dicromato di potassio (K 2 Cr 2 O 7 ), in mezzo
senza siero, per diversi intervalli di tempo. La RT-PCR ha permesso di
identificare la presenza di specifico mRNA per la MMP-2 e per il TIMP-
2. I risultati sono stati espressi come media +/- rispetto alla Deviazione
Standard (SD) o Errore Standard (SE). L’analisi statistica è stata eseguita
mediante test del t Student calcolato attraverso il software Sigma Stat.
RISULTATI
Il Ni ed il Cr si sono dimostrati estremamente citotossici a concentrazioni
che variavano da 10 -2 a 10 -3 M (dati non mostrati). L’esposizione
con Cr e Ni 10 -5 M e 10 -7 M, non altera la vitalità della cellula nel breve
termine (6 h) (Figura 1). Le incubazioni prolungate hanno mostrato invece,
una citotossicità nelle cellule esposte a concentrazioni di Cr di 10 -5
M (40-50% vitalità). Al fine di osservare la potenziale ripresa di cellule
chimicamente danneggiate, abbiamo stimolato cheratinociti a subcon-
Figura 1. Effetti di Ni e Cr su cellule hacat a confluenza. (◆) Controllo,
(=) Ni 10-5 M (●) Ni 10-7 M, (

34 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
BIBLIOGRAFIA
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P-20
L’ESPOSIZIONE A PERSOLFATO D’AMMONIO RIDUCE
IL CONTROLLO NON ADRENERGICO, NON COLINEREGICO
INIBITORIO (NANC-I) NELLE VIE AEREE DI CAVIA
A. Dellabianca, E. De Amici, E. Cervio, B. Balestra, S. Tonini,
S.M. Candura
Dipartimento di Medicina Preventiva Occupazionale e di Comunità,
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento di Scienze Fisiologiche e Farmacologiche, Università
degli Studi di Pavia
Corrispondenza: Dr. Antonio Dellabianca - c/o Dipartimento di Scienze
Fisiologiche e Farmacologiche, Università degli Studi di Pavia,
Piazza Botta 11 - 27100 Pavia, Italy - Tel. 0382-986364 - Fax 0382-986385
AMMONIUM PERSULPHATE EXPOSURE IMPAIRS
NON-ADRENERGIC, NON-CHOLINERGIC INHIBITORY
(I-NANC) CONTROL IN GUINEA-PIG AIRWAYS
Key words: ammonium persulphate, NANC inhibitory system, airways.
ABSTRACT. To evaluate the effect of repeated exposure to ammonium
persulphate (AP) on NANC inhibitory innervation of guinea-pig
airways, we exposed male guinea-pigs to AP, by aerosol inhalation
at a concentration of 1 mg/m 3 for 30 minutes for 5 days for three weeks.
Control animals inhaled saline aerosol. After the last exposure, the
animals were killed and the isolated whole trachea was cannulated at
each extremity and mounted in an organ bath. Intraluminal pressure
variations were measured by means of a pressure transducer. The
inhibitory NANC responses to electrical field stimulation (3 and 10 Hz)
were evaluated in the presence of hyoscine, piperoxane and
propranolol. To evaluate both the amplitude and the duration of the
responses, the area under the curve (AUC) was measured as Pa ·
seconds. Statistical analysis, was performed by analysis of variance.
In the exposed animals, the in vitro NANC relaxations at 3 and 10 Hz
were significantly reduced (P < 0.01). In particular, the AUC was 45.9
± 12.1%, as compared to control at 3 Hz and 52.7 ± 14.1% at 10 Hz.
In conclusion, the impairment in NANC relaxation may represent one
of the mechanisms subserving airway hyperreactivity induced by AP
esposure.
INTRODUZIONE
I persolfati sono considerati la maggior causa di sintomi respiratori per
i parrucchieri, che impiegano tali prodotti per la decolorazione dei capelli
(1). sebbene non sia spiegato il meccanismo di induzione dell’asma (2).
Oltre ai meccanismi immunomediati (umorali o cellulari), è stato
prospettato che l’effetto conseguente all’esposizione a persolfato d’am-
monio passi anche attraverso modificazioni del tono muscolare e sulla
produzione di mediatori rilascianti la muscolatura delle vie aeree, in particolare
monossido d’azoto (NO).
In uno studio funzionale in vitro volto a saggiare tale ipotesi, è stata
rilevata un’azione rilasciante del persolfato d’ammonio sulla muscolatura
tracheale di cavia, che sembrerebbe mediata da NO. Tuttavia il medesimo
studio suggerisce che l’esposizione continuativa a persolfati, danneggiando
l’epitelio, possa ridurre la produzione di NO e quindi rendere
meno efficiente il controllo inibitorio sulla muscolatura liscia (3). I meccanismi
patogenetici dell’asma da persolfati restano sostanzialmente sconosciuti
e richiedono ulteriori studi.
Esiste qualche evidenza sperimentale a supporto dell’ipotesi che la
disfunzione dell’innervazione autonoma, nelle sue componenti eccitatoria
(4-9) e inibitoria (10-12), possa contribuire alla patogenesi dell’asma
bronchiale.
Nel presente studio è stato valutato l’effetto dell’esposizione per via
inalatoria a persolfato d’ammonio sul rilasciamento nervo-mediato
NANC inibitorio (NANC-i) per ottenere informazioni circa l’influenza di
agenti irritanti/sensibilizzanti sulla regolazione autonoma del calibro
delle vie aeree e sui meccanismi patogenetici dell’asma professionale.
MATERIALI E METODI
Un gruppo di cavie è stato esposto quotidianamente all’inalazione di
un aerosol ad elevata concentrazione (1 mg/m 3 ) di persolfato d’ammonio
per 30 minuti al giorno per tre settimane, esclusi i giorni di sabato e domenica.
Un flusso continuo d’aria veicolava l’aerosol da un nebulizzatore
ultrasonico DeVilbiss Ultraneb 2000 in una camera in plexiglas contenente
l’animale. Un gruppo di animali di controllo veniva trattato con soluzione
fisiologica. Dodici ore dopo l’ultima esposizione, gli animali venivano
sacrificati. La trachea, isolata in toto, veniva privata dell’epitelio
(13), al fine di escludere influenze di mediatori di origine epiteliale (NO,
ATP, prostaglandine), montata in un bagno per organi isolati e stimolata
con treni di impulsi (frequenza 3 e 10 Hz, durata 0,5 ms, 60 V, per 5 s) ad
intervalli di 10 minuti, in presenza di piperossano, propranololo e ioscina
(tutti alla concentrazione di 10 -6 M), in modo da operare in condizioni
NANC. Le risposte NANC-i erano misurate come diminuzioni della pressione
intraluminale, per mezzo di un trasduttore. Esse consistevano in una
risposta iniziale veloce, seguita da un lento recupero fino al ripristino del
tono basale. La risposta iniziale è stata valutata come massimo decremento
della pressione (Pascal: Pa) rispetto al valore basale. Per quantizzare
la risposta inibitoria nella sua globalità, è stata calcolata l’area sotto
la curva (AUC) come integrale rispetto alla linea di base (Pa • s).
Le risposte NANC-i sono state espresse come media ± ES dei dati
grezzi e valutate come percentuale media ± ES delle risposte ottenute da
animali esposti rispetto a quelli di controllo. La significatività è stata valutata
usando il test del t di Student per dati non appaiati.
RISULTATI
Nella trachea isolata di cavie precedentemente esposte a persolfato
d’ammonio è stata osservata una significativa riduzione (P

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 35
www.gimle.fsm.it
ste osservazioni mostrano che l’esposizione ad alte concentrazioni di persolfato
d’ammonio, riduce l’efficienza del controllo nervoso NANC-i
delle vie aeree di cavia.
DISCUSSIONE
Il trattamento di cavie con un aereosol di persolfato d’ammonio, un
agente asmogeno professionale (1), ad una concentrazione 10 volte superiore
al proprio TLV-TWA, ha permesso di evidenziare una significativa
riduzione della risposta NANC-i tracheale.
Ciò suggerisce che uno degli effetti del persolfato d’ammonio è probabilmente
correlato a una ridotta funzionalità dell’innervazione inibitoria
intrinseca, con conseguente ridotta liberazione dei neurotrasmettitori
in essa contenuti (14), e/o una più veloce degradazione degli stessi. L’aver
osservato la riduzione delle risposte NANC-i in assenza dell’epitelio,
notoriamente bersaglio primario del danno prodotto soprattutto da agenti
asmogeni irritanti, permette di escludere che gli effetti osservati siano riferibili
a danno epiteliale. Pertanto, una ridotta efficienza dell’innervazione
intrinseca inibitoria, che coopera al mantenimento della pervietà
delle vie aeree, può parzialmente spiegare l’insorgenza di iperreattività
bronchiale in questa forma di asma professionale.
Finora si è ritenuto che i meccanismi responsabili dell’iperreattività
bronchiale indotta da persolfati includessero meccanismi immunomediati
umorali (con la partecipazione delle IgE non ancora definita) (1, 15) e/o
cellulari (che coinvolgono la partecipazione di mastociti) (16) e meccanismi
diretti di irritazione/danno della mucosa bronchiale. I nostri dati indicano
che una riduzione della funzionalità dell’innervazione NANC-i
può rappresentare una nuova ipotesi patogenetica, che meriterebbe di essere
studiata anche nelle forme di asma professionale sostenute da agenti
con duplice azione irritante e sensibilizzante, nonché nelle forme, senza
periodo di latenza, causate da agenti irritanti.
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P-21
UN’ESPERIENZA DI MONITORAGGIO AMBIENTALE DI FIBRE
MINERALI ARTIFICIALI IN OPERAZIONI DI MANUTENZIONE
DI CARROZZE FERROVIARIE
M.G. Putzu1 , C. Causarano2 , C. Orria2 , B. Margaira2 , C. Romano1 1 Dipartimento di Traumatologia, ortopedia e Medicina del Lavoro,
Università degli studi di Torino
2 Unità Sanitaria Territoriale di Torino Direzione Sanità Rete
Ferroviaria Italiana
Corrispondenza: Dr. Carmelo Causarano - Unità Sanitaria Territoriale
di Torino Direzione Sanità Rete Ferroviaria Italiana - Tel. 011-6652380,
E-mail: c.causarano@rfi.it
AN EXPERIENCE OF ENVIRONMENTAL MONITORING
OF ARTIFICIAL MINERAL FIBERS IN ACTIVITIES
OF MAINTENANCE OF RAILWAY WAGONS
Key words: MMF (Man Made Mineral Fibres), ceramic fibres, rolling
stok, environmental exposure at work.
ABSTRACT. The environmental monitoring of maintenance on railway
carriages insulated with man-made mineral fibres showed very low
fibre concentrations. The concentrations measured overlap the limits
established for non professional environments by the Recommendation
of The Ministry of Health (20/12/1991). Moreover, no ceramic fibres,
which are suspected carcinogens to man, were found. Further long-term
monitoring will be carried out in order to ensure that fibre
concentrations remain within this range.
INTRODUZIONE
Il problema della tutela della salute dei lavoratori nel senso più ampio
del termine e l’esigenza di garantire le migliori condizioni lavorative
possibili hanno indotto a porre una speciale attenzione alle fibre minerali
artificiali usate come sostitutive dell’asbesto. Per tale motivo sono state
monitorate le lavorazioni di una officina di manutenzione di rotabili ferroviari
in presenza di coibentazioni con fibre minerali artificiali al fine di
valutare l’eventuale aerodispersione e la concentrazione delle medesime.
Di maggior interesse sono le fibre ceramiche, che sono considerate un
possibile cancerogeno per l’uomo (1), ma proprio nell’ottica della maggiore
tutela possibile dei lavoratori si è valutata attentamente anche la
presenza di lane minerali e fibre vetrose. Le lavorazioni sottoriportate
non avrebbero dovuto esporre i lavoratori alla presenza di fibre ceramiche,
in quanto secondo un’analisi attenta non sarebbero state in situ; esse
sono tuttavia state accuratamente ricercate nell’aerodisperso.
MATERIALI E METODI
Sono stati effettuati campionamenti ambientali volti a valutare l’eventuale
aerodispersione di fibre legata alle modalità operative delle attività
di manutenzione sulle carrozze che presentano materiale coibentante
costituito da fibre minerali artificiali non ermeticamente imbustate o con
imbustatura deteriorata.
Le lavorazioni monitorate sono state le seguenti:
1. controllo visivo, prove funzionali e piccole lubrificazioni senza intervento
riparativo (controlli eseguiti nel capannone in manutenzione
corrente programmata a treno completo);
2. sostituzione di un pistone pneumatico di comando porta di salita (lavorazione
staticamente confinata con vettura in officina);

36 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
3. sostituzione dei cuscinetti e delle ante di una
porta di salita (lavorazione staticamente confinata
in locale separato);
4. sostituzione di un pacco scaldiglie del riscaldamento
(lavorazione staticamente confinata con
vettura in officina);
5. sostituzione di inverter e lampade al neon nell’impianto
di illuminazione (lavorazione staticamente
confinata con vettura in officina).
RISULTATI
Sono stati analizzati 15 campioni per l’aerodisperso,
di cui uno, peraltro, risultato inidoneo per le
misure, in quanto sovraccarico di particellato.
Il 28.5% dei campioni idonei osservati ha presentato
una concentrazione di fibre vetrose pari a 0.2
ff/L. Il 71.5% non ha invece evidenziato fibre sulla
superficie esaminata. Non sono state osservate fibre
ceramiche. Tutti i tracciati EDAX hanno mostrato una
concentrazione in ossidi alcalino-terrosi > 18% (vedi
considerazioni conclusive).
La Tab. II mostra i risultati delle analisi.
CONCLUSIONI
Attualmente le fibre artificiali vetrose sono inserite
fra le sostanze pericolose e sottoposte all’obbligo
di etichettatura dalla Direttiva 97/69/CE, recante il
23° adeguamento al progresso tecnico della Direttiva
67/548/CEE del Consiglio.
Il Ministero della Sanità, con la circolare n.4 del
15 marzo 2000 e con il Decreto Ministeriale 10 gennaio
2002, ha stabilito le seguenti definizioni di fibre
artificiali vetrose:
⇒ lane minerali [fibre artificiali vetrose (silicati),
che presentano un’orientazione casuale e un tenore
di ossidi alcalini e ossidi alcalino-terrosi
(Na 2 O + K 2 O + CaO + MgO + BaO) superiore al
18% in peso]
⇒ fibre ceramiche refrattarie [fibre artificiali vetrose
(silicati), che presentano un’orientazione
casuale e un tenore di ossidi alcalini e ossidi alcalino-terrosi
(Na 2 O + K 2 O + CaO + MgO +
BaO) pari o inferiore al 18% in peso].
La circolare n. 4 del 15 marzo 2000 con la nota
R stabilisce che la classificazione “cancerogeno”
non si applica alle fibre il cui diametro medio geometrico
ponderato rispetto alla lunghezza meno due
errori standard risulti maggiore di 6 Φm. La stessa
circolare con la nota Q stabilisce che la classificazione
“cancerogeno” non si applica se è possibile dimostrare
che la sostanza in questione rispetta una
delle seguenti condizioni:
– una prova di persistenza biologica a breve termine
mediante inalazione ha mostrato che le fibre
di lunghezza superiore a 20 Φm presentano
un tempo di dimezzamento ponderato inferiore a
10 giorni;
oppure
– una prova di persistenza biologica a breve termine
mediante instillazione intratracheale ha
mostrato che le fibre di lunghezza superiore a 20
Φm presentano un tempo di dimezzamento ponderato
inferiore a 40 giorni;
oppure
– un’adeguata prova intraperitoneale non ha rivelato
un’eccessiva cancerogenicità;
oppure
– una prova di inalazione appropriata a lungo termine
ha portato alla conclusione che non ci sono
effetti patogeni significativi o alterazioni neoplastiche.
Tabella I. Modalità operative della misura strumentale
in Microscopia Elettronica a Scansione (SEM)
Tabella II. Risultati delle determinazioni ambientali

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 37
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A parte l’errore nella traduzione che ha portato la circolare a parlare
di “eccessiva cancerogenicità” che è un non senso medico, la norma stabilisce
alcuni studi da effettuare per escludere la cancerogenicità di una
sostanza.
Se le lane minerali non sono state testate con gli studi predetti devono
essere etichettate R 40 (“Possibilità di effetti cancerogeni - prove insufficienti”).
Le fibre ceramiche sono invece comunque etichettate R 49
(“Può provocare il cancro per inalazione”).
È da segnalare che la ACGIH (3) classifica le fibre ceramiche refrattarie
come A2 (“Cancerogeno umano sospetto”) e le fibre di lana di vetro
come A3 (“Cancerogeno animale confermato con rilevanza sconosciuta
per l’uomo”).
Le fibre osservate nel presente studio sono state tutte identificate
dalla microanalisi come lane minerali con tenore in ossidi alcalini e alcalino-terrosi
> 18% in peso.
Alla luce di quanto detto le fibre reperite durante lo studio non possono
beneficiare della nota R in quanto il loro diametro medio geometrico
pesato sulla lunghezza meno due errori standard era < 6 Φm. Per
quanto riguarda la nota Q, non sono a nostra disposizione notizie relative
alla etichettatura delle fibre osservate da parte del produttore e prudenzialmente
sono da considerare come R40. Tuttavia è doveroso evidenziare
che la comunità scientifica con l’ultima monografia della International
Agency For Research On Cancer (IARC) sulle Man-Made
Vitreous Fibres (2) classifica le lane minerali in gruppo 3 cioè “agente
non classificabile come cancerogeno per l’uomo”. Inoltre le concentrazioni
riscontrate nello studio, come si può notare, sono risultate molto
basse, pari a 4 ordini di grandezza inferiori al valore limite di soglia
(TLV). Infatti l’American Conference of Governmental Industrial Hygienists
(ACGIH) (3) per il 2005 e il 2006 stabilisce, in sede di produzione
o utilizzo di fibre vetrose e lane minerali, un TLV pari a 1ff/cc
(1000 ff/L); questo TLV è stato anche recepito dall’Associazione Italiana
degli Igienisti Industriali (AIDII). Le concentrazioni da noi osservate
sono invece addirittura sovrapponibili ai valori di esposizione negli
ambienti di vita riportati nella circolare del Ministero della Sanità
20/12/1991 (0,1-0,2 ff/L).
Pertanto possiamo ritenere che le lavorazioni monitorate non espongano
i lavoratori a rischi per la salute.
È tuttavia comunque necessario assicurare l’adozione delle più efficaci
misure di prevenzione primaria che consentano il mantenimento dei
bassissimi livelli della polverosità riscontrata, verificare nel tempo le
condizioni di lavoro con ulteriori indagini ambientali e sottoporre i lavoratori
a sorveglianza sanitaria.
BIBLIOGRAFIA
1) Piolatto PG, Putzu MG, Massola A, Bettinelli M, Massiccio M, Botta
GC, Fubini B, Tomatis M, Turci F. Monitoraggio Ambientale e
Biologico Dell’Esposizione Professionale a Xenobiotici. Minoia C,
Perbellini L, editors. Morgan Edizioni Tecniche, Volume 9, Fibre Minerali
pp 38 e 85 vol. 9.
2) World Health Organisation International Agency For Research On
Cancer: Iarc Monographs On The Evaluation Of Carcinogenic Risk
To Humans vol. 81 Man-Made Vitreous Fibres IARC LYON FRAN-
CE 2002.
3) ACGIH TLVs and BEIs. Threshold Limit Values for Chemical Substances
and Physical Agents and Biological Exposure Indices. Cincinnati,
Ohio (2006).
II SESSIONE
EPIDEMIOLOGIA OCCUPAZIONALE
P-01
FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA ED ATTIVITÀ LAVORATIVA.
UNO STUDIO CASO-CONTROLLO
N. Murgia 1 , M. Dell’Omo 1 , G. Muzi 1 , G. Brugnami 1 , M. Biancalana 1 ,
G. Abbritti 1
1 Sezione di Medicina del Lavoro, Malattie Respiratorie e Tossicologia
Professionali e Ambientali, Università di Perugia, Via Enrico
dal Pozzo - 06126 Perugia
Corrispondenza: Nicola Murgia - Sezione di Medicina del Lavoro,
Malattie Respiratorie e Tossicologia Professionali e Ambientali,
Università di Perugia, Via Enrico dal Pozzo - 06126 Perugia, Italy
- E-mail: nicola.murgia@med.unipg.it
IDIOPATHIC PULMONARY FIBROSIS AND OCCUPATION.
A CASE-CONTROL STUDY
Key words: idiopathic pulmonary fibrosis, occupational, workers.
ABSTRACT. Idiopathic pulmonary fibrosis (IPF) is a chronic lung
disease with unknown etiology and poor prognosis. The aim of this
study is to evaluate the influence of occupational risk factors on the
etiology of this disease.
Agroup of patients with IPF (n. = 68) was selected among in-patients
of an internal medicine clinic, and compared with a group of patients
with other diseases (n. 144). Data about diagnosis, occupation and
other possible risk factors were obtained from patients’ records,
reviewed by skilled occupational physicians.
No difference in age, sex, smoking, BMI, history of previous infectious
diseases of the respiratory system was found between the two groups.
Patients with IPF have worked longer.
We found an association between IPF and occupational exposure to
mineral dusts (OR 2,9, IC95% 1,3-6,2) and pesticides (OR 1,9; IC95%
1-3,8). Patients who worked as building construction workers had
higher risk of developing IPF (OR=5,4; IC95% 1,8-16,1).
Our results support the hypothesis that occupational risk factors could
play a role in the etiology of IPF.
INTRODUZIONE
La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia cronica e progressiva
del polmone ad eziologia ignota, caratterizzata da fibrosi del parenchima
polmonare e prognosi infausta (1).
Alcuni studi epidemiologici hanno evidenziato un’associazione tra
IPF e patologie infettive, in particolare infezioni da virus epatotropi e di
Epstein Barr, assunzione di farmaci, abitudine al fumo di tabacco e residenza
in ambiente rurale (3). Altri studi hanno rilevato un’associazione
tra IPF ed esposizione professionale a polveri organiche, metalli, legno,
solventi e fibre minerali e un aumento del rischio di fibrosi polmonare per
agricoltori, allevatori, parrucchieri, imbianchini, minatori e addetti al taglio
della pietra (4, 5, 6).
Lo scopo del presente studio è di valutare l’eventuale associazione
tra attività lavorativa e fibrosi polmonare idiopatica e i fattori di rischio
che potrebbero concorrere a determinarne la comparsa.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto su una serie consecutiva di pazienti con
diagnosi altamente probabile di fibrosi polmonare idiopatica (criteri ATS
2000) (7) ricoverati in un reparto di Medicina del Lavoro (con significativa
attività pneumologico-internistica) nel periodo 2000-2004, confrontati
con 144 pazienti di controllo dello stesso reparto, selezionati con sistema
di randomizzazione digitale.
Sono stati esclusi dallo studio tutti i pazienti affetti da interstiziopatia
polmonare da causa nota e i pazienti con dati insufficienti per una diagnosi
di elevata probabilità (assenza di una tomografia computerizzata toracica
ad alta risoluzione, di uno studio polmonare funzionale o di esami

38 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
di diagnostica differenziale per interstiziopatie polmonari secondarie a
patologie note). I dati relativi all’attività lavorativa, all’esposizione professionale
a fattori di rischio e ad eventuali fattori di confondimento sono
stati rilevati dalla cartella clinica e valutati congiuntamente da un equipe
di medici specialisti in medicina del lavoro.
I pazienti sono stati divisi in categorie lavorative, considerando
quella svolta più a lungo; si segnala che la maggior parte dei pazienti
aveva svolto un’unica attività lavorativa.
I fattori di rischio sono stati considerati solo se l’esposizione è durata
per almeno un anno.
Le medie delle variabili continue sono state confrontate con test non
parametrici. Le variabili non continue sono state analizzate con tavole di
contingenza nelle quali sono stati calcolati X 2 , Odds Ratio e intervallo di
confidenza al 95% secondo Mantel-Haenszel. Infine è stata utilizzata una
regressione logistica multipla, considerando significativa una p

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 39
www.gimle.fsm.it
solo soggetti che non ne avevano effettuato una negli ultimi 4 anni. Le radiografie
più recenti sono state acquisite e rilette.
Tutte le radiografie sono state lette in doppio cieco da due medici certificati
B-readers secondo la classificazione ILO-BIT (Ginevra 1980) (1).
Le prove di funzionalità respiratoria sono state eseguite, con spirometro
a acqua con campana leggera senza contrappeso, da personale infermieristico
adeguatamente formato.
Per l’interpretazione delle prove di funzionalità respiratoria ci si è attenuti
alla proposta riportata dall’European Respiratory Society e dall’American
Thoracic Society (ATS) (2). Il Volume Residuo è stato misurato
con metodo di diluizione intrapolmonare di un gas inerte (elio). La misurazione
della diffusione alveolo-capillare (DLCO) è stata eseguita con la
tecnica del respiro singolo.
Per ogni lavoratore inoltre è stato effettuato il confronto dei dati di
sorveglianza sanitaria con la durata dell’esposizione (Total Time Exposure
TTE) (3).
RISULTATI
Sono state spedite 372 lettere; degli 82 lavoratori che hanno aderito
allo studio, 49 rispondevano ai requisiti richiesti, 3 non hanno effettuato
le prove spirometriche perché controindicate. Delle 46 spirometrie eseguite,
4 non rispondevano ai criteri ATS, 14 sono risultate nella norma, 15
presentavano un MEF ridotto, 12 deponevano per quadri ostruttivi di vario
grado, per una la diagnosi era di restrizione moderatamente severa. La
DLCO è risultata alterata in 3 casi. Degli accertamenti radiografici effettuati,
10 sono risultati positivi o dubbi alla classificazione ILO-BIT; tra
questi in 2 casi la classificazione ILO-BIT era 1/0 con patologia professionale
in corso di riconoscimento da parte dell’INAIL, gli altri 8 presentavano
un quadro 0/1.
Sono stati messi in correlazione i dati di anzianità lavorativa per i lavoratori
con quadro radiografico borderline o positivo come riportato
nella Tabella I.
Tabella I. Correlazione tra radiografie ed anni di esposizione
LETTURA ILO-BIT DELLE RADIOGRAFIE MEDIA ANNI DI ESPOSIZIONE
GRADO POSITIVITÀ N.RO PERSONE PER CLASSI ILO-BIT (TTE)
BORDELINE
(0/1) 8 27
CLASSE 1
(1/0;1/1;1/2) 2 31
I quadri Rx positivi presentano una media di esposizione lavorativa
a silice maggiore di circa 5 anni rispetto a quelli borderline confermando
una correlazione positiva tra durata dell’esposizione ed insorgenza della
malattia.
Analizzando il rapporto tra quadri radiologici e prove di funzionalità
respiratoria, si osservava una normalità dei valori di funzionalità polmonare
come osservato in molti casi di silicosi iniziale (Tab. II).
Tabella II. Correlazione tra radiografie e funzionalità respiratoria
LETTURA ILO-BIT
DELLE RADIOGRAFIE
ESAME SPIROMETRICO E CPT DLCO
GRADO RX NORM OSTRUITI RISTRETTI NON NORM RIDOTTA NON
POSITIVITÀ LETTI % % % EFFETTUATA % % EFFETTUATA
BORDELINE
% %
(0/1) 8 87,5 0 12,5 0 87,5 12,5 0
CLASSE 1
(1/0;1/1;1/2) 2 100 0 0 0 100 0 0
CONCLUSIONI
In considerazione del numero di radiogrammi positivi o dubbi (10 su
49 eseguiti), pur trattandosi di un piccolo campione, appare chiara l’indicazione
a pianificare la sorveglianza sanitaria per gli ex esposti a silice.
Si è osservato che nei positivi e nei soggetti borderline si ha una funzionalità
respiratoria comunque nei limiti della norma. Il piccolo numero di
positivi non permette di fare considerazioni definitive relativamente a
tale riscontro, anche se si può sicuramente affermare che questo non è in
contrasto con quanto noto degli effetti della silice cristallina con alterazioni
radiografiche associate ad una funzionalità respiratoria nei limiti
della norma nei casi iniziali (4).
Inoltre si è osservato per i soggetti in esame, rispetto ai lavoratori con
rendita per silicosi osservati in un altro studio da noi effettuato, un innalzamento
dell’anzianità lavorativa associato ai quadri radiografici 0/1 e 1/0.
Questo potrebbe essere spiegato con il fatto che i lavoratori esaminati nel
primo studio avevano un’età anagrafica maggiore e un inizio dell’esposizione
alla silice in epoche antecedenti all’attuazioni delle norme di prevenzione
e protezione nei luoghi di lavoro per l’abbattimento delle polveri,
quando le condizioni lavorative nelle aziende erano sicuramente peggiori.
BIBLIOGRAFIA
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Classification of Radiografs of Pneumoconioses. Geneva ILO, 2000.
2) American Thoracic Society: Lung function testing: selection of reference
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3rd International Symposium on Silica, Silicosis, Cancer and other
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4) Gamble JF, Hessel PA, Nicolich MJ. Relationship between silicosis
and lung function. Scand J Work Environ Helath 2004; 30(1): 5-20.
P-03
ABITUDINE AL FUMO E PROPENSIONE A SMETTERE DI FUMARE
TRA GLI INFERMIERI DI UN’AZIENDA OSPEDALIERA
M. dell’Omo, N. Murgia, G. Tosoni, A. Gambelunghe, A. Corbino,
C. Tinozzi, G. Abbritti, G. Muzi
Medicina del Lavoro e Tossicologia Professionale ed Ambientale,
Università degli Studi di Perugia, Via E. dal Pozzo - 06126 Perugia,
E-mail: medlav@unipg.it
Corrispondenza: Marco dell’Omo - Istituto di Medicina del Lavoro,
Via Enrico Dal Pozzo - 06126 Perugia, Italy - E-mail: Medlav@unipg.it
SMOKING HABIT AND SMOKING CESSATION STAGES
IN NURSES WORKING IN A GENERAL HOSPITAL
Key words: smoking, health care workers, occupational health.
ABSTRACT. This study assessed the smoking habit and smoking
cessation stages in a cohort of nurses (N) and nurses’ aides (NA).
During a health surveillance check-up all N and NA who were employed
by a Hospital Board answered a questionnaire. Smoking cessation stages
was assessed according to the Prochaska et al. model (1992). The cohort
included 1,540 hospital workers, 81% of whom were nurses and 74.8%
females. The prevalence of smokers was 32.4% in female workers,
35.9% in males, 32.8% in the N and 35.0% in the NA. Analysis of
smoking cessation stages showed 17.4% of smokers were in the precontemplation
stage, 71.7% were in the contemplation stage, 7.6% were
in the preparation stage and 3.4% in the action stage. No significant
differences emerged in prevalences stratified for gender, schooling,
marital status, job, nicotine addiction, number of cigarettes or age.
The prevalence of smokers among hospital employees is higher than
in the general Italian population. Most of the employees were in the
first stages of change, i.e 17% in the pre-contemplation stage and over
70% in the contemplation stage. Occupational Physicians who are
engaged in Health Surveillance should encourage workers to progress
through the various stages to cessation by offering appropriate
counselling.
INTRODUZIONE
Il tabagismo è la principale causa prevenibile di mortalità e di morbilità
nei Paesi industrializzati e tutti gli operatori sanitari dovrebbero offrire
alla popolazione non solo interventi diagnostici e terapeutici per le
malattie ad esso correlati, ma anche un comportamento esemplare a tal riguardo.
Peraltro, studi svolti su diversi gruppi di operatori sanitari in Italia
hanno rilevato una elevata prevalenza di fumatori, in particolare nel
personale infermieristico (4, 6).
I Medici del Lavoro incaricati di effettuare la sorveglianza sanitaria
possono giocare un ruolo rilevante nel favorire la cessazione dell’abitudine
al fumo tra gli operatori sanitari. Essi dovrebbero, nel corso di cia-

40 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
scuna visita di sorveglianza sanitaria, fornire un breve “counselling” ai
fumatori, idoneamente strutturato in rapporto alla loro propensione a
smettere di fumare (1, 3).
Attualmente non sono disponibili informazioni sulla propensione a
smettere di fumare degli operatori sanitari. Scopo di questo studio è stato
di valutare le caratteristiche dell’abitudine al fumo e la propensione a
smettere di fumare in una popolazione di infermieri professionali (IP) ed
operatori socio-sanitari (OSS).
MATERIALI E METODI
Gli IP e gli OSS di un’Azienda Ospedaliera hanno compilato un questionario
ad hoc nel corso delle visite di sorveglianza sanitaria. Il questionario
indagava i dati anagrafici, la mansione lavorativa, il consumo di
sigarette (pack-years), il grado di dipendenza da nicotina e la propensione
a smettere di fumare. Questi ultimi sono stati valutati, rispettivamente
mediante il test di Fagerström ed una classificazione in 4 fasi, in accordo
con il modello trans-teoretico degli stadi del cambiamento dell’abitudine
al fumo elaborato da Prochaska et al. (5): 1) pre-contemplazione (nessuna
intenzione di smettere di fumare); 2) contemplazione (intenzione a smettere
di fumare in data non definita); 3) preparazione (intenzione di smettere
di fumare entro 1 anno, senza tentativo in atto); 4) azione (intenzione
di smettere di fumare entro 1 mese, con tentativo in atto). I dati sono stati
analizzati con il software SPSS 12.0.
Allo studio hanno preso parte millecentoquaranta operatori sanitari,
in maggioranza infermieri (81%) e di sesso femminile (74,8%). L’età media
(DS) era pari a 40,4 (9,7) anni.
RISULTATI
Sono risultati fumatori il 32,4% delle femmine ed il 35,9% dei maschi
ed ex-fumatori il 22,9% delle femmine ed il 24,7% dei maschi. La
prevalenza di fumatori era simile tra gli IP e gli OSS (rispettivamente
32,8% e 35,0%). La percentuale più elevata di fumatrici è stata riscontrata
nella classe di età inferiore a 25 anni ed in quella di età superiore a
55 anni (rispettivamente 39,7% e 41,1%). La percentuale di fumatori era
elevata nelle classi di età inferiore a 25 anni e tra 25 e 35 anni (rispettivamente
46,2% e 42,6%).
L’analisi della propensione a smettere di fumare ha rilevato che il
17,4% dei fumatori era nella fase di pre-contemplazione, il 71,7% in fase
di contemplazione, il 7,6% in fase di preparazione ed il 3,4% nella fase
di azione. Non sono state rilevate differenze statisticamente significative
delle prevalenze in rapporto al sesso, al livello di istruzione, allo stato civile
ed alla mansione (Tabella I). La prevalenza più elevata di fumatori in
fase di pre-contemplazione è state riscontrata tra i soggetti con più basso
livello di istruzione (25,9%) e quella di fumatori in fase di azione tra i
soggetti con diploma di laurea triennale o titolo equivalente (4,7%). Le
fasi della propensione a smettere di fumare non erano inoltre correlate
con il grado di dipendenza da nicotina, con il consumo globale di sigarette
(pack-years) o con l’età (dati non mostrati).
Tabella I. Numero e percentuale degli operatori sanitari fumatori
in rapporto alle fasi di propensione a smettere di fumare
Fasi della propensione a smettere di fumare
Pre-contemplazione Contemplazione Preparazione Azione
n (%) n (%) n (%) n (%)
Sesso
Femmine 48 (18,4) 188 (72,0) 16 ( 6,1) 9 (3,4)
Maschi
Livello istruzione
14 (14,6) 68 (70,8) 11 (11,5) 3 (3,1)
Elem./Media inf. 14 (25,9) 35 (64,8) 4 ( 7,4) 1 (1,9)
Media sup. 23 (14,2) 118 (72,8) 16 ( 9,9) 5 (3,1)
CLT o equival.
Mansione
21 (16,5) 95 (74,8) 5 ( 3,9) 6 (4,7)
Infermiere Prof. 47 (16,5) 204 (71,6) 25 ( 8,8) 9 (3,2)
OSS
Stato civile
15 (20,8) 52 (72,2) 2 ( 2,8) 3 (4,2)
Coniugato/a 22 (12,4) 133 (75,1) 15 ( 8,5) 7 (4,0)
Altro
Dipendenza nicotina
40 (22,5) 122 (68,5) 11 ( 6,2) 5 (2,8)
Bassa 44 (16,9) 185 (70,9) 22 ( 8,4) 10 (3,8)
Medio-elevata 9 (17,0) 39 (73,6) 4 ( 7,5) 1 (1,9)
DISCUSSIONE
Le prevalenze di fumatori tra gli operatori sanitari esaminati sono risultate
elevate rispetto a quelle stimate nella popolazione generale italiana
(2). Tali risultati sono in buon accordo con quelli di precedenti studi
(6). Tuttavia, rispetto ad un’indagine svolta nel 2001 nella stessa Azienda
Ospedaliera (4), la prevalenza dei fumatori è considerevolmente diminuita,
ed è aumentata quella degli ex-fumatori (dal 14,8% al 22,3% negli
IP e dal 16,8% al 27,6% negli OSS). L’incremento degli ex-fumatori potrebbe
essere conseguente, almeno in parte, all’applicazione della Legge
n. 3 del 16 Gennaio 2003, che amplia il divieto di fumo nei locali confinati.
Resta comunque particolarmente allarmante la prevalenza di fumatori
tra i giovani di età inferiore a 25 anni (femmine: 39%; maschi:
46,2%) e quella nel sesso femminile, solo di poco inferiore alla prevalenza
riscontrata tra i maschi.
Riguardo alla propensione a smettere di fumare, il 17% circa degli
operatori sanitari era in fase di pre-contemplazione (ovvero, non aveva
mai contemplato la possibilità di smettere), mentre più del 70% degli
operatori sanitari era in quella di contemplazione (ovvero, aveva già considerato
l’idea di smettere ma non si sentiva ancora pronto a farlo). Nessuno
dei possibili determinanti considerati era statisticamente associato
con le fasi di propensione a smetter di fumare.
I Medici del Lavoro possono favorire la progressione alle fasi successive
del cambiamento dell’abitudine al fumo, propedeutiche alla cessazione
definitiva. Nel corso delle visite di sorveglianza sanitaria, essi potrebbero,
in pochi minuti, fornire e sostenere le motivazioni a smettere di
fumare (“counselling”). In particolare, il “counselling” per i soggetti in
fase di pre-contemplazione dovrebbe mirare a fare considerare l’utilità
della sospensione dell’abitudine al fumo, ad esempio illustrandone i molteplici
benefici; il “counselling” per i soggetti in fase di contemplazione
dovrebbe invece mirare a ridurre la percezione delle conseguenze sgradevoli
che possono far seguito alla sospensione dell’abitudine al fumo (ad
esempio, comparsa di sintomi di astinenza, aumento ponderale) (1).
In conclusione, i Medici del Lavoro dovrebbero svolgere un ruolo attivo
nella lotta al fumo nelle Aziende Ospedaliere e nelle altre strutture
sanitarie, poiché l’abitudine al fumo può compromettere la salute e la sicurezza
dei lavoratori e arrecare ingenti danni ai fumatori e, di riflesso,
alle Aziende da cui dipendono.
BIBLIOGRAFIA
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model of behaviour change in tobacco smoking. Addiction 2006;
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P-04
EFFETTI DEL PARTICOLATO AERODISPERSO FINE
SULLA MUCOSA NASALE
G.C. Passali1 , I. Iavicoli2 , A. Magrini3 , L. Calò1 , M. Rigante1 ,
G. Paludetti1 , A. Bergamaschi2 1 Istituto di Otorinolaringoiatria, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Largo Francesco Vito, 1 - 00168 Roma
2 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Largo Francesco Vito, 1 - 00168 Roma
3 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università di Roma Tor Vergata,
Via Montpellier 1 - 00133 Roma

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 41
www.gimle.fsm.it
Corrispondenza: Dr. Ivo Iavicoli - Centro di Igiene Industriale,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Francesco Vito, 1
- 00168 Roma, Italy - Tel. 06-30154486, Fax 06-3053612,
E-mail: iavicoli.ivo@rm.unicatt.it
EFFECTS OF FINE AIRBORNE PARTICULATE ON NASAL
MUCOSA
Key words: particolato aerodisperso, mucosa nasale, PM 2.5.
ABSTRACT. In the field of Industrial Hygiene, airborne particulate
matter is traditionally defined as small particles made up of solid
substances, little drops of liquid or microbiologic organisms.
There is a strict correlation between the size of particles and their
potentially harmful effects on health. Fine particles, i.e. less than
2.5 micrometers in diameter, have been particularly associated with
premature mortality and other serious health effects.
Animal studies on mice exposed to fine particles from an early age,
have shown of secretory changes in the nasal cavity, with increased
production of acidic muco-substances. In the course of further studies
that are needed to define the effects of PM 2.5 particles on the nasal
mucosa of humans, olfactometry could be used as a screening test to
find first initial alterations caused by fine particles.
INTRODUZIONE
Nell’ambito dell’Igiene Industriale, il particolato aerodisperso è
identificato da un insieme di particelle molto piccole, inferiori a 100 micrometri
di diametro, di materiali solidi, goccioline liquide, o organismi
microbiologici presenti nell’atmosfera (1).
La misura delle particelle è direttamente correlata al loro potenziale
di causare danni alla salute. L’Agenzia per la protezione dell’ambiente
statunitense (2), l’EPA, si sta interessando in particolar modo alle particelle
di diametro uguale o inferiore ai 10 micrometri, perché sono quelle
particelle che generalmente passano attraverso il naso e la trachea ed entrano
nei polmoni. L’EPA raggruppa le particelle con queste caratteristiche
in due gruppi:
• “le particelle grossolane” come quelle che si ritrovano nei pressi
delle strade e le industrie polverose, con un diametro che misura tra
2.5 e 10 micrometri. Queste particelle sono dette pure inalabili in
quanto sono in grado di penetrare nel tratto superiore dell’apparato
respiratorio (dal naso alla laringe);
• “le particelle fini” come quelle che si trovano nel fumo e nella nebbia,
con un diametro inferiore a 2.5 micrometri. Queste particelle
possono essere direttamente emesse da sorgenti come gli incendi
delle foreste, o si possono formare quando gas emessi da industrie o
automobili reagiscono nell’aria. Queste particelle includono le ultrafini
con un diametro aerodinamico inferiore a 0.1 micrometri.
Diversi studi hanno mostrato una significativa associazione tra l’esposizione
alle particelle fini e patologie respiratorie, come l’asma e l’insufficienza
respiratoria, e cardiache, come attacchi cardiaci e alterazioni del
ritmo e morti premature. Individui particolarmente sensibili sono gli anziani,
le persone con patologie cardiache e respiratorie e i bambini (3-5).
Numerosi pertanto sono gli effetti sistemici causati dalle particelle
fini o respirabili che facilmente, per il loro diametro aerodinamico, giungono
nel tratto inferiore dell’apparato respiratorio.
Scopo di questa breve rassegna è di analizzare gli studi che hanno
cercato di verificare gli effetti delle particelle fini sulla mucosa nasale.
LE PARTICELLE FINI E GLI EFFETTI SULLA MUCOSA NASALE
Da alcuni anni tale argomento ha destato gli interessi degli studiosi
soprattutto per la maggiore attenzione rivolta agli aspetti qualitativi della
salute del paziente. Modelli animali sono stati presi in esame per testare
gli effetti degli inquinanti sulle alte vie aeree. Ad esempio sono state determinate
concentrazioni di PM2.5, NO 2 e carbone nero in sezioni istologiche
delle cavità nasali di topi esposti all’aria di San Paolo del Brasile e
topi di controllo esposti alla stessa atmosfera depurata con filtri ambientali
(6). Si è visto che tra i due gruppi vi era una notevole differenza di
concentrazione degli inquinanti, e nel gruppo di esposti si è rilevato una
metaplasia dell’epitelio nasale in senso muciparo con aumento della componente
secretrice acida.
È noto che le caratteristiche reologiche del muco sono fondamentali
per un corretto svolgimento delle funzioni nasali (di filtro, di difesa ed olfattiva)
(7). Infatti l’aumento di acidità delle secrezioni nasali si traduce
in un’alterata composizione delle glicoproteine costituenti lo stesso, con
edema intracellullare (8) ed aumento della viscosità (9). Dal punto di vista
funzionale queste alterazioni si traducono in un’alterazione del battito
ciliare, con deficit di difesa aspecifica, diminuzione nella sintesi di IgA
secretorie cioè della difesa specifica, alterazione del microambiente nasale
con impedimento delle interazioni molecolari che sono alla base
della corretta percezione olfattiva.
Molti Autori hanno esaminato differenti modelli animali riscontrando
le alterazioni sistemiche legate all’inalazione di inquinanti ambientali.
Lei e coll. (10) hanno messo in evidenza l’incremento dell’infiammazione
polmonare in ratti con ipertensione polmonare esposti ad
inquinanti. Calderon-Garciduenas e coll. (11) hanno dimostrato l’aumento
di produzione di COX2 dalle cellule endoteliali dei vasi cerebrali
di uomini e cani di Città del Messico con conseguente infiammazione del
tessuto nervoso indicando una correlazione fra tale stato ed il morbo di
Alzheimer.
Dalla metanalisi della letteratura appare evidente quindi come l’inalazione
del particolato aerodisperso sia alla base di processi flogistici cronici
che si traducono successivamente in patologie degenerative. Risultano
però interessanti i rilievi di un gradiente di concentrazione prossimodistale,
con concentrazioni maggiori a livello della testa dei turbinati inferiori
e minori in prossimità della coda degli stessi, di tali tossici, in particolare
del PM 2.5 (6), così come precedentemente osservato per i danni
diretti causati dall’ozono (12).
CONCLUSIONI
Da tali osservazioni ne deriva che il particolato aerodisperso è responsabile
di patologie infiammatorie croniche non solo in ambito respiratorio,
ma anche in altri distretti. Cosa più importante però a nostro giudizio
è il fatto che gli effetti sono causati dalla deposizione del particolato.
In particolare si manifestano già a livello della porzione anteriore
delle fosse nasali fino all’albero bronchiale. Ci sembra dunque utile testare
la funzione olfattiva che è una delle prime funzioni che possono essere
inficiate da tali inquinanti. A questo scopo si può identificare nell’olfattometria
un test di screening per i primi segni di alterazioni causate
dal particolato aerodisperso.
BIBLIOGRAFIA
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11) Calderon-Garciduenas L, Maronpot RR, Torres-Jardon R, Henriquez-Roldan
C, Schoonhoven R, Acuna-Ayala H, Villarreal-Calderon
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DNA damage in nasal and brain tissues of canines exposed to air pol-

42 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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lutants is associated with evidence of chronic brain inflammation and
neurodegeneration. Toxicol Pathol 2003; 31: 524-38.
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nasal epithelium. Am J Respir Cell Mol Biol 1999; 20: 517-29.
P-05
STUDIO OSSERVAZIONALE DEGLI INFORTUNI ACCADUTI NEL
PERIODO 1999-2004 IN UNA ASL DELLA PROVINCIA DI CHIETI
D. Cieri, A. Suriani
ASL Lanciano - Vasto Service of Prevention and Protection,
Via Pascoli, 9 - 66050 San Salvo (Chieti)
Corrispondenza: Dr. Donato Cieri - ASL Lanciano - Vasto Service
of Prevention and Protection, Via Pascoli, 9 - 66050 San Salvo (Chieti),
Italy - Tel. 0873-341684, E-mail: doncieri@virgilio.it
OBSERVATIONAL STUDY CONCERNING ACCIDENTS
HAPPENED FROM 1999 TO 2004 IN A LOCAL SANITARY
COMPANY IN THE PROVINCE OF CHIETI (ITALY)
Key words: monitoring of the accidents, accidents to biological matrix,
preventive measures.
ABSTRACT. The accidents happened in a sanitary company between
the year 1999 and 2004 have been taken a census all; in the six year
term in observation they have been taken place altogether n° 1691
accidents of which n° 733 with prognosis > 3 days, n° 958 with
prognosis < 3 days. The frequency index shows a worrisome
progressive increase in the period, constantly over acceptability value
(value of acceptability I.F.2). In fact the values of the index, almost
stable in suffer an express increase. The accidents to biological matrix
constitute 40% of the total; the staff mainly interested from the
phenomenon concerning occupational accidents is represented from
nursing (53,1%), followed at a distance from auxiliary/ota (21,2%) and
from doctors (12,2%). The accidents to biological matrix hit prevalently
nurses (65,2%), then doctors (17,3%) and auxiliary/ota (9%). They are
necessary measures that preview the adoption of procedures more
rigorous, the strengthening of the Service of Prevention and Protection,
the involvement more professional figures that contribute to the process
of evaluation and management of the risks in order to create greater
conditions of security in all the sanitary structures.
INTRODUZIONE
Tra i parametri di qualità di gestione aziendale la voce sicurezza occupa
una collocazione di primaria importanza; anche nelle aziende sanitarie
occorre considerare il rischio infortunistico come un indicatore di sicurezza
cui deve far seguito un coerente programma di misure preventive.
Gli eventi infortunistici possono essere analizzati allo scopo di identificare
alcuni indicatori significativi a scopo prevenzionale che consentono,
da un lato, la misura del rischio e del danno, dall’altro, il confronto
con dati a livello di reparto, di periodo cronologico, di settore, di territorio
nazionale ed internazionale.
Questo lavoro si inserisce nell’ottica di monitoraggio del fenomeno
infortunistico della nostra ASL, finalizzato all’ottimizzazione del processo
generale di valutazione dei rischi.
MATERIALI E METODI
Sono stati censiti tutti gli infortuni occorsi nell’azienda sanitaria negli
anni 1999-2004; i dati sono stati ricavati dai registri infortuni dei cinque
Presidi Ospedalieri e del Dipartimento di Prevenzione. I dati relativi
al numero dei dipendenti in servizio (n° delle ore lavorate) sono stati forniti
dal C.E.D. aziendale.
Per l’elaborazione dei dati si è utilizzato un software dedicato, per le
griglie di classificazione e l’elaborazione degli indici si è seguita la metodica
proposta dalla Clinica del Lavoro di Milano (Di Credico e coll. 1980).
In realtà in questo lavoro, oltre a considerare ed elaborare tutti gli
infortuni superiori ai 3 gg. (denunciati all’INAIL) e quelli inferiori ai tre
gg. (compresi quelli che comportano l’assenza dal lavoro di almeno un
giorno per i quali è stato introdotto l’obbligo di registrazione sul registro
infortuni dal D.Lgs. 626/94), si è preferito considerare ed elaborare anche
i dati relativi agli infortuni cosiddetti a “zero giorni”.
RISULTATI
Nel periodo in osservazione si sono verificati complessivamente n°
1691 infortuni di cui n° 733 con prognosi > 3 giorni (c.d. infortuni Inail)
e n° 958 con prognosi < 3 giorni (c.d. in franchigia); di questi la maggior
parte (n° 882) sono stati a prognosi zero giorni e una minima parte (n° 76)
quelli con prognosi fino a tre giorni. Le giornate lavorative perse per
infortunio sono state nel quadriennio 16725; la durata media degli infortuni
con prognosi superiore a gg. 3 è stata di 22,3 giorni. Analizzando
l’indice di frequenza notiamo un preoccupante aumento progressivo nel
periodo, costantemente al di sopra del valore di accettabilità (valore di accettabilità
I.F. 2). Infatti i valori dell’indice, pressoché stabili nei primi
due anni, dal 2001 subiscono un rapido aumento (Tab. I).
Tabella I. Indice di frequenza degli infortuni accaduti nella ASL
1999 2000 2001 2002 2003 2004
I.F. 2,56 2,52 3,11 3,45 3,35 3,47
Diverso è l’andamento dell’indice calcolato su tutti gli infortuni occorsi
nei sei anni che mostrano una lenta ma progressiva discesa da un valore
di 7,52 nel 1999 ad un valore di 6 nel 2004.
Un andamento negativo si nota per il n° delle giornate perse con un
picco preoccupante raggiunto nell’anno 2002 (n° 4221 gg.perse) partendo
da 1856 gg. perse nel 1999 fino ad arrivare a 3196 gg. perse nel 2004; anche
l’indice di incidenza per lavoratore mostra un andamento negativo attestandosi
su valori superiori al 4% negli ultimi quattro anni.
L’indice di gravità ugualmente tende a crescere negli anni, negativamente,
da un valore di 0,49 del 1999 ad un valore di 0,84 nel 2004 con
un picco di 1,06 nel 2002.
È stata condotta un’analisi della tipologia degli infortuni: quelli a
matrice biologica costituiscono il 40% del totale degli infortuni considerati.
Nel corso degli anni questi hanno mostrato una lenta ma percettibile
discesa, da un valore di circa il 50% del 1999 al 30% del 2004. Viceversa
la quota prevalente, considerando i soli infortuni INAIL, è rappresentata
dalle lesioni da sforzo (movimentazione manuale dei carichi e dei pazienti
25,2%), dagli scivolamenti (24,5%), dagli infortuni in itinere
(16%), dagli urti (11%) a fronte del 3,5% degli infortuni a rischio biologico.
Il personale maggiormente interessato dal fenomeno infortunistico
è rappresentato dagli infermieri (53,1%), seguito dagli ausiliari e ota
(21,2%), medici (12,2%), tecnici (2,8%), operatori della cucina (2,7%),
minore interessamento delle altre figure professionali.
La distribuzione di frequenza degli infortuni per aree di lavoro mostra
una lieve prevalenza dell’area medica (33,8%) su quella chirurgica
(32,2%), a seguire l’area dei servizi tecnici ed altri (15,8%), l’emergenza
(13,2%) e l’area tecnica dei laboratori (5%).
Gli infortuni a matrici biologica coinvolgono in misura prevalente gli
infermieri (65,2%), in minor misura i medici (17,3%), ausiliari e ota
(9%), tecnici (2,6%), allievi infermieri (1,2%). La disaggregazione dei
dati per reparto e per presidio ospedaliero ha premesso di individuare
analogie ma anche differenze meritevoli di approfondimenti finalizzati
alla individuazione di carenze strutturali, tecniche e organizzative.
DISCUSSIONE
Dai dati esposti si evince come il lavoro nel settore sanitario sia associato
ad un rischio infortunistico paragonabile, se non superiore a quello
di altre realtà dove questo è più scontato. Come atteso gli infortuni a rischio
biologico, se vengono riferiti al totale degli infortuni con prognosi
superiore ai tre giorni (c.d. infortuni INAIL), rappresentano una quota minoritaria,
mentre se vengono rapportati a quelli a prognosi zero giorni o
fino a tre giorni, costituiscono la quota prevalente; di questi si osserva un
lieve ma costante diminuzione nel periodo, probabilmente dovuta alla
maggiore consapevolezza degli operatori acquisita attraverso i corsi di
informazione e formazione con implementazione di comportamenti sicuri.
Il persistere di tipologie di infortunio quali le cadute, gli scivolamenti,
gli urti contro oggetti fissi e arredi, è da imputarsi a problemi strutturali
relativi all’organizzazione degli spazi a disposizione ed anche alla
loro esiguità in alcune realtà.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 43
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Concludendo sono necessarie misure che prevedano l’adozione di
procedure più rigorose, estese a tutti i settori, il potenziamento del Servizio
di Prevenzione e Protezione aziendale, il coinvolgimento e la partecipazione
di più figure professionali che contribuiscano al processo di valutazione
e gestione dei rischi al fine di creare maggiori condizioni di sicurezza
in tutte le strutture sanitarie.
BIBLIOGRAFIA
1) Bartolucci GB, Scapellato ML, Zanetti C, Polato R, Saia B. Le patologie
del personale ospedaliero. G Ital Med Lav Erg 2002; 24,4: 392-397.
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Epidemiologia degli infortuni biologici e controllo del rischio. La
protezione collettiva ed individuale (DPI) nella sanità, rischi biologici
e chimici, Atti del seminario nazionale Sondrio, 1999.
P-06
CONTROLLO DI QUALITÀ DEI DATI SANITARI RIGUARDANTI
LE PATOLOGIE OSTEOARTICOLARI
S. Ponticiello1 , R. Leonori1 , G. Monteforte2 , D. Mola2 , I. Scrocchia1 ,
A. Fersini1 , A. Quercia1 1 ASL Viterbo - U.o. c. PISLL
2 Direzione di Sanità Igiene
3 Consulente TPALL
Corrispondenza: Dr. Salvatore Ponticiello - ASL di Viterbo Servizio
PISLL sede di Civita Castellana, Via Nepesina snc - 01033 Civita
Castellana (VT), Italy - E-mail: spisllciv1@asl.vt.it
QUALITY CONTROL OF SANITARY DATA ON OSTEO-ARTICULAR
DISEASES
Key words: quality, osteorticular disease.
ABSTRACT. The production of sanitary fixtures in the industrial area
of Civita Castellana involves an elevated risk due to the workers’
manual movements, with a predominance of muscle-skeleton ailments.
For this reason SPISLL of ASL (local health service) of Viterbo has
conducted a study on a group of 430 workers finalized at quantifying
the clinical damage registered on a medical file by an occupational
doctor, and also to compare these data with those resulting from the
compilation of a questionnaire on employment history and disorders
of the spine and upper limbs.
These questionnaires, compiled by trained staff and 190 of the 430
workers, have been analysed; the result was that disorders of the spine
and upper limbs were superior in number to those referred by the same
workers to an occupational doctor and recorded on the medical file.
INTRODUZIONE
Il comprensorio di Civita Castellana (VT) presenta un cospicuo numero
di aziende operanti nel settore ceramico, in particolare nella produzione
di sanitari, la particolare tipologia di lavorazione, di tipo semiartigianale,
caratterizzata dalla produzione di molteplici modelli comporta
un’elevata movimentazione manuale dei manufatti che si ripercuote a carico
dell’apparato muscolo-scheletrico con una notevole prevalenza di disturbi
a carico dell’apparato muscolo-scheletrico.
MATERIALI E METODI
Il Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro
(SPISLL) dell’ASL di Viterbo ha approntato uno studio finalizzato a
quantificare il danno clinico da movimentazione manuale dei carichi e
movimenti ripetitivi degli arti superiori riportato dal medico competente
ed a confrontarlo con i disturbi riferiti dai lavoratori.
La quantificazione del danno clinico è stata effettuata attraverso l’esame
delle cartelle sanitarie e di rischio di 430 lavoratori, come riportato
in una precedente pubblicazione (7).
La fase successiva è stata la stesura di un apposito questionario indagante
anamnesi lavorativa, disturbi e patologie del rachide e dell’arto
superiore; il questionario è stato somministrato a 180 lavoratori appartenenti
al gruppo iniziale dei 430 operai dei quali si era esaminata la cartella
sanitaria e di rischio. Prima della somministrazione del questionario
ai lavoratori veniva precisato lo scopo epidemiologico del lavoro e pertanto
l’anonimato dell’indagine.
RISULTATI
Gli episodi di lombalgia occorsi durante la vita lavorativa e quelli
che raggiungevano la soglia della significatività occorsi nell’ultimo anno
ed inoltre la presenza di esami strumentali che attestavano patologie del
rachide lombosacrale sono stati correlati con l’età dei lavoratori (Tabella I)
e con l’anzianità lavorativa (Tabella II). Le persone che dichiaravano almeno
un episodio di lombalgia nel corso della vita lavorativa sono stati
105 (58,33%); di questi le persone che dichiaravano effettuazione di accertamenti
strumentali risultati positivi per patologie del rachide lombosacrale
sono state 60 (33,33%).
Tabella I. Correlazione episodi di lombalgia e patologie
del rachide lombosacrale con l’età anagrafica
Range età N.ro Lombalgia Patologie Lombalgia
lavoratori vita % rachide % ultimo anno %
20 - 29 27 48.1 14.8 7.4
30 - 39 64 53.1 28.1 9.4
40 - 49 58 58.6 36.2 13.8
50 - 58 31 77.4 54.8 32.3
TOT 180 58.33 33.33 14.44
Tabella II. Correlazione episodi di lombalgia e patologie
del rachide lombosacrale con l’anzianità lavorativa
Anzianità N.ro Lombalgia Patologie Lombalgia
lavorativa lavoratori vita % rachide % ultimo anno %
0 - 9 86 48.8 19.8 5.8
10 - 19 45 66.7 42.2 20.0
20 - 29 36 63.9 47.2 25.0
30 - 37 13 76.9 53.8 23.1
TOT 180 58.33 33.33 14.44
Relativamente ai disturbi a carico degli arti superiori sono stati registrati
i seguenti dati: le persone che dichiaravano almeno un episodio di
disturbi a carico degli arti superiori nel corso della vita lavorativa erano
103 (57,22%), di questi le persone che dichiaravano effettuazione di accertamenti
strumentali risultati positivi per patologie degli arti superiori
erano 34 (18,89%). I dati ricavati dall’esame delle cartelle sanitarie e di
rischio sono stati mesi a confronto con quelli ricavati dai questionari anonimi
(Tabella III).
Tabella III. Confronto dati cartelle e dati questionari
Anamnesi Lombalgia Disturbi Patologie
Lombalgia Documentata Arto Sup. Arto Superiore
% % % %
Cartelle Sanitarie 16,74 10,70 8,14 3,49
Questionari 58.33 33.33 57,22 18,89
CONCLUSIONI
I dati di prevalenza dei disturbi e delle patologie a carico del rachide
mostrano un trend correlato direttamente all’ètà dei lavoratori; tale trend
si conferma anche con l’anzianità lavorativa per quanto riguarda le patologie
documentate con esami strumentali.
Il dato maggiormente significativo è che l’esame dei questionari mostra
dati di prevalenza di disturbi e patologie a carico del rachide ed a ca-

44 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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rico degli arti superiori significativamente superiori rispetto a quanto riportato
nelle cartelle sanitarie e di rischio; premesso che in questa tipologia
di aziende sono pochissimi o inesistenti le postazioni di lavoro dove
la movimentazione manuale dei carichi è bassa o inesistente; ne risulta
una difficile ricollocabilità dei soggetti affetti da patologia, pertanto la
differenza tra i dati riportati dal medico competente e quanto riferito dai
lavoratori attraverso i questionari anonimi è verosimilmente attribuibile
al timore da parte dei lavoratori di rivelare al medico competente i propri
disturbi in conseguenza del giudizio di non idoneità ed alla conseguente
possibilità di perdere il lavoro.
BIBLIOGRAFIA
1) Waters T, Putz Anderson V, Garga A, Finel J. Revised NIOSH equation
for the design and evaluation of manual lifting tasks. Ergonomics
193; 36: 749-776.
2) Colombini D, Occhipinti E. La movimentazione dei carichi. Dossier
Ambiente n. 33, 1996.
3) Linee Guida per l’applicazione del D. Lgs 626/94 a cura del coordinamento
delle regioni e delle provincie autonome di Trento e Bolzano e
dagli Istituti centrali. Versione definitiva approvata il 16/07/1996.
4) Ponticello S, Leonori R, Borzacchi G, Rughi D, Stefani G, Raeli ME,
Quercia A. Analisi Ergonomica in Ceramica: Risultati Preliminari di
uno Studio di Validazione di Diversi Metodi. 3° Seminario di Aggiornamento
dei Professionisti Contarp (INAIL). Napoli, 24-26 Marzo
2004.
5) Cavariani F, Leonori R, Ponticello S, Rughi D, Stefani G, Quercia A.
Rischio da sovraccarico biomeccanico in ceramica: risultati di uno
studio che mette a confronto rischio e danno. 4° Seminario di Aggiornamento
dei Professionisti Contarp (INAIL). Assisi, 22-24 Novembre
2005.
P-07
SINDROME DI BRUGADA AL LAVORO
S. Fantini1 , S. Signorini2 , L. Marcellini2 , V. Jannone1 , A. Palatiello1 ,
A. Martini2 1 CNSML, Coordinamento Nazionale Specialisti in Medicina del Lavoro
- Roma
2 ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Via Fontana Candida, 1
- 00040 Monteporzio Catone (RM)
Corrispondenza: Martini Agnese - Tel. 06-94181271, Fax 06-94181410,
E-mail: agnese.martini@virgilio.it
BRUGADA SYNDROME AT WORK
Key words: Brugada Syndrome, workers, syncopal episode, sudden
cardiac.
ABSTRACT. Brugada Sindrome (BS) is a primary electrical disease
of the heart that causes sudden cardiac death or life-threatening
ventricular arrhythmias. This disease is hereditary syndrome genetically
determined. The pattern of transmission is autosomic dominant. Several
mutations linked to this syndrome affecting the gene SCN5A which
encodes for the cardiac sodium channel have been described. Recent
studies showed the disease is responsible for 4 to 50% of sudden deaths.
A typical electrocardiographic (ECG) finding consists of a right bundle
branch block pattern and ST-segment elevation in the right precordial
leads. These ECG patterns, which appears permanently or
intermittently in patients, are unmasked by antiarrhythmic agents.
This syndrome has a very poor prognosis when left untreated: one third
of patients having suffered from syncopal episodes or resuscitated from
near-sudden death develops a new episode of ventricular tachycardia
within 2 years. The only available treatment is the implantable
cardioverter-defibrillator.
We report about two cases of probably BS in workers exposed to
occupational risks. The case report demonstrates the importance
of the sanitary surveillance, particularly the cardiac examination
for identifying patients at risk of ventricular arhythmogenic event.
INTRODUZIONE
La sindrome di Brugada (SB) è una malattia aritmogena ereditaria, a trasmissione
autosomica dominante, caratterizzata da sincope e/o morte cardiaca
improvvisa (1, 2, 3). Si presenta con un caratteristico pattern elettrocardiografico
caratterizzato da: 1) sopraslivellamento del tratto ST e onda T positiva con
morfologia “a sella” (saddleback) nelle derivazioni precordiali destre (da V1
a V3) oppure ST sopraslivellato “convesso o a cupola” (coved) con T negativa;
2) possibile morfologia del complesso QRS riconducibile ad un blocco
di branca destra incompleto; 4) possibili potenziali tardivi con il “signal averaging”.
Le alterazioni sopradescritte possono essere assenti o minime e possono
essere slatentizzate o accentuate da farmaci bloccanti dei canali del Na,
specie gli antiaritmici della Classe IC (flecainide) o da una prova da sforzo (4).
Le basi genetiche della SB sono state dimostrate nel 1998 con l’identificazione
di mutazioni a carico del gene SCN5A, che codifica per il
canale cardiaco del sodio, il risultato funzionale è una riduzione della corrente
del sodio che regola la fase 0 del potenziale d’azione (1).
La SB sembra responsabile di episodi di FV idiomatica in una percentuale
variabile tra il 3 e il 60% dei casi. Le manifestazioni della SB si
presentano più frequentemente in giovani maschi (con rapporto maschi/femmine
di 8:1) con età compresa tra 30 e 40 anni. In letteratura
sono tuttavia descritti casi in un ampio range di età (0-77 anni) (5).
Una delle caratteristiche peculiari di questa malattia è l’ampia variabilità
fenotipica: per la sintomatologia, per l’aspetto elettrocardiografico
e per la penetranza incompleta. I pazienti affetti da SB infatti possono essere
del tutto asintomatici o presentare sintomi minori, quali cardiopalmo
o vertigine, ma possono anche manifestare sincope e arresto cardiaco.
L’unico trattamento con provata efficacia oggi disponibile è l’impianto
di un defibrillatore automatico. Poiché questo tipo di intervento
comporta però un deterioramento della qualità di vita dei pazienti l’attenzione
della comunità scientifica è stata focalizzata sull’identificazione
dei parametri in grado di quantificare il rischio aritmico.
Obiettivo del presente lavoro è quello di mostrare due casi di sindrome
di Brugada in lavoratori esposti a rischio movimentazione manuale
dei carichi e lavori a turni, in particolare: a) l’iter diagnostico,
anamnestico-clinico e strumentale, svolto durante la sorveglianza sanitaria
obbligatoria, che ha portato a formulare la diagnosi; b) l’analisi della
mansione svolta dai lavoratori prima della diagnosi e la terapia attuata;
c) la gestione dell’idoneità lavorativa degli stessi.
MATERIALI E METODI
L’iter diagnostico della SB deve tener conto della variabilità clinica ed
elettrocardiografica e delle incomplete conoscenze relative all’eziopatogenesi
della sindrome. L’approccio ai pazienti ha previsto una meticolosa
anamnesi. La sindrome presenta una penetranza incompleta all’interno della
stessa famiglia quindi sono stati indagati all’interno della famiglia episodi di
sincope, di morte improvvisa, etc. Insieme alla familiarità è stato indagato il
possibile corteo sintomatologico poiché nei pazienti con SB la variabilità
delle manifestazioni cliniche è particolarmente ampia: pazienti affetti da SB
possono essere asintomatici, presentare sintomi aspecifici (cardiopalmo,
vertigine, etc.) oppure manifestare episodi di sincope e arresto cardiaco. Il
protocollo sanitario ha previsto inoltre una visita medica con esame obiettivo,
i principali esami ematochimici, un Elettrocardiogramma (ECG) a 12
derivazioni, l’esame elettrofisiologico e i test farmacologici con farmaci
bloccanti i canali del sodio per slatentizzare le anomalie elettrocardiologiche
nascoste (ajmalina, procainamide, flecainide) (3).
RISULTATI
I due soggetti sono giunti alla nostra osservazione durante la sorveglianza
sanitaria obbligatoria.
Primo caso: soggetto di sesso maschile con età anagrafica di 34 anni,
mansione di magazziniere sottoposto a sorveglianza sanitaria obbligatoria
perché esposto al rischio movimentazione manuale dei carichi. Il soggetto
durante l’anamnesi riferiva cardiopalmo parossistico ed episodi lipotimici.
L’obiettività cardiaca mostrava attività cardiaca aritmica con toni validi. I
principali esami ematochimici non mostravano reperti di rilievo. All’ECG
ritmo sinusale, sopraslivellamento del tratto ST 3 mm con aspetto coved
su V1 e V2. Per completare l’iter diagnostico il paziente è stato sottoposto
a: 1) studio elettrofisiologico endocavitario, senza inducibilità di aritmie
maggiori; 2) test con flecainide 2 mg/kg ev dove è risultato positivo per
SB (sopraslivellamento ST fino a 5 mm V1, V2 e V3 tipo “coved”).
Vista l’impossibilità a fornire al paziente garanzie assolute sul possibile
sviluppo futuro di eventi aritmici maggiori, il paziente stesso richiede

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 45
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la massima protezione possibile con impianto di defibrillatore automatico.
È stato inoltre consigliato al paziente di contattare un Centro di Cardiologia
Molecolare per il completamento degli esami cardiologici ed
eventuali analisi genetica (da estendere agli altri componenti della famiglia).
Tornato a visita dopo l’intervento il lavoratore è stato reso non idoneo
alla mansione specifica di magazziniere e spostato ad altra mansione.
Secondo caso: soggetto di sesso maschile con età anagrafica di 33
anni, mansione di infermiere del soccorso sottoposto a sorveglianza sanitaria
obbligatoria perché esposto ai rischi movimentazione manuale dei
carichi e lavoro notturno.
Il soggetto durante l’anamnesi non riferiva manifestazioni cliniche o
disturbi di rilievo. L’obiettività cardiaca risultava negativa. I principali
esami ematochimici non mostravano reperti di rilievo. All’ECG rilievo di
alterazioni come da S. di Brugada: ritmo sinusale, con posizionamento corretto
dell’elettrodo al IV spazio intercostale assenza di alterazioni, con posizionamento
al III spazio intercostale lieve ritardo della conduzione con
sopraslivellamento del tratto ST di 40 giorni o di prognosi riservata);
b) la valutazione della descrizione dell’evento riportata sul certificato
del pronto soccorso; c) la richiesta della Magistratura che comporta
obbligatoriamente l’inchiesta.
Non vengono presi in considerazione gli infortuni scolastici, gli
infortuni in itinere se con prognosi inferiore a 40 giorni e generalmente i
piccoli infortuni (15/20 giorni di prognosi).
Fino a metà 2004 le richieste della magistratura hanno costituito la
parte preponderante dell’attività per cui i criteri sopra elencati sono
stati applicati solo per un numero limitato di casi. Sono state prese in
esame con criterio random 347 inchieste tra quelle effettuate dal servizio
negli anni 2000-2004; le indagini erano state svolte per la gran
parte da 5 tecnici della prevenzione a cui erano state affidate in modo
casuale (Tab. II)
Tabella II
anno 2000 2001 2002 2003 2004 totali
Inch.inf. 89 50 80 54 74 347

46 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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RISULTATI
Il campione presenta le seguenti caratteristiche:
n°maschi 299 d.s.*
n°femmine 48
età media anni 40 12
media prognosi iniziale giorni 42 37.8
media prognosi finale giorni 59 73.8
n°casi con violazioni 37
n° articoli violati 55
Per quanto riguarda la distribuzione in settore di attività, adottando
la classificazione Inail, si è evidenziato che i settori prevalenti erano le
costruzioni (101), lavorazione dei metalli (35), commercio e attività artigianali
(55). Per quanto riguarda la forma di accadimento, sempre usando
la classificazione Inail, la forma prevalente è risultata piede in fallo (75)
seguita da colpito da (39) e schiacciato da (33). In 37 casi si sono riscontrate
violazioni alle norme sulla sicurezza sul lavoro, complessivamente
sono stati contestati 55 articoli che riguardano il D.lvo 626/94 (n° 32), il
DPR 547/55 (n° 20) e il DPR 164/56 (n° 3); gli articoli più contestati sono
stati il 22 (7) e il 4(4) del D.lvo 626/94.
DISCUSSIONE
Il numero degli infortuni è in continua diminuzione nella nostra regione
come in Italia dagli anni 50 ad oggi sia pure non con la rapidità che
tutti ci auguriamo. Ma al di là del numero degli infortuni, dato solo indicativo
del fenomeno e facilmente reperibile dalle statistiche Inail, sarebbe
necessario avere conoscenza dei casi, tra gli eventi denunciati, in cui
siano effettivamente presenti violazioni della normativa in materia di sicurezza
poiché è sostanzialmente solo verso questi casi che si può operare
tramite la vigilanza. Il lavoro evidenzia come partendo da un cospicuo
numero di eventi denunciati solo in una piccola percentuale di infortuni,
il 10.7%, si è giunti a rilevare delle violazioni; il risultato è sostanzialmente
sovrapponibile a quello rilevato da un analogo studio effettuato
in una Usl veneta qualche anno fa. La prima spiegazione di tutto questo,
la più semplice e la più tranquillizzante è che nella gran parte dei casi non
vi siano violazioni di norme. È questa in effetti l’impressione che sempre
più si ricava prendendo giornalmente visione degli infortuni trasmessi al
servizio, il numero complessivo è stabile o in lenta diminuzione ma sempre
più si tratta di eventi a carattere accidentale, di piccola entità, legati
agli spostamenti, interessanti lavoratori autonomi e così via, infortuni
quindi per i quali già a tavolino, si può escludere una violazione. Una ulteriore
spiegazione è che sovente è difficile trovare delle prove significative
se non si adottano dei criteri adeguati nella scelta delle inchieste da
effettuare. La gran parte dei casi oggetto dello studio riguardavano richieste
provenienti dalla locale Procura della Repubblica sulle quali non
era stata effettuata nessuna particolare cernita per cui l’esito era già prevedibile.
Ugualmente importante appare la tempestività dell’intervento,
in alcuni casi già gli operatori segnalano questo problema che però è verosimilmente
molto più rilevante dei 7 casi riferiti; nella nostra casistica
le richieste del magistrato oltre a non essere state adeguatamente vagliate
venivano trasmesse con mesi di ritardo rispetto all’accadimento con ovvie,
insuperabili difficoltà, nella ricostruzione dello stato delle cose e
della dinamica degli eventi, nella raccolta delle testimonianze ecc. Proprio
alla luce di queste considerazioni più recentemente sono state introdotte
con la Procura procedure innovative per cui tutti i certificati di
infortunio dal territorio devono essere direttamente inviati allo Spsal che
sceglie quelli da indagare; inoltre è lo stesso Servizio che può attivarsi
nella ricerca potendo accedere all’archivio informatico del Pronto Soccorso.
È auspicabile che la nuova organizzazione possa portare a un migliore
uso delle poche risorse a disposizione.
BIBLIOGRAFIA
1) Bernardini P, Soleo L. Gli infortuni sul lavoro in Italia e in Europa:
inquadramento e dimensione del problema Atti 63° Congresso Nazionale
di Medicina del Lavoro Sorrento 8-11 novembre 2000.
2) INAIL Rapporto annuale regionale 2004 Abruzzo.
3) Marchiori L, Peruzzi M, Gobbi M, Benfanti M, Patissi V. Analisi di
1000 casi di infortunio accaduti nell’Ulss n 20 di Verona. Atti 65°
Congresso Nazionale di Medicina del Lavoro Messina 11-14 settembre
2002.
P-09
EFFETTI DELL’ESPOSIZIONE LAVORATIVA SULLA GRAVIDANZA.
RISULTATI DI UN’INDAGINE EPIDEMIOLOGICA CONDOTTA
NELLA ZONA PISANA DELL’AZIENDA USL 5
C. Di Pede1 , E. Menichini2 , B. Piegaia2 , A. Angino2 , S. Baldacci2 ,
F. Martini2 , F. Di Pede3 , M. Simoni2 , L. Carrozzi4 , G. Viegi2 1 UF PISLL Azienda USL 5, Galleria Gerace, 14 - Pisa
2 Unità di Epidemiologia Ambientale Polmonare,
Istituto di Fisiologia Clinica CNR, Via Trieste - Pisa
3 Dip. Salute Pubbl. Politiche del Farmaco e delle Biobanche,
Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Via Santa Maria - Pisa
4 Dipartimento Cardio-Toracico Azienda Ospedaliera Universitaria
Pisana, Presidio Ospedaliero di Cisanello - Pisa
Corrispondenza: Cinzia Di Pede - U.F. PISLL Azienda USL 5 Pisa,
Galleria Gerace, 14 - Pisa, Italy - E-mail: c.dipede@usl5.toscana.it
EFFECTS OF OCCUPATIONAL EXPOSURE ON PREGNANCY:
RESULTS OF AN EPIDEMIOLOGIC SURVEY CONDUCTED
IN PISA AREA
Key words: pregnancy, occupational exposure, low birth weight.
ABSTRACT. The aim of the study is to evaluate the correlation between
occupational exposure and pregnancy outcomes.
744 female workers have been interviewed by phone, one year after
the delivery. The questionnaire contained information on job, smoking
habits, alcohol consumption, diseases during pregnancy and pregnancy
outcomes. Within the group were considered exposedand non exposed
and within exposed, who continued to be exposed during pregnancy.
Statistical analyses were performed using SPSS 10.0 package.
By multiple logistic regression analysis adjusting for age, smoking,
diseases, drugs and education, low birth weight (OR=2,86;
95%IC=0,91-8,99; p=0,07) is higher in women who continued
to be exposed to risks factor during pregnancy compared to those who
stopped to be exposed, the result is closed to be statistically significant.
For preterm birth (OR=1,14; 95% IC=0,36-3,64) the result is not
statistically significant.
The higher risk of low birth weight in women who continued
to be exposed to risks factor during pregnancy confirmed the
importance of preventive strategies during pregnancy.
INTRODUZIONE
La salute riproduttiva ha assunto una rilevante importanza nelle ultime
decadi, in seguito alle numerose evidenze scientifiche che hanno
mostrato gli effetti dannosi di esposizioni lavorative sulla funzione riproduttiva
e sulla gravidanza. L’attenzione verso queste problematiche è aumentata
anche grazie all’incremento del numero di donne lavoratrici, la
maggior parte delle quali è in età riproduttiva.
Gli scopi del nostro studio sono di valutare la possibile associazione
tra esposizione professionale ed esiti della gravidanza e di verificare l’utilizzo
dello spostamento a mansioni non a rischio delle lavoratrici in gravidanza
che svolgono mansioni che le espongono ad uno o più fattori di
rischio.
Lo studio è stato possibile grazie al fatto che in Toscana a tutte le
donne in gravidanza viene consegnato presso i presidi dei distretti sanitari
un libretto che consente di effettuare gratuitamente gli accertamenti
diagnostici.
MATERIALI E METODI
Tutte le donne in gravidanza che hanno ritirato il libretto, hanno ricevuto
informazioni sui fattori di rischio lavorativi e sono state intervistate
da ostetriche.
A distanza di un anno dal parto, le lavoratrici dipendenti sono state
reintervistate telefonicamente. Il questionario raccoglieva informazioni
relative alla gravidanza, agli esiti della gravidanza (parto pre-termine,
basso peso alla nascita, complicanze del parto, stato di salute del neonato),
alle mansioni svolte ed alle abitudini voluttuarie (fumo, alcool),
alle malattie e all’assunzione di farmaci in gravidanza.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 47
www.gimle.fsm.it
Sulla base della mansione dichiarata, le lavoratrici sono state suddivise
in esposte e non esposte, sono state considerate esposte tutte coloro
che svolgevano mansioni che comportavano esposizione ad agenti chimici,
fisici, biologici ed ergonomici.
Tra le esposte sono state individuate le esposte non allontanate dal
lavoro durante la gravidanza (e tra queste le esposte effettive, che non
avevano cambiato la mansione) e le esposte allontanate.
L’analisi statistica dei dati è stata effettuata con pacchetto statistico
SPSS. Sono state effettuate Analisi bivariate: test chi-quadrato e test
Anova; Analisi di regressione logistica multipla (associazione variabile
effetto-variabile esposizione) aggiustate per le variabili di confondimento:
fumo, età, titolo di studio, assunzione di farmaci e malattie durante
la gravidanza. Le analisi cono state condotte tra: esposte vs non
esposte, esposte non allontanate vs esposte allontanate, esposte effettive
vs non esposte effettive (donne non esposte che avevano lavorato durante
la gravidanza).
RISULTATI
La popolazione originale è di 1398 donne che hanno ritirato il libretto
di gravidanza nel 2003, 744 sono le donne lavoratrici intervistate
ad un anno dalla data presunta del parto: 653 hanno partorito, 91 hanno
abortito, 380 sono esposte e 364 non esposte.
Le non esposte risultano più istruite delle esposte, 52,5% di laureate
rispetto al 13,0%, tale differenza è statisticamente significativa. Per lo
stato civile vi è una differenza statisticamente significativa, con una maggiore
percentuale di coniugate nel gruppo delle non esposte (81.6) rispetto
alle esposte (72.5). Per il numero di figli, precedenti abortivi, difficoltà nel
concepimento, non vi sono differenze significative tra i due gruppi.
Dalle analisi bivariate per parto prematuro, complicanze, stato di salute,
basso peso, sono state escluse coloro che hanno avuto un aborto, restringendo
pertanto il numero a 653 soggetti.
Soltanto per la variabile almeno un esito negativo della gravidanza, per
la quale sono stati inclusi oltre agli outcome suddetti anche l’aver avuto un
aborto, le analisi sono state condotte su tutto il campione (N=744).
La prevalenza di complicanze durante l’espletamento del parto nel
gruppo delle donne esposte, è risultata più alta (36,2%), rispetto al gruppo
di controllo, costituito dalle donne non esposte (31,3%); tuttavia, tale differenza
non è risultata statisticamente significativa.
Per il parto prematuro e per lo stato di salute del neonato, la differenza
di prevalenze nei due gruppi non è risultata statisticamente significativa.
Effettuando l’analisi della varianza, aggiustando per le variabili indipendenti
età, fumo e titolo di studio non ci sono differenze statisticamente
significative per quanto riguarda la prevalenza di basso peso alla nascita
tra esposte e non esposte.
Per le analisi di regressione logistica multipla è stata utilizzata come
variabile indipendente l’esposizione e come variabili dipendenti gli esiti
della gravidanza (basso peso alla nascita, complicanze durante l’espletamento
del parto, stato di salute del neonato, parto pre-termine).
Le analisi sono state aggiustate per gli effetti indipendenti di fumo,
età, titolo di studio, malattie ed assunzione di farmaci durante la gravidanza.
Da queste analisi, è risultato un maggior rischio di basso peso alla
nascita per le esposte non allontanate, anche se il risultato è al limite della
significatività statistica (vedi Figura).
Figura
Le stesse analisi, condotte tra le esposte effettive vs non esposte effettive,
mostrano un maggior rischio di basso peso alla nascita, complicanze
e stato di salute del neonato non buono, associati all’esposizione,
pur non raggiungendo il livello di significatività statistica.
DISCUSSIONE
Il maggior rischio di basso peso alla nascita associato al perdurare
dell’esposizione (esposte non allontanate vs esposte allontanate), conferma
l’importanza dell’allontanamento preventivo.
In studi di letteratura scientifica infatti, il basso peso alla nascita è
stato associato con ripercussioni sul FEV1 (indicatore di funzione polmonare)
che persistono nell’infanzia e nella vita adulta (1) ed il tasso di
mortalità per bronchiti croniche è inversamente proporzionale al peso alla
nascita (2).
Si nota un trend, anche se non significativo, ad avere OR superiori ad
uno per le categorie esposte. Il non raggiungimento della significatività
statistica, potrebbe essere dovuto sia all’efficace opera di prevenzione
svolta in questi anni in Toscana, sia al numero esiguo di soggetti esaminati.
Sono state inoltre considerate insieme mansioni eterogenee tra loro e
perciò comportanti esposizioni qualitativamente e quantitativamente differenti.
Si può quindi ipotizzare che gli effetti sulla gravidanza, per coloro
che subiscono esposizioni elevate, potrebbero essere diluiti all’interno
del gruppo in cui vi sono principalmente donne con esposizioni modeste.
Inoltre la valutazione dell’esposizione basata sulla mansione dichiarata
potrebbe aver prodotto misclassificazioni.
BIBLIOGRAFIA
1) Barker DJP. Chronic bronchitis. In: Mothers, babies and disease in
later life. London, BMJ Publishing Group, 1994; pp 94-105.
2) Cunningham J, et al. Environmental tobacco smoke, wheezing, and
asthma in children in 24 communities. Am J Respir Crit Care Med
1996; 153: 218-224.
P-10
ASPETTI ATTUALI DELLA PATOLOGIA PROFESSIONALE:
ANALISI DI UNA CASISTICA CLINICA
M. Baldassarre 1 , G. Moscato 2 , V. Martellosio 1 , S. Strambi 1 , A. Agosti 1 ,
L. Perfetti 2 , G. Pala 1 , A. Canto 1 , C.M. Minelli 1 , G.L. Rosso 1 , F. Scafa 1 ,
S.M. Candura 1
1 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro,
Università degli Studi di Pavia;
Unità Operativa di Medicina del Lavoro Fondazione
Salvatore Maugeri, Clinica del Lavoro e della Riabilitazione,
IRCCS, Istituto Scientifico di Pavia
2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro,
Università degli Studi di Pavia;
Servizio Autonomo di Allergologia e Immunologia Clinica,
Fondazione Salvatore Maugeri, Clinica del Lavoro
e della Riabilitazione, IRCCS, Istituto Scientifico di Pavia
Corrispondenza: Prof. Stefano M. Candura - UO di Medicina
del Lavoro, Fondazione Salvatore Maugeri, Via Maugeri, 10
- 27100 Pavia, Italy - Tel. 0382-592740, Fax 0382-592701,
E-mail: scandura@fsm.it
CURRENT TRENDS OF OCCUPATIONAL DISEASES:
A CASE RECORD ANALYSIS
Key words: bronchopneumopathy, allergology, occupational risk.
ABSTRACT. The 2001-2005 occupational diseases record of our
institute is presented. In this period, 238 diagnoses were formulated
in 158 patients (95 males, 63 females; age 17-81 years, mean 45),
with a clear decreasing trend in comparison with the previous years.
Respiratory diseases (n = 119) were the most frequent, with
a preponderance of allergic pathology (rhinitis/rhinoconjunctivtis:
31 cases; bronchial asthma: 34 cases). Still common were the clinical

48 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
pictures caused by inorganic dusts and fibres: 5 cases of silicosis, one
of silicotuberculosis, 9 of mixed dust pneumoconiosis, and 32 asbestosrelated
diseases (7 asbestosis, 13 pleural plaques, 6 lung carcinomas,
6 pleural mesotheliomas). The other diseases were mostly skin diseases
(30 cases of allergic contact dermatitis, one of irritative contact
dermatitis, 3 of angioedema, 9 of contact urticaria), musculoskeletal
disorders (10 cases of low back pain and 20 of upper extremity
cumulative trauma disorders), noise-induced hypoacusia (22 cases),
and psychopathological conditions due to mobbing at work (one case
of post-traumatic stress disorder and 19 of adjustment disorder).
The record also includes two cases of occupational bladder cancer
(one due to aromatic amines, the other caused by combustion products),
one patient with toxic hepatopathy (due to organic solvents) and a
battery recycling worker with chronic lead poisoning. Overall, the study
suggests that diagnosed occupational diseases are gradually
decreasing, probably thanks to the improvement of workplace hygienic
conditions, and that the pictures coming to observation change with
time, as a consequence of the partial substitution of the classic risk
factors with new ones.
INTRODUZIONE
La patologia professionale che giunge all’osservazione clinica cambia
notevolmente nel corso degli anni, in relazione al mutare dei cicli tecnologici
e delle lavorazioni, alla scomparsa di alcune mansioni e alla
comparsa di altre, all’adozione di migliori misure preventive con conseguente
scomparsa o contenimento di alcuni rischi, alla parziale sostituzione
di questi ultimi con rischi nuovi (1-3). La conoscenza di tali mutamenti
è indispensabile per il perfezionamento delle strategie preventive e
per un migliore approccio diagnostico, anche in considerazione delle importanti
ricadute in ambito medico-legale. In tale ottica riteniamo opportuno
presentare la recente casistica del nostro istituto.
SOGGETTI E METODI
In base alle segnalazioni di malattia professionale effettuate alle Autorità
Competenti (Magistratura, ASL, Ispettorato del Lavoro, INAIL)
dalla Direzione Sanitaria dell’Istituto Scientifico di Pavia della Fondazione
Maugeri, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2001 e il 31 dicembre
2005, è stata analizzata la casistica di patologie osservate in un
ampio bacino d’utenza, suddivise per apparati interessati, tipologia,
agenti eziologici, professioni a rischio. La casistica comprende sia pazienti
ricoverati (degenze ordinarie o day-hospital), sia pazienti che si
sono rivolti ai servizi ambulatoriali. I dati sono stati confrontati con quelli
emersi da tre studi analoghi compiuti presso il medesimo istituto, inerenti
al periodo 1982-2000 (4-6).
RISULTATI
Nel quinquennio considerato sono state segnalate 238 malattie professionali
relative a 158 pazienti (95 maschi, 63 femmine; età compresa
tra 17 e 81 anni; età media 45: 52 per i maschi, 35 per le femmine). Tale
numero è nettamente inferiore a quello delle patologie diagnosticate negli
anni precedenti, passando dai 1801 casi diagnosticati nel periodo tra il
1982 e il 1988 (4), ai 1767 tra il 1989 e 1995 (5), ai 1180 tra il 1996 e
2000 (6), ai 238 del periodo oggetto dello studio attuale.
Dei 158 soggetti, 99 erano affetti da un’unica patologia occupazionale,
mentre i restanti 59 presentavano contemporaneamente da 2 a 5 malattie.
La Tab. I riporta la suddivisione delle patologie diagnosticate in
base al sistema o apparato coinvolto: analogamente agli anni precedenti
(4-6), le malattie più frequenti sono risultate quelle dell’apparato respira-
Tabella I. Malattie professionali diagnosticate nel 2001-2005
sistema o apparato numero casi percentuale (%)
respiratorio 119 50.0
tegumentario 43 18.0
locomotore 30 12.6
uditivo (ipoacusia da rumore) 22 9.2
nervoso (patologia da mobbing) 20 8.4
urinario 2 0.8
digerente 1 0.4
intossicazioni sistemiche 1 0.4
TOTALE 238
torio (dettagliate in Tab. II), con preponderanza delle affezioni di pertinenza
allergologica (rinite/oculorinite, asma bronchiale). Tuttora di frequente
riscontro la patologia da polveri e fibre inorganiche: rispetto al
passato, risultano in calo la silicosi (di rilievo un caso complicato da sovrinfezione
tubercolare) e le pneumoconiosi da polveri miste, mentre risultano
in relativa crescita le patologie asbesto-correlate tra le quali, in
particolare, il mesotelioma pleurico. All’amianto sono anche attribuibili
sei degli otto casi di carcinoma polmonare diagnosticati (Tab. II); degli
altri due casi, uno è correlabile all’esposizione a silice cristallina, l’altro
a prodotti di combustione.
Tabella II. Malattie professionali respiratorie diagnosticate nel 2001-2005
malattia numero casi percentuale (%)
rinite/oculorinite 31 26.0
rinofaringite cronica 1 0.8
asma bronchiale 34 28.6
reactive airway dysfunction syndrome (RADS) 1 0.8
broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) 3 2.5
pneumoconiosi da polveri miste 9 7.6
silicosi 5 4.2
silicotubercolosi 1 0.8
asbestosi 7 5.9
placche pleuriche (da amianto) 13 10.9
mesotelioma pleurico (da amianto) 6 5.0
carcinoma polmonare 8 6.7
TOTALE 119
Al secondo posto in ordine di frequenza sono risultate le patologie
dell’apparato tegumentario, in aumento percentuale (ma non in numero
assoluto) rispetto al quinquennio precedente (6): 30 casi di dermatite allergica
da contatto, uno di dermatite irritativa da contatto (da sodio ipoclorito),
3 casi di angioedema, 9 di orticaria da contatto. Seguono i disordini
muscolo-scheletrici da sovraccarico biomeccanico: del rachide (low
back pain dovuto a spondilodiscoartosi e alle eventuali complicanze radicolari;
n = 10) o dell’arto superiore (sindrome del tunnel carpale e altri
cumulative trauma disorders: CTDs; n = 20). In riduzione rispetto al passato
(4-6) i casi d’ipoacusia da rumore, probabilmente in relazione al
maggiore utilizzo dei dispositivi individuali di protezione acustica. Tra i
quadri emergenti è di rilievo la patologia neuropsichiatrica da probabile
mobbing, non presente nelle precedenti casistiche (4-6): un caso di disturbo
post-traumatico da stress e 19 di disturbo da disadattamento. Più
rare le malattie a carico dell’apparato escretore (due carcinomi della vescica
urinaria: uno da amine aromatiche, uno da prodotti di combustione),
digerente (un caso di epatopatia da solventi) e le intossicazioni sistemiche
(un caso di saturnismo florido, con colica addominale, anemia e polineuropatia
periferica, in addetto alla seconda fusione del piombo)
(Tab. I).
Per quanto riguarda le mansioni a rischio, le patologie da polveri, da
rumore e da sovraccarico biomeccanico sono risultate più frequenti tra gli
edili e negli addetti ad operazioni di scavo/perforazione, le allergopatie
tra le parrucchiere (da prodotti per tricocosmesi) e tra il personale sanitario
(patologia da latice). I casi di patologia da mobbing sono tipicamente
più frequenti nel terziario.
DISCUSSIONE
I casi qui riportati hanno un valore epidemiologico limitato, in
quanto le casistiche ospedaliere, sia pure effettuate in istituti specialistici,
tendono a sottostimare la diffusione della patologia occupazionale in una
determinata realtà territoriale. Spesso, infatti, le malattie professionali
sono misconosciute o afferiscono ad altri ospedali. Tuttavia, la presenza,
all’interno del nostro centro medico, di un day-hospital/ambulatorio di
medicina del lavoro e di unità operative con specialisti in discipline (es.
allergologia, pneumologia) nella cui pratica clinica è facile imbattersi in
malattie causate dal lavoro, consente di considerare lo studio come un indicatore
attendibile delle attuali tendenze della patologia occupazionale.
Il dato più rilevante è la sensibile riduzione del numero dei casi rispetto
a quanto riscontrato, nel medesimo istituto, durante il ventennio
precedente (4-6). Questo è in parte la conseguenza dell’effettuazione di
segnalazioni più mirate (anche in virtù d’indicazioni normative e di linee

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 49
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guida più precise), ma probabilmente riflette anche un’effettiva diminuzione
dell’incidenza delle malattie professionali nel bacino d’utenza del
centro. La riduzione è particolarmente evidente per alcune malattie professionali
“storiche” (quali ipoacusia da rumore, silicosi, saturnismo, patologia
da solventi, neoplasie professionali della vescica urinaria), in accordo
con recenti osservazioni epidemiologiche effettuate sul territorio
nazionale (2, 7).
Ad oltre un terzo dei pazienti inclusi nella casistica è stata diagnosticata
più di una malattia occupazionale, ad indicazione che, quando l’ambiente
di lavoro è insalubre, facilmente si realizza la contemporanea
esposizione a molteplici fattori di rischio. Per esempio, tra gli edili si è
osservata l’associazione, variamente combinata, tra pneumoconiosi,
ipoacusia da rumore e spondilopatia da sovraccarico biomeccanico.
In accordo con le statistiche dell’INAIL (7), le malattie dell’apparato
respiratorio e le dermopatie sono risultate le più frequenti. Tra queste una
percentuale importante continua ad essere costituita dalle allergopatie (in
particolare da latice e da prodotti per tricocosmesi). Tali affezioni risultano
essere più frequenti nel sesso femminile e in età relativamente giovanile,
non hanno una prognosi quoad vitam grave, ma compromettono
la qualità della vita, determinano inabilità e sono all’origine di complessi
problemi d’idoneità alle mansione (8, 9). Analoghi problemi sono posti
dai disordini muscolo-scheletrici da sovraccarico biomeccanico, per i
quali -tra l’altro- particolarmente difficile risulta la dimostrazione del
nesso di causa con l’attività lavorativa (10, 11).
Nonostante l’amianto sia stato bandito con la legge 257/1992, l’asbestosi
e altre patologie asbesto-correlate continuano ad essere di frequente
osservazione. Ciò è dovuto alla lunga latenza clinica di tali malattie
e dal rischio residuo rappresentato da vecchi edifici e manufatti
(12, 13). Particolarmente preoccupante il riscontro di nuovi casi di mesotelioma
pleurico, in accordo con quanto segnalato da recenti studi epidemiologici
(14, 15).
Grazie alla recente costituzione presso il centro medico di un gruppo
di studio multidisciplinare (medico del lavoro, psichiatra, psicologo, specialisti
d’organo e apparato), in un limitato numero di lavoratori è stata posta
diagnosi di “sindrome da mobbing” (assente nelle precedenti casistiche
dell’istituto: 4-6). La nostra casistica sul mobbing è oggetto di specifiche
pubblicazioni (16, 17) alle quali si rimanda. Si ritiene comunque opportuno
ricordare che le diagnosi sono probabilistiche e in buona parte basate su
quanto anamnesticamente riferito dai pazienti, in quanto al nostro servizio
manca la possibilità di verificare direttamente l’eventuale esistenza di un
clima vessatorio nell’ambiente di lavoro, compito tra l’altro assai arduo e
per il quale tuttora non esistono metodiche sufficientemente validate.
In conclusione, pur considerando che i dati esaminati tendono a sottostimare
l’incidenza della patologia occupazionale, si evidenzia, rispetto
agli anni precedenti, una riduzione del numero delle malattie diagnosticate
come professionali, verosimile conseguenza del miglioramento delle
condizioni igieniche degli ambienti di lavoro. Si conferma, inoltre, come
la patologia occupazionale tenda a cambiare nel corso degli anni, in relazione
alla progressiva diminuzione di alcune malattie storiche e alla comparsa
di problematiche cliniche nuove.
Desideriamo ringraziare la Sig.ra Laura Villa (Direzione Sanitaria
della Fondazione Maugeri) per la pronta e cortese collaborazione nel reperimento
in archivio della documentazione clinica relativa al presente
studio.
BIBLIOGRAFIA
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lavoratori. Bari, Laterza, 2002
2) D’Amico F, Mochi S, Salvati A. Le malattie professionali in Italia:
evoluzione storica, tendenze in atto e prospettive future. Rivista degli
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In: La corretta valutazione del rischio da agenti chimici: aspetti tossicologici
e allergologici. Bergamo, Stamperia Editrice Commerciale
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Tendenza della patologia occupazionale in una casistica clinica. G
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Paggiaro PL. Occupational asthma: a longitudinal study on the clinical
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pleural mesothelioma in Italy: a model based on asbestos consumption
figures supports results from age-period-cohort models. Int J
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psicologica del mobbing. G Ital Med Lav Erg 2004; 26:
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Martellosio V, Franzina B, Giorgi I, Mazzacane F, Candura SM.
Mobbing: aggiornamento della casistica ambulatoriale pavese. G Ital
Med Lav Erg 2004; 26, suppl.: 295-296.
P-11
ANALISI DEI RICOVERI PER ASMA PROFESSIONALE
DELLA SEZIONE DI MEDICINA DEL LAVORO DI SIENA
NEL PERIODO 2000-2005
A.G. Sisinni1 , I. Rotta1 , R. Nuti1 , R. Romeo1 , P. Sartorelli1 1 Sezione di Medicina del Lavoro e Tossicologia Occupazionale,
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche,
Università degli Studi di Siena
Corrispondenza: Dr.ssa Sisinni Antonietta Gerardina - Sezione
di Medicina del Lavoro e Tossicologia Occupazionale, Dipartimento
di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche Università degli Studi
di Siena, Viale Bracci Policlinico “Le Scotte” - 53100 Siena, Italy
- Tel 0577-586768, E-mail: sartorelli@unisi.it
THE ANALYSIS OF THE HOSPITAL ADMISSIONS
FOR OCCUPATIONAL ASTHMA EXECUTED BY THE SECTION
OF OCCUPATIONAL MEDICINE OF SIENA FROM 2000 TO 2005
Key words: asthma, rhinitis, isocyanates, asma, rinite, isocianati.
ABSTRACT. The population of workers, affected by suspicious
professional respiratory diseases hospitalized from 2000 to 2005
in the Section of Occupational Medicine of the University of Siena was
studied. The aim of the study was to highlight possible changes
of occupational asthma during the time, the workplaces and the new
compounds involved in the development of this pathology.
39 cases of occupational asthma and/or rhinitis were found:
10 cases of asthma, 25 cases of rhinitis and 4 cases of rhinitis
associated to asthma.

50 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
INTRODUZIONE
L’andamento dei casi di asma di origine occupazionale è notoriamente
condizionato dalle variazioni tecnologiche e più in generale dall’evoluzione
delle attività produttive.Scopo dello studio era quello di esaminare
la casistica di asma professionale afferente alla Sezione di Medicina
del Lavoro di Siena negli anni 2000-2005 per evidenziare eventuali
mutamenti nell’andamento di tale patologia rispetto al passato, soprattutto
per quanto riguarda i settori lavorativi colpiti e gli agenti asmogeni
emergenti.
STRUMENTI E METODI
Sono stati analizzati i dati relativi a 81 soggetti ricoverati per sospetta
allergopatia respiratoria di natura professionale presso la Sezione di Medicina
del Lavoro e Tossicologia Occupazionale dell’Università di Siena
dal 2000 al 2005. Di questi 39 (17 maschi e 22 femmine) sono risultati
affetti da asma e/o rinite professionale. L’età media di questi ultimi era di
33,0 ± 11,1 anni (range 18-60), l’anzianità lavorativa media nella mansione
specifica di 10,4 ± 7,4 anni (range 1-30). Il 17,9% dei casi era costituito
da fumatori, il 12,8% dei casi da ex fumatori, il 69,2% dei casi da
non fumatori. Tali pazienti erano esposti a vari agenti asmogeni in differenti
settori lavorativi (Figura 1). L’esposizione ad isocianati avveniva in
molteplici ambienti lavorativi (carrozzeria, produzione di camper, produzione
pannelli di poliuretano, verniciatura nei settori metalmeccanico e
del legno), quella ad aziridina avveniva nelle concerie e nella produzione
nastri adesivi, mentre i persolfati erano contenuti nei decoloranti per capelli
utilizzati dai parrucchieri.
Figura 1. Composti causa di asma e rinite nella popolazione di lavoratori
studiata (percentuale sul totale di casi di rinite ed asma rispettivamente)
Indagini clinico-allergologiche
Tutti i soggetti sono stati sottoposti a visita medica, prick test, RX torace,
prove di funzionalità respiratoria basali con volume residuo, Test di
Provocazione Bronchiale Aspecifico (TPBA) con metacolina, Test di
Provocazione Bronchiale Specifico (TPBS) con le sostanze asmogene
presenti nel luogo di lavoro, secondo i metodi descritti in precedenza (1).
Le parrucchiere risultate positive al TPBS con i decoloranti utilizzati sul
lavoro venivano sottoposte a TPBS con i singoli persolfati. Ai lavoratori
esposti ad isocianati veniva effettuato un secondo TPBS quando dall’anamnesi
lavorativa emergeva un’esposizione a più di una di tali sostanze.
Nel caso di sensibilizzazione a TDI si provvedeva ad effettuare TPBS con
l’isomero 2,4 toluendiisocianato e, in caso di negatività, con il 2,6 toluendiisocianato.
In alcuni pazienti sono inoltre stati effettuati test epicutanei
specifici con allergeni professionali (persolfati nelle parrucchiere,
farine ed acari delle derrate nei fornai, aziridina e latice).
Per porre diagnosi di rinite allergica professionale quando possibile
non ci si è limitati a far riferimento allo score sintomatologico soggettivo,
ma si è ricorsi alla rinomamanometria anteriore attiva (RAA) ed al Test
di Provocazione Nasale specifico (TPNS) presso la Sezione di Otorinolaringoiatria
dell’Università degli Studi di Siena.
RISULTATI
I dati relativi agli 11 soggetti affetti da patologia da isocianati sono
riassunti in Tabella I.
Per quanto riguarda le 13 parrucchiere affette da patologia respiratoria
da persolfati nel 7,69% dei casi si trattava di asma professionale, nel
76,92% di rinite professionale e nel 15,38% di rinite associata ad asma
professionale. Degli 8 fornai ricoverati per patologia professionale 7 sono
Tabella I. Risultati degli accertamenti diagnostici effettuati
nei lavoratori affetti da patologia da isocianati
Esposti a isocianati
Caso Atopia TPBA TPBS 1 TPBS 2 Diagnosi
Asma e/o rinite
professionale
da isocianati
1 si borderline MDI ritardata _ Asma
2 no positiva MDI immediata _ Asma
3 si positiva TDI 2,4 ritardata _ Asma
4 si negativa TDI 2,4 negativa TDI 2,6 negativa Rinite
5 no positiva MDI ritardata _ Asma
6 si positiva MDI negativa _ Rinite
7 si positiva TDI 2,4 immediata _ Rinite e asma
8 si positiva TDI 2,4 ritardata TDI 2,6 ritardata Asma
9 si negativa TDI 2,4 negativa TDI 2,6 negativa Rinite
10 no positiva MDI ritardata _ Asma
11 no negativa TDI 2,4 negativa TDI 2,6 ritardata Asma
risultati affetti da rinite professionale e 1 da asma professionale. Nei 4
soggetti affetti da patologia da aziridina solo in un caso è stata diagnosticata
rinite associata ad asma professionale, in un caso asma professionale
e in due casi rinite professionale. Gli esposti ad aziridina, le parrucchiere
ed i fornai sono stati oggetto di recenti indagini specifiche a cui si rimanda
per i risultati e la discussione (1, 2, 3). Infine è stata diagnosticata
rinite professionale in due casi di infermiere esposte a latice ed in un lavoratore
dell’industria galvanica esposto a solfato di zinco.
DISCUSSIONE
La percentuale di diagnosi di asma professionale sul totale dei ricoveri
effettuati presso la Sezione di Medicina del Lavoro di Siena appare
in diminuzione negli ultimi anni (dal 10,64% nel periodo 1974-
1982 al 8,60% nel periodo 1983-1991 al 1,54% nel periodo 2000-2005)
(4). Tale dato risulta di difficile interpretazione perché potrebbe essere
influenzato dalla riduzione del volume dei ricoveri nel tempo (causata
dalla progressiva riduzione dei posti letto della Medicina del Lavoro) e
dalla selezione dei pazienti. Seppure nella nostra casistica gli isocianati
costituiscano l’agente causale di asma professionale più frequente (in
particolar modo l’MDI) il numero di casi annui di asma da isocianati è
diminuito. Ciò potrebbe essere spiegato anche dalla riduzione del numero
degli esposti derivante dalla contrazione del settore del legno avvenuta
nel territorio senese e dai cambiamenti tecnologici avvenuti
nelle varie attività produttive, in particolare nelle carrozzerie. Nell’asma
da persolfati, l’ammonio-persolfato è il responsabile della maggior
parte dei casi d’asma osservati (n.2), seguito dal potassio-persolfato
(n.1). In un caso su tre non vi era corrispondenza tra asma e positività
dei prick test specifici a persolfati. Per quanto riguarda i rapporti tra rinite
ed asma, nei soggetti con TPBS positivo ai persolfati e nel soggetto
con TPBS positivo all’aziridina anamnesticamente la rinite aveva preceduto
l’asma con una latenza di 3-5 anni, mentre la sua insorgenza era
contemporanea a quella dell’asma nel soggetto con TPBS positivo agli
isocianati.
Si ringrazia della collaborazione la Sezione di Otorinolaringoiatria,
Dipartimento di Scienze Ortopediche-Riabilitativ, Radiologiche e Otorinolaringoiatriche,
Università degli Studi di Siena.
BIBLIOGRAFIA
1) Sartorelli P, Pistolesi P, Cioni F, Napoli R, Sisinni AG, Bellussi L, Passali
GC, Cherubini Di Simplicio F, Flori L. Allergopatie cutanee e respiratorie
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2) Montomoli L, Cioni F, Sisinni AG, Romeo R, Sartorelli P Asma professionale
nelle parrucchiere. G Ital Med Lav Erg 2004; 26, 4 Suppl:
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lavoro di siena nel periodo 1974-1991. Arch. Scienze Lav. 1992; 8:
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5) Sartorelli E, Innocenti A. Asma bronchiale professionale: un problema
emergente. Ann Ital Med Int 1989; 4: 111-121.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 51
www.gimle.fsm.it
P-12
ANALISI DEGLI INFORTUNI A RISCHIO BIOLOGICO
NEL PERSONALE SANITARIO DELL’AZIENDA SANITARIA
LOCALE DI RIMINI
L. Vimercati1 , A. Russo1 , A. Lo Izzo1 , M. Delbianco2 , A. Campolattano2 ,
M. Gabellini2 , A. Ricci2 , L. Macinagrossa1 , G. Assennato1 1 Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”- Dipartimento
di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Università degli Studi di Bari
2 Servizio di Prevenzione e Protezione dell’Azienda USL di Rimini
Corrispondenza: Dr.ssa Angela Russo - Sezione di Medicina
del Lavoro “B. Ramazzini”, Dipartimento di Medicina Interna
e Medicina Pubblica, Università degli Studi di Bari - Tel. 080-5478256,
E-mail: dottoressarusso@virgilio.it
Richiesta estratti: Dr. Luigi Vimercati - Sezione di Medicina
del Lavoro “B. Ramazzini”, DIMIMP, Università degli Studi di Bari,
Policlinico, Piazza Giulio Cesare - 70124 Bari, Italy
- E-mail: l.vimercati@medlav.uniba.it
ANALYSIS OF INJURIES WITH BIOLOGICAL RISK IN HEALTHCARE
WORKERS OF THE RIMINI HEALTH LOCAL UNIT
Key words: healthcare workers, biological risk, injuries.
ABSTRACT. Health care workers are at risk of occupational exposure
to bloodborne pathogens, including Human Immunodeficiency Virus
(HIV), hepatitis B virus (HBV) and hepatitis C virus (HCV). The
analysis of injuries involving a potential risks from biological agents
is useful to take preventive measures to protect the exposed workers.
This paper is a preliminary evaluation of the incidence of injuries with
biological risk in health care workers of the Rimini Health Local Unit
over a 5-year period (2001-2005). The annual incidence is greater
among younger health workers and with less experience. Surgical
and emergency areas account for the highest annual incidence. Further
information will be gathered from the stratification of the sample study
according to job task classification and the analysis of causes and
circumstances of events. The results will be the basis for carrying out
an integrated strategy of prevention of injuries with biological risk.
INTRODUZIONE
Gli infortuni a rischio biologico rappresentano, dopo gli infortuni da
movimentazione manuale dei carichi, la seconda causa di infortunio in
ambito sanitario. Il Ministero della Sanità e l’Istituto Superiore di Sanità
hanno finanziato, a partire dal 1986, lo Studio Italiano sul Rischio di Infezione
Occupazionale da HIV e da altri patogeni a trasmissione ematica
(SIROH) con l’obiettivo di quantificare il rischio di esposizione accidentale
a tali agenti biologici negli operatori sanitari e stimare il rischio di
sieroconversione. I dati dello studio, aggiornati al 2002, evidenziano che
ogni anno, in un ospedale medio, gli operatori incorrono in circa 13 lesioni
provocate da aghi o da altri dispositivi taglienti ogni 100 letti (1, 2).
Tale dato potrebbe essere sottostimato dal momento che circa il 30% degli
episodi di lesioni da dispositivi taglienti non vengono denunciati dagli
operatori sanitari (1, 2).
La raccolta delle informazioni relative agli eventi accidentali occorsi
nelle diverse strutture sanitarie consente di pianificare idonee misure preventive
e protettive, in accordo con quanto previsto dal titolo VIII del
D.Lgs 626/94 e s.m.i. A tale scopo gli Autori del presente contributo
hanno effettuato una preliminare indagine conoscitiva dell’incidenza del
fenomeno infortunistico a rischio biologico in un gruppo di operatori sanitari
dell’Emilia Romagna.
MATERIALI E METODI
È stata valutata l’incidenza degli infortuni a rischio biologico avvenuti
nell’Azienda USL di Rimini nel periodo 2001-2005 attraverso lo studio
degli eventi riportati nel Registro Infortuni. In particolare è stata indagata
l’incidenza annuale degli eventi infortunistici verificatisi negli
Ospedali di Rimini, di Cattolica, di Riccione, di Santarcangelo di Romagna,
nei Distretti di Rimini e di Riccione e nel Dipartimento di Prevenzione.
Il numero degli operatori sanitari esposti al rischio di infortuni di
tipo biologico in ciascuno degli anni di calendario compresi tra il 2001 e
il 2005 è stato rispettivamente di 3096, 3163, 3224, 3079, 3225. Gli
eventi occorsi sono stati stratificati per età anagrafica, anzianità lavorativa
ed area operativa di appartenenza (Medica, Chirurgica e dell’Emergenza).
RISULTATI
I dati esaminati hanno mostrato, per ciascun anno considerato, una
maggiore incidenza di eventi infortunistici nella fascia di età più giovane
(20-29 anni) (Tabella I) e negli operatori sanitari con minore anzianità lavorativa
(0-5 anni) (Tabella II). L’età media degli infortunati è risultata
compresa tra i 37 e i 40 anni (Tabella II). La più alta incidenza annuale di
eventi è stata riscontrata nell’area chirurgica e dell’emergenza.
Tabella I. Incidenza degli infortuni nel periodo 2001-2005
Numero Numero Incidenza Incidenza infortuni
totale totale infortuni per fascia d’età in anni (%)
esposti infortuni (%) 20-29 30-39 40-49 50-59 >59
2001 3096 116 3,7 17,3 7,0 6,6 4,8 0,0
2002 3163 134 4,2 19,9 10,6 5,9 3,2 2,0
2003 3224 113 3,5 21,9 8,2 5,6 6,5 0,0
2004 3079 136 4,4 46,7 10,2 8,1 3,8 1,9
2005 3225 130 4,0 25,1 7,7 7,9 5,6 1,9
Tabella II. Incidenza degli infortuni per anni di anzianità lavorativa
nel periodo 2001-2005
Incidenza infortuni per anni di anzianità lavorativa (%)
0-5 6-10 11-15 16-20 21-25 >25
Età media infortunati
2001 6,1 3,3 1,8 2,1 5,6 3,4 38
2002 7,8 5,0 2,2 3,3 2,2 2,1 37,5
2003 5,9 2,8 2,6 2,6 3,2 2,5 38,8
2004 9,4 3,8 4,3 1,9 2,7 2,3 38,5
2005 6,9 5,5 2,9 1,7 2,5 3,3 40
DISCUSSIONE
I risultati preliminari del presente studio sono in accordo con quanto riportato
dalla letteratura ormai consolidata sull’argomento (1). In particolare
emerge il ruolo prioritario di fattori quali l’inesperienza e l’appartenenza a
specifici reparti nel determinismo dell’evento infortunistico. Ulteriori dati
saranno desunti dalla stratificazione della casistica per mansione e dallo studio
delle cause e circostanze degli eventi occorsi. Le evidenze così ottenute
costituiranno la base di partenza per l’attuazione di una strategia integrata di
prevenzione degli infortuni a rischio biologico nell’Azienda USL di Rimini,
con particolare riferimento all’introduzione di procedure e tecniche standardizzate
e di provata efficacia, alla sensibilizzazione sul corretto utilizzo dei
dispositivi di sicurezza, all’informazione e formazione degli operatori.
BIBLIOGRAFIA
1) Ippolito G, Puro V, Petrosillo N, De Carli G, Gruppo Italiano Rischio
Occupazionale da HIV (SIROH). Sorveglianza delle esposizioni professionali
a patogeni a trasmissione ematica negli operatori sanitari:
il programma nazionale italiano. Euro Surveill 1999; 4: 33-36.
2) Gruppo di Studio “PHASE”. Rischio biologico e punture accidentali
negli operatori sanitari. Lauri, Milano 2003.
P-13
DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO DI NEOPLASIA VESCICALE
IN UN ADDETTO ALLA VIABILITÀ
N. Mangiapane1 , G. Lacca1 , A. Provenzani1 , D. Picciotto1 1 Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Clinica
e delle Patologie Emergenti, Università degli Studi di Palermo,
Via del Vespro, 143 - Palermo
Corrispondenza: Dr. Guido Lacca - Sezione di Medicina del Lavoro,
Policlinico “P. Giaccone”, Università di Palermo, Via del Vespro, 143
- Palermo, Italy - Tel. 091-6552910, 338-3233854

52 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
CLINICAL CASE DESCRIPTION OF A BLADDER NEOPLASIA
IN A TRAFFIC POLICE-MAN
Key words: bladder, neoplasia, IPA, policeman.
ABSTRACT. Aim of present study was to point out and draw
to attention to causal relationship between traffic police-man’s duty
with potential cancerogenic risk for chronic exposure to ambiental
atmospheric pollution, especially IPA filled out motorvehicle wastes,
and the oncet of bladder neoplasia.
Our study is based on analysis of a worker case history, who worked
as traffic police-man for eight years and suffering from “outcome
of ureteral papillary cancer PTa/G1”.
We examined clinical documentation and the patient underwent a medical
examination with detailed working anamnesis and in-depth objective test.
INTRODUZIONE
Lo studio è stato condotto analizzando a posteriori una cartella clinica
elaborata nel corso di una relazione medico-legale di un lavoratore affetto
da “esiti di carcinoma uroteliale di tipo papillare grado I”. Tale soggetto
ha svolto l’attività di vigile urbano nella città di Palermo per 8 anni, esposto
quindi all’azione cronica dei polluttanti ambientali aerodispersi derivanti
dagli scarichi autoveicolari con evidente potenzialità cancerogena.
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di evidenziare e porre
l’attenzione sul nesso di causalità tra la mansione svolta, a rischio cancerogeno,
e la comparsa della patologia neoplastica.
MATERIALI E METODI
È stata esaminata la documentazione clinica esistente ed il soggetto
è stato sottoposto a visita medica comprendente una accurata anamnesi
lavorativa ed un attento esame obiettivo.
RISULTATI
Si riporta qui di seguito la descrizione della cartella clinica.
Anamnesi lavorativa: dal Novembre 1990 ha esercitato l’attività di
vigile urbano presso il Comune di Palermo, addetto a servizio di viabilità
fino al Maggio 1992; da allora fino all’Ottobre 1994 addetto a lavoro
d’ufficio. Da tale epoca al Dicembre 2000 addetto alla viabilità e dal
1° Gennaio 2001 adibito a lavoro d’ufficio.
Anamnesi familiare: gentilizio positivo per ipertensione arteriosa.
Anamnesi fisiologica: regolare tranne per il fatto che è stato modico
fumatore dall’età di 16 anni fino all’età di 18 anni di circa 5 sig/die.
Anamnesi patologica remota: nulla di rilevante ai fini dello studio in
questione.
Anamnesi patologica prossima: nel Luglio 2003 ricovero in A.O. con
diagnosi di “Neoplasia vescicale primitiva”, con esito istologico di “Ca
uroteliale di tipo papillare grado I”, per cui è stato sottoposto a resezione
chirurgica della massa tumorale per via endoscopica.
Da allora esegue periodici follow-up semestrali, l’ultimo dei quali,
nel Gennaio 2006, ha evidenziato all’esame cistoscopico una piccola
neoformazione vescicale; per tale motivo, è stato ricoverato dal 21 Gennaio
2006 al 23 Gennaio 2006 presso un nosocomio di Palermo, con diagnosi
di “Piccola recidiva di neoformazione vescicale”, trattata mediante
intervento di elettrofolgorazione.
Sintomatologia attuale: lamenta saltuari episodi disurici e lieve dolenzia
in regione sovrapubica.
Esame obiettivo generale: negativo.
Esame obiettivo locale: dolenzia alla palpazione profonda dei quadranti
inferiori dell’addome.
DISCUSSIONE
Il nesso causale è rappresentato dal lavoro continuativo svolto in ambiente
outdoor, che ha esposto il soggetto all’azione cronica dei polluttanti
ambientali aerodispersi, aventi una potenzialità cancerogena universalmente
riconosciuta dalla letteratura scientifica e confermata da numerosi
rilievi di carattere epidemiologico.
L’attività lavorativa del soggetto, di addetto alla viabilità per circa 8
anni senza l’utilizzo dei D.P.I. (dispositivi di protezione individuale), ha determinato
l’assorbimento per via inalatoria di concentrazioni notevoli di particolato,
derivante in precipua misura dagli scarichi autoveicolari; in particolare,
le miscele di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), appartenenti secondo
tutte le classificazioni internazionali alle sostanze dotate di potere
cancerogeno certo per l’uomo (IARC, ACGIH, CCTN, CEE), svolgono una
precisa azione localizzata a livello delle basse vie urinarie. Gli IPA sono una
famiglia di composti a due o più anelli aromatici condensati, sono ubiquitari
e si formano durante i processi di combustione incompleta e per pirolisi di
materiale organico. Si ritrovano nell’ambiente sia sotto forma di articolato,
sia di vapore, libero od adsorbito su particolato atmosferico.
Secondo la IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro)
sono probabili cancerogeni per l’uomo il benzo(a)pirene, il benz(a)antracene
e il dibenz(a,h)antracene, mentre sono possibili cancerogeni il benzo(b)fluorantene,
il benzo(k)fluorantene e l’indeno(1,2,3,-c,d)pirene (1-4).
È noto come il processo di cancerogenesi chimica ad evoluzione
multi-step è determinato dall’esposizione anche a basse concentrazioni di
sostanza a potenzialità oncogena; il carattere stocastico del verificarsi
dell’evento neoplastico è accresciuto dall’entità dell’esposizione all’agente.
Nel caso in esame, il soggetto è stato esposto a quantità non indifferenti
di IPA per via inalatoria, che quindi ragionevolmente hanno avuto
la capacità e l’idoneità lesiva nel determinismo dell’insorgenza della patologia
neoplastica in esame.
Dal punto di vista medico-legale è necessario considerare che il soggetto
ha espletato il servizio di addetto alla viabilità; esiste il rischio professionale
e la situazione di potenziale pericolo, rappresentata dall’esposizione
per tempi prolungati ad inquinanti aerodispersi a potenzialità cancerogena.
Infine, è presente la finalità, poiché il soggetto ha dovuto svolgere lo
specifico compito assegnatogli, insito nel proprio mansionario di vigile
urbano, addetto a servizio di viabilità per circa 8 anni, che rappresenta il
momento causale finalisticamente inerente al servizio.
Concludendo, si afferma l’importanza degli interventi di prevenzione
in accordo con il D. Lgs. 626/94 e il D. Lgs. 25/2002; fondamentale ruolo
riveste il monitoraggio ambientale, biologico e la sorveglianza sanitaria
dei lavoratori esposti al rischio.
BIBLIOGRAFIA
1) Ji J, Granstrom C, Hemminki K. Occupational and bladder cancer: a
cohort study in Sweden. Br J Cancer 2005; 63: 579-585.
2) Andersen A, Barlow L et al. Work-related cancer in the Nordic countries.
Scan J Work Environ Health, 1999; 25(S) 2: 1-116.
3) Kogevinas M, Mannetje A et al. Occupational and bladder cancer
among men in Western Europe. Cancer Causes Control 2003. 14:
907-914.
P-14
TUMORE ALLE GHIANDOLE SALIVARI IN PARRUCCHIERA:
DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO
A. Fiorito1 , F. Larese1 , A. Damian1 , R. Nardella1 1 Unità Clinico Operativa di Medicina del Lavoro, Dipartimento
di Scienze di Medicina Pubblica, Università degli Studi di Trieste,
Via della Pietà, 19 - Trieste
Corrispondenza: Francesca Larese Filon - UCO Medicina del Lavoro,
Via della Pietà, 19 - 34129 Trieste, Italy - E-mail: larese@units.it
A SALIVARY GLAND CANCER IN AN HAIRDRESSER:
A CASE REPORT
Key words: salivary glands, cancer, hairdresser.
ABSTRACT. Hairdressers use a wide range of products, such as air
colourants and bleaches, shampoos and conditioners, hair styling
preparations. Hair-dyes are known to contain mutagenic substances,
aromatic amines and relate compounds. These chemicals have produced
neoplastic transformation in vitro and have induced cancer in vivo.
Chromosomal aberrations have also been found in the peripheral blood
leukocytes of hairdressers who had their air dyed. The International
Agency for Research on Cancer, analysing all data on this topic
reported that there is a limited evidence that occupation as
a hairdresser or barber entails exposures that are carcinogenic.
We describe a 44-year-old woman who was diagnosed as having
a sublingual adenoid cystic carcinoma that infiltrated the base of the
tongue and was treated with surgery and radiotherapy successfully.
The woman started to work as hairdressers since she was 14, she had
no familiar history of cancers, she did not smoke or drink alcohol.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 53
www.gimle.fsm.it
Epidemiological review of the cancer risk among people exposed
to hairdressing substances reported only in some studies a significant
association with breast cancer, in other studies an association with
bladder cancer in male, with multiple myeloma or with lung cancer not
considering smoke habit. One study on salivary glands cancer reported
a statistically significant elevated odd ratio among women employed as
hairdressers and the present case could confirm an association between
work as hairdresser and salivary glands cancer. The long time exposure
to hairdresser products (more than 30 years) in early ages and the
absence of others risk factors such as smoking habits and alcohol
intake could increase the association between this cancer and the
professional exposure.
INTRODUZIONE
L’esposizione a coloranti per capelli e a liquidi per permanenti è stato
sospettato in passato come causa di un aumentato rischio di tumori per la
presenza di sostanze con azione mutagena come amine aromatiche (1) e
alcuni studi hanno trovato aberrazioni cromosomiche nei leucociti del
sangue periferico in parrucchiere (2, 3). I dati epidemiologici sono invece
contraddittori e la IARC (4) nella sua valutazione epidemiologica conclude
che vi è limitata evidenza di cancerogenicità per l’esposizione occupazionale
di parrucchiere e barbieri. In realtà la problematica risulta
molto dibattuta e gli studi epidemiologici più recenti rilevano un lieve eccesso
di rischio per alcune neoplasie come quelle del polmone, della cute,
dell’ovaio (5) con una tendenza alla diminuzione negli anni legato verosimilmente
alle migliorate condizioni di lavoro. Negli studi che si riferivano
a coorti antecedenti gli anni ’80 Guberan (6) ha rilevato un eccesso
di rischio per tumori del cavo orale e della faringe nei maschi e una recente
valutazione sui tumori delle ghiandole salivari (7) ha evidenziato un
OR=2.7 (LC95% 1.1-6.5) per le parrucchiere di sesso femminile.
CASO CLINICO
Donna di 44 anni che svolge attività di parrucchiera in proprio dall’età
di 14 anni. In dicembre 2004 comparsa di disfagia per neoformazione
vegetante alla base della lingua. Operata di subglossofaringectomia
destra con svuotamento laterocervicale destro e ricostruzione con lembo
fasciocutaneo. Diagnosi bioptica di carcinoma adenoideo-cistico infiltrante
la mucosa intrinseca della lingua, ulcerato, a pattern di crescita prevalentemente
cribriforme con focali aree solide (pT2NO). Trattata con radioterapia
post operatoria e poi a follow-up semestrali.
Non familiarità per neoplasie. Non altre patologie associate. Non
fumo o assunzione di alcolici o farmaci.
DISCUSSIONE
I tumori della cavità buccale sono stati associati in passato all’attività
di parrucchiere nel sesso maschile ma non nelle donne nel periodo 1970-
80 (6). Pukkala (5) in un’indagine che ha coinvolto una corte di 3637 parrucchiere
in Finlandia riporta un eccesso di rischio per tutti i tumori (SIR
127; LC95% 1.11.-1.41) ma non rileva un eccesso di casi per tumore del
cavo orale. Recentemente, invece, Swanson (7) analizzando i tumori
delle ghiandole salivari nel periodo 1987-1991 in un’area degli Stati Uniti
calcola un Odds Ratio di 2.7 (LC95% 1.1-6.5) per le parrucchiere. Lo
stesso studio riporta valori di OR elevati anche per donne occupate in negozi
di prodotti di bellezza (3.4; LC95% 1.4-7.9). L’associazione fra tumore
delle ghiandole salivari ed uso di coloranti per capelli era stato riportato
in precedenza anche da Spitz nel 1990 in uno studio caso controllo
(8). Queste evidenze epidemiologiche parrebbero sostenere una relazione
fra tumori delle ghiandole salivari e professione di parrucchiere.
Nel nostro caso, inoltre, ci troviamo di fronte ad un soggetto che ha iniziato
a lavorare in giovanissima età e ha alle spalle un’anzianità lavorativa
rilevante. Non vi sono altre esposizioni voluttuarie che potrebbero
determinare di per se un eccesso di rischio per neoplasie a carico del cavo
orale e delle ghiandole salivari (fumo di sigaretta e alcool). È plausibile
pertanto che tale patologia possa essere riconosciuta come di origine professionale.
BIBLIOGRAFIA
1) Shore RE, Pasternack BS, Thiesen EU, Sadow M, Forbes R, Albert
RE. A case control study of hai dye use and breast cancer. J Natl Cancer
Inst 1979; 62: 277-283.
2) Searle C, Harnden D, Venitt S, Gyde O. Carcinogenicity and mutagenecity
tests of some hair dye constituents. Nature 1975; 225: 506-507.
3) Kirkland DJ, Lawler SD. Chromosomal damage and hair dyes. Lancet
1978; II: 124-127.
4) IARC Monograph vol. 57 – International Agency for research on
Cancer – Occupational exposures of hairdressers and barbers and
personal use of hair colourants; some hair dyes, cosmetic colourants,
industrial dyestuffs and aromatic amines. Lyon 1993.
5) Pukkala E, Nokso-Koivisto P, Roponen P. Changing cancer risk pattern
among Finish hairdressers. Int Arch Occup Environ Health
1992; 64: 39-42.
6) Guberan E, Raymond L, Sweetnam PM. Increased risk for male
bladder cancer among a cohort of male and female hairdressers from
Geneva. Int J Epidemiol 1985; 14: 549-554.
7) Swanson GM, Burns P. Cancers of the salivary glands: workplace risk
among women and men. Annals Epidemiol 1997; 7: 369-374.
8) Spitz MR, Sider JG, Newell GR, Batsakis JG. Incidence of salivary
grand cancer in the United States relative to ultra-violet radiation exposure.
Head Neck Surg 1988; 10: 305-308.
P-15
RISULTATI DELLA SORVEGLIANZA SANITARIA SU EX-ESPOSTI
A SILICE CRISTALLINA AFFETTI DA SILICOSI
S. Ponticiello, R. Leonori, A. Ragone, F. Cavariani1 , E. Cardona2 ,
L. Bedini2 , I. Scrocchia, A. Fersini, R. Bertoldi, A. Quercia
ASL Viterbo - U.o. c. PISLL
1 ASL Viterbo - Laboratorio Igiene Industriale
2 ASL Viterbo - U.o. c. Diagnostica per immagini - Ospedale Civita
Castellana
RESULTS OF SOURVEILLANCE ON SILICA DUST EX-ESPOSED
WORKERS, AFFECTED BY SILICOSIS
ABSTRACT. About 80 ceramic factories employing more than 3000
workers are located in the area of Civita Castellana. Silica dust
exposure is the most important risk for ceramic workers. About 800
workers and previously exposed workers, recognized by INAIL as
suffering from pulmonary silicosis, receive an income because of this
pathology.
400 subjects were recruited for the study The protocol included:history
of working history, medical examination, spirometry with measure
of residual volume and DLCo rating, chest radiograph The more
significant results were the increase level of radiological pathology
related duration to silica dust exposure and the persistence of a normal
respiratory function in spite of the radiological progression.
INTRODUZIONE
Il comprensorio di Civita Castellana vanta una forte tradizione ceramica.La
produzione attuale è rivolta al settore dei sanitari e delle stoviglie.
Esistono circa 80 aziende che lavorano nel comparto della ceramica
per un totale di oltre 3000 addetti. Uno dei rischi più rilevanti di questo
settore è l’esposizione a polveri di silice cristallina.
MATERIALI E METODI
Nel comprensorio di Civita Castellana sono presenti circa 800 lavoratori
ed ex-lavoratori riconosciuti dall’INAIL come affetti da silicosi
polmonare e percettori di rendita. Sono stati selezionati solo ex lavoratori
di aziende ceramiche che percepivano una rendita per silicosi. Sono stati
preventivamente contattati con lettera informativa e poi con incontri nei
luoghi di aggregazione o telefonicamente. Veniva spiegato lo scopo della
ricerca e il protocollo di studio che prevedeva visita medica, PFR, VR,
DLCO ed eventuale Rx Torace. I soggetti in possesso di radiografie effettuate
oltre 4 anni prima hanno effettuato Rx Torace presso il Servizio
di Radiologia dell’Ospedale. Le radiografie sono state lette in doppio
cieco da due medici certificati B-readers (medici riconosciuti lettori
esperti per la classificazione dei radiogrammi del torace per peneumoconiosi
dal NIOSH statunitense) secondo la classificazione ILO-BIT (Ginevra
1980) (1).
Le prove di funzionalità respiratoria sono state eseguite, con spirometro
ad acqua con campana leggera senza contrappeso, da personale in-

54 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
fermieristico adeguatamente formato secondo i criteri ATS; I valori teorici
di riferimento utilizzati sono stati i CECA 71.
Il Volume Residuo è stato misurato con metodo di diluizione intrapolmonare
di un gas inerte (elio).
La misurazione della diffusione alveolo-capillare (DLCO) è stata
eseguita con la tecnica del respiro singolo, seguendo le raccomandazioni
messe a punto dall’ATS. Sono state effettuate almeno due prove a distanza
di cinque minuti l’una dall’altra, considerate riproducibili se presentavano
una variabilità non superiore al 5% nel soggetto sano ed al
10% nel soggetto patologico.
Per ogni lavoratore inoltre è stato effettuato il confronto dei dati di
sorveglianza sanitaria con la durata dell’esposizione (Total Time Exposure
TTE) (5).
RISULTATI
I lavoratori a cui è stata inviata comunicazione scritta sono stati 400.
Hanno risposto all’invito 126 persone; da tale gruppo sono stati eliminati 8
soggetti che non sono stati in grado di effettuare tutte le prove. I radiogrammi
riletti secondo la classificazione ILO-BIT o effettuati direttamente sono stati
in totale 78 raggruppati nella Tabella sottostante per profusione radiologica e
correlati con la media degli anni d’esposizione lavorativa (Tab. I).
Tabella I. Correlazione tra quadro radiografico ed anni
di esposizione a silice
LETTURA ILO-BIT DELLE RADIOGRAFIE MEDIA ANNI DI ESPOSIZIONE
GRADO POSITIVITÀ N. RO PERSONE PER CLASSI ILO-BIT (TTE)
BORDELINE
(0/1) 8 19,25
CLASSE 1
(1/0;1/1;1/2) 63 25,75
CLASSE 2
(2/1;2/2;2/3) 6 27,38
CLASSE 3
(3/2;3/3;3/+) 1 14
Dalla Tabella si evince una diretta relazione tra la progressione radiografica
della pneumoconiosi e l’anzianità di esposizione lavorativa; fa
eccezione la profusione in classe 3, di cui abbiamo osservato un solo
caso, che associa ai 14 anni di esposizione in aziende ceramiche anche 17
anni di estrazione in cave di tufo.
La Tabella II presenta i dati relativi ai radiogrammi correlati col quadro
spirometrico e il referto della diffusione alveolo capillare.
Tabella II. Correlazione tra radiografie, spirometrie e valori DLCO
LETTURA ILO-BIT DELLE RADIOGRAFIE ESAME SPIROMETRICO E CPT DLCO
GRADO RX NORM. OSTRUITI RISTRETTI NON NORM. RIDOTTA NON
POSITIVIÀ LETTI % % % EFFETTUATA % % EFFETTUATA
% %
BORDELINE
(0/1) 8 87,5 0 0 12,5 87,5 12,5 0
CLASSE 1
(1/0;1/1;1/2) 63 60 11 11 18 59 27 14
CLASSE 2
(2/1;2/2;2/3) 6 50,2 16,6 16,6 16,6 67 33 0
CLASSE 3
(3/2;3/3;3/+) 1 100 0 0 0 100 0 0
Si è osservata inoltre una correlazione tra la progressione del quadro
radiologico, la frequenza dei quadri restrittivi e la riduzione della DLCO;
ad eccezione dell’unico caso di classe 3 che presenta una funzionalità respiratoria
nella norma. I quadri ostruttivi sono verosimilmente da attribuire
all’abitudine al fumo di sigaretta.
CONCLUSIONI
Nella popolazione di ex esposti esaminata i risultati maggiormente significativi
sono: la conferma di gradi di maggior profusione radiografica
della patologia all’aumentare degli anni di esposizione, eccetto che per il
singolo caso 3/2, e la persistenza di una funzionalità respiratoria ancora nella
norma nonostante la progressione del quadro radiologico (3). Nei soggetti
che presentano un decadimento della funzionalità respiratoria si riscontra
una associazione tra quadri di restrizione e valori ridotti della DLCO.
Per il caso con quadro radiografico 3/2 la mansione svolta per 14 anni
potrebbe spiegare la notevole profusione radiografica. Infatti egli era addetto
alla sala impasti dove le particelle di silice cristallina sono sottoposte
ad operazioni di frantumazione e macinazione e, secondo gli ultimi studi,
risultano più ricche di radicali liberi e quindi maggiormente bioreattive (4).
BIBLIOGRAFIA
1) Fubini B, Fenoglio I. Questioni aperte sulla cancerogenesi da quarzo
dopo il giudizio della IARC: ruolo della chimica di superficie nella
variabilità del rischio da silice cristallina. Atti seminario di studio
“Patologie da Silice: Silicosi, cancro ed altre malattie”, Trento, 8
maggio; 7-25. 2001.
2) International Labour Office: Guidelines for the use of ILO International
Classification of Radiografs of Pneumoconioses. Geneva ILO, 2000.
3) American Thoracic Society: Lung function testing: selection of reference
values and interpretative strategies. 1991; 144: 1202-1218.
4) Gamble JF, Hessel PA, Nicolich MJ. Relationship between silicosis
and lung function. Scand J Work Environ Helath 2004; 30(1): 5-20.
5) Cavariani F, Leonori R, Bedini L, Franco S, Scrocchia I, Quercia A.
Esposti a tool for managing and environmentin a silica dust exposed
population, 3 rd International Symposium on Silica, Silicosis, Cancer
and other Diseases, S. Margherita Ligure, La Medicina del Lavoro,
2002, Vol. 93, Suppl., S54.
P-16
ANALISI DEL FENOMENO INFORTUNISTICO NEL MACROSETTORE
DELLE COSTRUZIONI: PROVVEDIMENTI DI ORDINE PREVENTIVO
F. Vegna, M. Di Giovanni1 , A. Giunta, V. Vegna
Dipartimento di Medicina Clinica e delle Patologie Emergenti,
Sezione di Medicina del Lavoro, Direttore: Prof. D. Picciotto,
Università degli Studi di Palermo, Via del Vespro, 143 - 90143 Palermo
1 Specialista in Medicina del Lavoro
Corrispondenza: Prof. Francesco Vegna - Dipartimento di Medicina
Clinica e delle Patologie Emergenti, Sezione di Medicina del Lavoro,
Via del Vespro, 143 - 90142 Palermo, Italy - E-mail: fvegna@unipa.it
ANALYSIS OF THE INDUSTRIAL ACCIDENT PHENOMENON
IN THE CONSTRUCTION FIELD: PREVENTIVE MEASURES
Key words: industrial accidents, building construction, job.
ABSTRACT. Statistical data of Industrial Accident, in the world and
in the European Community, show an elevated incidence in the
construction field, with consequences of mortality and disability; this
lead us to study this phenomenon, in order to improve all the preventive
aspects and to assure health and safety to workers.
One of the aspects not to underestimate is the possible alteration of the
quality of life that can have repercussions on social and private sphere.
On the basis of these considerations we studied the Industrial Accident
phenomenon’s trend from various angles: statistics, incidence, entity
and the way it takes place, comparing data, belonging to the accident
register of some industrial enterprises of the provinces of Palermo, to
data of INAIL’s informative flow referred to: region, province and year
in the period of 2002-2004.
We advice the use of instruments and preventive measures in order
to stem this phenomenon in a so complex working reality.
INTRODUZIONE
Le statistiche degli infortuni sul lavoro nel mondo e nell’Unione Europea
evidenziano una elevata incidenza nel macrosettore delle costruzioni
con conseguenze di mortalità e disabilità che inducono a studiare il
fenomeno in modo sempre più approfondito per migliorare tutti gli aspetti
preventivi volti a tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori in questo
complesso settore lavorativo.
Sulla base di queste considerazioni abbiamo studiato l’andamento
del fenomeno infortunistico, analizzando i dati ricavati dai registri degli
infortuni di alcune aziende di Palermo e Provincia e quelli della banca
dati contenuti nei flussi informativi dell’Inail per regione, provincia relativamente
al periodo 2002-2004.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 55
www.gimle.fsm.it
Vengono suggeriti strumenti e azioni di ordine preventivo che si ritengono
utili ad arginare questo fenomeno.
MATERIALI E METODI
Abbiamo esaminato il fenomeno infortunistico in 40 aziende, operanti
nel settore delle costruzioni di Palermo e Provincia, che impiegano
in media 502 operai. Le attività svolte principalmente da queste aziende,
comprendono: costruzioni, estrazione e movimentazione terra, riparazioni
e ristrutturazioni, manutenzione e demolizione. Vi operano: Muratori,
carpentieri in legno, intonacatori, indoratori, escavatoristi meccanici
e autisti di mezzi pesanti.
Il 65,7% del campione era adibito ad attività di costruzione, il 5,9%
a quelle di manutenzione, il 19,6% a quelle di riparazioni e ristrutturazioni,
il 3,9% a quelle di demolizioni e il 4,9% a quelle di estrazione e
movimentazione terra (Fig. 1).
Figura 1. Distribuzione degli operai per attività
RISULTATI
Dall’analisi dei registri degli infortuni è emerso che nelle 40 aziende,
nel triennio 2002 - 2004 si sono verificati complessivamente 46 (9,16%)
infortuni caratterizzati da inabilità temporanea superiore a tre giorni ed
inferiore a 30. È stato calcolato l’indice di frequenza degli infortuni distribuiti
per anno e il relativo andamento.
Gli infortuni con inabilità temporanea > 3 gg ed < 30 gg risultano essere
17 (3,4%) nel 2002, 16 (3,2%) nel 2003 e 13 (2,6%) nel 2004 (Tab. I).
Evidente risulta quindi il trend della riduzione del fenomeno sia in termini
di valore assoluto che soprattutto in termini di indice di frequenza
(che va da 33,86 a 25,89). I due settori più colpiti sembrano essere quelli
delle costruzioni e delle riparazioni/ristrutturazione.
Si è visto inoltre che i dati Inail inerenti al triennio in oggetto risultano
confermare una riduzione del fenomeno per quasi tutte le province
ad eccezione di quelle di Agrigento, Catania, e Ragusa dove addirittura è
in aumento (Tab. II).
Tabella I. Infortuni aziende Palermo e provincia
Anno N° Infortuni (%) I.F.
2002 17 3,4 33,86
2003 16 3,2 31,87
2004 13 2,6 25,89
Tabella II. Denunce INAIL di infortuni sul lavoro nel periodo
2002-04 per regione e provincia del settore Industria e servizi
Anno AG CL CT EN ME PA RG SR TP Sicilia
2002 1.680 1.141 5.607 1016 5335 6575 2811 2648 2361 29174
5,8% 3,9% 19,2% 3,5% 18,3% 22,5% 9,6% 9,1% 8,1% 100%
2003 1.758 1.123 5.927 974 5039 6301 2780 2218 2364 28484
6,2% 3,9% 20,8% 3,4% 17,7% 22,2% 9,7% 7,8% 8,3% 100%
2004 1764 1151 6100 938 5011 5909 3028 2219 2428 28548
6,2% 4% 21,4% 3,3% 17,5% 20,7% 10,6% 7,8% 8,5% 100%
DISCUSSIONE
Alla luce dei dati osservati risulta evidente che gli infortuni sul lavoro si
caratterizzano per complessità e differenziazione; sono infatti diffusi nei vari
ambiti del mondo lavorativo, sono di diversa natura e di diversa gravità ed
esistono settori che sono molto più a rischio degli altri, come il settore delle
costruzioni (65,7%) o quello delle riparazioni e ristrutturazioni (19,6%).
La programmazione però risulta difficoltosa sopratutto per diversi
fattori: in primo luogo per la presenza di una normativa di riferimento
non sempre rispettata, per la mancanza nelle piccole imprese di una struttura
sindacale interna, per la presenza di lavoratori interinali difficilmente
rintracciabili nonostante la DNA (Denuncia Normativa Assicurati), per la
continua variazione delle condizioni di lavoro dovuta al procedere dei lavori
in cantiere e non ultimo per la presenza di problemi di comunicazione
con l’ormai incalzante presenza di lavoratori extracomunitari.
Nonostante gli interventi legislativi, di tipo tecnico e di sorveglianza
sanitaria si ritiene che questi sono importanti ma non sufficienti ad arginare
il fenomeno infortunistico.
Punto importante risulta essere, all’origine della filosofia prevenzionistica,
l’adozione del Piano di Misure per la Sicurezza fisica dei lavoratori
con l’intento di dare alla prevenzione un significato globale nel
senso di coinvolgimento di tutte le componenti partecipanti alla realizzazione
dell’opera: infatti alle responsabilità del datore di lavoro vanno aggiunte
quelle dell’ente committente attraverso i suoi organi, quelle dei direttori
di cantiere, quelle dei lavoratori e dei loro sindacati, quelle delle
altre figure deputate alla sicurezza (RSPP, RLS, ecc). Non meno importante
è l’attività del medico competente sia in fase di sorveglianza sanitaria
soprattutto con la visita medica preventiva sia con studi epidemiologici
sugli infortuni più frequenti, opportunamente classificati. Una
maggiore ottimizzazione dell’organizzazione del lavoro potrebbe portare
ad un ulteriore e significativa riduzione dell’incidenza degli infortuni.
Riteniamo opportuno infine sottolineare che un’attività di formazione
e informazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro ma anche soprattutto
nella scuola dell’obbligo, su tutte le problematiche relative alla prevenzione
sia in campo sociale che lavorativo, possa mettere le basi per
formare una cultura sulla prevenzione nei futuri lavoratori.
BIBLIOGRAFIA
1) Dati INAIL sull’andamento degli infortuni sul lavoro. Primo bilancio
per il 2003 rischi da lavoro: il quadro Europeo. Marzo 2004, nr. 3,
editore INAIL Roma.
2) Heinrich HW, Petersen D, Roos N. 1980. Industrial accident prevention.
Mc Graw - Hill, New York, USA.
3) Lepore M. Le statistiche degli infortuni sul lavoro nel mondo e nell’unione
europea. Ambiente e sicurezza sul lavoro, 6/2004.
4) Casula D, Benvenuti F, Atzeri S. in: Medicina del Lavoro, II Edizione
1996. Cap. 7, p 187-188.
5) http://www.inail.it/statistiche/statistiche.htm, Rapporto annuale 2002,
2003, 2004.
P-17
ANALISI A LIVELLO POPOLAZIONISTICO DELLA RELAZIONE
ACP1-RAPPORTO SESSI NELLE MADRI FUMATRICI
U. Iannaccone1 , A. Magrini, F. Gloria, G.F. Meloni2 , M. La Torre3 ,
G. Somma, L. Coppeta, E. Pagliari, A. Bergamaschi
Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Roma Tor Vergata
1 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma
2 Dipartimento di Pediatria, Università di Sassari, Sassari
3 Dipartimento di Neonatologia, Ospedale S. Massimo, Penne
Corrispondenza: Andrea Magrini - Cattedra di Medicina del Lavoro,
Università degli Studi di Roma Tor Vergata - 00133 Roma, Italy
- Tel. 06-20902201, E-mail: andrea.magrini@uniroma2.it
THE RELATIONSHIP BETWEEN ACP1 AND NENONATAL
SEX RATIO IN SMOKER PREGNANT WOMEN: AN ANALYSIS
AT POPULATION LEVEL
ABSTRACT. Previous study suggested that differences observed among
human population concerning the effect of smoking may depend in part
on genetic factors.
In this work we have analysed the relationship between sex ratio and
ACP1*C allele at population level.
The analysis includes 719 consecutive births from Central Italy, 5510
consecutive births from Sardinia and data from English and Japanese
populations.
Among newborns not carrying ACP1*C there is a decrease of sex ratio
among the offspring of smoking mothers, while among newborns carrying
the ACP1*C allele there is an increase of sex ratio among the offspring of
smoking mothers relative to non-smoking mothers. There is a linear positive

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relationship between *C allele frequency and sex ratio in smoking mothers.
The present observation suggests an interaction between smoking
and ACP1 regarding their effects on sex ratio. The presence of the
ACP1*C allele appears to counteract the effect of smoking.
INTRODUZIONE
In uno studio eseguito nel 1969 il British Perinatal Mortalità Survey
non aveva trovato alcuna associazione tra fumo di sigaretta e rapporto
sessi (S.R.) (1). Nel 2002, Fukuda et al,invece, esaminando una popolazione
giapponese hanno osservato una correlazione negativa tra fumo di
sigaretta durante la gravidanza e rapporto sessi (2). Diversità etniche potrebbero
avere un ruolo importante per spiegare gli effetti del fumo sul
rapporto sessi tra le due popolazioni.
Vari studi suggeriscono che fattori genetici modificano gli effetti tossici
del fumo sulla produzione dei gameti, sulla loro funzionalità e sulla
sopravvivenza intrauterina (3).
L’ACP1 è un enzima polimorfico, controllato da un locus autosomico
sito sul cromosoma 2p25 ed ha tre alleli codominanti: ACP1*A,
ACP1*B, ACP1*C e sei genotipi. L’ACP1 mostra attività enzimatiche
differente tra i suoi genotipi (4).
L’enzima è costituito da due isoforme, chiamate fast “F” e slow “S”
oppure A e B. che derivano da un processo di splicing alternativo (5).
L’ACP1 è presente in tutti i tessuti. Ha due diverse attività: fosfotirosin
fosfatasi (PTPasi) e flavin-mononucleotide (FMN) fosfatasi. L’enzima
idrolizza una fosfotirosina in peptidi di sintesi del recettore dell’insulina
e nella proteina Banda 3 (B3P). ACP1 a bassa attività può favorire
il metabolismo del glucosio mediante aumento dell’azione dell’insulina e
della fosforilazione della B3P che a sua volta attiva l’aldolasi, la fosfofruttochinasi
e la gliceroaldeide- 3- fosfato deidrogensi. Come FMN fosfatasi,
ACP1 a bassa attività può aumentare l’attività dei flavoenzimi e a
sua volta il metabolismo energetico. Date le notevoli differenze nell’attività
enzimatica, ACP1 potrebbe avere un importante ruolo nella variabilità
fisiologica di un largo spettro di funzioni cellulari (6).
ACP1 defosforila un sito di regolazione negativa tirosin-chinasica di
ZAP-70. Questo evento porta ad una aumentata attivazione di questa chinasi
e incrementa il segnale del recettore della cellula T (7).
Alcuni studi suggeriscono un ruolo dell’ACP1 nella regolazione dell’embriogenesi
e nell’accrescimento intrauterino. Questo ruolo potrebbe
essere mediato sia dall’attività tirosin-fosfatasica con modulazione del
segnale dell’ormone della crescita, sia dall’attività FMN-fosfatasica con
controllo del tasso di respirazione cellulare e dell’attività metabolica.
La glutatione reduttasi è un enzima flavin-adenin dinucleotide (FAD)
dipendente importante per la protezione dal danno ossidativi. Catalizza la
riduzione del glutatione ossidato in glutatione ridotto (8). Il polimorfismo
dell’ACP1 regolando l’attività della glutatione reduttasi, potrebbe influenzare
gli effetti dannosi delle specie molecolari ossigeno-reattive e
quindi le manifestazioni dovute al fumo di sigaretta.
In un gruppo di neonati dell’Italia Centrale studiati insieme alle loro
madri nel nostro laboratorio è stato osservato che la relazione tra fumo e
rapporto sessi dipende dal genotipo ACP1 (3). In particolare i bambini non
portatori dell’allele *C da madre fumatrice hanno un S.R. inferiore a quello
dei bambini non portatori dell’allele *C da madre non fumatrici.Viceversa,
i bambini portatori dell’allele *C da madri fumatrici hanno un S.R maggiore
di quello dei bambini portatori dell’allele *C da madri non fumatrici.
In questa nota abbiamo considerato a livello popolazionistico la relazione
tra fumo, ACP1 e rapporto sessi esaminando 4 popolazioni con
differenti frequenze dell’allele *C. La Tabella mostra i risultati ottenuti.
MATERIALE E METODI
Sono stati esaminati 719 bambini nati consecutivamente nel Centro
Italia, 5510 bambini nati consecutivamente a Sassari (Sardegna).Le madri
fumatrici consumavano dalle 2 alle 13 sigarette al giorno. La determinazione
del genotipo/fenotipo ACP1 del feto è stata fatta su sangue di
cordone. Le madri hanno dato consenso verbale informato per la partecipazione
del neonato alla ricerca.
La determinazione del genotipo ACP1 è stato eseguita, nel campione
dell’Italia Centrale, mediante elettroforesi su gel d’amido (9) e nel campione
della Sardegna mediante analisi del DNA (10).
Per le analisi statistiche è stato usato il package SPSS.
RISULTATI
Nella Tabella sono riportate le frequenze dell’allele ACP1*C ed il rapporto
sessi dei neonati da madri fumatrici e non fumatrici in quattro di-
Tabella. Frequenze dell’allele ACP1*C e rapporto sessi in l neonati
da madre fumatrici e non fumatrici in 4 popolazioni
ACP1*C S.R. nelle madri S.R. nelle madri
fumatrici non fumatrici
Sardegna 0.11 1.164 1.053
Italia Continentale 0.08 1.089 1.059
Inghilterra 0.04 1.076 1.069
Giappone 0.00-0.015 0.898 1.063
stinte popolazioni. Nelle madri non fumatrici il rapporto sessi è praticamente
lo stesso nelle 4 popolazioni mentre nelle madri fumatrici si nota
una relazione lineare positiva tra frequenza dell’allele ACP*C ed S.R.
Ambedue hanno il valore più basso in Giappone ed il più alto in Sardegna.
I dati suggeriscono che l’allele *C influenzi la relazione tra fumo e
rapporto sessi controbilanciando l’effetto negativo del fumo. Nella popolazione
giapponese in cui l’allele *C è praticamente assente, questo effetto
protettivo viene a mancare ed il rapporto sessi nelle madri fumatrici è in
media inferiore a quello osservato nelle madri non fumatrici a paragone
delle popolazioni che presentano una frequenza più alta dell’allele *C.
DISCUSSIONE
A partire dal 1950 in varie popolazioni è stata osservata un’ inversione
nel rapporto sessi. Il fenomeno è probabilmente dovuto all’aumento
nell’ambiente di sostanze nocive e questo potrebbe rendere più evidente
il ruolo di fattori genetici protettivi.
Il fumo contiene migliaia di sostanze differenti, tra le quali i idrocarburi
aromatici responsabili del danno ossidativi (11). È stato osservato
che i livelli di alcuni biomarcatori sono differenti tra individui. suggerendo
che la variabilità genetica negli enzimi coinvolti nella degradazione
possano essere responsabili di questa variabilità.
Il polimorfismo di geni importanti nel metabolismo delle sostanze
contenute nel fumo potrebbe essere responsabile di una differente degradazione
di tali sostanze e quindi dell’entità del danno ossidativo. L’ACP1
potrebbe influenzare gli effetti dannosi del fumo di sigaretta attraverso la
regolazione della attività della glutatione reduttasi.
BIBLIOGRAFIA
1) Butler NR, Alberman ED. Perinatal problems. Edinburgh and London,
E&S Livingstone, 1969, p 339.
2) Fukuda M, Fukuda K, Shimizu T, Andersen CY, Byskov AG. Parental
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Lancet 2002; 359: 1407-1408.
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and the effect of maternal smoking on sex ratio of offspring. Am J of
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low-molecular-weight acid phosphotyrosyl phosphatase gene, ACP1.
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phosphatase isozymes. Biochem Genet 1987; 25: 901-918.
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biochemical mechanisms. Archivum Immunologiae et Therapiae Experimentalis
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7) Bottini N, Stefanini L, Williams S, Alonso A, Merlo J, Jascur T, Couture
C, Mustelin T. Activation of ZAP-70 through specific dephosphorylation
at the inhibitory Tyr-292 by the low molecular weight phosphotyrosine
phosphatase (LMPTP). J Biol Chem 2002; 277: 24220-24224.
8) Mohrenweiser HW, Novotny JE. ACPgua-1-1: a low activity variant
of human erythrocyte acid phosphatase: association with increased
glutathione reductase activity. Am J Hum Genet 1982; 34: 425.
9) Hopkinson DA, Spencer N, Harris H. Red cell acid phosphatase variants:
a new human polymorphism. Nature 1963; 199: 969-971.
10) Lazaruk KDA. Molecular genetics of human red cell acid phosphatase,
PhD dissertation, University of California, Berkeley, CA, Professor
Sensabaugh GF, Chair, 1995.
11) al Senaidy AM, al Zahrany YA, al Faqeeh MB. Effects of smoking
on serum levels of lipid peroxides and essential fat-soluble antioxidants.
Nutr Health 1997; 12:55-65.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 57
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III SESSIONE
PROTOCOLLI DI SORVEGLIANZA SANITARIA
P-01
ALCOL E LAVORO: UNO STUDIO ESPLORATIVO
L. Vimercati1 , A. Lo Izzo1 , V. Carbonara2 , T. Simone2 ,
M.T. Salerno2 , G. Assennato1 1 Sezione di Medicina del Lavoro “Ramazzini” del Di.M.I.M.P.
dell’Università degli Studi di Bari
2 Unità di Alcologia dell’Unità Operativa di Medicina Interna
“A. Murri” dell’Università di Bari - Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università degli Studi di Bari Policlinico, Piazza G. Cesare, 11
- 70124 Bari
Corrispondenza: Luigi Vimercati - Dip. di Medicina Interna
e Medicina Pubblica, Sez. di Medicina del Lavoro B. Ramazzini
- Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari,
Policlinico, Piazza G. Cesare, 11 - 70124 Bari, Italy - Tel. 080-5478256,
Fax 080-5478370, E-mail: l.vimercati@medlav.uniba.i
ALCOHOL AND WORK: AN EXPLORATIVE STUDY
Key words: alcohol, work, job fitness.
ABSTRACT. Alcohol abuse at workplaces in Italy is likely
underestimated, due to the fact that only few data are available.
This phenomenon is difficult to describe because of the limited
information and the lack of validated methods of data collection.
On their basis we performed a survey, using the data collected by
the Alcohol Unit of Internal Medicine of the Bari University, to assess
the prevalence of alcohol-addiction in different economic activities,
as cathegorized according to ATECO 91 classification.
In the studied sample, the most numerous group was rapresented
by unemployed (19.9%). Among workers, the building industry showed
a prevalence data (7.7%) which is comparable to the result of the
Public Administration (7.4%).
This work suggests the need to set up a national surveillance system,
based on validated methods for data collection, that would eventually
result to an useful tool for those in charge of the prevention of alcoholrelated
risk.
INTRODUZIONE
Il problema dell’uso di alcolici in ambito lavorativo è di certo sottostimato,
sia per l’assenza di un monitoraggio sull’effettivo impatto di
questa abitudine voluttuaria nei luoghi di lavoro sia per una scarsa attenzione
prestata dai medici competenti ad indagare il fenomeno. Secondo
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) oltre il 10% degli infortuni
sul lavoro può trovare un’interpretazione eziologica nell’uso di bevande
alcoliche. L’assenza di dati su eventuali eventi infortunistici connessi
all’uso di bevande alcoliche è oltremodo sorprendente se si considerano
i principi ispiratori del D.Lgs. 626/94, che attribuiscono ai datori
di lavoro un ruolo prioritario nell’informazione e sensibilizzazione dei lavoratori
sui rischi lavorativi intesi in senso lato, non necessariamente
strettamente connessi agli xenobiotici utilizzati nel ciclo produttivo.
MATERIALI E METODI
Nella presente indagine abbiamo voluto esplorare la possibilità di
utilizzare le cartelle cliniche dell’Unità di Alcologia dell’Unità Operativa
di Medicina Interna “A. Murri” per stimare eventuali differenze di prevalenza
dell’alcol-dipendenza in riferimento alle diverse attività economiche.
In particolare, abbiamo esaminato 311 cartelle cliniche registrate
presso l’Ambulatorio di Alcologia in riferimento ai casi pervenuti all’osservazione
del Centro negli anni 2000-2005. È stata operata la codifica
della professione riportata in anamnesi, utilizzando la Classificazione
delle attività economiche ATECO 91 (1° livello - 17 voci) al fine di rendere
comparabili i dati ottenuti con altri studi simili (Tabella I).
Tabella I
ATTIVITÀ ECONOMICA (Classificazione ATECO 91) N %
disoccupato 62 19,9%
G - Commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione
di auto, moto e di beni personali e per la casa 34 10,9%
casalinga 32 10,3%
F - Costruzioni 24 7,7%
D - Attività manufatturiere 23 7,4%
L - Pubblica amministrazione e difesa 23 7,4%
pensionato 17 5,5%
H - Alberghi e ristoranti
K - attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca,
16 5,1%
altre attività imprenditoriali e professionali 16 5,1%
A - Agricoltura, caccia e silvicoltura 14 4,5%
I - Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 13 4,2%
N - Sanità e altri servizi sociali 8 2,6%
M - Istruzione 6 1,9%
P - sevizi domestici presso famiglie e convivenze 6 1,9%
O - Altri servizi pubblici, sociali e personali 5 1,6%
Invalido 4 1,3%
J - Intermediazione monetaria e finanziaria 4 1,3%
B - Pesca 2 0,6%
Studente 2 0,6%
TOTALE 311 100%
RISULTATI
Da questa prima indagine esplorativa è risultato, come atteso, che il
gruppo di alcolisti maggiormente rappresentato nella casistica è costituito
dai disoccupati (19,9%). Tra gli occupati invece, l’attività economica rappresentata
da “Commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di auto,
moto e di beni personali e per la casa” conta il maggior numero di alcolisti
pervenuti all’Unità di Alcologia (10,3%), trattandosi comunque di
una categoria che raccoglie al suo interno numerose tipologie di lavoro,
particolarmente diffuse nel Meridione d’Italia. Il settore delle costruzioni,
nel quale dati di letteratura riportano un diffuso abuso di bevande alcoliche,
si trova invece al secondo posto nella nostra casistica (7,7%), tra le
attività economiche, quasi alla pari con le attività manufatturiere e perfino
con gli impiegati della pubblica amministrazione (7,4%). Rispetto al
settore edile vi sono stati più casi di alcolisti anche nel gruppo delle casalinghe
(10,3%). Tale gruppo potrebbe però essere affetto da un bias di
classificazione, poiché alcune di esse potrebbero in realtà essere donne
disoccupate in cerca di occupazione. Oltre il 5% dei casi appartiene alla
categoria “Alberghi e ristoranti”. Ugualmente rappresentata la categoria
dei liberi professionisti e imprenditori e, tra le categoria non lavorative,
quella dei pensionati. Un discreto numero di casi è stato registrato anche
nei lavoratori agricoli (4,5%).
DISCUSSIONE
Questa prima analisi esplorativa suggerisce la necessità di approfondire,
con studi ulteriori e possibilmente mirati, la prevalenza dell’alcolismo
nei vari settori produttivi, che non appare sempre coerente con
quanto descritto in letteratura e a maggior ragione con quanto presente
nell’immaginario collettivo. Difficile pensare, ad esempio, che il problema
dell’alcolismo possa riguardare anche i lavoratori della Sanità o
dell’Istruzione. Ne deriva la necessità di una maggiore consapevolezza
del problema dell’alcol-dipendenza, soprattutto in chi deve operare nell’ambito
della prevenzione (inclusi i Medici Competenti) ed nei settori a
maggior rischio infortunistico.
L’implementazione delle cartelle cliniche in uso presso l’Unità di
Alcologia, con una più accurata anamnesi lavorativa, potrebbe in parte
colmare l’attuale discordanza di dati associata ad una mancanza di
standardizzazione delle procedure atte ad indagare il fenomeno alcol.
L’eventuale adozione in altre sedi regionali di analoghe iniziative potrebbe
inoltre essere di ausilio alla realizzazione del programma nazionale,
supportato dal Ministero della Salute e dalle amministrazioni regionali,
di prevenzione ed identificazione dei rischi correlato al consumo
di alcol.

58 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
BIBLIOGRAFIA
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2) Piano d’Azione Europeo sull’Alcol 2000-2005, Alcologia 12 (1), 61-
68. Organizzazione Mondiale della Sanità, tr. it. (2000).
3) Bacciconi M, Patussi V. Disposizioni per la sicurezza sul lavoro nella
legge quadro in materia di alcol. Tra restrizioni impositive e agevolazioni
propositive, alla luce del Piano Europeo sull’Alcol 2000-
2005. Alcologia, XVIII, 3, Suppl., XIV 2002; 1: 209-214,
4) Lambert SD. The role of the occupational physician in substance
abuse. Occup Med, State of art 2002; 17: 1-12.
5) Mandell W, Eaton WW, Anthony JC, Garrison R. Alcoholism and occupations:
a review analysis of 104 occupations. Alcohol Clin Exp
Res 1992; 16: 734-746.
P-02
ALCOOL?… NON CI CADO!
A. Cocchini1 , A. Castelli1 , N. Cacchione1 , G. Di Feliciantonio1 ,
V. Rosci1 , V. Liberati1 1 ASL Teramo Circonvallazione Ragusa 1 Teramo
Corrispondenza: Dr.ssa Amalia Cocchini - SPSAL, Via Iachini, 21
- 64010 Nereto, Italy - Tel. 0861-888256, Fax 0861-888255,
Cell. 338-3802160, E-mail: amalia.cocchini@aslteramo.i
ALCOHOL?… I WON’T FALL FOR IT!
KEY WORDS: alcool, infortunio, edilizia.
ABSTRACT. Article 15 of Law n°. 125/01 identifies SPSAL
occupational medicine inspectors as those responsible for checking
alcohol levels at the workplace. It was therefore decided to perform an
investigation to assess the degree of alcohol consumption at building
sites and any possible correlation between the observed phenomenon
and accident rates.
The measurements were carried out at building sites chosen at random
throughout the ASL of Teramo from Monday to Friday from 9 to 11 a.m.
and from 1 to 4 p.m.
Firstly the initiative was explained to the individual workers to obtain
their informed consent. Their alcohol levels were then checked, the
results presented to the subjects, and relevant information distributed,
including a booklet entitled “Alcohol? … I won’t fall for it!”.
The results show that alcohol is in fact consumed during working hours,
especially after the lunch break and among the elder workers.
A comparison between the findings and INAIL statistics indicate
a significant correlation between alcohol consumption during working
hours and accident rates in the workplace.
INTRODUZIONE
L’assunzione di bevande alcoliche durante l’orario di lavoro o nelle
fasi immediatamente precedenti l’attività lavorativa, può essere uno dei
fattori che influenzano in maniera significativa la condizione psicofisica
del lavoratore. Per tale motivo, dopo l’emanazione dell’atto d’intesa del
16 marzo 2006 che individua le attività lavorative che comportano un elevato
rischio di infortuni sul lavoro, per le quali si fa divieto di assunzione
di bevande alcoliche, considerato che l’art. 15 della L. n. 125/01 individua
le figure preposte ai controlli alcolimetrici nei luoghi di lavoro nei
medici del lavoro dei servizi PSAL con funzioni di vigilanza, è maturata
l’iniziativa di effettuare un’indagine sul campo per valutare l’entità dell’assunzione
di alcool nel comparto edile-costruzioni e se esiste correlazione
tra il fenomeno osservato e l’incidenza infortunistica.
MATERIALI E METODI
Sono stati effettuati, nel periodo estivo 2006, controlli alcolimetrici
in 60 cantieri su 342 lavoratori, costituenti un campione significativo
(320+/-25) rispetto agli addetti del comparto edilizia-costruzioni, desunti
dalla banca-dati Inail/2004, corrispondenti a 3373 lavoratori, soggetti a
vigilanza SPSAL e aventi PAT-INAIL nel territorio di competenza della
ASL di Teramo.
È stato utilizzato etilometro Alcotest 7110 della ditta Drager-safety,
omologato dal Ministero dei Trasporti, gentilmente concesso dalla Polizia
Stradale di Teramo e L’Aquila.
Le misurazioni sono state effettuate nei cantieri, scelti casualmente
in tutte le zone del territorio di competenza, operando dal lunedì al venerdì
nelle fasce orarie 9-11 e 13-16.
L’iniziativa ha previsto una fase illustrativa, propedeutica all’atto del
consenso informato da parte dei singoli lavoratori, l’effettuazione del
controllo alcolimetrico, la rappresentazione del risultato al singolo lavoratore
ed un’attività di informazione che ha compreso tra l’altro la consegna
a ciascun lavoratore dell’opuscolo “Alcool?…non ci cado”.
Il protocollo operativo ha previsto:
– fino a 0.2 g/l – nessun intervento;
– da 0.2 a 0.4 g/l – comunicazione al M.C.;
– da 0.4 a 0.5 g/l – comunicazione al M.C.;
– allontanamento dal luogo di lavoro;
– > 0.5 g/l – comunicazione al M.C.;
– allontanamento dal luogo di lavoro;
– prescrizione al Datore di Lavoro (art. 4 comma 5
lettera f) D.Lvo 626/94) qualora non avesse richiesto
l’osservanza da parte dei singoli lavoratori
di quanto previsto dall’art. 15 L. 125/01;
– prescrizione al Lavoratore (art. 5 comma 2 lettera
a) del D.Lvo 626/94) qualora specifiche disposizioni
aziendali attestassero il divieto di assunzione
e somministrazione di bevande alcoliche.
RISULTATI
Nessun lavoratore si è rifiutato di sottoporsi al test.
Il 9% del campione ha assunto alcool, di questi il 19% ha valori alcolimetrici
superiori a 0.5 g/l (grafico 1 e 2)
Maggior numero di positivi:
nella fascia oraria pomeridiana (grafico 3);
nel giorno di lunedì (grafico 4);
nella fascia d’età compresa tra i 46/50 anni (grafico 5).
Consenso per l’iniziativa.
Grafico 1
Grafico 2

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 59
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Grafico 3
Grafico 4
Grafico 5
DISCUSSIONE
Dai risultati ottenuti emerge un’effettiva assunzione d’alcool (durante
l’attività lavorativa) più evidente nella fascia oraria pomeridiana,
(dopo la pausa pranzo) e nella fascia d’età 46/50 anni, il che fa ritenere
che a pranzo il consumo di alcool rientra in un’abitudine alimentare consolidata.
Si sono altresì rilevati stereotipi culturali e comportamentali più
evidenti nei lavoratori di età superiore a 40 anni, secondo i quali quando
si ha sete è bene assumere bevande alcoliche.
Il raffronto dei dati ottenuti con gli indicatori statistici INAIL del
comparto in esame, ha evidenziato una loro sostanziale sovrapposizione
che induce a correlare il consumo d’alcool all’evento infortunio.
Dato significativo è stato l’atteggiamento favorevole del campione
indagato nei confronti dell’iniziativa.
BIBLIOGRAFIA
1) Iavicoli S, Soleo L, Palmi S, Persechino B. Il medico del lavoro e le
strategie per la prevenzione degli infortuni alcol-correlati. G Ital Med
Lav Erg 2002; 24: 3, 288-292.
P-03
RILEVAZIONE DEGLI INTERVENTI DEL SISTEMA DI EMERGENZA
DEL SERVIZIO SANITARIO REGIONALE (118) NEGLI IMPIANTI
DI LAVORO E NEGLI UFFICI
A. Sacco 1 , E. Malandruccolo 4 , G. Monteforte 3 , M.T. Mirone 2 ,
A. De Santis 3
1 Struttura Complessa di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti
di Lavoro - Azienda USL Frosinone, Via A. Fabi - 03100 Frosinone
2 Struttura Semplice di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti
di Lavoro - Distretto “A” di Anagni-Alatri, Azienda USL Frosinone,
Via Giminiani snc - 0312 Anagni (FR)
3 Struttura Complessa ARES 118, Via A. Fabi - 03100 Frosinone
4 Corso di Laurea “Infermieri” Università degli Studi di Roma
“La Sapienza” e Azienda USL di Frosinone, Via A. Fabi
- 03100 Frosinone
Corrispondenza: Angelo Sacco, Struttura Complessa di Prevenzione
e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro - Azienda USL Frosinone,
Via Armando Fabi s.n.c. - 03100 Frosinone, Italy
- E-mail: angelo.sacco@aliceposta.it
SURVEY OF THE INTERVENTIONS OF THE SYSTEM
OF EMERGENCY OF THE REGIONAL SANITARY SERVICE
(118) IN THE INDUSTRIAL FIRMS AND IN THE OFFICES.
Key words: first aid, occupational injuries, emergency services.
ABSTRACT. The D.M. 388/03 assign an important role to the vigilance
systems of the ASLs and to the services of territorial emergency
in integration of services of first aid. Intervention reports of the 118,
in an area representing the industrial reality in the province
of Frosinone were analysed, in order to evaluate the characteristics
of acute events occurred in workshops and in offices.
This study evidenced elements of great interest which should be taken
in great consideration while teaching to workers assigned to the first
aid role, improving the system of emergency of the Regional Sanitary
Service role and the endowment of first aid kits.
INTRODUZIONE
Il D.M. 388/03 prevede un ruolo attivo dei sevizi pubblici di vigilanza
e di emergenza nella integrazione dei servizi di pronto soccorso
aziendale. Per conoscere le caratteristiche degli eventi acuti occorsi negli
opifici e negli uffici, sono state consultate le schede di soccorso degli interventi
dell’ARES 118 nelle aziende e negli uffici di un territorio rappresentativo
della realtà industriale della provincia di Frosinone.
MATERIALI E METODI
Sono stati rilevati, utilizzando le schede di soccorso relative al triennio
2003-2005, gli interventi eseguiti da 9 postazioni su 13 dell’ARES
118 insistenti sul territorio a maggiore densità industriale della provincia
di Frosinone. Dalle schede sono stati estrapolati i seguenti dati: data dell’intervento,
postazione che ha eseguito l’intervento, sesso ed età del paziente,
luogo dell’evento, tipologia dell’azienda, criticità dell’evento,
esito, tipo di trattamento, diagnosi. I dati sono stati tabulati utilizzando un
apposito foglio elettronico ed elaborati con uno specifico programma statistico.
RISULTATI
Popolazione. Nel periodo di studio sono stati registrati 268 interventi.
Nel complesso, 24 interventi (il 9%) sono stati effettuati in uffici e
244 in impianti industriali (il 91%). Nel 67% gli interventi hanno riguardato
soggetti maschi mentre nel 33% hanno riguardato lavoratrici. La popolazione
aveva età media di 40,7±12,3 anni.
Interventi. La criticità dell’evento all’invio è stata caratterizza nel
59,8% dei casi da codici gialli e nel 29,4% da codici verdi. La criticità
dell’evento all’arrivo si è così distribuita: codice 4: 1,9% degli interventi,
codice 3: 6%, codice 2: 31,3%, codice 1: 54,9% ed essa non differiva di
molto dalla criticità al rientro.
Diagnosi. In base al tipo di diagnosi elaborata all’arrivo, nel 37,6%
dei casi, gli eventi sono stati di tipo traumatico, mentre nel 60% dei casi

60 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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si è trattato di malori. In quattro casi (1,7%) non è stato possibile classificare
il tipo di evento ed in due casi (0,7% dei casi) si è trattato d’intossicazione
acuta. Tra i 161 malori, l’11,1% è stato caratterizzato da eventi
cardiocircolatori, mentre 17 (6,3%) da eventi neurologici.
Esito. Nell’1.5% dei casi l’intervento ha registrato il decesso avvenuto
in tre casi in seguito a trauma, in due casi per cause non precisate.
Tipo di trattamento. In 7 casi (2,6% di tutti gli interventi) si è reso necessario
l’utilizzo del defibrillatore. Nell’11,1% dei casi si è reso necessario
un trattamento con ventilazione assistita, mentre nel 5,6% i sanitari
hanno immobilizzato il collo della vittima. In 5 casi si è reso necessario
l’utilizzo della barella a cucchiaio (1,9%) e in 32 di quella spinale (12%).
In 16 casi (6%) è stato necessario eseguire medicazione mentre in 5 casi
(1,9%) procedure di emostasi e in 13 casi (4,9%) posizionare steccobenda.
DISCUSSIONE
Dai risultati di questa ricerca si evincono elementi di grande interesse
ai fini della programmazione degli interventi di pronto soccorso sia da
parte delle aziende interessate, sia da parte del sistema di emergenza del
servizio sanitario regionale.
La prima osservazione che può essere tratta da una analisi descrittiva
dei dati è che gli interventi hanno riguardato soprattutto gli opifici con
complessivi 244 interventi, per quanto anche un certo numero non irrilevante
di accessi si è reso necessario presso le realtà del terziario.
Come atteso, il numero maggiore degli interventi ha riguardato i territori
a più alta densità industriale (nell’ordine, Frosinone, Anagni e Cassino)
ed ha interessato soggetti giovani di sesso maschile che rappresentano
ancora oggi la parte prevalente della forza lavoro.
I dati raccolti sulla criticità dell’evento all’invio (classificata dall’operatore
di consolle sulla base dei protocolli di triage) ha mostrato una
prevalenza dei codici gialli e verdi ed una modesta prevalenza dei codici
bianchi. Il dato sembrerebbe asseverare una discreta capacità dell’estensore
della chiamata (soccorritore non professionale) alla classificazione
degli eventi, per quanto sia evidente dal confronto con la distribuzione
degli interventi per criticità all’arrivo, una discreta sovrastima della gravità
degli eventi. In relazione alla diagnosi elaborata all’arrivo, oltre 1/3
degli eventi (il 37,6%) sono stati di tipo traumatico, mentre nel 60% dei
casi si sono registrati malori. Soltanto in due casi nell’intero triennio
(0,7% dei casi) si è trattato d’intossicazione acuta.
Dalla analisi del dato sulla tipologia dell’evento che ha richiesto l’intervento
è possibile osservare che sono stati poco più di un centinaio gli
eventi traumatici per i quali è partita dall’azienda la chiamata al 118, a
fronte di un fenomeno infortunistico nella provincia ben più rilevante, caratterizzato
da circa 6000 eventi l’anno dei quali 1/10 con esiti in invalidità
permanente. L’analisi dei 161 malori ha mostrato una quota significativa
di eventi cardiovascolari (11,1%), neurologici e psichiatrici. Parte
rilevante degli eventi psichiatrici è stata cagionata da aggressioni fisiche
e verbali che sono state registrate in un numero non insignificante di interventi.
Relativamente al tipo di trattamento, i dati hanno mostrato che
in 7 casi (2,6% di tutti gli interventi) si è reso necessario l’uso del defibrillatore,
mentre in 30 casi (11,1%) il trattamento con ventilazione assistita.
Questo dato conferma la grande importanza che molti autori danno
all’insegnamento delle tecniche di rianimazione cardiopolmonare di base
nei corsi per i lavoratori designati ivi compresa l’opportunità della estensione
dell’uso del defibrillatore ai laici nelle aziende più grandi.
In una modesta percentuale di casi (5,6%) si è reso necessario l’uso
del collare di Shanz e della barella a cucchiaio (1,9%); al contrario, più
frequentemente si è registrato l’utilizzo della tavola spinale (12%). Il dato
mostra come, almeno per le aziende a non elevato rischio traumatologico,
sia secondario l’approfondimento nei corsi di formazione sul personale
designato al pronto soccorso di temi riguardanti le tecniche di immobilizzazione
strumentale del collo e del rachide. In sintesi, tra gli elementi
di rilievo emersi dall’indagine abbiamo che la chiamata del 118 è ampiamente
sotto rappresentata se confrontata con le caratteristiche quantitative
del fenomeno infortunistico nella provincia oggetto di indagine, che
un numero non trascurabile di chiamate avviene per eventi per i quali
l’intervento è differibile e che un significativo numero di interventi hanno
richiesto il sostegno delle funzioni vitali.
Di tali elementi sarà opportuno tenere conto nella realizzazione degli
interventi di formazione dei lavoratori designati al pronto soccorso aziendale
(Sacco e Ciavarella 2003; Sacco et al., 2005), nella dotazione dei
presidi (Sacco et al., 2004) e nella integrazione degli interventi con il sistema
di emergenza del Servizio Sanitario Regionale.
BIBLIOGRAFIA
1) Sacco A, Ciavarella M. Il primo soccorso nei luoghi di lavoro. Corso
teorico-pratico di alfabetizzazione alle tecniche di Primo Soccorso
nei luoghi di lavoro. EPC Libri, Roma 2003; (pp. 560).
2) Sacco A, Ciavarella M, Monteforte G, De Santis A. Luci ed ombre
del regolamento sulla organizzazione del pronto soccorso in azienda.
Med Lav, 2004; 95(2): 161-163.
3) Sacco A, Ciavarella M, Trevisan A, Monteforte G, De Santis A. I requisiti
per i formatori dei lavoratori designati al primo soccorso
aziendale. Med Lav, 2005; 96(5): 403-408.
P-04
CRITERI DI IDONEITÀ PER IL LAVORO ALL’ESTERO: IL SETTORE
DELL’INFORMAZIONE
P. Bianco1 , V. Anzelmo2 1 Servizio Sanitario RAI Radiotelevisione Italiana Roma
2 Istituto Medicina del Lavoro, Università Cattolica S. Cuore, Roma
Corrispondenza: V. Anzelmo - Istituto Medicina del Lavoro,
Università Cattolica S. Cuore, L.go A. Gemelli 8 - 00168 Roma, Italy
- E-mail: vincenza.anzelmo@rm.unicatt.i
CRITERIA OF HEALTH EVALUATION FOR MASS MEDIA
OPERATOR IN FOREIGN COUNTRIES
Key words: work in foreign countries, criteria of health evaluation,
medical standard, lavoro all’estero, criteri di valutazione di idoneità,
standard sanitari.
ABSTRACT. The mass media operators represent a category
of workers in foreign countries with middle and short stay in different
times and areas during the same year. The risks are connected to
geographic area and country of destination (climate, area of residence,
infections, safety of the food and water), but also to critical situations
for events related to natural disaster, political and social situation.
They were studied 166 mass media operators that, in 2005, carried
out 358 missions in foreign countries in areas at high risk. The health
surveillance with clinical protocols and vaccine programs was carried
out using criteria of health evaluation codified.
INTRODUZIONE
Le profonde modificazioni dei mercati e dei comparti lavorativi
hanno evidenziato la necessità, per quasi tutti i settori produttivi, di esportare
non solo prodotti, ma anche uomini, esperienze e attività, con conseguente
incremento dei soggetti che viaggiano e soggiornano per lavoro
all’estero. Le aziende hanno attivato i supporti sanitari per garantire la tutela
della salute anche di questa particolare categoria lavorativa. Per molti
anni le aziende hanno gestito, in modo autonomo e con procedure preventive
e sanitarie diverse, questi lavoratori avendo come unico riferimento
il Regolamento Sanitario Internazionale recepito in Italia con la
Legge 106/82. Il DLgs 626/94 ha fornito le indicazioni metodologiche
per tutelare operatori la cui attività è spesso condizionata più che dai veri
e propri rischi da lavoro, da fattori collegati alle condizioni di soggiorno,
di vita e socio-politiche del paese ospitante. Nell’ambito delle classificazioni
del lavoro all’estero, gli operatori dell’informazione rientrano in
quello con soggiorni medio-brevi, ripetuti diverse volte all’anno, in aree
sempre diverse. La valutazione del rischio per questo comparto, deve tener
conto soprattutto dei rischi legati all’area geografica e al paese di destinazione:
le situazioni climatiche, l’area di residenza (urbana/extraurbana),
le condizioni abitative (presenza di vettori di infezione), le condizioni
di vita (condizioni igieniche, sicurezza del cibo e dell’acqua), i
mezzi di trasporto utilizzati ed il contesto socio-politico che è motivo
della missione lavorativa, ovvero seguire e documentare eventi internazionali
in aree geografiche, che possono anche comprendere situazioni
critiche per eventi legati a calamità naturali o a situazioni politiche, sociali
e belliche.
MATERIALI E METODI
Nell’anno 2005, 166 operatori dell’informazione, giornalisti e tecnici,
(di cui 125 maschi e 41 donne con età media di 47 anni) hanno svolto 358

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 61
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Tabella I. Stratificazione delle missioni per aree geografiche
e permanenza
missioni all’estero, per una durata di soggiorno complessiva di 2.872 gg.
Le aree di destinazione (Tabella I) hanno riguardato soprattutto l’Asia centrale
ed il Medio Oriente (61%), l’Africa (19%), l’Europa Meridionale e
quella Orientale (14%). Nella maggior parte dei casi aree geografiche a rischio
sia per fattori climatici che per contesti critici da un punto di vista
socio-politico. Per la sorveglianza sanitaria di questi operatori è applicata
una metodologia codificata che tiene conto dei parametri sopraindicati,
presenti nella valutazione dei rischi, e utilizza adeguati protocolli sanitari,
programmi vaccinali, specifici percorsi formativi. Sono state analizzate le
idoneità all’attività lavorativa all’estero dei 166 operatori dell’informazione
e la metodologia idoneativa è stata confrontata con i dati della letteratura.
I criteri di idoneità individuati, nell’ambito del binomio ambienteuomo,
si avvalgono dei seguenti parametri: a) area geografica di destinazione;
b) viaggio con livelli di rischio, c) durata del soggiorno, d) tipologia
della missione, e) età e sesso del lavoratore c) preesistenza di patologie,
d) condizioni di salute al momento della partenza.
RISULTATI
Dei 166 operatori dell’informazione, 152 sono risultati idonei a svolgere
l’attività in missioni all’estero; 9 operatori sono risultati temporaneamente
non idonei per patologie acute intercorrenti; 5 operatori sono risultati
non idonei per l’area geografica di destinazione in quanto lo stato
vaccinale al momento della partenza non era adeguato al rischio biologico
valutato.
DISCUSSIONE
Lo schema metodologico della medicina del lavoro applicata ai
viaggi, oggetto di specifica linea guida SIMLII, ha permesso di individuare
parametri idoneativi di esclusione e di limitazione codificati, legati
soprattutto all’area geografica di destinazione, alle patologie dei soggetti,
a fattori psicologici di rischio e di stress, allo stato vaccinale al momento
della partenza. La pianificazione del viaggio all’estero per i lavoratori
deve coinvolgere oltre ai settori aziendali responsabili, il medico del lavoro
che effettuerà i controlli sanitari per individuare soggetti affetti da
patologie o condizioni di vulnerabilità legata a condizioni particolari e lo
stato vaccinale. I risultati clinici dovranno essere rapportati alla tipologia
delle trasferte considerando anche il ruolo rilevante della motivazione
personale e dalle capacità di interagire adeguatamente con le realtà locali.
BIBLIOGRAFIA
1) Bianco P, Anzelmo V, Ieraci R, Comito M, Castellino N. Prospettive
interdisciplinari per la tutela dei lavoratori che viaggiano e soggiornano
all’estero: travel and occupational medicine.
2) Atti Convegno “I viaggi all’estero e le patologie da rientro” Roma,
novembre 2004; 35-50.
P-05
LA VALUTAZIONE DEL “DANNO BIOLOGICO” NELLE TECNOPATIE
E NELL’INFORTUNISTICA SUL LAVORO. NOSTRE ESPERIENZE
A OLTRE CINQUE ANNI DALLA PUBBLICAZIONE DELLA TABELLA
F. Martire1 , G. De Luca2 1 Medico del Lavoro, Coordinatore Regionale Medicina Legale
del Lavoro Patronato INCA CGIL Calabria
2 Medico del Lavoro; Medico Competente
Corrispondenza: Coordinamento Regionale Calabrese Danni
da Lavoro, Servizio Sanitario Patronato INCA - CGIL
- calabria@inca.it, Via Massara, 22 - 88100 Catanzaro, Italy
- Tel. 0961-74657/747736, E-mail: francomartire@aliceposta.it
Francesco Martire, Via Sicilia, 43 - 87100 Cosenza, Italy
EVALUATION OF THE “BIOLOGICAL DAMAGE” IN THE
PROFESSIONAL DISEASES AND IN THE ACCIDENTS
ON THE JOB. RESULTS AFTER OVER FIVE YEARS
OF EXPERIENCE.
Key words: biological damage, professional diseases, accidents
on the job, danno biologico, infortunio, malattia professionale.
ABSTRACT. The investigation has been developed on 845 workers
submitted to a collegial medical visit in order to appraise occupational
pathologies. The collegial medical visit has been effected in consequence
of an opposition introduced by a worker to contest a medical evaluation
which had already been expressed by a coroner doctor of the national
institute for accidents and health insurance (Inail).
In this investigation, which lasted over 5 years, it is possible
to underline the limits of the law whitch regulates the evaluation
of the biological damage to the workers.
In conclusion, sonne new proposals to supplement the quoted law
hawe been obtained, as well as effective suggestions for the
occupational deseases doctor that assists the worker in the
medico-legal and judicial cases.
INTRODUZIONE
Il contenzioso medico legale sulla valutazione di una infermità conseguente
ad infortunio sul lavoro o malattia professionale è regolata dall’art.
104 del DPR n. 1124 / 65 per cui l’assicurato che vuole opporsi ad
una valutazione espressa dal medico dell’INAIL, prima di ricorrere al
contenzioso giudiziario, comunica formalmente il proprio dissenso all’Istituto
e si fa assistere da un medico di fiducia o da un medico di Patronato
(ai sensi e per gli effetti della L. 533 / 1973 che modifica il capo II,
art. 442 e 443, del Titolo IV del libro II del codice di procedura civile approvato
con R.D. n. 1443 del 28/10/1940). Pertanto, la “collegiale medica”
che ne consegue rappresenta un importante tentativo di composizione
del contenzioso in via pre-giudiziaria. In tale contesto si realizza in
contraddittorio, tra il medico Inail ed il medico del Patronato, un attento
esame obiettivo dell’infortunato ma anche una circostanziata analisi della
documentazione inerente le visite specialistiche e degli accertamenti strumentali
effettuati dallo stesso. L’obiettivo è quello, arduo, di ottenere una
giusta valutazione del danno subito, evitando al lavoratore il ricorso alle
vie legali; ma, in caso di disaccordo tra le parti, il compito del medico del
Patronato è quello di giustificare con professionalità il proprio dissenso
(che verrà verbalizzato) impostando, così, correttamente il prosieguo del
contenzioso medico legale. In conseguenza del D.L.vo n. 38 del 2000, la
valutazione del danno derivante da infortunio sul lavoro o da tecnopatia
viene effettuata come “danno biologico”.
MATERIALI E METODI
La nostra esperienza è stata condotta attraverso l’assistenza per la tutela
medico-legale diretta dei lavoratori infortunati o affetti da malattia
professionale, nell’ambito delle visite mediche collegiali nel territorio
della provincia di Cosenza. Il periodo preso in considerazione va dall’anno
2000 a tutto il mese di Luglio 2006. Il numero complessivo di casi
esaminati è di 845: di questi, 402 casi sono stati valutati come “danno
biologico”. Il 93% del totale complessivo era rappresentato da danni conseguenti
a infortunio sul lavoro ed il 7% da malattie professionali.
RISULTATI
L’esito dell’indagine, condotta con le modalità e con i casi precedentemente
esposti, ha dato i seguenti risultati:
– nel 69% dei casi è stato collegialmente riconosciuto un incremento
dei punti percentuali precedentemente assegnati dall’Ente assicuratore;
– nel 13% dei casi la collegiale si è chiusa con parere discorde delle
parti medico-legali, predisponendo il contenzioso giudiziario;
– nel 10% dei casi il punteggio è rimasto invariato;
– nell’ 8% dei casi non si è proceduto alla valutazione del danno in
quanto la collegiale era stata accolta in modo non strettamente
conforme ai requisiti legali di cui all’art. 104 del D.P.R. 1124 / ’65.

62 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
Un’altra conseguenza della presente indagine è l’acquisizione di utili
conoscenze derivanti dal confronto delle due gestioni INAIL: da un lato le
valutazioni medico-legali del danno da lavoro nel contesto della “vecchia
gestione” INAIL (ossia come valutazione della “capacità di lavoro generica”
sulla base delle tabelle annesse al D.P.R. n. 1124 / ’65) dall’altro
quelle effettuate con la “nuova gestione” INAIL (ossia come “danno biologico”,
sulla base delle tabelle di cui al D.M. del 12/07/2000). Il fine è
quello di offrire delle valide proposte volte al perfezionamento ed al miglioramento
del nuovo sistema di valutazione medico legale per assicurare
una equa tutela del lavoratore infortunato o affetto da malattia professionale.
Inoltre, l’esperienza conseguita può indicare al medico del lavoro,
impegnato nell’assistenza medico legale del lavoratore affetto da danni da
lavoro, una procedura efficace che possa realizzare risultati tangibili ai fini
del risarcimento economico del danno stesso.
CONCLUSIONI E DISCUSSIONE
I risultati dell’indagine confermano una discrepanza valutativa tra la
tabella in uso nella nuova gestione INAIL (di cui al D.M. del Luglio
2000) e la tabella in uso nella vecchia gestione INAIL (annessa al DPR
1124/65). Tale discrepanza viene costantemente e puntualmente registrata
con particolare riferimento alle patologie di tipo osteo-articolare (lassità
articolari; anchilosi; amputazioni; limitazioni funzionali, fratture, lesioni
di parti molli; ecc.) che rappresentano una buona parte delle lesioni riscontrate
(circa il 68% del totale). Il presente studio ha evidenziato, inoltre,
l’assenza delle menomazioni o infermità appresso indicate nelle tabelle
di cui al DM del Luglio 2000:
– fratture e brecce craniche e loro esiti;
– ematomi extradurali; parenchimali e loro esiti;
– glaucoma; cataratte post traumatiche;
– frattura di radio ed ulna contemporaneamente;
– ernia discale del tratto dorsale;
– esiti di intervento di laminectomia con differenziazione dei tre tratti
del rachide;
– frattura del bacino;
– frattura della rotula;
– frattura dei metatarsi;
– perdita dell’alluce e del corrispettivo metatarso;
– protesi d’anca;
– rottura e lesione dei legamenti della caviglia.
La carenza delle suddette voci nella tabella di riferimento, spesso ha
determinato la chiusura della collegiale con “parere discorde” (tra medico
INAIL e medico di Patronato) e l’avvio del contenzioso giudiziario. In
conclusione, l’attenta analisi dei risultati del presente lavoro conduce all’individuazione
di alcune importanti (e, talora, decisive) procedure atte
a assicurare al medico del lavoro un’efficace intervento medico-legale a
tutela del lavoratore; in particolare si individuano le seguenti procedure
operative:
1) Prima di istruire una istanza di opposizione, è indispensabile accompagnare
il lavoratore nell’iter clinico-diagnostico ed essere certi
della diagnosi dettagliata della menomazione.
2) Se il lavoratore infortunato presenta una lesione che non è clinicamente
ben caratterizzata (in alcuni casi ci si ferma alla mera diagnosi
del pronto soccorso), oppure se è stata formulata solo la diagnosi
della lesione più appariscente trascurando eventuali altre lesioni minori:
è necessario proporre l’esecuzione di ulteriori approfondimenti
diagnostici specifici.
3) In sede di visita medica collegiale occorre produrre tutta la nuova documentazione
sanitaria comprensiva anche degli approfondimenti
diagnostici.
4) La valutazione medico legale dovrà tenere conto, ove previsto, sia
della lesione anatomica intesa in senso stretto, sia della compromissione
funzionale e, se il caso, di quella estetica, in un contesto valutativo
multifattoriale che garantisca un indennizzo (o una rendita)
equo e proporzionato.
5) Valutare la possibilità di denunciare come malattia professionale
quei danni da lavoro (accuratamente vagliati) con difetto di “causa
violenta”, erroneamente denunciati come infortunio.
BIBLIOGRAFIA
1) Circolare INCA n. 22 del 23.2.2000 - Nuove disposizioni in materia
di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali - Decreto
legislativo approvato 1’11.2.2000.
2) Decreto Legislativo n. 38 del 23 Febbraio 2000 - recante disposizioni
in materia di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali,
a norma dell’art. 55, comma 1, della legge 17 maggio
1999, n. 144.
3) Circolare INCA n. 55 del 13.4.2000 - Danno biologico - art. 13 del
decreto legislativo n. 38/2000.
4) Martire F. Il danno biologico nella nuova gestione degli infortuni e
delle malattie professionali. Prime esperienze e valutazioni – Scripta
medica brutia - 2002, vol. XIX, n. 2/3, (99-106) - ed. Bios Cosenza.
P-06
MEDICINA DEL LAVORO IN OSPEDALE ED E-LEARNING:
CONTRIBUTO ALLO SVILUPPO DELLE ATTIVITÀ DI INFORMAZIONE
E FORMAZIONE
E. Nicoli1 , P. Melodia1 , P. Almagioni1 , L. Piacenza1 , M. La Gioia1 1 ICH - Istituto Clinico Humanitas, Via Manzoni, 56 - 20089 Rozzano
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Corrispondenza: Dr. Nicoli Ettore, Viale Romagna, 11
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HOSPITAL OCCUPATIONAL MEDICINE AND E-LEARNING:
DEVELOPING ACTIVITIES OF FORMATION AND INFORMATION
Key words: hospital, formation, e-learnig.
ABSTRACT. The purpose of this paper is to present our experience
of activities of formation and information on security and health
prevention implemented during the last 10 years in a big hospital
(700 beds and 1800 employees). The formation and information
activities have been developed with a multidisciplinary collaboration
and implemented using many different communication techniques:
formal lessons, videos, tutoring, practical activities, questionnaires
and posters. For some specific working risks the chief nurse has been
provided with a multimedia support in order to form and check the
knowledge acquired by the staff. The final evolution of this project
is an E-learning platform that can exploit the informatics system
of the Hospital.
INTRODUZIONE
La attività di informazione e formazione relativa ai temi della sicurezza
e prevenzione ha acquisito negli anni una rilevanza sempre maggiore
nella applicazione di corrette procedure per operare in sicurezza,
nella conoscenza da parte dei lavoratori dei rischi lavorativi e nella acquisizione
di una maggiore consapevolezza del proprio ruolo e comportamento.
La necessità di una adeguata attività di informazione e formazione in
tutti gli ambiti lavorativi è d’altra parte sottolineata anche dai vigenti disposti
di legge relativi alla tutela della salute dei lavoratori (D.L.vo
626/94 e succ. mod. ecc.) che ne sanzionano la omissione.
Anche la Medicina del Lavoro ha rivolto negli anni particolare attenzione
a tale problema sia a livello nazionale (1, 2, 3) che internazionale
(4).
Il Medico del lavoro è infatti chiamato a collaborare alle attività di
informazione e formazione potendo fornire un contributo determinante in
molteplici ambiti. Tra i differenti comparti produttivi la sanità ed in particolare
il lavoro in ospedale costituisce uno dei settori ove è maggiormente
sentita la necessità di una efficace attività di informazione e formazione
per i lavoratori in virtù della varietà e potenziale gravità dei rischi
lavorativi esistenti. Il presente lavoro illustra il programma di informazione
e formazione sviluppato negli ultimi dieci anni in una struttura
ospedaliera di grandi dimensioni.
MATERIALI E METODI
Nel 1996 è iniziata la attività a Rozzano (Milano) di ICH - Istituto
Clinico Humanitas che in 10 anni si è rapidamente sviluppato raggiungendo
le attuali dimensioni di 700 posti letto e 1800 lavoratori con una
notevole differenziazione delle attività svolte (pronto soccorso, aree chirurgiche,
oncologiche, mediche ecc.).

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 63
www.gimle.fsm.it
La rapida crescita della struttura ha creato la necessità di definire un
adeguato programma di sviluppo e coordinamento delle attività di informazione
e formazione che tenesse conto delle seguenti peculiarità: 1) inserimento
nella struttura di gruppi consistenti di nuovi lavoratori (rapida
crescita); 2) definizione di nuove mansioni (apertura di nuovi reparti) e
conseguenti nuovi possibili rischi lavorativi; 3) inserimento di nuove figure
professionali (OSS, ASA ecc.); 4) elevato turn over del personale
(alta richiesta nel territorio di infermieri ecc.); 5) presenza di personale di
differente nazionalità e lingua; 6) necessità di incidere sul comportamento
dei soggetti in funzione di modelli organizzativi propri della struttura
(accreditamento Joint Commission International).
Il progetto è stato elaborato nell’ambito della collaborazione tra Medico
Competente e Direzione Risorse Umane ed Organizzazione prevista
dai vigenti disposti di legge ed è stato realizzato in ambito multidisciplinare
con il coinvolgimento dei Rappresentanti per la Sicurezza dei Lavoratori,
del Servizio Infermieristico, della Direzione Sanitaria e di differenti
componenti specialistiche. Sono stati inizialmente individuati gli argomenti
per i quali erano necessari interventi prioritari: informazione e
formazione generali su temi della sicurezza e prevenzione e organizzazione
della struttura (figure istituzionali, gestione delle emergenze ecc.),
tutela della salute delle lavoratrici (la larga maggioranza di personale
femminile rende tale argomento di particolare interesse), rischi lavorativi
specifici (movimentazione manuale di pazienti, rischio biologico, antiblastici,
gas anestetici, rischio chimico).
Sono quindi stati individuati tra i lavoratori i soggetti che avevano
già adeguata preparazione ed esperienza al fine di valorizzarli e coinvolgerli
come formatori o tutors su particolari argomenti. Successivamente
sono state individuate differenti tecniche di comunicazione che, iniziando
da una fase di informazione effettuata attraverso la distribuzione di materiale
cartaceo e di formazione in aula hanno compreso: a) distribuzione di
materiale informativo allo scopo realizzato (norme per la sicurezza generali
e organizzazione della struttura, piano di emergenza ecc.); b) realizzazione
di posters su temi specifici (movimentazione manuale di carichi,
rischio chimico, rischio biologico) affissi nei reparti; c) esercitazioni pratiche
(antiincendio, evacuazione dai reparti); d) attività di affiancamento
sul campo di tutors; e) acquisizione e realizzazione di filmati su argomenti
di particolare interesse (rischio biologico, movimentazione di pazienti
ecc.); f) organizzazione di corsi su temi specifici con esercitazioni
pratiche (formazione al corretto utilizzo di ausilii per la movimentazione
manuale di pazienti); g)somministrazione di questionari di verifica dell’apprendimento.
Nello sviluppo e realizzazione del programma di informazione e formazione
è stato in particolare valorizzato il ruolo dei preposti (caposala)
che hanno svolto un ruolo cardine sia in ambito formativo che nella conseguente
attività di vigilanza (puntuale applicazione delle procedure, utilizzo
di DPI ecc.). Si è inoltre rilevato come esista piena sintonia con
l’applicazione all’interno della struttura ospedaliera di comportamenti
propri di sistemi di qualità. Nel corso degli anni infatti la struttura ospedaliera
è stata certificata Joint Commision International e l’adesione ai requisiti
richiesti dall’Ente certificatore è stato di aiuto per lo sviluppo e la
realizzazione del programma oggetto della comunicazione.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Gli elementi caratterizzanti la esperienza maturata sono costituiti
dalla realizzazione di specifici moduli formativi multimediali da applicare
direttamente nei reparti ed utilizzati come supporto alla attività di
informazione e formazione affidata ai caposala e dall’impiego di tecniche
di formazione a distanza (E-Learning).
Nel primo caso sono stati ideati e sperimentati con successo 4 moduli
formativi riguardanti differenti argomenti (movimentazione manuale di
carichi, rischio biologico, DPI, blocchi operatori); tutti i moduli hanno la
caratteristica di utilizzare un approccio multimediale nella parte teorica
(slides, filmati, discussione), lasciando spazio nella settimana successiva
ad attività pratiche che prevedono affiancamento di tutor e una valutazione
finale (sia sulle conoscenze acquisite tramite questionario che sulla
applicazione delle stesse nel lavoro nei reparti con formalizzazione del
giudizio da parte dei caposala).
Il secondo caso rappresenta la più recente evoluzione del programma
che si sta avvalendo delle tecniche di formazione a distanza (E-Learning)
con la realizzazione di una originale piattaforma informatica volta a sfruttare
le potenzialità della struttura ospedaliera che è completamente cablata.
Le risorse intranet ed internet appaiono nella nostra esperienza
(come confermato nel recente Congresso Internazionale ICOH) una naturale
evoluzione del percorso di sviluppo di un moderno progetto di miglioramento
delle attività di informazione e formazione anche relativamente
alla medicina del lavoro in ospedale, consentendo di affrontare
tutti gli argomenti meritevoli di attenzione (rischi specifici, conoscenza
della normativa generale ecc.). Risultano inoltre uno strumento prezioso
per la flessibilità dell’accesso alle sessioni di informazione e formazione,
per la possibilità di garantire una formazione continua in virtù di un agevole
aggiornamento, per il coinvolgimento e lo sviluppo professionale dei
lavoratori coinvolti, per la possibilità di raggiungere anche lavoratori
stranieri utilizzando animazione e parti in lingua non italiana, per la possibilità
di verificare l’apprendimento all’interno del percorso formativo
con questionari, domande ecc. ed infine per la facilità di procedere ad un
opportuno tracciamento del percorso informativo e formativo seguito da
ogni singolo lavoratore sotto il controllo dei dirigenti e preposti.
BIBLIOGRAFIA
1) ISPESL La formazione utile. Banca dati nazionale dei percorsi formativi
di qualità. Rodamedia Comunication 2002.
2) Materzanini P. e coll. Efficacia di un programma di formazioneinformazione
di lavoratori esposti a Pb in funzione di variabili psicologiche.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25: 3 suppl 393-394.
3) Cairoli S. e coll. Le strategie preventive: le manovre sono sufficienti
a prevenire il rischio? La formazione del personale. La prevenzione
dei rischi da movimentazione manuale degli utenti della sanità
ASL provincia di Sondrio Sondrio 2005.
4) Special sessions: International distance learning program for occupational
safety and health Atti 28° International Congress on Occupational
Health 380-381 2006 Milano.
P-07
ASPETTI ETICI E DI LICEITÀ DELL’APPLICAZIONE DEGLI SCREENING
GENETICI IN AMBITO OCCUPAZIONALE
A. Asmundo1 , D. Sapienza1 , G. Spatari2 1 Sezione di Medicina Legale - Dipartimento di Medicina Sociale
del Territorio, Policlinico Universitario “G. Martino”, Messina
2 Sezione di Medicina del Lavoro - Dipartimento di Medicina Sociale
del Territorio, Policlinico Universitario “G. Martino”, Messina
Corrispondenza: Dr Giovanna Spatari - Sezione di Medicina
del Lavoro, Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Pad. H
Policlinico Universitario “G. Martino” Gazzi - Messina, Italy
- Tel. 090221.2060/2052, Fax 0902212569, E-mail: gspatari@unime.i
SCREENING GENETIC IN WORKPLACE: ETHICAL ASPECTS
AND LICEITY OF APPLICATION
Key words: genetic screening, ethical aspects, GSTT1 - GSTM1.
ABSTRACT. Genetic studies regarding occupational environments
(both experimental and epidemiological) include diagnostic procedures
that can be done for two purposes: genetic monitoring and genetic
screening. In occupational environments, genetic screening involves the
typization of the genetic polymorphism that directly codifies for enzymes
associated with the metabolism of xenobiotic agents. From a legal,
ethical-deontological and social point of view the use of genetic
screening in occupational medicine could be viewed as an unacceptable
practice; because rather than preventing risk of exposure, it is more
likely to be used as a strategy to maintain a work environment of
employees that are more resistant to cancerogenous risk. The analysis
of these genetic polymorphisms is a “pre-symptomatic” test, because
it identifies the risk of developing a disease in a relatively “healthy
worker” when the analysis is conducted (Dallapiccola B, 2003).
Therefore, the use of genetic tests could be a selective technique that
is not limited to the collection of familiar and personal medical history,
but also genetic history in order to verify the state of health and relative
working suitability of potential employees, by revealing hidden
predispositions and consequently preventing certain people from
working in certain environments because of their genetic defects
(Fiori, 2003).

64 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni si è assistito ad un crescente utilizzo dei test genetici
quali strumenti atti a valutare diversi indicatori di suscettibilità individuale
nei confronti di patologie lavoro-correlate. Tra gli indicatori di
suscettibilità individuale, i polimorfismi genetici che codificano per catene
enzimatiche direttamente coinvolte nel metabolismo di agenti xenobiotici,
rivestono un ruolo di peculiare importanza. Particolari indicatori
di suscettibilità individuale sono rappresentati dai polimorfismi relativi
all’espressione fenotipica della glutatione S-transferasi (GSTs) che
svolge un ruolo essenziale nella biotrasformazione di tossici endogeni ed
esogeni.Per la GSTs sono state indagate 4 sequenze geniche: GSTA,
GSTM, GSTP; GSTT. Dati della letteratura indicano variazioni geografiche
ed etniche della distribuzione delle frequenze dei genotipi dei suddetti
polimorfismi. La percentuale di individui che non esprimono l’enzima
codificato dal polimorfismo GSTM1 (GSTM1*0) è più elevata
nelle popolazioni caucasica ed asiatica che in quella africana; la frequenza
del genotipo null del GSTT1 (GSTT1*0) è nell’ordine del 60%
tra gli asiatici, del 40% tra africani ed all’incirca del 20% tra caucasici
(1). Cellule di soggetti omozigoti per i genotipi null del GSTM1 e del
GSTT1 risulterebbero maggiormente suscettibili di danno al DNA in relazione
all’esposizione a diversi agenti cancerogeni (2). Ciò premesso, gli
autori hanno indagato, su un campione popolazionistico i polimorfismi di
cui ai loci GSTM1 e GSTT1, al fine di determinare la frequenza in omozigosi
dell’allele “null” responsabile della mancata espressione della proteina
enzimatica a livello cellulare.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto su un campione di 150 soggetti non imparentati
tra loro ed in apparente stato di buona salute, residenti nella provincia
di Messina. Il DNA è stato estratto da sangue intero e/o tamponi
buccali con l’impiego della resina “Chelex 100”, secondo comune metodica
(3). L’amplificazione è stata effettuata mediante reazione polimerasica
a catena (PCR) utilizzando, quali “primers” d’innesco oligo-sequenze
della letteratura, coamplificando (“multiplexing”) i loci GSTT1,
GSTM1 e il gene della β-globina (quest’ultimo quale “controllo interno”,
positivo, della reazione medesima) con il seguente protocollo di amplificazione:
“denaturazione” a 95°C, “annealing” a 60°C ed “estensione” a
72°C, per un totale di 30 cicli. L’analisi dei prodotti di PCR è stata condotta
con elettroforesi verticale su gel denaturante ultrasottile (0.4 mm) di
poliacrilamide al 6%, in Urea 7 M ed in tampone (buffer) TBE 1X ed alle
seguenti condizioni: 2000 V, max mA, max W, per 150 minuti. Le bande
di migrazione elettroforetica, corrispondenti ai prodotti di PCR (480 bp
per GSTT1 e 215 bp per GSTM1), sono state evidenziate mediante “Silver
staining ed identificate in base alla definizione comparativa dei rispettivi
pesi molecolari con l’impiego di specifico marcatore di riferimento
(DNA pGEM® marker, Promega).
RISULTATI E DISCUSSIONE
I risultati della tipizzazione (Tab. I) hanno consentito di individuare
una frequenza allelica del genotipo null dei polimorfismi GSTM1 e
GSTT1 sovrapponibile ai dati presenti in letteratura e relativi ad altre popolazioni
caucasiche (4); stante l’elevata frequenza del genotipo null di
tali polimorfismi genetici (più del 50% per il polimorfismo GSTM1), l’applicazione
di tali screening su popolazioni lavorative esposte a particolari
agenti xenobiotici, risulterebbe una pratica utile con precipue finalità di tutela
della salute degli stessi lavoratori quale prevenzione primaria; pur se
poi eventuali proposte di screening, utilizzate per identificare “quelle categorie
di lavoratori per i quali l’esposizione a taluni agenti cancerogeni
presenta rischi particolarmente elevati” (art. 64 comma 1 del D. Lgs.
626/94), vanno considerate con estrema cautela. Il Comitato Nazionale per
la Bioetica, in merito all’applicazione dei test genetici in ambito occupazionale,
si è espresso all’interno di specifico parere, raccomandando che
“…uno screening genetico destinato ad identificare la suscettibilità ad am-
Tabella I
Sicilia Orientale
Genotipo N Frequenza
totale 150
GSTM1 null 82 54,7%
GSTT1 null 37 24,7%
GSTM1 e GSTT1 null 18 12%
malarsi nell’ambiente di lavoro è eticamente proponibile solo se rivolto
alla protezione della salute del lavoratore e se fa riferimento a specifici ordinamenti
etici quale la libertà di scegliere da parte del lavoratore di sottoporsi
o meno al test e la libertà di scegliere un lavoro compatibile, una
volta ottenute informazioni complete sulla natura dell’esposizione potenzialmente
cancerogena; prima ancora dell’accertamento del proprio stato
di suscettibilità genetica, il lavoratore dovrebbe trarre maggior beneficio
dalla non esposizione al rischio; il datore di lavoro, prima di attivare ogni
programma di screening genetico, ha l’obbligo morale di evitare l’uso di
sostanze cancerogene nell’ambiente di lavoro…” [CNB, Orientamenti
bioetici per i test genetici Sintesi e Raccomandazioni, 19 novembre 1999].
Non bisogna trascurare il rischio di finire con il sostituire la prevenzione
primaria con una strategia di selezione di popolazione più resistente al rischio
cancerogeno, così riducendo la possibilità di lavoro a tutti gli altri.
L’eventuale diffusione della pratica dei test genetici può rivelarsi una tecnica
selettiva, che non si limita a raccogliere la storia familiare e personale,
anche medica, del soggetto e verificarne lo stato di salute e di relativa
idoneità lavorativa, ma intende svelare predisposizioni occulte idonee
a far perdere la competizione nei confronti di chi risulti invece esente da
vizi genetici. È opportuno ricordare che l’art 44 del codice di Deontologia
Medica stabilisce che: “.il medico non deve, in particolare, eseguire test
genetici predittivi a fini assicurativi od occupazionali se non a seguito di
espressa e consapevole manifestazione di volontà da parte del cittadino interessato”.
Anche il Consiglio d’Europa con la “Convenzione per la protezione
dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle
applicazioni della biologia e della medicina”, realizzata ad Oviedo nel
1997 e fatta propria anche dallo Stato Italiano con la L. 145/2001, ha previsto
all’art. 12 che “non si potrà procedere a test predittivi di malattie genetiche
o che permettano… di rivelare una predisposizione o una suscettibilità
genetica a una malattia se non a fini medici o di ricerca medica, e
con riserva di un’appropriata consulenza genetica”. Gli screening genetici
nei luoghi di lavoro vengono oggi effettuati in più di 6000 aziende negli
Stati Uniti; mentre la European Trade Union Confederation, relativamente
alla liceità degli screening genetici negli ambienti di lavoro, nel 2003, ha
richiesto agli Stati membri dell’unione europea, la proibizione di tali
screening, già vietati in Austria, Belgio e Finlandia.
È del tutto verosimile prevedere che il Legislatore, non essendo possibile
porre limiti all tutela della salute del lavoratore, si troverà sempre
più impegnato nel compito di stabilire un’esatta ed equilibrata linea di
confine di legittimità/liceità tra la pressante evoluzione delle conoscenze
scientifiche e l’applicazione di indagini diagnostiche sempre più accurate.
BIBLIOGRAFIA
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and GSTP1 polymorphisms in a Brazilian population. Genetic and
Molecular Research 2002, 1: 233-240.
2) Strange RC, Fryer AA (1999). The glutathione S-transferase: influence
of polymorphism on cancer susceptibility. In: Metabolic
polymorphisms and susceptibility to cancer (Vineis P, Malats N,
Lang M, d’Errico A, Caporaso N, Cuzick J and Boffetta P, eds) IARC
Scientific Publications, No. 148 (Lyon France) pp 231-249.
3) Walsh PS, Metzger DA, Higuchi R. Chelex 100 as a medium for
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Biotechniques. 1991; 10(4): 506-13.
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1A1, glutathione S-Transferase M1 and T1 in a Turkish population.
Toxicol Lett. 2004; 151 (1): 311-5.
P-08
I DATI ANONIMI COLLETTIVI COME STRUMENTO DI VERIFICA
DELL’ATTIVITÀ DEL MEDICO COMPETENTE DA PARTE DELL’ORGANO
DI VIGILANZA
G. Becchetti1 , L. Bevilacqua1 , G. Giunta1 , F. Lancia1 , M. Presto1 ,
V. Pisciottano1 , N. Pupp1 , N. Magnavita2 1 Servizio Prevenzione e Sicurezza in Ambienti di Lavoro ASL RM F
2 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica Sacro Cuore,
Roma

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 65
www.gimle.fsm.it
Corrispondenza: Pisciottano Virna - ASL RM F, Servizio Prevenzione
e Sicurezza in Ambienti di Lavoro, Viale Terme di Traiano, 39/a
- 00053 Civitavecchia (RM), Italy - Tel. 0761-506963,
E-mail: virna3@virgilio.i
ANONYMOUS DATA COLLECTIVES LIKE INSTRUMENT
OF VERIFICATION’ COMPETENT DOCTOR’S ACTIVITY
FROM VIGILANCE ORGAN
Key words: anonymous data collectives, vigilance organ.
ABSTRACT. Local Sanitary Office “RM F”have immense territory
and is characterized from working tipologie diversified and small
and averages dimensions. Therefore we used an instrument that easy
and fastly give information to the health and safety’s management
of the workers.
We sent to competent doctor near 80 companies a questionary
articulated in two parts: I) information of present duties, occupational
risks and sanitary protocol II) sanitary and anonymous collectives
information to audiometry, biological monitoring, respiratory
apparatus, muscoloskeletal apparatus, cutaneous apparatus, visual
apparatus.
Sixty seven companies contacted competent doctor (in the most of cases
specialist in occupational medicine). Analysis of data evidenced generic
indication of duty and occupational risks. Some cases the sanitary
protocol is inexact (lacking or, contrary, not necessary integrated
examinations) and the regularity of medical visit is nearly always
annual.
Diagnostic criteria used are not specify and homogenous and they are
not distributed between several the doctors. Quality control of execution
of spirometry and comparison with the previous years are not always
indicate.
Questionary has revealed a valid instrument to know the working
tipologies of territory, in order to characterize involvement
of competent doctor in the company and in order to analyze doctor’s
sanitary activity in terms of exactitude and quality.
INTRODUZIONE
Il territorio della Azienda Sanitaria Locale Roma “F” (ASL RM F) è
molto vasto e caratterizzato da tipologie lavorative estremamente diversificate
tra di loro e di piccole e medie dimensioni. Queste caratteristiche rendono
spesso difficile raggiungere alcune realtà lavorative e verificare in modo approfondito
e costante l’operato dei medici competenti. Si è voluto quindi utilizzare
uno strumento che in modo rapido e agevole ci potesse fornire dati relativi
alla situazione della gestione della salute e della sicurezza dei lavoratori.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta attraverso l’invio per posta al medico
competente presso l’azienda stessa di una scheda da restituire compilata
(Allegato 1) In molti casi si è avuto anche un colloquio con il medico che
ha contattato direttamente il Servizio per un incontro o è stato da noi convocato
per chiarimenti. Sono state selezionate 80 aziende tra quelle appartenenti
ai comparti maggiormente rappresentati nel nostro territorio:
falegnamerie (13), carrozzerie (10), carpenterie/officine meccaniche (12),
panifici (10), facchinaggio (10), tipolitografie (10), lavorazione materie
plastiche (10), lavorazione carni (5).
La scheda era articolata in due parti:
I) dati relativi alle mansioni presenti, i rischi lavorativi evidenziati e il
protocollo sanitario adottato;
II) dati sanitari anonimi collettivi riferiti ai seguenti accertamenti sanitari
eseguiti:
– esami audiometrici (specificando i criteri diagnostici e la classificazione
utilizzata per le ipoacusie);
– monitoraggio biologico (con indicazione della sostanza pericolosa
e dell’indicatore biologico);
– apparato respiratorio (controllo di qualità per esecuzione della
spirometria, tipo di rischio);
– apparato osteoarticolare (rischio e sua valutazione, classificazione
clinica);
– apparato cutaneo (rischio, classificazione clinica);
– apparato visivo (rischio e patologie).
Per ciascuno di questi accertamenti si chiedeva al medico di confrontare
l’esito con l’anno precedente, di specificare i giudizi di idoneità
espressi, i provvedimenti sanitari e/o organizzativi adottati ed infine
eventuali denunce di malattie professionali.
RISULTATI
Tra le aziende contattate solo 13 (16,2%) non hanno risposto alla richiesta
(per cessata attività, cambio indirizzo) mentre 67 (83,8%) aziende
hanno provveduto a contattare il medico competente il quale ha inviato la
scheda al nostro Servizio. Sono risultati coinvolti nella ricerca n°39 medici
di cui n° 33 (84,6%) in possesso di specializzazione in medicina del
lavoro e n° 6 (15,4%) sanati ex art. 51 D.Lgs. 277/91. Per quanto riguarda
la prima parte della scheda si è potuto evidenziare in una piccola percentuale
dei casi una generica indicazione della mansione (21%) e dei rischi
lavorativi (24%). Nei comparti individuati i rischi lavorativi maggiormente
riferiti dal medico sono risultati la movimentazione manuale dei
carichi (73% delle aziende), la presenza di “polveri generiche” e dil rumore
(61%) gli agenti chimici (32%) e le vibrazioni (22%). La non congruità
del protocollo sanitario rispetto ai rischi lavorativi riferiti si è riscontrata
in n°20casi (29%) mentre in un minor numero di casi (n°10;
15%) la periodicità della visita medica è risultata non congrua. I risultati
relativi all’esecuzione degli esami audiometrici hanno evidenziato nelle
n° 41 aziende in cui è presente il rischio rumore la prevalenza della fascia
di esposizione 80-85 dB(A). Il 48,7% dei medici nelle aziende ha utilizzato
come criterio diagnostico quello proposto da Merluzzi-Pira-Bosio
(2000) e il 43,9% la classificazione di Merluzzi (1979). Il Monitoraggio
biologico è stato eseguito in n° 5 aziende. Per quanto riguarda l’apparato
respiratorio il rischio per tale apparato era presente in 50 aziende ed è
stato riferito in modo generico come “polveri” in n° 25 aziende (50%) in
30 casi invece è stato meglio specificato (es. polveri di legno, di legno
duro, di farine, metalliche etc.). Nella maggior parte dei casi (n° 39, 78%)
la spirometria viene eseguita dal Medico Competente, più raramente da
infermieri (14%). Il criterio di controllo di qualità più utilizzato è risultato
essere l’ATS (70%). Tra i rischi per l’apparato osteoarticolare quello
della movimentazione manuale dei carichi è presente in n° 49 aziende
(73%) ed il relativo metodo di valutazione oggettiva più utilizzato è il
NIOSH (n° 4; 69,4%). Il rischio vibrazioni è stato indicato solo in 15
aziende (22,4%) ed è stato valutato solo in 4 (26,6%) utilizzando la Banca
Dati ISPESL. Il rischio “movimenti ripetitivi dell’arto superiore” viene
riferito solo in n° 6 (8,9%) aziende addette a lavorazione delle carni e
delle materie plastiche e nelle falegnamerie. Utilizzando la classificazione
proposta nelle linee guida della Conferenza delle regioni e delle
Province Autonome (1998) n° 705 lavoratori sono stati classificati come
“normali” (92,9%), n°44 lavoratori affetti da patologia di moderata entità
(5,8%), n° 7 di media entità (0,9%) e n° 3 di grave entità (0,4%). L’apparato
cutaneo è stato preso in considerazione in n° 20 aziende e legato
alla presenza di solventi e vernici (60%) È stata fatta una denuncia di malattia
professionale per dermatite irritativa da contatto. La valutazione
dell’apparato visivo è rivolta soprattutto ai lavoratori videoterminalisti
(n° 35) e ai saldatori (n° 17).
DISCUSSIONE
L’utilizzo di una scheda con richiesta di dati anonimi sanitari si è rivelato
un valido strumento per la conoscenza delle realtà lavorative del
nostro territorio, per individuare il grado di coinvolgimento del medico
competente nella gestione della salute e della sicurezza dell’azienda e
per analizzare l’attività sanitaria del medico in termini di congruità e
qualità.
La scheda proposta ha dimostrato una buona compliance in quanto
non ha comportato problemi di interpretazione e comprensione da parte
dei medici competenti e delle aziende del territorio che hanno risposto in
modo esaustivo alla nostra richiesta. Le principali criticità emerse riguardano
la generica indicazione della mansione e dei rischi lavorativi che
spesso è indice di una superficiale collaborazione del medico al processo
di valutazione dei rischi e allo studio del ciclo tecnologico. Questo comporta
di conseguenza la non congruità del protocollo sanitario (con esami
integrativi mancanti o, al contrario, non necessari) o la scelta di una periodicità
della visita medica che è quasi sempre annuale a “titolo cautelativo”.
Nella seconda parte della scheda le principali criticità hanno riguardato
soprattutto i criteri diagnostici utilizzati (spesso non specificati e comunque
non omogeneamente distribuiti tra i vari medici) il controllo di
qualità della esecuzione delle spirometrie ed il confronto con gli anni precedenti
che non sempre viene indicato.

66 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
P-09
PROGRAMMAZIONE DELL’AUDIT SULLE ATTIVITA DEL MEDICO
COMPETENTE
M. Marano1 , M. D’Ambrosio1 , G. Bilancio1 , A. Sacco2 , L. Bevilacqua3 ,
N. Magnavita4 1 Servizio di Igiene e Medicina del Lavoro, ASL NA3, Frattamaggiore (NA)
2 Spresal ASL FR, Frosinone
3 Spresal ASL RMF, Civitavecchia
4 Istituto di Medicina del Lavoro, UCSC Roma
Corrispondenza: Nicola Magnavita - Istituto di Medicina del Lavoro,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Gemelli, 8 - 00168 Roma,
Italy - Tel. 3473300367, Fax 0661909399, E-mail: nicolamagnavita@tiscali.it
PRE-AUDIT ON OCCUPATIONAL HEALTH PHYSICIAN
Key words: audit, vigilance, occupational health and safety.
ABSTRACT. Audit programmes are internal tools to review and
evaluate environmental problems at the operating unit level. Specialist
audits are focused on particular aspects of occupational health
management, such as the coherence of surveillance programs, the
maintenance of medical records and medical confidentiality, respiratory
and audiometric techniques, and so on. Auditing is a systematic process
differing from less stringent assessment processes in that it is based on
the collection and documentation of competent and sufficient evidence,
rather than on an opinion based primarily on professional judgement.
Apre-audit questionnaire has been sent to all physician charged of
medical surveillance of workers in the area of the Local Sanitary Unit
NA3. Competent physicians were solicited to declare their role in risk
assessment, medical records collection and risk communication. Patent
discrepancies were seen between the reported behaviours and data
resulting from inspection of facilities, national guidelines and good
practices in occupational health. Using audit as an educational tool
for occupational health specialists might substantially improve the
quality of medical surveillance of workers.
INTRODUZIONE
L’audit ambientale e/o di sicurezza è uno strumento di gestione aziendale
che comporta l’applicazione di un processo di investigazione, di analisi,
di comparazione di variabili che sono da considerarsi critiche, sotto il
profilo dell’ambiente e della sicurezza. Per questo l’audit è una parte essenziale
di ogni programma di gestione ambientale e della sicurezza. In
particolare, può permettere di verificare che determinate operazioni siano
aderenti alle disposizioni legislative, o agli standard professionali (1).
Si tratta di un processo sistematico che si differenzia da altre valutazioni
meno stringenti per il fatto che esso è basato sulla raccolta e documentazione
di competente e sufficiente evidenza, piuttosto che su opinioni
basate principalmente su giudizi professionali.
L’audit delle attività specialistiche del medico competente (MC) si è
dimostrato uno strumento potente per stimolare l’adesione dei MC alle
buone pratiche professionali. L’applicazione di tale strumento da parte
dell’organo di vigilanza richiede un approfondito lavoro preparatorio, la
cui prima tappa è l’acquisizione di informazioni sulle condizioni in cui i
MC del territorio si trovano ad operare.
MATERIALI E METODI
Il Servizio di Igiene e Medicina del Lavoro della ASL NA3, dopo
aver censito attraverso le fonti informative comunemente utilizzate i medici
competenti che operano sul territorio, ha messo a punto una scheda
informativa riguardante le attività previste dall’art. 17 del D. Lgs. 626/94
e la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti ad amianto. La scheda è
stata trasmessa a tutti i MC del territorio della ASL NA3.
RISULTATI
Hanno partecipato all’indagine 18 MC per la parte generale, 15 per
il rischio amianto.
Le indicazioni spontaneamente fornite dai MC indicano che la maggior
parte di essi non ha partecipato alla valutazione dei rischi, ed una minoranza
non ha avuto visione del documento né delle schede tecniche e
di sicurezza dei prodotti utilizzati nel ciclo produttivo. Cinque MC (29%)
hanno riferito di aver partecipato alla valutazione dei rischi, mentre 13
non vi hanno partecipato, essendo la loro nomina intervenuta dopo l’elaborazione
del documento di valutazione (DVR). Questi medici hanno indicato
che il loro contributo al DVR è stato fornito solo in un secondo
momento, nel corso dei sopralluoghi condotti con il responsabile del servizio
di prevenzione (SPP). Più alta è la percentuale di medici che ha
preso visione del DVR (89%); 13 MC su 18 (72%) sono soliti eseguire il
sopralluogo prima di prendere visione del DVR. Nel caso di autocertificazione
il 67% dei MC si è confrontata con le altre figure previste dal
D.Lgs 626/94 prima di proporre il protocollo di sorveglianza sanitaria. La
gran parte dei MC (17/18, il 94%) prende visione delle schede tecniche e
di sicurezza dei prodotti utilizzati nel ciclo lavorativo.
La maggior parte dei MC dichiara di svolgere il sopralluogo negli
ambienti di lavoro congiuntamente al responsabile del SPP (15/18, 83%)
e di compilare ogni volta un verbale (16/18, 89%), per quanto tale adempimento
non sia espressamente prescritto dalla legge. Solo raramente al
sopralluogo prende parte un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,
mentre spesso è presente il datore di lavoro o un suo delegato.
Tutti i MC redigono il protocollo di sorveglianza sanitaria, per
quanto nessuno inserisca nel protocollo i risultati attesi e i provvedimenti
che intende assumere nel caso di superamento dei limiti. Circa un quarto
degli intervistati (4/18) non raccoglie l’anamnesi lavorativa e nessuno annota
dati quantitativi di esposizione relativi al singolo lavoratore. Solo 4
(22%) dichiarano di usare una check list per l’anamnesi dei rischi specifici.
L’ECG è l’accertamento sanitario più frequentemente eseguito, previsto
per ogni settore lavorativo tranne che per l’ufficio. Tutti i medici dichiarano
di ricorrere al monitoraggio biologico negli esposti a rischio chimico
e di informare i lavoratori circa i rischi cui sono esposti. Il 50% dei
MC ricorre ad esami radiografici in soggetti esposti a rischio da movimentazione
manuale di carichi e rischio chimico, sulla base dei risultati
della visita medica. Circa l’esame spirometrico, 15 medici (83%) dichiarano
di eseguire l’accertamento personalmente, una parte (13/18, 72%) di
tarare l’attrezzatura regolarmente, soltanto 3 (17%) di usare tecniche di
disinfezione adeguate.
Nessuno dei medici viene consultato per la scelta dei dispositivi di
protezione individuale; il 50% è stato consultato dopo la scelta del dispositivo,
per valutarne la compatibilità sanitaria.
Tutti i medici hanno riferito di partecipare alla riunione periodica di sicurezza.
Solo 5 MC (29%) sono stati chiamati a collaborare con il datore di
lavoro alla valutazione dei rischi per le lavoratrici in gravidanza, ai sensi del
D.Lgs 151/01, mentre 7 (39%) hanno chiesto di modificare temporaneamente
le condizioni di lavoro di lavoratrici in gravidanza, 12 (67%) hanno
operato spostamenti di lavoratrici in reparti non a rischio e quasi tutti (15/18,
83%) hanno gestito richieste di flessibilità del congedo per maternità.
Per quanto riguarda il rischio amianto, solo 5 MC su 15 (33%) hanno
partecipato all’addestramento dei lavoratori all’uso dei DPI di classe III,
12 (60%) hanno preso visione delle schede tecniche e di sicurezza. Soltanto
2 MC (13%) usano checklist anamnestiche per l’esposizione a rischio
specifico, 5 (33%) effettuano esami radiografici secondo la metodica
ILO-BIT, 5 (33%) hanno espresso giudizi di idoneità parziale o inidoneità
temporanea o definitiva in lavoratori esposti ad asbesto.
CONCLUSIONI E DISCUSSIONE
L’indagine conoscitiva ha permesso di evidenziare significative incongruenze
nelle risposte fornite dai MC, sia per quanto riguarda la mancanza
di coerenza interna (si veda il caso delle lavoratrici gravide, delle
quali non è noto il rischio, ma se ne certifica l’assenza; o quello degli indicatori
biologici di esposizione, che tutti dichiarano di usare, ma nessuno
registra) che per confronto con le verifiche dell’organo di vigilanza (indagini
condotte sugli stessi MC dimostrano che il monitoraggio biologico
nell’industria delle calzature è quasi inesistente) (2). Dai risultati raccolti
sono state ricavate utili indicazioni per la scelta degli standard rispetto ai
quali sarà possibile condurre un audit specialistico dei medici competenti.
Sarà inoltre necessario prevedere uno sforzo di formazione permanente
dei MC, soprattutto con riferimento alle linee-guida sulla sorveglianza
sanitaria emanate da organismi nazionali (SIMLII) ed internazionali.
La ricerca è stata condotta in collaborazione con alcuni servizi di vigilanza
del Lazio in quanto si ritiene che la collaborazione tra gli organi
di vigilanza di regioni diverse possa consentire di sviluppare metodologie
di intervento che determinano un miglioramento dei livelli di salute e
sicurezza dei lavoratori, senza fare ricorso al potere sanzionatorio.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 67
www.gimle.fsm.it
BIBLIOGRAFIA
1) Magnavita N. Applicazione di modelli organizzativi originali per la
prevenzione del rischio chimico in aziende di diverse dimensioni.
Metodo A.S.I.A. IIMS Istituto Italiano di Medicina Sociale, Roma
2004. Disponibile su: http://www.iims.it/index_online.html
2) Bilancio G, Sacco A, Bevilacqua L, Magnavita N. Vigilanza sul rischio
chimico nei calzaturifici, come premessa per un audit gestionale.
Atti del 69° Congresso Nazionale SIMLII, Montesilvano (PE)
26-28 ottobre 2006.
P-10
ANALISI DELLA QUALITÀ DELLE SPIROMETRIE NELLA
SORVEGLIANZA SANITARIA DI UNA POPOLAZIONE
DI LAVORATORI EDILI
M.E. Raeli1 , C. Capitta1 , C. Notarangelo1 , I. Scrocchia1 , G. Manzari2 ,
M.G. Mondello2 , D. Gamberale2 , A. Quercia1 1 ASL Viterbo, U.o.c. PISLL
2 ASL RME, U.o.c. PreSAL
Corrispondenza: Maria Enrica Raeli - ASL Viterbo, U.o.c. PISLL,
Via I. Garbini, 29/g - 01100 Viterbo, Italy - Tel. 0761236715,
E-mail spisllvt@asl.vt.i
ANALYSIS OF SPIROMETRY QUALITY IN HEALTH SURVEILLANCE
OF A POPULATION OF BUILDING WORKERS
Key words: spirometry, health surveillance, construction workers.
ABSTRACT. Previous studies showed that spirometries performed
in health surveillance of workers did not comply with criteria of good
practice. This investigation has been executed over 1010 spirometries
of building workers coming from various realities and it assessed:
compliance with ATS criteria; distribution of values in the FEV1/FVC
ratio compared to reference values; report-making. More than 90%
of tests are unacceptable in relation to repeatability, test duration
and plateau criteria. FEV1/FVC values confirm the tendency to
underestimate CVF. Reports show a high percentage of restrictive
deficits (14%). This study indicates a high percentage of exams which
do not comply with criteria of good practice, thus proving they are
useless for the ends and purposes for which they are executed, and it
demonstrates that this problem is widespread all over the country.
Here are emphasized technical, professional and ethical aspects
regarding the occupational physician; the study also shows the
necessity of a change in intervention methodology of ASL (Italian
Local Health Authorities) Prevention Services.
INTRODUZIONE
Precedenti lavori relativi al controllo della qualità della sorveglianza
sanitaria hanno documentato rilevanti problemi nella esecuzione e interpretazione
di esami strumentali di comune impiego da parte del medico
competente (1, 3, 4).
Sulla base di queste evidenze, sono state analizzate spirometrie delle
cartelle sanitarie e di rischio di lavoratori edili di imprese operanti nella
provincia di Viterbo e nel territorio della ASL RME.
MATERIALI E METODI
È stata acquisita la documentazione sanitaria dei dipendenti di 74 imprese,
seguite da 39 medici competenti e 21 società di servizi ed è stata
valutata la qualità di 1.125 spirometrie.
Per la valutazione dell’esame, è stata predisposta una griglia che analizza
la correttezza tecnica dell’esame sulla base dei criteri ATS (6), riportati
in Tabella I.
Inoltre è stato analizzato, per il parametro FEV1/FVC, la distribuzione
degli scarti rispetto ai teorici di riferimento utilizzati dai singoli medici
competenti. L’elaborazione è stata condotta su 1010 esami dopo aver
escluso 115 spirometrie (10.2%) classificate dal Medico Competente
come mal eseguite o prive dei dati necessari per la valutazione, come la
curva flusso volume. Infine, sono stati analizzati i referti delle spirometrie
su 925 esami, eliminando 85 esami (8,4%) non refertati. Per la registrazione
e elaborazione dei dati è stato utilizzato un foglio di calcolo Excell.
Tabella I. Principali criteri utilizzati per valutare la correttezza
tecnica degli esami spirometrici
Durata della prova Ottimali FET > 6 sec con plateau > 1 sec
(FET) e plateau
4 < FET < 6 sec; plateau > 1 sec
e soggetto < 30 anni
FET > 8 sec con plateau < 1 sec
e curva indicativa di ostruzione)
Buone 4 < FET < 6 sec; plateau > 1 sec
e soggetto > 30 anni
6 < FET < 8 sec; plateau < 1 e curva
indicativa di ostruzione
Discutibili 4 < FET < 6 sec e plateau < 1 sec
6 < FET < 8 sec; plateau < 1 e curva
non indicativa di ostruzione
Inaccettabili FET < 4 sec plateau < 1 sec
Tempo di picco (DtPEF) Accettabili DtPEF < 120 ms o visivamente accettabile
Dubbie 120 ms < DtPEF < 130 ms o visivamente
dubbio
Inaccettabili DtPEF > 130 ms o visivamente inaccettabili
Riproducibilità Ottima 3 prove accettabili*; le 2 migliori
riproducibili
Sufficiente 2 prove accettabili* e riproducibili
oppure 3 prove accettabili*
e 2 riproducibili, ma non le migliori
Dubbia 2 o più prove accettabili*,
ma non riproducibili
Non dimostrata 1 sola prova documentata,
oppure più prove, ma nessuna accettabile*
* con criterio conservativo sono state considerate accettabili le prove con le seguenti
caratteristiche: Fet almeno di 4 sec, DtPEF dubbio o buono, mancanza di artefatti
RISULTATI
La durata della prova e il plateau non sono rispettati in 909 esami
(90%) (Tab. II). L’analisi sulla sola durata della prova evidenzia 225
esami (22%) con durata inferiore a 2 secondi e 718 esami (70%) con durata
inferiore a 4 secondi. Il tempo di picco risulta inaccettabile in 189
esami (19%) e dubbio in 203 (20%) (Tab. III). La riproducibiltà non è verificabile
in 962 prove (95%) (Tab. IV).
La distribuzione degli scarti del valore di FEV1/FVC osservato rispetto
al teorico, presenta una evidente asimmetria per la maggiore frequenza
di alti valori del rapporto (Figura 1), verosimilmente per una maggiore
sottostima della CVF rispetto al FEV1, in accordo con precedenti
osservazioni (1).
L’analisi dei referti ha evidenziato 744 esami (80%) giudicati normali,
129 (14%) interpretati come restrittivi, 39 (4%) interpretati come
ostruttivi e il rimanente (13 esami) come quadri misti, ai limiti o altro.
Tabella II. Classificazione delle spirometrie (numero e %)
in base FET e plateau
Inaccettabile Discutibile Buona Ottima
718 (71%) 191 (19%) 12 (1%) 89 (9%)
Tabella III. Classificazione delle spirometrie (numero e %)
in base al tempo di picco (DtPEF)
Inaccettabile Dubbio Accettabile
189 (19%) 203 (20%) 618 (61%)
Tabella IV. Classificazione delle spirometrie (numero e %)
in base alla riproducibiità
Non dimostrata Dubbia Sufficiente Ottima
962 (95%) 10 (1%) 32 (3%) 8 (1%)

68 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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Figura 1. FEV1/FVC: Distribuzione degli scarti del valore osservato
rispetto al teorico indicato
DISCUSSIONE
I dati confermano le precedenti segnalazioni (1, 3) sulla distanza siderale
tra linee guida della letteratura e le reali modalità di esecuzione e
interpretazione della spirometria, esame di larghissimo impiego in medicina
del lavoro. I criteri relativi a riproducibilità, durata della prova e del
plateau sono sistematicamente ignorati. L’analisi delle singole curve spirometriche,
l’esame dei referti e la distribuzione degli scostamenti dal
teorico del rapporto FEV1/FVC documentano, se ve ne fosse bisogno,
che gli esami eseguiti ignorando i criteri di buona tecnica sono inadeguati
sia per misurare i parametri funzionali e seguire nel tempo i singoli lavoratori
sia per descrivere lo stato di salute della popolazione esaminata.
Rispetto alle precedenti segnalazioni, lo studio documenta che il problema
della qualità non è limitato all’ambito locale poiché le imprese
coinvolte, e i loro medici competenti, sono di provenienza molto varia
(Roma, Viterbo, Venezia, Napoli, Frosinone, Padova, Salerno ecc.). I dati
mettono in luce: a) un rilevante problema di natura tecnico professionale
e di natura etica per la figura del medico competente; b) la necessità che
i Servizi di prevenzione delle ASL, cui sono assegnati compiti di assistenza,
controllo e vigilanza (5), si impegnino in azioni controllo sulla sostanza
e sui contenuti della sorveglianza sanitaria.
BIBLIOGRAFIA
1) Valenti E et al. Controllo di qualità delle prove sprometriche eseguite
nell’ambito della sorveglianza sanitaria per esposizione a rischio
lavorativo, in provincia di Viterbo. Med Lav 2001; 92, 1: 5-11.
2) Valenti E et al. Qualità degli esami spirometrici in medicina del lavoro:
proposta di un metodo di valutazione. Appunti di spirometria.
ASL Viterbo e USL 3 Pistoia, 2004.
3) Raeli ME et al. Controllo di qualità sulla sorveglianza sanitaria dei
lavoratori edili. Atti del convegno regionale “Sicurezza e salute nei
cantieri edili: un impegno da condividere”. Viterbo, 24-11-05.
4) Manzari G, Valenti E, D’Epifanio F, Quercia A, Cardona E. Controllo
di qualità tecnica sui radiogrammi del torace effettuati per la sorveglianza
sanitaria dei lavoratori esposti al rischio di pneumoconiosi: proposta
di un metodo di screening qualitativo, Med Lav 2003; 2: 242-249.
5) Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome:
Prime linee guida per l’applicazione del D.Lgs. 626/94. 1995
6) American Thoracic Society: Standardization of Spirometry, 1994
Update. Am J Respi Crit Care Med 1995; 152: 1107-1136.
P-11
ANALISI DELLA QUALITÀ DELLE AUDIOMETRIE NELLA
SORVEGLIANZA SANITARIA DI UNA POPOLAZIONE
DI LAVORATORI EDILI
M.E. Raeli1 , A.R. Sordini1 , M.T. Mangiabene1 , A. Fersini1 ,
G. Manzari2 , M. G. Mondello2 , D. Gamberale2 , A. Quercia1 1 ASL Viterbo, U.O.c. PISLL ASL
ASL RME, U.O.c. PreSAL
Corrispondenza: Maria Enrica Raeli, ASL Viterbo, U.o.c. PISLL,
Via Garbini, 29/g - 01100 Viterbo, Italy
ANALYSIS OF AUDIOMETRY QUALITY IN HEALTH
SURVEILLANCE OF A POPULATION OF BUILDING WORKERS
Key words: audiometry, health surveillance, construction workers.
ABSTRACT. Previous studies showed that audiometric tests performed
by occupational physicians in health surveillance did not comply with
criteria of good technique. This investigation has been carried out over
1003 audiometric tests of building workers coming from various
realities and it assessed formal accuracy of data, information
completeness and technical correctness of tests.
The lack of anamnesis (in 35%), unreported otoscopy (35%), the absent
indication on whether the exam had been performed under testing
conditions of acoustic rest and/or auditory fatigue (71%) make the
exam itself unacceptable from a medical and legal point of view and
do not allow a clear interpretation of audiometric tracing. The analysis
of responses given at different frequencies confirm the tendency to
neglect investigation of the real auditory threshold.
The present study indicates a high percentage of tests which do not
comply with criteria of good technique, thus proving they are useless
for the ends and purposes for which they are executed, and it
demonstrates that this problem is widespread all over the country.
Here are emphasized technical, professional and ethical aspects
regarding the occupational physician; the study also shows the
necessity of a change in intervention methodology of ASL (Italian local
health authorities) Prevention Services.
INTRODUZIONE
Precedenti lavori relativi al controllo della qualità della sorveglianza
sanitaria hanno documentato rilevanti problemi nella esecuzione e interpretazione
di esami strumentali di comune impiego da parte del medico
competente (1, 3, 4).
Sulla base di queste evidenze, sono state analizzate le audiometrie
presenti nelle cartelle sanitarie e di rischio di lavoratori edili di imprese
operanti nella provincia di Viterbo e nel territorio della ASL RME.
MATERIALI E METODI
È stata acquisita la documentazione sanitaria dei dipendenti di 74
imprese, seguite da 39 medici competenti e 21 società di servizi ed è stata
valutata la qualità di 1003 esami della funzione uditiva.
Sono state valutate l’accuratezza formale dei dati, la completezza
delle informazioni, la correttezza tecnica dell’esame. Si è considerato
correttamente identificato il soggetto quando era indicato nome e cognome
ed almeno un altro parametro identificativo (età e/o data di nascita,
residenza e/o ditta). Il medico è stato giudicato correttamente identificato
in presenza di firma leggibile e/o timbro.
Per la correttezza tecnica della valutazione della funzione uditiva si
è fatto riferimento a Dlgs 277/91, Norma ISO 6189-1979, Norma ISO
389-1979, Linee guida SIMLII, valutando se nella cartella sanitaria erano
riportate informazioni su: esecuzione dell’esame in ambiente silente, esecuzione
dell’esame a riposo acustico e/o fatica uditiva, risultato dell’esame
otoscopio, anamnesi audiologica
È stata valutata la completezza delle frequenze indagate per via aerea
(250-500-1000-2000-3000-4000-6000-8000 Hz); è stata studiata la
distribuzione della soglia uditiva alla frequenza di 1.000 Hz; è stata analizzata
la distribuzione delle soglie uditive a diverse frequenze su 999
esami.
RISULTATI
In 354 (35%) cartelle non è presente l’anamnesi audiologica, in 349
(35%) non è indicata l’otoscopia ed in 712 (71%) casi non è indicato se
l’esame è stato eseguito in riposo acustico e/o in fatica uditiva. In 226
(22%) audiogrammi non è segnalato il nome del soggetto ed in 528 (53%)
il soggetto non è identificabile in base ai criteri citati. In 587 audiogrammi
(58%) il medico non è identificabile.
L’analisi delle frequenze indagate mostra che in 60 (6%) audiogrammi
non sono presenti le frequenze 3000 e 6000 Hz. In 19 (2%) non
è indagata la frequenza di 8000 Hz.
L’analisi delle soglie rilevate a 1000 Hz documenta che circa il 10%
delle risposte si colloca fra 0 e 5 dB e che in entrambe le orecchie l’80%
delle risposte si colloca fra 10 e 20 dB (Figure 1 e 2).
L’analisi della distribuzione delle soglie alle frequenze 3-4-6000 Hz
evidenzia un elevato numero di risposte a 30 e più dB (a 4000 Hz, circa
il 30%) (Figure 3-8).

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 69
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Figura 1. Frequenza 1000Hz orecchio Dx: distribuzione delle risposte Figura 2. Frequenza 1000 Hz orecchio Sin: distribuzione delle risposte
Figura 3. Frequenza 3000 Hz orecchio Dx: distribuzione delle risposte Figura 4. Frequenza 3000 Hz orecchio Sin: distribuzione delle risposte
Figura 5. Frequenza 4000 Hz orecchio Dx: distribuzione delle risposte Figura 6. Frequenza 4000 Hz orecchio Sin: distribuzione delle risposte
Figura 7. Frequenza 6000 Hz orecchio Dx: distribuzione delle risposte Figura 8. Frequenza 6000 Hz orecchio Sin: distribuzione delle risposte

70 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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DISCUSSIONE
L’indagine conferma le precedenti segnalazioni sul divario esistente
fra le indicazioni delle linee guida e le reali modalità di esecuzione della
audiometria. La mancanza dell’anamnesi, dell’indicazione sul riposo
acustico, dell’otoscopia, la difficoltà di identificazione del soggetto e del
medico documentano la lontananza dalla buona pratica.
La distribuzione delle soglie a 1.000 Hz fa ipotizzare una scarsa attenzione
alla ricerca della reale soglia uditiva, vanificando l’utilità dell’esame
rispetto agli scopi della sorveglianza sanitaria, sia per seguire nel
tempo il singolo lavoratore, sia per descrivere lo stato di salue della popolazione
esaminata. L’elevato numero di risposte a 30 e più dB sulle alte
frequenze suggerisce che la popolazione esaminata sperimenti una esposizione
professionale non trascurabile a fronte dell’insignificante numero
di segnalazioni di malattia professionale.
Lo studio documenta che il problema della qualità non è limitato all’ambito
locale poiché le imprese coinvolte, e i loro medici competenti,
sono di provenienza molto varia (Roma, Viterbo, Venezia, Napoli, Frosinone,
Padova, Salerno ecc.). I dati mettono in luce: a) un rilevante problema
di natura tecnico professionale e di natura etica per la figura del
medico competente; b) la necessità che i Servizi di prevenzione delle
ASL, cui sono assegnati compiti di assistenza, controllo e vigilanza (5),
si impegnino in azioni controllo sulla sostanza e sui contenuti della sorveglianza
sanitaria.
BIBLIOGRAFIA
1) Beatrice F. Audiometria in Medicina del Lavoro e Medicina Legale -
Associazione degli Otorinolaringologi Ospedalieri Italiani. 2002.
2) Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome:
Prime linee guida per l’applicazione del D.Lgs. 626/94. 1995.
3) Del Bo M, Giaccai F, Grisanti G. Manuale di Audiologia - Masson
1995.
4) Giordano C. Linee guida per la valutazione dei danni uditivi da rumore
in ambiente di lavoro. Società Italiana di Otorinolaringoiatria -
2004.
5) Leggieri L, Manzari G. Le malattie da lavoro in edilizia: la sorveglianza
sanitaria e la qualità degli accertamenti sanitari complementari
in edilizia. In: Atti del convegno “La progettazione e la pianificazione
della sicurezza nei cantieri temporanei e mobili”. Roma,
24 febbraio 2004.
6) Raeli ME, et al. Controllo di qualità sulla sorveglianza sanitaria dei lavoratori
edili. Atti del convegno regionale “Sicurezza e salute nei cantieri
edili: un impegno da condividere”. Viterbo, 24 Novembre 2005.
7) SIMLII - Linee guida per la prevenzione dei danni uditivi da rumore
in ambiente da lavoro - 2003.
P-12
LE MALATTIE PROFESSIONALI SONO SOTTOSTIMATE
IN EDILIZIA?
G. Pavesi1 , C. Bancone1 , F. Bartolozzi1 , M.M. Riva1 , G. Mosconi1 1 Azienda Ospedaliera, Ospedali Riuniti di Bergamo
Corrispondenza: Dr.ssa Greta Pavesi - Azienda Ospedaliera, Ospedali
Riuniti di Bergamo, USC Medicina del Lavoro, Largo Barozzi, 1
- 24128 Bergamo, Italy - e-mail: greta.pavesi@virgilio.i
ARE OCCUPATIONAL DISEASES IN COSTRUCTION INDUSTRY
UNDERSTIMATED?
Key words: construction worker, occupational disease, sanitary
surveillance program, edilizia, malattie professionali, sorveglianza
sanitaria.
ABSTRACT. The present study shows the results obtained from
application of a health surveillance program developed by Regione
Lombardia (DGR 20647 31/10/02), involving 685 construction workers
already submitted to medical surveillance.
49 cases of occupational diseases have been detectet and notified
to Authority in 46 workers (prevalence 6,7%). Considering the chronic
course of part of the diseases, in most cases the lack of notification
was conseguent of a lack of diagnosis, either due to quali-quantitative
inadequacy of the health surveillance program and/or to low-performance
instrumental equipment.
INTRODUZIONE
Scopo del presente lavoro è individuare l’eventuale sottostima delle
malattie professionali in un gruppo di lavoratori edili, valutati nel periodo
2004-2005 presso i nostri ambulatori per la formulazione di un giudizio
di idoneità lavorativa alla mansione specifica. Tutti i lavoratori visitati
erano regolarmente sottoposti a sorveglianza sanitaria.
MATERIALI E METODI
Nel periodo 2004-2005 sono venuti a nostra osservazione per idoneità
lavorativa 685 lavoratori edili con età media pari a 37 anni (DS
± 10,3) e anzianità lavorativa media pari a 19,6 anni (DS ± 12,1) anni, regolarmente
sottoposti a sorveglianza sanitaria.
Durante la visita medica i pazienti venivano sottoposti a visite mediche
ed accertamenti sanitari integrativi secondo il protocollo regionale
definito con DGR n° 20647 del 31/10/2002 (Gold Standard). L’eventuale
evidenza clinica di patologie di sospetta origine professionale comportava
il proseguimento degli accertamenti sanitari sino alla formulazione
di una corretta diagnosi e la conseguente segnalazione di malattia professionale
agli Organi Competenti.
RISULTATI
Nel 6,7% del campione (46 soggetti) abbiamo riscontrato almeno
una patologia professionale (in totale 49) per la quale abbiamo poi provveduto
ad inoltrare la segnalazione agli Organi Competenti sec. D.M.
27.4.04. Si trattava di lavoratori con età media pari a 47 anni (DS ± 9,5)
con 33 anni di anzianità lavorativa media (DS ± 10,5) di cui 28 anni nel
settore edile (DS ± 12,5).
La mansione svolta in ordine decrescente era principalmente quella
del muratore (32 casi), carpentiere (9 casi), pavimentista (3 casi), autista
(un caso) e asfaltatore (un caso).
Complessivamente sono state diagnosticate le seguenti malattie: 30
ipoacusie da rumore, 5 ernie discali, 5 dermatiti allergiche da contatto, 3
lesioni della cuffia dei rotatori, 3 sindrome del tunnel carpale, 1 epicondilite,
1 basalioma cutaneo e 1 Sindrome di Raynaud (Figura 1).
Figura 1
CONCLUSIONI
I nostri dati evidenziano nella popolazione edile presa in esame negli
anni 2004-2005 una sicura sottostima nella diagnosi e/o segnalazione
di malattie professionali (1).
Abbiamo infatti riscontrato numerose malattie professionali (6,7%
dell’intero campione) per le quali non era stata inoltrata alcuna segnalazione
alle Autorità Competenti, nonostante da anni tutti i lavoratori indagati
fossero sottoposti a sorveglianza sanitaria.
Se alcune tra queste patologie potevano essersi manifestate in tempi
recenti, per le altre ci si trovava assai probabilmente di fronte a patologie
diagnosticabili in tempi antecedenti (ad esempio per l’ipoacusia da rumore
è nota la lunga latenza).
Un’ipotesi plausibile è che la malattia professionale sia “sfuggita”
perché non vengono applicati piani di sorveglianza sanitaria ad hoc (1,2).
Riteniamo inoltre che per la buona riuscita degli accertamenti stessi
sia necessaria anche un’adeguata dotazione strumentale, una corretta esecuzione
dell’esame nonché, in generale l’esperienza e l’abilità del Medico
Competente (3, 4).

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 71
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Inoltre crediamo fortemente nella necessità di promuovere costantemente
iniziative di formazione ed informazione, mediante training specifico
nei confronti di allievi ed insegnanti delle Scuole Edili in merito a
fattori di rischio e strategie di prevenzione, nozioni spesso non sufficientemente
approfondite.
BIBLIOGRAFIA
1) Mosconi G et al. Le malattie da lavoro in edilizia. Med Lav 2003;
Vol. 94, n. 3: 296-311.
2) Mattioli S. et al. Studi di Efficacia di efficacia di attività preventive
nelle comunicazioni ai congressi della SIMLII (1989-2003). Med
Lav 2005; 96(6): 513-548.
3) Hulsholf CT e COll. Evaluation research in occupational health services:
general principles and a systematic review of empirical studies.
Occupational and environmental Medicine 1999; 56: 361-77.
4) Violante e Coll. Sorveglianza sanitaria e prove di efficacia. G Ital
Med Lav Erg 2006; 28: 1, Suppl, 156-161.
IV SESSIONE
ALLERGOLOGIA E IMMUNOLOGIA CLINICA
P-01
FOLLOW UP DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA DI LAVORATORI
DI UN MUSEO ESPOSTI A CAMPO ELETTRO-MAGNETICO
ORIGINATO DALL’IMPIANTO ELETTRICO
L. Di Giampaolo1 , A. Di Donato1 , G. Paiardini2 , G. Spagnoli2 ,
A. Antonucci1 , P. Travaglini1 , A. Magrini3 , M. Reale4 ,
V. Dadorante4 , M. Kouri1 , A. D’Intino1 , M. Grapshi1,3 ,
S. Pulini1 , M. Di Gioacchino1,5 , P. Boscolo1,5 1 Unità operativa di Medicina del Lavoro, Dipartimenti di 1 Scienze
Biomediche, 4 Oncologia e Neuroscienze” e 5 Scienze dell’invecchiamento
dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara
2 ISPESL
3 Medicina del Lavoro, Università di Roma“Tor Vergata”
Corrispondenza: P. Boscolo - Medicina del Lavoro, Università
G. D’Annunzio, Via dei Vestini - 66100 Chieti, Italy
- Tel. e Fax: +39-0871-3556704; E-mail: boscolo@unich.it
FOLLOW UP OF THE IMMUNE RESPONSE OF WORKERS
OF A MUSEUM EXPOSED TO AN ELECTRO-MAGNETIC
FIELD PRODUCY BY AN ELECTRIC IMPLANT
Key words: immune system, electromagnetic fields, occupational stress.
ABSTRACT. Seven women and eight men, exposed to low frequency (50
Hz) electromagnetic fields (ELMFs) in a museum for 20 hours
a week, were investigated in the years 1999 and 2005. During the first study,
the mean ELMF exposure in the working place was 1.7 and µT and 1,1 µT,
respectively. In the first investigation, the ELMF-exposed men showed
reduced blood NK lymphocytes in relation to controls, while ELMF-exposed
women presented reduced PHA-stimulated IFN-γ release from peripheral
blood mononuclear cells (PBMC). In the year 2005, blood cytotoxic activity,
state and trate anxiety (STAI I and II, respectively) and occupational stress
were also investigated. The scores of STAI I and II of the control women
were slightly higher than those of the control men. ELMF-exposed men
showed higher occupational stress but normal immune parameters. ELMFexposed
women showed, in relation to controls, lower PHA-stimulated IFN-γ
release from PBMC and reduced blood cytotoxic activity/CD45 + -CD16 + -
56 + NK lymphocytes (but not per ml of blood). One of the women exposed to
ELMF, who worked night shift, showed marked lymphopenia with very low
NK lymphocytes and reduced IFN-γ release; these immune parameters
returned to normal following a change of work site.
This study suggests that low frequency ELMFs affect the immune function
of women more than those of men. Moreover, the determination of immune
parameters seems to be a useful marker of the health effects of exposure to
ELMFs.
INTRODUZIONE
Il sistema immunitario e quello nervoso rispondono in modo integrato
a stimoli ambientali e comportamentali (1). In particolare è stato osservato
che l’efficienza dell’immunità naturale ed acquisita, che protegge da cancro
ed infezioni (2), è correlata con stile di vita e stato di salute mentale (3).
Nel 2000 è stato eseguito dal nostro gruppo un’indagine su uomini e
donne esposti in un museo a campi elettromagnetici (CEM) indotti da
corrente elettrica (4). Gli uomini presentavano i linfociti ematici NK ridotti
mentre le donne presentavano riduzione del rilascio di INF-γ dalle
cellule mononucleate di sangue periferico (PBMC). In quest’ultime indagine,
eseguita sugli stessi soggetti esaminati nel 1999, è stata determinata
anche l’attività citotossica ematica ed il grado di ansietà.
MATERIALI E METODI
Non venivano inclusi nell’indagine soggetti portatori di patologie od
in trattamento farmacologico. I prelievi ematici delle donne venivano effettuati
nella fase centrale del ciclo mestruale.

72 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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Sono stati studiati nel 2000 e nel 2005 gli stessi 7 uomini e le stesse
8 donne esposte (per circa 20 ore alla settimana) ad un CEM indotto da
corrente elettrica in una stanza in cui erano presenti sia “monitors” per la
sorveglianza di un museo sia una centralina per la trasformazione della
corrente elettrica in entrata. Il CEM nell’anno 1999 era in media di 1.6
µT (range 0.2-3.6 µT)) mentre nel 2005 era di 0.7 µT (range 0.1-4.0 µT),
in seguito a interventi di bonifica ambientale. Il gruppo di controllo nel
2000 consisteva di 47 donne e 39 uomini con simile età ed abitudine al
fumo mentre nel 2005 era composto da 48 donne e 14 uomini.
L’ansia di stato (temporanea) veniva misurata dallo STAI I, e l’ansia
di tratto (come tendenza della personalità) dallo STAI II (5), e lo stress lavorativo
con la versione italiana di un questionario dell’Association of
American Psycologists. Venivano raccolti dei campioni di sangue per determinare:
a) l’attività citotossica su cellule di leucemia eritrocitaria
(usando il test Cytotox 96, promega, Southampton, UK); b) le sottopopolazioni
linfocitarie CD45 + , CD45 + -CD3 + , CD45 + -CD3 + -CD4 + , CD45 + -
CD3 + -CD8 + , CD45 + -CD3-CD8 + , CD45 + -CD16 + -56 + e CD3 + -CD19 +
mediante un citofluorimetro della Becton-Dickinson (San Jose, CA,
USA); c) il rilascio di IFN-γ dalle PBMC.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Nel 2000 le donne esposte a CEM presentavano solo una lieve riduzione
dei linfociti ematici NK CD16 + -56 + e ridotto rilascio di IFN-γ ed
IL-2 stimolato da PHA dalle PBMC (4). Gli uomini presentavano invece
una riduzione statisticamente significativa, rispetto al gruppo di controllo,
delle cellule NK CD16 + -56 + .
Nel 2005, Lo STAI I e II dei lavoratori esposti a CEM non era alterato.
Gli uomini esposti non presentavano inoltre alterazioni del sistema
immunitario.
Le 8 donne esposte presentavano invece una riduzione statisticamente
significativa dei linfociti CD45 + -CD3 + -CD8 + .
I valori dello STAI I e II delle donne di controllo erano lievemente
più elevati di quelli degli uomini di controllo. Gli uomini esposti a CEM
presentavano livelli di stress lavorativo abbastanza elevati ma parametri
imunitari normali. Le donne esposte a CEM presentavano, come nell’anno
2000, riduzione del rilascio di IFN-γ dalle PBMC (Tabella I) nonché
dell’attività citotossica ematica espressa per i linfociti NK CD45 + -
CD16 + -56 + NK (ma non per ml di sangue) (Tabella II).
Tabella I. Rilascio di IFN-γ dalle PBMC di donne esposte a campi
elettromagnetici (CEM) e di controllo indagate nel 2000 e nel 2005
Controlli Esposte a CEM
Anni 2000 2005 2000 2005
IFN-γ (pg/ml) 851+ 443 826 + 416 473 + 238* 487 + 310*
Tabella II. Attività citotossica ematica di donne esposte
a campi elettromagnetici (CEM) e di controllo
Attività citotossica ematica Controlli Esposte a CEM
Unità di attività citotossica / ml di sangue 21.6 + 7.6 18.5 + 17.0
Unità di attività citotossica / ml di cellule
CD45
13.7 + 5.5 11.3 + 10.3
+ ematiche x 103 Unità di attività citotossica / ml di cellule
CD45
116.9 + 54.3 63.6 + 48.4*
+ -CD16 + -56 + ematiche x 103 I valori sono espressi come media + D.S.
Mann Whitney-U test. Differenza statisticamente significativa: *p

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 73
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INTRODUZIONE
Il sistema immunitario e quello nervoso rispondono in modo integrato
a stimoli ambientali e comportamentali (1). In particolare è stato osservato
che l’efficienza dell’immunità naturale ed acquisita, che protegge
da cancro ed infezioni (2), è correlata con stile di vita ed stato di salute
mentale (3).
Nel 2000, è stato iniziato dal nostro gruppo uno studio longitudinale
sulla risposta del sistema immunitario (sottopoplazioni linfocitarie ematiche
e rilascio di citochine da cellule mononucleate di sangue periferico
(PBMC)) in donne esposte nelle loro abitazioni campi elettromagnetici
(CEM) indotti da onde radio-televisive (4). In questa ultima indagine, oltre
a parametri immunitari immunitari indagati in precedenza è stato determinato
nelle stesse donne anche l’attività citotossioca ematica NK ed
il grado di ansietà.
MATERIALI E METODI
Non venivano inclusi nell’indagine soggetti portatori di patologie od
in trattamento farmacologico. I prelievi ematici delle donne venivano effettuati
nella fase centrale del ciclo mestruale.
Nel 2000 e nel 2005 sono state indagate le stesse dodici donne (facenti
parte di un gruppo di 19 donne studiato nel 2000), in prevalenza casalinghe
con età media di 43 anni, esposte nello loro abitazione a CEM
indotti da trasmittenti radiotelevisive (4). Il gruppo di controllo nel 2000
era composto da 36 donne (in prevalenza ricercatrici e personale sanitario
dell’università) con simile età ed abitudine al fumo e nel 2005 da 48
donne (in prevalenza impiegate).
Dal 2000 al 2005 l’esposizione a CEM (range 500 KHz-3GHz) delle
donne esposte, determinata sui balconi delle abitazioni (range: 2,5-6,5
V/m; media 4,3 V/m), subì una lieve riduzione (range: 2,5 V/m - 6,0 V/m;
media: 3,7 V/m), mentre l’esposizione delle 48 donne di controllo rimase
inferiore a 2 V/m.
L’ansia di stato (temporanea) veniva misurata dallo STAI I, e l’ansia
di tratto (come tendenza della personalità) dallo STAI II (5). Venivano
raccolti dei campioni di sangue per determinare: a) l’attività citotossica
su cellule di leucemia eritrocitaria (usando il test Cytotox 96, promega,
Southampton, UK); b) le sottopopolazioni linfocitarie CD45 + , CD45 + -
CD3 + , CD45 + -CD3 + -CD4 + , CD45 + -CD3 + -CD8 + , CD45 + -CD3-CD8 + ,
CD45 + -CD16 + -56 + e CD3 + -CD19 + mediante un citofluorimetro della
Becton-Dickinson (San Jose, CA, USA) a 4 colori con il supporto di un
campionatore automatico SP-1 della Becton-Dickinson.
RISULTATI
Nel 2000 le 12 donne esposte a CEM presentavano, rispetto al
gruppo di controllo, un numero ridotto di cellule NK CD16 + -CD56 + ematiche,
riduzione della proliferazione cellule PBMC stimolate con PHA e
diminuito rilascio di IL-2 ed IFN-γ dalle PBMC (4).
Nel 2005, il rapporto STAI I /STAI II del gruppo esposto a CEM era
più basso di quello del gruppo di controllo dovuto ad un lieve aumenti
dello STAI II nel gruppo esposto a CEM (Tabella I). L’attività citotossica
delle donne esposte era inoltre più bassa (Tabella I).
Nel 2005, le cellule NK CD45 + -CD16 + -CD56 + delle donne esposte
a CEM erano leggermente ridotte; le percentuali dei linfociti B CD45 + -
CD19 + delle donne esposte erano aumentate in modo statisticamente significativo
mentre quelle dei linfociti T citotossici CD45 + -CD3 + -CD8 +
erano più basse rispetto a quelle delle donne di controllo.
Tabella I. STAI I e STAI II, sottopopolazioni linfocitarie
ed attività citotossica ematica di donne esposte a CEM indotti
da onde radiotelevisive
Controlli (n 48) Esposti a CEM (n 12) p
STAI I 38.4 + 9.5 36.3 + 6.0 ns
STAI II 39.5 + 6.3 43.1 + 9.2 ns
STAI I/STAI II 0.99 + 0.21 0.88 + 0.11

74 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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A safe and effective option to the latex can be represented by switching
to nitrile powder free devices. It is advisable to require to the producer
a formal declaration of conformity to the safety standards of the
medical devices.
INTRODUZIONE
Le segnalazioni di patologie da latice della gomma tra gli operatori
sanitari sono considerevolmente aumentate fino alla seconda metà degli
anni ’90, parallelamente all’incremento del consumo di guanti (1, 2). La
strategia di bonifica dal latice nei luoghi di lavoro è complessa e finora è
stata basata su molteplici iniziative integrate che interessano: sistemi di
controllo della ventilazione ambientale, censimento dei prodotti contenenti
latice, predisposizione di linee guida per la scelta e l’uso dei guanti,
fornitura ai lavoratori di dispositivi individuali alternativi, misure di sorveglianza
sanitaria, orientamento del personale sensibilizzato. È tuttavia
indiscutibile che la riduzione dei rischi alla fonte e la sostituzione di ciò
che è pericoloso con ciò che non lo è (3), rappresentano le misure di tutela
prioritarie. In base a questo assunto il provvedimento di bonifica più efficace
dovrebbe essere costituito dall’impiego di guanti in materiale alternativo
al latice, tenendo conto delle caratteristiche tecniche, dell’impatto
economico e del grado di protezione nei confronti dei lavoratori e degli
utenti che i guanti alternativi sono in grado di offrire. Scopo di questo studio
è quello di valutare il costo e l’eventuale comparsa di inconvenienti associati
all’introduzione in un ospedale di guanti non sterili sintetici, in sostituzione
di quelli in latice di gomma tradizionalmente utilizzati.
MATERIALI E METODI
L’A.S.O. Santa Croce e Carle di Cuneo, è un’azienda ospedaliera ad
alta specializzazione in cui operano 1860 lavoratori esposti al latice. Fino
ai primi anni 2000 è stato registrato un progressivo aumento di disturbi
attribuibili all’uso di guanti in latice, varianti da semplici sensibilizzazioni
a manifestazioni cutanee o respiratorie, fino a rare forme di coinvolgimento
multisistemico. Una commissione aziendale multidisciplinare
per la bonifica del latice è stata istituita nel 2001 per approntare iniziative
integrate di contenimento che hanno portato, in anni recenti, ad
una riduzione, ma non all’abolizione, dei casi di sensibilizzazione (Figura 1).
Le misure di contenimento hanno riguardato: l’istituzione di aree di lavoro
latex-safe, l’offerta di guanti privi di polvere lubrificante, misure
specifiche di sorveglianza sanitaria, progetti formativi. Al fine di migliorare
ulteriormente i livelli di inquinamento è stato deciso di sostituire i
guanti per esplorazione in latice di gomma con prodotti in materiale alternativo.
Per la scelta del dispositivo migliore sono stati testati in cinque
unità operative, per sei mesi ciascuno, cinque differenti tipi di guanti in
vinile o in nitrile. Al termine della sperimentazione sono stati somministrati
ai lavoratori questionari sul gradimento di ciascun guanto. Non
sono stati registrati disturbi attribuibili al loro uso. Sulla base del miglior
rapporto costo-efficacia sono stati prescelti guanti in nitrile privi di polvere
che, dall’inizio del 2006, sono stati distribuiti in tutta l’Azienda.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Poco dopo l’introduzione dei dispositivi in nitrile, 31 operatori (età:
33 ± 7,8 anni) di cui 5 maschi, hanno lamentato disturbi consistenti in:
Figura 1. Incidenza dei casi di sensibilizzazione o di disturbi correlati
all’uso di guanti in latice della gomma tra il 2000 e il 2005 nell’A.S.O.
Santa Croce e Carle
eritema, bruciore, prurito e disidrosi al dorso delle mani che comparivano
dopo 1-3 ore dall’inizio della calzata dei guanti in nitrile e regredivano
spontaneamente dopo alcune ore dalla loro rimozione. In caso di ulteriore
esposizione i sintomi si ripresentavano e, talora, evolvevano in screpolature,
fissurazioni, ipercheratosi. In maggioranza si è trattato di infermieri
in servizio presso reparti chirurgici (51,6%) e nelle rianimazioni (22,6%).
Tutti sono stati sottoposti a visita allergologica e ad accertamenti specialistici
(Tabella I). Sono risultate positive l’anamnesi familiare, per atopia,
nel 25,8% dei casi, e quella patologica, per sensibilizzazioni o dermatiti
irritative, nel 71%. Il 19,3% dei lavoratori era già limitato per sensibilizzazioni
a sostanze presenti nel luogo di lavoro. In un’alta percentuale di
soggetti i patch-test sono risultati positivi per nichel solfato e/o timerosal
(64,5%) e per i test d’esposizione al nitrile (61,2%). Campioni dei guanti
in nitrile sono stati esaminati presso un laboratorio di tossicologia industriale
per valutarne la composizione. I risultati delle analisi hanno dimostrato
la presenza impropria, al loro interno, di una modesta quantità di
polvere costituita da carbonati o bicarbonati di calcio con pH tra 7,5 e 9.
Per tutti i 31 soggetti è stata formulata una diagnosi di dermatite irritativa
da contatto ed è stato prescritto il divieto ad utilizzare guanti in nitrile.
Sulle cause della sintomatologia si è ipotizzato che ripetuti e prolungati
contatti fra la naturale acidità della cute delle mani e la polvere alcalina
impropriamente contenuta nei guanti potessero avere innescato i fenomeni
irritativi. Fattori favorenti potrebbero essere rappresentati, in alcuni
casi, da una preesistente sensibilizzazione al nichel e dall’esposizione,
nelle sale operatorie e nelle rianimazioni, a bassi livelli di umidità che favoriscono
la secchezza e la formazione di lesioni sulla cute e promuovono
l’assorbimento di sostanze irritanti. Ulteriori elementi facilitanti potrebbero
essere costituiti dai frequenti lavaggi delle mani con saponi alcalini
aggressivi effettuati durante ciascun turno lavorativo e dalla esposizione
ad altre sostanze irritanti largamente utilizzate in ospedale.
Tabella I. Caratteristiche degli operatori sanitari che hanno
manifestato disturbi cutanei durante l’uso di guanti in nitrile
Mansione lavorativa OSS: 3 Tecnici: 3 Infermieri: 25
Tipologia di Reparti Chirurgie:16 Rianimazioni: 7 Medicine e Servizi: 4+4
Familiarità per atopia Positivi: 8 Negativi: 23
Anamnesi Patologica per atopia Positivi: 22 Negativi: 9
Inidoneità per sensibilizzanti Positivi: 6 Negativi: 25
Patch test Nichel/Timerosal Positivi: 20 Negativi:8 Non disponibili: 3
Prick Test per sensibilizzanti Positivi: 8 Negativi: 20 Non disponibili: 3
Test di esposizione Positivi: 19 Negativi: 5 Non disponibili: 7
CONCLUSIONI
Nonostante i significativi miglioramenti nell’incidenza delle patologie
allergiche e irritative, determinati dall’adozione di guanti privi di polvere
lubrificante e a basso contenuto in proteine (4), continuano a verificarsi
nuovi casi di sensibilizzazione al latice fra gli operatori sanitari. Noi
riteniamo che il più efficace intervento di bonifica dal latice della gomma
in ospedale debba essere costituito dalla radicale eliminazione dei guanti
da esplorazione in latice e dalla loro sostituzione con analoghi dispositivi
in materiale sintetico. Fra i prodotti polimerici testati i guanti in acronitrile-butadiene
senza polvere hanno mostrato possedere le caratteristiche
più soddisfacenti di sensibilità tattile, grip e grado di protezione, a costi
sostanzialmente sovrapponibili a quelli richiesti per l’approvvigionamento
dei guanti in latice (Tabella II). Alla luce delle reazioni avverse verificatesi
subito dopo l’introduzione dei guanti in nitrile nella nostra
Azienda si consiglia di pretendere da parte delle ditte fornitrici più rigide
garanzie riguardo alla corrispondenza tra quanto descritto nelle schede
tecniche e l’effettiva assenza di sostanze potenzialmente nocive nel dispositivo.
Tabella II. Costi (prezzo unitario in Euro) per la fornitura
dei guanti da esplorazione nell’A.S.O. Santa Croce e Carle
Tipi di Guanto Anni delle Gare d’acquisto
Anno 2002 Anno 2005 Anno 2006
Guanti in lattice 0,0325 0,0246 0,0260
Guanti in nitrile 0,0617 0,0330 0,0297
Guanti in vinile 0,0243 0,0189 0,0189

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 75
www.gimle.fsm.it
BIBLIOGRAFIA
1) AAAI. Committee report Task Force on Allergic Reactions to latex.
J Allergy Clin Immunol 1993; 92: 16-18.
2) Ownby DR. A history of latex allergy. J Allergy Clin Immunol 2002;
110 (Suppl 2): S27-32.
3) D.Lgs. 626/94. Attuazione delle direttive europee riguardanti il miglioramento
della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di
lavoro.
4) NIOSH recommends steps for reducing work-related exposure to latex.
Am J Health Syst Pharm 1997; 54: 1688-1691.
P-04
ALLERGIA AL LATTICE: LA TUTELA DEGLI OPERATORI SANITARI
E DEL PAZIENTE NELL’ESPERIENZA DI UN PRESIDIO OSPEDALIERO
S. Gentilli1 , F. Duzioni1 1 Azienda Ospedaliera “S. Antonio Abate”, Largo Boito, 2
- 21013 Gallarate (VA)
Corrispondenza: Francesca Duzioni, Unità Operativa di Medicina
Preventiva Azienda Ospedaliera “S. Antonio Abate”, Largo Boito, 2
- 21013 Gallarate (VA), Italy - Tel. +39 0331 751786,
E-mail: medprevgal@virgilio.it
LATEX ALLERGY AND ITS PREVENTION: EXPERIENCE
OF A HOSPITAL
Key words: latex allergy, health care workers; occupational risks,
allergia a latice, operatori sanitari, rischi professionali.
ABSTRACT. Latex allergy is increasing both in general population
and among highly exposed groups such as health care workers. Regione
Lombardia has stated guidelines providing directions to prevent the risk
and solve the issue.
The present contribution has the aim to describe the evolution
of those guidelines application project within a hospital organisation.
A multidisciplinary work team has been constituted to achieve the goal
by planning actions to avoid latex disease in health care workers and to
identify organisational measures which should be taken to protect
allergic patients when admitted into hospital.
INTRODUZIONE
I soggetti sensibilizzati a latice possono andare incontro a manifestazioni
di tipo cutaneo locale o a manifestazioni generalizzate con fenomeni
anche gravi quali lo shock anafilattico.
Per prevenire tale rischio, che risulta in aumento sia nella popolazione
generale che in gruppi ad alta esposizione quale il personale sanitario,
sono state emanate dalla regione Lombardia linee guida che definiscono
criteri e strumenti applicativi per la gestione del problema.
Il presente contributo ha lo scopo di descrivere l’evoluzione di un
progetto di applicazione di tali linee guida all’interno di una struttura
ospedaliera.
METODIS
Si è costituito un gruppo di lavoro multidisciplinare (medico del lavoro,
direttore sanitario, allergologo, anestesista, farmacista) con il compito
di:
– pianificare interventi per la prevenzione della patologia da latice negli
operatori sanitari;
– individuare misure organizzative da adottare a tutela del paziente allergico
che accede alla struttura ospedaliera.
RISULTATI
Relativamente alla tutela dell’operatore sanitario si sono focalizzati
vari livelli di intervento:
– sono stati identificati i compiti lavorativi in cui l’uso di guanti in latice
è strettamente necessario, e quelli in cui può essere evitato;
– si è provveduto all’acquisto di guanti in materiale alternativo al latice;
– è stato istituito un registro per le patologie allergiche da latice riscontrate
negli operatori;
– sono stati organizzati corsi periodici di formazione del personale;
– è stato elaborato e distribuito a tutto il personale sanitario dell’azienda
un opuscolo informativo su questa problematica;
– nei capitolati di acquisto di presidi e arredi è stata prevista la certificazione
da parte delle ditte produttrici della presenza o assenza di latice
nei vari manufatti.
Relativamente alle misure organizzative adottate per la tutela del paziente
allergico ricoverato nella nostra struttura ospedaliera, gli sforzi organizzativi
sono stati rivolti in più direzioni:
– è stata allestita presso il Pronto Soccorso una sala latex-safe in cui
avviare i pazienti allergici e sensibilizzati; in questa sala, oltre al carrello
per l’emergenza, tutti gli arredi, la strumentazione, i presidi
sono stati certificati latex-free. Sono state inoltre definite dettagliate
procedure per la gestione del paziente allergico e per la pulizia degli
spazi dedicati;
– è stato previsto un sistema di identificazione del paziente mediante
apposito braccialetto, e un contrassegno attestante l’allergia a latice
da apporre sulla cartella di ricovero e su tutta la modulistica interna;
– in tutte le unità operative di degenza sono state individuate stanze latex-safe
provviste di un box contenente una dotazione di base di strumenti
e presidi privi di latice;
– presso il Servizio di Farmacia sono disponibili liste aggiornate di materiali
privi di latice.
– è stata attuata una campagna informativa per la popolazione generale
mediante affissione nelle sale di accettazione e di attesa dell’ospedale
di posters a tema.
DISCUSSIONE
L’esperienza condotta conferma l’efficacia di un approccio multidisciplinare
nel progettare strategie per la prevenzione delle patologie da latice.
Risultano di fondamentale importanza per il raggiungimento dell’obbiettivo,
i programmi di formazione del personale sanitario e di sensibilizzazione
della popolazione generale. È necessario il rispetto rigoroso
dei protocolli clinico- organizzativi adottati, per garantire nel tempo
il mantenimento degli ambienti latex safe.
BIBLIOGRAFIA
1) Alessio L, Baruffini A, Biscaldi G, Cirla AM, Cortona G, Crippa M,
Franco G, Marcer G, Moscato G, Toffoletto F. Patologie allergiche e
irritative da guanti in ambiente sanitario e loro prevenzione. Documento
di consenso. Med Lav 1996; 87: 350-359.
2) Alessio L, Balleri L, Braga M, Cattaneo R, Coppini G, Crippa M,
Placidi D. Prevenzione delle reazioni allergiche in pazienti sensibilizzati
a latice. Ann Ig 1999; 111: 193-198.
3) Previdi M, Marracini P. Allergia alle proteine del latice e percorsi di
prevenzione. Med Lav 2001; 92,2: 108-119.
4) Giunta Regionale Direzione Generale Sanità: Decreto n. 22303 del
24/09/2001 “Linee guida della regione Lombardia per la prevenzione
delle reazioni allergiche a latice nei pazienti e negli operatori sanitari”.
P-05
EVIDENZA DI POSSIBILE INFEZIONE DA MYCOBACTERIUM
BOVIS NEL PERSONALE VETERINARIO DI UN’AZIENDA
SANITARIA
M. Rao1 , F. Aloia1 , R. Caruso1 , C. Cortese1 , R. Docimo1 , F. Gialdini1 ,
A. Maradei1 , R. Talone1 , F. Tarsitano1 1 Azienda Sanitaria n. 2 del Pollino, Dipartimento di Prevenzione,
Via Po, 74 - 87012 Castrovillari (CS)
Correspondence: Dr.ssa Mirella Rao - U.O. Sorveglianza Sanitaria
dei Lavoratori, Via Po, 74 - 87012 Castrovillari (CS), Italy
EVIDENCE OF A POSSIBLE MYCOBACTERIUM BOVIS
INFECTION IN VETERINARY SERVICE STAFF OF A LOCAL
HEALTH UNIT
Key words: Mycobacterium tubercolosis, Mycobacterium bovis,
professional disease, malattia professionale.

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ABSTRACT. For those who are exposed to an infection hazard by
m. bovis (breeders, slaughterers, veterinary surgeons), transmission may
occur through inhalation of bacterial aerosol, coming from infected cattle’s
cough or through cutaneous contacts with infected organs and products.
Among the veterinary staff who underwent the medical control,
5 Mantoux test positive results were found. Among them, 2 cases, after
a radiological thoracic examination, revealed the presence of calcific
nodules which might be ascribed to the primary complex. Among the
surveillance technicians, 2 resulted positive to Mantoux test, with
negative radiological thoracic examination.
In the light of such data, the possibility of a causal connection between
working exposure and tubercular infection evidence has been taken into
account. Therefore, the notification to INAIL (NATIONAL INSTITUTE
FOR INSURANCE AGAINST INDUSTRIAL INJURIES) concerning
a suspected professional disease was carried out.
By summing up, the results of our experience – though they are referred
to a limited group of professionally exposed workers – point out the
need of keeping a high level of attention and control over m. bovis
infections, through a careful information and training of those who are
involved in the above mentioned activities. In professional practices,
the adoption of special and suitable protection devices is also
suggested.
INTRODUZIONE
L’attuale situazione epidemiologica della tubercolosi (TBC) nel nostro
Paese è caratterizzata da una bassa incidenza nella popolazione generale,
dalla concentrazione della maggior parte dei casi in alcuni gruppi
a rischio e dall’emergenza di ceppi tubercolari multifarmacoresistenti.
Ciò è dovuto da un lato al crescente numero degli immigrati, spesso
in situazioni di malnutrizione e affetti da malattie croniche, dall’altro all’emergere
di nuove patologie che inficiano il sistema immunitario, quali
l’AIDS, e non da ultimo il sempre più frequente rilievo di ceppi di
Mycobacterium tubercolosis (M.T.) multifarmacoresistenti.
Anche se il M.T. è l’agente più comune della malattia tubercolare
nell’uomo, una percentuale dei casi, spesso misconosciuta, è dovuta al
Mycobacterium bovis (M.B.) non solo nei Paesi in via di sviluppo, dove
non esistono controlli specifici e misure di profilassi per la tubercolosi
animale, ma anche nei Paesi industrializzati dove, nonostante programmi
di bonifica, si possono registrare, anche se sporadicamente, casi di TBC
umana da M.B., soprattutto per esposizione professionale (veterinari, addetti
alla macellazione, allevatori).
MATERIALI E METODI
Nell’ambito dell’attività di sorveglianza sanitaria dei lavoratori, ai
sensi del Dlgs 626/94, è stato sottoposto a visita medica il personale del
servizio veterinario della nostra Azienda Sanitaria (24 veterinari e 15 tecnici
di vigilanza) per il quale è stato adottato un protocollo di accertamenti
sanitari che prevedeva, oltre alla visita medica, anche l’esame spirometrico,
alcuni esami di laboratorio (emocromo, transaminasemia,
creatininemia, esame urine), il test sierologico specifico per la brucellosi,
la valutazione dello stato immunitario per il Clostridium tetani ed il test
tubercolinico secondo Mantoux.
Da un’accurata anamnesi lavorativa emergeva che il personale suddetto
era stato impegnato per un quinquennio, ai sensi della Legge n.
615/64 e s.m.i., nel piano di eradicazione della tubercolosi negli allevamenti
bovini e bufalini di diverse aziende zootecniche distribuite sul territorio
aziendale.
Il piano prevedeva l’effettuazione di prove tubercoliniche agli animali
ripetute periodicamente fino ad eradicazione della malattia, individuazione
dei capi infetti e ispezione all’abbattimento degli stessi.
L’attività lavorativa del personale veniva svolta in condizioni igienico-sanitarie
assai precarie e molto spesso senza l’ausilio di mezzi di
protezione.
RISULTATI
Dall’indagine effettuata, 5 dei 24 veterinari sono risultati positivi al
test tubercolinico secondo Mantoux (20,8%); 2 tra questi hanno mostrato
la presenza di noduli calcifici attribuibili verosimilmente a complesso
primario al successivo controllo radiologico del torace.
Nel personale tecnico di vigilanza si sono evidenziati 2 casi di positività
al test tubercolinico (13,3%) con riscontro negativo al successivo
controllo radiologico del torace.
Attraverso un’accurata anamnesi patologica remota non si è riscontrata
alcuna altra esposizione e/o contatto precedente al periodo in esame
con altri ceppi di Mycobacterium.
DISCUSSIONE
È descritto in letteratura che il contagio animale-uomo può avvenire
mediante l’inalazione dell’aerosol batterico presente nell’ambiente a
causa di colpi di tosse del bestiame infetto oppure tramite il contatto cutaneo
con organi e prodotti infetti.
Il limitato numero dei soggetti del campione esaminato, pur non consentendoci
elaborazioni di carattere statistico-epidemiologico, confermano
il sospetto della correlazione specifica tra esposizione lavorativa e
insorgenza della patologia specifica.
È inoltre significativo il riscontro dell’evidenza di due casi accertati
anche radiologicamente nel personale veterinario sia pure sull’esiguo numero
totale dei soggetti esaminati.
È evidente, pertanto, che nella storia naturale della malattia un ruolo
fondamentale, oltre al M.T., è svolto anche dal M.B. e quindi potenziali
fonti di rischio possono provenire anche dal mondo rurale e interessare
alcune categorie professionali ad esso appartenenti (addetti alla macellazione,
veterinari, allevatori, agricoltori, etc).
Alla luce dei suddetti dati si è ritenuto di poter desumere la sussistenza
di un nesso causale tra l’esposizione lavorativa e l’insorgenza di
infezione tubercolare e pertanto si è proceduto alla notifica all’INAIL di
sospetta malattia professionale.
In conclusione, dai risultati della nostra esperienza, sia pur riferita ad
un gruppo limitato di lavoratori professionalmente esposti, si evidenzia la
necessità di mantenere alto il livello di attenzione e di sorveglianza delle
infezioni da M.B. anche attraverso la formazione e l’informazione degli
operatori interessati e l’adozione, nella pratica professionale, di idonei dispositivi
di protezione individuale.
BIBLIOGRAFIA
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2) Sartorelli E. Trattato di Medicina del Lavoro. Ed. Piccin, 1981.
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7) Casi di tubercolosi da Mycobacterium bovis in alcune categorie a rischio.
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P-06
IL FENOMENO INFORTUNISTICO A RISCHIO BIOLOGICO
NEL PERSONALE INFERMIERISTICO DELL’AZIENDA OSPEDALIERA
DI FOGGIA: INDIVIDUAZIONE DEL FABBISOGNO FORMATIVO
A. Russo1 , L. Vimercati1 , A. Lo Izzo1 , L. Bisceglia1 , L. Macinagrossa1 ,
S. Falcone2 , G. Assennato1 1 Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, Dipartimento
di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Università degli Studi
di Bari, Policlinico, Piazza Giulio Cesare - 70124 Bari
2 Azienda Ospedaliera di Foggia
Corrispondenza: Dr.ssa Linda Macinagrossa - Sezione di Medicina
del Lavoro “B. Ramazzini”, Dipartimento di Medicina Interna
e Medicina Pubblica, Università degli Studi di Bari
- Tel. 080/5478256, E-mail:l.macinagrossa@medlav.uniba.it
Richiesta estratti: Dr. Luigi Vimercati - Sezione di Medicina
del Lavoro “B. Ramazzini”, DIMIMP, Università degli Studi di Bari,
Policlinico, Piazza Giulio Cesare - 70124 Bari, Italy
- E-mail: l.vimercati@medlav.uniba.it
BIOLOGICAL-RISK ACCIDENTS IN HEALTH CARE WORKERS
OF FOGGIA HOSPITAL: IDENTIFICATION OF TRAINING NEEDS
Key words: healthcare workers; biological risk; injuries.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 77
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ABSTRACT. Health care workers represent an important job category
at biological- risk injuries. Possible exposure of these workers could be
studied through the evaluation of indirect indices such as the incidence
of injuries with biological agents, workers compliance to universal
precautions, frequency of contact with potential sources of exposure
to biological agents.
The aim of the study was to investigate the ways of occurrence
of injuries involving biological agents in a group of nurses, in order
to design a subsequent training programs.
The study population was represented by 53 nurses from 5 divisions
of the Foggia Hospital. To each subject was administered a
questionnaire to collect information about demographic data and
occupational history, taking into account previous accidents involving
biological agents. The Injuries Registry of The Foggia Hospital,
updated to March 2006, was consulted to verify the information
provided by interviewed workers.
The results show that procedures mostly associated to the injuries
occurrence are those involving needlesticks (endovenous/intramuscular
injections; blood drawning etc.) Fatigue and, in a less extent, hurry
are reported by affected workers as principal causes of the events.
The identification of factors associated to injuries in health care
workers allows specific prevention programmes to be targeted at those
workers at greater risk
INTRODUZIONE
Il rischio biologico in ambito sanitario assume particolare rilievo per
il numero degli operatori potenzialmente esposti e per la gravità delle
possibili conseguenze sulla loro salute. Dal 1986 al 2002 lo Studio Italiano
sul Rischio Occupazionale da HIV (SIROH) ha raccolto le segnalazioni
di circa 35000 infortuni a rischio biologico in 55 ospedali italiani ed
ha documentato 18 episodi di sieroconversione verificatisi in seguito a
puntura accidentale con aghi cavi pieni di sangue (1, 2).
Il Titolo VIII del D. Lgs. 626/94, le cui norme si applicano a tutte le
attività lavorative nelle quali si può verificare l’esposizione ad agenti biologici,
sancisce l’obbligo per il datore di lavoro di predisporre idonee misure
di protezione e prevenzione del rischio. L’adempimento di tale obbligo
presenta tuttavia alcune difficoltà legate al processo di valutazione
del rischio. La possibile esposizione degli operatori viene pertanto indagata
attraverso lo studio di indicatori indiretti quali l’incidenza del fenomeno
infortunistico a rischio biologico, l’osservanza da parte dei lavoratori
delle precauzioni universali, la frequenza dei contatti con potenziali
fonti di esposizione ad agenti biologici.
L’obiettivo del presente studio è stato quello di indagare le modalità
di accadimento degli infortuni a rischio biologico di una popolazione di
infermieri al fine di pianificare il successivo intervento formativo in materia
di rischi specifici.
MATERIALI E METODI
Abbiamo indagato gli eventi infortunistici a rischio biologico in 53
infermieri afferenti a cinque unità di degenza dell’Azienda Ospedaliera di
Foggia. Di essi, 8 afferivano all’Ostetricia e Ginecologia, 8 alla Chirurgia
Generale, 8 alla Chirurgia d’Urgenza, 13 alla Medicina Generale e 16
a Malattie Infettive. Il campione selezionato, stratificato per fasce d’età
anagrafica, ha evidenziato un maggior numero di soggetti compresi tra
31-40 (41.5%) e 41-50 (39.6%) anni.
A tutti i soggetti coinvolti nello studio, abbiamo somministrato un
questionario con domande finalizzate all’acquisizione di informazioni relative
ai dati anagrafici ed all’attività lavorativa. Relativamente a quest’ultima,
particolare attenzione è stata rivolta ad eventuali precedenti
anamnestici di infortunio a rischio biologico dall’inizio dell’attività lavorativa,
alla causa attribuita dell’infortunio, alle modalità di accadimento
ed al tipo di dispositivo coinvolto. Il riscontro degli eventi infortunistici
riportati dal campione intervistato è stato verificato mediante consultazione
del Registro Infortuni dell’Azienda Ospedaliera di Foggia, aggiornato
al mese di marzo 2006.
RISULTATI
Lo studio ha evidenziato che, nel determinismo degli eventi infortunistici,
sono maggiormente implicate le procedure di reincappucciamento
degli aghi (40%), iniezione endovenosa/intramuscolare (32%), infusione
(13%), prelievo di sangue (6%) ed eliminazione del materiale tagliente
(6%) (Figura 1). La stanchezza e, in minor misura, la fretta sono le cause
d’infortunio secondo la maggior parte dei soggetti intervistati (Figura 2).
I dispositivi coinvolti sono, nella maggior parte dei casi, gli aghi (84%)
e, in percentuale ridotta, i bisturi (13%).
Figura 1. Modalità di accadimento
Figura 2. Causa percepita d’infortunio
DISCUSSIONE
I risultati della nostra indagine conoscitiva sugli aspetti qualitativi
del fenomeno infortunistico a rischio biologico nella popolazione lavorativa
esaminata, appaiono in accordo con quanto evidenziato dalla letteratura
sull’argomento (2, 3). Su queste basi riteniamo che la frequenza degli
eventi infortunistici potrebbe essere significativamente ridotta, attraverso
l’attenta gestione dell’organizzazione del lavoro e mediante l’attuazione
di interventi mirati di informazione e formazione, opportunamente
differenziati in base all’anzianità lavorativa e ripetuti nel tempo.
Lo studio sarà nuovamente condotto sullo stesso campione dopo l’attuazione
di un intervento formativo mirato.
BIBLIOGRAFIA
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da HIV Group. Risk of hepatitis C virus following percutaneous
exposure in healthcare workers. Infection 2003; 31: 22-27.
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negli operatori sanitari. Lauri, Milano 2003.
3) Ippolito G, Puro V, Petrosillo N, De Carli G. Gruppo Italiano Rischio
Occupazionale da HIV (SIROH). Sorveglianza delle esposizioni professionali
a patogeni a trasmissione ematica negli operatori sanitari:
il programma nazionale italiano. Euro Surveill 1999; 4: 33-36.

78 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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P-07
ANTICORPI CONTRO LA TOSSINA TETANICA NEI LAVORATORI
ESPOSTI A RISCHIO
L. Di Marco1 , M. Morandin1 , C. Frasson1 , A. Bruno1 , M. Beggio1 ,
E. Davanzo1 , M. Galdarossa2 , M. Cattai3 , A. Trevisan1 1 Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica,
Università di Padova, Via Giustiniani 2, 35128 Padova
2 Servizio di Farmacia, Azienda Ospedaliera di Padova
3 Servizio di Microbiologia e Virologia, Azienda Ospedaliera di Padova
Corrispondenza: Prof. Andrea Trevisan - Dipartimento di Medicina
Ambientale e Sanità Pubblica, Università di Padova, Via Giustiniani, 2
- 35128 Padova, Italy - Tel. 049-821.1362, Fax 049-876.3238,
E-mail: andrea.trevisan@unipd.it
ANTIBODIES AGAINST TETANUS TOXIN IN WORKERS
EXPOSED TO RISK
Key words: tetanus, vaccination, biological risk, tetano, vaccinazione,
rischio biologico.
ABSTRACT. Vaccination against tetanus is mandatory in Italy since
1963 for children and for some professional categories such as farmers,
metal workers, stock-breeders, other than agonistic athletes. The aim
of the research was to verify if the decennial booster is needful.
Hundred subjects (59 males and 41 females) 35.0±11.0 years old,
working in Padua University, were admitted to health surveillance and
antibody titre against tetanus toxin was determined after an average of
5.3 vaccine doses (range 2-10 doses) and an interval since the last dose
of 6.4 years (range 0-21 years). Accurate tetanus vaccination history
was collected based on documented data. On the average, antibody titre
was 1.59 IU/ml; only two subjects (2%) had titre lower than 0.15 IU/ml.
Slight (r=-0.224), but significant (p

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 79
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La frequenza di una risposta cellulo-mediata positiva (8) varia con
l’età; infatti una risposta positiva viene ottenuta in più dell’80% di soggetti
con età fino a 40 anni, ma la frequenza si riduce al di sotto del 30%
in soggetti di età superiore a 60 anni.
Al contrario, è stato recentemente dimostrato (9) che un singolo richiamo
dovrebbe essere sufficiente a fornire una elevata protezione negli anziani.
In conclusione, concordiamo che (10) nonostante il supposto declino
del titolo anticorpale con l’età, i soggetti sembrano essere protetti per
tutta la vita. Ciascun richiamo aumenta la probabilità di sensibilizzazione
ad ulteriori dosi e di reazioni avverse anche gravi. Inoltre, richiami non
necessari fanno perdere tempo ai pazienti e sprecano le risorse della sanità
pubblica (11).
Per ridurre il rischio di iperimmunizzazione, dovrebbe essere incoraggiata
la applicazione di test diagnostici rapidi per valutare lo stato immunitario
del soggetto.
Inoltre si suggerisce un richiamo all’età di 60 anni per stimolare la
probabilmente depressa immunità cellulare, concordando che (12) un singolo
richiamo a completamento del ciclo primario è una buona strategia
costo-benefici per ridurre l’incidenza del tetano nell’età adulta.
BIBLIOGRAFIA
1) Pedalino B, Cotter B, Ciofi degli Atti M, Mandolini D, Parroccini S,
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P-08
PREVALENZA DELLA POSITIVITÀ DELLA SIERODIAGNOSI
DI WIDAL IN UNA POPOLAZIONE DI OPERATORI ECOLOGICI
SICILIANA
P. De Marchis1 , S. Schillaci1 , M.G. Verso1 , D. Picciotto1 1 Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Clinica
e delle Patologie Emergenti, Università degli Studi di Palermo,
Via del Vespro, 143 - Palermo
Corrispondenza: Dr. P. De Marchis - Sezione di Medicina del Lavoro,
Policlinico “P. Giaccone”, Università degli Studi di Palermo,
Via del Vespro, 143 - 90127 Palermo, Italy - Tel. 091-6552910
PREVALENCE OF POSITIVITY FOR WIDAL’S REACTION
AMONG A POPULATION OF SICILIAN DUSTMEN
Key words: Salmonella, biologic risk.
ABSTRACT. The infection by Salmonelle s.p.p. is a common problem
in Italy and especially in Sicily. The characteristics of the weather and of the
population in Sicily increase the diffusion of this infection. This is more
important in professional activities with exposition to biologic risk. Today, there
is interest for this question also because in 1997 was repealed the obligatory
vaccination for S. Tiphy for some categories of workers, like dustmen.
The object of the present study is to observe the prevalence of positivity
for Widal’s Reaction among a population of Sicilian dustmen and to
evaluate the possible necessity of anti-tiphyc vaccination.
INTRODUZIONE
L’infezione da Salmonelle, notoriamente a trasmissione fecale-orale,
rappresenta una delle più importanti cause di gatroenteriti in Italia, specialmente
nelle regioni del Meridione. Scopo del presente studio osservazionale
è la valutazione dei casi di positività anticorpale alla sierodiagnosi
di Widal presso una popolazione di operatori ecologici siciliana.
Nell’attività in oggetto non vi è l’uso deliberato di tali agenti biologici,
tuttavia, in considerazione della tipologia dell’attività lavorativa
svolta, esiste per gli operatori addetti alle attività di carico, scarico e movimentazione
dei rifiuti urbani, un potenziale rischio di contatto con materiali
variamente contaminati.
La problematica relativa alle infezioni da salmonelle desta la nostra
attenzione anche in considerazione dell’abolizione della vaccinazione
anti-tifica, obbligatoria per queste categorie lavorative fino al 1997. La
profilassi vaccinica infatti è stata resa facoltativa nel 1998 in seguito all’attuazione
dell’art. 32 della Legge n. 449/1998 e dall’art. 93 della Legge
n. 388/2000, che la pongono a discrezione delle Regioni.
La modifica del comportamento preventivo, le scarse misure igieniche
personali ed alimentari adottate dai singoli lavoratori, nonché le condizioni
epidemiologiche e climatiche del territorio siciliano, favoriscono
la diffusione dell’infezione.
I dati epidemiologici relativi alle infezioni da salmonelle fanno riferimento
ad un complesso sistema di trasmissione delle informazioni che
viene coordinato in Italia dall’Istituto Superiore di Sanità e fa riferimento
all’attività di notifica obbligatoria delle malattie infettive. I dati rilevati
vengono poi convogliati in un unico network europeo, conosciuto con il
nome di “enter-net” (Enteric Pathogen Network), coordinato dall’Health
Protection Agency (HPA).
Nonostante la validità del sistema di trasmissione delle informazioni,
i dati epidemiologici appaiono con ogni probabilità sottostimati, specialmente
nelle regioni del Sud-Italia, dove l’attività di notifica è discontinua
e frammentaria.
A titolo orientativo si presentano sinteticamente i dati raccolti ed elaborati
da “Enter-net Italia” per l’anno 2003: sono stati effettuati 6.187
isolamenti di salmonella, di cui il 66,5% nell’Italia del Nord, il 20% nell’Italia
Centrale e il rimanente 13,5% nell’Italia del Sud (2, 3).
MATERIALI E METODI
La popolazione esaminata è stata selezionata sulla base della mansione
svolta (autista, operaio svuotacassonetti, ecc.), escludendo dal campione
soggetti portatori di patologie sistemiche croniche, che potessero
inficiare i risultati dei test effettuati.
Ciascun soggetto è stato sottoposto, nel corso del programma di sorveglianza
sanitaria per l’anno 2005, a visita medica periodica e ad esami
ematochimici/sierologici e strumentali (ECG, CFV, Audiometria).
Per quanto riguarda lo studio in oggetto, è stata posta particolare attenzione
ai risultati della sierodiagnosi di Widal, agli indici di funzionalità
epatica (AST, ALT, γ-GT, Fosfatasi alcalina, Bilirubina tot. e frazionata),
all’emocromo con formula leucocitaria. Gli esami ematochimici e
sierologici sono stati effettuati su un campione di sangue venoso raccolto
al mattino e a digiuno, presso un laboratorio accreditato per la qualità.
I casi con riscontrata positività per sierodiagnosi di Widal (antigene
O e/o Antigene H > 1:80), essendo tutti asintomatici, sono stati rinviati all’attenzione
del Medico Curante.
RISULTATI
Sono stati esaminati in totale 74 soggetti, tutti di sesso maschile, con
età media 54,5 anni (DS = 6,5). La distribuzione dei lavoratori per mansione
espletata è illustrata in Tab. I.

80 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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I risultati degli esami ematochimici e sierologici di interesse per il
presente studio sono illustrati in Tab. 2, dove vengono riportate anche le
percentuali rispetto al numero totale di soggetti esaminati.
Si osserva che i 22 casi di positività alla sierodiagnosi di Widal sono
relativi a 7 (31,8%), autisti di autocompattatore ed espurgo e 15 (68,2%)
operai svuotacassonetti e addetti allo spazzamento manuale delle strade.
Si omette la descrizione dettagliata dei risultati degli altri esami di laboratorio
e strumentali effettuati, essendo ininfluenti ai fini della presente trattazione.
Tabella I. Suddivisione dei lavoratori in base alla loro mansione
Mansione Numero di addetti
Autista 29 (39,2%)
Operaio 39 (52,7%)
Sorvegliante 5 (6,7%)
Responsabile tecnico 1 (1,4%)
Tot. 74
Tabella II. Alterazioni significative degli esami ematochimici
e sierologici (percentuali rispetto al tot. di soggetti esaminati)
Esami ematochimici e sierologici
Numero di alterazioni
significative
Emocromo 0
Indici di funzionalità epatica 5 (6,7%)
Positività della sierodiagnosi di Widal 22 (29,7%)
Positività dei markers per epatite B
in soggetti non vaccinati
2 (2,7%)
Positività dei markers per epatite C 2 (2,7%)
Tot. 31 (41,9%)
DISCUSSIONE
Dai risultati ottenuti emerge l’elevata percentuale di soggetti positivi
alla sierodiagnosi di Widal, in assenza di alcun segno o sintomo clinico
suggestivo di malattia. Verosimilmente ciò è da attribuire in parte alla non
elevata specificità della reazione di Widal, utilizzata in questo caso a
scopo di screening. Va tuttavia osservato che nelle aree endemiche di salmonellosi,
l’infezione risulta spesso clinicamente silente, così come avviene
nei casi di portatore cronico (1).
Al fine di prevenire eventuali casi di malattia manifesta nonché la
diffusione di tali agenti biologici nel territorio, si ritiene necessaria l’attuazione
della profilassi vaccinica per tutti i lavoratori del settore, e la rivisitazione
della problematica da parte della Regione Sicilia.
Appare inoltre necessario un’attenta attività di informazione e formazione
in merito ai corretti comportamenti igienici da seguire nell’espletamento
dell’attività lavorativa.
Infatti, pur essendo maggiormente interessati gli operatori ecologici,
ed in particolare gli operai svuotacassonetti e gli addetti allo spazzamento
manuale delle strade, una percentuale significativa di casi è stata rilevata
negli autisti di autocompattatore e di mezzi addetti all’espurgo, segno di
una contaminazione diffusa degli ambienti e dei mezzi di lavoro.
Per il futuro ci si propone di monitorare la popolazione lavorativa in
esame, cercando di effettuare una tipizzazione dei ceppi di salmonella riscontrati,
al fine di controllare sia dal punto di vista epidemiologico che
clinico i focolai di infezione.
BIBLIOGRAFIA
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MALATTIE INFETTIVE OCCUPAZIONALI PER CUI È DISPONIBILE
LA VACCINOPROFILASSI
L. Gerbaudo1 , S. Bozzano1 , A. Caroccia1 , G. Lovera1 , E. Pellegrino1 ,
B. Violante1 1 Ufficio Medico Competente, A.S.O. S.Croce e Carle, Via Monte
Zovetto, 18 - 12100 Cuneo
Corrispondenza: Dr. ssa Laura Gerbaudo - Struttura Semplice Medico
Competente, Azienda Sanitaria Ospedaliera Santa Croce e Carle,
Via Monte Zovetto, 18 - 12100 Cuneo, Italy - Tel. 0171- 641362/641361,
Fax 0171-641035, E mail: gerbaudo.l@ospedale.cuneo.it
IMMUNOLOGICAL STATUS OF THE HEALTH CARE WORKERS
OF A GENERAL HOSPITAL EXPOSED TO OCCUPATIONAL
INFECTIOUS DISEASES THE VACCINATION IS AVAILABLE
FOR WHICH
Key words: occupational infectious diseases, vaccination, health care
workers.
ABSTRACT. According to the Italian law the employers must provide,
through the health care service, susceptible health care workers (HCW)
with free of charge effective vaccines against infectious diseases like:
HBV, measles, pumps, german measeles, chickenpox. Vaccination is
considered to be an important protective measure for HCW as in the
health care setting the prevalence of infections is higher than in
community.
The aims of the present study were to evaluate the rate of the
immunological coverage against the diseases previously mentioned
in a sample of HCW of a general hospital in the north-west of Italy,
and to assess demographic factors which could be associated with the
indices of prevalence of the immunization status.
Overall immunization coverage for each disease was as follows:
HBV = 94.7%; Measles = 98.9%; Pumps = 76.7%; German measeles
= 97.1%; Chickenpox= 96.4%. No difference of prevalence was found
between new and old hired HCW. No significant correlation was found
between rates of prevalence and the demographic selected variables.
We conclude that for the protection of HCW, the knowledge of the rates
of prevalence of susceptibility is an important tool to test alternative
interventions to vaccination, like: supply of protective devices, job
limitations, educational programs, general clinical examinations.
INTRODUZIONE
I lavoratori del settore sanitario nel corso della loro attività sono
esposti al rischio di contrarre malattie infettive in misura maggiore rispetto
alla popolazione generale (3). A causa della rilevanza del rischio la
normativa che regola la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori
prevede un ampio ventaglio di iniziative di protezione (2). Le linee guida
nazionali (3) e i CDC di Atlanta (1) considerano le pratiche vaccinali misure
valide a ridurre il rischio di infezioni nei confronti di: epatite B, parotite,
morbillo, rosolia e varicella.
Gli scopi del presente studio sono quelli di:
1 - analizzare gli indici di prevalenza dello stato immunitario degli operatori
di un’azienda ospedaliera piemontese verso le principali patologie
infettive a potenziale origine occupazionale nei confronti delle
quali siano disponibili vaccini di comprovata efficacia;
2 - correlare gli indici di prevalenza ad alcune variabili anagrafiche ed
occupazionali nella popolazione esaminata.
MATERIALI E METODI
È stato valutato, tramite analisi dei titoli anticorpali, lo stato immunitario
degli operatori dell’ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo esposti
per motivi occupazionali a rischio di malattie infettive trasmissibili per
le quali sono disponibili vaccini efficaci e sicuri. Lo studio è stato condotto
su tutti i 1765 lavoratori esposti a rischio per epatite B e su una consistente
quota di soggetti esposti a: morbillo (827), parotite (816), rosolia

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(963) e varicella (926). L’adesione alle vaccinazioni e ai successivi controlli
immunitari è stata effettuta su base volontaria dopo consenso informato.
Nei confronti dell’HBV, il campione è stato suddiviso in due classi
di immuni: a seguito di vaccinazione o di infezione naturale (titolo anti-
HBs ≥10 mUI/ml), e in due classi di suscettibili: soggetti non responders
(anti-HBs 6 U o >12 UI/dl; suscettibili, se 10
UI/ml; recettivi, se le IgG erano inferiori a tali livelli.
Sono stati inoltre presi in esame: età, sesso, tipologia di mansione
svolta e area di attività dei soggetti valutati.
La mansione è stata distinta in cinque sottotipi: medico, infermiere,
ausiliario, tecnico sanitario, operatore tecnico mentre le strutture di appartenenza
sono state accorpate in quattro macroaree: medicine, chirurgie,
servizi, urgenze.
RISULTATI
L’analisi dei dati è stata condotta separatamente per ciascuna delle
patologie considerate.
• Epatite B: nel 94,7% dei casi i lavoratori risultano immuni in
quanto vaccinati (93,5%) oppure immunizzati a seguito di infezioni pregresse
(1,3%). Il restante 5.2% dei lavoratori è suscettibile perché non responder
(1,7%), o perché non ha completato la schedula di vaccinazione,
oppure perché i soggetti hanno rifiutato di aderire alla vaccinazione
(3,5%). I “Naturalmente Immuni”, i “Non Vaccinati” e i “Non Responder”
appartengono, in ordine decrescente, alla fasce più anziane di età.
Frequenze relativamente più alte di maschi si registrano fra i “Naturalmente
Immuni”, seguiti dai “Non Responder” e dai soggetti “Non Vaccinati”.
I medici prevalgono fra i “Non Vaccinati” (40,3%), i “Non Responder”
(40%) e i “Naturalmente Immuni” (31,8). Tra i “Non Vaccinati”
si riscontra una rilevante quota di tecnici sanitari (27,4%). Per quanto attiene
alle aree di lavoro si manifestano frequenze elevate di “Non Responder”
nei settori chirurgici (46,7%) e di “Non Vaccinati” nelle aree
Servizi (50%).
• Morbillo: circa l’1% della popolazione risulta suscettibile. In prevalenza
sono individui giovani, appartenenti al genere femminile e al personale
infermieristico e ausiliario delle aree di tipologia medica.
• Parotite: nel 23,2% del campione la risposta anticorpale è negativa
(10,5%) o dubbia (12,7%). Non si evidenziano associazioni tra suscettibilità
certa o dubbia e appartenenza a genere, mansione e area di attività.
• Rosolia: il 97,1% della popolazione esaminata è immune (935 soggetti)
e il 2,9% (28 soggetti) suscettibile. A confronto con gli immuni una
considerevole quota di suscettibili appartiene al genere maschile (39,3%)
e ad aree di pertinenza chirurgica (39,3%).
•Varicella: 32 (5,3%) soggetti sono suscettibili e 37 (7,6%) dubbi.
Non si evidenziano correlazioni con le altre variabili demografiche prese
in esame, ad eccezione di un’età media inferiore nel gruppo dei suscettibili.
I soggetti neo assunti (113 nel corso del 2005) presentano indici di
immunità per HBV inferiori (84%) rispetto a quelli dei lavoratori già in
servizio, mentre la copertura nei confronti di Morbillo (99%), Parotite
(76%), Rosolia (97%) e Varicella (91%) non si discosta sensibilmente da
quelle dei lavoratori con maggiore anzianità di servizio.
DISCUSSIONE
L’informazione più significativa che si desume dal presente studio riguarda
gli alti indici di prevalenza di lavoratori immuni che si attestano su
valori pari o superiori al 95% per tutte le patologie testate, ad eccezione
della parotite, nei confronti della quale risultano immuni i 3/4 dei soggetti
sottoposti a controllo. La differenza di copertura immunitaria per HBV, fra
neo assunti e operatori già in servizio, è verosimilmente attribuibile al
mancato completamento della schedula vaccinale alla visita preassuntiva.
Nonostante l’esito soddisfacente dei risultati occorre sottolineare
come un consistente numero di operatori appaia recettivo nei confronti di
forme morbose che possono comportare pesanti conseguenze sullo stato
di salute, sia direttamente, sia a causa di complicanze immediate o tar-
dive. Accanto a tale aspetto occorre considerare che negli ultimi tre anni
si sono verificati nella nostra azienda oltre 300 eventi accidentali occupazionali
a rischio di contaminazione biologica e che, in un terzo delle
circostanze, la fonte era positiva per patologie a trasmissione ematica.
Inoltre, dall’esame delle schede di dimissione ospedaliera, che pur rappresentano
uno strumento approssimativo della effettiva realtà espositiva,
sono state desunte 138 diagnosi di varicella e, in misura minore, di parotite,
rosolia e morbillo.
In conclusione, la conoscenza degli indici di recettività fra gli operatori
riveste una notevole importanza in quanto può consentire di individuare
le mansioni e le aree presso cui mettere in atto misure di tutela alternative
ai vaccini. Si tratta di iniziative che riguardano l’ambito della
sorveglianza sanitaria, la fornitura di dispositivi protettivi, il divieto all’esecuzione
di determinate manovre a rischio, la partecipazione a progetti
di formazione per ridurre la renitenza alle pratiche vaccinali e, che,
in definitiva, hanno lo scopo di prevenire l’insorgenza di quadri clinici
dalle conseguenze spesso drammatiche sia per i lavoratori sia per categorie
fragili di assistiti come gli immunodepressi.
BIBLIOGRAFIA
1) Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Immunization of
healthcare workers: reccomendations of the Advisory Committee on
Immunization Practises (ACIP) and of the Hospital Infection Control
Practices Advisory Committee (HICPAC). MMWR 1997b; 46: 1-42.
2) Decreto legislativo 626/94. Titolo VIII: protezione da agenti biologici.
3) Linee Guida della S.I.M.L.I.I.: Rischio biologico per i lavoratori della
Sanità: linee guida per la sorveglianza sanitaria.
P-10
Tabella I. Distribuzione dello stato di recettività del campione.
Numeri assoluti e percentuale (%)
Tipo di Patologia Immuni Suscettibili Dubbi
Totale Neo- Popolazione Neo- Popolazione Neoassunti
Generale assunti Generale assunti
Morbillo 818 112 9 1
(98,9%) (99,1%) (1,1%) (0,9%)
Rosolia 935 109 28 4
(97,1%) (96,5%) (2,9%) (3,5%)
Parotite 626 86 86 12 104 15
(76,7%) (76,1%) (10,5%) (10,6%) (12,7%) (13%)
Varicella 893 103 22 7 10 3
(96,4%) (91,1%) (2,4%) (6,2%) (1,1%) (2,6%)
Epatite B Immuni Immuni Non Non
Vaccinati Naturali Responders Vaccinati
Totale 1651 22 30 62
(93,5%) (1,3%) (1,7%) (3,5%)
Neo assunti 95 2 5 11
(84%) (1,7%) (4,4%) (9,7%)
SORVEGLIANZA SANITARIA E RISCHIO BIOLOGICO: VALUTAZIONE
DELLO STATUS VACCINALE NEGLI “ALLIEVI INFERMIERI”
DELL’UNIVERSITÀ DI PARMA
M. Riccò1 , F.S. Renzulli1 , S. Cavalca1 , M. del Mar J. Sanchez1 ,
C. Di Maggio1 , E. Adami, P. Carta1 , E. Bergamaschi1 , L. Selis1 ,
I. Franchini1 1 Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Clinica Medica,
Nefrologia, Scienze della Prevenzione, Via Gramsci, 14
- 43100 Parma
Corrispondenza: Dr. F. Saverio Renzulli - Dipartimento di Clinica
Medica, Nefrologia, Scienze della Prevenzione, Servizio di Medicina
Preventiva dei Lavoratori dell’Università degli Studi di Parma,
Via Gramsci, 14 - 43100 Parma, Italy
HEALTH SURVEILLANCE AND BIOLOGICAL RISK: VACCINAL
COVERAGE EVALUATION IN NURSE STUDENTS OF PARMA
UNIVERSITY
Key words: vaccinations, Tetanus, HBV.

82 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
ABSTRACT. Health surveillance of biological risk in health care
providers (HCWs) aims to protect both the HCWs and the patients
which their care for. Among biological risk agents, hepatitis B virus
(HBV) and Clostridium tetanii toxin are preventable by effective
vaccination procedures. Hepatitis C Virus (HCV) and Mycobacterium
tuberculosis are also cause of morbidity and mortality worldwide:
actually, therapies are available, but prevention remains the
cornerstone. In our experience, we evaluated serologic status of nurse
students of Parma University (245 subjects; mean age 24 years,
SD ± 4,8) about HBV, HCV, and Clostridium tetanii toxin vaccination.
Also reactivity versus Mycobacterium tuberculosis was evaluated by
tubercolin test. Effective tetanus protection was stated only in 54,3%
of subjects. Vaccination coverage for HBV was referred by 195 subjects,
whereas biological markers resulted negative in 12 of them (non
responders subjects), requiring a new vaccinal schedule. No HCV
positive subjects were identified. Tubercolin test were positive (> 10
mm) in 14 subjects, actually performing second stage evaluation tests.
In conclusion, our results suggest the importance of health surveillance
for biological risk in HCWs, reinforcing the need of effective
vaccination strategies as the first step of effective prevention of chronic,
debilitating diseases.
INTRODUZIONE
La gestione del rischio biologico fra i professionisti della sanità comporta
la duplice problematica di proteggere il lavoratore dagli agenti di rischio,
impedendo che il medesimo lavoratore sia veicolo di infezione per
gli assistiti: proteggere gli operatori sanitari nei confronti delle patologie
prevenibili tramite vaccinazione presenta quindi importanti implicazioni
sia per gli operatori medesimi che per i loro pazienti (1). In effetti, gli
operatori sanitari (in particolare quelli implicati nelle cosiddette “exposure-prone
procedures”, in cui l’operatore non può monitorare direttamente
l’azione delle proprie mani), possono trasmettere patologie virali
quali HBV ed HCV ai loro assistiti (3-5). Per quanto riguarda il caso specifico
di HBV, bisogna ricordare che, nonostante aggressive campagne
vaccinali introdotte a partire dagli anni ‘80, e la disponibilità di vaccini
sempre più efficaci e sicuri, la protezione della popolazione generale non
è costante (6), rendendo di fatto opportuna la valutazione dello status sierologico
degli operatori sanitari prima che questi intraprendano procedure
a rischio di contagio o di trasmissione del virus. Altrettanto critica,
data l’attuale mancanza di vaccini specifici e la prevalenza relativamente
alta di soggetti portatori - quantomeno nella popolazione italiana, è la valutazione
dello status sierologico nei confronti di HCV, la cui diffusione
in ambito nosocomiale rimane statisticamente elevata (7-8). Oltre che nei
confronti dei citati virus epatotropi, crescente importanza sta assumendo
la sorveglianza sanitaria verso il micobatterio tubercolare che, dopo gli
entusiasmi e le speranza di una rapida eradicazione, sta conoscendo
nuove “fortune” tanto nei Paesi in via di sviluppo, quanto in quelli industrializzati
(ivi compresa l’area UE), sia come patologia “indigena” che
di importazione (9). Il costante incremento, nella popolazione assistita, di
individui affetti da compromissioni più o meno gravi del sistema immunitario
(e.g. portatori di trapianto di rene, fegato o cuore; pazienti affetti
da neoplasie; sieropositivi per HIV) rende perciò essenziale prevenirne la
trasmissione: la mancanza di efficaci presidi vaccinali, impone un costante
monitoraggio dei nuovi casi di infezione, seguita dall’eventuale,
pronta applicazione delle terapie specifiche attualmente disponibili (10).
Scopo del presente studio è valutare lo status immunitario nei confronti
di HBV, HCV, e micobatterio tubercolare negli allievi del Corso di
Laurea in Scienze infermieristiche dell’Università degli Studi di Parma.
Data l’elevata prevalenza di soggetti di sesso femminile in età fertile fra le
allieve, lo screening ha riguardato anche la sensibilità al virus rubeolico.
Nell’ambito del programma di screening, è stato inoltre valutato lo status
vaccinale nei confronti della tossina tetanica, i cui livelli di protezione
nella popolazione italiana sono considerati spesso insufficienti (11-13).
SOGGETTI E METODI
Nell’ambito del programma di Sorveglianza Sanitaria del Servizio di
Medicina Preventiva dell’Università degli Studi di Parma, è stato ricostruito
lo status vaccinale di tutti gli iscritti al Corso di Laurea in Scienze
Infermieristiche, per un totale di 245 soggetti (età media di 24 anni, DS
± 4,8). Di questi, 208 erano di origine italiana, 17 di provenienza africana
(in particolare, 11 di essi nati in Camerun), 12 di origine europea di area
non-UE. Essi venivano inoltre sottoposti a valutazione del profilo siero-
logico nei confronti di HBV (HBsAg, anticorpi anti-HBs, anti-HBc),
HCV (anticorpi anti-HCV), Rosolia (anticorpi classe IgG ed IgM) e, laddove
i dati vaccinali non erano ricostruibili tramite certificazione documentale,
degli anticorpi anti-tossina tetanica. Nei casi risultati positivi per
anticorpi anti-HBc, veniva eseguita la ricerca e la titolazione del DNA virale.
Era inoltre valutato il profilo di sensibilità nei confronti del Micobatterio
tubercolare tramite intradermoreazione secondo Mantoux.
RISULTATI
Dei 245 soggetti testati, solo 97 presentavano valida copertura anticorpale
nei confronti di HBV e tossina tetanica. Centotrentatré (54,3%)
erano privi di una vaccinazione antitetanica valida: in 109 soggetti, lo status
vaccinale non era certificabile o risultava inadeguato per scadenza od
incompletezza del programma; i restanti 24 presentavano titolo anticorpale
positivo ma insufficiente, con titolo < 0.5 UI/mL.
In 195 casi, la normale profilassi per HBV risultava portata a termine,
ma l’esame del titolo anticorpale evidenziava 12 soggetti negativi
per anticorpi anti-HBs (non responders), positivizzatisi dopo nuovo ciclo
vaccinale (quarta dose). In 19 soggetti era presente positività per anticorpi
anti-HBc, di cui 2 con titolo HBV positivo. Gli accertamenti successivi
hanno confermato la presenza di epatite virale da tipo B. Non
erano accertati casi positivi per anticorpi anti-HCV. L’intradermoreazione
di Mantoux è stata eseguita in 171 pazienti, con 154 reazioni negative
(< 10 mm di diametro), e 14 positive, quindi sottoposte ad ulteriori accertamenti
di conferma. In 3 casi, infine, dopo l’esecuzione del test, la lettura
non è stata correttamente eseguita. Centosettantasette soggetti
(72,2%) risultavano immuni nei confronti della Rosolia, dei quali 35
(14,3%) per precedente attestata vaccinazione e 142 (57,9%) per precedente
contatto (IgG positive). In 43 casi (17,5%) lo status non era accertato.
CONCLUSIONI
Il nostro studio suggerisce l’importanza di provvedere alla regolare
verifica dello status vaccinale nei soggetti intraprendenti attività sanitarie
(13), facendo quindi seguito a tali verifiche con l’applicazione di adeguata
pratica vaccinale (1-2, 9-13). Programmi analoghi sono stati diffusamente
intrapresi in tutta l’area UE, a partire dai primi anni ’80, con notevoli
risultati sia a livello di siero-conversione che di siero-protezione, le
cui positive ricadute economiche e sanitarie sono state recentemente
messe in rilievo (2). La valutazione sierologia dello status vaccinale nei
confronti dei virus epatotropi e della tossina tetanica è infatti una procedura
relativamente economica e sicura, ed è già stata diffusamente proposta
come pratica standard in ambiente occupazionale (13). Infine, per
quanto concerne la reattività nei confronti di M tubercolosis, questa si è
rivelata non trascurabile, rendendo necessaria l’applicazione dei previsti
protocolli di follow-up clinico (10).
BIBLIOGRAFIA
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from Health Care Workers. NEJM 2006; 355: 118-121.

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the transmission of Mycobacterium tuberculosis in healthcare
settings. MMWR Recomm Rep 2005; 54: 1-141.
11) Sammarco S, Ciofi degli Atti ML, Binkin N et al. Vaccine Coverage
survey of elderly in 11 Italian regions. Ann Ig 2004; 16: 701-708.
12) Pedalino B, Cotter B, Ciofi degli Atti ML, et al. Epidemiology of tetanus
in Italy in years 1971-2000. Euro Surveill 2002; 7: 103-110.
13) Avanzi G. Tetanus prophylaxis. Proposed rationalization of procedure
in the occupational field. Med Lav 2001; 92: 120-124.
P-11
INCIDENTE BIOLOGICO CON SIEROCONVERSIONE ED EPATITE C
ACUTA IN OPERATORE SANITARIO
L. Cologni1 , M. Bacis1 , L. Belotti1 , R. Iuliucci1 , E. Minola2 , G. Mosconi1 1 Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo,
USC Medicina del Lavoro; Servizio Sanitario Aziendale
2 Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo,
USC Malattie Infettive Largo Barozzi, 1 - 24128 Bergamo
Corrispondenza: Dr. Luigi Cologni - Azienda Ospedaliera Ospedali
Riuniti di Bergamo, Largo Barozzi Giovanni, 1 - 24128 Bergamo (BG)
- E-mail: lcologni@ospedaliriuniti.bergamo.it
SEROCONVERSION AND ACUTE HEPATITIS C IN HEALTHCARE
WORKER AFTER PERCUTANEOUS EXPOSURE TO HCV
Key words: healthcare workers, hepatitis C, percoutaneous exposure.
ABSTRACT. We report a clinical case of seroconversion and acute
hepatitis C infection in a nurse, occurred after an occupational
percutaneous exposure to HCV. The healthcare worker had an
occupational injury using a hollow-bore needle. During the follow-up
the nurse showed raise of serum hepatic enzymes (transaminases and
gammaGT) and serocoversion with HCV-RNA positivity with the same
viral genotype of the viremic source patient. At the moment, she is
receiving therapy with PEG - interferon and Ribavirine. We underline
the need of a further increase of training to reduce the blood-borne
infection occupational risk by using needlestick prevention devices.
INTRODUZIONE
Gli operatori del settore sanitario risultano essere tra le categorie a rischio
di esposizione per l’acquisizione di infezioni da agenti patogeni a
trasmissione ematica quali i virus dell’epatite B, dell’epatite C e l’HIV.
Numerosi studi al riguardo hanno affrontato l’argomento ed a livello nazionale
il Centro di Coordinamento dello Studio Italiano sul Rischio Occupazionale
da HIV (SIROH) è un riferimento importante di monitoraggio
e di informazione scientifica per la valutazione e la gestione del rischio
di trasmissione dell’HIV, HBV, HCV e altri patogeni a trasmissione
ematica, in seguito ad esposizione professionale. Il rischio di sieroconversione
dopo esposizione a sangue infetto di malato HCV positivo (SI-
ROH, Roma dicembre 2000) è risultato essere pari allo 0,43% dopo esposizione
percutanea (1,8% secondo i CDC) e pari allo 0,36% dopo esposizione
mucocutanea. Tra gli operatori sanitari, la categoria più a rischio
per incidente biologico risulta quella del personale infermieristico. Il caso
clinico da noi descritto riguarda l’incidente biologico di un operatore sanitario,
strumentista di sala operatoria di ORL, avvenuto a seguito di puntura
accidentale con agocanula utilizzato per un paziente HCV-RNA
(PCR) positivo.
CASO CLINICO
Si descrive il primo caso di sieroconversione per epatite C verificatosi
in un operatore sanitario (infermiera professionale), in seguito ad incidente
biologico in un grande ospedale lombardo.L’infortunio si è verificato
in sala operatoria: dopo l’applicazione da parte dell’anestesista di
un ago-cannula, questi inavvertitamente pungeva il polpastrello del primo
dito della mano sinistra dell’infermiera-strumentista.
Gli infortuni con materiale biologico potenzialmente infetto vengono
gestiti dal Servizio Sanitario Aziendale (SSA) dell’Azienda Ospedaliera.
Le modalità dell’infortunio con dati relativi al paziente fonte vengono rilevate
dagli assistenti sanitari. I dati vengono poi valutati dal medico
competente che sulla scorta degli stessi prescrive il follow-up. Per il fol-
low-up è già istituito un protocollo che prevede la valutazione nel tempo
dei parametri: transaminasi, sierologia HCVAb ed HIV all’operatore con
la seguente cadenza, basale, a 30, 60, 90 e 180 giorni. Non viene richiesta,
per il lavoratore, la sierologia per HBV in quanto il SSA è già in possesso
del dato. Nel caso specifico trattandosi di paziente fonte HCV positivo
è stato richiesto anche l’HCV-RNA (qualitativo) che essendo risultato
positivo ha determinato la richiesta anche del genotipo. Il follow-up
dell’operatore in caso di incidenti con paziente fonte HCV-RNA positivo
prevede, dopo 4 settimane dall’incidente, oltre agli esami sopraindicati
anche una valutazione dell’HCV RNA. Al momento della registrazione
dell’“infortunio biologico”, viene redatto, da parte del Medico Competente
un certificato INAIL con zero giorni di prognosi.
Al tempo zero (prelievo del 13/03/2006) i parametri della Sig.ra NML
(infermiera coinvolta nell’incidente) erano nella norma. Al 2° controllo
(prelievo del 16/05/2006) vi è stato riscontro di HCVAb “basso positivo”,
l’HCV-RNA qualitativo è risultato “positivo” ed i valori degli enzimi epatici
risultavano i seguenti: AST=796 U/L (vna46); ALT=1166 U/L
(vn

84 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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OCCUPATIONAL ASTHMA IN HAIRDRESSERS:
APPROACH TO DIAGNOSIS AND CASE REPORTS
Key words: occupational asthma, hairdressers, persulphates.
ABSTRACT. INTRODUCTION: The approach to the diagnosis of bronchial
asthma in hairdressers must follow specific criteria to recognize not
only occupational asthma (OA) with identification of the causal agent
among the products used in bleaching (persulphates), in tinting hair
(paraphenylendiamine, henna, sericin), in applying permanent waves
(ammonium thioglycolate) and hair lacquer spraying (gum acacia),
but also to evaluate any associated diseases (non-OA and/or atopy)
and skin sensitizations (allergic contact dermatitis) with cross-reactivity.
MATERIALS, METHODS AND RESULTS: Some cases of hairdressers were
studied by evaluating occupational history, physical examination,
skin tests, immunological assay, baseline pulmonary function tests,
assessment of airflow obstruction reversibility and non-specific
bronchial hyperresponsiveness (NSBH), specific inhalation challenge
tests with persulphates and paraphenylendiamine. OA and other
allergic associated diseases were found in three subjects.
DISCUSSION: Specific inhalation challenge tests are the “gold standard”
for objectively diagnosing OA. When they cannot be performed or
multiple asthma causing agents are considered, workplace challenge
testing should be proposed (serial peak expiratory flow monitoring
or stop-resume workplace testing). Furthermore, the NSBH monitoring
could be useful to evaluate the outcome of the OA after exposure has
ceased.
CONCLUSIONS: The appropriate evaluation of a hairdresser with OA
is important for a correct management of the disease, also because
the diagnosis will affect the hairdresser being able to practice his/her
profession.
INTRODUZIONE
La diagnosi di asma bronchiale in parrucchiere deve essere formulata
in base ad un iter diagnostico che permetta non solo la diagnosi di asma
professionale (AP) con l’individuazione dell’agente eziologico responsabile
fra i diversi ipotizzabili, ma anche di asma bronchiale non professionale
e/o atopia associate e di sensibilizzazioni cutanee con dermatite allergica
da contatto (DAC) e possibile reattività crociata.
MATERIALI E METODI
In 5 parrucchiere valutate per AP presso l’INAIL di Chieti, sono stati
esaminati l’anamnesi lavorativa e patologica, le prove di funzionalità respiratoria
(PFR), il test broncodinamico di reversibilità, il test di provocazione
bronchiale aspecifico con metacolina (TPBA Mch ), il dosaggio
delle IgE totali (PRIST) e specifiche (RAST), le prove allergometriche
cutanee (PRICK test), i PATCH test ed il test di provocazione bronchiale
specifica (TPBS) con persolfati e para-fenilendiamina o il test occupazionale
con i prodotti usati nell’attività lavorativa.
RISULTATI E CASI CLINICI
1) 39enne, non fumatrice, parrucchiera dall’età di 20 anni, ha sospeso
l’attività dopo 7 anni per l’insorgenza di dermatite, dispnea e tosse
durante l’uso di liquidi per permanenti, decoloranti e tinture; alla ripresa
dell’attività dopo circa 8 anni, ha accusato di nuovo la stessa sintomatologia,
con caratteri ingravescenti nel tempo, nonostante la terapia medica;
dopo due anni, ha cessato definitivamente l’attività in seguito ad un episodio
di broncospasmo severo, verificatosi durante una decolorazione. A
distanza di circa 18 mesi dalla cessazione dell’esposizione, la sintomatologia
si è attenuata fino alla scomparsa, in assenza di terapia. PFR basali
in lavoro con ostruzione di modesta entità, reversibile; TPBS con persolfato
positivo con risposta tardiva; TPBA Mch positivo durante l’attività lavorativa
con successiva negativizzazione dopo 2 anni dalla fine dell’esposizione.
PRICK test negativi; PATCH test positivi per nichel solfato
Diagnosi: AP da persolfati con allergia cutanea al nichel solfato. 2) e 3)
parrucchiere di anni 32 e 28, non fumatrici, con anamnesi positiva per
atopia ed esposizione professionale rispettivamente di 12 e 10 anni; comparsa
da circa 2 anni di crisi asmatiche scatenate dalle tinture e dalle lacche;
PFR di base negative con monitoraggio del PEF positivo in lavoro;
TPBA Mch positivo; PRICK test positivi in entrambe per pollini di graminacee
ed acari; PATCH test negativi. Diagnosi: AP da parafenilendiamina,
confermato da TPBS. 4) 37enne, parrucchiera da 18 anni, non fumatrice,
con riferiti episodi di lacrimazione, rinorrea, edema palpebrale,
dispnea e tosse durante l’uso di decoloranti a base di persolfati; PRICK
test, PRIST e RAST negativi; TPBA Mch negativo; test occupazionale con
decoloranti negativo (con comparsa di ostruzione bronchiale modesta, ma
non diagnostica per riduzione FEV1 < 16% a 15’, con tosse, lacrimazione
e rinorrea). Diagnosi: faringite e rinocongiuntivite acute irritative; non
AP. 5) 53enne, parrucchiera da 35 anni, fumatrice di 15 sig./die da circa
30 anni; riferite crisi dispnoiche durante il lavoro; PFR basali positive per
ostruzione di media entità, non reversibile post-beta2agonista; monitoraggio
del PEF negativo per variazioni del tono bronchiale; TPBA Mch e
TPBS non effettuati per ostruzione basale; test cutanei ed immunologici
negativi. Diagnosi: Broncopneumopatia cronica ostruttiva (non AP).
DISCUSSIONE
L’asma bronchiale nel parrucchiere riconosce diversi agenti causali,
responsabili di AP, oltre che di dermatiti irritative e/o allergiche da contatto,
spesso in soggetti con predisposizione atopica. L’esposizione avviene
nella fase di decolorazione (uso di persolfati, solfati e bisolfati), di
tinture (parafenilendiamine, hennè, sericina), di permanenti (tioglicolato
di ammonio, come agente fissante), di trattamenti con lacche (gomme e
resine) mediante spray e vaporizzatori. Fra tutti, i maggiori responsabili
sono i persolfati. I meccanismi coinvolti sono IgE-mediati nel caso dell’allergia
all’henné ed alla sericina, mentre per il tioglicolato di ammonio
il meccanismo rimane da determinare. Per quanto riguarda i persolfati,
l’azione è in gran parte di tipo irritativo, in quanto, anche se in vitro liberano
istamina, non è dimostrata con certezza la produzione di IgE specifiche.
Peraltro, alcuni aspetti dell’asma da persolfati suggeriscono una patogenesi
allergica: a) solo una parte dei soggetti esposti sviluppa sintomi
respiratori; b) esiste un periodo di latenza fra la prima esposizione e l’inizio
dei sintomi; c) nel 50% si hanno risposte immediate ai PRICK test,
anche se non sono state dimostrate IgE specifiche contro i persolfati; d)
nei casi di reazione immediata a TPBS con decolorante, i PRICK test con
persolfati sono positivi, risultando sempre negativi in caso di reazione
tardiva. Importanti sono i rapporti dell’AP nei parrucchieri con le dermatiti
irritative e/o allergiche da contatto. Il persolfato di ammonio usato
come decolorante è causa di dermatite e orticaria. Gli apteni più spesso
responsabili delle forme di allergie cutanee sono parafenilendiamina, bicromato
di potassio, diaminofenolmetano, glicole propilenico, acido tioglicolico
ed il solfato di nichel. Il primo sintomo è di tipo rinitico, entro
pochi minuti dal contatto; nel tempo, spesso compare asma correlato alle
ore di lavoro; sintomi comuni associati sono orticaria ed edema del volto;
frequente l’eczema alle mani. La diagnosi è fondata su: a) test cutanei
(henné e sericina); b) test immunologici (RAST sericina); c) TPBA Mch ;
d) TPBS e test occupazionale, con possibili reazioni ritardate (persolfati
e parafenilendiamine); e) dosaggio pre/post-TPBS di triptasi e proteina
cationica degli eosinofili (ECP). In sostanza, il “gold standard” della
diagnosi di asma in parrucchiere rimane il TPBS, in particolare nella diagnosi
di asma da persolfati (test occupazionale con decolorante o con i
singoli persolfati), in cui i PRICK test risultano spesso negativi anche in
soggetti con iperreattività bronchiale specifica (IBA) a tali sostanze. In
alternativa al TPBS, è proponibile il monitoraggio del PEF, indicato
quando il TPBS non è eseguibile o l’agente non è identificato; si può associare
a monitoraggio dell’IBA, non solo a fini diagnostici, ma per valutare
l’evoluzione della patologia dopo la cessazione della esposizione.
L’IBA, qualora decresca, raggiunge un plateau dopo circa 2 anni dall’esposizione
e la sua persistenza è segno del danno cronico causato dalla
esposizione professionale. Nella casistica esaminata, sono da sottolineare
i seguenti aspetti: A) sono presenti un caso di allergia cutanea al nichel
solfato e due casi di atopia: la possibilità di reazioni cutanee con DAC ed
eventuale reattività crociata, soprattutto in caso di AP da parafenilendiamina
impone pertanto l’esecuzione dei PATCH test in questi Pazienti. B)
la negativizzazione del TPBA Mch in un soggetto a distanza di oltre 18
mesi dalla cessazione del lavoro conferma che in alcuni soggetti l’IBA
decresce nel tempo, a conferma indiretta dell’eziologia professionale
della patologia e suggerendone la evoluzione positiva. C) le manifestazioni
oculorinitiche in uno dei casi studiati sembrano di tipo irritativo e
non IgE-mediato; si impone peraltro un follow-up per la eventuale comparsa
di asma con periodo di latenza (monitoraggio del PEF e dell’IBA in
lavoro).
CONCLUSIONI
L’iter diagnostico dell’A.P. nel parrucchiere, alla luce delle sostanze
responsabili e dei meccanismi eziopatogenetici, si avvale principalmente

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 85
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del test occupazionale e/o TPBS, in mancanza dei quali diventano significativi
il monitoraggio del PEF e dell’IBA, completati da test cutanei ed
immunologici. È importante il follow-up sia nei casi positivi per valutare
la guarigione e/o la cronicizzazione della malattia dopo la sospensione
del lavoro, sia nei casi negativi con sintomi aspecifici ai fini di diagnosticare
la sensibilizzazione in fase precoce.
BIBLIOGRAFIA
1) Borelli S, Wuthrich B. Immediate and delayed hypersensitivity to
ammonium persulfate. Allergy 1999; 54: 893-4.
2) Gala Ortiz G et al. Diagnostic approach and management of occupational
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3) Galtieri G et al. Sintomi respiratori ed eczema da contatto allergico
in parrucchiere: ruolo etiopatogenetico di p-fenilendiamina e p-aminoazobenzene.
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4) Schwaiblmair M et al. Occupational asthma in hairdressers: results
of inhalation tests with bleaching powder. Int Arch Occup Environ
Health 1997; 70(6): 419-23.
P-13
ASMA PROFESSIONALE NON IMMUNOLOGICO: MECCANISMI
EZIOPATOGENETICI E CASI CLINICI
M. Angelucci1 , R. Fuciarelli 2
1 Centro Medico Legale INAIL Chieti
2 Centro Fisiopatologia Respiratoria INAIL - AUSL Chieti
Corrispondenza: Dr. Manrico Angelucci - Centro Medico Legale
INAIL Chieti, Via Spezioli, 32 - 66100 Chieti, Italy
- Tel. +3908714242233, Fax+3908714242306 - E-mail: ma.angelucci@inail.it
NON IMMUNOLOGIC OCCUPATIONAL ASTHMA:
PATHOPHYSIOLOGY AND CLINICAL CASES
Key words: irritant induced asthma, RADS, occupational asthma.
ABSTRACT. INTRODUCTION: Non immunologic Occupational Asthma
(OA) is a new-onset, irritant-induced, non allergic asthma caused
without latency by exposure to smoke, dust, fumes, gases, vapor or
chemicals, which is called, depending on number, duration and level of
irritant exposure, “Reactive Airways Dysfunction Syndrome” (RADS),
“Irritant-Induced Asthma” (IIA) or “low-dose RADS”. The aim of this
study was the evaluation of a group of five patients with new-onset
obstructive functional respiratory pattern, appearing within 24 hours
of irritant exposure.
RESULTS AND DISCUSSION: Four subjects met the criteria for the
diagnosis of IIA or RADS and suggested some observations about
pathophysiological mechanisms, functional findings and prognosis
of the disease. In non immunologic OA, the damage of the bronchial
epithelium causes loss of relaxing factors, exposure of nerve endings,
release of inflammatory mediators and cytokines and, finally,
sub-epithelial fibrosis. Markers of the disease are increased bronchial
responsiveness and/or reversible airway obstruction, associated with
asthma-like symptoms persisting for at least three months. Prognosis
is variable, with often disappointing response to therapy and the
maximum improvement occurring during the first two years.
CONCLUSIONS: Specific diagnostic criteria and follow up of IIA are
required to evaluate respiratory damage and issue of the disease.
Further evaluations of IIA outcomes might suggest interesting
hypothesis about the effects of low doses of chronic irritant exposures
in the general population.
INTRODUZIONE
Il riconoscimento dell’asma non immunologico come entità clinica
distinta nell’ambito dell’asma professionale (AP) si basa sulle caratteristiche
eziopatologiche e clinico-funzionali di asma di nuova comparsa,
non allergico, correlato senza periodo di latenza all’esposizione a gas,
fumi o prodotti chimici; l’asma non immunologico viene definito asma
indotto da irritanti (“Irritant-Induced Asthma” o IIA), ulteriormente di-
stinto in sindrome da disfunzione reattiva delle vie aeree (“Reactive
Airways Dysfunction Syndrome” o RADS o “new-onset” IIA) per esposizione
singola a dosi massive ed in sindrome da disfunzione reattiva
delle vie aeree a basse dosi (“low-dose RADS” – “not-so-sudden-onset
IIA”) per esposizioni multiple a dosi inferiori e protratte nel tempo; sono
state correlate ad irritanti anche una forma di rinite e/o sinusite (“Reactive
Upper-Airways Dysfunction Syndrome” o RUDS) e di disfunzione
delle corde vocali (“Vocal Cord Dysfunction” o VCD). La valutazione di
casi clinici selezionati alla luce dei meccanismi eziopatogenetici è di supporto
nella comprensione di una patologia che apre interessanti prospettive
di studio sugli ipotetici effetti asmogeni dell’inquinamento ambientale
protratto da sostanze chimiche a basso dosaggio nella popolazione
generale.
CASISTICA
Sono stati valutati presso l’INAIL di Chieti 5 casi di ostruzione delle
vie aeree insorta senza latenza dopo esposizione ad irritanti, in soggetti
con anamnesi pneumologica pregressa negativa. Caso n° 1 = Inalazione
massiva accidentale di vapori sviluppatisi dal lavaggio con acido solforico
di un serbatoio contenente composti clorati; insorgenza di irritazione
delle prime vie aeree e di broncospasmo a distanza di 5-6 ore dalla esposizione;
sintomatologia dispnoica persistente a distanza di oltre 18 mesi;
ostruzione bronchiale non reversibile ed iperreattività bronchiale aspecifica
(IBA) di grado elevato. Diagnosi: RADS. Caso n° 2 = Inalazione accidentale
di miscela di irritanti a dosi elevate (detergenti e disinfettanti
per pulizie: acido muriatico, composti di cloro, ammoniaca): broncospasmo
acuto e disfonia ingravescente dopo pochi minuti, con sintomatologia
asmatiforme persistente a distanza di un anno, nonostante la terapia
con steroidi e beta2-agonisti; test di provocazione bronchiale aspecifica
con metacolina (TPBA Mch ) positivo. Diagnosi: RADS con VCD. Caso
n° 3 = Inalazione massiva accidentale di vapori (aldeide glutarica, solfito
di potassio, idrochinone 1-fenil-3-pirasolidone) da una sviluppatrice radiologica,
con improvvisa sindrome asfittica da edema della glottide e
cianosi; residua tosse stizzosa persistente per circa 4 mesi, con rinite e
crisi di laringospasmo scatenate da stimoli aspecifici; ostruzione bronchiale
non documentata (PFR basali sempre nella norma); TPBA Mch interrotto
per intensi accessi tussigeni ed iniziale laringospasmo, con evidente
abnorme reattività delle prime vie aeree. Diagnosi: RUDS. Caso
n° 4 = Disinfezione di sonde endoscopiche con perossido di idrogeno,
ammonio quaternario, acido glicolico, acido peracetico volatili, inalati ripetutamente
ad ogni apertura della macchina lavatrice; dopo alcuni mesi,
comparsa di tosse stizzosa e dispnea nei giorni di esposizione, culminate
con crisi di laringo- e broncospasmo ingravescenti al termine della giornata
di lavoro; quadro ostruttivo moderato, parzialmente reversibile; TP-
BA Mch positivo. Diagnosi: IIA da esposizione ripetuta a dosi non massive
di irritanti. Caso n° 5 = Inalazione massiva accidentale di prodotti chimici
antiparassitari durante disinfestazione agricola, con immediato broncospasmo,
tosse secca, faringodinia e lacrimazione; dispnea parossistica
con espettorazione mucosa, protratta per circa 15 giorni; successiva riduzione
fino alla scomparsa dei sintomi; quadro ostruttivo lieve, reversibile
post-broncodilatatore, con normalizzazione dei flussi espiratori dopo tre
settimane; TPBA Mch negativo. Diagnosi: irritazione acuta delle vie aeree
con sindrome ostruttiva transitoria. Non IIA.
DISCUSSIONE
La casistica è stata valutata secondo i criteri diagnostici di AP non
immunologico: 1) assenza documentata di pregressi disturbi respiratori di
tipo ostruttivo; 2) esposizione a gas, fumi o vapori inalabili con caratteristiche
irritanti; 3) esordio dei sintomi dopo una singola esposizione accidentale
ad alte dosi (RADS) o dopo ripetute esposizioni – anche giornaliere
– a dosi non massive per settimane o mesi (IIA), o a basse dosi per
mesi o anni (low-dose RADS); 4) esordio dei sintomi durante o al massimo
entro 24 ore dal termine di una singola esposizione (“new-onset”
IIA) o comunque entro 24 ore da ripetute esposizioni (“not-so-suddenonset”
IIA) e persistenza per almeno tre mesi; i sintomi devono essere
temporalmente correlati con l’inalazione dell’agente irritante e pertanto
devono comparire durante l’esposizione o al massimo entro le 24 ore dal
termine della esposizione singola o delle esposizioni multiple continue o
intermittenti; 5) sintomatologia asmatiforme con tosse, broncospasmo e
dispnea; 6) possibile evidenza di un quadro ostruttivo alle prove di funzionalità
respiratoria; 7) reversibilità dell’ostruzione bronchiale e/o presenza
di iperreattività bronchiale aspecifica (criterio di conferma diagno-

86 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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stica: TPBA Mch positivo per IBA, quando non controindicato dal livello di
ostruzione basale). Nell’asma indotto da irritanti, il meccanismo eziopatogenetico
responsabile dell’ostruzione delle vie aeree è legato alla lesione
dell’epitelio bronchiale, causata dall’azione tossica degli agenti irritanti,
con esposizione delle terminazioni nervose, rilascio dei mediatori
della flogosi e di citochine e secrezione dei fattori di crescita per le cellule
epiteliali, il muscolo liscio ed i fibroblasti; la induzione di flogosi
neurogena mediante rilascio di sostanza P attraverso la stimolazione dei
chemorecettori delle vie aeree potrebbe correlare l’IIA alla Sick Building
Syndrome ed alla Multiple Chemical Sensitivity Syndrome. La biopsia
bronchiale evidenzia una flogosi linfocitaria senza eosinofilia, ma non riveste
un concreto significato diagnostico differenziale che giustifichi l’invasività
ed i rischi della metodica; l’attivazione dei T linfociti è minima,
suggerendo che non siano coinvolti meccanismi di tipo immunologico;
l’esito è in fibrosi subepiteliale. I Pazienti accusano tosse secca, dispnea
acuta con broncospasmo e presentano iperreattività bronchiale persistente
per mesi con TPBA positivo; la valutazione funzionale di base può essere
normale o presentare gradi variabili di ostruzione delle vie aeree; la reversibilità
del quadro ostruttivo è minore rispetto ad altre forme di A.P.,
riflettendo il rilievo anatomopatologico di una fibrosi subepiteliale più
severa nella RADS, rispetto alle altre forme di asma ed avvicinandone il
quadro istologico a quello della BPCO. La prognosi è variabile: i sintomi,
l’ostruzione e l’IBA persistono per almeno tre mesi con successivo graduale
miglioramento nel tempo, oppure con possibile cronicizzazione. Il
trattamento è basato sulla terapia convenzionale dell’asma bronchiale,
peraltro con risultati spesso deludenti, confermando ulteriormente la somiglianza
clinico-funzionale dell’IIA con la BPCO più che con l’asma. Il
follow-up richiede il controllo della iperreattività bronchiale a distanza,
come misura della flogosi ed indirettamente delle lesioni dell’epitelio
bronchiale indotte dagli irritanti inalati; inoltre, la reversibilità dell’ostruzione
potrebbe correlarsi inversamente al grado di fibrosi subepiteliale e
quindi valutare il danno respiratorio persistente.
CONCLUSIONI
L’asma professionale non immunologico richiede precisi criteri diagnostici
ed un corretto monitoraggio nel tempo per determinare il danno
respiratorio e definirne l’evoluzione; l’interesse è giustificato anche dalla
possibilità che i Pazienti con asma da irritanti rappresentino un modello
di studio amplificato della esposizione continua a basse dosi ad inquinanti
chimici extra-lavorativi della popolazione generale.
BIBLIOGRAFIA
1) Balmes J. Occupational airways disease from chronic low-level exposures
to irritants. Clinics in Chest Med 2002; 23: 727-35.
2) Brooks SM, Weiss MA, Bernstein IL. Reactive airways dysfunction
syndrome (RADS): persistent asthma syndrome after high level irritant
exposures. Chest 1985; 88: 376-84.
3) Brooks SM, Hammad Y, Richars I. The spectrum of irritant-induced
asthma: sudden and not-so-sudden onset and the role of allergy. Chest
1998; 113: 42-9.
4) Chan-Yeung M. Assessment of asthma in the workplace. Chest 1995;
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6) Tarlo SM. Workplace irritant exposures: do they produce true occupational
asthma? Ann Allergy Asthma Immunol 2003; 90 (5 suppl 2): 19-23.
P-14
ASMA PROFESSIONALE NEL FALEGNAME: ESPOSIZIONE
AD ISOCIANATI ED ANIDRIDE FTALICA
M. Angelucci1 , R. Fuciarelli2 1 Centro Medico Legale INAIL Chieti
2 Centro Fisiopatologia Respiratoria INAIL - AUSL Chieti
Corrispondenza: Dr. Manrico Angelucci - Centro Medico Legale
INAIL Chieti, Via Spezioli, 32 - 66100 Chieti, Italy
- Tel. +3908714242233, Fax +3908714242306, E-mail: ma.angelucci@inail.it
OCCUPATIONAL ASTHMA IN CARPENTERS: EXPOSURE
TO ISOCYANATES AND PHTHALIC ANHYDRIDE.
Key words: occupational asthma, isocyanates, phthalic anhydride.
ABSTRACT. INTRODUCTION: Occupational asthma (OA) in carpenters
is caused by many substances, acting on diverse mechanisms, some
of which are still debated. A systematic exposure assessment, even
if sometimes difficult, mainly in subjects with unusual sensitizations,
is required for a better approach to the diagnosis and to avoid not
recognizing the disease.
MATERIAL AND METHODS: Eleven carpenters-painters were evaluated
by means of occupational history, skin tests, immunological assay,
baseline pulmonary function tests, assessment of non-specific bronchial
hyperresponsiveness (NSBH) and specific inhalation challenge tests.
RESULTS AND DISCUSSION: OA caused by wood dust sensitization and
by isocyanates was diagnosed in six subjects and one case of phthalic
anhydride sensitization was found. The diagnosis of OA in carpenters
was then discussed, considering the different pathophysiological
mechanisms involved: high molecular weight agents (wood dust) act
by an IgE-mediated process, with low molecular weight agents
(isocyanates, phthalic anhydride) by immunological, pharmacological
and irritating mechanisms, all resulting to airways inflammation.
CONCLUSIONS: The evaluation of OA in carpenters must be complete and
extensive to be diagnostic. If the assessed exposure to a high molecular
weight agent, with a positive occupational history and immunological
tests are enough to diagnose the work-related disease, then the same is
not true for exposure to agents without IgE-mediated mechanism, which
need a specific inhalation challenge test, or work-related changes in the
FEV 1 or PEF.
INTRODUZIONE
L’asma professionale (AP) nel falegname riconosce come agenti
causali sostanze che agiscono con meccanismi eziopatogenetici diversi e
tuttora in parte controversi: l’identificazione completa delle sostanze
usate nell’attività lavorativa, modulando di conseguenza il protocollo diagnostico,
permette un miglior riconoscimento della patologia e l’accertamento
della malattia professionale.
MATERIALI E METODI
Una casistica di 11 falegnami è stata valutata presso l’INAIL di
Chieti secondo un percorso diagnostico comprendente 1) l’anamnesi lavorativa:
esposizioni a polveri di legname nostrano ed esotico (abete, faggio,
pino, pino di Svezia, Douglas, noce nazionale, rovere, ramino, ayous,
ciliegio, iroko), a vernici poliuretaniche ed acriliche contenenti isocianati
(toluendiisocianato/TDI, metilendiisocianato/MDI, esametilen-diisocianato/HDI,
naftalendiisocianato/NDI) ed a vernici con resine poliesteriche
ed epossidiche, contenenti anidride ftalica e maleica; 2) la valutazione
funzionale respiratoria di base, completata da test di reversibilità e test di
provocazione bronchiale aspecifica (TPBA Mch ); 3) il dosaggio delle IgE
totali (PRIST) e specifiche (RAST), le prove allergometriche cutanee
(PRICK test) con gli allergeni correlati all’esposizione lavorativa; 4) test
di provocazione bronchiale specifica (TPBS) con isocianati e polveri di
legno.
RISULTATI
Oltre a 2 soggetti sensibilizzati a polvere di legno (iroko, ayous) in
cui l’AP è stata confermata da TPBS, sono state diagnosticate 4 forme di
asma da isocianati in esposti a vernici poliuretaniche ed acriliche, 3 delle
quali con dosaggio IgE specifiche per isocianati elevato; in un caso, esposto
a vernici con resine poliesteriche, era presente anche sensibilizzazione
ad anidride ftalica. In tutti i soggetti con malattia professionale, il TP-
BA Mch è risultato positivo. Nei 2 casi di asma da isocianati confermati da
TPBS (uno dei quali con IgE specifiche negative), l’esposizione a toluendiisocianato
in ambito confinato è risultato positivo con risposta di
tipo immediato-prolungato a lenta normalizzazione del FEV 1 . Infine,
sono stati esclusi dalla diagnosi di AP 2 soggetti con quadri clinico-funzionali
di base e dopo test broncodinamici nella norma e test immunologici
negativi e 2 soggetti con broncopneumopatia cronica ostruttiva non
riconducibile all’attività lavorativa. L’ultimo caso, con atopia e rinocongiuntivite
allergica a graminacee e parietaria, sensibilizzazione ad acido
acetilsalicilico ed antibiotici, quadro ostruttivo basale reversibile di lieve
entità e TPBA positivo, ha presentato – dopo 20’ di esposizione a TDI du-

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 87
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rante il TPBS – tosse stizzosa e sintomo di costrizione toracica, senza caduta
significativa del FEV 1 , con diagnosi conclusiva di asma bronchiale
allergico a graminacee e paritaria, preesistente e non professionale.
DISCUSSIONE
Nel falegname, l’AP di tipo immunologico, da sostanze sensibilizzanti
con latenza, riconosce meccanismi eziopatogenetici diversi, a seconda
degli agenti responsabili distinti in due classi: a) sostanze ad alto
peso molecolare, quali le polveri di legni esotici e nostrani, inducenti la
produzione di anticorpi IgE specifici e conseguente reazione antigene/anticorpo,
che attiva le cellule ed i mediatori responsabili della flogosi a livello
delle vie aeree; b) sostanze a basso PM, quali gli isocianati (TDI,
MDI, HDI, NDI) e le anidridi (ftalica e maleica) per le quali l’azione è
controversa, sebbene si tratti verosimilmente di un meccanismo di tipo
immunologico, coinvolgendo direttamente i T linfociti con produzione di
citochine proinfiammatorie; possono essere presenti anticorpi IgE specifici
(isocianati), che peraltro rappresentano un segno dell’esposizione e
non una sua conseguenza. Per gli isocianati, sarebbe riconosciuto anche
un meccanismo di tipo farmacologico con una parziale azione di tipo
beta-bloccante in vitro ed un meccanismo riflesso con reazione tossicoirritativa,
attraverso la stimolazione dei recettori sensitivi vagali delle vie
aeree e conseguente broncocostrizione riflessa: in particolare, sarebbe
coinvolta l’innervazione autonoma non adrenergica non colinergica
(NANC), in grado di liberare potenti neuropeptidi flogogeni. L’effetto
sulle vie aeree è di tipo infiammatorio, con comparsa di iperreattività
bronchiale aspecifica, la cui presenza è caratteristica fondamentale dell’AP
L’iter diagnostico nell’AP del falegname pertanto prevede: 1) l’anamnesi
(tipo di esposizione e correlazione temporale della sintomatologia
con il turno di lavoro, latenza di esordio, preesistenza di asma e/o diatesi
allergica); 2) la valutazione funzionale respiratoria di base, completata
dal test di reversibilità in presenza di ostruzione e dal TPBA Mch , metodica
sensibile ma non specifica, a conferma di iperreattività bronchiale
aspecifica (IBA), a volte assente nell’asma da isocianati; 3) i test immunologici
a conferma di sensibilizzazione, che studiano la reattività cutanea
(PRICK test, ad elevata sensibilità) o la produzione di anticorpi (IgE
totali/PRIST e specifiche/RAST, ad elevata specificità), sottolineando
che nella sensibilizzazione da polveri di legno, se positivi in associazione
all’anamnesi ed a IBA, la probabilità di AP è del 90%, mentre nell’asma
da isocianati non confermano né escludono la diagnosi; 4) il monitoraggio
del picco di flusso espiratorio (PEF), valido quando il TPBS non sia
eseguibile o l’agente sospetto sia sconosciuto; 5) il TPBS, in cui generalmente
la risposta ad agenti ad alto PM come le polveri di legno è di tipo
immediato, mentre la risposta agli isocianati e ad altri agenti a basso PM
è di tipo isolato-tardivo. Nella casistica esaminata, 6 soggetti sono stati riconosciuti
affetti da AP in falegname: di questi, 2 risultano sensibilizzati
a polveri di legno, sostanze ad alto PM agenti con meccanismo IgE-mediato,
mentre 4 soggetti presentano invece gli isocianati (vernici poliuretaniche
ed acriliche) come agenti sensibilizzanti a basso PM, con meccanismo
allergico-irritativo, in parte IgE-mediato, in parte cellulo-mediato,
in parte sostenuto da riflessi broncocostrittori diretti (stimolazione vagale
e possibile beta-blocco); un caso è risultato sensibilizzato anche ad una
sostanza di riscontro meno usuale, quale l’anidride ftalica, sostanza a
basso PM componente delle vernici con resine poliesteriche, con azione
simile agli isocianati, a conferma della necessità di una valutazione completa
degli agenti causali e di un accurato protocollo diagnostico. Infine,
il soggetto atopico con rinocongiuntivite anamnestica, insorgenza di sintomi
asmatiformi dopo circa 3 anni dall’esordio dell’esposizione lavorativa,
ostruzione bronchiale reversibile, TPBA positivo e TPBS negativo
con sintomatologia dubbia è meritevole di attenta interpretazione diagnostica:
a) l’assenza di alterazioni funzionali dopo stimolo specifico e di positività
degli anticorpi specifici professionali (polveri di legno e/o sostanze
a basso PM) non permette di diagnosticare un AP immunologico;
b) la dose della esposizione e la modalità di comparsa dei sintomi escludono
un asma da irritanti senza latenza (RADS); c) l’ipotesi di asma
bronchiale preesistente aggravato dal lavoro (in cui il ruolo del TDI sarebbe
da considerare di tipo indiretto aspecifico attraverso un incremento
della IBA) andrebbe confermata dal confronto con valutazioni precedenti
dell’ostruzione bronchiale e/o della IBA, o con monitoraggio del PEF in
lavoro. Infine, va sottolineato che il livello di IBA dovrebbe essere rivalutato
dopo un TPBS negativo in soggetti con storia clinica suggestiva di
AP: una riduzione della soglia di reattività bronchiale richiederebbe una
ripetizione del test di esposizione alla stessa sostanza, con l’eventuale au-
mento dei tempi e/o delle dosi di esposizione prima di escludere definitivamente
la diagnosi di AP.
CONCLUSIONI
Nel falegname, se l’esposizione ad un agente ad alto PM potenzialmente
responsabile, insieme ad un’anamnesi compatibile ed alla conferma
immunologica della sensibilizzazione, permette la diagnosi di AP,
questa impostazione non è diagnostica in caso di meccanismo non IgEmediato,
che richiede necessariamente la conferma mediante TPBS e/o,
se controindicato, la documentazione della variabilità del tono bronchiale
durante il lavoro mediante monitoraggio del PEF.
BIBLIOGRAFIA
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1988; 1: 273-9.
2) Meredith SK, Bugler J, Clark RL. Isocyanates exposure and occupational
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3) Saetta M et al. Effect of cessation of exposure to toluene diisocyanate
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4) Vandenplas O et al. Inhalation challenges with agents causing occupational
asthma. Eur Respir J 1997; 10: 2612-18.
P-15
TUTELA DELLA SALUTE DEI LAVORATORI DI UNO STABILIMENTO
DI MACELLAZIONE DELL’IRPINIA: GESTIONE DEL RISCHIO
BRUCELLOSI
E. Pennarola1 , S. Di Pietro2 , P. Di Pietro2 , G. Marino1 , N. Minichiello3 ,
C. Padula3 , F. Guardascione4 1 Distretto Sanitario di Grottaminarda (AV), Via Bosco, 54
2 Servizio Veterinario Area “B”, Via Bosco, 54 - 83035 Grottaminarda
3 Dipartimento di Prevenzione, Via Condotto, 83 - 83035 Grottaminarda
4 Direzione Sanitaria, Via Cardito, 83031 Ariano Irpino
Corrispondenza: Dr.ssa Elena Pennarola - Distretto Sanitario
di Grottaminarda, Via Bosco, 54 - 83035 Grottaminarda (AV), Italy
- Tel. 0825-425311
HEALTH PROTECTION OF WORKERS AT A SLAUGHTERHOUSE
IN IRPINIA: HANDLING OF THE BRUCELLOSIS RISK
Key words: brucellosi, macello, profilassi.
ABSTRACT. Brucellosis is a very diffused zoonosis in rural
environment where contact between human and affected animals
and their products is very frequent, especially for some workers
(shepherds, butchers, veterinary surgeons).
After the report of some Brucellosis cases in some workers at
a slaughterhouse in Irpinia, the AA have done a study on the hygienic
conditions of the workplace and on the measures of prophylaxis.
The study has interested the acquisition of good hygienic conditions
of the workplace in slaughterhouse in the Sanitary District of
Grottaminarda and of correct hygienic sanitary measures by operators.
The results have shown no correlation of the pathology with working
tasks and good working conditions and prophylaxis. Brucellosis seems
due to alimentary contamination.
The results show the necessity of continuing the adoption of prophylactic
measures already taken to control the risk in a climate of interdisciplinary
collaboration.
INTRODUZIONE
L’appropriata gestione del rischio di brucellosi nei macelli, alla luce anche
delle recenti indicazioni ISPESL, che vedono una stretta collaborazione
tra Medici del Lavoro, Medici Veterinari ed esperti della sicurezza in applicazione
al DLgs. 626/94, acquista un notevole rilievo ai fini della tutela della salute
dei lavoratori, per i quali la brucellosi è un rischio lavorativo importante.
L’incidenza di questa patologia in Italia è di 2,1 casi ogni 100.000
abitanti ed è assai diffusa in ambiente rurale (pastori, mungitori, macel-

88 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
lai, veterinari). Il serbatoio naturale di infezione è costituito dagli animali
malati o portatori (bovini, ovini, suini, cane, lepri, volpi, ecc.). L’uomo
può infettarsi per ingestione di latte crudo e derivati contaminati (panna,
burro, formaggi freschi e non fermentati, gelati), per contatto con materiali
infetti, soprattutto prodotti abortivi ed annessi ovulari, per via aerogena
o congiuntivale (essendo le brucelle aereodisperse notevolmente resistenti).
La trasmissione interumana è eccezionale.
Il periodo di incubazione oscilla mediamente tra 5-21 giorni. L’esordio
è frequentemente subdolo con febbre di tipo ondulante, sudorazione
profusa, osteo-artro-mialgie diffuse, astenia. La conta totale dei GB è
normale o ridotta con linfocitosi relativa o assoluta. Nella forma cronica
vi sono focolai localizzati di infezione osteo-articolari, nervosi, epatosplenici,
respiratori. La diagnosi è di tipo batteriologico e sierologico.
Nella fase iniziale si pratica l’emocoltura e la sieroagglutinazione di Wright,
positiva al titolo di 1:100-1:200, nella fase cronica la epato- mielocoltura
ed altre indagini sierologiche.
La profilassi si riassume nella bonifica del latte e dei suoi derivati,
nella sorveglianza medica e formazione dei lavoratori esposti a rischio e
nell’adozione di diverse misure di profilassi veterinaria: identificazione
degli animali infetti, igiene delle stalle, vaccinazione del bestiame con
bonifica dei pascoli.
A seguito della segnalazione di alcuni casi di brucellosi in un paese
dell’Irpinia, è stata effettuata un’indagine sull’attività lavorativa degli
stessi finalizzata alla prevenzione di questa patologia nei lavoratori esposti
a rischio.
MATERIALI E METODI
Le inchieste epidemiologiche effettuate ai sensi del D.M. del
15/12/90 sulla notifica obbligatoria delle malattie infettive hanno evidenziato
che tre soggetti risultati affetti da brucellosi, nel periodo aprile-luglio
2005, lavoravano presso uno stabilimento di macellazione, lavorazione
e trasformazione delle carni bovine dell’Irpinia afferente al Distretto
Sanitario di Grottaminarda. Da tale studio si è proceduto alla verifica
dell’idoneità delle misure profilattiche intraprese per escludere il
nesso causale tra brucellosi e mansione lavorativa dei casi esaminati e poter
prevenire la brucellosi negli altri lavoratori esposti a rischio. Sono
stati esaminati i documenti sanitari personali di 82 lavoratori, di età media
33,51 ± 8,31 anni ed anzianità lavorativa di 2 ± 4,73 anni, già sottoposti
a sorveglianza medica, dando maggiore rilievo ai casi segnalati e
valutando l’opportunità di sottoporli ad ulteriori accertamenti. Con la collaborazione
dei veterinari, sono stati verificati la persistenza dei requisiti
igienico-sanitari degli ambienti di lavoro, il ricorso a procedure corrette
nella macellazione degli animali affetti da brucellosi ed intensificati i
corsi di formazione con valutazione attenta delle varie fasi del ciclo produttivo,
di seguito indicate: 1- ricevimento dei bovini e scarico; 2 - visita
ante mortem; 3 - identificazione dell’animale; 4 - immissione dell’animale
nella stalla di sosta e cammino verso la trappola; 5 - stordimento, iugulazione
e dissanguamento dell’animale; 6 - asportazione delle estremità
degli arti anteriori ed in seguito degli arti posteriori; 7 - chiusura del
retto; 8 - scuoiamento e asportazione della mammella e dei genitali
esterni; 9 - distacco, lavaggio della testa ed identificazione; 10 - completamento
dello scuoiamento per la lavorazione delle pelli; 11 - eviscerazione
addominale; 12 - incisione dello sterno ed eviscerazione toracica;
13 - divisione della carcassa in mezzene ed asportazione della coda; 14 -
visita post mortem; 15- - docciatura; 16 - pesatura e classificazione; 17 -
raffreddamento e stoccaggio nelle celle frigorifere; 18 - taglio quarti e
bollatura sanitaria; 19 - spedizione merci.
RISULTATI
I dati di sorveglianza sanitaria sono illustrati in Tabella I.
In rispetto alle normative vigenti (in particolare DLgs. n. 626/94 e
succ. integr. e regolamenti comunitari), i risultati derivanti dall’indagine
igienico-ambientale hanno evidenziato l’adozione di corrette misure di
profilassi e buone condizioni di igienicità dei luoghi di lavoro. I lavora-
Tabella I. Casi affetti da brucellosi, positivi alla reazione di Wright
casi età (a.) anz. lav. mansioni esami giudizio interv. prov. grado cons.
latenza geograf parentela latticini
1 34 neoassunto prel. midollo neg. Idoneo 7 mesi comune nessuno sì
2 22 neoassunto disinfez. rep. neg. Idoneo 5 mesi comune fratello conv sì
3 30 neoassunto etichettatura neg. Idoneo 3 mesi comune fratello conv sì
tori sono adeguatamente formati sul rischio brucellosi e sulle misure atte
al contenimento. In caso di macellazione di capi sieropositivi alla brucellosi,
effettuata separatamente dagli altri capi dopo attivazione di apposito
segnale luminoso, essi fanno sempre uso dei dispositivi di protezione individuale
(dispositivi di protezione facciale e guanti in nitrile di III categoria,
occhiali protettivi) e mostrano una corretta manualità nelle operazioni
espletate. Al termine della macellazione è effettuata la sanificazione
ambientale, comprese le attrezzature di lavoro a contatto con carni e sangue
infetto. I lavoratori provvedono alla propria igiene personale (disinfezione
mani, braccia, dispositivi di protezione individuale).
DISCUSSIONE
Essendo stati ritenuti idonei i luoghi di lavoro e le misure di profilassi
attuate, la brucellosi non è stata correlata nei casi esaminati con la
loro attività lavorativa, mentre potrebbe esserlo all’assunzione di prodotti
lattiero-caseari la cui produzione è assai diffusa nel paese irpino da cui
sono stati segnalati i casi. Alla luce dei risultati ottenuti, gli AA sottolineano
la necessità di continuare nell’adozione delle misure profilattiche
già intraprese per la gestione del rischio, costituendo dei gruppi di lavoro
interdisciplinare costituiti da medici del lavoro, veterinari, epidemiologi,
che conoscendo le varie fasi del processo possano per le specifiche competenze
predisporre le misure necessarie al contenimento del rischio.
BIBLIOGRAFIA
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di esposizione e misure di sicurezza e di tutela della salute nei settori
allevamento macellazione trattamento distribuzione delle carni.
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casi di un mattatoio comunale della Sicilia orientale. Med Lav 2005;
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P-16
LO STATO DI IMMUNIZZAZIONE DEI LAVORATORI DELLA POLIZIA
DI STATO A DISTANZA DI TEMPO DALLA VACCINAZIONE
ANTI-EPATITE B
F. Campana1 1 Polizia di Stato, Questura di Taranto
Corrispondenza: Dr. F. Campana - Medico Capo, Questura di Taranto,
Via Anfiteatro, 8 - Taranto, Italy - E-mail: caldei@libero.it
THE STATE OF IMMUNIZATION OF THE WORKERS
OF THE POLICE OF STATE TO DISTANCE OF TIME
FROM THE VACCINATION AGAINST-HEPATITIS B
Key words: vaccination, immunization, hepatitis B, biological risk.
ABSTRACT. Purpose of the present study that of to verify the state of
immunization, across the titration of the marker HBsAb, in the workers
of the Police of State of the Province of Taranto, to distance of ten years
and beyond from the administration of the vaccine against-hepatitis B.
It is understood, besides, to verify the efficacy of the leading measure
of prophylaxis, that the vaccination against-hepatitis B, in the to
decrease considerable the biological risk to that the employees of the
Police of State in the course of their activity are exhibited of institution,
across the blood dosage of the transaminase and missed the possible
answer in the negative of the HBsAg. They were examined 126
belonging to subjects to the Police of State in service near the Police
headquarters of Taranto and submitted to vaccination against hepatitis-B
in the period 1990-2000. From the data obtained across statistical
analysis emerges that inside of the alone champion 6,4% of the subjects
presented a title insufficient of the antibody (inferior to 10 mUI/ml),
while masculine some sex of everything subjects alone, presented

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 89
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an increase of the transaminase (9,5% of the subjects of the champion
presented an overcoming of the value of the GOT and 11,9% of the
subjects an overcoming of the GPT).
INTRODUZIONE
Scopo del presente studio è quello di verificare lo stato di immunizzazione,
attraverso la titolazione del marker HBsAb, nei lavoratori della
Polizia di Stato della Provincia di Taranto, a distanza di dieci anni ed oltre
dalla somministrazione del vaccino anti-epatite B. Si intende, inoltre,
verificare l’efficacia della misura di profilassi primaria, quale la vaccinazione
anti-epatite B, nel diminuire notevolmente il rischio biologico a cui
sono esposti i dipendenti della Polizia di Stato nel corso delle loro attività
d’Istituto, attraverso il dosaggio ematico delle transaminasi e l’eventuale
mancata negativizzazione dell’HBsAg.
MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati 126 soggetti appartenenti alla Polizia di Stato in
servizio presso la Questura di Taranto e sottoposti a vaccinazione antiepatite
B nel periodo 1990-2000.
A tutti i soggetti studiati è stato sottoposto un breve questionario,
tutti sono stati sottoposti ad esame clinico completo, in particolare per
quanto riguarda la situazione epatica e su tutti sono stati rilevati il peso e
l’altezza.
A tutti i soggetti partecipanti all’indagine è stato effettuato un prelievo
ematico venoso di 5 ml, mediante un sistema vacutainer per la titolazione
dell’HBsAb ed il dosaggio delle transaminasi.
In caso di negatività dell’HbsAb sono stati determinati gli altri marcatori
dell’epatite B (HBsAg, HBeAg, HBcAb, HBeAb, HBcAb-IgM).
L’analisi dei diversi marcatori sierologici del virus B dell’epatite è
stata effettuata con metodica in chemiluminescenza.
Le transaminasi sono state determinate con metodo enzimatico ed i
valori di riferimento della metodologia analitica utilizzata sono stati per
la GOT di 5-34 U/L e per la GPT di 0-55 U/L.
L’analisi statistica è stata effettuata con test parametrici e non parametrici.
È stata accettata una significatività almeno uguale o inferiore a
0.05.
RISULTATI
L’età media del campione è stato di 43 +- 1,41 anni, di cui i maschi
aveva un’età media di 44 +- 2,8 e le femmine un’età media di 39 +- 3,0
anni, con una differenza significativa.
All’interno del campione 8 soggetti (6,4%) hanno presentato titolo
anticorpale insufficiente (

90 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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were higher among farmers (285.589±72.194 ng/ml vs. 22.366±55.142
ng/ml in controls, P=0.01).
Results demonstrate that serum positivity for C. psittaci is associated
with raised plasma levels of ICAMs-1.
INTRODUZIONE
L’infezione da Chlamydophila psittaci è comune negli uccelli e negli
animali domestici. Anche l’uomo è suscettibile dell’infezione perché la
C. psittaci possiede un alto potenziale zoonotico. L’infezione nell’uomo
provoca una patologia definita psittacosis e si manifesta con sintomi simil-influenzali,
gravi polmoniti e patologie non respiratorie a carattere
sia acuto che cronico (1, 2).
Studi effettuati in animali e sull’uomo hanno dimostrato che l’infezione
da C. psittaci determina una risposta immunitaria sia cellulare che
umorale (3).
Recenti studi hanno evidenziato l’importanza dell’adesione all’endotelio
microvascolare delle cellule circolanti mononucleate che favoriscono
l’espressione endoteliale delle molecole di adesione, quali ELAM-
1, ICAM-1 e VCAM-1. Tali molecole determinano la diapedesi cellulare
nei tessuti, svolgendo un ruolo importante nello sviluppo e nel mantenimento
del processo flogistico. L’ICAM-1 facilita l’adesione delle cellule
infiammatorie alle cellule endoteliali, la migrazione transendoteliale e la
loro attivazione con produzione di citochine e di altre molecole effettrici.
La frazione solubile dell’ICAM, definita ICAMs-1, è rilasciata nel sangue
dalle cellule endoteliali e dalle cellule mononucleate nel corso di infiammazione
(4).
Nonostante questi risultati abbiano prospettato la potenziale utilità di
tali markers endoteliali come affidabili misure di evoluzione della flogosi
infettiva, non vi sono in letteratura scientifica studi che hanno valutato i
livelli plasmatici delle forme solubili di tali molecole in corso di infezione
da C. psittaci.
Scopo del presente lavoro è stato di valutare l’associazione tra sieropositività
per C. psittaci e la concentrazione plasmatica di ICAMs-1 in un
gruppo di allevatori di polli che svolgevano l’attività in aziende zootecniche
della Sicilia Orientale.
MATERIALI E METODI
Il gruppo in studio era costituito da 30 allevatori di sesso maschile,
età media di 36,52±8,16 anni e anzianità lavorativa media di 12,97±3,67
anni. Il gruppo di controllo era costruito da 20 impiegati amministrativi
comparabili per sesso ed età. La Tabella I riporta le principali caratteristiche
degli allevatori e dei controlli.
Tabella I. Principali caratteristiche degli allevatori e dei controlli
Allevatori (n=30) Controlli (n=20)
Età media-aa 36,52 ±8,16 37,13 ±7,24
Abitudine tabagica 17 (57%) 12 (60%)
Anzianità lavorativa-aa 12,97 ±3,67 11,71 ±4,65
Patologie croniche e/o terapie Nessuna Nessuna
Episodi febbrili ≤12 mesi 7 (23%) 4 (20%)
Segni/sintomi di esordio febbre (7), brividi (5), cefalea (3), febbre (4), brividi (4), cefalea (1),
mialgia (6), tosse (4) mialgia (4), tosse (2)
Tutti i soggetti inclusi nell’indagine, previo consenso informato
scritto, sono stati sottoposti ad esame clinico e prelievo di 10 ml si sangue
venoso. I comuni esami di patologia clinica non hanno indicato la
presenza di patologie epatiche, renali, ematologiche e dismetaboliche.
La ricerca degli anticorpi anti-C. psittaci di classe IgA, IgM e IgG è
stata effettuata con il metodo della immunofluorescenza indiretta (IFI).
Sono state effettuate diluizioni scalari da 1:16 a 1:512. La diluizione di
1:16 è stata ritenuta il titolo discriminante dello stato di positività. Il dosaggio
plasmatico dell’ICAMs-1 è stato effettuato con ELISA.
L’analisi statistica è stata condotta con il programma SPSS-PC
(SPSS, Italia). I dati sono stati analizzati con il test t di Student per campioni
indipendenti nel confronto tra due gruppi; il test Chi-quadrato (χ 2 )
per l’analisi delle frequenze; la correlazione di Pearson per analizzare le
relazioni esistenti tra le concentrazioni di ICAMs-1 e quelle degli anticorpi
anti-C. psittaci. Il limite di significatività statistica è stato fissato
per valori di P≤0,05.
RISULTATI
Nei soggetti in studio è stato evidenziato un titolo di IgG variabile da
1:16 a 1:256, mentre in tutti i soggetti del gruppo di controllo è stato evidenziato
un titolo di IgG

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 91
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PHOSPHATIDYLSERINE METABOLISM DURING CHROMIUM
(VI)-INDUCED APOPTOSIS IN HUMAN LYMPHOBLASTIC
CELLS
Key words: chromium VI, phosphatidylserine, apoptosis.
ABSTRACT. Hexavalent Chromium (Cr VI) compounds, which are
recognized human carcinogens, induce apoptosis with mechanisms that
have not been completely clarified.
Phosphatidylserine (PS) exposure toward the external surface of the
membrane is a well-established event of programmed cell death; in
addition, apoptotic stimuli modify PS metabolism in several cell types.
Cr (VI) induces apoptosis in a human lymphoblastic cell line (MOLT-4).
In this study we evaluated whether PS metabolism is modified during
Cr (VI)-induced apoptosis in MOLT-4 cells, measuring the
incorporation of [ 3 H]serine into PS and the conversion of newly
synthesised PS into metabolically related glycerophospholipids. The
apoptosis level and PS exposure were measured in parallel samples
using propidium iodide solution and annexin V binding, respectively.
Cell treatment with 200 µM Cr (VI) decreased the incorporation of
[ 3 H]serine into PS before DNA fragmentation and PS exposure. Newly
synthesized PS was decarboxylated to phosphatidylethanolamine (PE);
radioactive PE/ PS ratio was decreased 6 and 12 hours after Cr (VI)
treatment causing apoptosis.
In conclusion, this study demonstrates that Cr (VI) treatment increases
PS exposure and modifies PS metabolism in MOLT-4 cells. These events
appear correlated with Cr (VI)-induced apoptosis. These findings could
be relevant in elucidating the mechanism underlying Cr (VI)-induced
apoptosis in MOLT-4 cells.
INTRODUZIONE
Il cromo è un metallo di transizione la cui evidenza di cancerogenicità
è per la IARC “inadeguata per cromo metallico e composti del cromo
trivalente per l’uomo”, “sufficiente per i composti del cromo esavalente”quindi
classificati nel gruppo 1 (1). L’impiego del Cromo (Cr) è diffuso
in molti processi industriali. Numerosi studi hanno dimostrato che a
livello cellulare il Cr innesca processi ossidativi (2, 3) che danneggiano il
DNA inducendo l’arresto del ciclo cellulare, l’apoptosi o la trasformazione
neoplastica. Il meccanismo citotossico alla base di tali meccanismi
non è tuttavia completamente chiarito.
È generalmente accettato che le cellule apoptotiche espongono sulla
superficie cellulare la fosfatidilserina (PS), normalmente presente sul lato
citosolico della membrana, e che questo evento determini il loro riconoscimento
ed eliminazione da parte dei macrofagi. Il meccanismo molecolare
alla base dell’esposizione della PS non è ancora definito e potrebbe,
almeno in parte, dipendere dal tipo cellulare. In alcune cellule, stimoli
apoptotici causano aumento della sintesi di PS (4, 5, 6), che potrebbe contribuire
alla sua esposizione. Il fenomeno non può però essere generalizzato,
in quanto macrofagi indotti all’apoptosi da infezione con streptococco
di gruppo B (GBS) espongono la PS pur avendo una diminuita sintesi
del fosfolipide (7).
Le variazioni nella sintesi di PS sopra menzionate potrebbero avere
un ruolo rilevante nell’indirizzare la cellula verso la morte programmata,
in quanto è nota la capacità del fosfolipide di modulare l’attività di numerose
proteine implicate nella trasduzione dei segnali.
Cellule linfocitarie umane (MOLT-4) sono indotte all’apoptosi in
modo dose e tempo-dipendente dall’esposizione al Cr VI (8). In questo
studio, abbiamo verificato se il metabolismo della PS fosse modificato,
durante l’apoptosi indotta dal Cr VI, in cellule MOLT-4, misurando l’incorporazione
della [ 3 H]serina nella PS e la conversione della PS di nuova
sintesi nei fosfolipidi ad essa correlati. Esperimenti paralleli sono stati
condotti per verificare se anche in tale modello di apoptosi venisse esposta
la PS.
MATERIALI E METODI
Cellule MOLT-4 (ATCC N. CRL-1582) (5x10 5 cellule/pozzetto)
erano poste, in doppio, in 2 ml RPMI-1640 supplementato con 20% FBS,
glutamina (2 mM) e gentamicina (80 mg/l) (medium) e mantenute in atmosfera
al 5% di CO 2 a 37°C.
L’effetto del Cr VI sul metabolismo della PS è stato studiato incubando
le cellule per diversi tempi (1, 2, 4, 6, 12 ore) nel medium contenente
30 µCi L-[ 3 H(G)]serina (S.R. 25.8 mCi/mmol,; Perkin Elmer, Boston,
USA), in presenza o assenza di Cr VI, utilizzato a 2 concentrazioni
(9 e 200 µM). Al termine dell’incubazione, le cellule erano centrifugate a
200xg per 10 minuti ed era valutata la radioattività nella PS. L’estrazione
lipidica, la separazione dei fosfolipidi mediante cromatografia bidimensionale
su strato sottile e la misura della radioattività nella PS, nella fosfatidiletanolammina
(PE) e nella fosfatidilcolina (PC) erano condotte
come precedentemente riportato (7).
In cellule incubate nelle stesse condizioni ma in assenza di serina radioattiva
veniva valutata l’apoptosi, mediante metodo del propidio ioduro
(8), e l’esposizione della PS utilizzando il test per l’annessina V (Vybrant
Apoptosis Assay, Invitrogen).
RISULTATI
Il trattamento con 200 µM Cr VI causava una diminuzione della sintesi
di PS (Fig. 1A) che precedeva nel tempo l’esposizione di PS (Fig.
1B) e l’apoptosi. Quest’ultima era infatti trascurabile entro le 4 ore di trattamento
ed evidente (45%) dopo 6 h di trattamento. Tempi lunghi di incubazione
con Cr VI (12 ore) determinavano la necrosi cellulare.
Il trattamento con 9 µM Cr VI modificava leggermente i parametri
sopra riportati (a 6 e 12 ore di incubazione).
L’esposizione per 6 e 12 ore con 200 µM di Cr VI, riduceva la capacità
delle cellule di decarbossilare la PS neosintetizzata, valutata dal rapporto
tra la radioattività nella PE e quella nella PS, non modificata invece
da trattamenti per tempi o concentrazioni inferiori (9 µM).
Figura 1. Effetto del trattamento con Cr VI (200 µM) sull’incorporazione
di [ 3 H]serina nella PS (A) e sull’esposizione della PS (B) in cellule
MOLT-4. In A, cellule MOLT-4 erano incubate con [ 3 H]serina in
presenza o in assenza di Cr VI. La radioattività nella PS è espressa
come dpmx10 3 /5x10 5 cellule. In B è riportata l’esposizione della PS
in cellule incubate nelle stesse condizioni ma in assenza di [ 3 H]serina

92 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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DISCUSSIONE
I risultati qui riportati dimostrano una stretta correlazione tra apoptosi
indotta in cellule MOLT-4 dal trattamento con Cr VI ed esposizione
della PS sulla superficie della cellula, in analogia con altri studi sull’apoptosi.
Essi inoltre dimostrano che il trattamento con Cr VI, a dosi capaci
di indurre apoptosi, inibisce la sintesi di PS e suggeriscono che l’inibizione
rappresenti uno degli eventi iniziali di tale processo. Inibizione
della sintesi di PS in cellule apoptotiche che espongono PS era già stata
osservata in macrofagi infettati con GBS (7). Il trattamento con Cr VI ha
però evidenziato un’ulteriore effetto sul metabolismo della PS, che appare
strettamente connesso ai danni che esso provoca a livello mitocondriale.
Infatti, periodi di trattamento che inducono apoptosi diminuiscono
la capacità delle cellule MOLT-4 di decarbossilare a livello mitocondriale
la PS in PE.
BIBLIOGRAFIA
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metabolism during induction of apoptosis. FEBS Lett
2002; 520: 68-72.
8) Gambelunghe A. et al. Chromium VI-induced apoptosis in a human
bronchial epithelial cell line (BEAS-2B) and a lymphoblastic leukaemia
cell line (MOLT-4). JOEM March 2006; 48(3): 319-325.
P-19
SILICE E IMMUNOPATIE: POSSIBILI PROSPETTIVE IN MEDICINA
DEL LAVORO
A. Todaro1 , A. Chiodini1 , L. Bordini1 , L. Riboldi1 1 Fondazione IRCCS, Ospedale Maggiore Policlinico,
Mangiagalli e Regina Elena
Dipartimento di Medicina Preventiva, Clinica e del Lavoro
Clinica del Lavoro “Luigi Devoto”, Università degli Studi di Milano
SILICA AND IMMUNOLOGIC DISORDERS: POSSIBLE
PROSPECTIVE IN OCCUPATIONAL MEDICINE
Key words: crystalline silica, autoimmune diseases, occupational
exposure, silice cristallina, patologie autoimmunitarie, esposizione
occupazionale.
ABSTRACT. Occupational exposure to crystalline silica dust
rapresented in the last century one of the most important dispose
of enviromental medicine mainly for lung involvement. Thechnological
advances have contributed to substantially reducing the occurrence
of silicosis and other respiratory disorders by decreasing the exposure
levels to silica dust.
Actually there is increasing evidence from epidemiologic studies that
silica dust exposure is associated with increased risk for a wide variety
of autoimmune diseases, including scleroderma, rheumatoid artritis,
systemic sclerosis, systemic lupus erythematosus, vasculitis and impared
renal function and end-stage renal diseases.
Mechanisms of autoimmune induction following exposure to particulate
silica are unclear, although an adjuvant effect is proposed. Silica dust
may act to promote or accelerate disease development, requiring some
other factor to break immune tolerance or initiate autoimmunity. It has
been hypotizied that crystalline silica could promote both the activation
of inflammatory pathway, that the production of autoantibodies through
abnormal regulation of apoptosis. The specific manifestation of this
effect may depend on underlying differences in genetic susceptibility
or other environmental exposures. However more affords are needed
to clarified the pathogenesis of autoimmunity.
We report three clinical case in which crystalline silica dust exposure
could has promoted development of autoimmune disease.
INTRODUZIONE
La progressiva riduzione dei livelli di esposizione lavorativa a silice
ha comportato una parallela diminuzione del numero e della gravità delle
patologie polmonari ad essa attribuibili.
Negli ultimi anni tuttavia si è accresciuto l’interesse per il rapporto
ipotizzato da alcuni autori (Tabella I) tra l’esposizione a silice e l’insorgenza
di patologie autoimmuni. Già negli anni ottanta venne segnalata
una associazione tra silicosi polmonare e patologie sistemiche quali il lupus,
l’artrite reumatoide e la sclerodermia, ma più di recente è stato prospettato
un possibile ruolo della silice nella genesi di altre malattie su
base autoimmune (panarterite nodosa, patologie renali) anche in assenza
di manifestazioni pneumoconiotiche (10, 11, 12).
Tabella I. Principali studi epidemiologici con segnalazione
di associazione tra esposizione a silice e immunopatie
Autore Anno Soggetti Patologia
Sluis-Kremer (1) 1986 157 Artrite reumatoide
Bovenzi(2) 1995 21 Sclerodermia
Parks (3) 2004 265 Lupus
Rosenman (4) 1999 463 Artrite reumatoide
Sanchez-Roman (5) 1993 50 Varie
Conrad (6) 1996 43 Lupus
Gregorini (7) 1993 16 Nefropatie
Steenland (8) 2001 4626 Artrite e nefropatie
Stolt P (9) 2005 276 Artrite reumatoide
Alcuni autori hanno indagato i possibili meccanismi di tipo eziopatogenetico.
Secondo Parks l’esposizione a silice è in grado di incrementare
l’apoptosi cellulare determinando così un’importante esposizione ad
una quota di autoantigeni (3) e portare alla formazione di autoanticorpi
(13). Sempre secondo Parks l’azione della silice cristallina è definibile
come “adiuvante immunitario” nell’incrementare la cascata infiammatoria
e la produzione di autoanticorpi. (14, 15).
Secondo Takemi il meccanismo d’azione della silice sembrerebbe
coinvolgere alcuni particolari recettori di membrana (FAS, CD95) presenti
nei linfociti T. La cascata enzimatica attivata da tali recettori condurrebbe
all’inattivazione di un inibitore (ICAD/DFF45) con conseguente lisi e
frammentazione delle catene di DNA e successiva apoptosi cellulare (16).
MATERIALI E METODI
Vengono descritti 3 casi, tutti maschi, giunti alla nostra osservazione,
per accertamenti di sospetta malattia professionale conseguente all’esposizione
a silice, portatori di altra patologia a possibile genesi autoimmunitaria.
Caso n. 1
Soggetto di 43 anni, fumatore, dal 1999 affetto da artrite reumatoide
erosiva. A seguito della comparsa di dispnea a carattere ingravescente,
viene inviato alla nostra attenzione per ulteriori accertamenti. Dal punto
di vista lavorativo dal 1989 al momento del ricovero aveva sempre lavorato
presso un’azienda produttrice di pitture e intonaci per edilizia, in
qualità di addetto alla pesa e alla miscelazione di resine, solventi, additivi
e pigmenti. Nella preparazione delle miscele il paziente aggiungeva un
“veicolo”, in quantità pari a circa 100-200kg/h, costituito fino al 45% da
silice cristallina. Tale operazione, riferita estremamente polverosa, era

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 93
www.gimle.fsm.it
sempre stata effettuata senza DPI né aspirazioni localizzate o ambientali.
Gli esiti degli esami effettuati, tra cui si segnala Rx del torace e TAC torace
(aspetto reticolare dell’interstizio con aree nodulari a disposizione
mantellare), PFR (modesta ostruzione con DLCO ai limiti inferiori) e l’esito
della biopsia linfonodale (noduli fibrosclerotici e ialini confluenti associati
ad antracosi e flogosi cronica con particelle birifrangenti), hanno
consentito di formulare la diagnosi di: Silicosi polmonare (q/r 2/3) in artrite
reumatoide (sindrome di Caplan).
Caso n. 2
Un uomo di 52, con pregresso episodio di epatite B, che dal 1969 ha
sempre svolto l’attività di fresatore/marmista c/o ditte specializzate nella
produzione di pavimenti, soglie, davanzali, piani bagno, cucine, colonne,
in materiali differenti, ma costituiti per lo più da graniti (rosa beta, rosa
lambara, bianco sardo e serizzi, contenuto in silice libera cristallina 25-
35%), beole (silice libera cristallina 30-45%) e arenarie (silice libera cristallina
5-75%).
L’ambiente di lavoro era costituito da un unico capannone, chiuso
lungo il perimetro, con presenza di numerose finestre e di aspiratori solo
nella zona di rifinitura dei pezzi. Non viene riferito l’utilizzo di DPI per
le vie aeree prima del 1994 (e successivamente solo mascherine in carta).
Gli accertamenti eseguiti presso la nostra Clinica hanno consentito di
formulare la diagnosi di “panarterite nodosa, associata a insufficienza renale
cronica secondaria, a concausa professionale”.
Caso n. 3
Uomo di 59 anni, ex forte fumatore (30 sigarette/die per oltre 40
anni), giunto alla nostra osservazione per sarcoidosi e sospetta pneumoconiosi.
Gli accertamenti eseguiti presso la nostra Clinica ci hanno portato
a formulare una diagnosi di “sarcoidosi polmonare in III stadio associata
a silicosi iniziale con calcificazioni linfonodali a guscio d’uovo”.
Il paziente aveva lavorato per circa 35 anni come posatore di pietre
naturali (marmi e graniti). Il lavoro prevedeva il taglio con flessibile, la
rifinitura con mole abrasive delle pietre e la successiva posa delle stesse.
Le operazioni di taglio e di rifinitura venivano svolte sia all’aperto che in
ambienti chiusi con produzione di elevata polverosità e senza l’utilizzo di
dispositivi di protezione per le vie aeree.
CONCLUSIONI
I soggetti descritti, tutti esposti a silice, anche se verosimilmente a
concentrazioni differenti, hanno presentato nel 1° e 3° caso un quadro di
pneumoconiosi associata ad altra patologia e nel 2° solo un quadro di malattia
su base autimmune senza segni di danno polmonare da polveri. Le
diagnosi formulate mantengono un margine di incertezza ma la loro segnalazione
è importante poiché permette di arricchire i dati disponibili e
quindi il dibattito su tale problematica emergente
Ammesso che esista un nesso tra esposizione a silice e immunopatie
rimane comunque non chiarito il problema della latenza tra esposizione e
insorgenza della patologia, soprattutto in quei casi in cui sia presente una
pregressa esposizione a basse dosi di silice cristallina (per es. casi senza
evidenza di silicosi polmonare).
È importante, quindi, che il Medico del Lavoro non consideri chiuso
il capitolo della esposizione silice, ma anzi presti molta attenzione a questo
aspetto nella propria attività, sia per ricercare possibili esposizioni
pregresse di fronte a casi di lavoratori con patologie autoimmuni, sia
nella sorveglianza sanitaria di esposti anche a basse dosi di silice.
BIBLIOGRAFIA
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of rottlerin on silica-exacerbated systemic autoimmune disease
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Dec 2005; 289(6): L990-8.
14) Parks CG, Cooper GS, Nylander-French LA, Sanderson WT, Dement
JM, Cohen PL, Dooley MA, Treawell EL, St Clair EW, Gilkeson
GS, Hoppin JA, Savitz DA. Occupational exposure to crystalline
silica and risk of systemic lupus erythematosus: a population-based,
case-control study in the southeastern United States. Arthritis
Rheum May 2004; 50(5): 1964.
15) Parks CG, Conrad K, Cooper GS. Occuopational exposure to crystalline
silica and autoimmune disease. Environ Health Perspect Oct
1999; 107 Suppl 5: 793-802.
16) Takemi O, Yoshie M, Yasumitsu N, Fuminori H, Akiko T, Masayasu
K, Hironobu K, Masafumi T, Ayako U, Takumi K. Alteration of Fas
and Fas-related molecules in patients with silicosis. Exp Biol Med
2006; 231: 522-533.
P-20
SIEROPREVALENZA DI BORRELIOSI DI LYME IN LAVORATORI
DEL CORPO FORESTALE DEL LAZIO
P. Tomao1 , S. Di Renzi1 , P. Bettolo Marini2 , N. Vonesch1 , M.C. D’Ovidio1 ,
A. Martini1 , L. Arces2 , S. Vita1 , P. Melis1 , S. Signorini1 1 ISPESL - Dipartimento di Medicina del Lavoro,
Via Fontana Candida, 1 - 00040 Monteporzio Catone (RM)
2 Università Cattolica del S. Cuore, Facoltà di Medicina e Chirurgia
“A. Gemelli” Dipartimento di Medicina del Lavoro,
Largo A. Gemelli, 8 - Roma
Corrispondenza: Paola Tomao ISPESL - Dipartimento di Medicina
del Lavoro, Via Fontana Candida, 1 - 00040 Monteporzio Catone (RM),
Italy - Tel. 06-94181279, Fax 06-94181270, e-mail: paola.tomao@ispesl.it
SEROPREVALENCE OF LYME BORRELIOSIS IN FORESTRY
WORKERS FROM LAZIO
Key words: Lyme borreliosis, occupational risk, tick.
ABSTRACT. Lyme borreliosis (LB) is a multisystemic disorder caused by
the spirochete Borrelia burgdorferi sensu lato that is transmitted by
Ixodes spp. ticks. One of the commonest ways of evaluating the
circulation of an infectious agent is to search for specific antibodies in a
susceptible population at high risk of exposure, included forestry rangers.
The present study was designed to investigate the prevalence
of antibodies to B. burgdorferi in a sample of forestry rangers from
Lazio divided in two groups in relation to potential occupational risk
factors for tick-borne infections.

94 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
To determine the seroprevalence of LB we used, in according with Atlanta’s
CDC guidelines, an enzyme-linked immunosorbent assay (ELISA) followed
by Western blot (WB) as a more specific confirmatory test.
Only 1 (1%) of the 7 (8,86%) sera IgG positive for B. burgdorferi
by ELISA was confirmed by WB. Among 13 (16,45%) sera IgM positive
for B. burgdorferi by ELISA, 9 (11,4%) were confirmed by WB.
The study shows that 9 of 10 sera confirmed by WB came from workers
who were exposed to occupational risk of infection. In particular the
analysis of questionnaires shows that these IgM positive confirmed
workers live in rural areas too. This result suggests that rural residence
could contribute to the increased level of exposure to B. burgdorferi.
INTRODUZIONE
La malattia di Lyme o borreliosi di Lyme (BL) è una malattia multisistemica
diagnosticata in soggetti punti da zecche del genere Ixodes
(Ixodes ricinus principalmente) che fungono da vettori per la spirocheta
Borrelia burgdorferi sensu lato (B. afelii, B. garinii e B. burgdorferi
sensu-stricto). La malattia, che può decorrere anche in modo asintomatico,
esordisce di solito con una caratteristica lesione cutanea (infezione
localizzata: eritema migrans) per poi diffondersi per via ematogena in diverse
sedi (infezione disseminata) e dopo anni manifestarsi con decorso
cronico (infezione persistente).
La distribuzione della BL è correlata strettamente con la distribuzione
geografica delle zecche, che peraltro possono veicolare anche altre
patologie infettive (ehrlichiosi, meningoencefalite da zecche, ecc.), e riscontrabile
in particolari popolazioni a rischio tra cui quelle di alcune attività
lavorative (forestali, allevatori, veterinari, ecc.).
Una delle vie più comunemente utilizzate per valutare la circolazione
di agenti infettivi è ricercare la prevalenza anticorpale in una popolazione
suscettibile ad alto rischio di esposizione.
Il presente studio ha avuto come obiettivo principale quello di valutare
la sieroprevalenza nei confronti di Borrelia burgdorferi sensu lato,
partendo da un gruppo pilota di lavoratori del Corpo Nazionale Forestale
della regione Lazio (79 soggetti) al fine di verificare l’eventuale presenza
del patogeno a livello regionale.
L’analisi sierologica viene effettuata in conformità alle linee guida
del CDC di Atlanta, che raccomandano un primo test di screening tra cui
il test immunoenzimatico legato a fase solida (ELISA), seguito da un test
di conferma (Western Blot).
MATERIALI E METODI
Sono stati somministrati a 79 forestali dei questionari clinico-anamnestici
che hanno permesso di raccogliere oltre ai dati anagrafici anche
informazioni riguardanti il luogo di lavoro, il tipo di lavoro e l’ambiente
in cui questo viene svolto, i fattori di rischio extraprofessionali, eventuali
punture di zecche e sintomatologia correlata. I 79 forestali sottoposti allo
studio sono stati suddivisi in due gruppi: i lavoratori esposti (65) e i lavoratori
non esposti al rischio di infezione (14). Tra gli esposti sono stati
considerati quei lavoratori che svolgono la loro attività all’aperto, in ambiente
rurale; tra i non esposti sono stati inclusi i soggetti che svolgono la
loro attività lavorativa o in ufficio o in ambiente urbano.
L’indagine sierologica è stata condotta tramite metodica ELISA per
monitorare il titolo anticorpale (IgG e IgM) nei confronti di B. burgdorferi.
I campioni risultati positivi e borderline sono stati sottoposti al test
di conferma Western Blot IgG e IgM per lo studio delle proteine specifiche
di tale patogeno. Le analisi immunoenzimatiche sono state condotte
e valutate secondo le modalità indicate nei kit utilizzati (recombWell Borrelia
IgG and recombWell Borrelia IgM- Arnika Diagnostics, Milan,
Italy).
L’analisi statistica invece è stata effettuata utilizzando il software
SPSS.
RISULTATI
La ricerca di anticorpi anti-Borrelia IgG e IgM mediante metodica
ELISA ha rilevato 7 casi (8,86%) IgG positivi, di cui 6 esposti al rischio
di infezione ed 1 non esposto, e 5 (6,3%) borderline, di cui 4 esposti ed 1
no. Inoltre sono stati rilevati 13 (16,45%) casi IgM positivi, di cui 12
esposti ed 1 non esposto. Al test di conferma WB solo 1 campione (sieroprevalenza
dell’1,3%), appartenente al gruppo dei lavoratori esposti, è
risultato IgG positivo mentre 9 (sieroprevalenza dell’11,4%) sono risultati
IgM positivi. Dei 9 campioni risultati IgM positivi 8 appartengono al
gruppo dei lavoratori esposti ed 1 no (Tabella I).
Tabella I. Risposta anticorpale a Borrelia burgdorferi mediante
test ELISA e WB in 79 forestali della regione Lazio
LAVORATORI
ELISA IgG ELISA IgM WB IgG WB IgM
+ - BL + - BL + - + -
ESPOSTI 6 55 4 12 47 6 1 46 8 39
NON ESPOSTI 1 12 1 1 13 0 0 7 1 6
+, positivo; -, negativo; BL borderline
DISCUSSIONE
L’analisi dei risultati di laboratorio, valutata alla luce delle informazioni
ottenute dai questionari, indica che dei 10 campioni positivi al Western
Blot 9 risultavano provenire da soggetti asintomatici che svolgevano
attività lavorative secondo modalità che li esponevano ad un rischio
di puntura di zecca elevato. L’analisi dei dati dei questionari ha evidenziato
che nei soggetti IgM positivi al test di conferma, che presentavano
un rischio di esposizione occupazionale, anche l’ambiente di vita rurale
potrebbe aver influito sull’aumento del livello di esposizione alla puntura
di zecca.
L’ampliamento dello studio ad altri forestali del Lazio apporterebbe
informazioni utili sull’eventuale circolazione del microrganismo e del
suo vettore sul territorio, suggerendo, come per altre regioni italiane, un
aumentato rischio per alcune categorie professionali esposte.
Lo studio evidenzia che i casi di BL sono spesso non diagnosticati e
non notificati secondo le modalità del D.M. 15 dicembre 1990 del Ministero
della Salute determinando una sottostima del dato. Essendo la malattia
di Lyme una patologia a decorso anche cronico il controllo anticorpale
di coloro che potrebbero aver contratto l’infezione è sicuramente
un’indagine importante ai fini della eventuale progressione verso una
prognosi più infausta. Studi recenti sulla malattia di Lyme sembrano suggerire
la teoria, peraltro già accreditata per altre patologie infettive, secondo
la quale sarebbe possibile ipotizzare un’associazione tra sieropositività
IgG anti-Borrelia ed aterosclerosi della carotide.
BIBLIOGRAFIA
1) Cinco M, Barbone F, Ciufolini MG, Mascioli M, Rosenfeld MA, Stefanel
P, Luzzati R. Seroprevalence of tick-borne infections in forestry
rangers from northeastern Italy. Clin Microbiol Infect 2004; 10:
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2) Tomao P, Ciceroni L, D’Ovidio MC, De Rosa M, Vonesch N, Iavicoli
S, Signorini S, Ciarrocchi S, Ciufolini MG, Fiorentini G, Papaleo
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and to tick-borne encephalitis virus in agricultural and forestry
workers from Tuscany, Italy. Eur j Clin Microbiol Infect Dis 2005;
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3) Volzke H, Wolff B, Ludemann J, Guertler L, Kramer A, John U, Felix
SB. Seropositivity for anti-Borrelia IgG antibody is independently
associated with carotid atherosclerosis. Atherosclerosis 2006;
184: 108-112.
P-21
INFLUENZA AVIARIA: STRUMENTI INFORMATIVI PER LAVORATORI
A RISCHIO DI ESPOSIZIONE
M.C. D’Ovidio, P. Tomao, S. Di Renzi, A. Martini, V. Meloni,
S. Signorini, D. Sbardella1 , P. Valente2 , N. Vonesch
Dipartimento di Medicina del Lavoro, ISPESL Centro Ricerche
Monteporzio Catone, Via Fontana Candida, 1 - 00040 Monteporzio
Catone, Roma
1 Ministero dell’Interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso
Pubblico e della Difesa Civile
2 Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Dottorato di Ricerca
in Igiene Industriale e Ambientale
Corrispondenza: Maria Concetta D’Ovidio - Dipartimento di Medicina
del Lavoro, ISPESL Centro Ricerche Monteporzio Catone, Via Fontana
Candida, 1 - 00040 Monteporzio Catone, Roma
- E-mail: mariaconcetta.dovidio@ispesl.it

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 95
www.gimle.fsm.it
AVIAN INFLUENZA: INFORMATION FOR WORKERS AT RISK
OF EXPOSURE
Key words: avian flu, workers’ exposure, information.
ABSTRACT. Avian influenza is a viral infection that occurs naturally
among wild and domestic birds. The current outbreaks of highly
pathogenic avian influenza, which began in South-East Asia in
mid-2003, are caused by the H5N1 virus. Although this virus does not
usually infect people, direct contact with infected poultry, or surfaces
and objects contaminated by their faeces, is presently considered the
main route of human infection.
Italian Ministry of Health, in collaboration with other Institutional
Organisms, put forward measures to be taken in the case of suspected
outbreaks of H5N1 avian influenza in wild birds and in commercial
poultry in order to minimise the risk of humans acquiring the virus.
In accordance with the Italian Decree 94/626, the nature, degree and
duration of workers’exposure to biological agents must be determined to
assess any risk to the workers’ health or safety and to lay down the
measures to be taken. Moreover, sufficient and appropriate training, in the
form of information and instructions, shall be offered by the employers.
Our group analyzed the most important national and international
documents regarding the protection of people possibly exposed to the
avian flu to elaborate booklets containing useful information for people
working with poultry.
INTRODUZIONE
L’influenza aviaria è una infezione virale che può interessare uccelli
selvatici e domestici, quali polli e tacchini causata da virus influenzali di tipo
A che possono infettare anche altri animali quali maiali, cavalli, delfini, balene
e l’uomo. Esistono almeno 144 varietà di influenza la maggior parte
delle quali ha effetti lievi ed è classificata come “Influenza Aviaria a Bassa
Patogenicità” (LPAI). Al contrario, i sottotipi H5 e H7 sono classificati come
“Influenza Aviaria ad Alta Patogenicità” (HPAI) e possono causare mortalità
di massa, specie tra il pollame domestico. In Italia, l’influenza aviaria è
nota sin dal 1878; da allora ci sono state diverse epidemie tra i volatili.
Attualmente si sta diffondendo dal Sud Est Asiatico l’influenza aviaria
da virus H5N1. Tale virus si può trasmettere all’uomo, anche se fino
ad oggi la trasmissione si è verificata solo in pochi casi. L’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) riporta un totale di 232 casi di infezione
di influenza aviaria nell’uomo, di cui 134 morti (periodo 2003 – 26
luglio 2006). Tali dati evidenziano non solo l’incremento dei casi umani
in zone già colpite dall’infezione ma anche, l’insorgenza nel 2006, di casi
di infezione umana in nuovi Paesi quali Azerbaijan, l’Egitto, l’Iraq.
In Italia, a seguito dei primi casi di infezione da virus H5N1 in alcuni
cigni migratori il Ministero della Salute attraverso vari Organi Istituzionali,
tra cui il Centro Nazionale per il Controllo e la Prevenzione delle
Malattie (CCM) ha preso una serie di provvedimenti finalizzati a ridurre
al minimo i rischi per l’uomo di contrarre l’influenza aviaria HPAI da volatili
ed animali suscettibili.
Le norme del Decreto Legislativo 626/94 e s.m.i. obbligano il datore
di lavoro ad effettuare la valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro,
laddove vengano evidenziati rischi per la salute e la sicurezza dei
lavoratori, di predisporre e mettere in atto un programma di interventi
tecnico-organizzativi e procedurali finalizzati alla tutela dei suoi dipendenti.
In tale contesto particolare importanza assume l’informazione e la
formazione (artt. 21 e 22 del D.Lgs. 626/94) sui rischi e l’addestramento
a lavorare “sicuri”, nei settori lavorativi a rischio di esposizione ad agenti
biologici in generale, e a quello dei virus aviari in particolare.
MATERIALI E METODI
L’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro
(ISPESL), in quanto organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale,
svolge funzioni di ricerca, studio, sperimentazione ed elaborazione
dei criteri e delle metodologie per la prevenzione degli infortuni e
delle malattie professionali. Tali funzioni vengono espletate anche attraverso
attività di formazione ed informazione delle diverse figure professionali
coinvolte. Nell’ambito del rischio biologico il Dipartimento di
Medicina del Lavoro ha affrontato la problematica dell’influenza aviaria.
In particolare sono stati analizzati in maniera critica i principali documenti
– riguardanti il settore della sicurezza dei lavoratori – prodotti a livello
nazionale ed internazionale. I documenti italiani analizzati sono
stati principalmente quelli del Ministero della Salute, del Centro di Refe-
renza Nazionale di Padova per l’Influenza aviaria (IZS delle Venezie),
nonché delle singole Regioni. Lo studio di tutti i documenti, unitamente
alle conoscenze scientifiche a tutt’oggi disponibili, è stato finalizzato alla
realizzazione di un Opuscolo informativo e di un Manuale operativo per
i lavoratori della filiera avicola e per altri lavoratori che occasionalmente
possono intervenire, quali i Vigili del Fuoco (VV.F.) essendo questi ultimi
coinvolti in interventi occasionali di recupero di volatili morti e/o moribondi
a rischio di influenza aviaria.
RISULTATI
Tale studio ha portato all’elaborazione di strumenti informativi e
operativi indirizzati ai lavoratori della filiera avicola e ai lavoratori coinvolti
nell’emergenza. In tali documenti è stata affrontata la problematica
dell’influenza aviaria, e sono state fornite indicazioni utili riguardo le
principali misure di prevenzione e protezione da porre in atto per ridurre
al minimo l’esposizione ad agenti biologici in situazioni di emergenza infettiva,
così come durante lo svolgimento nella normale attività lavorativa.
In Fig. 1 sono mostrati i 2 documenti redatti dall’ISPESL e dalla collaborazione
ISPESL-VV.F.
Figura 1A Figura 1B
DISCUSSIONE
L’analisi dei documenti Istituzionali riguardanti l’influenza aviaria,
finalizzati alla riduzione del rischio di esposizione professionale, ha contribuito
a indicare le misure di prevenzione e i comportamenti più idonei
da adottare in caso di estinzione dei focolai. Le figure professionali maggiormente
coinvolte potrebbero essere, oltre a quelle operanti all’interno
dell’azienda interessata dal focolaio, anche lavoratori non afferenti al settore
avicolo che potrebbero però intervenire in particolari fasi dell’estinzione
dei focolai di influenza aviaria.
La realizzazione dei 2 Manuali proposti dall’ISPESL e dalla collaborazione
ISPESL-VV.F., ha avuto l’obiettivo di fornire informazioni chiare e corrette
e – al tempo stesso – indicazioni sulle più adeguate misure di prevenzione
e comportamenti da adottare sia nello svolgimento della normale attività lavorativa,
che in condizioni di emergenza. In particolare potrebbe essere necessario
l’intervento dei VV.F., nel recupero di volatili morti o moribondi a rischio
di influenza aviaria, nonché in situazioni più complesse, quali l’estinzione dei
focolai negli allevamenti. Per tale motivo, il gruppo di ricerca ISPESL-VV.F.
sta approfondendo la problematica dell’influenza aviaria allo scopo di fornire
indicazioni da porre in atto in maniera chiara e definita, nel caso in cui più figure
professionali potrebbero essere chiamate ad intervenire per l’estinzione
dei focolai negli allevamenti. In tale contesto è necessario che – soprattutto i datori
di lavoro – siano informati e formati in maniera adeguata e corretta. A partire
da tale considerazione, tenendo anche conto della carenza di informative da
parte dei singoli Enti e Regioni, l’ISPESL si è assunto il compito di contribuire
alla formazione/informazione dei datori di lavoro che operano nel settore avicolo
o che potrebbero prendere parte nelle varie azioni preventive, operative e
di supporto in caso di estinzione dei focolai di influenza aviaria, fermo restando
quanto previsto dal Piano Pandemico Nazionale e dai singoli Piani Regionali.
BIBLIOGRAFIA
– Manuale operativo in caso di influenza aviaria. www.izsvenezie.it
– Misure di prevenzione e protezione nei confronti degli operatori
esposti a focolai di influenza aviaria. www.ministerosalute.it
– L’influenza aviaria. Rischi, informazioni e misure preventive. www.
ministerosalute.it
– Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale.
www.ministerosalute.it

96 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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V SESSIONE
ATTIVITÀ DI PREVENZIONE
E SORVEGLIANZA SANITARIA
P-01
VALUTAZIONE DEI RICORSI ALL’ORGANO DI VIGILANZA
(EX ART. 17 DEL D.LGS. 626/94)
N. Briga1 , G. Robuffo1 , A. Di Giammarco1 , A. Caponetti1 1 Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro ASL
Pescara, Via Paolini 45 - 65100 Pescara
Corrispondenza: N. Briga - Servizio Prevenzione e Sicurezza negli
Ambienti di Lavoro ASL Pescara, Via Paolini, 45 - 65100 Pescara,
Italy - Tel. 085-4253406, Fax 085-4253951, E-mail: medlav.pe@libero.it
APPEALS’S VALUTATION TO THE VIGILANCE COMMITTEE
(ART. 17 D.LGS. 626/94)
Key words: job fitness, judgment, appeal.
ABSTRACT. We illustrate the results of an historic analysis about the
appeals against the judgments expressed by occupational physicians
and received by Vigilance Committee “SPSAL - ASL Pescara” in the
period 2001-2005 (52 cases).
We describe modalities of appeal and analyse its origin, motivation,
job department, pathology, risk.
The authors, in the light of confirmation or negation of the occupational
physicians’s judgments, provide them advices on how to reach a more
correct and effective job fitness judgment.
They hope more knowledge, for workers, of appeal’s opportunity
content in art. 17 D.Lgs.626/94.
INTRODUZIONE
Il D.Lgs. 626/94 concede agli interessati, facoltà di ricorrere contro
il giudizio espresso dal medico competente rivolgendosi all’Organo di
vigilanza competente per territorio relativamente all’ubicazione dell’azienda
(art. 17 comma 4). Individuata tale competenza nei Servizi di prevenzione
e sicurezza negli ambienti di lavoro delle ASL, si è reso necessario
un approfondimento degli aspetti formali e sostanziali del procedimento
da attivare per chiarezza di procedure ed uniformità di applicazione.
La delicatezza del compito, che può comportare decisioni rilevanti,
sia per il lavoratore che per il medico competente, fa sì che il giudizio
espresso dall’organo di vigilanza debba presentare caratteristiche di
estrema correttezza nelle procedure amministrative, competenza ed imparzialità.
MATERIALI E METODI
Secondo gli indirizzi del ns. SPSAL, il ricorso in questione risulta di
natura amministrativa, in quanto presentato ad un ente pubblico che è
soggetto diverso da quello che ha emanato l’atto contestato. Il ricorso avverso
il giudizio del medico competente può essere proposto dal lavoratore
o dal datore di lavoro, preso atto che, al comma 3 dell’art. 17 del
D.Lgs. 626/94, si specifica che “…qualora il medico competente esprima
un giudizio di inidoneità parziale o temporanea o totale, ne informa per
iscritto il datore di lavoro ed il lavoratore…”. Il ns. Servizio ritiene altresì
ammissibile il ricorso sia avverso il giudizio di inidoneità che quello di
idoneità, in quanto altrimenti si priverebbe il lavoratore di un mezzo di
tutela proprio nell’ipotesi di maggiore significatività. Il ricorso viene presentato
in genere dagli interessati per iscritto, a mano o tramite raccomandata
con ricevuta di ritorno, entro 30 giorni dalla comunicazione del
giudizio pervenuta dal medico competente. Per le attività non soggette a
sorveglianza sanitaria o per idoneità alla mansione “genericamente intesa”,
ci si rivolgerà al Collegio medico legale della medesima ASL, ai
sensi dell’art. 5 della Legge 300/70.
La prestazione, ovviamente gratuita, fornita da un collegio di almeno
tre dirigenti medici dello SPSAL, alla presenza eventuale del medico
competente, consta di:
1. esame della documentazione, con acquisizione di:
• copia del giudizio di idoneità del lavoratore,
• scheda sanitaria e di rischio del lavoratore,
• documentazione sanitaria del lavoratore inerente le patologie denunciate,
• documento di valutazione dei rischi dell’azienda.
2. visita medica,
3. richiesta di ulteriori accertamenti, ad integrazione,
4. eventuale sopralluogo in azienda, onde acquisire ulteriori informazioni
circa la mansione specifica ed i rischi ad essa connessi,
5. emissione del parere, con comunicazione ai soggetti interessati.
Atteso che la decisione del ricorso ha natura giuridica di provvedimento
amministrativo giustiziale, essa è impugnabile con ricorso nelle
sedi opportune.
RISULTATI
Abbiamo riepilogato e valutato le prestazioni effettuate dal ns. Ufficio
relativamente ai ricorsi ex art. 17 del D.Lgs. 626/94 in un periodo di
5 anni compreso tra il 2001 ed il 2005. Dai dati a nostra disposizione
emerge che i ricorsi sono stati 52, dei quali esaminati 50. I ricorsi pervenivano
prevalentemente da lavoratori (48), solo 4 da datori di lavoro. Motivo
più frequente di ricorso è rappresentato da parere discorde nei confronti
del giudizio espresso dal medico competente (38), ma in 10 casi il
dipendente lamentava la mancata applicazione, da parte del datore di lavoro,
delle prescrizioni impartite dal medico competente. In 25 ricorsi il
giudizio del medico competente è stato confermato dalla commissione
SPSAL, mentre in 24 casi il giudizio è stato modificato o revocato. Contemporaneamente
all’analisi dei ricorsi, sono stati effettuati, altresì, degli
interventi presso alcune aziende, al fine di migliorarne le condizioni lavorative.
Il rischio lavorativo, più frequentemente motivo di ricorso, è
rappresentato dalla movimentazione manuale di carichi. I settori lavorativi
interessati sono vari e rappresentati da 30 casi nel privato, e 22 nel
pubblico, ove i dipendenti ASL rappresentano la maggioranza.
ANNO 2001 2002 2003 2004 2005
CASI 3 14 6 15 14
RICORSO DEL DATORE 2 - 1 1 -
RICORSO DEL DIPENDENTE 1 14 5 14 14
AVVERSO IL GIUDIZIO MEDICO 1 8 4 13 12
MANCATA APPLICAZIONE LIMITAZIONI - 6 1 1 2
GIUDIZIO MEDICO CONFERMATO 1 7 / 9 8
GIUDIZIO
MEDICO VARIATO / 7 5 6 6
DISCUSSIONE
La valutazione dei ricorsi ex art. 17, al di là delle finalità di legge,
rappresenta una delle possibilità per il ns. Servizio di poter entrare, con
interventi mirati, nelle realtà aziendali e valutare indirettamente la gestione
della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. In molti casi difatti
partendo dal ricorso sono state approfondite problematiche comuni a più
lavoratori con un miglioramento complessivo delle condizioni di lavoro
dell’azienda.
Anche per tale motivo, oltre che per fornire al lavoratore un mezzo
di tutela proprio in una ipotesi di maggiore significatività, si ritiene ammissibile
la valutazione non solo di ricorsi avverso un giudizio di inidoneità,
come specifica la norma in questione, ma anche di ricorsi nei casi
di idoneità con o senza prescrizioni.
BIBLIOGRAFIA
1) D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626.
2) Legge 20 maggio 1970 n. 300.
3) D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. Semplificazione in materia di ricorsi
amministrativi.
4) Sandulli AM. Manuale di diritto amministrativo. 1989 pp. 1201-
1211, 1220-1221.
5) Magelli L. Considerazioni e proposte su un problema delicato: il ricorso
avverso il giudizio del medico competente. Bollettino della
Prevenzione n. 34.
6) Costellati L, Mandes A. Giudizi e ricorsi - Idoneità specifica alla mansione.
7) Mandes A, Costellati L, Guglielmin AM. I ricorsi contro i giudizi del
medico competente. Folia Med 69(3) 1217-1222, 1998.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 97
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8) Gigli M, Sicilia L. Il giudizio di idoneità alla mansione specifica
espresso dal M.C.
9) G It Med Lav Erg 2004 Vol. 26 Suppl. 4 pp. 248-249.
10) Campurra G. Le visite mediche e il giudizio di idoneità. Dossier ambiente
64, 2003.
P-02
LE PROCEDURE PER L’ESAME DEL RICORSO AVVERSO
IL GIUDIZIO DEL MEDICO COMPETENTE
(ART. 17, C. 4 D.LGS. 626/94)
D. Sallese1 , M. Rossi1 1 ASL 8 Arezzo, Dipartimento di Prevenzione, U.O. Igiene e Salute
nei Luoghi di Lavoro, U.F. PISLL Zona Aretina, Ospedale S. Donato,
Via P .Nenni, 20 - 52100 Arezzo
PETITION AGAINST THE JUDGEMENT OF COMPETENT
DOCTOR (ART. 17 C. 4 D.LGS. 626/94)
Key words: idoneità, medico competente, ricorso.
Corrispondenza: Domenico Sallese ASL 8 Arezzo U.F. P.I.S.L.L,
Ospedale S. Donato, Via P. Nenni, 20 - 52100 Arezzo, Italy
- Tel. 0575254985, E-mail: d.sallese@usl8.toscana.it
ABSTRACT. We have evaluated the chance to uniform the activities
that examine the petition against the suitability judgement ex art. 17,
c. 4 D.Lgs. 626/94 during a programme that consisted in reviewing
and sharing of the procedures about the surveillance activity of the
Competent Doctors, developed by the U.O. “Hygiene and Health
on Working Places” department of ASL 8. It has been made because
this judgement can be prejudicial to two of the most important rights
of working people: the right of health tutelage and the right of work
tutelage. Another important repercussion can be felt on the work
of Public Authority, (Vigilance department’s doctors), Competent
Doctors and Employers.
The project starts from the analysis of some petition examined during
the last year by the U.F. PISLL of ASL8, connected to the prescriptions
in force, at the guiding lines made by Regione Toscana and the
procedures used in other countries.
The different phases of the petition have been analyzed also by the legal
department of operative unity and the privacy tutelage department,
in order to check that each phase respect the laws the regulate the
administrative acts.
After having evaluated all the different phases of the petition, we have
put in evidence a procedural way that uniforms the modality of
acceptability and of the petition management, always considering
it’s purpose, respecting the laws of administrative proceeds (L.241/90)
and private dates protection (D.Lgs. 196/2003).
INTRODUZIONE
Nell’ambito di un programma di revisione e condivisione delle procedure
connesse alle attività di sorveglianza sanitaria esercitate dai Medici
Competenti, promosso dalla U.O. Igiene Salute nei Luoghi di Lavoro
della ASL8, abbiamo preso in esame quelle inerenti il ricorso avverso il
giudizio di idoneità ex art. 17, c. 4, D.Lgs. 626/94. Tale giudizio, infatti,
può avere notevoli ripercussioni su due diritti fondamentali del lavoratore:
il diritto di tutela alla salute e il diritto di tutela al lavoro. Oltre al lavoratore,
il giudizio coinvolge l’Organo di Vigilanza, in quanto autorità
delegata all’esame del ricorso, il Medico Competente, in quanto soggetto
che ha emanato l’atto impugnato e il Datore di Lavoro, in qualità di soggetto
responsabile dell’unità produttiva.
MATERIALI E METODI
Nel caso di inidoneità parziale o temporanea o totale del lavoratore
la normativa dà la facoltà di ricorrere contro tale giudizio all’Organo di Vigilanza
territorialmente competente che “…dispone, dopo eventuali ulteriori
accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio
stesso”. Il ricorso in questione si configura come ricorso amministrativo
atipico in quanto proposto ad un ente pubblico, la ASL, che è soggetto di-
verso da quello che ha emanato l’atto contestato e non in posizione di gerarchia
nei confronti di quest’ultimo, pertanto si ritiene applicabile la normativa
generale sui ricorsi amministrativi (DPR1199/91 “Semplificazione
in materia di ricorsi amministrativi”) e quella che disciplina la partecipazione
ai procedimenti amministrativi (L. 241/90, capo III, artt. 7-10).
I ricorsi esaminati nell’ultimo anno dalla U.F. PISLL dell’ASL8 sono
stati rivalutati in riferimento alla normativa vigente in materia di prevenzione,
alle Linee Guida della Regione Toscana e a quelle di altre Regioni.
Inoltre è stata verificata la rispondenza o meno alle discipline sugli atti
amministrativi.
RISULTATI
Per la verifica della rispondenza alle norme vigenti sono state individuate
le principali fasi dell’esame del ricorso che sono state analizzate
ai fini dell’ammissibilità del ricorso stesso, della gestione dell’istruttoria
e della sua conclusione:
Le modalità di richiesta. Il ricorso deve pervenire all’“Organo di
Vigilanza competente per territorio” che nell’ordinamento della Regione
Toscana si identifica con la U.F. PISLL dell’Azienda USL. La U.F. competente
è quella nella cui zona il lavoratore presta la propria opera, anche
nel caso di aziende ad articolazione territoriale complessa e di imprese
edili per le quali la sede legale non coincide con quella operativa. Il ricorso
deve esser presentato entro 30 giorni dalla data in cui il lavoratore
o il datore di lavoro ha avuto comunicazione formale del giudizio da parte
del Medico Competente.
I soggetti legittimati al ricorso. Il ricorso avverso il giudizio
espresso dal Medico Competente, può essere proposto dal lavoratore o
dal datore di lavoro, in sede di accertamento preventivo o periodico. Nel
caso di ricorso avverso il giudizio che il Medico Competente ha formulato
in occasione diversa da quelle previste dal legislatore (Es: visita su
richiesta del lavoratore) si ritiene comunque corretto accogliere l’istanza
se la visita ha avuto come esito la rivalutazione del giudizio di idoneità.
L’Ambito del ricorso. L’art. 17 c. 4 disciplina il ricorso “sull’inidoneità
parziale o temporanea o totale” del lavoratore ma si ritiene che
debbano essere accolti anche quelli di non idoneità permanente, in quanto
condizione estrema che consente il recesso del contratto di lavoro. Le cosiddette
“idoneità con limitazioni” o “con prescrizioni” non sono esplicitamente
comprese dal legislatore tra le forme di non idoneità, tuttavia
queste tipologie di giudizi sono frequentemente impiegati dal medico
competente per indicare delle parziali inidoneità del lavoratore e quindi
possono essere oggetto di ricorso. Un’interpretazione più estensiva della
norma consente di accettare anche i ricorsi avverso il giudizio di idoneità
applicando un criterio non di merito ma di tematica e considerando comunque
oggetto del ricorso la decisione del Medico Competente. Le argomentazioni
a favore di questa ipotesi pur non essendo sufficientemente
supportate dal punto di vista giuridico, vanno valutate nell’ambito del
principio più generale di tutela della salute dei lavoratori.
L’istruttoria L’iter procedurale da seguire nell’esercizio delle competenze
di cui all’art.17, c. 4, D.Lgs. 626/’94, prevede l’applicazione
delle norme che disciplinano la partecipazione al procedimento amministrativo
(L. 7 Agosto 1990, n° 241, Capo III, artt. 7-10), quindi, in via preliminare,
la comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati,
Lavoratore, Datore di Lavoro e Medico Competente, al fine di garantirne
la partecipazione.
Quest’ultima è da realizzarsi con le modalità individuate dall’art.10
L. 241/’90 (presa visione degli atti del procedimento, presentazione di
eventuali deduzioni e documenti) e nel rispetto della normativa in materia
di protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003). Contestualmente
può essere fatta la convocazione del lavoratore per la visita medica,
dando agli interessati un tempo utile per la presentazione della documentazione
suddetta. (20 gg.).
L’esame del caso. Per l’analisi del ricorso si ritiene indispensabile
che l’Organo di Vigilanza acquisisca oltre il giudizio rilasciato dal Medico
Competente, anche la documentazione sanitaria del lavoratore. Altri
documenti utili sono la cartella sanitaria e di rischio e il documento di valutazione
dei rischi con la descrizione delle mansioni svolte dal lavoratore.
La valutazione del caso comprende la visita medica del lavoratore,
gli accertamenti sanitari integrativi o consulenze specialistiche e l’eventuale
sopralluogo in azienda per acquisire ulteriori elementi conoscitivi
rispetto alla mansione specifica assegnata al lavoratore e/o ai relativi
rischi.

98 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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Il provvedimento. In attesa dell’emissione del giudizio da parte dell’Organo
di Vigilanza, rimane valido quello espresso dal Medico Competente.
Il provvedimento sul ricorso può confermare, modificare o revocare
il giudizio stesso e deve essere comunicato entro 30 giorni dal ricevimento
del ricorso, fatto salvo la sospensione del procedimento per
eventuali accertamenti sanitari integrativi. Tale atto, a firma del Responsabile
dell’U.F. sarà trasmesso mediante lettera raccomandata A.R. al Lavoratore,
al Medico Competente e al Datore di Lavoro.
DISCUSSIONE
L’esame del ricorso avverso il giudizio del Medico Competente rappresenta
per le ASL una competenza di tipo amministrativo che incide su
due diritti fondamentali del lavoratore: il diritto alla salute e il diritto al
lavoro e pertanto deve presentare caratteristiche di estrema correttezza e
uniformità di applicazione delle procedure amministrative. L’iter proposto
consente di valorizzare la partecipazione di tutti soggetti interessati e
in particolare nella fase di avvio del procedimento, di favorire la collaborazione
con il Medico Competente, ritenuto soggetto indispensabile ad
integrare le conoscenze sia sullo stato di salute del lavoratore che sull’ambiente
di lavoro. Si auspica che la collaborazione con i Medici Competenti
non sia finalizzata all’esame del singolo caso ma alla identificazione
e condivisione di criteri comuni per la formulazione del giudizio di
idoneità.
BIBLIOGRAFIA
1) Magelli L. Considerazioni e proposte su un problema delicato: il ricorso
avverso il giudizio del medico competente ex. art. 17 DLgs
626/94. Boll Prev 1998; 4: 34-37.
2) Deidda B. Responsabilità giuridiche del medico competente. In: Il
Medico Aziendale. Ed. Regione Toscana, Firenze, 2001; pag 25-37.
3) Del Guerra P. Il ricorso avverso il giudizio di idoneità In: Il Medico
Aziendale. Ed. Regione Toscana, Firenze, 2001; pag. 47-57.
4) Fiorito A, Barbina P, Driussi C, Mentil S, Munafò G, Venturini C,
Zanin T, Zuliani C, Alessandrini B. Il ricorso avverso il giudizio del
medico competente. Comitato di coordinamento per la sicurezza e la
salute sul luogo di lavoro Regione Friuli, 18 Ottobre 2005.
P-03
QUALITÀ E CLASSIFICAZIONE ILO DEI RADIOGRAMMI
DEL TORACE: RISULTATI DI UN PROGRAMMA DI CONTROLLO
R. Leonori1 , E. Cardona2 , S. Ponticiello1 , I. Scrocchia1 , A. Fersini1 ,
A. Ragone1 , A. Brustolin3 , A. Quercia3 1 ASL Viterbo, U.o. c. PISLL
2 ASL Viterbo, U.o. c. Diagnostica per immagini, Ospedale Civita
Castellana
3 ASL Viterbo, U.o. di Viterbo
Corrispondenza: Rita Leonori - ASL Viterbo, U.o. c. PISLL,
Via Nepesina s.n.c. - Civita Castellana, Italy - Tel. 0761-5185224,
E-mail spsil@asl.vt.it
CHEST X-RAY QUALITY AND ILO CLASSIFICATION: RESULTS
OF A SURVEILLANCE PROGRAM
Key words: chest X ray, B reader, silicosis.
ABSTRACT. The ceramics district of Civita Castellana is marked by
a high rate of silicosis and previous investigations showed that a lot
of chest X-rays executed for workers health surveillance were not fit
for the purpose and unreadable.
1,454 x-rays have been examined and their quality has been assessed
by means of a special grid. X-rays whose quality had been judged
sufficient for reading have been reread in double blind by B-readers
(with a further side viewing of a third B reader in case of
disagreement). The ILO classification assigned by B readers has been
compared with the original classification. 32% of the examined x-rays
turned out to be insufficient for reading. B readers found twice the
number of silicosis cases compared with not trained readers (72, that
is 10%, against 33, that is 5%).
“Good practice” improves viewing and interpretation of
examinations and it is fundamental for detecting silicosis cases. It is
advisable to make comparisons with other realities having similar
occupational risks in order to understand whether there is the same
problem concerning x-ray quality, the extent to which ILO guidelines
are enforced and whether initial forms of silicosis are
underestimated.
INTRODUZIONE
Il distretto ceramico di Civita Castellana (circa 80 aziende con oltre
3.000 addetti) è caratterizzato da una prevalenza di silicosi molto superiore
alla media regionale e nazionale. La Tabella I, elaborata da fonte
INAIL, documenta un tasso di prevalenza in provincia di Viterbo 30 volte
superiore alla media nazionale.
Tabella I. Popolazione residente, casi denunciati e definiti di silicosi
e relativi tassi per 100.000 abitanti: Viterbo, Lazio, Italia
- Anno 2003 (INAIL)
Popolazione N. casi Tasso
Viterbo 295.702 10 3,4
Lazio 5.205.139 11 0,2
Italia 57.888.245 55 0,1
Precedenti indagini hanno messo in evidenza che circa la metà delle
radiografie del torace (Rxt) eseguite per la sorveglianza sanitaria sono di
cattiva qualità e giudicate non leggibili (6); inoltre, è stata riscontrata
un’elevata variabilità interindividuale nella lettura e classificazione delle
radiografie.
La ASL Viterbo, accanto agli interventi di prevenzione primaria,
ha avviato un progetto di formazione comune e collaborazione tra medici
del lavoro e radiologi per promuovere l’applicazione delle Linee
guida ILO e migliorare la capacità di individuazione dei quadri iniziali
di silicosi.
MATERIALI E METODI
La ASL Viterbo in collaborazione con il NIOSH ha organizzato, tra
il 1998 e il 2006, quattro corsi di certificazione e due corsi di ricertificazione
per B reader (9). I radiologi e i medici del lavoro impegnati sul problema
hanno frequentato i corsi e superato l’esame per la certificazione e
ricertificazione. Negli anni 1999-2006 sono stati acquisiti, presso le
aziende del comparto ceramico, 1.454 radiogrammi del torace effettuati
in occasione della sorveglianza sanitaria dei lavoratori nel periodo 1995-
2006; di ogni Rxt è stata valutata la qualità ed è stata effettuata una rilettura
con classificazione ILO (5).
Per la valutazione della qualità è stata utilizzata la griglia di valutazione
e applicata la metodologia proposte da Manzari e coll. (6), classificando
gli esami in sufficienti o insufficienti per la lettura. La griglia di valutazione
è stata applicata in doppio cieco.
La classificazione ILO è stata attribuita in doppio cieco dai B readers
per tutti gli Rxt giudicati sufficienti; in caso di lettura discordante è stata
effettuata una ulteriore lettura in cieco di un terzo B reader. La classificazione
ILO attribuita dai B readers è stata confrontata con la classificazione
originale degli Rxt, laddove presente. Il confronto è stato effettuato
sulla classificazione della profusione, considerando come positiva una
profusione uguale o maggiore di 1/0.
RISULTATI
Sul totale di 1.454 esami valutati, 466 (32%) sono risultati di qualità
insufficiente per la lettura a causa di problemi di esecuzione/sviluppo
(Tabella II).
Tabella II. Qualità degli esami: numero e % di Rxt sufficienti
e insufficienti per la lettura
n. %
Sufficienti 988 68
Insufficienti 466 32
Totale 1.454 100

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 99
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Delle 988 radiografie giudicate sufficienti era disponibile la classificazione
ILO solo per 686 (69.4%). Su queste ultime, i B readers individuano
72 casi di silicosi contro i 33 individuati da lettori non formati. La
misclassificazione da parte dei lettori non formati riguarda 51 falsi negativi
e 12 falsi positivi (Tabella III).
SPISLL
Tabella III. Confronto letture SPISLL/Aziende in base
alla profusione radiologica delle immagini (profusione ILO
0/0-0/1 = NEG; profusione ILO 1/0 o maggiore = POS)
AZIENDA
POS NEG
POS 21 51 72 (10%)
NEG 12 602 614 (89%)
33(5%) 653 (95%) 686
DISCUSSIONE
Lo studio ha confermato la elevata percentuale di Rxt di scarsa qualità
eseguiti nella sorveglianza sanitaria dei lavoratori. Rispetto alle precedenti
rilevazioni di Manzari e coll. (6), è stato osservato un netto miglioramento
della qualità (32% vs 49.9% di Rxt insufficienti), probabilmente
correlato anche con l’azione di controllo del Servizio.
È nota la bassa sensibilità dell’Rxt (4) che tuttavia rimane insostituibile
nella sorveglianza sanitaria dei lavoratori (7). La lettura effettuata dai
B readers in doppio o triplo cieco migliora notevolmente la sensibilità
dell’esame. Il dato documenta il rilievo che la “buona pratica” (formazione
specifica per l’applicazione delle Linee guida ILO) assume nella individuazione
delle pneumoconiosi.
Gli autori ritengono utile il confronto con altre realtà che presentano
analoghi rischi lavorativi per verificare se il problema della qualità delle
radiografie sia di interesse locale o generale, se e quanto sia diffusa la sottostima
dei casi di silicosi iniziale e quanto sia diffusa l’applicazione
delle Linee guida ILO.
La presente esperienza può rappresentare una indicazione di metodo
per azioni di controllo, come definito dal Coordinamento delle Regioni
(3), sulla sorveglianza sanitaria dei lavoratori da parte dei Servizi di prevenzione
delle ASL.
BIBLIOGRAFIA
1) Attfield MD, Althouse R, Reger RB. An investigation of inter-reader
variability among xray readers employed in the underground coal
miner surveillance program. Ann Amer Conf Gov Ind Ilyg 1986; 4:
401-409.
2) Bonomo L et al. Assicurazione della qualità in radiologia. L’esame
radiografico del torace. Documentazione SIRM n° 1- 95.
3) Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome:
Prime linee guida per l’applicazione del D.Lgs. 626/94. 1995.
4) Hnizdo E, Murray J, Sluis-Cremer GK, Thomas RG. Correlation
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autopsy population based study. Am J Ind Med Oct 1993; 24(4):
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5) International Labour Office: Guidelines for the use of ILO International
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6) Manzari G, Valenti E, D’Epifanio F, Quercia A, Cardona E. Controllo
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sanitaria dei lavoratori esposti al rischio di pneumoconiosi:
proposta di un metodo di screening qualitativo. Med Lav 2003; 2:
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7) Network Italiano Silice. Linee guida nell’esposizione professionale a
silice libera cristallina. Documenti preparatori. Edizioni Regione Toscana.
Dicembre 2005.
8) Reger RB, Smith CA et al. The effect of film quality and other factors
in the roentgenographic categorization of coal workers pneumoconiosis.
Am J Roentgen Rad Ther Nucl Med 1972; 115: 462-472.
9) Wagner GR, Attfield MD, Kennedy RD, Parker JE. The NIOSH B
Reader Certification Program, JOM 1992, 34, 9; 879-884.
10) Welch LS, Hunting L, et al. Variability in the Classification of Radiographs
Using the 1980 International Labour Organization Classification
for Pneumoconioses. (Chest 1998; 114:1740-1748).
P-04
LA REALIZZAZIONE DI UNA RETE DI FLUSSI INFORMATIVI
PER LA GESTIONE DI UNA EMERGENZA SANITARIA
IN MEDICINA DEL LAVORO
D. Sallese3 , R. Anulli1 , G. N. Bauleo2 , M. Rossi1 , P. Scatolini2 1 U.F. P.I.S.L.L. Zona Aretina
2 U.F. P.I.S.L.L. Zona Valtiberina
3 U.O. Igiene e Salute
Corrispondenza: Domenico Sallese - USL 8 Arezzo U.F. P.I.S.L.L,
c/o Ospedale S. Donato, Via P. Nenni, 20 - 52100 Arezzo, Italy
- Tel. 0575254985 - E-mail: d.sallese@usl8.toscana.it
DEVELOPING A NET OF INFORMATIVE FLOWS
TO FACE A HEALTH EMERGENCY IN OCCUPATIONAL HEALTH
Key words: silicosi; flussi informativi; medici competenti.
ABSTRACT. The diagnosis of complicated pulmonary silicosis made on
an employed in metal casting at a local gold industry, has started a real
health emergency for the Italian Local Sanitary Service (USL) in the
occupational health, because working on precious metal represent one
of the most important activities in the area. A deep analysis of the
working process has been made, in order to find out the risky
operations and the workers exposed to these, to determinate each
possible safety measure of industrial hygiene and to develop a project
of health investigation for evaluating the situation of exposed worker’s
health and defining an adapted health surveillance protocol. The next
health investigation has put in evidence 23 cases of pulmonary silicosis
in the examined population, composed of 105 men and 3 women,
exposed to silica during the metal casting process.
To face this problem has been developed a net of informative flows,
based on health staff (occupational physicians and nurses), PISLL
functional unities (with competent doctors, general medicine doctors,
INAIL (Italian Insurance Instiyùtute) and workers).
This study has put in evidence the importance of the informative flow’s
net the allows a bidirectional dialogue between the different involved
people, offering therefore not only the information, but also a greater
protection to workers health.
INTRODUZIONE
La lavorazione dei metalli preziosi rappresenta, per la provincia di
Arezzo, un’attività di rilevante importanza, infatti le imprese sono 1600
ed occupano circa 10000 addetti.
La segnalazione di un caso di silicosi polmonare complicata, in un
giovane lavoratore del settore orafo addetto alla microfusione, ci ha indotto
a considerare con grande attenzione una patologia, la silicosi polmonare
in un comparto, quello orafo, non legato tradizionalmente a tale rischio.
In tale settore l’esposizione a silice l.c. si verifica nella fase lavorativa
della microfusione a cera persa, in cui vengono utilizzati i “gessi refrattari”
che sono costituiti per oltre il 70% da silice l. c. È stato, pertanto,
avviato un approfondito studio del processo di lavorazione, volto ad individuare
le operazioni a rischio ed i lavoratori esposti, per determinare possibili
misure di sicurezza ed igiene industriale e per elaborare un progetto
di indagine sanitaria per valutare lo stato di salute dei lavoratori esposti.
L’indagine sanitaria successiva ha evidenziato nella popolazione esaminata,
costituita da 105 uomini e 3 donne, 23 casi di silicosi polmonare.
L’elevata prevalenza della malattia e la gravità di alcuni quadri clinici
ci ha posto di fronte ad una vera emergenza sanitaria, che si è deciso
di gestire con la creazione di una rete di flussi informativi tra tutti i soggetti
della prevenzione.
MATERIALI E METODI
È stato effettuato un censimento delle aziende orafe che svolgono la
microfusione e dei lavoratori esposti, individuati mediante questionario
appositamente elaborato per caratterizzare il tipo e l’entità dell’esposizione
in atto. Sono stati effettuati incontri con datori di lavoro delle
aziende censite, RSPP, Medici Competenti e RLS per una adeguata informazione
sull’entità del problema individuando le fasi lavorative mag-

100 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
giormente a rischio e le principali misure di prevenzione da adottare, distribuendo
anche materiale informativo appositamente redatto. È stato
elaborato in collaborazione con la Sezione di Medicina del Lavoro dell’Università
di Perugia e con l’U.O. Radiologia e Diagnostica per Immagini
della Az. USL 8 di Arezzo un protocollo di indagine sanitaria, che è
stato successivamente proposto e condiviso con i Medici Competenti.
Tale indagine prevedeva: visita medica, PFR (spirometria completa e
DLCO), esami ematochimici, emogasanalisi arteriosa, esame citologico
dell’espettorato, esame del condensato dell’aria espirata, RX con tecnica
Amber e lettura ILO BIT e HRTC. I casi individuati come sospetta malattia
professionale sono stati sottoposti ad ulteriori indagini (broncoscopia
e BAL).
Sono stati predisposti specifici flussi informativi da parte delle
UU.FF. PISLL da e per Medici Competenti, Medici di MG, Lavoratori,
INAIL e Università di Perugia.
RISULTATI
Sono state censite 80 aziende orafe che effettuano la microfusione e
sono stati sottoposti ad indagine sanitaria 108 lavoratori di cui 105 uomini
e 3 donne, con un’età media di 38 anni ed anzianità lavorativa specifica
media di 13 anni. Sulla base degli accertamenti eseguiti sono stati
individuati 23 casi di silicosi polmonare.
È stata costituita una rete di flussi informativi facente perno sul personale
sanitario (medici del lavoro ed infermieri) delle Unità Funzionali
PISLL; tale rete ha collegato e messo in connessione lavoratori, Medici
Competenti, Medici di MG, INAIL e Università di Perugia.
In particolare ai lavoratori sono state fornite informazioni sull’esito
degli accertamenti effettuati e, in accordo con i medici competenti, sui
provvedimenti individuali da adottare compreso le corrette abitudini di
vita. Per i lavoratori che, sulla base degli accertamenti effettuati, sono risultati
affetti da sospetta silicosi, è stato inoltrato all’INAIL, il certificato
medico di sospetta malattia professionale. L’INAIL ha provveduto al loro
successivo ricovero presso l’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università
di Perugia per la definizione di certezza della malattia professionale
stessa. Ai Medici di Medicina Generale sono state fornite informazioni
sul significato dell’indagine con particolare riferimento al rischio silicotigeno
connesso alla microfusione e sui risultati degli accertamenti eseguiti
dai loro pazienti ed eventuali suggerimenti per il follow-up clinico.
Per quanto riguarda i Medici Competenti sono state fornite e richieste
informazioni sull’esito degli accertamenti sanitari dei lavoratori da loro
“sorvegliati”, è stata effettuata una valutazione congiunta dei provvedimenti
da adottare per i casi risultati affetti da patologie; sono state disposte,
ove necessario, integrazioni al protocollo di sorveglianza sanitaria per
gli addetti alla microfusione ed è stata considerata la qualità professionale
degli accertamenti eseguiti. Nei confronti dell’Istituto di Medicina del
Lavoro dell’Università di Perugia è stato predisposto l’invio dei lavoratori
esposti, selezionati dall’U.F.PISLL, accompagnandoli con un questionario
per la caratterizzazione dell’esposizione e gli esami radiologici
effettuati, di contro l’Università ha provveduto ad inviarci i risultati degli
accertamenti eseguiti e nei casi anche sospetti di silicosi la denuncia di
malattia professionale.
DISCUSSIONE
Lo studio ha evidenziato l’importanza della rete informativa poiché
essa consente il dialogo bidirezionale fra le diverse figure coinvolte garantendo
così una maggiore tutela della salute dei lavoratori.
Perno centrale di questo flusso sono i Medici del Lavoro dei servizi
PISLL ponendosi come intermediari e tramite dei diversi soggetti della
prevenzione (Istituti universitari di ricerca e cura e INAIL da una parte e
territorio rappresentato da Medici Competenti, Medici di MG e lavoratori
dall’altra). I medici PISLL sono in grado di garantire l’efficacia e l’esistenza
stessa di questa rete informativa in quanto possono accedere ai
luoghi di lavoro, evidenziare i rischi, verificare il documento di valutazione
dei rischi, valutare l’attività di sorveglianza sanitaria ed assistere i
Medici Competenti e poi interagire con gli Istituti Universitari fornendo
loro materiale per ricerche mirate sul territorio e garantire cure più adeguate
ai lavoratori affetti da patologie professionali. Così, dopo il primo
caso di silicosi sono state censite tutte le ditte orafe che effettuavano la
microfusione ed individuati i lavoratori esposti, che, grazie al nostro intervento
sono stati sottoposti a controlli specialistici di secondo livello
presso l’U.O. Radiodiagnostica di Arezzo e la sezione di Medicina del lavoro
dell’Università di Perugia; in questo iter di diagnosi e cura sono stati
coinvolti i Medici Competenti ed i Medici di MG in un approccio olistico
della salute dei lavoratori. Inoltre, grazie all’intervento dei colleghi
esperti di Igiene Industriale, tutti gli ambienti di lavoro sono stati bonificati
e sono state individuate soluzioni tecnologiche avanzate tali da eliminare
il rischio silice in questo settore.
La nostra esperienza ha evidenziato l’efficacia di questo modo di lavorare
che ci ha permesso di verificare l’imponenza del rischio silicosi in
un settore, quello orafo, in cui erano stati segnalati in letteratura solo rari
casi sporadici ed isolati.
BIBLIOGRAFIA
1) Bauleo GN, Blasi F, Sallese D, Scatolini P. L’esposizione a silice dei
lavoratori addetti alla microfusione nel settore orafo della Valtiberina.
Atti del 68° Congresso Nazionale della SIMLII, Parma 5-8 ottobre
2005; (427-428).
2) Carel RS, Salaman H, Bar-Ziv J. Souver casting silicosis. Chest 1994
Oct; 106 (4): 1272-74.
3) Zanin F, Lievore F, Zanon P, Piz C. Acute silicosis in jewelry casting.
G Ital Med Lav Ergon 1999 Oct-Dec; 21(4): 266-70.
4) Sallese D, Anulli R, Bauleo GN, Rossi M, Scatolini P, Ciccotosto C,
Magnolfi A, Zingarelli A, Abbritti G, Murgia N, Muzi G. La silicosi
polmonare nell’industria orafa di Arezzo. In Atti del congresso nazionale
“La medicina del lavoro del 2000” Firenze 16-18 novembre
2005; (309- 313).
P-05
RUOLO DEI SERVIZI TERRITORIALI DI EMERGENZA
E DI PREVENZIONE NELLA ORGANIZZAZIONE
DEL PRONTO SOCCORSO AZIENDALE
A. Sacco1 , E. Malandruccolo4 , M.T. Mirone2 , G. Monteforte3 ,
A. De Santis3 1 Struttura Complessa di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti
di Lavoro, Azienda USL Frosinone, Via A. Fabi - 03100 Frosinone
2 Struttura Semplice di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti
di Lavoro, Distretto “A” di Anagni-Alatri, Azienda USL Frosinone,
Via Giminiani snc - 0312 Anagni (FR)
3 Struttura Complessa ARES 118 - Via A. Fabi - 03100 Frosinone
4 Corso di Laurea “Infermieri” Università degli Studi di Roma
“La Sapienza” e Azienda USL di Frosinone, Via A. Fabi
- 03100 Frosinone
Corrispondenza: Angelo Sacco - Struttura Complessa di Prevenzione
e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, Azienda USL Frosinone,
Via Armando Fabi s.n.c. - 03100 Frosinone, Italy
- E-mail: angelo.sacco@aliceposta.it
FIRST AID IN THE WORKPLACE: THE ROLE OF PUBLIC
CONTROL SERVICES AND OF EMERGENCY SERVICES
Key words: first aid, workplace, public control, emergency services.
ABSTRACT. The 388/03 ministerial decree (the Italian law on first aid
in workplace) has better defined the organizational system of first aid in
workplace requested by the law 626/94 (the Italian law on occupational
health and safety of workers). The decree underlines either the
particular importance of the first aid organization or the role of public
control agencies and of emergency services (118 System). This study
was carried out with the service of emergency ARES 118 and the
prevention and safety in workplace service of the ASL. The purpose
of this paper is to verify the methods of application of the D.M. 388/03
in “B” District of the ASL of Frosinone in order to predispose,
in collaboration with the System of Emergency of the Regional Sanitary
Service, the necessary interventions for integration.
INTRODUZIONE
Il D.M. 388/03 prevede per le aziende di gruppo A e B l’intervento attivo
dei servizi di controllo e vigilanza e del sistema di emergenza del servizio
sanitario nazionale nel prescrivere eventuali integrazioni alle disposizioni
normative minime (Oleari e Patacchia, 2000; Sacco e Ciavarella 2004).

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 101
www.gimle.fsm.it
Questo lavoro, svolto in collaborazione tra il Servizio di Emergenza
ARES 118 ed il Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro
della ASL, ha avuto lo scopo di verificare lo stato di applicazione del
D.M. 388/03 sul territorio di un Distretto della ASL di Frosinone al fine di
predisporre di concerto con il 118 gli eventuali interventi di integrazione.
MATERIALI E METODI
È stata realizzata una apposita scheda prendendo spunto dal documento
recentemente approvato dal Comitato Tecnico della Conferenza
Stato-Regioni, rielaborato in base alla tipicità delle aziende insistenti sul
territorio ed alla peculiarità dei dati che si è deciso di raccogliere. La
scheda risulta costituita da 6 sezioni: 1) dati identificativi dell’azienda; 2)
classificazione secondo il D.M.388/03; 3) descrizione dell’attività svolta;
4) infortuni occorsi nel triennio 2003-2005 e tipologia dell’evento; 5) organizzazione
del pronto soccorso; 6) agenti chimici utilizzati nel ciclo
produttivo. Inoltre sono richiesti dati sulla presenza delle schede di sicurezza
e sulla disponibilità o meno di un data-base elettronico riportante
l’elenco dei prodotti utilizzati e le misure di emergenza da attuare in caso
di incidente, nominativi e recapiti degli addetti al pronto soccorso e dati
sui mezzi di comunicazione utilizzati per l’emergenza sanitaria.
La scheda così elaborata è stata trasmessa nel periodo gennaio-marzo
2006 alle 24 aziende a più elevato rischio insistenti sul territorio del Distretto
B della ASL selezionate: a) in base alle comunicazioni ricevute in
relazione alla classificazione in gruppo A; b) del numero degli infortuni
rilevati sulla base dei dati INAIL del 2003; c) dell’appartenenza all’elenco
aziende a rischio di incidente rilevante (D.Lgs. 334/99) sul territorio
di competenza che, nonostante l’obbligo di notifica, non avevano comunicato
la categoria di appartenenza.
I dati sono stati tabulati ed analizzati utilizzando apposito software di
calcolo.
RISULTATI
Al 31/03/06 sono pervenute 11 schede (il 45,8% delle schede inviate).
Classificazione aziende. Delle 11 aziende che hanno inviato le informazioni
richieste, 7 appartengono al gruppo A (63,6%), mentre le altre 4
(36,4%) al gruppo B.
Infortuni. La distribuzione degli infortuni relativi al triennio, riportata,
complessivamente, dalle 11 aziende, ha mostrato un indice di frequenza
compreso tra 37 e 45 con netta prevalenza della tipologia traumatica.
Nell’intero triennio sono stati registrati 9 casi di ustione e in 1
caso di causticazione. La distribuzione degli infortuni per tipologia di
evento mostra come oltre 1/3 degli eventi (39,6%) sono stati caratterizzati
da traumi, nell’1,7% dei casi si è trattato di ustioni, nello 0,2% di
contatto con caustici e nel 4,5% di infortuni di altra natura (iperemia congiuntivele,
abrasioni corneali, ecc.).
Organizzazione del pronto soccorso. Tutte le aziende hanno redatto
un piano di pronto soccorso aziendale; in tali aziende sono stati designati
mediamente 8 addetti al pronto soccorso per ogni 100 dipendenti, con un
range compreso tra 4 e 20 lavoratori designati per ogni 100 dipendenti.
DISCUSSIONE
Dai risultati di questo studio eseguito attraverso la raccolta, la tabulazione
e l’analisi dei dati ricavati dalle schede di richiesta di informazioni
pervenute dalle aziende di competenza di uno dei Distretti a maggior vocazione
industriale della ASL di Frosinone, si evincono elementi di grande
interesse utili a verificare lo stato di applicazione del D.M. 388/03 e a predisporre,
insieme al sistema di emergenza del servizio sanitario nazionale,
gli interventi di integrazione a quanto già previsto dalla norma.
La prima osservazione che può essere tratta da una analisi descrittiva
dei dati è che delle 24 schede trasmesse ad altrettante aziende selezionate
nei modi riportati nei materiali e metodi, ne sono pervenute 11 (il 45,8%
di tutte le schede inviate), in buona parte provenienti da aziende appartenenti
al gruppo A. Le aziende che hanno partecipato all’indagine hanno
inoltre mostrato una discreta attenzione alle tematiche del pronto soccorso
aziendale, considerato che in tutti i casi avevano redatto il piano di
pronto soccorso e designato un numero di lavoratori sufficiente a garantire
la prima gestione dell’emergenza sanitaria.
Dall’attenta analisi del dato sulla distribuzione degli infortuni relativi
al triennio e riportati complessivamente dalle 11 aziende, è emersa una
maggiore prevalenza degli infortuni nell’anno 2004 (n. 254 infortuni),
mentre negli anni 2003 e 2005 sono stati riferiti rispettivamente 239 e 180
infortuni. Per quanto riguarda la distribuzione degli infortuni relativi al
triennio per tipologia di evento, si è trattato nella maggior parte dei casi
di eventi traumatici o di altro (ad es. iperemia congiuntivale, abrasioni
corneali ecc.), solo in 9 casi nell’intero triennio si è trattato, invece di
ustione e in 1 caso di causticazione.
Lo strumento utilizzato, per quanto spalmato su un campione di
aziende ancora numericamente modesto, si è dunque dimostrato utile per
la più specifica conoscenza delle realtà esaminate ai fini di disporre di implementare
i servizi di pronto soccorso aziendale. Saranno infatti oggetto
di ulteriore approfondimento quelle aziende con elevato indice infortunistico
traumatico e quelle in cui il numero dei lavoratori designati è sembrato
esiguo in base alle proposte presenti in letteratura (Coordinamento
interregionale, 2005, Sacco et al., 2004, 2005).
BIBLIOGRAFIA
1) Coordinamento Interregionale della Prevenzione nei luoghi di lavoro:
Primi indirizzi applicativi sul Decreto Ministeriale 15 luglio
2003 n. 388. Documento preliminare. Seduta del Comitato Tecnico
in data 10 gennaio 2005.
2) Oleari F, Patacchia L. Il Decreto sul pronto soccorso in azienda. Art.
15 del D.Lgs. 626/94 e successive modificazioni. Fogli d’Informazione
ISPESL, 2000; 4: 61-68.
3) Sacco A, Ciavarella M. Manuale di primo soccorso nei luoghi di lavoro.
Guida per gli addetti al primo soccorso secondo il Decreto n.
388 del 15/07/03. EPC Libri, Roma 2004; (pp. 226).
4) Sacco A, Ciavarella M, Monteforte G, De Santis A. Luci ed ombre
del regolamento sulla organizzazione del pronto soccorso in azienda.
Med Lav, 2004; 95(2): 161-163.
5) Sacco A, Ciavarella M, Trevisan A, Monteforte G, De Santis A. I requisiti
per i formatori dei lavoratori designati al primo soccorso
aziendale. Med Lav, 2005; 96(5): 403-408.
P-06
RICONOSCIMENTO GIURIDICO E STANDARD DI TUTELA
PER GLI OPERATORI SUBACQUEI IN AMBITO EUROPEO
V. Anzelmo1 , P. Giovagnoli2 , P. Giovagnoli3 , D. Staiti1 , P. Bianco4 1 Istituto Medicina del Lavoro; Università Cattolica S. Cuore,
L.go A. Gemelli, 8 - 00168 Roma
2 Membro EDTC, Ministero della Salute, V.le della Letteratura, 4
- 00100 Roma
3 Sanità Marittima di Roma-Fiumicino, Ministero della Salute,
V.le della Letteratura, 4 - 00100 Roma
4 Servizio Sanitario RAI Radiotelevisione Italiana, V.le Mazzini, 14
- 00195 Roma
Corrispondenza: D. Staiti - Istituto Medicina del Lavoro, Università
Cattolica S. Cuore, L.go A. Gemelli, 8 - 00168 Roma, Italy
- E-mail: d.staiti@rm.unicatt.it
EUROPEAN REGULATION AND MEDICAL STANDARD
FOR WORKING DIVERS
Key words: operatori subacquei professionali, standard di tutela,
normativa europea, working divers, medical standard, european
regulation.
ABSTRACT. It has been made the recognition of the working divers
of the two categories protected from the Italian law, using the registers
of the local “Autorità Marittime”. 1255 working divers pointed out;
to them it’s possible to add other 600 working divers of the industrial
and commercial area, focused by the italian member during the EDTC
annual meeting (2005). Not available data referring to the other diver
job profile like archeologists, scientific researchers. It’s necessary
to promote laws to regulate all the working diver activities, with
technical and medical standard for the health protection.
INTRODUZIONE
L’attività lavorativa subacquea in Italia è stata per anni tutelata dal
DM del 13 gennaio 1979, che riguardava la categoria dei sommozzatori
in servizio locale, e dal DM del 20 ottobre 1986 con il quale si tutelavano
i pescatori subacquei professionisti. Le altre categorie di operatori subac-

102 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
quei non erano soggette a particolari norme di tutela. Il DLgs 626/94 ha
rappresentato la norma di riferimento per la tutela di ogni attività subacquea
professionale e per la sorveglianza sanitaria degli operatori. A livello
europeo, la sicurezza dell’immersione professionale fa riferimento
al Comitato Europeo di Tecnologia Subacquea (EDTC), di cui l’Italia fa
parte, che si prefigge l’armonizzazione in Europa dei requisiti per l’attività
subacquea. Nelle riunioni annuali il Comitato approfondisce aspetti
sanitari, di sicurezza e di formazione.
MATERIALI E METODI
È stata effettuata la ricognizione degli operatori subacquei appartenenti
alle due categorie normate (sommozzatori in servizio locale e pescatori
subacquei professionisti), presso le autorità marittime competenti
per territorio: 50 Capitanerie di porto e 45 Uffici Circondariali Marittimi.
Sono stati utilizzati, a tale scopo, i registri tenuti dalle Autorità marittime
per queste categorie professionale. Sono stati acquisiti i dati resi disponibili
al meeting annuale dell’EDTC, svoltosi nell’ottobre 2005 in Belgio,
riguardanti l’attività subacquea industriale in Italia. È stato analizzato lo
stato del riconoscimento normativo dei profili professionali degli operatori
subacquei nei paesi membri dell’EDTC, confrontandolo con la normativa
vigente in Italia.
RISULTATI
Dai registri tenuti dalle Autorità marittime è emerso che nel corso del
2005 i lavoratori subacquei (sommozzatori in servizio locale e pescatori
subacquei professionisti) operanti sono stati 1.255, distribuiti geograficamente
lungo tutta la fascia costiera italiana. Sono stati raggruppati per regioni
costiere e sedi di autorità marittime locali (Tabella I). Non risultano
disponibili dati di altre categorie professionali, tuttavia dai dati del meeting
2005 dell’EDTC si evince che altri 600 operatori subacquei professionisti
in Italia svolgono attività subacquea industriale.
Tabella I. Operatori subacquei registrati
dalle Autorità marittime locali
REGIONI COSTIERE E/O SEDI AUTORITÀ SUBACQUEI
MARITTIME LOCALI (n)
Sicilia 224
Sardegna 154
Campania 64
Puglia 73
Lazio 84
Toscana 72
Liguria 104
Altre regioni costiere 109
Trieste/Monfalcone 97
Venezia 147
Ravenna 127
TOTALE 1.255
DISCUSSIONE
I dati numerici rilevati riguardano soltanto le categorie di operatori
subacquei individuate dalla normativa esistente in Italia ed iscritti nei registri
delle Autorità Marittime locali, a seguito del giudizio positivo di
idoneità psico-fisica formulato dal medico di porto degli uffici di Sanità
Marittima del Ministero della Salute distribuiti sul territorio nazionale. Si
tratta degli operatori subacquei censiti in quanto in regola con la visita
medica annuale prevista dalla normativa di riferimento. I lavoratori subacquei
tutelati in termini di salute e sicurezza, in Italia risultano, quindi,
di poco superiori a mille unità, escludendo quelli che operano al di fuori
dalle acque portuali o limitrofe. Si tratta comunque di un numero esiguo
rispetto a tutti gli operatori subacquei che operano per lavoro in ambiente
iperbarico senza adeguata tutela legislativa. Tra questi ricordiamo gli archeologi,
i ricercatori scientifici (medici, biologi, geologi), i sommozzatori
professionisti di bassi fondali (profondità massima 50 mt) e quelli di
alti fondali (centinaia di metri, con procedure di saturazione) che operano
per imprese industriali. Nel citato meeting EDTC del 2005, il rappresentante
italiano per l’industria ha reso noti i dati dell’attività subacquea industriale
in Italia: il “commercial diving” italiano consta di circa 600 operatori
subacquei professionisti (che hanno superato training formativi ri-
conosciuti a livello internazionale) tra i quali si individuano: 300 che operano
in aria, 200 in saturazione, 100 con ruolo di supporto.
A livello europeo l’EDTC aveva concordato con i Paesi membri raccomandazioni
in cui venivano identificati i diversi profili dei subacquei
professionali e che si inserivano nel contesto di altre raccomandazioni
dell’ECHM (Comitato Europeo di Medicina Iperbarica) finalizzate ad armonizzare
procedure di sicurezza e protocolli di visite mediche di idoneità
per le attività subacquee professionali. Le raccomandazioni non
sono state seguite da direttive comunitarie, tuttavia la tutela della salute,
le norme di sicurezza e i protocolli sanitari risultano specificamente normati
in alcuni Paesi del Nord Europa sulla base delle indicazioni dell’EDTC.
In Italia la normativa di riferimento è rappresentata unicamente
dal DLgs 626/94, ma non risultano individuati riferimenti tecnici specifici
in termini di sicurezza, formazione e sorveglianza sanitaria, dei quali
il medico del lavoro competente possa avvalersi.
È stato da tempo auspicato in Italia, per la specificità e peculiarità del
settore, l’emanazione di normative specifiche che regolamentino tutte le
attività subacquee, comprensive di riferimenti tecnici e sanitari per la tutela
del lavoratore in ambiente iperbarico.
BIBLIOGRAFIA
1) Giovagnoli P, Bianco P, Ragusa F, Arduino G, Anzelmo V, Castellino
N. La sicurezza e la tutela della salute del lavoratore subacqueo
professionale nel contesto del Comitato Europeo di Tecnologia Subacquea
(EDTC): formazione tecnica e competenza del sommozzatore,
ruolo del medico esaminatore.G Ital Med Lav Erg giugno/settembre
2003; 25 Suppl (3): 249-251.
P-07
TABAGISMO, SCOLARITÀ E LAVORO NEI GIOVANI APPRENDISTI
A. Messineo1 , M. Leone2 , P. D’Altilia3 1 Direttore Dipartimento Prevenzione ASL RM H, B.go Garibaldi, 12
- 00041 Albano Laziale (RM)
2 Azienda USL RM H Dipartimento Prevenzione Servizio PRESAL H4,
Via dei Castelli Romani, 2/P - 00040 Pomezia (RM)
3 Università degli studi di Roma Tor Vergata, Scuola di Specializzazione
in Medicina del Lavoro, V.le Oxford, 81 - 00133 Roma
Corrispondenza: Prof. Agostino Messineo - Direttore Dipartimento
Prevenzione ASL RM H, B.go Garibaldi, 12 - 00041 Albano Laziale
(RM), Italy
TABAGISM, EDUCATION AND JOB IN YOUNG APPRENTICES
Key words: fumo, giovani, lavoro.
ABSTRACT. Tobacco smoke is one of the most serious problems
of public health world-wide and its spreading appears to be influenced
by cultural, occupational, social and economic factors.
The collected data in this study show a worrying spreading about
tabagism among young apprentices.
Particularly addiction to cigarette smoke in subjects who finished
compulsory education and who too early began working is twice as
the addiction in the other groups of young people inlisted in the study.
Therefore job activity during youth appears to be a strongly connected
factor to smoke addiction; a further correlation comes out between
tabagism and duties which can expose young people to risks for their
health with possible additional effects, and biggest precautionary efforts
must be addressed to this group .
Then, as regards the fight against tobacco smoke, it is necessary
to define both new strategies that consider low educational level of the
inlisted subjects and new intervention forms, the occupational physician
can have a crucial responsibility in.
INTRODUZIONE
Il fumo di tabacco rappresenta la più importante causa prevenibile di
malattia, disabilità e mortalità nei soggetti in età lavorativa dei paesi industrializzati,
costituendo uno dei più gravi problemi di sanità pubblica a
livello mondiale.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 103
www.gimle.fsm.it
In Italia fuma il 26,2% della popolazione adulta ed il 55,3% fuma più
di 15 sigarette al giorno.
La diffusione dell’abitudine al fumo in molti paesi industrializzati ha
subito un decremento nel corso degli ultimi decenni; tale decremento
però non è distribuito in modo omogeneo nelle diverse classi anagrafiche
e sociali. Ad esempio l’abitudine al fumo è in aumento tra i giovani. Tale
diffusione è inoltre influenzata da fattori culturali, occupazionali e socioeconomici.
La prevalenza dei fumatori è in genere maggiore tra i soggetti
con minor livello di istruzione, tra coloro che svolgono lavori manuali e
tra le classi meno abbienti.
Le conoscenze sull’abitudine al fumo di giovani lavoratori sono molto
limitate. È ipotizzabile che, analogamente a quanto si verifica nella popolazione
adulta, anche tra i giovani la diffusione dell’abitudine al fumo vari
in rapporto al titolo di studio conseguito ed all’attività lavorativa svolta.
In questo contesto la promozione di stili di vita salutari (in particolare
la cessazione dell’abitudine al fumo) rappresenta un obiettivo di cruciale
importanza per il nostro sistema sanitario. La recente Legge 16 Gennaio
2003, n° 3, che estende l’ambito di applicazione del divieto di fumare, oltre
che ai luoghi di lavoro, anche a tutti i locali aperti al pubblico, si inserisce
in questa visione strategica. Nella lotta al tabagismo le popolazioni
lavorative costituiscono un target privilegiato per la promozione di interventi
mirati a questo scopo ed è per questo motivo che il medico del lavoro
può e deve svolgere una funzione di cruciale importanza in tal senso.
MATERIALI E METODI
Sono stati raccolti ed elaborati i dati di 306 visite per l’apprendistato
eseguite nell’anno 2003 presso il Servizio PRESAL della ASL RM H dei
Comuni di Pomezia (RM) ed Ardea (RM); i soggetti reclutati hanno
un’età compresa tra i 17 ed i 29 anni (età media 22,41 e DS 2,26), con
una suddivisione maschi/femmine rispettivamente del 58,5% e del
41,5%. I dati sono stati confrontati con quelli riportati nell’indagine promossa
dalla Fondazione Pfizer, patrocinata dal Ministro della Pubblica
Istruzione dal titolo “Alla scoperta del corpo umano - Dipendi da te!” ed
effettuata nel 2003 a livello nazionale sugli studenti di licei ed altre
scuole medie superiori su un campione di 13.360 studenti (M 46% F 54%
con età compresa tra i 13 e i 18 anni o più). In particolare si è preso in
considerazione come controllo il gruppo di età di anni 18 o più nel quale
i fumatori risultano essere il 40%.
RISULTATI
Per quanto riguarda il gruppo preso in esame nel nostro studio il
42,7% è costituito da fumatori, l’8% da ex fumatori ed il 49,3% da non
fumatori. Il 50,5% degli esaminati ha conseguito il diploma di scuola media
superiore e solo l’1,4% risulta laureato.
I settori lavorativi occupati dagli apprendisti in oggetto sono suddivisi
come segue: 36,6% operai, 31,1% impiegati, 23,9% commessi, 3,9%
parrucchieri, 2% cuochi, 1,1% addetti alle pulizie e 1,4% in vari settori.
La percentuale di fumatori è superiore nel sesso maschile (49,2% vs
34,5%) e tra i soggetti con livello di scolarità non superiore alla scuola
media inferiore (maschi 60% vs 52,7%, femmine 50% vs 44,3%). A parità
di scolarità (licenza media inferiore) ha l’abitudine al fumo il 60,6%
delle apprendiste con anamnesi lavorativa pregressa positiva contro il
36% di fumatrici senza precedente attività lavorativa. Per quanto riguarda
i maschi le percentuali sono il 79,16% di fumatori con anamnesi lavorativa
positiva rispetto al 53% di fumatori senza tale positività, sempre considerando
la stessa scolarità.
DISCUSSIONE
I dati indicano quindi una preoccupante diffusione del fenomeno del
tabagismo tra i giovani apprendisti (con una lieve prevalenza nei maschi)
ma senza differenze sostanzialmente significative rispetto agli studenti
del gruppo di controllo (40% di fumatori di età ≥ 18 anni), in particolare
per quanto riguarda il gruppo degli apprendisti diplomati che riferiscono
attività lavorative pregresse (35,11%) e non (39,21%) all’anamnesi e gli
apprendisti con licenza media inferiore che non riferiscono attività lavorative
pregresse all’anamnesi (37,5%). Invece nel sottogruppo di coloro
che dopo il conseguimento della licenza media inferiore hanno iniziato
precocemente a lavorare la percentuale di fumatori è pari al 73,33%
(79,16% nei maschi e 60,60% nelle femmine), ovvero quasi il doppio rispetto
a tutti gli altri sottogruppi ed al controllo. Inoltre la percentuale dei
fumatori con licenza media inferiore ed inizio precoce di attività lavorative
che svolge mansioni i cui rischi lavorativi possono interagire con il
fumo di sigaretta con effetti anche di tipo moltiplicativo è pari al 77,19%.
Con tale indagine si è quindi identificata una diffusione del tabagismo
in coloro che terminati gli studi della scuola dell’obbligo cominciano
a lavorare in età adolescenziale (15-18 anni) pari al doppio di quella presente
in tutti gli altri gruppi di giovani. In particolare la attività lavorativa
in età adolescenziale sembra essere un fattore fortemente associato al tabagismo
riscontrato nei giovani apprendisti ed a sua volta il tabagismo
sembra fortemente associato allo svolgimento di mansioni nelle quali i
giovani possono essere esposti a rischi per la salute con possibili effetti
moltiplicativi. Si ritiene pertanto urgente intraprendere un programma di
prevenzione in via prioritaria nel sottogruppo di giovani apprendisti maggiormente
a rischio identificato da questo studio.
Il riscontro di una elevata percentuale di fumatori in giovani con
basso livello educativo, impiegati in mansioni con bassa qualificazione
personale, rende necessario definire nuove priorità e modalità di intervento
nella lotta al fumo che tengano conto del loro basso livello di istruzione.
A tal fine potrebbero risultare utili interventi informativi da svolgere
nelle scuole di avviamento professionale e nelle aziende. I medici
del lavoro incaricati di effettuare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori
potrebbero svolgere un ruolo di rilievo integrando i tradizionali compiti
professionali con brevi interventi di “counselling”, utili a prevenire (o a
dissuadere) il tabagismo tra i giovani lavoratori.
BIBLIOGRAFIA
1) DOXA. Il fumo in Italia, 2004 (htpp://www.doxa.it/italiano/inchieste/fumo).
2) Legge 16 Gennaio 2003, n. 3: Disposizioni ordinamentali in materia
di pubblica amministrazione. Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 Gennaio
2003.
3) Peto R, Lopez AD, Boreham J, Thun M. Mortality from smoking in
developed countries 1950-2000, 2 nd edition.
4) Rossi S, Carosi G, Mortali C, et al. Rapporto sul fumo in Italia 2004,
Dipartimento del Farmaco, Istituto Superiore di Sanità (htpp://
www.iss.it/sitp/ofad/).
5) West R, Mc Neill A, Raw M. Smoking cessation guidelines for health
professional: an update, Thorax 2000; 55 pagg. 987-999.
P-08
ASPETTI NORMATIVI INERENTI L’ASSUNZIONE DI BEVANDE
ALCOLICHE SUI LUOGHI DI LAVORO
G. Lacca1 , A. Provenzani1 , E. Tranchina1 , M.G. Verso1 1 Dipartimento di Medicina Clinica e delle Patologie Emergenti,
Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Palermo,
Via del Vespro, 143 - Palermo
Corrispondenza: Dr. Ernesto Tranchina - Sezione di Medicina
del Lavoro, Policlinico “P. Giaccone”, Università di Palermo,
Via del Vespro, 143 - Palermo, Italy - Tel. 091-6552917/349-6041815
RULES OF LAW ABOUT TAKING ALCOHOLIC DRINKS
ON WORK PLACES
Key words: alcohol, work, laws.
ABSTRACT. Aim of present study was to update about laws concerning
taking alcoholic drinks and work after new italian measure dated
16/03/2006 and gazetted 30/03/2006 (n° 75).
This measure integrates law n° 125 30/03/2001, that discusses problem
of overindulgence in alcohol making a list of rules about general
people; gives full details of occupations where it must not take alcoholic
and superalcoholic drinks, particularly where there is high risk of
accidents at work or for security, safety and health of third party.
Especially it is a valid and useful support to make easier job of
physician who has his working life of medical control for workers with
addiction to alcohol.
Everything is made to prevent and to restrict the consumption of alcohol
related diseases and more to avoid accidents at work that are very
dangerous for worker’s safety with addiction to alcohol and for people
living in work habitat.

104 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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INTRODUZIONE
Scopo del presente lavoro è stato quello di fornire un aggiornamento
sulla legislazione inerente l’assunzione di bevande alcoliche e attività lavorativa
alla luce della pubblicazione recente del Provvedimento del 16
Marzo 2006 pubblicato sulla G.U. della Repubblica Italiana n° 75 del
30/03/2006.
Questo provvedimento va ad integrare la legge n° 125 del 30 Marzo
2001 che affronta il problema legato all’abuso di alcolici elencando varie
normative riguardanti, però, la popolazione generale.
ANALISI DELLE FONTI NORMATIVE
Si è osservato che il maggior tasso di problemi alcool-correlati si riscontra
in lavorazioni che avvengono in condizioni micro-macroclimatiche
sfavorevoli (es. lavoratori operanti nel campo dell’edilizia), caratterizzate
da cicli di turnazione, attività monotone e ripetitive e quelle che
comportano un maggiore contatto con l’alcool, come per esempio nel settore
della ristorazione, e caratterizzate da mancanza di supervisione nel
caso di liberi professionisti (avvocati, medici, ecc…). L’abuso di bevande
alcoliche comporta spese rilevanti a causa di una diminuzione della produttività,
di errori commessi nello svolgimento della propria mansione,
assenza dal posto di lavoro, maggior incidenza di infortuni sul lavoro, necessità
di assistenza ai familiari dei lavoratori alcolisti.
Nel Marzo 2001 è stata approvata la legge quadro in materia di alcool
e di problemi alcool-correlati (L. 125/2001). L’art. 15 di tale legge,
comma 1, recita genericamente che, nelle attività lavorative che comportano
un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza,
l’incolumità e la salute dei terzi, è fatto divieto di assunzione e di somministrazione
di bevande alcooliche e superalcoliche ma rimanda ad un
decreto applicativo per l’individuazione delle stesse (Provvedimento
16/03/2006). Il comma 2 dell’art. 15 affida al medico competente la possibilità
di effettuare controlli alcolimetrici nei luoghi di lavoro (previo
consenso informato dell’interessato), senza tuttavia precisare quando eseguire
tali controlli, su quale matrice, con quale metodo e quali valori limite
utilizzare (1). I lavoratori possono ma non devono necessariamente
essere sottoposti a controlli (discrezionalità del medico competente). Le
figure autorizzate ad effettuare i controlli sono due in realtà: i medici
competenti ed i medici del lavoro dei servizi di vigilanza della A.S.L.
Il Provvedimento del 16 Marzo 2006 pubblicato sulla G.U. della Repubblica
Italiana n° 75 del 30/03/2006, come già accennato, integra la
legge n° 125 del 30 Marzo 2001 sull’abuso di alcolici elencando varie
normative riguardanti, però, la popolazione generale. Esso individua
nello specifico quali sono le attività lavorative che comportano un elevato
rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la
salute dei terzi, non solo quella dei lavoratori.
Il testo, inoltre, si riferisce alle attività (70 categorie) per le quali è richiesto
un certificato di abilitazione per l’espletamento di lavori pericolosi
quali: l’impiego di gas tossici, conduzione di generatori di vapore, attività
di fochino, fabbricazione ed uso di fuochi artificiali, vendita di prodotti
fitosanitari, direzione tecnica e conduzione di impianti nucleari, manutenzione
degli ascensori, dirigenti e preposti al controllo dei processi
produttivi ed alla sorveglianza dei sistemi di sicurezza negli impianti a rischio
di incidenti rilevanti, mansioni sanitarie svolte in strutture pubbliche
e private in qualità di medico specialista in anestesia e rianimazione,
in chirurgia, medico e specialista di bordo, operatore socio-sanitario,
ostetrica, caposala, ferrista, vigilatrice di infanzia o infermiere pediatrico
e puericultrice, addetto ai nidi materni ed a reparti neonatali, attività di insegnamento,
mansioni con obbligo di dotazione di porto d’armi, mansioni
inerenti al trasporto ed alla guida di veicoli stradali (patente B, C,
D, E), personale addetto alla circolazione dei treni, personale marittimo,
responsabili di fari, piloti di aeromobile, controllori di volo, addetti al trasporto
ed alla vendita di esplosivi, lavoratori del comparto dell’edilizia,
addetti a lavoro in altezza, ecc… (2-4).
CONCLUSIONI
Il Provvedimento del 16 Marzo 2006 rappresenta un passo importante
per l’attuazione di una normativa rimasta, in buona parte, o almeno
per quanto concerne l’attuazione dell’art.15, almeno in linea teorica.
È soprattutto un supporto valido ed utile per facilitare il lavoro del
medico competente che si trova a svolgere la sua attività di sorveglianza
sanitaria in caso di lavoratori con la dipendenza da alcool. Esistono, però,
come sopra citato, delle difficoltà applicative su quando effettuare i controlli
e su chi, cioè sulle categorie lavorative elencate nel Provvedimento
o su tutti i lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria solo nel caso in
cui sussista il sospetto clinico di alcolismo.
Il tutto al fine di prevenire e limitare l’insorgenza di malattie alcoolcorrelate
ma ancor di più il verificarsi di infortuni sul lavoro che mettono
a rischio l’incolumità sia del lavoratore affetto da fenomeni di dipendenza,
sia di tutti coloro che sono presenti nell’ambiente di lavoro; infatti
l’alcool può determinare come effetto acuto perdita dei freni inibitori,
euforia, riduzione dell’acutezza visiva, incoordinazione muscolare, allungamento
dei tempi di reazione, riduzione dello stato di vigilanza, perdita
di coscienza, che possono essere responsabili come suddetto di incidenti
lavorativi talora di notevole gravità.
In ultimo bisogna considerare anche il problema dell’assenteismo dal
posto di lavoro ed i conseguenti costi in termini economici per l’azienda (5).
Concludendo, la prevenzione dei problemi alcool-correlati rientra nel
più complesso capitolo della promozione della salute, che è molto sentita
a livello della Comunità Europea e dell’OMS, in particolare il Piano dell’OMS
e quello dell’ILO (Stress Tabacco Alcohol HIV Violence) hanno
definito strategie per ridurre il rischio da alcol/droghe in ambito lavorativo
(6).
BIBLIOGRAFIA
1) Mangili A. Alcool e lavoro. In G Ital Med Lav Erg 2004; 26: 3, 255-
258.
2) Provvedimento 16 Marzo 2006 pubblicato sulla G.U. della Repubblica
Italiana n° 75 del 30/03/2006.
3) Commento al Provvedimento 16/03/2006. In AmbienteDiritto.it
4) Attività lavorative a rischio, divieto di assunzione e di somministrazione
di bevande alcoliche e superalcoliche. In European Consumers
5) Alcool e lavoro: un rischio ancora ingestibile. In Diario prevenzione
magazine.
6) ILO. Management of alcohol and drug-related issues in the workplace.
ILO Eds, Ginevra, 1996.
P-09
UN CASO DI REVISIONE DEL GIUDIZIO DEL MEDICO COMPETENTE:
UNA ESPERIENZA DELLO S.P.E.S.A.L. DELLA ASL FG/1
S. Cesareo1 , M. Masullo1 1 Dipartimento di Prevenzione, S.P.E.S.A.L. ASL FG/1
Corrispondenza: Dr. Salvatore Cesareo - c/o S.P.E.S.A.L. ASL FG/1
Via Bellini, 38 - 71016 San Severo (FG), Italy
A REVIEW OF THE JUDGEMENT ESTABLISHED
BY AN OCCUPATIONAL DOCTOR. S.P.E.S.A.L. FG/1:
CASE EXPERIENCE
Key words: lavoro notturno, giudizio di idoneità, revisione.
ABSTRACT. During September 2005 we made a medical examination
of a worker who contested the judgement made by his occupational
doctor which assumed that she was able to work as a security guard
engaged on three shifts (including night shifts).
In the light of what we have minutely examined, we decided,
as predicted by the legislative decree 626/94, art. 17, paragraph 4,
that it was necessary to modify that judgement excluding the worker
from night shifts.
INTRODUZIONE
L’art. 1, c. 2, del D.Lgs. n. 66/2003 dà la definizione di periodo notturno
da intendersi come periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti
l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino e definisce chi
può considerarsi lavoratore notturno. Recenti provvedimenti legislativi
hanno cercato di attenuare i problemi connessi al lavoro notturno, da un
lato imponendo controlli preventivi e periodici adeguati al rischio a cui il
lavoratore è esposto (art. 14 D.Lgs. n. 66 del 8 aprile 2003) e dall’altro,
qualora sopraggiungessero condizioni di salute che comportino l’inidoneità
alla prestazione di lavoro notturno accertata dal medico competente
o dalle strutture sanitarie pubbliche, imponendo che il lavoratore dovrà
essere assegnato al lavoro diurno, in altre mansioni equivalenti, se esi-

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 105
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stenti e disponibili (art. 15 del D.Lgs. n.66 del 8 aprile 2003). L’art. 17
comma 4 del D.Lgs. 626/94 recita così: “Avverso il giudizio di cui al
comma 3 è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione
del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente
competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma,
la modifica o la revoca del giudizio stesso.”
IL CASO
Agli inizi di settembre 2005, il Datore di Lavoro – causa riorganizzazione
del personale – comunicava alla dipendente che nell’immediato
futuro avrebbe dovuto iniziare a lavorare su 3 turni, comprendenti quindi
anche il turno notturno. Il 15/09/2005 la lavoratrice andava a visita specialistica
endocrinologica presso una struttura pubblica con diagnosi di:
“Già affetta da ipotiroidismo post-attinico. Per tale motivo necessita di terapia
sostitutiva cronica a vita con ormone tiroideo (L-tiroxina).” Nella
stessa data quindi inviava al Datore di Lavoro una richiesta di esonero dal
servizio notturno. Il 27/09/2005 la lavoratrice presentava richiesta di visita
medica straordinaria al M.C., poi effettuata in data 31/10/05 con giudizio
di: “Idonea alla mansione specifica di Guardia Particolare Giurata.”
Il rischio valutato era il lavoro notturno. Periodicità annuale. In
cartella il M.C. scriveva che “trattasi di soggetto affetto da ipotiroidismo
post-attinico al momento compensato con adeguata terapia sostitutiva.”
In data 20/12/2005 perveniva al nostro Servizio P.S.A.L. una lettera con
cui la lavoratrice presentava formale ricorso al giudizio del M.C. Il
23/01/2006, in seguito a convocazione, la ricorrente si presentava a visita
medica presso gli ambulatori del Servizio.
ANAMNESI LAVORATIVA
Ha iniziato a lavorare all’età di 18 anni come operaia tessile addetta
al controllo di una macchina per la produzione di biancheria intima, per
circa 6 anni. Successivamente commessa in negozio di abbigliamento per
circa 4 anni. Infine, nel 1993, assunta da una Cooperativa di Vigilanza
Urbana con la qualifica di Guardia Particolare Giurata, mansione che
svolge ancora oggi; tale mansione viene svolta con detenzione di un’arma
da fuoco. La lavoratrice precisava che dal 1993 aveva sempre svolto servizio
su 2 turni diurni addetta al controllo dei varchi di accesso e del
parco auto di un grande ospedale della zona.
ANAMNESI PATOLOGICA
Nel novembre 1999 accusava malore improvviso in seguito al quale si
sottoponeva a controlli clinici con diagnosi di Morbo di Basedow. Le cure
farmacologiche assunte non ottenevano un buon beneficio clinico. In data
28/10/2000, in seguito a visita oculistica, le diagnosticavano “Oftalmopatia
Besedowiana”. Nel febbraio e nel luglio 2001, dietro consiglio dello specialista
endocrinologo, la lavoratrice si sottoponeva a terapia con radiofarmaco,
ottenendo un buon beneficio clinico. Dosaggi ripetuti degli ormoni
tiroidei e del TSH eseguiti durante il 2004 e 2005 indicavano valori al di
fuori (anche se non di molto) dei range di normalità, nonostante il soggetto
continuasse ad assumere regolarmente terapia farmacologica. Nel corso
della visita medica la ricorrente dichiarava di non essere in grado di svolgere
il lavoro notturno a causa del proprio disordine endocrino-metabolico
ed a causa di particolari condizioni familiari; infatti la stessa era nubile e
convivente con la madre anziana, riconosciuta invalida civile.
LAVORO NOTTURNO E SALUTE
In linea generale il lavoro notturno rappresenta un fattore di rischio
per la salute dei lavoratori. I problemi posti dal lavoro notturno riguardano
vari aspetti interconnessi: biologico, lavorativo, medico e sociale.
L’aspetto “biologico” è caratterizzato dall’alterazione della normale ritmicità
circadiana della maggior parte delle funzioni biologiche, la quale
può influenzare lo stato di salute e la capacità lavorativa della persona.
L’aspetto “lavorativo” riguarda l’alterazione dell’efficienza lavorativa
con conseguenti errori e incidenti. Il grado di efficienza dei lavoratori
notturni viene compromesso dalla perturbazione del ritmo circadiano,
con conseguente deficit di sonno e affaticamento. L’aspetto “medico” è
costituito dalla modificazione dello stato di salute. L’inversione del ritmo
sonno-veglia determina a breve tempo disturbi simili a quelli provocati
dal jet lag (disturbi del sonno, irritabilità, dispepsia), nel lungo periodo
possono causare una maggiore incidenza di patologie a carico dell’apparato
gastroenterico (il 31,3% dei lavoratori notturni soffre di gastroduodenite,
il 12,2% di ulcera duodenale) e del sistema neuropsichico (il
64,4% è affetto da sindromi ansiose e/o depressive). L’ipertensione con-
seguente a un riposo insufficiente può aggravare problemi di pressione
sanguigna, sintomatologie cardiache, diabete, disordini intestinali, epilessia,
insonnia, depressione. Alcune persone divengono, tra l’altro, più sensibili
ai farmaci assunti per controllare le patologie sopra indicate. Tali
patologie sono ascrivibili, oltre che all’alterazione dei ritmi biologici, anche
ad una conseguente non adeguata alimentazione.
L’aspetto “sociale” consiste nella difficoltà nel mantenere le consuete
relazioni sia a livello familiare che sociale, con conseguenti influenze
negative sui rapporti di coppia, sulla cura dei figli e sui contatti
sociali.
IL GIUDIZIO
“Idonea alla mansione di Guardia Particolare Giurata con la esclusione
dei turni notturni.”
Alla decisione di revisionare il giudizio di idoneità siamo arrivati dopo
aver considerato gli aspetti a nostro avviso principali (lavorativo - medico
- sociale) e dopo aver effettuato un sopralluogo nella Sede di lavoro della
ricorrente, acquisendo la cartella sanitaria e di rischio ed indagando sulle
condizioni di igiene e di sicurezza sul lavoro messe in atto dal S.P.P.
Il M.C. aveva ritenuto idonea la lavoratrice, considerando ben compensato
il quadro endocrino-metabolico ed in realtà i dosaggi ormonali e
del TSH dimostravano alterazioni dei valori non molto distanti dai range
di normalità. Non aveva però indagato a fondo sullo “stress” derivante
dalla differente organizzazione del lavoro e dalle condizioni “di vita”
della lavoratrice e non aveva, a nostro avviso, tenuto in debita considerazione
la storia lavorativa.
Noi abbiamo ritenuto che il fine primario della Sorveglianza Sanitaria
Aziendale deve essere quello di prevenire l’insorgenza delle patologie
causate/correlate alla mansione specifica ma anche prevenire l’eventuale
aggravamento di patologie non correlate al lavoro.
La risposta alla terapia farmacologica ormonale potrebbe alterarsi in
seguito ad alterazioni crono-biologiche conseguenti al lavoro notturno.
L’anamnesi evidenzia una anzianità lavorativa di circa 25 anni tutti trascorsi
senza effettuare lavoro notturno; a 43 anni di età iniziare a lavorare
di notte certamente è fonte di “stress”. La situazione familiare disagevole
risulta essere un altro importante fattore di controindicazione al lavoro
notturno: la necessità di dover accudire la madre invalida convivente ed
il lavoro notturno altererebbero gravemente le relazioni sociali della lavoratrice
con influenze negative sull’equilibrio psichico con conseguente
ripercussione negativa anche sulle performance lavorative.
BIBLIOGRAFIA
1) Costa G. Lavoro a turni e salute. Med Lav 1999; 90: 739-751.
2) D.Lgs. 532, 26/11/99.
3) D.Lgs. 66, 08/04/03.
4) Lavoro notturno. Impatto sulla salute e sulla sicurezza nell’ambiente
di lavoro. G Ital Med Lav Erg 2006; 28: 1, 89-105.
P-10
PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI SUL LAVORO PER IL PERSONALE
OSPEDALIERO: ANALISI E PROPOSTE
R. Papetti1 , A. Musa1 , S. Celletti2 , A. Sacco3 1 Corso di Laurea “Infermieri” Università degli Studi di Roma
“La Sapienza” e Azienda USL di Frosinone, Via A. Fabi
- 03100 Frosinone
2 Direzione Sanitaria Presidio Ospedaliero Umberto I,
ASL di Frosinone
3 Struttura Complessa di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti
di Lavoro, Azienda USL Frosinone, Via A. Fabi - 03100 Frosinone
Corrispondenza: Angelo Sacco - Struttura Complessa di Prevenzione
e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, Azienda USL Frosinone,
Via Armando Fabi s.n.c. - 03100 Frosinone, Italy
- E-mail angelo.sacco@aliceposta.it
OCCUPATIONAL INJURIES IN HEALTH CARE WORKERS:
ANALYSIS AND PROPOSAL FOR THE PREVENTION
Key words: occupational injuries, health care workers, prevention.

106 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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ABSTRACT. Occupational injuries represent an important risk factor
in health care workers. This phenomenon is frequent and is linked
to permanent outcomes, the increasing number of absence for disease
and anticipated retirement for disease. This phenomenon was analyzed
in hospital workers in order to undertake proposal for the prevention.
The results of the monitoring during the last two years showed that
it is necessary to plan preventive measures applied on some risks
(e.g. needles manipulation and the procedures in occupational injuries).
Greater attention to the work organization in order to prevent road
accident (“in itinere”) should be payed.
INTRODUZIONE
Gli infortuni sul lavoro rappresentano un fattore di rischio di rilievo nel
personale ospedaliero, sia per la frequenza del fenomeno sia per le conseguenze
ad esso correlate. Tra queste, non irrilevanti sono gli esiti di carattere
permanente di molti degli eventi, l’incremento delle assenze ed il pensionamento
anticipato per malattia. In questa ricerca abbiamo inteso analizzare
il fenomeno infortunistico in una realtà ospedaliera provinciale di
medie dimensioni allo scopo di intraprendere misure di prevenzione mirate.
MATERIALI E METODI
Sono stati tabulati ed analizzati utilizzando apposito programma
informatizzato tutti gli infortuni sul lavoro occorsi nel periodo 1 gennaio
2002 - 31 dicembre 2003 presso l’Ospedale Civile “Umberto I” di Frosinone,
registrati come di legge nel registro infortuni.
RISULTATI
La rilevazione si riferisce ad un totale di 1018 tra operatori sanitari
ed allievi infermieri operanti nel 2002 ed a 1025 soggetti operanti nel
2003. Nel periodo oggetto di studio sono stati registrati complessivamente
257 infortuni sul lavoro a carico di 231 operatori (67 di sesso maschile
e 164 di sesso femminile); 134 infortuni si sono verificati nel 2002
e 123 nel 2003. A 19 soggetti (l’8.2% del totale degli infortunati) è occorso
nel periodo di studio più di un infortunio. I soggetti infortunati avevano
un’età media di 44,17+9,21 anni. L’agente materiale più frequentemente
in gioco è risultato essere “materiali e sostanze” (42,8%), la modalità
di accadimento più frequente “si è punto con” (24,1%) e la sede
della lesione più frequentemente interessata la “mano” (47,5%). Gli
infortuni in itinere hanno rappresentato il 9,3% del totale degli eventi. Per
quanto presenti, non particolarmente elevate sono state le lombalgie da
sforzo (3,5%). Esse si sono distribuite con maggiore prevalenza nell’area
chirurgica (44.44%), seguita dall’area dell’emergenza (33.33%), dall’area
medica (22.22%). Gli infortuni hanno comportato una assenza dal lavoro
della durata di 14,12+30,35 giorni.
DISCUSSIONE
Dall’analisi dei dati, l’Ospedale si conferma un ambiente di lavoro caratterizzato
da una particolare rilevanza del fenomeno infortunistico (Magnavita
et al., 1991; Sacco, 1993). Gli indici di frequenza osservati negli
anni sono sovrapponibili a quelli riportati da altri Autori, mentre si è assistito
ad una rilevante variabilità delle caratteristiche di gravità del fenomeno
che nel 2002 è stato caratterizzato da valori degli indici di durata
media e di gravità doppi rispetto al 2003. Tale variabilità si evince anche
dai dati di letteratura con oscillazioni tra 0,12 e 2,60 (Magnavita et al.,
1992). Anche nella nostra casistica il fenomeno ha riguardato con maggiore
frequenza gli operatori di sesso femminile. Come rilevato anche in
altre casistiche (Sacco et al. 1996), gli infortuni biologici hanno rappresentato
poco più del 40% del totale degli infortuni. La frequenza degli
infortuni biologici per operatore sanitario nel biennio di osservazione è
stata pari al 10.37%. In questo caso il nostro dato è leggermente superiore
a quello rilevato dal citato lavoro di Sacco et al. (1996) che evidenziarono
una prevalenza dell’8%. Il fenomeno ha riguardato in modo particolare gli
infermieri, gli ausiliari e i medici ed anche questo dato è in linea con la letteratura,
poiché gli infermieri più di ogni altro operatore sanitario svolgono
un ruolo di assistenza diretta nei confronti dei pazienti. I reparti nei
quali più frequentemente è occorso il fenomeno sono stati la sala operatoria,
il pronto soccorso, la medicina, il reparto di malattie infettive e di ortopedia.
In linea con i risultati provenienti dagli studi di letteratura, se consideriamo
i vari reparti aggregati per area (medica, chirurgica, emergenza/terapia
intensiva, etc.), la percentuale degli infortuni risulta più elevata
nell’area chirurgica. Per quanto riguarda la distribuzione del fenomeno
nei giorni della settimana, la maggiore frequenza rilevata nei giorni
di sabato e di domenica, si spiega con la ridotta attività assistenziale della
struttura ospedaliera nei giorni di fine settimana e con la riduzione di dipendenti
in servizio. La maggiore frequenza del fenomeno nei mesi estivi,
dato rilevato anche da altri autori (Magnavita et al., 1992), può essere giustificata
dalla relativa carenza di personale che si determina per consentire
ai dipendenti il godimento delle ferie, rendendo probabilmente più frequenti
le distrazioni, le omissioni e le disattenzioni che condizionano il verificarsi
del fenomeno infortunistico. In merito alla natura delle lesioni, di
particolare rilievo risultano essere le contusioni (26,46%) seguite dalle
contaminazioni con sangue (25,29%) e dalle ferite da punta (15,95%). Si
tratta nella maggior parte dei casi di eventi a prognosi inferiore ai tre
giorni. Le ferite con aghi usati riguardano soprattutto gli infermieri e gli
ausiliari che manipolano siringhe, contenitori per taglienti e materiale di
rifiuto. A differenza dei dati presenti in letteratura, non assumono particolare
rilevanza, nell’ospedale oggetto del nostro studio, le lombalgie da
sforzo (3,50%): tale fenomeno è probabilmente sottostimato per via della
mancata denuncia. Prendendo in esame gli agenti responsabili degli infortuni,
i nostri dati non si discostano da quelli rilevati da altri autori; la maggior
frequenza è attribuibile infatti ai materiali ed all’ambiente di lavoro.
Nel periodo oggetto di studio si sono verificati 13 infortuni causati da
“persone, animali e vegetali” (5,06%). Considerando gli infortuni nel loro
insieme, come modalità di accadimento, si osserva che dopo le punture ad
opera di aghi ed altri oggetti acuminati hanno particolare rilievo le cadute,
gli urti ed i contatti con strutture ed attrezzature, nonché gli sforzi eccessivi
o compiuti in modo incongruo e gli infortuni in itinere. La sede più
frequente delle lesioni è di gran lunga la mano, come riportato da tutti gli
altri autori. La distribuzione degli infortuni per la natura delle lesioni e per
area di appartenenza conferma il dato secondo il quale le ferite da punta e
la contaminazione con sangue infetto occorrano con maggiore frequenza
nell’area chirurgica. Allo stesso modo, le ferite da taglio si distribuiscono
maggiormente nell’area chirurgica e nell’area dell’emergenza. Il fatto che
la lombalgia da sforzo si è distribuita con maggiore prevalenza nell’area
chirurgica, seguita dall’area dell’emergenza e dall’area medica è verosimilmente
legato alla più alta prevalenza di soggetti non collaboranti degenti
nei reparti interventistici. Anche la distribuzione delle modalità di
accadimento degli infortuni per area di lavoro conferma il dato secondo il
quale la modalità “si è punto con” risulta maggiormente rappresentata nell’area
chirurgica. Un dato d’interesse sul quale riflettere e indagare ulteriormente
è l’elevata prevalenza d’infortuni in itinere presso il personale
dell’area chirurgica, medica e dell’emergenza. Tali prevalenze di gran
lunga superano quella dei servizi, sono probabilmente legate alla necessità
di far fronte alla “reperibilità” che richiede di recarsi in fretta e anche di
notte in ospedale per gestire l’emergenza e, probabilmente, al maggior carico
di stress che grava su tali operatori.
BIBLIOGRAFIA
1) Magnavita N, Narda R, Sacco A, Sani L, Sarnari L, Mattina L. Infortuni
nel settore sanitario. Riv Inf Mal Prof, 1992, 4-5: 397-413.
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del fenomeno infortunistico nel personale di una unità sanitaria locale.
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4) Sacco A. Rischi per la salute degli operatori sanitari. Infortuni da
esposizione a rischi fisici. The Practitioner, Ed. Italiana, 1993; 179:
24-27.
P-11
VIGILANZA DEI RISCHI NON INFORTUNISTICI NEI CANTIERI
EDILI
L. Bevilacqua1 , G. Becchetti1 , G. Giunta1 , F. Lancia1 , V. Pisciottano1 ,
M. Presto1 , N. Pupp1 , N. Magnavita2 1 SPRESAL ASL RMF Distretto 1, Via Terme di Traiano, 39A
- 00053 Civitavecchia
2 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 107
www.gimle.fsm.it
Corrispondenza: Nicola Magnavita - Istituto di Medicina del Lavoro,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Gemelli 8,
00168 Roma, Italy - Tel. 3473300367, Fax 0661909399,
E-mail: nicolamagnavita@tiscali.it
VIGILANCE OF NON-INJURY OCCUPATIONAL RISKS
IN CONTRUCTION WORKERS
Key words: construction, occupational disease, vigilance,
risk assessment and communication.
ABSTRACT. Construction is a dangerous industry, with high rates
of both fatal and nonfatal occupational diseases. Despite the institution
of explicit safety practices in construction, there continue to be
exceedingly high rates of work-related illnesses. This study’s purpose
was to identify views of construction managers regarding construction
risks, as they emerge from yard safety plans, and compare and contrast
such views with data drawn from medical surveillance of workers.
Safety plan analysis of construction yards in the Local Sanitary Unit
RMF, 1 st District, showed that hazardous substances had often been
identified, but rarely measured. Data from medical surveillance of 807
construction workers reported high prevalence of hearing impairment
(31%), and of respiratory impairment (23%); surprisingly, however,
none of these diseases had been associated with occupational exposure.
Only one physician out of 38 reported skin diseases, occurring in 15%
of the workers of his yard. No case of musculoskeletal disorder,
occupational cancer, or other occupational disease had been reported.
The lack of coherence between risk assessment and medical
surveillance data apparently obstacles consistent safety practice.
Construction managers and occupational health physicians play
a pivotal role in the definition and implementation of risk prevention
practices in the workplace. In order to succeed in this role, they require
a wide variety of professional and management skills that will help
them to maintain a positive safety culture.
INTRODUZIONE
La prevalenza del rischio infortunistico nel comparto edile non deve
far trascurare l’esistenza di un rilevante rischio di malattie professionali.
La vigilanza sui cantieri edili deve quindi valutare il modo in cui i datori
di lavoro, i servizi di prevenzione ed i medici competenti affrontano tale
rischio.
MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati i Piani operativi di sicurezza (POS/PSC) delle
imprese che svolgono attività edili nel territorio della ASL RMF, Distretto
I (Civitavecchia); contemporaneamente sono state esaminate le corrispondenti
relazioni sanitarie redatte dai medici competenti e comprendenti
i dati anonimi collettivi. Le 38 relazioni riguardavano 807 lavoratori.
RISULTATI
Dall’analisi dei POS emerge che i rischi non infortunistici (di igiene
del lavoro) sono menzionati, ma non approfonditi o misurati/valutati adeguatamente.
Sono tuttavia citati in alcuni casi i seguenti rischi: rumore,
rischio chimico, movimentazione manuale carichi, fibre, vibrazioni. I documenti
sono spesso generici, schematici e non riferiti alle problematiche
specifiche del cantiere in oggetto.
L’esame dei dati sanitari anonimi collettivi relativi a 807 lavoratori
indica la presenza di ipoacusia nel 31% dei lavoratori (253 casi); la presenza
di deficit della funzionalità respiratoria nel 23% dei lavoratori (186
casi) e quella di patologie cutanee, segnalate da un solo medico, in 4 operai,
pari allo 0,5% del campione totale, ma al 15% dei lavoratori sorvegliati
da quel medico. Nessuna delle relazioni precisa se i deficit audiometrici
e quelli ventilatori siano da ritenersi correlati al rischio. In nessun
caso viene indicata la presenza di patologie del rachide, o dell’arto superiore.
Non ci sono indicazioni sulle vaccinazioni praticate ai lavoratori.
Lo stile delle relazioni sui dati anonimi collettivi è spesso schematico e
ripetitivo; i commenti sono scarsi o assenti.
DISCUSSIONE
Nel settore edilizio si verificano in Italia circa 1000 casi di malattie
professionali l’anno, metà delle quali viene indennizzata dall’INAIL. La
prevalenza delle malattie rispetto al totale dell’industria è del 15%, men-
tre gli occupati in edilizia sono solo il 10% del totale, il che dimostra che
il rischio di malattia è di almeno il 50% più alto che negli altri settori industriali.
Le denunce riguardano principalmente l’ipoacusia da rumore
(60% dei casi), le malattie cutanee (20%), le patologie da sovraccarico
biomeccanico (18%) ed i mesoteliomi (2%).
Il rischio rumore è un problema comune al mondo industrializzato.
Negli USA più di mezzo milione di lavoratori del settore è esposto a rumore;
l’uso di dispositivi di protezione è molto scarso, anche perché interferisce
con la possibilità di sentire segnali di pericolo(17); le esposizioni
eccessive sono comuni (3).
Le dermatiti da cemento assumono sovente prevalenza elevata (attorno
al 14%); gli esposti presentano sensibilità a cromati e cobalto. L’affezione
appare correlata a scarso uso di guanti, anni di lavoro, diretta manipolazione
del cemento; sovente essa è sotto-diagnosticata e non trattata
adeguatamente(7). Il cromo esavalente può essere responsabile anche del
tumore del polmone e della cute e di asma e rinite allergica; per questo,
l’OSHA ha recentemente ridotto il PEL da 100 a 5µg/m 3 (OSHA). Contatto
con metalli duri tossici come cobalto, cadmio, cromo, può verificarsi
durante operazioni di taglio e molatura o saldatura di metalli (6).
Le patologie dell’apparato muscoloscheletrico, largamente diffuse,
rappresentano la principale causa di mobilità e di ritiro dal lavoro (16),
anche se è stato dimostrato che è possibile ottenere successi con programmi
di esercizi (11) e con interventi ergonomici (8).
Le patologie più gravi, tuttavia, riguardano l’apparato respiratorio.
Ancora una volta, l’esposizione a rischio è comune a tutti i paesi sviluppati.
In Olanda in più di metà delle rilevazioni condotte nei cantieri si supera
il MAC per il quarzo (0,075 mg/m 3 ) e si arriva fino a 63 volte tale
limite (18). Negli USA il limite per la silice (0,05 mg/m 3 ) è superato nel
65-100% dei casi, quello per le polveri respirabili (3 mg/m 3 ) nel 10-90%
dei casi (15). L’uso di respiratori non basta a ridurre il rischio; occorrono
misure di abbattimento ad umido delle polveri, cabine o aspirazione (2,5).
L’asbesto, per il quale recentemente l’EPA ha fornito nuove indicazioni
per la protezione dei lavoratori (4) è stato sostituito dalle fibre di vetro,
che pure possiedono un certo effetto cancerogeno per l’uomo. Il rischio
per un installatore di MMMF è compreso tra 6 su milione e zero per anno.
Ciò significa che su diecimila installatori può esserci un cancro ogni 16
anni (20).
Le costruzioni in ambienti chiusi (tunnel) comportano un significativo
aumento del rischio respiratorio. Indagini longitudinali indicano nei
lavoratori dei tunnel un significativo decremento del FEV1, che si accentua
nei fumatori (1). Nei tunnel difatti c’è eccesso di polveri totali e respirabili,
quarzo, aerosol di oli, NO 2 ; il decremento del FEV1 è correlato
soprattutto ai livelli di polvere respirabile e quarzo (19).
Di rilievo anche l’esposizione ad altri agenti chimici, come i fumi di
asfalto contenenti idrocarburi policiclici aromatici (PAH). Negli USA in
un terzo dei casi nell’applicazione di guaine bituminose i valori di particelle
inalabili contenenti benzene superano il limite ACGIH di 0,5 mg/m 3
(10). Nei lavoratori esposti l’1-idrossipirene urinario (1-OHP) è un indicatore
di dose assorbita per i PAH. Si dimostra che esso aumenta durante
il turno e durante la settimana. L’assorbimento percutaneo dei PAH è 8
volte più importante di quello respiratorio (12). Altro rischio rilevante
sono i policlorodifenili (PCB). I lavoratori addetti all’applicazione di isolanti
mostrano un significativo aumento delle concentrazioni seriche di
PCB (9).
A fronte di tutti questi rischi, la formazione-informazione dei lavoratori
è spesso simbolica. Una recente indagine dimostra che i lavoratori latini
in USA ricevono mediamente un’ora di formazione pro capite in inglese,
anche se non conoscono tale lingua (13).
In questo quadro, il livello qualitativo dei servizi di salute e sicurezza,
così come si configura nel territorio della ASL RMF, non è confortante.
CONCLUSIONI
Lo svolgimento dei diversi atti preventivi (valutazione del rischio,
sorveglianza sanitaria, informazione e formazione dei lavoratori) in modo
afinalistico e scoordinato, configura uno spreco di risorse inefficace ai
fini del miglioramento della sicurezza e salute dei lavoratori.
La vigilanza nei luoghi di lavoro, basandosi sul confronto dei documenti
prodotti dalle diverse figure professionali, deve mirare a ricostruire
la corretta sequenza degli adempimenti preventivi, così da stimolare il
management aziendale ad assumere in prima persona le responsabilità
della gestione del rischio, e le diverse figure professionali a fornire evi-

108 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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denze di risultato e non prestazioni burocratiche. A questo fine, la ASL
RMF ha già realizzato in determinati settori lavorativi ad alto rischio interventi
di auditing pre-ispettivo, ottenendo un significativo miglioramento
delle condizioni operative di salute e sicurezza. I risultati di questo
studio dimostrano la necessità di realizzare analoghe attività di audit
a favore delle imprese delle costruzioni.
BIBLIOGRAFIA
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2) Beamer BR et al. Ann Occup Hyg 2005; 49: 503-10.
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20) Wilson et al. Regul Toxicol 1999; 30: 96-109.
P-12
L’UTILIZZO DI UN MODELLO OPERATIVO COME STRUMENTO
DI ANALISI E PARTECIPAZIONE DEL MEDICO COMPETENTE
ALLA VALUTAZIONE DEI RISCHI LAVORATIVI. PRIMI RISULTATI
DELLA SUA APPLICAZIONE NEI CONFRONTI DI LAVORATORI
OCCUPATI IN UNA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
R. Donghi1 , P. Butti1 , S. Cairoli2 , G. Cavallone3 , A. Di Maria1 ,
L. Giubileo1 , A. Petri2 , E. Proto1 , M. Ricci2 , G. Sozzi1 , N. Taverna1 1 H San Raffaele Resnati, Via S. Croce, 10/a - 20122 Milano
2 Fondazione IRCCS di natura pubblica Policlinico U.O. Cemoc Milano
3 NIER Ingegneria Bologna
Corrispondenza: Butti Paolo - c/o H San Raffaele Resnati,
Via S. Croce 10/a - 20122 Milano, Italy - Tel. 347-0127470
- E-mail: buttipaolo@tiscali.it
OCCUPATIONAL PHYSICIAN TAKES PART TO RISK EVALUTATION
THROUGH AN OPERATIONAL MODEL. FIRST RESULTS
ON HOW THIS NEW PROCEDURE HAS AFFECTED PUBLIC
ADMINISTRATION EMPLOYEES
Key words: modello operativo, valutazione dei rischi, malattie professionali.
ABSTRACT. Risk evaluation demands active contribution of occupational
physician, which is to undergo objective verification and be addressed
to person at work.
For this purpose, a new operative fixed pattern has been studied which,
starting from the working deseases listed in DM 27 th April 2004, could
assess the incidence of deseases in the working environment examined.
Each occupational desease has been confronted to previously studied
working profiles by means of dedicated software.
254 cleaning operators working in day nurseries and nursery schools
were examined, mostly females, average age 48.6 yrs, average seniority
18.1 yrs.
60% were considered fit with limitation, and significant number
of occupational diseases was detected. Considering the osteoarticular
apparatus, 12.3% resulted affected by carpal tunnel syndrome,
10% by upper limb desease, 13.4% by vertebral disk desease.
The prevalence of deseases is higher than in literature data.
The re-evaluation identified risks underestimated, and proved the need
of medical protocol.
Further investigation is required. Nevertheless, attention to worker
and not to task assessed higher potential risk and work related desease
diagnosis not considered in the past.
INTRODUZIONE
Il medico competente è chiamato ad un ruolo propositivo nell’analisi
dell’attività lavorativa compresa nel Documento di Valutazione del Rischio
di cui all’art. 4 del D.Lgs 626/94, anche alla luce dei cambiamenti
in atto nel mondo del lavoro. Fra tutti gli elementi, che intervengono nella
traduzione in realtà di questo principio, non vanno dimenticati i seguenti:
a) sempre più cogente appare la necessità di rendere oggettivo e “tracciabile”
il percorso che il medico competente ha seguito nella sua valutazione;
b) il coniugare il dato clinico con il dato epidemiologico non può avvenire
a scapito di una mancata attenzione alla “persona al lavoro”, utilizzando
un concetto statistico di lavoratore medio.
Il tentativo, adottando questa modalità di approccio, è quello di non
fermarsi al gruppo, ovvero un approccio da noi definito tecnicistico, per
arrivare alla individualità della “persona”, approccio di tipo olistico (Il
concetto di olistico, dal greco ‘holon’ cioè tutto, come noto si fonda sull’idea
che le proprietà di un sistema non possano essere spiegate esclusivamente
tramite le sue componenti).
MATERIALI E METODI
È stato elaborato un modello operativo originale. Esso consente, partendo
dalle malattie contenute nell’elenco di cui al D.M. 27 aprile 2004 e
per le quali vige l’obbligo di denuncia, di correlarle alla stima della probabilità
della “esistenza del rischio” nella realtà lavorativa considerata
per il lavoratore.
Viene utilizzato un programma informatizzato composto da due fogli
di lavoro: il primo, non modificabile, contiene il testo del D.M. 27
aprile 2004; il secondo, più articolato, contiene tutte le informazioni
estrapolate dal Documento di Valutazione del Rischio per ciascuna mansione
lavorativa. In esso i pericoli, la motivazione alla sorveglianza sanitaria,
il piano sanitario in uso ne costituiscono sezioni precompilate ed
immodificabili. Altre sezioni invece lo sono: nella prima vanno inserite le
patologie del D.M. 27 aprile 2004, che il medico competente ritiene sia
possibile riscontrare nella mansione lavorativa considerata. Le patologie
considerate vengono inserite nel secondo foglio, attraverso un processo di
copia ed incolla, aggiornando il profilo della mansione. Altre sezioni modificabili
sono quelle dedicate all’adeguamento conseguente del piano sanitario
ed alla richiesta di approfondimenti al SPP.
Un aspetto interessante del modello è quello per cui le mansioni possono
essere analizzate utilizzando l’esperienza del medico competente: a)
ne sono certo: il pericolo è sicuramente presente in ambito lavorativo,
anzi ne è parte integrante; b) lo ritengo probabile, non lo escludo: il pericolo
può essere presente ma non fa parte integrante del ciclo lavorativo;
c) mi meraviglio e tenderei ad escluderlo: il pericolo non è mai stato evidenziato
o solo alcune supposizioni possono darlo per presente, ma non
quale fattore integrante dell’attività lavorativa.
Il modello è stato applicato in un settore di un Comune lombardo, i
cui risultati del Documento di Valutazione dei Rischi, opportunamente rivalutati,
hanno spinto a sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavoratori
esclusi in precedenza perché ritenuti “non esposti”.
Nel periodo ottobre 2005 e maggio 2006 sono stati visitati 254 soggetti,
su un totale di circa 1100, occupati in attività di servizio prescolare.
Le caratteristiche della popolazione esaminata sono riportate nelle Tabelle
I-II-III. Le mansioni svolte erano: a) operatori/esecutori degli asili
nido, b) operatori/esecutori delle scuole materne. L’attività lavorativa
consisteva nella pulizia ordinaria delle aree (aule e spazi comuni, mensa,
servizi igienico sanitari) e la somministrazione dei pasti. La quasi totalità
Tabella I. Caratteristiche della popolazione considerata
in base al sesso
Lavoratori Asili nido Scuole materne Totale
Femmine 65 140 205
Maschi 02 017 019
Totale 67 157 224

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 109
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Tabella II. Caratteristiche della popolazione considerata
in base all’età media
Lavoratori Asili nido Scuole materne Totale
Femmine 49.5 aa 42.6 aa 43.9 aa
Maschi 56.5 aa 51.8 aa 53.1 aa
Totale 51.3 aa 44.6 aa 48.6 aa
Tabella III. Caratteristiche della popolazione considerata
in base all’anzianità lavorativa media
Lavoratori Asili nido Scuole materne Totale
Femmine 21.1 aa 17.5 aa 18.6 aa
Maschi 16.0 aa 17.7 aa 17.1 aa
Totale 20.8 aa 17.6 aa 18.1 aa
dei soggetti esaminati aveva svolto in passato attività lavorative diverse,
prevalentemente in cucina. L’anzianità lavorativa media, indicata in Tabella
III, si riferisce all’anzianità lavorativa complessiva e non a quella
del settore di attuale occupazione.
RISULTATI
I risultati riportati, pur avendo rilevato anche altri quadri, riguardano
il solo apparato osteoarticolare. I valori percentuali non corrispondono ad
un totale unitario e non sono necessariamente riferiti al solo apparato
osteoarticolare per la presenza di più quadri nello stesso soggetto. In Tabella
IV vengono riportate le diagnosi di patologia certa, mentre in Tabella
V viene indicata la percentuale dei soggetti esaminati risultata portatrice
dei quadri.
Questi quadri sono tanto più interessanti in quanto hanno richiesto giudizi
di idoneità con limitazioni e prescrizioni, come riportato in Tabella VI.
Tabella IV. Diagnosi di patologia certa rilevate
a danno dell’apparato osteoartromuscolotendineo
Quadro patologico Numero Valore Numero di
percentuale patologie
totale
Sindrome da compressione
del tunnel carpale
Patologie dell’arto superiore
31 casi 12,3% 31
(es. sindrome da conflitto,
lesioni della cuffia dei rotatori)
25 casi 10,0% 56
Patologie del rachide cervicale 21 casi 08,3% 77
Ernie discali lombari
Altre patologie del rachide
17 casi 06,7% 94
lombare non di tipo erniario
(discopatie)
34 casi 13,4% 128
Patologie del rachide dorsale
(ernia del disco)
03 casi 01% 131
Tabella V. Lavoratori nei confronti dei quali è stato diagnosticato
un quadro patologico osteoartromuscolare
Settore Operatori Operatori Totale Età media Anzianità
lavorativo femmine maschi lavorativa
media
Asili nido 28 01 29 51.3 aa 19.9 aa
Scuole
materne
55 02 57 47.1 aa 18.6 aa
Tabella VI. Giudizi di idoneità espressi nei confronti
della popolazione considerata
Giudizio espresso Asilo nido Scuola materna Totale
Idoneità 41.1% 35.0
Idoneità con limitazioni
o prescrizioni
58.0% 64.0%
Non idoneità temporanea 00.8% 01.0%
Non idoneità 00.0% 00.0%
DISCUSSIONE
I dati, pur preliminari, evidenziano l’esistenza di patologie in misura
non sospettata in precedenza. In Tabella VII vengono riportati alcuni confronti
con i dati di prevalenza reperibili in letteratura.
Tabella VII. Confronto con i dati di prevalenza
reperibili in letteratura
Patologia Dati di prevalenza Dati di prevalenza
rilevati di letteratura
Sindrome del tunnel
carpale
12.3% 3.5%
Lombalgia 13.4% 4.0-30.0%
Per essi si pone il quesito della correlazione con l’attività lavorativa,
ma questi dati sembrano confermare la bontà del modello proposto.
Inoltre il D.M. 27 aprile 2004, introducendo concetti di probabilità -
possibilità (elevata e/o limitata), chiede al medico competente, elemento
cardine del sistema di prevenzione e protezione aziendale, di giudicare lui
stesso anche la sola possibilità della esistenza di una correlazione con il
lavoro. Ciò appare tanto più necessario quanto più delicato, considerando
che, grazie alle nuove condizioni lavorative, le patologie correlate alla
esposizione non sono più fortunatamente di così frequente riscontro come
in passato.
Il modello proposto ha consentito di mettere in luce elementi che viceversa
non erano stati colti.
BIBLIOGRAFIA
1) Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia, ai sensi
e per gli effetti dell’art. 139 del Testo Unico approvato con DPR il 30
Giugno 1965 n° 1124 e successive modifiche ed integrazioni.
2) Gazzetta Ufficiale N° 134, 10 Giugno 2004 Decreto del Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali del 27 Aprile 2004.
3) Linee Guida Regionali per la prevenzione delle patologie muscoloscheletriche
connesso con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori.
4) Regione Lombardia D. 18140 del 30 Ottobre 2003 D.G. Sanità 1905
5) Linee Guida su Titolo V° del D.L.gs 626/94 La Movimentazione Manuale
di Carichi.
6) Coordinamento Tecnico per la Prevenzione degli Assessorati alla Sanità
delle Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano.
7) Malattie del rachide da sovraccarico biomeccanico.
8) Circolare INAIL n° 25 del 15 Aprile 2004.
P-13
ATTIVITÀ DI VIGILANZA NEL SETTORE OLEARIO
M. Marino1 , M.T. Marrapodi1 , S. Ercolani1 , L. Lione1 , O. Argentino1 ,
E. Orlando1 , F. De Rasis1 , L. Catera1 , G. Remia1 1 Azienda Sanitaria n. 3 di Rossano (CS), Viale De Rosis
- 87068 Rossano (CS) - Tel. 0983-517420/517431, Fax 0983-517420,
E-mail: asl3rossanospisal@libero.it
Corrispondenza: S. Ercolani/L. Lione - Azienda Sanitaria n. 3
di Rossano (CS), Viale De Rosis - 87068 Rossano (CS), Italy
- Tel. 0983-517420/517431, Fax 0983-517420, E-mail leonardo.lione@cisl.it
ACTIVITY OF VIGILANCE IN THE OIL-FIELD
Key words: vigilanza, frantoi, studi epidemiologici.
ABSTRACT. The group SPISAL of the AS3 Rossano has developed
an activity of vigilance in the oil field to analyze hygiene and safety
on work.
Thanks to a preliminary form, the group has acquired the following
data: company data; number of workers; amount of the pressed olives.
On the basis of the medium quantity of olives pressed in a year, the
forty-eight inspected olive-presses have been grouped in five categories,
according to the following scheme: first category: seven firms; second:
two firms; third: twenty-two firms; fourth: nine firms; fifth: eight firms.

110 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
Moreover, thirty installations were at continuous cycle, sixteen at
traditional cycle and two at mixed cycle. By the inspections it is
emerged that: all the oil-presses were in good hygienic-environmental
conditions; they had applied the D.Lgs 626/94; they had taken in
consideration the noise risk and the MMC risk; they had appointed the
qualified doctor; the electric installation resulted in conformity with the
safety rules and the machines have been found in a very good working
and maintenance condition.
Finally, the accident prevention applied in that field can be considered
satisfactory.
INTRODUZIONE
Lo SPISAL di Rossano ha intrapreso un’attività di controllo e vigilanza
per la verifica dell’igiene e della sicurezza sul lavoro nel settore oleario. Il
territorio di competenza è ricco di terreni coltivati ad uliveto, intorno ai quali
sono sorti numerosi frantoi. L’attività di frangitura delle olive è un’attività
che espone i lavoratori a numerosi fattori di rischio. Il ciclo di lavorazione
comprende diverse fasi: la raccolta, che avviene spesso su terreni sconnessi
e collinari; il trasporto nei punti di raccolta e nei frantoi, che avviene con
mezzi prevalentemente agricoli; lo stoccaggio ed infine la trasformazione,
che avviene in frantoio. L’attività di studio si è concentrata soprattutto sulle
attività che avvengono all’interno del frantoio. Il ciclo di lavorazione, relativo
al processo di trasformazione, consiste nella defogliazione e nel lavaggio
delle olive, le quali successivamente vengono inviate, mediante nastro
trasportatore, all’impianto di macinazione. La pasta così ottenuta passa alla
gramolatrice, dove avviene l’affioramento dell’olio sulla pasta stessa e, successivamente,
viene inviata alla pressa idraulica (nei frantoi di tipo tradizionale)
o al decanter (nei frantoi di tipo continuo) per la separazione della parte
oleosa dalla parte solida (sansa). Infine, mediante centrifughe a dischi, si
procede alla separazione dell’acqua dall’olio, che è così pronto per essere
confezionato. La sansa viene accumulata in silos o cassoni, per essere poi inviata
ai santifici. Analizzando i profili di rischio di tale processo, prima dell’inizio
dello studio i fattori maggiormente critici apparivano:
1. la movimentazione manuale dei carichi;
2. l’esposizione a rumore;
3. il rischio elettrico;
4. la sicurezza macchine;
5. l’igiene del lavoro.
Le operazioni di movimentazione manuale dei carichi, consistono
prevalentemente nello scarico delle cassette cariche di olive (dal peso medio
di 15-20 Kg) dai mezzi di trasporto e nel successivo svuotamento in
tramoggia. Il rumore, sia nei frantoi a ciclo continuo che in quelli a ciclo
tradizionale, è sempre molto elevato; in particolare, le macchine che determinano
livelli di rumorosità più elevati sono la lavatrice-defogliatrice,
il frangitore ed il separatore centrifugo. Per quanto riguarda il rischio
elettrico, la norma CEI 64-8, che classifica questi luoghi come “ambienti
umidi e bagnati”, li considera a rischio elettrico elevato. Inoltre, nei frantoi,
le macchine sono numerose e gli impianti elettrici estesi e ramificati,
con numerosi centri di pericolo elettrocuzione diretta ed indiretta. La sicurezza
macchine è determinata dallo stato di usura, dalla vetustà e dal livello
di manutenzione. Infine gli aspetti relativi all’igiene del lavoro; la
peculiarità del settore necessita di ambienti accuratamente puliti e dotati
di idonei apprestamenti igienico-sanitaria per i dipendenti.
MATERIALI E METODI
In primo luogo si è proceduto al censimento dei frantoi operanti nel
nostro territorio, incrociando i dati in nostro possesso con quelli reperibili
presso la Camera di Commercio. Alle attività individuate è stata inviata
una scheda informativa con la quale veniva richiesto: i dati aziendali, il
tipo di impianto utilizzato, il numero dei dipendenti, la quantità annuale
media di prodotto lavorato. Sono stati censiti 98 frantoi artigianali; molti
sono risultati a conduzione familiare ed alcuni erano stati già dismessi. Le
olive lavorate provenivano in parte da produzione propria ed in parte da
aziende agricole limitrofe. Sulla base della quantità media di olive molite
all’anno, i frantoi sono stati raggruppati in cinque classi:
⇒ 1° classe: da 1 a 500 q.li
⇒ 2° classe: da 501 a 1000 q.li
⇒ 3° classe: da 1001 a 5.000 q.li
⇒ 4° classe: da 5001 a 10.000 q.li.
⇒ 5° classe: oltre 10.000 q.li.
Dal momento che l’attività di raccolta e di lavorazione delle olive è
di tipo stagionale, i sopralluoghi sono stati programmati ed effettuati nei
mesi compresi tra novembre e gennaio, solo nei frantoi che avevano dipendenti.
Complessivamente, sono stati controllati 48 frantoi. Durane i
sopralluoghi sono stati valutati gli aspetti igienico-ambientali, gli adempimenti
previsti dal DLgs 626/94, la valutazione del rischio rumore e
della MMC, lo stato degli impianti, la sicurezza macchine e le misure di
prevenzione adottate.
RISULTATI
Dai 48 sopralluoghi effettuati è risultato che 30 frantoi utilizzavano
impianti di lavorazione a ciclo continuo, 16 a ciclo tradizionale e 2 a ciclo
misto. Per quanto riguarda la distribuzione in classi di ampiezza sulla
base della quantità media annua di olive molite: 7 aziende sono state collocate
in classe1°, 2 aziende in classe 2°, 22 aziende in classe 3°, 9
aziende in classe 4°, 8 aziende in classe 5° . In quasi tutti i frantoi sono
state trovate condizioni igienico-ambientali idonee; la pavimentazione e
gli intonaci delle pareti erano adeguati, e gli ambienti di lavoro erano
confortevoli e puliti. Gli impianti elettrici sono risultati tutti a norma ed
in condizioni di sicurezza; attraverso una progettazione degli impianti “a
regola dell’arte” e con controlli e verifiche periodiche, i rischi sono stati
notevolmente ridotti. Le attrezzature sono state trovate in ottimo stato di
funzionamento e di manutenzione. Tutte le aziende avevano proceduto ad
eseguire gli adempimenti previsti dal DLgs 626/94, comprese le nomine
dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione, la stesura del
documento di valutazione dei rischi e la nomina del medico competente.
Il rischio MMC, è risultato abbastanza modesto nella maggioranza delle
aziende; infatti le cassette cariche di olive venivano scaricate, stoccate e
trasportate tramite muletti elettrici, transpallet ed in alcun i casi medianti
nastri trasportatori. Lo svuotamento delle cassette all’interno delle stesse
avveniva tramite “rovesciamento” manuale o, in alcuni casi tramite gli
stessi muletti, provvisti di pale speciali capaci di innalzare il carico e di
rovesciarlo meccanicamente. Per il resto del ciclo lavorativo gli addetti
avevano essenzialmente funzioni di controllo sul funzionamento dei macchinari.
Tuttavia nessuna azienda aveva valutato il rischio MMC attraverso
il metodo NIOSH. Tutte le aziende hanno proceduto alla misurazione
del livello di rumore che è risultato sempre superiore a 85 Lep(d).
I dipendenti erano sottoposti a sorveglianza sanitaria e all’esame audiometrico
con periodicità annuale. I lavoratori facevano uso degli otoprotettori.
Le poche prescrizioni effettuate hanno riguardato solo aspetti marginali
delle norme che regolano la sicurezza negli ambienti di lavoro.
DISCUSSIONE
Il quadro emerso dallo studio è quello di un settore lavorativo ad organizzazione
familiare o artigianale, che occupa poca mano d’opera, prevalentemente
stagionale; raramente si fa ricorso ai salariati fissi. Le
aziende da noi visitate presentavano un livello elevato di tecnicizzazione;
infatti la maggior parte dei frantoi utilizzavano impianti di lavorazione a
ciclo continuo, che richiede un minor impegno fisico dei lavoratori rispetto
al sistema tradizionale. Anche le fasi del ciclo lavorativo manuali,
come la movimentazione delle cassette, sono state ottimizzate in maniere
da ridurre al minimo la MMC. Il risultato complessivo emerso presenta
un settore in cui i sistemi di prevenzione e protezione dei lavoratori sono
abbastanza applicati ed efficienti. Rispetto alle criticità ipotizzate, il settore
presenta nel complesso soddisfacenti livelli di prevenzione e protezione
dei rischi aziendali.
BIBLIOGRAFIA
1) Pasquinelli P, Baluganti A, Bianchi A, Borghi P, Gioviti D, Grassi M,
Ulivi A. Prevenzione e sicurezza nei frantoi. Coll. “I manuali”, Regione
Toscana, 1996.
P-14
STRATEGIA VACCINALE IN LAVORATORI DEL SETTORE
PETROLCHIMICO OPERANTI ALL’ESTERO: ESPERIENZA
DEL SERVIZIO MEDICO ENI
M. Valentino1 , V. Rapisarda2 , M. Ciuccarelli1 , F. Mariani1 , F. Uberti3 ,
V. Nicosia4 , A. Madera3 1 Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Clinica
di Medicina del Lavoro, Università Politecnica delle Marche, Ancona

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 111
www.gimle.fsm.it
2 Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Sezione di Medicina
del Lavoro, Università degli Studi di Messina
3 Servizio Medico-Estero (SMES)
4 Servizio Medico ENI
Corrispondenza: Dr. Venerando Rapisarda - c/o Dipartimento
di Medicina Sociale del Territorio, Sezione di Medicina del Lavoro,
Università degli Studi di Messina - E-mail: nandorapisarda@libero.it.
VACCINATION STRATEGY FOR PETROCHEMICAL WORKERS
POSTED ABROAD: THE EXPERIENCE OF ENI’S MEDICAL
SERVICE
Key words: petrochemical industry, vaccination, worker emploted
abroad.
ABSTRACT. One of the principal preventive tasks of the occupational
physician is to select an appropriate vaccination strategy for workers
exposed to health risks, especially those emploted abroad, where the
incidence of some infectious diseases may assume endemic proportions.
Identifying the correct vaccination scheme for working travellers is
a complex and articulated task. In such cases, the crucial stage of the
occupational health examination is the series of activities preceding the
worker’s departure, signally the assessment his/her fitness for duty in
relation to its performance abroad. This is established by appropriate
physical, laboratory and diagnostic imaging examinations, vaccinations
(compulsory, required and recommended), information and training.
Assessments are made in relation to the worker’s specific destination.
This entails that examinations and vaccinations must also take into
account route, job duration, frequency of travel, and nature of the job,
including working hours and work organization, as well as the worker’s
current state of health and immunization status.
We report the data of 530 workers of an oil company employed abroad
who underwent occupational health examination before their departure.
The following information was collected: demographic data, health
state, fitness for duty, immunization status, job type, duration,
destination and frequency, and prophylactic vaccination protocols
applied by the company’s Occupational Medicine Service.
Vaccinations were compulsory for diphtheria, tetanus, poliomyelitis
and hepatitis B, required (by international health regulations to enter
given countries) for yellow fever and meningococcal disease, and
recommended (in relation to the risk of exposure in the specific country)
for typhoid fever and hepatitis A.
The aim of this study was to evaluate the vaccine prophylaxis applied
by the company’s Occupational Medicine Service against the types
of job performed, with a view to drafting specific protocols for fitness
for duty abroad.
INTRODUZIONE
La tutela della salute dei lavoratori all’estero rappresenta per il medico
del lavoro una problematica emergente, specie in questi ultimi anni
(2). Il Ministero degli Esteri stima che sono più di 5 milioni i cittadini italiani
residenti all’estero per motivi di lavoro.
Il medico aziendale, in ottemperanza alle disposizioni del D.Lgs.
626/94, deve conoscere la destinazione del lavoratore per organizzare un
adeguato programma sanitario ed esprimere il giudizio di idoneità alla
mansione specifica (1).
Nella pratica egli è dunque impegnato ad attuare, oltre alla visita medica
e ad eventuali esami clinici e strumentali, anche dei programmi vaccinali
specifici che tengano conto della destinazione, dell’itinerario e della
durata del soggiorno, della frequenza dei viaggi, della natura delle missioni,
nonché le condizioni di salute e il suo stato di immunizzazione (1, 3).
Nel presente studio abbiamo studiato 530 dipendenti di una compagnia
petrolifera, impegnati in varie missioni all’estero e sottoposti a sorveglianza
sanitaria prima della partenza. Per ciascun dipendente sono
stati analizzati i dati anagrafici, quelli riguardanti lo stato di salute, lo
stato di immunizzazione, il tipo, la durata, la destinazione e la frequenza
della missione affidata e i protocolli di profilassi vaccinale eseguiti dal
servizio di medicina del lavoro operante all’interno dell’azienda.
Scopo dello studio è stato quello di mettere a confronto il tipo di missione
a cui era destinato il lavoratore e l’adeguatezza dell’intervento di
profilassi messo in atto, al fine di redigere protocolli specifici per idoneità
a contratto estero.
MATERIALI E METODI
I 530 dipendenti sono stati tutti impegnati in missioni all’estero nel
periodo 2003-2005. Le destinazioni erano verso 11 diversi Stati siti in tre
diversi continenti: Africa: Nigeria, Congo, Angola, Libia, Algeria, Egitto;
Medio-Oriente: Arabia Saudita, Iran; Asia: Kazakistan, Pakistan, India.
Tutti i siti produttivi erano disposti in aree remote, distanti dai centri urbani
e quindi dai presidi sanitari da 20 a 200 km.
I lavoratori prima della partenza sono stati sottoposti a sorveglianza
sanitaria attraverso una visita medica corredata da esami ematochimici e
strumentali volti ad indagare la funzionalità dei principali organi ed apparati.
Inoltre è stato analizzato lo stato di immunizzazione per epatite A
e B di ciascun lavoratore.
RISULTATI
Dagli accertamenti sanitari eseguiti risulta che 23 (4%) soggetti presentavano
un aumento dei valori pressori sistolici e/o diastolici; in 11 di
questi è stata necessaria l’introduzione di una terapia farmacologia. Non
sono stati espressi giudizi di non idoneità per il lavoro all’estero. La Tabella
I riporta le principali caratteristiche del campione.
Dall’analisi dello stato di immunizzazione il 30% dei lavoratori presentava
un titolo anticorpale elevato per epatite A, il 10% per epatite B.
Per quanto concerne il tetano la vaccinazione è stata necessaria solo nel
35% dei lavoratori.
A prescindere dalla destinazione alcune vaccinazioni quali epatite A,
epatite B, difterite, febbre tifoide, tetano e influenza sono sempre obbligatorie;
altre sono richieste obbligatoriamente dai regolamenti sanitari
dei paesi in cui i lavoratore si reca, es. Meningite Meningococcica in Arabia
Saudita. Altre vaccinazioni sono in rapporto al rischio di esposizione
nel paese di destinazione es. febbre gialla.
Tabella 1. Principali caratteristiche del campione
N. soggetti 530 (100%)
Età 37,8 ±5,4 anni
Sesso Maschi 485 (91%) Femmine 45 (8%)
Anzianità lavorativa 8,4 ±3,6 anni
Mansione Medico (1%), impiegato
amministrativo (7%), operaio
specializzato (34%), ingegnere
(10%), geologo (12%), tecnici (32);
informatico (4%)
Area di destinazione Nigeria (24%), Congo (7%), Angola
(4%), Libia (8%), Algeria (5%), Egitto
(6%); Arabia Saudita (8%), Iran (4%);
Kazakistan (22%), Pakistan (9%),
India (3%)
Tempo medio di permanenza 1,2 ±0,8 anni
Frequenza della missione 4,5 ±1,3
Tabella 2. Profilassi eseguita per ciascun lavoratore in relazione
al paese di destinazione
Paese Profilassi
Epatite A Tutti Vaccino
Epatite B Tutti Vaccino
Febbre Tifoide Tutti Vaccino
Difterite Tutti Vaccino combinato tetano
Febbre Gialla Nigeria, Congo, Angola Vaccino
Tetano Tutti Vaccino combinato con difterite
Influenza Tutti Vaccino
Malaria Nigeria, Congo, Angola, India Farmaci antimalarici
Meningite Arabia Saudita, Nigeria, Vaccino
Meningococcica Congo, Angola
DISCUSSIONE
Le vaccinazioni costituiscono lo strumento di prevenzione primaria
nei confronti di malattie trasmissibili e sono dunque una misura di difesa
individuale (1-3). L’art. 86 del D.Lgs. 626/94 stabilisce che, qualora esista
un vaccino efficace e sicuro nei confronti di un agente patogeno, esso

112 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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deve essere messo a disposizione del lavoratore professionalmente esposto
al rischio. L’allegato IX dello stesso decreto identifica gli agenti biologici
per i quali è disponibile un vaccino efficace. Per impostare le linee
di azione e stabilire gli strumenti preventivi nel lavoro all’estero, il Medico
Competente deve identificare gli aspetti peculiari del viaggio e della
destinazione, nonché lo stato di salute del lavoratore.
Le modalità con cui sono svolte le diverse attività, la tipologia dei
potenziali contatti, la durata dell’impiego sono estremamente variabili e
sicuramente difformi, anche sotto il profilo ambientale, dall’usuale e tradizionale
impiego prestato presso un’azienda allocata sul territorio, anche
l’esposizione agli altri agenti di rischio è estremamente differente e nei
diversi paesi. Risulta dunque estremamente faticoso elaborare un adeguato
protocollo vaccinale che sia in grado di prevenire il lavoratore dai
possibili rischi presenti sul luogo di lavoro (2, 3).
BIBLIOGRAFIA
1) Bianco P, Anzelmo V, Castellino N. La tutela della salute del lavoratore
con soggiorni medio-brevi all’estero: il ruolo della prevenzione
vaccinale. Atti del 63° Congresso SIMLII, Sorrento, 8-11 Novembre
2000. Folia Medica 71: 33-47.
2) Nicosia V, Lesma A, Madera A, Rapisarda V, Caldaroni M, Valentino
M. Aspetti preventivi e gestionali per i lavoratori ENI all’estero di
tipo “long stay“. Atti Congresso: I viaggiatori all’estero e le patologie
da rientro. Roma 13-20-27 Novembre 2004: 58-70.
3) Nicosia V, Lesma A, Madera A, Valentino M, Rapisarda V. La prevenzione
del rischio biologico dei lavoratori all’estero: esperienza
del servizio medico dell’ENI. G Ital Med Lav Erg 2002; 24: 347-349.
P-15
LE OPERE DI SUPPORTO LOGISTICO NEI CANTIERI EDILI,
INDAGINE SULLE MODALITÀ DI REALIZZAZIONE ED IMPIEGO
A. Antonucci1 , A. Pacini2 , P. Di Giampaolo1 , A. Pierfelice2 ,
L. Di Giampaolo1 1 Unità operativa di Medicina del Lavoro, Università “G. D’Annunzio”
Chieti Pescara
2 Ente Formazione Sicurezza Edile Pescara
Corrispondenza: Ing. Andrea Antonucci - Università G. D’Annunzio,
Via dei Vestini - 66023 Chieti, Italy - Tel. 0871-3556777,
E-mail: andrea.antonucci@tin.it
THE WORKS OF LOGISTIC SUPPORT IN THE BUILDINGS
YARDS, SURVEYING ON THE METODS OF REALIZATION
AND EMPLOYMENT
Key words: construction yard, apprestamenti, servizi logistici,
logistic support in construction yard.
ABSTRACT. Many accidents in buildings are related to
psychophysical and social stress dependent on working
activities and sanitary conditions (1). Object of the study was
to evaluate the location and the efficiency of the resting areas,
dressing rooms, ambulatories and hygienic-sanitary systems.
These rooms must be conformed to structural, hygienic,
thermo-acoustic and microclimatic standards
of the civil construction and to the technical laws of the
construction field (2, 3, 4).
80 inspections made in construction-yards in the Province
of Pescara showed the presence of these rooms in 91% of
building yards. However, in 20% of the cases, their area was
not sufficient (around 20% of the cases) and lacking in the
furniture and accessories. Adequate places for resting and
eating meals were absent in 24% of the cases; the heating
system was lacking in 80% of the rooms for the workers.
Tidiness and maintenance as well as the logistic positioning
was generally efficient (93% of the cases). In conclusion, the
results show the necessity of making aware builders, persons in
charge of the construction-yards, “safety coordinators”, of the
necessity of providing the above reported temporary premises related
not only to the safety of workers but also to their life style.
INTRODUZIONE
La salute e la sicurezza del lavoratore di cantiere sono il risultato di
molteplici fattori sia tecnici, che organizzativi, tra i quali trova ampio
spazio anche la considerazione del benessere psicofisico e sociale. È ormai
accertato infatti che il verificarsi di eventi infortunistici nel mondo
del lavoro trae spesso origine da fattori indiretti, legati a condizioni di
stress, riconducibile a realtà lavorative dure e a condizioni igienico sanitarie
non adeguate (1).
È perciò importante che il lavoratore di cantiere, così come i colleghi
che lavorano in azienda, possa operare in un ambiente il più possibile
ospitale, in linea con le sue esigenze di uomo e di lavoratore e in grado di
garantirgli, nei limiti del possibile, comfort e servizi adeguati.
Per questo la normativa impone che nei cantieri vengano allestite e
tenute in efficienza adeguate opere provvisionali (apprestamenti), che garantiscano
al lavoratore condizioni di vita consone alle sue esigenze (5).
MATERIALI E METODI
Il lavoro, svolto mediante 80 sopralluoghi effettuati in cantieri riguardanti
opere di ingegneria civile nella provincia di Pescara, ha avuto
come obiettivo indagare sugli aspetti legati agli apprestamenti e le installazioni
fisse di cantiere, prendendo in riferimento quei fattori di tipo logistico,
organizzativo e igienico ambientale connessi con la vita del lavoratore.
Nella ricerca è stata valutata la presenza sul luogo di lavoro dei seguenti
presidi: spogliatoi, impianti igienico sanitari, locali di ricovero e di
riposo, presenza di presidi sanitari.
Questi locali, pur essendo temporanei, devono rispondere ai requisiti
strutturali, igienici, di isolamento termo-acustico, di tenuta all’acqua, microclimatici,
di conformità impiantistica… secondo gli standards usuali
dell’edilizia civile (2, 3).
L’indagine è stata condotta prevalentemente in cantieri di piccola e
media entità, per i quali a volte, per ragioni di spazio, non è possibile
provvedere all’installazione dei suddetti apprestamenti all’interno dell’area
di cantiere, fermo restando comunque l’obbligo di costituire i servizi
logistici nelle immediate vicinanze, anche usufruendo di convenzioni con
privati (4). Durante le visite, si è proceduto ad una minuziosa ispezione
dei locali effettuate con l’ausilio di opportune check list di riferimento,
stilate tenendo conto della normativa applicabile e della buona prassi realizzativa,
operando anche sopralluoghi all’esterno nelle immediate vicinanze
del cantiere.
RISULTATI
Nelle Tabelle sono riportati i risultati dell’indagine, divisi per tipologia
di apprestamento: servizi igienici, spogliatoi, locali di ricovero/con-
Tabella I. Servizi igienici

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 113
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Tabella II. Spogliatoi
Tabella III. Locali di ricovero / Consumazione pasti
Tabella IV. Ambulatorio infermeria
sumazione pasti, ambulatorio infermeria. In quest’ultimo caso si è tenuta
in considerazione la possibilità di predisporre in cantiere unicamente di
una cassetta di pronto soccorso e di numeri di emergenza ben visibili,
qualora la distanza da centri di soccorso fosse limitata
(ciò è avvenuto nel 95% dei casi visionati). Si è
così indagato sia sulla conformità in numero degli
apprestamenti necessari nel cantiere sia sulla
conformità in termini di completezza e qualità dei
servizi offerti. Sulla prima riga di ogni Tabella è riportato
il numero degli apprestamenti presenti in
cantiere riferito al totale dei cantieri visionati; nelle
righe successive di ogni Tabella, sono esplicitati i
vari servizi necessari per ogni singola tipologia di
apprestamento, riferiti al totale degli apprestamenti
effettivamente presenti nel cantiere.
CONCLUSIONI
L’analisi dei dati ha permesso di ricavare informazioni
sul numero, tipologia, dimensionamento e
stato di manutenzione degli apprestamenti presenti
in 80 cantieri della provincia di Pescara. Queste
opere provvisionali costituiscono elementi indispensabili
alla vita del lavoratore ed hanno ripercussioni
indirette sia sulla salute che sulla sicurezza
degli operatori di cantiere. I risultati dell’indagine
fotografano una realtà lavorativa senz’altro migliorata
rispetto al passato ma per la quale sono presenti
ancora ampi margini di miglioramento.
Servizi igienici e spogliatoi sono presenti nella
quasi totalità dei cantieri visionati (91%) ma risultano
carenti dal punto di vista dell’arredamento e
degli accessori (70% dei casi).
Idonei locali per il ricovero e la consumazione
pasti sono assenti nel 24% dei casi visionati e in
molti degli apprestamenti manca il riscaldamento
(circa 80%). Discreta in genere la pulizia e la manutenzione.
Il posizionamento logistico risulta corretto
nella maggioranza dei casi, tenuto conto del
fatto che di frequente si ha limitato spazio all’interno
dell’area di cantiere, ciò comunque non dovrebbe
dissuadere il coordinatore da trovare soluzioni
opportune eventualmente anche all’esterno.
Quanto risultato dall’indagine effettuata, denota che
ancora molto è possibile fare per sensibilizzare gli
imprenditori, i responsabili di cantiere e i coordinatori
per la sicurezza, nel tenere in giusta considerazione
anche tali opere provvisorie, che al di la delle
leggi e delle importanti ripercussioni dal punto di
vista della sicurezza, rappresentano comunque elementi
inderogabili del vivere civile di una società
evoluta come la nostra.
BIBLIOGRAFIA
1) Alberghini V. La salute dei lavoratori nel ciclo
produttivo dei cantieri per la costruzione della
ferrovia TAV - nodo di Bologna. Atti del Convegno
“Gestione del territorio e sicurezza del lavoro:
il modello dei cantieri AV/AC di Bologna”.
2) Regione Piemonte, Direzione Sanità Pubblica:
Prinicipali requisiti igienico sanitari e di sicurezza
da adottare nella realizzazione dei campi base
per la costruzione di grandi opere pubbliche quali
la linea ferroviari ad alta velocità - 2001.
3) D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303; D.P.R. 20 marzo
1956, n. 320; D.Lgs. N. 626 1994 e s.m.
4) Dipartimento di sanità pubblica, epidemiologca
e chimica analitica ambientale dell’Università
degli studi di Firenze, Bagni chimici, nota del 15
giugno 1999.
5) Semeraro G. Il cantiere sicuro, terza edizione.
EPC libri.
6) Mantero S, Baldasseroni A, Chellini E, Giovanetti L. Infortuni mortali
lavorativi: aggiornamento dei dati di un registro di mortalità. Med
Lav 2005; 96, 3: 238-242.

114 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
VI SESSIONE
RISCHIO CHIMICO FISICO
P-01
VALUTAZIONE DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI EMESSI
DA DISPOSITIVI PER LA DETERMINAZIONE DI INTENSITÀ
DI CAMPO ELETTROMAGNETICO PER TELEFONIA MOBILE
A. Bergamaschi1 , A.Magrini, M. Leone2 , A. Imperatore2 , E. Pagliari
L. Coppeta, A. Pietroiusti, B. Morelli, A. Messineo2 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università di Roma Tor Vergata,
Via Montpellier, 1 - 00133 Roma
1 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Largo Francesco Vito, 1 - 00168 Roma
2 Dipartimento per la prevenzione - ASL RM H
Corrispondenza: Prof. Antonio Bergamaschi - Istituto di Medicina
del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma, Italy
- E-mail: Antonio.bergamaschi@rm.unicatt.it
ELECTROMAGNETIC FIELD EMISSION BY DEVICES USED
FOR DETERMINING ELECTROMAGNETIC FIELD INTENSITY
DUE TO MOBILE TELEPHONES
Key words: campi elettromagnetici, dispositivi per la misurazione
dei campi elettromagnetici, telefonia mobile.
ABSTRACT. Workers involved in the determination of signal intensity
due to interconneting mobile telephones, may telephones may be at risk
for exposure to high electromagnetic fields.
In the present study we evaluated the exposure of these workers within
their mobile work environment (a modified automobile) before and after
the activation of their recording device. All measurement were within
the range allowed by the present italian legislation. However, when
workers used mobile telephones within the automobile, the level of the
electromagnetic field reached potentially harmful values for
conversations lasting more than 6 minutes. For this reason we
recommend a limited use of mobile phones within the recording
automobile.
INTRODUZIONE
Recenti studi hanno dimostrato che l’effetto principale dell’interazione
delle radiofrequenze e microonde con un sistema vivente è rappresentato
da un trasferimento di energia, sotto forma di calore, con un aumento
della temperatura locale o di tutto il sistema. Per avere una variazione
di temperatura misurabile, occorre che l’esposizione sia intensa.
Particolare importanza riveste inoltre la possibilità di disperdere il calore;
per l’organismo umano il migliore scambiatore di calore è rappresentato
dal sangue, per tale motivo gli organi od apparati meno vascolarizzati
sono maggiormente suscettibili ai danni da radiazioni elettromagnetiche
in quanto non sono in grado di ridistribuire, tramite un’adeguata circolazione
sanguigna, il calore ricevuto da una fonte esterna. Per questo motivo,
gli organi critici per eccellenza sono il cristallino e le gonadi maschili.
Per quanto riguarda la cataratta da radiofrequenze, gli studi più recenti
indicano una soglia di 1,5 kW/m 2 per 100 minuti d’irraggiamento,
corrispondente a un SAR di 138 W/kg, con un periodo di latenza medio
di 4 giorni. Altri autori, principalmente russi, ipotizzano l’effetto catarattogeno
anche per numerose, ripetute dosi di 100 W/m 2 . A carico dei testicoli,
l’esposizione a potenze superiori a 0,5 kW/m 2 , determina un processo
degenerativo acuto. Al momento attuale è invece ancora dibattuta
l’esistenza di effetti non termici, per dosi inferiori a quelle citate, per una
possibile interazione diretta tra campi elettromagnetici e sistema nervoso
centrale. Tali effetti, la cosiddetta malattia da microonde, sono sostenuti
da numerosi autori russi; comunque, dato che non possono con sicurezza
essere esclusi, anche l’ANSI (American National Standards Institute) ha
preso in considerazione, come criterio di valutazione, possibili alterazioni
comportamentali.
In questo studio abbiamo voluto illustrare la strategia di indagine per
la misura dei campi elettromagnetici emessi da dispositivi utilizzati per la
rilevazione dell’intensità di campo elettromagnetico per telefonia mobile.
Le misure sono state compiute sia all’interno dell’autovettura contenente
la strumentazione, sia all’esterno ed in prossimità dell’auto in alcuni luoghi
di sosta lungo il percorso, effettuato dall’autovettura.
La modalità della rilevazione, consiste nell’inviare tramite 4 cellulari,
chiamate dirette verso un’altra apparecchiatura remota a cui è collegato
un sistema di registrazione dati. Le chiamate sono effettuate a cascata
nell’arco di pochi secondi ed hanno una durata di circa 90 secondi,
dopo segue una pausa di 30 secondi e poi si procede nuovamente ad effettuare
le chiamate. Durante queste operazioni, l’autovettura compie un
tragitto prestabilito realizzando un monitoraggio delle caratteristiche del
segnale inviato e ricevuto dalle apparecchiature cellulari. Le emissioni
elettromagnetiche di questi apparati si collocano nel settore delle radiofrequenze
(RF).
SCOPO DELLO STUDIO
Verificare situazioni di possibile rischio per la salute, derivanti dall’esposizione
elettromagnetica, per quegli operatori addetti alle apparecchiature
(telefonini cellulari, ecc.) contenute all’interno di un’autovettura
che è stata modificata, per consentire una adeguata postazione di lavoro
mobile.
Tale necessità, nasce dall’esigenza di effettuare misurazioni di intensità
e di variazione di segnale di campo, sul territorio, al fine di garantire
un servizio efficiente per l’utenza. Per tale motivo è stata creata una postazione
mobile sul territorio, che ha il compito di monitorare la qualità
del segnale ricevuto dai telefonini.
MATERIALI E METODI
La modalità di indagine scelta, valutazione del campo elettromagnetico
totale, ha comportato l’uso della strumentazione a banda larga in
grado di coprire l’intera gamma di frequenze delle sorgenti in esame.
Questa modalità di misura ci ha permesso di valutare l’insieme dei
contributi, dovuti a diverse sorgenti (non discriminabili singolarmente),
che determinano il valore totale delle intensità di campo elettrico e magnetico.
RISULTATI
Le misure, da noi rilevate, hanno evidenziato che nell’intervallo di
frequenza di interesse, la componente elettrica è quella che contribuisce
maggiormente alla formazione del campo elettromagnetico totale, per
tale motivo vengono presi in considerazione i valori dei limiti derivati di
esposizioni valevoli per il campo elettrico. Abbiamo effettuato rilevazioni
sia a ridosso dell’autovettura, sia esterne alla stessa, che in prossimità
delle antenne esterne (GPS). Altre rilevazioni sono state effettuate, invece,
all’interno dell’abitacolo prima di accendere l’apparecchiatura e
successivamente in fase operativa. Dall’analisi delle misure eseguite con
lo strumento a banda larga possiamo dire che i valori massimi di campo
elettrico rilevato nei punti di misura in prossimità dell’operatore tecnico
in fase operativa, sono compresi tra valori di 1÷(±?) 1.90 V/m all’inizio
delle conversazioni, mentre tali valori si stabilizzano intorno a
0.45÷(±?)0.75 V/m durante le conversazioni. Diverso il caso, in cui le
conversazioni si svolgono direttamente all’interno dell’abitacolo tra l’operatore
e l’altro utente o nel caso in cui entrambe le persone chiamino o
ricevano insieme le telefonate, tramite il cellulare di servizio. In tale situazione
i valori crescono notevolmente arrivando a picchi di 6.5 V/m all’inizio
delle chiamate e mantenendo il valore medio in conversazione
pari a 2.2 V/m.
CONCLUSIONI
I valori rilevati nel corso della nostra indagine per le altre apparecchiature
presenti all’interno dell’abitacolo della autovettura, sono risultati
ampiamente inferiori a quanto prescritto dalla vigente normativa. Per
quanto riguarda l’utilizzo per uso lavorativo dei cellulari, sia per l’operatore
che per l’autista, si ritiene utile consigliare di limitare il loro uso ad
intervalli di tempo inferiori ai 6 minuti e limitatamente per situazioni di
effettiva necessità di colloquio con la sede di riferimento. Le altre apparecchiature
presenti nel mezzo di prova hanno valori tutti ampiamente
compresi nei valori stabiliti dalle norme.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 115
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P-02
TRASDUZIONE DEL SEGNALE MEDIATA DA CAMPI MAGNETICI:
UN NUOVO APPROCCIO PER GLI EFFETTI DELL’ESPOSIZIONE
AI CAMPI MAGNETICI
C. Cerella, M.C. Alberini1 , A. Accorsi1 , M. De Nicola, L. Ghibelli,
A. Magrini2 , L. Coppeta2 , A. Bergamaschi3 Dipartimento di Biologia, Università di Roma Tor Vergata
1 Istituto di Chimica Biologica, Università di Urbino Carlo Bo
2 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università di Roma Tor Vergata,
Via Montpellier, 1 - 00133 Roma
3 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Largo Francesco Vito, 1 - 00168 Roma
Corrispondenza: Andrea Magrini - Cattedra di Medicina del Lavoro,
Università degli Studi di Roma Tor Vergata - 00133 Roma, Italy
- Tel. 06-20902201, E-mail: andrea.magrini@uniroma2.it
SIGNAL TRANSDUCTION BY MAGNETIC FIELDS: A NOVEL
APPROACH TO THE EFFECTS OF MAGNETIC FIELDS
EXPOSURE
Key words: magnetic fields, signal transduction.
ABSTRACT. Concern for possible health hazard due to increasing
exposure to magnetic fields (MFs), came from epidemiological reports
indicating a correlation between exposure to MFs and development
of some types of tumours. Great interest is being given to the finding
that only a subset of tumours are sensitive to MFs exposure. Parallel
experimental studies at the cell level are beginning to show also
differences in the sensitivity of different cells to the metabolic
alterations produced by MFs. The large mass of data that only recently
is beginning to accumulate, strongly suggests that MFs are able
to initiate canonical signal transduction events on sensitive cells,
suggesting that cells may have evolved sensors to MFs. This poses
the interesting novel question on whether nowadays MFs exposure
may affect living matter by altering a physiological MFs-specific
intracellular signaling. Different sensitivity may thus be attributed
to a tissue-specific or individual-specific expression/lack of expression
of the specific receptors.
La rapida evoluzione in campo tecnologico a cui assistiamo in questi
anni, ha comportato una notevole diffusione di apparecchi, capaci di
generare campi magnetici (CM) di intensità e natura variabili. La diretta
conseguenza del crescente uso di tali dispositivi è l’inevitabile e frequente
esposizione di ciascuno di noi a numerose sorgenti di CM. Numerosi
studi epidemiologici, avendo dimostrato una correlazione positiva
tra l’esposizione ai CM e l’incidenza/sviluppo di alcuni tipi di tumori,
hanno alimentato crescente interesse. In particolare è stata riscontrata, in
soggetti esposti a specifiche sorgenti di CM, un’incidenza significativamente
aumentata di tumori del sistema ematopoietico (1), cerebrali (2) e
della pelle (3). Viceversa, altri studi non hanno descritto nessuna capacità
dei CM di favorire l’incidenza di altri tipi di tumori (4). Le contraddizioni
emerse dagli studi epidemiologici hanno spinto la ricerca biomedica ad
indagare i possibili effetti biologici dei CM. L’ampia varietà di approcci
sperimentali usata non facilita il perseguimento di questo obiettivo. Ciononostante,
un numero crescente di studi condotti su sistemi in vitro dimostrano
una capacità dei CM di interferire con il metabolismo cellulare
ed in particolare con eventi di segnalazione intracellulare (5), velocità di
proliferazione cellulare (6), espressione genica (7), attività di enzimi (8),
formazione di radicali (9). Altri effetti esercitati dai CM riguardano la
modulazione/attivazione di risposte complesse da parte dei sistemi cellulari,
per es. la modulazione dell’apoptosi (10; 11) o l’attivazione di risposte
a condizioni di stress (12). Gli studi su cellule hanno anche evidenziato
che a parità di condizioni di esposizione, sistemi cellulari differenti
sono differentemente sensibili alle alterazioni metaboliche prodotte
dai CM (10). Sistemi cellulari sensibili agli effetti biologici dei CM sono
prevalentemente colture cellulari di origine i) ematopoietica e ii) nervosa
(10). Facendo un confronto con i dati epidemiologici, osserviamo che i
sistemi cellulari che in vitro sono sensibili ai CM, sono anche quei si-
stemi da cui possono originare tumori, la cui incidenza è significativamente
aumentata in individui esposti ai CM. Queste analogie fanno ipotizzare
che esista una sensibilità cellulo- o tessuto-specifica ai CM. I CM
sono in grado di influenzare risposte a livello cellulare estremamente varie
e complesse probabilmente interferendo con eventi di trasduzione del
segnale. Infatti il primo effetto biologico descritto per i CM riguarda l’influenza
dei CM sul comportamento di un mediatore di segnalazione intracellulare,
quale il Ca 2+ (7). Infatti, l’esposizione a CM modula positivamente
in sistemi cellulari sensibili i flussi di Ca2+ (in particolare, gli
influssi di Ca 2+ dall’ambiente extracellulare attraverso la membrana plasmatica)
(10). Recentemente, numerosi lavori hanno dimostrato una capacità
dei CM di iniziare eventi di trasduzione del segnale mediati da proteine
G (15) o da cascata di chinasi (tirosin chinasi). Il sensore primario
su cui i CM agiscono, da cui può dipendere l’innesco CM-mediato di entrambe
queste due principali vie di segnalazione intracellulare, non è
stato ancora individuato, ma il fatto che siano stati identificati mediatori
assai precoci, per entrambe le vie di segnalazione, attivati dai CM, fa pensare
che possa trattarsi di un recettore localizzato sulla membrana plasmatica.
Questo farebbe pensare che nelle cellule si sarebbe evoluto un
sensore capace appunto di “sentire” i CM, così come accade per una sostanza
chimica, e innescare un evento di trasduzione del segnale adeguato.
Questo modello ha almeno due implicazioni importanti: 1) devono
esistere recettori specifici per stimoli fisici nelle cellule; 2) l’esistenza di
tali recettori, prefigura che i CM potrebbero rappresentare un sistema fisiologico
di comunicazione inter- e intracellulare. Per quanto riguarda il
punto 1), ci sono noti esempi di recettori capaci di sentire e trasdurre a livello
intracellulare stimoli fisici; per es., il recettore rodopsina, che attiva
la proteina G trasducina, presente sulle cellule della retina (16). Per
quanto riguarda il punto 2), è ormai noto che cellule nervose contenute
nell’ippocampo sono capaci di indursi dei piccoli CM con i quali promuovono
la comunicazione tra cellule (14). Alcune evidenze sperimentali
suggeriscono che anche cellule del sistema immunitario possono percepire
segnali di tipo elettromagnetico e attivare o modulare delle risposte
consequenziali (18). Di nuovo, siamo davanti a sistemi cellulari notoriamente
sensibili ai CM come rivelato dagli studi epidemiologici e molecolari
sopra citati. Tutto questo potrebbe avere implicazioni importanti:
l’esposizione a sorgenti ambientali artificiali di CM potrebbe influenzare
i sistemi biologici perché fondamentalmente va ad interferire con eventi
fisiologici di segnalazione intracellulare, che sono normalmente mediati
endogenamente da CM di tipo terrestre o addirittura prodotti dalle cellule
stesse. In altre parole, la presenza artificiale di CM potrebbe cortocircuitare
un sistema fisiologico di CM endogeni esistente nelle cellule. L’esistenza
di un ipotetico sensore a livello cellulare per i CM capace di attivare
precisi eventi di trasduzione del segnale, potrebbe fornire una spiegazione
plausibile alla differente sensibilità dei sistemi cellulari ai CM.
Dal momento che cellule che appartengono a tessuti diversi esprimono
per via del differenziamento un set di recettori diversi e specifici attraverso
cui attivare risposte adeguate a specifici stimoli, si può immaginare
che in seguito a differenziamento solo alcuni tipi cellulari potrebbero
esprimere l’ipotetico sensore ai CM, il che porterebbe a distinguere cellule
sensibili ai CM, appunto esprimenti il sensore CM-specifico, da cellule
insensibili, non esprimenti il sensore. Questo implica che l’espressione
accidentale o indotta dell’ipotetico sensore per i CM possa variare
la responsività delle cellule ai CM. Le cellule del sistema immunitario,
per la loro delicata funzione, possono variare il loro metabolismo cellulare
in seguito a fenomeni di attivazione. L’attivazione si traduce nell’espressione
e comparsa di nuove classi di recettori, generalmente identificabili
come marcatori di superficie (CD). È stato dimostrato che cellule
del sistema immunitario come monociti o linfociti, possono variare la
loro sensibilità ai CM, passando da una condizione di totale insensibilità
ai CM dello stato quiescente, ad una condizione di sensibilità ai CM in
seguito ad opportuna attivazione (19). Questo potrebbe essere spiegato
ipotizzando che l’attivazione comporta anche l’espressione del sensore ai
CM, altrimenti mancante (non espresso) in condizioni di quiescenza. L’esistenza
di un sensore-recettore ai CM potrebbe spiegare queste e altre
apparenti contraddittorie osservazioni. Ulteriori e più mirati studi sperimentali
sono necessari per dimostrare la consistenza dei modelli proposti.
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P-03
RISONANZA MAGNETICA E TUTELA DELLA SALUTE DEI LAVORATORI
B. Persechino, F. Campanella
ISPESL, Via Fontana Candida, 1 - 00040 Monteporzio Catone (RM)
Corrispondenza: Dr.ssa Persechino B. - ISPESL-DML,
Via Fontana Candida, 1 - 00040 Monteporzio Catone (RM), Italy
- E-mail: benedetta.persechino@ispesl.it
MAGNETIC RESONANCE AND WORKERS HEALTH SAFETY
Key words: magnetic resonance, workers health and safety.
ABSTRACT. The authors, starting from a review of correlated laws
and regulation, focalize all the criticities regarding on magnetic
resonance workers health and safety.
Le apparecchiature a Risonanza magnetica sono ampiamente diffuse
ed utilizzate nella diagnostica medica in quanto permettono una visualizzazione
molto dettagliata, bidimensionale e tridimensionale degli organi
del corpo umano sottoposti ad esame.
Le modalità di funzionamento di tali strumenti sottopongono il paziente
ad un campo elettromagnetico a radiofrequenza, ad un campo magnetico
statico ad alta intensità ed a campi magnetici lentamente variabili
nel tempo; di conseguenza, a fronte di un indiscutibile beneficio diagnostico,
è presente un potenziale rischio per la salute.
L’utilizzo di apparecchiature a risonanza magnetica per uso medico
o di ricerca, in Italia, è regolamentato da una specifica normativa il cui rispetto
garantisce, oltre la messa in sicurezza dell’impianto, anche idonee
misure di protezione per i pazienti e per gli operatori addetti.
Tuttavia, se l’attenzione dedicata alla sicurezza del paziente, per
l’ampia diffusione ed utilizzo, nel settore medico, della Risonanza Magnetica
con finalità diagnostiche, ha raggiunto un ottimo livello, non altrettanto
si è verificato per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
La normativa specifica, ha subito nel tempo serie di modifiche ed integrazioni,
ed attualmente, in attesa del decreto ministeriale di aggiornamento
di prossima emanazione, e che fisserà i nuovi standard di sicurezza
in risonanza magnetica, è costituita da:
Decreti Ministeriali 29/11/1985 (vigenti artt. 1 e 2), 02/08/91 (vigenti
art. 7 ed allegati 1-6), 03/08/93 (vigenti artt. 2, 4, 5 ed allegati A e B), Decreto
Presidente della Repubblica 542/94, Circolare Ministero della Sanità
Direzione Generale Ospedali Divisione II - Prot. - 900.2/4.1 - G/581.
In particolare, al fine di autorizzare l’installazione e l’utilizzo di un
presidio di Risonanza Magnetica, il Decreto del Ministero della Sanità
2/8/1991 - Autorizzazione alla installazione ed uso di apparecchiature
diagnostiche a risonanza magnetica - prevede, relativamente agli aspetti
di prevenzione e protezione, l’individuazione delle misure di tutela della
salute e della sicurezza degli operatori.
L’allegato 1 del suddetto decreto, al punto 6, precisa che, per quanto
concerne l’esposizione ai campi magnetici statici degli operatori addetti alla
gestione dell’apparecchiatura RM, il tempo di permanenza ammesso è funzione
della intensità del campo e della parte del corpo esposta (corpo intero
o estremità); il decreto ministeriale di cui sopra riporta i limiti di esposizione
massima ritenuti accettabili, sottolineando, quale buona norma, che l’esposizione
massima giornaliera dei lavoratori non sia continua ma intervallata.
È compito dell’Esperto responsabile per gli aspetti fisici e del Medico
responsabile per gli aspetti medici di controllare “il permanere delle
condizioni di rischio” e “la permanenza dell’idoneità allo svolgimento
dell’attività lavorativa, mediante controlli medici almeno annuali”.
Sulla base, quindi, della specifica valutazione dell’esposizione reale
al campo magnetico statico, alla quale l’operatore è sottoposto, è necessario
che quest’ultimo venga anche “sorvegliato” al fine di valutare la
presenza di eventuali controindicazioni all’esposizione medesima, per lo
più correlate alla presenza degli stessi fattori di rischio che sono già oggetto
dell’indagine anamnestica sul paziente, compiuta dal medico radiologo
responsabile della prestazione sul paziente prima dell’effettuazione
dell’esame diagnostico.
È prevista un’adeguata informazione sulle misure tecniche di prevenzione
da rispettare e sulle precauzioni da prendere nonché il divieto di
adibire ad operazioni nelle zone ad accesso controllato ed al rabbocco dei
liquidi criogenici donne in gravidanza, soggetti portatori di pace-maker o
altre protesi dotate di circuiti elettronici, clips vascolari o preparati metallici
intracranici situati in prossimità di strutture anatomiche vitali o
schegge in materiale ferromagnetico.
Nell’aprile del 1992, il Ministero della Sanità, Direzione Generale
Ospedali Divisione II, ha emanato la Circolare Prot. - 900.2/4.1 - AG/581
- Sicurezza dei lavoratori addetti ad apparecchiature a risonanza magnetica:
censimento-prevenzione. La necessità di tale circolare è scaturita
dal fatto che l’ISPESL, nel corso dei controlli previsti dall’art. 5 DM
2/8/91, aveva rilevato alcune carenze ed anomalie tra le quali, in particolare,
il mancato rispetto delle norme per la tutela della salute e sicurezza
dei lavoratori.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 117
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Pertanto, la Circolare suddetta ha inteso ribadire i due “concetti” fondamentali
dell’allegato 1 del DM 02/08/91 e cioè:
1) “approccio dosimetrico”, legato al tempo di permanenza, funzione
della intensità del campo;
2) “approccio medico”, relativo al controllo medico con periodicità almeno
annuale.
Così come, all’epoca, riportato nel DM 02/08/91, sono responsabili
della sicurezza l’Esperto responsabile (“tecnico”), che espleta le sue funzioni
attraverso la messa in atto delle procedure di sorveglianza fisica, ed
il Medico responsabile, il quale, per gli aspetti medici, coadiuva l’Esperto
Responsabile, e che fra i suoi compiti ha la responsabilità sulla attuazione
della sorveglianza medica sui lavoratori esposti a quel determinato fattore
di rischio.
Infatti, è vero il fatto che la Circolare sopra richiamata, ribadendo
che gli “Esperti – tecnico e medico – sono responsabili, per quanto di
competenza, della sicurezza e la espletano attraverso: la sorveglianza fisica;
la sorveglianza medica…”, utilizza il verbo “espletare”, così in
prima battuta, significando che debba essere l’esperto medico a dover effettuare
la sorveglianza medica, ma è anche vero che quella circolare risulta
emanata antecedentemente al D.Lgs. 626/94.
A tal riguardo, è evidente che, attualmente, alla luce di quanto previsto
all’art. 4 comma 1 del DLgs 626/94 e s.m.i. e cioè “Il datore di lavoro,
in relazione alla natura dell’attività dell’azienda ovvero dell’unità produttiva,
valuta tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi
compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari…”,
pare del tutto opportuno che, nel corso della valutazione del rischio,
con il coinvolgimento del medico competente, vengano valutate
anche le problematiche connesse all’utilizzo delle apparecchiature di Risonanza
Magnetica e che, successivamente, sia proprio il medico competente
ad effettuare la sorveglianza medica finalizzata anche alla valutazione
della permanenza dell’idoneità specifica.
Per quanto concerne la sorveglianza medica, la Circolare Prot.-
900.2/4.1-AG/581, stabilisce una periodicità almeno annuale della visita
medica ed elenca una serie di accertamenti complementari precisando che
sono solo indicativi e non obbligatori: questionario anamnestico, esame
emocromocitometrico con formula leucocitaria e piastrine, elettroforesi
dell’emoglobina con eventuale ricerca dell’HbS, elettrocardiogramma,
visita oculistica, test di personalità, visita otorino.
In particolare, sarebbe opportuno, inserire nella cartella sanitaria e di
rischio un questionario anamnestico specifico, sul modello di quello preliminare
all’esecuzione di un esame RM destinato al paziente riportato
nell’allegato 1 del DM 02/08/91; a tale proposito si ribadisce l’importanza,
ai fini della salute e della sicurezza del lavoratore dei problemi di
interferenza o effetti sul funzionamento di dispositivi medici quali protesi
metalliche, stimolatori cardiaci e defibrillatori, impianti cocleari e di altro
tipo in quanto, come anche riportato nella Direttiva 2004/40, “…problemi
di interferenza specialmente con gli stimolatori cardiaci possono
verificarsi per valori inferiori ai valori di azione ed esigono quindi appropriate
precauzioni e misure protettive”.
Alla luce di quanto riportato, pur consapevoli del fatto che l’osservanza
degli obblighi, a causa sia della sovrapposizione di norme nel
tempo, sia della incertezza nell’interpretazione delle stesse, risulta a volte
di non facile attuazione e che, di conseguenza, le condizioni di sicurezza
non corrispondono ad un adeguato livello qualitativo, si auspica una
maggiore attenzione alle problematiche connesse all’utilizzo di apparecchiature
a risonanza magnetica al fine del miglioramento della tutela della
salute e della sicurezza dei lavoratori esposti.
P-04
VALUTAZIONE DI CAMPI ELETTROMAGNETICI EMESSI
DA APPARECCHIATURE ELETTRONICHE COLLOCATE IN UFFICIO
A. Bergamaschi2 , A. Magrini1 , A. Barbato3 , A. Imperatore3 , L. Coppeta1 ,
E. Pagliari1 , E. Natalizia1 , A. Messineo3 1 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università di Roma Tor Vergata,
Via Montpellier, 1 - 00133 Roma
2 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Largo Francesco Vito, 1 - 00168 Roma
3 Dipartimento per la prevenzione - ASL RM H
Corrispondenza: Prof. Antonio Bergamaschi - Istituto di Medicina
del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma, Italy
- E-mail: Antonio.bergamaschi@rm.unicatt.it
EVALUATION OF MAGNETIC FIELD DELIVERY
FROM IN OFFICE ALLOCATED ELECTRONIC DEVICES
Key words: emissione campi magnetici, apparecchiature elettroniche.
ABSTRACT. In this study, we evaluated whether electromagnetic fields
due to indoor electronic devices may be harmful for exposed workers,
according to current guidelines of italian legislation. In particular,
we tested the level of very low frequency emission of seven electronic
devices. All measured electromagnetic fields were within the allowed
range; however, one copy paper device, during the stage of maximal
activation, showed values potentially harmful for workers staying
in close proximity for a relatively prolonged time (more than 6 minutes).
Further data on this subject may better quantify the potential risk
(if any) for exposed workers.
INTRODUZIONE
Le recenti novità epidemiologiche circa gli effetti, svolti dall’esposizione
ai campi elettrici e magnetici non ionizzanti a bassissima frequenza
(ELF), sull’uomo inducono a considerare la possibilità di altri effetti, oltre
quelli diretti ed indiretti, sulla salute inclusa la cancerogenesi, derivanti
dall’esposizione a campi di livello molto inferiore a quelli stabiliti
da varie normative. Se per quanto riguarda gli effetti immediati, o acuti,
molti ricercatori indicano quindi una sostanziale assenza di effetti di
danno alla salute, anche nelle più sfavorevoli condizioni di esposizione,
per quanto riguarda possibili effetti a lungo termine si devono segnalare
i risultati di alcune indagini epidemiologiche che sembrano indicare
un’associazione tra l’esposizione cronica ai campi generati da sistemi
elettrici e lo sviluppo di alcune forme di tumori ed in modo particolare di
leucemie. Recenti studi hanno tuttavia dimostrato che, data la presenza
delle più svariate sorgenti, livelli di induzione magnetica dell’ordine dei
decimi di microtesla possono facilmente trovarsi anche in ambienti lavorativi,
domestici ed urbani. Pertanto, se l’ipotesi di effetti a lungo termine
trovasse ulteriore sostegno nei risultati delle ricerche future, risulterebbero
a rischio settori estremamente ampi della popolazione, e non soltanto
i residenti in prossimità di elettrodotti.
Pertanto in questo studio abbiamo voluto illustrare la strategia di indagine
messa a punto per effettuare le rilevazioni strumentali e le relative
valutazioni inerenti alle apparecchiature presenti nella struttura oggetto di
studio. Tali apparecchiature sono: una fotocopiatrice modello XEROX
“Document Centre 265DC” con sovrastante cappa di aspirazione; una fotocopiatrice
modello CANON 6020; un lettore di microfiches; una centralina
che alimenta n. 6 modem; sei gruppi di continuità per PC; un quadro
elettrico; un condizionatore d’aria.
SCOPO DELLO STUDIO
Valutare il rischio di esposizione a campi elettromagnetici (ELF) per
lavoratori d’ufficio. Le emissioni elettromagnetiche di questi apparati si
collocano, nel settore delle “ basse frequenze” (ELF) ed in un particolare
intervallo delle radiofrequenze (RF), indicato con l’acronimo VLF (Very
Low frequency).
MATERIALI E METODI
L’indagine promossa presso i locali destinati ad ufficio, è stata eseguita
applicando, rispettivamente, la Norma CEI ENV 50166-1 (maggio 1995) e
le “Linee guida applicative” elaborate dal Gruppo di Lavoro Interministeriale
(di cui al DM 2/6/97) per favorire una uniforme applicazione del decreto
del Ministero dell’Ambiente 381/98. La finalità dell’indagine e la tipologia
delle sorgenti, ha consigliato che le misure fossero condotte con la
strumentazione in banda larga in grado di coprire l’intera gamma di frequenze
delle sorgenti in esame. Questa modalità di misura permette di valutare
l’insieme dei contributi, dovuti a diverse sorgenti (non discriminabili
singolarmente) che determinano il valore totale dell’intensità di campo
elettrico e/o magnetico. Le caratteristiche sono: isotropia, dimensioni ridotte
del sensore, velocità di esecuzione di ciascun punto di misura.
RISULTATI
Dai risultati delle nostre misure emerge che i valori massimi di
campo elettrico rilevati nei punti di misura posti in corrispondenza della

118 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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fotocopiatrice, non superano i 2.40 V/m, con l’apparecchiatura funzionante
in “fase di copia multipla”.
Le misure effettuate in corrispondenza della macchina fotocopiatrice,
hanno evidenziato valori sensibilmente maggiori a quanto rilevato per le
altre apparecchiature, sia durante il funzionamento (24.60 ÷(±?)10.20 V/m
per la fase di copiatura multipla) che durante di stand-by (6÷(±?)10 V/m)
(presumo che la prima fotocopiatrice, quella che non supera i 2.40 V/m,
sia la XEROX e la seconda, quella che arriva a 24.60 V/m, la Canon, ma
bisognerebbe specificarlo, se no non si capisce niente). I valori ottenuti nel
corso della nostra indagine, per le apparecchiature presenti all’interno del
locale destinato alla riproduzione dei documenti, sono risultati inferiori ai
limiti fissati dalla normativa vigente, con l’eccezione di una determinata
apparecchiatura per fotocopie (n.2), i cui valori in fase di copia sono risultati
maggiori, determinando una possibile esposizione dei lavoratori superiore
agli obiettivi di qualità previsti dal DM 381/98, qualora “la fotocopiatura
multipla”, si protraesse oltre sei minuti consecutivi con l’operatore
a ridosso della macchina.
CONCLUSIONI
I rilievi effettuati all’interno dei locali per le apparecchiature fotocopiatrici
oggetto dell’indagine hanno evidenziato valori che sono, per
quanto attiene alla emissione di c.e.m., rispondenti ai requisiti previsti
dalle normative attualmente vigenti.
Per quanto riguarda la macchina fotocopiatrice n. 2 i valori misurati
non contengono elementi di pericolosità alla luce delle normative vigenti;
si ritiene comunque opportuno segnalare che i valori stessi evidenziano
una emissione, nella zona centrale dell’apparecchiatura in parola, vicina
ai valori indicati come “obiettivi di qualità” dalla normativa vigente.
P-05
ESPOSIZIONE CRONICA A CAMPI ELETTROMAGNETICI AD ALTA
FREQUENZA ED ALTERAZIONI DELLA FUNZIONE CARDIACA
S. Schillaci, G. Lacca, A. Provenzani, M.G. Verso, P. De Marchis,
D. Picciotto
Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Clinica
e delle Patologie Emergenti, Università degli Studi di Palermo,
Via del Vespro, 143 - Palermo
Corrispondenza: Dr. Salvatore Schillaci - Sezione di Medicina
del Lavoro, Policlinico “P. Giaccone”, Università di Palermo,
Via del Vespro, 143 - Palermo, Italy - Tel. 091-6552907/349/7546358
CHRONIC EXPOSUR TO HIGH FREQUENZY ELETTROMAGNETIC
FIELDS AND HEART FUNCTIONALITY ALTERATIONS
Key words: RF, heart functionality, work.
ABSTRACT. In the last decades we assisted to a development
unprecedented of technologies and of applications that use
electromagnetic fields to high frequency.
The first signalings of the effects on the cardiac function and the
chronic exposure to low levels of RF go up again a first years 80.
Among the parameters of the cardiac function, those more influenced
would seem: alterations ECG, extension of the line PQ and of the
complex QRS, weakness of the cardiac rhythm and the arterial pressure.
Purpose of the present job is the verification and the comparison of the
prevalence of the possible alterations ECGrafiche and of the values
pressure in operators employed to the ascent of towers and pylons
for the installation and the maintenance of television systems UHF
and operators employed to the stations basic radio GSM and UMTS.
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni si è assistito ad uno sviluppo senza precedenti
di tecnologie e di applicazioni che utilizzano campi elettromagnetici
(CEM) ad alta frequenza, tra le quali in primo luogo il settore delle telecomunicazioni.
I possibili rischi dovuti alla esposizione a lungo termine ai bassi livelli
di campi elettromagnetici ad alta frequenza, sono stati oggetto di numerosi
studi ed indagini epidemiologiche volte alla ricerca di possibili effetti
avversi per la salute dell’uomo.
Le prime segnalazioni degli effetti sulla funzione cardiaca ed esposizione
a lungo termine ai bassi livelli di RF risalgono ai primi anni 80; tali
studi appaiono, però, poco affidabili da un punto di vista epidemiologico
e non riconfermati successivamente.
Tra i parametri della funzione cardiaca, quelli più influenzati sembrerebbero:
alterazioni ECG, allungamento del tratto P-Q e del complesso
QRS, labilità del ritmo cardiaco, labilità della pressione arteriosa (1-7).
Scopo del presente studio è la verifica ed il riscontro della prevalenza
delle eventuali alterazioni, della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca
e di comparsa di disritmie e di alterazioni elettrocardiografiche in
due coorti di soggetti esposti professionalmente a campi elettromagnetici
ad alta frequenza (operatori addetti all’ascesa su torri e tralicci per l’installazione
e la manutenzione di sistemi televisivi UHF e operatori addetti
alle stazioni radio base GSM e UMTS). In particolare si è proceduto alla
valutazione dei valori medi di pressione arteriosa sistolica e diastolica,
della frequenza cardiaca e dei valori medi dei principali intervalli del
tracciato elettrocardiografico (P, P-Q, QRS, R-R, Q-T).
MATERIALI E METODI
La popolazione studiata è composta da 27 operatori addetti all’ascesa
su torri e tralicci per l’installazione e la manutenzione di sistemi televisivi
UHF (Gruppo A), di sesso maschile, età media di 42,85 anni (range
29-56 anni) ed anzianità lavorativa media di 19,07 anni (range 7- 30 anni)
e da 12 operatori addetti alle stazioni radio base GSM e UMTS (Gruppo
B), di sesso maschile, età media di 35,83 (range 27-48 anni) ed anzianità
lavorativa media di 11,33 anni (range 7-15 anni). Tutti gli operatori sono
stati sottoposti a visita medica generale, visita cardiologica ed ECG per
escludere malattie e fattori di rischio cardiovascolari.
Sono stati valutati ed elaborati statisticamente i valori di pressione
arteriosa e gli esami elettrocardiografici eseguiti mediante elettrocardiografo
Schiller Italia AT-10 sulle coorti in esame, confrontandoli successivamente,
utilizzando appropriate funzioni statistiche inferenziali, con
quelli di un gruppo di controllo (Gruppo C), costituiti da soggetti non
esposti professionalmente, con analoghe caratteristiche campionarie.
Nella selezione campionaria sono stati ritenuti criteri di esclusione patologie
a carico dell’apparato cardiovascolare. Il monitoraggio ambientale
dei campi elettromagnetici ad alta frequenza, riportato nella documentazione
ufficiale dell’azienda presa in esame, era al di sotto dei limiti previsti
dalle normative vigenti.
RISULTATI
I valori medi di pressione arteriosa sistolica e diastolica, della frequenza
cardiaca e dei valori medi dei principali intervalli del tracciato
elettrocardiografico (P, P-Q, QRS, R-R, Q-T) dei tre gruppi sono esposti
nella Tabella I. Come si evince non esistono differenze statisticamente significative
fra i tre gruppi studiati.
Tabella 1. Valori di pressione arteriosa sisto-diastolica e parametri
ECGrafici rilevati negli esposti e nei controlli
MEDIA GRUPPO A GRUPPO B GRUPPO C
Freq. Cardiaca 69,07 (DS ± 10,11) 70,75 (DS ± 9,44) 68,70 (DS ± 12,19)
PAS (mmHg) 124,25 (DS ± 8,84) 121,25 (DS ± 12,81) 125,62 (DS ± 8,38)
PAD (mmHg) 80,74 (DS ± 8,16) 77,50 (DS ± 8,91) 82,70 (DS ± 6,42)
P-Q (ms) 151,88 (DS ± 17,42) 154,00 (DS ± 19,98) 159,87 (DS ± 17,65)
QRS (ms) 91,81 (DS ± 7,42) 94,83 (DS ± 11,23) 96,87 (DS ± 9,28)
RR (ms) 888,37 (DS ± 137,19) 865,41 (DS ± 130,61) 893,62 (DS ± 147,37)
P (ms) 104,70 (DS ± 14,17) 105,16 (DS ± 15,09) 107,16 (DS ± 11,05)
Q-T (ms) 369,00 (DS ± 20,69) 362,16 (DS ± 19,69) 372,37 (DS ± 24,77)
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Dall’analisi statistica dei risultati ottenuti, nella popolazione da noi
esaminata, applicando il metodo di confronto di medie campionarie T di
Student, si è arrivati alla conclusione, da più parti suffragata, che l’esposizione
a lungo termine ai bassi livelli di campi elettromagnetici ad alta
frequenza, ovvero quelli usualmente rilevabili in condizioni normali nella
maggior parte delle postazioni lavorative, non sembra influenzare in alcun
modo la funzione cardiaca, in nessuna delle sue componenti.
Questi dati preliminari necessitano, comunque, di ulteriori studi di
approfondimento da parte del mondo scientifico; rimane infatti indispen-

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 119
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sabile una più approfondita analisi di tali risultati al fine di avvalorare e
stabilire l’eventuale esistenza di un nesso di causalità tra esposizione professionale
a campi elettromagnetici ad alta frequenza ed alterazioni della
funzione cardiaca.
BIBLIOGRAFIA
1) Altpeter ES, Krebs Th, Pfluger DH, von Kanel J, Blattmann R, Emmenegger
D, Cloetta B, Rogger U, Gerber H, Manz B, Coray R, Baumann
R, Staerk K, Griot Ch, Abelin Th. Study on Health effects of
the Shortwave Transmitter. BEW Publication Series, Study No 55,
1995.
2) Black DR, Heynick LN. Radiofrequency (RF) effects on blood cells,
cardiac, endocrine, and immunological functions. Bioelectromagnetics
2003; 6: S187-95.
3) Chia SE, Chia HP, Tan JS. Health Hazards of mobile phones. Prevalence
of headache is increased among users in Singapore. BMJ 2000;
321(7269): 1155-1156.
4) Goldsmith JR. Epidemiological evidence of radiofrequency radiation
(microwave) effects on health in military broadcasting and occupational
studies. Int J Occup Environ Health 1995; 1: 47-57.
5) Hamburger S, Logue JN, Silverman PM. Occupational exposute to
non-ionizing radiation and an association with heart disease: an exploratory
study. J Chron Dis 1983; 36: 791-802.
6) Hocking B. Preliminary report: symptoms associated with mobile
phone use. Occup Med (Lond) 1998; 48: 357-360.
7) Independent Expert Group on mobile Phones. Mobile Phones and
Health. Indirizzo web: http://www.iegmp.org.uk
P-06
MISURE DI INTENSITÀ DI INDUZIONE MAGNETICA
E DI CAMPO ELETTRICO GENERATI DA LINEE AT,
CABINE DI TRASFORMAZIONE PRIMARIE AT/MT
E CABINE DI TRASFORMAZIONE SECONDARIE MT/BT
NEL TERRITORIO CAMPANO
R. d’Angelo1 ,E. Russo1 , A. Del Gaudio2 , L. Attaianese3 , L. Esposito4 1 Contarp - INAIL, Direzione Regionale per la Campania
2 SCA s.r.l., Servizi tecnici
3 L. Attaianese, Indesit Company SpA
4 Tirocinante presso Contarp Campania
Corrispondenza: R. d’Angelo - Contarp - INAIL,
Direzione Regionale Campania
MEASURES OF MAGNETIC INDUCTION AND ELECTRIC
FIELD PRODUCED BY AT LINES, PRIMARY TRASFORMER
STATIONS AT/MT AND SECONDARY TRASFORMER STATIONS
MT/BT IN CAMPANIA REGION
Key words: ELF, power lines, exposed population.
ABSTRACT. In order to assess exposure of the general population
to ELF magnetic fields, intensity level and magnetic induction
measurements were performed in the proximity of transformer stations
and high voltage lines in Campania. Twenty high voltage lines,
three mid-high voltage transformer stations and ten low-mid voltage
transformer stations were studied. The resulting levels were always
lower than 3 µTesla, which is the quality goal threshold indicated
by DPCM 8-7-2003 for general population exposure to low frequency
magnetic fields (50 Hz).
INTRODUZIONE
In letteratura è riportata una grande mole di risultati sperimentali [1-
3], che dimostrano come le radiazioni non ionizzanti ELF (Extremely
Low Frequencies, f

120 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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Tabella II. Valori di intensità di induzione magnetica
e di campo elettrico misurati presso le cabine di trasformazione
primarie AT/MT
Sito di misura N. di Range di Valore Range Valore
misurazioni induzione medio di campo medio
per sito magnetica Induz. elettrico intensità
(Min-Max) Magnetica (V/m) campo
(µT) (µT) elettrico
(V/m)
Montepino I (Bn) 15 0.8-1.6 1.2 600-3500 900
Caivano (Na) 15 0.7-1.7 1.3 500-3400 850
Gricignano (Ce) 15 0.6-1.1 0.8 300-3200 870
Tabella III. Valori di intensità di induzione magnetica
e di campo elettrico misurati presso le cabine di trasformazione
primarie MT/BT
Sito di misura N. di Range di Valore Intensità
misurazioni induzione medio massima
per sito magnetica Induz. campo
(Min-Max) Magnetica elettrico
(µT) (µT) (V/m)
Secondigliano (Na) 10 0.1-5.8 0.7

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 121
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Nel Distretto I della ASL RMF (Civitavecchia) nel quinquennio tra il
1991 ed il 1996, quando i servizi della ASL conducevano direttamente attività
di sorveglianza sanitaria (2), sono stati segnalati oltre 100 casi di
ipoacusia professionale, in gran parte dagli stessi medici della ASL. Dal
1996 le denunce si sono fortemente ridotte di numero; esse provengono
soprattutto da Patronati e INAIL, mentre le denunce da parte di medici
competenti sono eccezionali. Al fine di verificare se ciò corrisponda ad
un reale miglioramento delle condizioni di lavoro, nell’ambito dell’attività
di vigilanza sulla sorveglianza sanitaria (3), è stato elaborato un progetto
finalizzato alla verifica della qualità della sorveglianza nei lavoratori
esposti a rumore.
METODO
L’attività si è articolata su due livelli. Il primo livello è consistito
nella raccolta e analisi dei dati esistenti; il secondo livello si è proposto il
miglioramento delle procedure operative.
Nella prima fase, tutti i medici competenti (MC) sono stati invitati a
fornire il piano sanitario ed i dati anonimi collettivi ricavati dalla sorveglianza
sanitaria. Al tempo stesso i datori di lavoro sono stati invitati a
fornire la valutazione del rischio rumore. È stato altresì prelevato e analizzato
un campione di cartelle sanitarie di lavoratori esposti a rumore.
Nella seconda fase, sulla base dei risultati raggiunti, è stata proposta
una scheda-guida per i MC.
RISULTATI
Sono pervenute 84 relazioni sui dati anonimi collettivi, che sono
state analizzate e confrontate con i relativi protocolli sanitari e con le valutazioni
del rischio rumore.
I dati pervenuti sono risultati di difficile interpretazione perché: non
omogenei e pertanto non confrontabili; privi dei livelli di esposizione a
rumore; privi di espliciti criteri diagnostici; privi di confronti storici con
gli esami precedenti. In molti casi i MC hanno fatto diagnosi di ipoacusia,
cui non ha mai corrisposto denuncia di ipoacusia professionale, e non
sono mai segnalati aggravamenti di pregressi deficit acustici. Altre rilevanti
carenze riguardano la mancata classificazione dei lavoratori in
esposti e non esposti in funzione dei livelli di rischio, la mancanza di correlazione
tra frequenza degli accertamenti proposti e livelli di rischio, le
incertezza sulle tecniche di esecuzione dell’esame audiometrico (riposo
acustico? cabina silente? frequenze indagate? via ossea?) e sui criteri
usati per la valutazione degli esami, la mancanza di indicazioni sulle misure
preventive adottate o da adottarsi. Le relazioni sono talora caratterizzate
dall’uso di linguaggio astruso o desueto e dalla sovrabbondanza di
dati numerici non inerenti al rischio.
L’esame della documentazione sanitaria, eseguito su un campione di
304 lavoratori esposti, ha indicato che la maggior parte delle cartelle sanitarie
non riporta la mansione (60%), la durata di esposizione (93%), le
attività precedenti a rischio (100%), il livello di esposizione (96%).
La verifica degli audiogrammi indica che solo due terzi dei medici
(64%) ha eseguito l’otoscopia prima dell’esame audiometrico; solo un
terzo (32%) ha riportato i sintomi di interesse audiologico; solo il 21% ha
eseguito correttamente la via ossea; nessuno ha tarato l’apparecchio nel
modo prescritto.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L’analisi fa temere che alcuni MC non siano a conoscenza dei dati
valutativi del rischio, e/o non adottino procedure standard di sorveglianza
sanitaria.
Lo Spresal ha organizzato un incontro a carattere seminariale di
informazione e aggiornamento dei MC per collaborare al miglioramento
delle conoscenze e delle procedure.
A seguito dell’incontro, nell’ambito della seconda fase del progetto,
è stata elaborata una scheda-guida, che è stata proposta ai MC come disposizione.
Essa vincola i MC a fornire dati anonimi collettivi conformemente
al disposto di legge (277/91) e alle linee-guida SIMLII e conseguentemente
a rispettare, nell’esecuzione ed interpretazione degli esami,
gli standard di buona pratica professionale. I dati anonimi collettivi dovranno
contenere: la suddivisione dei lavoratori esposti a rumore secondo
le tre fasce di rischio previste dal D.Lgs. 277/91 e successive modificazioni;
i criteri diagnostici (esecutivi e valutativi) adottati dal medico e la
periodicità degli accertamenti; i risultati degli esami audiometrici, classificati
secondo le linee guida nazionali; il confronto tra audiogramma di
base e audiogramma attuale; i criteri adottati per l’uso dei dispositivi di
protezione individuale contro il rumore; l’indicazione delle eventuali denunce
di ipoacusia.
Nel prossimo futuro, l’attività di vigilanza sulla sorveglianza sanitaria
consisterà primariamente nella verifica dell’adesione alla disposizione
e alle linee guida per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti a rumore.
Figura 1. Denunce di ipoacusia professionale pervenute al Distretto
I della ASL RMF (Civitavecchia) negli ultimi 20 anni.
BIBLIOGRAFIA
1) Inail. Banca dati. Consultabile su: http://bancadati.inail.it/prevenzionale/
2) Bevilacqua L, Magnavita N, Sacco A, Brandi G, Pupp N. Prevenzione
del danno uditivo nei lavoratori delle centrali termoelettriche. Atti
del Convegno Nazionale “Rumore e vibrazioni - Valutazione, prevenzione,
bonifica”, Bologna-Modena, 20-24 novembre 1990, Monduzzi
Editore, Bologna, 1990; 1103-1107.
3) Bevilacqua L. Vigilanza sulla sorveglianza degli esposti a rumore.
Comunicazione al Seminario Interdisciplinare su “La prevenzione
della patologia uditiva da rumore industriale” S. Martino al Cimino
(VT) 16-17 novembre 2001.
P-08
IL CONTROLLO DEL MICROCIRCOLO IN LAVORATORI ESPOSTI
A VIBRAZIONI
R. Pennarola, R. Barletta, E. Pennarola1 , L. Cavaliere, E. Russo,
L. Visciglio, A. Ruggieri
Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Facoltà di Medicina
e Chirurgia, Via Pansini, 5 - 80131 Napoli
Dipartimento di Scienze Mediche Preventive, Sezione di Medicina
del Lavoro
1 ASL AV/1 - Distretto Sanitario di Grottaminarda, Via Bosco, 54
- 83035 Grottaminarda
Corrispondenza: Prof. Raffaele Pennarola - Cattedra di Medicina
del Lavoro, Università degli Studi di Napoli Federico II, Via Pansini, 5
- 80131 Napoli, Italy - E-mail: pennarol@unina.it
MICROCIRCULATION SURVEILLANCE IN WORKERS
EXPOSED TO VIBRATIONS
Key words: video-capillaroscopia, vibrazioni, fenomeno di Raynaud.
ABSTRACT. 26 workers (24 males and 2 females) exposed to
vibrations with mean age 53 years and work exposure 16,3 years were
examined. Tests of microvasal functionality were performed on workers
who abstained from smoking for 12 hours using a video-capillary
instrument of DS Medica provided with optical fibre sonda,
microcamera and recording informatic system.
The results have been classified according to alteration levels:
0 = normal; 1 = non specific irrelevant alterations; 2= average
alterations; 3 = advanced alterations. Research data documented
progressive microvasal alterations related to work exposure. Signs
of functional alteration often characterised by stasis of microcirculation

122 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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were observed in patients with less work activity, while organic
anomalies to capillary rarefactions and wide ectasia of capillary apical
segments (as microangiopatia consequent to microtrauma induced
by vibrations) were observed in the patients with clinical symptoms.
The results show that capillaroscopy can be a very effective prevention
instrument.
INTRODUZIONE
Il Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 187 “Attuazione della direttiva
2002/44/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative
all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti da vibrazioni meccaniche”
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 21 settembre
2005, recepisce la Direttiva dell’Unione Europea ed è innovativo nel
campo delle norme di tutela del lavoro in questo settore di grande importanza
sociale. Si calcola infatti che la patologia da vibrazioni rappresenta
circa il 4-5% delle tecnopatie denunciate all’INAIL. Per la valutazione
del rischio all’art.4, comma 6, lettera c il decreto evidenzia la necessità
che il datore di lavoro tenga conto degli eventuali effetti sulla salute e
sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio. La ricerca
attuale è indirizzata allo studio del rischio biomeccanico delle vibrazioni
e al rilievo di segni precoci della sofferenza microvascolare che
il traumatismo vibratorio può indurre specie nei soggetti sensibili secondo
la norma di legge richiamata.
MATERIALE E METODI
La semeiologia microvasale si avvale fondamentalmente di tecniche
di pletismografia, termografia, flussimetria doppler e capillaroscopia. Tra
queste la capillaroscopia con i moderni aggiornamenti metodologici sembra
elettiva per finalità preventive e protezionistiche di Medicina del Lavoro.
La tecnica sviluppata da Bollinger e Fagrell con videoregistrazione
e computerizzazione delle immagini ha consentito la misura della velocità
di scorrimento delle emazie nei capillari e la permeabilità capillare
mediante utilizzo della fluorescina (“capillaroscopia dinamica”). La “video-capillaroscopia
a sonda ottica” di recente diffusione permette l’osservazione
in tutti i distretti cutanei e mucosi, digitalizzzazione, archiviazione
e confronto delle immagini. Presso la Sezione di Medicina del Lavoro
dell’Università di Napoli Federico II collateralmente alle tecniche di
termografia e pletismografia è utilizzato l’apparecchio di video-capillaroscopia
a sonda ottica della Ditta DS Medica. Per la valutazione dei disturbi
del microcircolo nei soggetti esposti a vibrazioni meccaniche è
stato adottato un protocollo della indagine capillaroscopica con riferimento
analitico alle caratteristiche di morfologia ed emoreologia delle
reti capillari. Al termine dell’esame viene rilasciato un giudizio articolato
in livelli di alterazioni: 0 = normale; 1 = alterazioni aspecifiche non significative;
2 = alterazioni di medio grado; 3 = alterazioni di grado avanzato.
Indagini preliminari hanno consentito di individuare le condizioni di
normale perfusione ed emoreologia facendo riferimento alle caratteristiche
dei capilllari distinti per numero (normale, diminuito, aumentato),
morfologia (normale, assottigliamento, tortuosità, ectasia), distribuzione
(normale, irregolare), microcircolazione (normale, granulare, sludge,
stasi), rete sottopapillare (visibile, non visibile, accentuata), aspetti particolari
(megacapillari, microaneurismi, emorragie).
Con tale metodica sono stati esaminati in condizioni di equilibrio termico
e astensione dal fumo, 26 lavoratori esposti a vibrazioni di 53 +/-
11,6 anni, 24 maschi e 2 femmine con anzianità lavorativa di 16,3 +/- 5,7
anni pervenuti all’osservazione per disturbi localizzati alla periferia delle
mani.
RISULTATI
Dalla analisi dei reperti capillaroscopici dei lavoratori esposti alle vibrazioni
sono emersi alcuni quadri di semeiologia microvasale più significativi
e specifici. Il fenomeno di Raynaud secondario all’esposizione è
risultato presente in 12 dei 26 casi esaminati, pari a 46,15%. In questi casi
la videocapillaroscopia ha evidenziato: allungamento dei capillari; dilatazione
delle anse; accentuazione della tortuosità microvasale; andamento
granulare fino a ristagno della corrente ematica e sludge. Nelle forme con
minore anzianità lavorativa si sono osservate lievi alterazioni funzionali,
come stasi della microcircolazione di tipo capillaro-venulare (casi N° 6,
pari a 23,07%). Quando l’alterazione è più accentuata, tale disturbo si associa
a edema pericapillare e la sofferenza del microcircolo supera la
turba funzionale con manifesti difetti della perfusione e alterata risposta
ai test termici. Nei casi in cui è maggiore l’anzianità lavorativa e più
grave la manifestazione clinica si osservano anomalie organiche con rarefazione
dei capillari, sovvertimento della struttura a palizzata ed estese
ectasie dei segmenti apicali dei capillari, espressione di microangiopatie
organiche da microtraumatismo vibratorio (casi N° 8, pari a 30,76%, Fig. 1).
Figura 1. Alterazioni complessive del microcircolo rilevate negli
esposti a vibrazioni
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Nel campo delle manifestazioni cliniche della tecnopatia vibratoria,
specie quella relativa alle vibrazioni meccaniche trasmesse al sistema
mano braccio, le alterazioni emoreologiche della periferia digitale mani
sono bene evidenziate dall’esame in vivo dei microvasi applicato dal nostro
gruppo di lavoro con la metodica definita videocapillaroscopia a
sonda ottica. Tale tecnica consente il rilievo di parametri microvasali indicatori
dello stato di salute desumibile da perfusione e condizioni di
flusso emoreologico nei tessuti sottoposti ad esame. La tecnica consente
inoltre di individuare la risposta microvasale e suscettibilità dei lavoratori
alle condizioni di freddo e discomfort dell’ambiente di lavoro. I dati della
ricerca documentano la presenza di alterazioni della microcircolazione
progressive in rapporto all’anzianità lavorativa. Non sempre tuttavia la
gravità del reperto è parallela all’anzianità lavorativa e verosimilmente
gioca in questi casi un ruolo significativo il fattore sensibilità del soggetto,
il cui rilievo può essere utile a fini di prevenzione e difesa della salute.
Pertanto il controllo del microcircolo eseguito con la tecnica della
video-capillaroscopia va suggerito come test di screening da applicare anche
prima dell’esposizione del lavoratore per la valutazione del comportamento
microvasale già in condizioni di base e in assenza di esposizione.
BIBLIOGRAFIA
1) Bovenzi M, Agotzi G, Apostoli P, Negro C, Versini W. Linee guida
per la prevenzione dei disturbi e delle patologie da esposizione a vibrazioni
meccaniche negli ambienti di lavoro, della Società Italiana
di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale 2003. Edizioni Tipografia
PIME. Pavia, 2003.
2) Bovenzi M, Nuzzaco A. Patologia da vibrazioni. Trattato di Medicina
del Lavoro di Ambrosi L, Foà V. Edizioni UTET Torino, 2003.
3) Casula D, Meloni M. Malattie da vibrazioni meccaniche. Medicina
del Lavoro di Casula D. Monduzzi Editore. Bologna, 2003.
4) Riccio A, Pennaiola R, Marinaro C, Scherillo G, Infranzi E, Del
Puente A, Oriente P. Valutazione capillaroscopica degli effetti della
nifedipina in pazienti con fenomeno di Raynaud. La Clin Ter 1988;
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5) Pennaiola R, Palmi S, Rossi L. Aspetti applicativi delle alterazioni
biomicroscopiche ed emoreologiche tissutali nei lavoratori. Prevenzione
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6) Pennarola R. Cute e microcircolo nella Medicina del Lavoro. G Ital
Med Lav Erg 2002; 24: 213-215.
P-09
IPOACUSIA TECNOPATICA E PROTESI ACUSTICA OPEN FITTING
A. Tanzariello1 , S. Callipari2 , M.A. Tringali2 , M. Cantio2 ,
V. Tanzariello3 1 Dipartimento di Protezionistica Ambientale, Sanitaria, Sociale
ed Industriale dell’Università degli Studi di Messina, Policlinico
Universitario G. Martino - 98100 Messina
2 Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio dell’Università
degli Studi di Messina Policlinico Universitario G. Martino
- 98100 Messina

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 123
www.gimle.fsm.it
3 Dipartimento Specialità Chirurgiche, Sezione ORL, dell’Università
degli Studi di Messina Policlinico Universitario G. Martino
- 98100 Messina
Corrispondenza: Antonio Tanzariello - Dipartimento di Protezionistica
Ambientale, Sanitaria, Sociale ed Industriale dell’Università degli Studi
di Messina, Policlinico Universitario G. Martino - 98100 Messina, Italy
NOISE-INDUCED HEARING LOSS AND HEARING AIDS
OPEN FITTING
Key words: open-fitting, noise-induced, hearing-loss.
ABSTRACT. Noise-induced hearing loss is characterized by the normal
comprehension of language in a quiet environment situation, but with
difficulty in understanding in the presence of background noise. We
aimed at assessing the adaptation of hearing aids by “open fittings”.
60 hypoacusic subjects, mean age 57 years, were evaluated. They all
underwent audiometry and impedenzometry, in situ audiometry by
hearing aids, with open and with closed ventilation. The final goal was
to evaluate the efficacy of the applied software and, through way in and
out questionnaires, auditive modifications due to the hearing aids,
as well as eventual specific problems due to the models applied.
The results obtained showed an improved auditive capacity in 60
hypoacusic subjects at 13, 19, 16, 15 dB respectively for frequency
bands of 1, 2, 3, 4, KhZ. Ten subjects, of which 5 classified as Merluzzi
stage 4c, and 5 as Merluzzi stage 5c, did not show any significant
improvement of the auditive function. The analysis of the results
obtained demonstrated that open fitting hearing aids give different
results depending on the type of deficit, but, anyway, do significantly
improve the auditive function in several types of deafness.
INTRODUZIONE
Le ipoacusie con forte caduta sulle frequenze acute (“Ski-Slope”)
sono molto comuni in medicina del lavoro. Circa il 10-20% di tutte le
ipoacusie neurosensoriali rientrano in questa categoria. Le ipoacusie con
forte caduta sulle frequenze acute sono caratterizzate da una soglia uditiva
(quasi) normale alle frequenze basse ed una soglia uditiva che cresce
bruscamente alle frequenze acute. Tipico di questo disturbo è una comprensione
del parlato relativamente normale in situazioni di calma, ma
spesso molto difficoltosa in presenza di rumore di fondo. Le cause di una
forte caduta sulle frequenze acute sono molteplici. Spesso il disturbo si
presenta in soggetti esposti per anni a rumori troppo forti, in molti casi in
concomitanza con presbiacusia. Una forte caduta sulle frequenze acute
presenta problemi particolari per una protesizzazione con apparecchi acustici,
richiede caratteristiche di amplificazione diverse rispetto a una
“normale” ipoacusia neurosensoriale. È possibile che nel caso di una perdita
uditiva maggiore di 60 dB non siano danneggiate solo le cellule ciliate
esterne, ma sia compromessa anche la funzionalità delle cellule ciliate
interne, tanto che il cervello non riesce più a elaborare informazioni
in questo intervallo di frequenza (Moore et al., 2000; Vickers et al.,
2001). Una protesizzazione moderna deve perciò tenere conto delle particolarità
di questo tipo di ipoacusia, le protesi sul mercato che hanno
queste caratteristiche sono denominate: “Open Fitting”.
MATERIALI E METODI
Per la scelta degli ipoacusici tecnopatici abbiamo utilizzato la classificazione
di Merluzzi-Pira-Bosio del 2002. Abbiamo intervistato ed esaminato
70 ipoacusici tecnopatici così suddivisi 20 del gruppo 2 e 20 del
gruppo 3; 15 del gruppo 4 così suddivisi: 5 4a, 5 4b, 5 4c e15 del gruppo
5 così suddivisi: 5 5a, 5 5b, 5 5c. L’indagine otoscopica ha rivelato canali
uditivi normali,privi di ostruzioni da cerume e con membrane timpaniche
di aspetto normale. A tutti i soggetti era stata diagnosticata un’ipoacusia
neurosensoriale professionale,senza alcuna componente trasmissiva significativa
Procedura del test: in un ambiente silenzioso, sono state rilevate
per ciascun orecchio le seguenti misurazioni audiometriche, sotto tre diverse
condizioni di test: 1. Audiometria tonale e vocale ed Impedenzometria;
2. Audiometria In-Situ tramite apparecchio acustico con ventilazione
aperta. 3. Audiometria In-Situ tramite apparecchio acustico con ventilazione
chiusa. Tutte le misurazioni con Audiometria In-Situ sono state ottenute
utilizzando protesi “Open Fitting “della GN Resound ed orecchio
elettronico Aurical-Madsen. L’audiometria standard è stata invece condotta
con un audiometro clinico Amplifon A 321 e cuffie TDH-39P. L’im-
pedenzometria con impedenzometro Amplaid 728. In particolare,per l’utilizzo
delle protesi “Open Fitting”, l’audiogramma doveva soddisfare i seguenti
criteri: perdita uditiva fra 125 e 500 Hz inferiore a 40 dB, differenza
fra la perdita uditiva a frequenze basse (125-500 Hz) e quella a frequenze
alte (4-8 kHz) pari ad almeno 50 dB. Deve inoltre essere soddisfatto almeno
uno dei seguenti criteri: differenza fra la soglia uditiva a 500 Hz e
quella a 2 kHz pari ad almeno 50 dB; differenza fra la soglia uditiva a 750
Hz e quella a 3 kHz pari ad almeno 50 dB; differenza fra la soglia uditiva
a 1 kHz e quella a 4 kHz pari ad almeno 50 dB Ski-Slope. In queste protesi
la formula di adattamento opera una compensazione dell’intensità sonora
uniforme su tutte le frequenze, viene attuata un’amplificazione minore
nell’area delle alte frequenze (nella zona in cui un’amplificazione addizionale
non comporta alcun miglioramento della comprensione del parlato).
Al contrario, l’area di passaggio dell’audiogramma in cui la curva
uditiva presenta una forte pendenza, viene amplificata maggiormente per
migliorare la comprensione del parlato in presenza di rumori di disturbo.
I sistemi acustici permettono una regolazione dell’amplificazione su 17
bande indipendenti. Grazie a questa fitta suddivisione, l’adattamento può
essere impostato in maniera ottimale lungo l’area caratterizzata da una
pendenza ripida, il che permette un andamento dell’amplificazione equilibrato
e adattato al meglio alla perdita uditiva nonché una qualità del suono
particolarmente buona. Un’amplificazione diminuita nell’area delle frequenze
acute comporta una bassa tendenza alla retroazione. Per questo
motivo in molti casi è possibile un adattamento a chiocciola aperta, che
può essere vantaggioso proprio per le ipoacusie con forte caduta sulle frequenze
acute. Si evita così l’effetto di chiusura, il che rende più gradevole
l’utilizzo dell’apparecchio acustico. Le frequenze basse e medie (che si
possono ancora udire bene) possono arrivare direttamente al timpano,
senza impedimenti e anche il suono della propria voce risulta naturale.
RISULTATI
I 40 ipoacusici tecnopatici del gruppo 2 e 3 traevano ottimi risultati
dalle protesi open fitting. In valori assoluti il guadagno finale medio(per
segnali vocali deboli) è risultato pari a 13, 19, 16, 15dB rispettivamente
per le bande di frequenze 1,2,3,4 kHz. L’intelligibilità per segnali vocali
deboli(30-40 dB.) migliorava dal 10% senza protesi al 90% con protesi
Si è visto inoltre, che è meglio utilizzare ridotti livelli di guadagno, in
quanto, come è noto, amplificazioni al di sopra dei 50, 55dBHL sono controproducenti
per le cellule acustiche esterne. Nei 10 appartenenti al
gruppo4, sottogruppo 4a e 4b il guadagno audioprotesico era buono, nei
5 del sottogruppo 4c scarso; infine nel gruppo 5, sottogruppo 5a buono,
5b discreto 5c scarso.
Valutazioni qualitative: I punteggi ottenuti per le condizioni di
ascolto (ambiente chiuso, aperto, telefono, qualità suoni) migliorano mediamente
di circa 3 punti,rispetto alle situazioni pre-protesizzazione, giudizio
finale 8/10. I punteggi che riguardano gli aspetti di fastidiosità (occlusione,
effetto larsen, visibilità dell’apparecchio, ecc.) si collocano attorno
a 2/10.
DISCUSSIONE
Ipoacusie di lieve entità e forte caduta sulle frequenze acute sono disturbi
che richiedono apparecchi acustici adatti. I sistemi acustici concepiti
appositamente per la correzione di questi danni uditivi vengono definiti
“Open Fitting”. Grazie all’eliminazione adattativa del feedback, alla
direzionalità adattiva multi banda, al meccanismo di soppressione dei rumori
ad alta risoluzione e al “Digital Perception Processing”, ecc. si ottiene
un ausilio ottimale negli ambienti rumorosi. Altri vantaggi di questo
tipo di protesi sono: Eliminazione dell’effetto di chiusura, Mantenimento
della risonanza naturale del condotto uditivo. Migliore comfort, Migliore
aspetto estetico. L’obiettivo principale dello studio era quello di stabilire,
mediante la somministrazione di questionari la relazione esistente tra la
perdita uditiva e la necessità di indossare una protesi acustica e successivamente
valutare il vantaggio delle protesi uditive “open fitting” in questo
particolare tipo di ipoacusia. L’analisi dei risultati ottenuti ha evidenziato
in maniera chiara una correlazione tra la severità della disability e l’handicap
ed il grado di perdita uditiva dovuta al trauma acustico professionale.
La seconda parte della ricerca era dedicata alle protesi acustiche
“open fitting”, che come si vede danno differenti risultati in base al tipo di
perdita uditiva. In alcuni casi i risultati sono ottimi, in altri buoni-discreti,in
atri infine scarsi. Continuando questa ricerca cercheremo di vedere
successivamente se, in base alla curva del trauma acustico, sarà possibile
predire la resa protesica: ottima, buona, discreta, scarsa.

124 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
BIBLIOGRAFIA
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experience. In: Auditory models and non-linear hearing instruments.
18°Danavox Symposium, 1999; 309-323.
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aided auditory localization for sensorineural hearing losses with
good high-frequency hearing. Ear & Hearing 1998; 19: 61-71.
3) Prossers S. Atlante Italiano Applicazioni Audioprotesiche 2, GN Resound
2005.
P-10
MODIFICAZIONI INDOTTE DAL RUMORE SULLA FUNZIONE
RESPIRATORIA IN UN GRUPPO DI GIOVANI VOLONTARI
U. Muraca2 , A. Abbate1 , G. Muraca, G. D’Arrigo3 , S. Abbate1 ,
C. Graceffa1 , R. Brecciaroli1 1 Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio Università degli Studi
di Messina, Policlinico Universitario Messina
2 Dipartimento di Scienze Biochimiche, Fisiologiche e Nutrizione
Umana Università degli Studi di Messina, Policlinico Universitario
Messina
3 Dipartimento di Statistica Università degli Studi di Messina,
Piazza Pugliatti Messina
Corrispondenza: Dr. Brecciaroli Renato, Dipartimento di Medicina
Sociale del Territorio Università degli Studi di Messina, pad H.,
Policlinico Universitario Messina - Tel. 090-2212055 - Fax 090-2212051
NOISE EFFECTS ON RESPIRATORY FUNCTION IN YOUNG
VOLUNTEERS
Key words: noise, respiration, endocrine response.
ABSTRACT. The purpouse of this study is to explain the effect of noise
exposure on respiratory function. According to this aim, 110 young
subjects (70 female, 40 male, average age 21-22 years) were recruited.
Spirographic indices were registered in standard acoustic condition and
after acoustic stimulation consisting of a tiring impulse of 105dB of
4000 Hz. CV, frequency and Minute Volume changes were determined.
The results showed an increase of spirographic indices during noise
exposure without differences between males and females. Conclusions:
noise causes respiratory function changes, related to the neuroendocrine
response.
INTRODUZIONE
Gli effetti del rumore sull’apparato respiratorio non sono ancora perfettamente
chiariti anche se diversi autori ipotizzano variazioni di alcuni
parametri funzionali, cardiaci e respiratori.
Ising (1) ha osservato su un gruppo di volontari esposti a rumore un
incremento dell’escrezione di catecolamine (più adrenalina che noradrenalina).
Vandijk (4) in una indagine condotta su un gruppo di soggetti collaboranti,
sottoposti a stress acustico, evidenziava un incremento della
frequenza respiratoria e della pressione diastolica legata a stimolazione
del sistema nervoso autonomo. Tomei (5), in soggetti esposti sperimentalmente
al rumore, osservava l’assenza di modificazioni significative dei
parametri funzionali sia respiratori che ormonali. Gli autori,con la presente
indagine, si propongono di contribuire a chiarire gli effetti dello
stress acustico sulla funzione respiratoria in giovani volontari.
MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati 110 soggetti sani e collaboranti, 40 di sesso maschile
e 70 di sesso femminile, di età compresa tra 21 e 22 anni, non professionalmente
esposti a rumore, studenti del terzo anno del corso di laurea
in Medicina e Chirurgia.
Sono stati esclusi all’indagine i soggetti che presentavano patologie
acute e/o pregresse a carico dell’apparto respiratorio e dell’organo uditivo,
familiarità per patologie allergiche, respiratorie ed odontoiatriche.
L’intero campione è stato sottoposto a stimolazione acustica mediante
uno stimolo affaticante costituito da un suono puro generato da un
audiometro, centrato sulla frequenza di 4000Hz, dell’intensità di 105dB
nHL e presentato binauralmente per un tempo di 10 min. Durante la stimolazione
acustica veniva registrato lo spirogramma. Il campione è stato
monitorato per 10 m’, prima e durante la stimolazione acustica, mediante
una registrazione spirografica tendente ad evidenziare variazioni della
frequenza (Fr), del volume corrente (Vc) e del volume minuto (Vm). Tra
le due prove, per evitare fenomeni di affaticamento e/o adattamento, veniva
osservato un periodo di riposo di 30’.
Dello spirogramma sono stati presi in considerazione, due periodi
della durata di un minuto ciascuno sia per la prova di base che per quella
durante la stimolazione; il primo periodo dopo un tempo iniziale di adattamento
all’esame di 3 min (Fr 3 -Vm 3 ) ed il secondo dopo l’ottavo minuto
(Fr 8 -Vm 8 ).
I dati rilevati, dopo averne valutato la distribuzione, sono stati confrontati
statisticamente mediante metodologie non parametriche, NPC
test (Pesarin 2001).
RISULTATI
L’analisi condotta ha posto in rilievo che, in relazione al sesso, non
esistono differenze statisticamente significative per nessuna delle variabili
indagate.
Le osservazioni effettuate a 3 ed 8 minuti hanno evidenziato che in
assenza di esposizione al rumore la Fr 3 è di 16 atti/min e la Fr 8 di 18
atti/min, durante la stimolazione acustica si evidenzia in assoluto un incremento
degli atti respiratori con una Fr 3 pari a 17 atti/min ed una Fr 8 di
19 atti/min.
I valori relativi al Vm (espresso in litri) presentano un comportamento
simile ai valori della Fr; infatti quelli basali risultano di 11 l/min
per il Vm 3 portandosi a 14 l/min per il Vm 8. Durante l’affaticamento acustico
il Vm 3 risulta di 14 l/min ed il Vm 8 di 17 l/min.
Il confronto statistico, con l’NPC test per dati appaiati, relativo ai valori
di Fr, Vc e Vm ottenuti prima e dopo stimolazione acustica hanno
mostrato come le variabili indagate presentino valori diversi nei due
tempi, ed in particolare il confronto direzionale indica che i soggetti presentano
valori più elevati dopo stimolazione. La Tab. II riporta i risultati
del test.
Tabella I. P-value relativo all’analisi non parametrica condotta
in riferimento al sesso
Variabili Pre-esposizione Post-esposizione
Fr 0.331 0.791
Vc 0.321 0.772
Vm 0.822 0.349
Tabella II. P-value relativo all’analisi condotta in riferimento
ai tempi di osservazione
confronto bidirezionale confronto unidirezionale (T1

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 125
www.gimle.fsm.it
quidi biologici. Uno studio di Sudo (3), condotta su un campione di soggetti
professionalmente esposti a livelli di rumore compresi tra 93 e 100
dB, riporta un’interessante conclusione, e cioè, che i livelli ematici di cortisolo
e catecolamine sono statisticamente più elevati che quelli misurati
sul gruppo di controllo e che, tali valori, diminuiscono con l’uso dei dispositivi
di protezione individuale.
In conclusione i dati da noi ottenuti consentono di affermare che il
rumore determina modificazioni respiratorie nei soggetti esposti acutamente
a tale inquinante e che tale risultato sia correlabile alle modificazioni
neuroendocrine che vengano a determinarsi.
BIBLIOGRAFIA
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Cardiovascular Risk. Noise Health 1999; 1(4): 37-48.
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noise. Angiology 1992 Nov; 43(11): 904-12.
P-11
ESPOSIZIONE A POLVERI DI CEMENTO VALUTATA USANDO
UNO SPETTROMETRO GRIMM 1.108
G. Somma, A. Magrini, E. Romeo, L. Coppeta, M. Grana,
L. Vicentini, A. Bergamaschi1 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Roma
Tor Vergata
1 Istituto di Medicina del Lavoro. Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma
Corrispondenza: Giuseppina Somma - Cattedra di Medicina
del Lavoro, Università degli Studi Tor Vergata, Viale Oxford, 81
- 00133 Roma, Italy - Tel. 06-20902201, E-mail: giusomma@libero.it
EXPOSURE TO CEMENT DUST AND ITS PARTICLE SIZE
DISTRIBUTION MEASURED WITH GRIMM LASER DUST
MONITOR 1.108
Key words: exposure to cement dust, particle size distribution
of inhalable dust, GRIMM laser dust monitor.
ABSTRACT. The composition of dust pollutants in a cement factory
can be greatly diversified due to a great variety of materials used at the
different stages that lead to cement production, like raw material
grinding, coal mills, rotary kilns (dry or wet), clinker cooling, finished
grinding, storage silos, and packaging. The aim of this study was to
assess the dust exposure in an Italian cement plant, taking account of
concentration of particular size fractions, according to the European
Standard Norm (EN 481), and to analyze particle size distribution in
inhalable dust at selected workplaces.
The concentration of dust, representing the inhalable, thoracic, and
respirable fractions, were measured at three specific workposts with the
GRIMM 1.108 laser dust monitor. The particle size distribution in
inhaled dust in the most characteristic workposts was analyzed. In the
cement plant the concentrations of the inhalable fraction ranged from
about 250 µg/m 3 at the raw milling department to about 1500 µg/m 3 at
the packing department. Concentrations of the thoracic and respirable
fractions in the same workposts ranged from about 150 µg/m 3 (raw
milling) to 850 µg/m 3 (packing) and from 40 µg/m 3 (raw milling) to 130
µg/m 3 (packing) respectively. The modern process of cement production
seems to be characterized by relatively low concentrations of inhalable
dust and its fractions, which results considerably lower than
occupational exposure limits (ACGH) for inhaled (10 mg/m 3 )
and respirable (3 mg/m 3 ) dust.
INTRODUZIONE
I problemi di inquinamento in un cementificio sono legati alla presenza
di polveri aerodisperse emesse nelle diverse fasi che portano alla
realizzazione del prodotto finito. Il processo di produzione del cemento
inizia con il ricevimento delle materie prime poi inviate al molino del
crudo dove vengono sottoposte alla riduzione della pezzatura ed essiccate
con i gas caldi provenienti dal forno di cottura. La farina, così prodotta, è
inviata ai sili di deposito e successivamente estratta e trattata nel forno di
cottura per produrre il clinker che verrà opportunamente miscelato ai correttivi
nei molini a sfere (comminuzione), per dare quindi origine al prodotto
finito che verrà trasportato ai sili di stoccaggio dai quali verrà infine
estratto per essere insaccato o caricato sfuso sugli automezzi. A causa
del complesso processo che porta alla produzione del cemento, i lavoratori
possono essere esposti a polveri che contengono diversi componenti
chimici (1), come anche a particelle di diversa forma e dimensione. Pochi
studi sono attualmente presenti in letteratura sull’esposizione lavorativa
a polveri aerodisperse che si sono avvalsi di un contatore di particelle
GRIMM (2, 3). Lo scopo di questo studio è quello di valutare l’esposizione
a polvere di cemento in un cementificio italiano prendendo in considerazione
la concentrazione della frazione inalabile, toracica e respirabile
delle particelle di cemento raccolte con un contatore GRIMM e la
loro diversa distribuzione in specifiche postazioni di lavoro, usando come
riferimento la Norma Standard Europea (4).
MATERIALI E METODI
Le concentrazioni di polvere sono state misurate utilizzando uno
spettrometro tipo GRIMM 1.108, capace di registrare il numero di particelle
della frazione inalabile, toracica e respirabile (particelle/m 3 ) con
diametro compreso tra 0,3 e 20 µ, e la loro massa espressa in µg/m 3 . Lo
spettrometro è stato posizionato in tre postazioni di lavoro rappresentative
della fase di macinazione del crudo, di macinazione del cotto e di insacco
del prodotto finito. Le registrazioni sono state eseguite durante un
periodo di almeno sei ore nell’ambito di un turno lavorativo di otto ore.
La UNI EN 481 riferendosi all’atmosfera negli ambienti di lavoro
definisce delle specifiche frazioni granulometriche per la misurazione
delle particelle aerodisperse. La “frazione inalabile” è definita come la
frazione di particelle che può essere inalata da naso e bocca (sono particelle
con un diametro aerodinamico < 100 µm), la “frazione toracica” è
la frazione di particelle che oltrepassano la laringe (sono particelle con
diametro aerodinamico medio di 11,5 µm e deviazione geometrica standard
(GSD) di 1,5 µm) e la “frazione respirabile” è la frazione di particelle
che raggiunge gli alveoli (con diametro medio di 4,25 µm e una
GSD di 1,5 µm). È stato inoltre mostrato che il 50% circa delle particelle
in aria con un diametro aerodinamico di 10 µm appartiene alla frazione
toracica e che il 50% delle particelle con un diametro aerodinamico di 4
µm appartiene alla frazione respirabile.
RISULTATI
La concentrazione delle particelle della frazione inalabile è risultata
essere di circa 250 µg/m 3 alla macinazione del crudo, 850 µg/m 3 alla macinazione
del cotto e 1550 µg/m 3 alla postazione dell’insacco; quella della
frazione toracica di circa 150 µg/m 3 alla macinazione del crudo, 600
µg/m 3 alla macinazione del cotto e 850 µg/m 3 all’insacco; infine quella
della frazione respirabile di circa 40 µg/m 3 alla macinazione del crudo,
120 µg/m 3 alla macinazione del cotto e 130 µg/m 3 all’insacco. Di particolare
interesse si è rivelata l’analisi del numero di particelle in relazione
al diametro. Il numero maggiore di particelle (particelle/m 3 ) con diametro
più piccolo (0,3-0,4 µm) è stato rilevato nel particolato aerodisperso
alla postazione della macinazione del crudo, mentre la maggiore quantità
di particelle con diametro maggiore (5-20 µ) è stata rilevata nel particolato
aerodisperso durante la fase di insacco.
CONCLUSIONI
L’esposizione occupazionale alla polvere di cemento avviene principalmente
attraverso la via respiratoria, la via cutanea e in minore misura,
la via digerente. Gli effetti lesivi dell’esposizione a polvere di cemento
maggiormente studiati sono quelli a carico della cute e dell’apparato respiratorio.
Mentre vi è una forte evidenza tra esposizione cutanea al cemento
e dermatiti allergiche e/o irritative, rimane ancora controversa la
correlazione tra inalazione di polvere di cemento e deficit della funzionalità
respiratoria (ostruttivi, restrittivi e misti). Sembra inoltre che la polvere
di cemento, contenendo particelle di diversa forma e dimensione che

126 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
si possono distribuire non solo a livello dell’apparato respiratorio ma anche
raggiungere il circolo sanguigno, possa giocare un importante ruolo
nel determinare effetti lesivi ancora poco conosciti.
L’entità del danno a livello tracheo-bronchiale ed alveolare è correlato
alla concentrazione di polveri nella frazione respirabile e toracica
mentre il rischio di lesioni a livello delle più alte vie respiratorie sarebbe
correlato alla concentrazione di polveri appartenenti alla frazione extratoracica.
L’esposizione cronica alla polvere di cemento può determinare
problemi di salute che sembrano associati alla provocazione di una risposta
infiammatoria con secrezione di eicosanoidi, enzimi litici, fattori
chemiotattici, e specie reattive dell’ossigeno (5). Altri studi mostrano che
la polvere di cemento può entrare nel sistema circolatorio raggiungendo
praticamente tutti gli organi del corpo, inclusi cuore, fegato, milza, ossa,
muscoli e capelli potendone alterare la microstruttura e fisiologica funzionalità
(6). È stato infatti recentemente riportato che un elevato numero
di particelle di piccolo diametro (0,2-0,3 µm) è in grado di determinare
significativi effetti tossici interagendo con cellule e componenti subcellulari.
Sembrerebbe infatti che l’attività biologica delle particelle aumenti
col diminuire delle loro dimensioni (7). In conclusione, sembra doveroso
sottolineare l’attuale l’importanza di approfondire lo studio sull’esposizione
a polveri, valutando anche la dimensione e la numerosità delle particelle
presenti nell’ambiente di lavoro, in considerazione delle specifiche
mansioni e compiti svolti dai lavoratori all’interno dello stabilimento e
delle loro condizioni generali di salute.
BIBLIOGRAFIA
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its particle size distribution in shoe manifacture and repair workplaces
measured with Grimm laser dust monitor. Int J Occup Med Environ
Health 2003; 16(4): 321-8.
4) European Standard Norm EN 481. Workplace atmospheres-size fraction
definitions for measurement of airbone particles. Brussels: European
Committee for Standardization; 1993.
5) Orman A, Kahraman A, Cakar H, Ellidokuz H, Serteser M. Plasma
malondialdehyde and erythrocyte glutathione levels in workers with
cement dust exposure. Toxicology 1 2005; 207(1): 15-20.
6) Meo SA. Health hazards of cement dust. Saudi Med J 2004 Sep;
25(9): 1153-9. Review.
7) Oberdörster G, Oberdörster E, Oberdörster j; Nanotoxicology: An
Emerging Discipline Evolving from Studies of Ultrafine Particles
Environmental Health Perspective. July 2005; 113: 7.
P-12
STUDIO DEGLI EFFETTI ACUTI SULL’APPARATO RESPIRATORIO
DOVUTI ALL’ESPOSIZIONE OCCUPAZIONALE A POLVERI DI
CEMENTO
E. Romeo, A. Magrini, L. Coppeta, G. Somma, A. Pietroiusti,
A.Cattani, A. Bergamaschi1 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università di Roma Tor Vergata,
Via Montpellier, 1 - 00133 Roma
1 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Largo Francesco Vito, 1 - 00168 Roma
Corrispondenza: Elisa Romeo - Cattedra di Medicina del Lavoro,
Università degli Studi di Roma Tor Vergata - 00133 Roma, Italy
- Tel. 06-20902201, E-mail: elisaromeo.74@libero.it
ACUTE LUNG FUNCTION CHANGE IN CEMENT DUST
EXPOSED WORKERS
Key words: cement dust, respiratory function, acute effects.
ABSTRACT. BACKGROUND. In recent years it has been suggested
an association between the occupational exposure to cement dust
and the occurrence of short term respiratory effects. This relationship
still remains controversial, mainly for what concern low dose exposures
to cement dust.
OBJECTIVE: The aim of this study is to evaluate the relationship between
the daily fluctuations of cement dust exposure and the lung function
changes in workers employed with various job titles in a cement factory.
METHODS: 15 workers randomly selected and representative of the entire
population of cement production workers have been studied for 3
consecutives days. For each worker enrolled in the study we measured
daily personal dust exposure and possible short-term pulmonary effects
(asking questions about daily symptoms and recording flow-volume
parameters both pre-shift and post-shift work).
RESULTS: We did not find evidence of association between daily cement
dust exposure fluctuation and short term respiratory effects.
CONCLUSION: It has to be said that the main reason for the lack of
effects between cement dust exposure and lung function decrement in
our study may be linked to the low levels of personal dust exposure.
Anyway, due to the little sample size of workers enrolled we cannot still
make conclusive statements.
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni alcuni Autori (1; 2) hanno messo in evidenza una
correlazione tra l’esposizione occupazionale a grandi quantità di polvere
di cemento e la comparsa di modificazioni della funzione respiratoria alla
fine del turno di lavoro. Tuttavia non è attualmente noto quale componente
della polvere di cemento sia la maggior responsabile degli effetti
respiratori osservati. Solo uno di questi lavori si è basato sull’esposizione
personale dei lavoratori studiati (2) ed in entrambi gli studi pubblicati i livelli
espositivi dei lavoratori hanno superato di gran lunga i livelli cui
sono esposti i lavoratori delle cementerie di Paesi più sviluppati, come
l’Italia. Non essendo stati effettuati studi dose-risposta, è difficile stabilire
se ci sono livelli soglia per la comparsa di tali effetti.
Sulla base dei dati presenti in letteratura ci è apparso utile valutare le
fluttuazioni di più parametri dello stato di salute respiratoria dei lavoratori
esposti a polvere di cemento in relazione alle variazioni di concentrazione
di polveri nell’ambiente di lavoro, applicando un modello di studio
non ancora adottato in ambito occupazionale.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato realizzato nei mesi di Novembre e Dicembre dell’anno
2005 in uno stabilimento di produzione del cemento situato nel
centro Italia.
Popolazione studiata
La popolazione è stata selezionata in maniera random tra tutti gli
operai impiegati full-time nello stabilimento e dopo la randomizzazione
si è osservato che tutte le figure professionali erano adeguatamente rappresentate.
In questa fase dello studio sono stati arruolati 15 lavoratori: 3
addetti al carroponte, 4 manutentori, 3 addetti alle spedizioni, 3 analisti
ed 2 addetti ai lavori vari. Alcuni di questi lavoratori (manutentori, addetti
ai lavori vari) proprio per il tipo di mansione svolta sono sottoposti a
esposizioni quotidiane molto variabili.
Sono stati considerati asmatici quei lavoratori che rispondevano positivamente
ad almeno una delle seguenti domande: “Lei si è mai svegliato
con la sensazione di respiro corto nell’ultimo anno?”; “Ha mai
avuto sibili o fischi al torace negli ultimi 12 mesi?”; “Assume abitualmente
o sporadicamente farmaci per l’asma?”.
Protocollo di studio
Ciascun lavoratore è stato seguito per tre giornate lavorative consecutive,
durante le quali sono stati valutati: l’esposizione personale alla
frazione totale e respirabile delle polveri e gli effetti respiratori a breve
termine, mediante somministrazione di un questionario (CECA modificato,
1993) e l’effettuazione di un esame spirometrico a inizio e a fine
turno di lavoro.
Misura dell’esposizione
L’esposizione personale giornaliera a polverosità totale e alla frazione
respirabile è stata misurata durante gli interi turni lavorativi ed
espressa come concentrazione media. I campionamenti sono stati effet-

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 127
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tuati mediante: coni con flussi a 2,2 l/min per il campionamento della polverosità
totale della polvere e cicloni SKC modello GS con flussi a 2,75
l/min per il campionamento della frazione respirabile, secondo i criteri
ISO-CEN-ACGIH. La polvere inspirabile è stata raccolta su filtri in PVC,
la frazione respirabile della polvere aerodispersa è stata raccolta su filtri
in argento; entrambi i filtri sono da 0,8 µm di porosità e 25 mm di diametro
(UNI EN481, UNI EN689). I campionatori sono stati posizionati a
livello della zona respiratoria dei lavoratori.
Valutazione della funzione respiratoria
È stata effettuata sui lavoratori arruolati, sia all’inizio che alla fine
del turno di lavoro, per tre giorni consecutivi, alla stessa ora del giorno.
Lo studio degli effetti respiratori è stato effettuato mediante la somministrazione
di un questionario e l’esecuzione dell’esame spirometrico.
Questionario sui sintomi respiratori
Il primo giorno di studio, all’inizio del turno, è stata somministrata
una versione modificata del questionario CECA del 1993, comprendente
anche domande riguardanti l’attività lavorativa (anzianità lavorativa, precedenti
esposizioni a fattori di rischio per l’apparato respiratorio). Nelle
successive occasioni è stata usata una versione semplificata costituita da
domande riguardanti la comparsa (e le eventuali circostanze scatenanti)
di sintomi, l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale e l’eventuale
verificarsi di situazioni tali da determinare un’esposizione superiore alla
norma.
Prove di funzionalità respiratoria
Lo spirometro utilizzato è un pneumotacografo (Flowscreen Viasys,
Germany). La calibrazione dello strumento e le misure sono state effettuate
secondo i criteri ERS/ATS (Miller et al, 2005). I soggetti hanno eseguito
la prova sempre alla stessa ora del giorno e nella posizione seduta.
Sono state registrate le tre prove considerate ripetibili, ed è stata inclusa
nell’analisi la prova con la somma maggiore di FEV1 e FVC. I valori registrati
sono stati sia i valori assoluti che le percentuali ottenute facendo
riferimento ai valori predetti dalla CECA. Gli indici di funzione respiratoria
misurati sono stati i seguenti: PEF, FEV1, FVC, FEF25%, FEF50%,
FEF75%.
Analisi statistica
Il software utilizzato è stato SPSS 11. Il test utilizzato per evidenziare
eventuali differenze significative dei principali indici di funzione respiratoria
(PEF, FEV1, FVC, FEF25%, FEF50%, FEF75%) tra l’inizio e
la fine di ciascun turno di lavoro è stato il t test per dati appaiati. È stato
eseguito un test GLM per misure ripetute per verificare l’interazione tra
la variabilità giornaliera degli indici di funzione respiratoria e l’esposizione
alla frazione respirabile della polvere.
RISULTATI
Tutti i lavoratori hanno risposto al questionario ed eseguito i test di
funzionalità respiratoria sia all’inizio che entro 40 minuti dalla fine del
turno di lavoro. Hanno dichiarato di avere usato i dispositivi di protezione
individuale ogni qual volta si recavano in aree di lavoro polverose. L’anzianità
lavorativa media è risultata di 11 anni. L’età madia dei lavoratori
arruolati è stata di 44 anni. Non sono state evidenziate differenze significative
negli indici di funzione respiratoria tra l’inizio e la fine del turno
di lavoro, nè interazioni tra la funzione polmonare e l’esposizione occupazionale.
DISCUSSIONE
I risultati di questo studio non hanno mostrato alcuna evidenza di effetti
respiratori a breve termine correlati alle fluttuazioni quotidiane di
polverosità tra i lavoratori studiati a questi livelli di esposizione occupazionale.
L’applicazione di questo disegno di studio assume una particolare
importanza nella valutazione delle dinamiche delle modificazioni respiratorie,
nel predire gli effetti a lungo termine ed infine nello studio delle
relazioni dose-effetto. Inoltre potrebbe essere utilizzato per la valutazione
della funzione polmonare in soggetti “suscettibili” (arruolando ad es. sottogruppi
di fumatori, bronchitici cronici).
Gli svantaggi e le difficoltà maggiori nell’applicazione di questo modello
di studio sono rappresentate dalla difficoltà nel reclutamento e dalla
possibilità di drop out dallo studio.
BIBLIOGRAFIA
1) Ba Ali, Ballal SG, Albar AA, Ahmed HO. Post-shift changes in pulmonary
function in a cement factory in eastern Saudi Arabia. Occup
Med 1998; 48(8): 519-22.
2) Mwaiselage J, Moen B, Bråtveit M. Acute respiratory health effects
among cement factory workers in Tanzania: an evaluation of a simple
health surveillance tool. Int Arch Occup Environ Health 2006;
79: 49-56.
P-13
ADSORBIMENTO DI STREPTAVIDINA SU NANOTUBI
DI CARBONIO A PARETE SINGOLA: REALIZZAZIONE
DI NANOSTRUTTURE FLUORESCENTI
M. Bottini1 , A. Magrini2 , E. Bergamaschi3 , L. Coppeta2 , G. Somma2 ,
A. Pietroiusti2 , A. Bergamaschi4 1 Burnham Institute for Medical Research, La Jolla, California
2 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Roma
Tor Vergata
3 Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione,
Università degli Studi di Parma
4 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma
Corrispondenza: Massimo Bottini - Burnham Institute for Medical
Research - 10901 North Torrey Pines Road, La Jolla, California 92037,
USA - E-mail: mbottini@burnham.org
STREPTAVIDIN ABDSORPTION ON SINGLE WALL
NANOTUBES: REALIZATION OF FLUORESCENT
NANOSTRUCTURES
ABSTRACT. Carbon nanotubes (NTs) are undergoing intense
investigation to explore their unique morphological, electronic,
mechanical, thermal and optical properties. In many cases, to fabricate
nanodevices or supramolecular composites capable of taking full
advantage of their unique properties, NTs must be attached to other
molecules, nanoparticles (NPs) or surfaces. We investigated the
adsorption of streptavidin (Str) onto single walled NTs (SWNTs).
In particular, our research decorated SWNTs with Str-conjugated
ZnS-encased CdSe quantum dots. The resulting NT-Str-QD
nanoassembly fully dispersed in physiologic buffer and was visible
by conventional fluorescent microscopy. The latter property suggests
that using Str as a macromolecular linker avoids energy transfer from
semiconducting QDs to the NTs. Therefore, the NT-Str-QD represents
a potentially excellent scaffold for constructing intracellular
multivalent nanoprobes.
Key words: nanotubes, nanoparticles, streptavidin.
INTRODUZIONE
Sin dalla loro scoperta avvenuta nel 1991, i ricercatori hanno considerato
i CNT come il principale candidato per dominare la nanotecnologia
nel XXI secolo.
I nanotubi di carbonio (carbon nanotubes, CNT) sono molecole cilindriche
di carbonio aventi proprietà che li rendono potenzialmente utili per
moltissime applicazioni dall’elettronica, alla meccanica, alla medicina
date le loro dimensioni estremamente piccole (10 -9 metri) Vi sono due tipi
di CNT: a parete singola (single-walled carbon nanotubes, SWNT) ed a
parete multipla (multi-walled carbon nanotubes, MWNT) (1-3).
I CNT possono essere pristini (cioè senza alcuna funzionalizzazione
chimica) oppure funzionalizzati in seguito ad ossidazione tramite acidi
forti, che arricchisce le punte e le pareti dei nanotubi di gruppi carbossilici,
rendendoli dispersibili in soluzioni acquose ed ottime basi per ulteriori
manipolazioni chimiche (4-7).
Alcuni ricercatori hanno descritto CNT decorati con quantum dot
(QD) in modo covalente e non covalente. I mezzi usati per legare i QD ai
CNT mentre da una parte permettono la preparazione di nanoassemblati
con eccellenti proprietà optoelettroniche e fotoniche, dall’altra potrebbero
introdurre dei transfer tra i due materiali in modo da annullare la

128 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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fluorescenza limitando, così, la visualizzazione con la microscopia convenzionale.
La streptavidina (Str) è una proteina tetramerica di peso molecolare
64-kDa, con un diametro di 5nm e che usa sulla sua superficie amine per
poter adsorbire come un’elica sulle pareti dei CNT pristini (8).
In questa ricerca abbbiamo voluto vedere se potevamo decorare
SWNT con QD coniugati con la steptavidina (SW-Str-QD) ed eventualmente
quali fossero le capacità endocitosiche di tale complesso nelle cellule
Jurkat T leucemiche.
MATERIALI E METODI
Sono stati utilizzati SWNT pristini, Str-QD, αCD3 con biotina e non
coniugati, siero di topo normale, siero di capra normale, anticorpi antitopo,
mezzi di cultura cellulare con alta quantità di glucosio, siero fetale
di bovino, formaldeide poli-L-lisina coniugata a concavalina A, dimetil
formaldeide, Triton x-100, PBS e cellule Jurkat T leucemiche.
I SWNT sono stati dapprima sonicati per dar loro una uniforme dispersione.
Poi 100 µg di questa dispersione è stata lavata 5 volte con PBS. Il precipitato è
stato disperso in Str-QT PBS, sonicati, filtrati e dispersi di nuovo in PBS.
Le immagini Str-QD e SWNT-Str-QD sono state evidenziate usando
microscopio a fluorescenza e microscopio elettronico.
RISULTATI
Nella Figura 1 sono riportate le fotografie dei SWNT pristini (A), del
complesso disperso SWNT-Str-QD (B) ed uno schema che evidenzia l’interazione
tra i recettori di membrana CD3 sulle cellule Jurkat T leucemiche
ed il complesso SWNT-streptavidina-quantum dot (C).
Nella Figura 2 sono riportate le immagini di Str-QD in PBS usando
il microscopio ottico (A) e confocale (B).
Nella Figura 3 sono riportate le immagini al microscopio ottico (A),
confocale (B) e al microscopio elettronico di SWNT-Str-QD (C).
Figura 1
Figura 2
Figura 3
DISCUSSIONE
Il campo emergente della nanomedicina, usando nanoassemblati ultramolecolari
a paragone di molecole piccole attualmente in uso, può permettere
lo sviluppo di mezzi più idonei per la diagnosi e il trattamento di
malattie maligne. Perché sia accresciuta la loro efficacia diagnostica o terapeutica,
questi nanoassemblati ultramolecolari devono essere realizzati
tali da funzionare in ambienti biologicamente rilevanti ed avere una capacità
di carico multivalente in modo da poter evidenziare con facilità
una cellula o trasferire in essa un medicamento. Nell’ultima decade sono
stati preparati e testati diversi tipi di nanoparticelle per vari tessuti target.
Ma pochissimi articoli sono stati pubblicati riguardo la loro citotossicità.
Tali studi hanno preso in considerazione essenzialmente i SWNT pristini
(cioè senza alcuna funzionalizzazione chimica) mettendo alla luce la loro
possibile tossicità. Poco si sa sulla tossicità dei SWNT in seguito a trattamenti
chimici, in particolare in seguito ad ossidazione con acidi forti,
che arricchendo le loro punte e le loro pareti di gruppi carbossilici li rendono
disperdibili in soluzioni acquose ed ottime basi per ulteriori manipolazioni
chimiche.
Molti autori hanno mostrato come sia possibile usare SWNT per
veicolare all’interno della cellula sostanze che altresì non riuscirebbero
ad oltrepassare la membrana cellulare. L’uso di SWNT in questo
senso implica la loro funzionalizzazione mediante specifici gruppi
chimici funzionali. L’abilità ad essere funzionalizzati e visualizzati in
ambiente biologico con una semplice microscopia fluorescente ha aumentato
la loro potenzialità come nanoprobi biologici. Ma prima di
tutto essi devono essere purificati. Infatti,il materiale appena prodotto
presenta impurezze carbonacee (grafite, carbon black, etc.) e particelle
metalliche provenienti dai catalizzatori utilizzati (nickel, ittrio,
cobalto, etc.)
In questa ricerca abbiamo voluto vedere se il complesso SWNT-Str-
QD può essere usato come nanoprobe fluorescente ed essere introdotte
nelle cellule Jurkart leucemiche mediante endocitosi. I complessi SWNT-
Str-QD sono completamente dispersibili in PBS in contrasto con quanto
accade per i pristini CNT a causa della loro natura idrofobica. Questi nanoassemblati
ultramolecolari, visibili a microscopio fluorescente convenzionale,
appaiono al microscopio elettronico come singoli tubi o piccoli
aggregati.
Per dimostrare che questi nanoassemblati luminescenti possono essere
ancora funzionalizzati sia con piccole molecole che con macromolecole
abbiamo sfruttato la forte affinità esistente tra la biotina e la streptavidina.
Il complesso SWNT-Str-QD funziona come un nanoprobe multivalente
intracellulare nelle cellule Jurkat T leucemiche nelle quali gli anticorpi
CD3 (αCD3) assemblati alla biotina si legano ai loro recettori
CD3R. Al microscopio confocale si vede CDR che media l’endocitosi del
complesso biotina -αCD3-SW-Str-QD.
I risultati suggeriscono che senza la stimolazione di CD3, o in sua
assenza, l’endocitosi è debole ma è fortemente amplificata se viene mediata
da CD3R assemblato a αCD3 unito alla biotina.Una volta internalizzato
nella cellula, il complesso SWNT-Str-QD viene trasportato nei lisosomi.
BIBLIOGRAFIA
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and Carbon Nanotubes. Academic, New York 1996.
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Boca Raton 1997.
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into Mammalian cells. J Am Chem Soc 2004; 126: 6850.
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G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 129
www.gimle.fsm.it
P-14
STATO DELLE CONOSCENZE SUGLI EFFETTI A DISTANZA
DEL FALL-OUT RADIOATTIVO DI CHERNOBYL
G. Sciannamblo, F. Caputo, S. Bruno, A. Lorusso, S. Pranzo,
N. L’Abbate
Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, DIMIMP Università
di Bari, Policlinico Piazza Giulio Cesare, 11 - 70124 Bari
Corrispondenza: Prof. Nicola L’Abbate - Sezione di Medicina
del Lavoro “B. Ramazzini”, DIMIMP Università di Bari,
Policlinico Piazza Giulio Cesare, 11 - 70124 Bari, Italy
- E-mail: n.labbate@radioprotezione.uniba.it
ACTUAL KNOWLEDGE OF THE REMOTE EFFECTS
OF CHERNOBYL RADIOACTIVE FALL-OUT
Key words: Chernobyl nuclear power accident, cesium contamination,
cardiovascular symptoms.
ABSTRACT. INTRODUCTION. 26 April 2006 marked the 20 th anniversary
of the accident at the Chernobyl nuclear plant in northern Ukraine.
As a result of the accident an enormous quantity of radionuclides were
released in atmosphere, especially I-131, Cs- 137 and Sr-90. Cs-137,
with a half-life of 30 years, continues to affect the health of people
living in contaminated regions. The incorporation of radiocesium
induces the evolution of structural and metabolic disorders in vital
organs: these modifications can be integrated into the syndrome
of incorporated long-living radioisotopes.
METHODS. Experimental, anatomo-pathological and clinical studies
performed by the research teams showed the highest accumulation
of Cs-137 in endocrine glands, in particular the thyroid, the adrenals
and the pancreas. High levels were also found in the heart, the thymus
and the spleen. Chronic Cs-137 levels over 50 Bq/Kg body weight
is often associated with serious cardiovascular diseases in childhood
and adolescence.
DISCUSSION. In the coming years, the Cs-137 burden in the organism
of children must be further investigated and the pathogenesis
of different diseases intensively studied, also because
radiocontaminated agricultural land is being increasingly cultivated
and radiocontaminated food is spreading countrywide.
INTRODUZIONE
Il ventesimo anniversario del disastro di Chernobyl ci riporta alla necessità
di indagare meglio le conseguenze a lunga distanza di quell’evento.
A seguito dell’incidente furono liberati isotopi radioattivi per
un’attività totale pari a 11 EBq: I 131 , Te 132 , Zr 95 , Nb 95 , Ce 141 tra gli isotopi
responsabili dell’esposizione esterna, Cs 137 , Cs 134 e Sr 90 per l’esposizione
interna conseguente ad ingestione di cibo contaminato.
Interessante è la problematica della distribuzione di tali radionuclidi
nel corpo umano al fine di avere un’idea della dose all’uomo per una data
esposizione di un certo radioelemento nell’ambiente e una data concentrazione
negli alimenti. Le stime di dose efficace accumulata nei 20 anni
successivi all’incidente (1986-2005) per gli individui della popolazione
generale variano da pochi mSv ad alcune centinaia di mSv in dipendenza
di luogo, età e abitudini di vita come dieta e tempo trascorso fuori casa.
La dose media efficace accumulata fino al 2000 tra i residenti delle zone
a stretto controllo (con densità di deposizione di Cs 137 pari a 555 kBq m -
2) è dell’ordine dei 50 mSv, mentre nelle aree meno contaminate è dell’ordine
dei 10 mSv (1) (Tabella I).
L’incorporazione di radionuclidi induce lo sviluppo di disordini
strutturali e metabolici negli organi vitali; queste modificazioni possono
essere incluse nella cosiddetta “sindrome da incorporazione di radioisotopi
di lunga durata”, ovvero la correlazione tra la presenza anche
di piccole quantità di Cs 137 (50-100 Bq/Kg) nei tessuti e tutta una
serie di patologie in forte crescita soprattutto nei bambini: cardiopatie,
problemi renali, diminuzione della vista, depressione del sistema immunitario.
Tra i radionuclidi di lunga durata, particolare attenzione è rivolta allo
Sr 90 e al Cs 137 .
Tabella I. Stime di dose medie efficace (mSv) per gruppi
di popolazione (da E. Cardis et al 2006)
Popolazione Individui coinvolti Dose media efficace (mSv)
Liquidatori
(1986-1987, 30 km zone)
240.000 100
Sfollati del 1986 116.000 33
Persone che vivono
in arie contaminate:
Densità di deposizione
di 137 Cs >37 kBq m-2 Densità di deposizione
di 137 Cs >555 kBq m-2 c
5.200.000 a 10 b
270.000 50 b
a Comprensive di circa 1.900.000 persone della Bielorussia, 2.000.000 dalla
Russia e 1.300.000 dalla Ucraina.
b Per il periodo 1986-2005.
c Zona a stretto controllo (inclusa nell’area con densità di deposizione >37 kBq m-2 )/
MATERIALI E METODI
Da una revisione di letteratura sono emersi studi epidemiologici, clinici
e anatomopatogici che indagano la patogenesi delle malattie indotte
dall’incorporazione di radiocesio e, in particolare, il ruolo della concentrazione
di Cs 137 nelle cardiomiopatie.
In uno studio che valutava i livelli medi di Cs 137 misurati negli organi
di 52 bambini residenti in aree rurali della regione di Gomel (Bielorussia)
e deceduti per varie cause, sono state riscontrate le maggiori concentrazioni
di tale radioisotopo nelle ghiandole endocrine, in particolare
tiroide, surrene e pancreas; alti livelli si sono registrati anche per cuore,
timo e milza. È stata inoltre riscontrata una stretta relazione tra le strutture
e le funzioni di organi vitali in risposta alla concentrazione di radiocesio
incorporato, in particolare per miocardio, reni e fegato (2).
In uno studio condotto sulla popolazione del sud della Bielorussia si
è riscontrato che i bambini in età scolare soffrono, oltre che di infezioni
respiratorie e gastrointestinali ricorrenti, nonché di cataratta, soprattutto
di dolore toracico associato a sintomi cardiovascolari come alterazione
della pressione sanguigna o ipertensione arteriosa. Questi disordini funzionali
del sistema cardiovascolare sarebbero riscontrati maggiormente in
bambini di età compresa fra i 6 e i 10 anni (3).
Bandazhevsky ha riscontrato elevate concentrazioni di Cs 137 accumulati
a livello placentare e ha ipotizzato che le suddette patologie cardiovascolari
riferite in bambini in età scolare possano essere causate da
un danno di tale radionuclide in fase prenatale. Ha inoltre ipotizzato che
se la concentrazione di tale isotopo nella placenta supera i 100Bq/kg, il
feto va incontro a sofferenza da anossia con conseguente aumento del rischio
di aborto. L’accumulo di radionuclidi nell’organismo di neonati allattati
al seno e le cui madri vivono in zone contaminate è rapido e si protrae
per tutta l’infanzia a seguito dell’assunzione di latte, vegetali e frutta
provenienti da animali e terreni contaminati (4, 5).
Autopsie eseguite nella regione di Gomel mostrano come malattie
cardiache e casi di morti improvvise sono spesso associati ad alti livelli
di Cs 137 nei miocardiociti. Studi istologici rivelano alterazioni degenerative
e necrosi focali di queste cellule, con edema interstiziale. Simili cardiomiopatie
sono state indotte sperimentalmente in cavie esposte a Cs 137 :
questi animali di laboratorio, che hanno incorporato radionuclidi con il
cibo, mostrano danni alle cellule miocardiche con modificazioni strutturali
e funzionali rilevanti. Nello specifico si descrive la soppressione dell’attività
di enzimi come la fosfatasi alcalina e la creatinfosfochinasi, interferendo
con i processi energetici delle cellule cardiache con conseguente
compromissione del loro apparato contrattile (6, 7).
DISCUSSIONE
L’esperienza acquisita sui danni indotti dalle radiazioni si basa su
modelli sperimentali o sulle conseguenze dovute ad esplosioni atomiche
(sia a scopo bellico che per test nucleari) o su pazienti sottoposti a trattamenti
con radiazioni ionizzanti a scopo terapeutico. L’esperienza di Chernobyl
è stata pertanto unica nel suo genere sia per le quantità di radiazioni
liberate che per il numero di persone interessate direttamente o indirettamente
dal fall-out. Questo significa che molti modelli sperimentali, proposti
per cercare di calcolare il rischio delle popolazioni esposte, non
sempre sono applicabili in questo caso.

130 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
L’elevata concentrazione di Cs 137 in alcuni organi o tessuti conduce
a danni irreversibili quando il carico radioattivo si protrae per anni o comunque
supera certi limiti. Sarebbe meritevole di ulteriori indagini lo studio
dei livelli di Cs nell’organismo, soprattutto nei bambini in età scolare,
in considerazione del fatto che, nelle aree rurali, i terreni contaminati vengono
sempre più spesso utilizzati come terreno agricolo, determinando,
in conseguenza, un aumento del consumo di cibo radiocontaminato. In
questo contesto si inseriscono studi per ricercare sostanze assorbenti,
come la pectina, capaci di rimuovere parzialmente il Cs 137 , in quanto legandosi
a questi metalli pesanti nel lume intestinale, ne prevengono il
loro assorbimento. Si tratta di misure di radioprotezione complementari
finalizzate a ridurre l’assorbimento di Cs 137 nell’organismo dei bambini
(3, 8). Infine essendo controverso l’argomento sull’effetto a distanza del
fall-out radioattivo di Chernobyl, sarebbe auspicabile che ricerche di questo
tipo venissero validate dall’intera comunità scientifica internazionale.
BIBLIOGRAFIA
1) Cardis E et al. Cancer consequences of the Chernobyl accident: 20
years on. J Radiol Prot 2006; 26: 127-140.
2) Bandazhevsky Yu. Chronic Cs137 incorporation in children’s organs.
Swiss Med Weekly 2003; 133: 488-490.
3) Bandazhevskaya GS, NesterenkoVB, Babenko VI, Babenko IV,
Yerkovich TV, Bandazhevsky Yu. Relationship between Caesium
(137 Cs) load, cardiovascular symptoms,and source of food in
“Chernobyl” children - preliminary observations after intake of oral
apple pectin. Swiss Med Weekly 2004; 134: 725-729.
4) Bandazhevsky Yu, Lelevich VV. Clinical and experimental aspects of
the effect of incorporated radionuclides upon the organism. Belarus
Gomel 1995; 128.
5) Bandazhevsky Yu. Structural and functional effects of radioisotopes
incorporated by organism. Ministery of Helth Care of the Republic
of Belarus. Belarussian Engineering Academy, Gomel State Medical
Institute 1997; 143.
6) Bandazhevsky Yu, Bandazhevskaya G. Incorporated caesium and
cardiovascular pathology. Int J Rad Med 2001; 3: 11-12.
7) Bandazhevsky Yu. Radioactive caesium and heart (pathophysiologic
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8) NesterenkoVB, Nesterenko AV, Babenko VI, Yerkovich TV, Babenko
IV. Reducing the 137Cs-load in the organism of “Chernobyl”
children with apple-pectin. Swiss Med Weekly 2004; 134: 24-27.
P-15
UN CASO DI PNEUMOCONIOSI IN UN’AZIENDA ITALIANA
DI CONFEZIONE DI JEANS
G. De Filippis1 , B. Tamborino1 , L. Nuzzo2 , L. Di Lorenzo3 , A. Basso3 ,
S. Trabucco4 , L. Soleo3 1 Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro AUSL
LE/1, Lecce
2 Servizio Pneumotisiologico AUSL LE/1, Lecce
3 Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione
di Medicina del Lavoro “EC Vigliani”, Università di Bari
4 Unità Operativa di Anatomia Patologica “EE Franco”,
Azienda Ospedaliera Policlinico, Bari
Corrispondenza: Luigi Di Lorenzo - Sezione di Medicina del Lavoro
“E. C. Vigliani”, Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica
Università di Bari, Policlinico di Bari - 70124 Bari, Italy
- Tel: +39 080 5478220, Fax: +39 080 5478203,
E-mail: l.dilorenzo@medlav.uniba.it.
PNEUMOCONIOSIS IN AN ITALIAN JEANS MANUFACTURING
PLANT: CASE REPORT
Key words: pneumoconiosis, sandblasting, jeans manufacturing.
ABSTRACT. In the last decades the incidence of sclerogenous
pneumoconioses decreased in industrialized countries due to preventive
interventions in the workplace. Nevertheless new cases of
pneumoconiosis can still occur, especially in atypical work settings with
exposure to silica mixed dusts. A case of lung fibrosis in a male worker
employed in a jeans manufacturing plant between 1992 and 2001 is
described. The worker first became ill in September, 2001 with
productive cough, mild exercise dyspnea and evening fever. Chest
radiographs showed diffuse bilateral small nodules and mediastinal
lymph node enlargement. Although persistently sputum negative for acid
and alcohol fast bacilli, antitubercular therapy was performed
ineffectively. The intervention of occupational physicians allowed to
establish long lasting occupational exposure to silica containing dusts
in sandblasting of denim trousers with poor working conditions.
Transbronchial lung biopsy showed interstitial fibrosis with few
granule-containing histiocytes. The competencies of occupational
medicine are necessary still nowadays to assess the etiology of some
interstitial lung fibrosis, so providing adequate therapy and workers’
compensation.
INTRODUZIONE
Le pneumoconiosi sclerogene, molto frequenti in passato, si sono
fortemente ridotte negli ultimi decenni nei paesi industrializzati, grazie
agli interventi di prevenzione primaria e secondaria realizzati (1). Ciononostante
tali patologie sono ancora oggi responsabili di nuovi casi e di decessi,
anche in lavoratori giovani (1). Inoltre è in aumento il numero di
segnalazioni di pneumoconiosi da esposizioni professionali inusuali, prevalentemente
a polveri miste a vario contenuto di silice cristallina (2).
Tali esposizioni “atipiche” pongono particolari difficoltà per la diagnosi
eziologica e il conseguente riconoscimento di malattia professionale.
Ci proponiamo di descrivere l’iter diagnostico di un caso di fibrosi
polmonare insorto in un operaio dipendente di un’azienda di produzione
di blue-jeans tra il 1992 e il 2001.
DESCRIZIONE DEL CASO
D.C., maschio, nato nel gennaio 1965. Ex fumatore dall’ottobre
2001; ha fumato 20 sigarette al dì per 15 anni. Nel settembre 2001 compariva
tosse produttiva, dispnea da sforzo lieve e iperpiressia serotina con
rialzi di temperatura fino a 41°C per cui, nel novembre 2001, si ricoverava
in ambiente pneumologico. Le radiografie del torace evidenziavano
“addensamenti parenchimali apicali bilaterali con nodulini miliariformi
diffusi nei due polmoni e ipertrofia di linfonodi mediastinici”. Nonostante
la ripetuta negativa ricerca di bacilli acido-alcol resistenti nell’espettorato,
fu dimesso con diagnosi: “tubercolosi (TBC) miliare diffusa
acuta in soggetto con addensamenti polmonari biapicali…” e con terapia
antimicobatterica, continuata per circa 18 mesi. Questa che non ha mai risolto
la sintomatologia respiratoria né l’iperpiressia serotina. I successivi
accertamenti hanno evidenziato: aprile 2002: Tomografia Assiale Computerizzata
(TAC) del torace: “…micronodulazione parenchimale nei
campi medio-superiori, più evidente a destra…”; luglio 2002: negativa la
ricerca del Mycobacterium MTB-DNA, degli anticorpi anti-Legionella, -
Clamidia Trachomatis, -Mycoplasma Pneumoniae, e di quelli anti-citoplasma
dei neutrofili (ANCA), anti-dsDNA e anti-ENA, negativi anche
gli esami ematochimici di routine, gli indici bioumorali di flogosi, gli altri
test per patologie reumatiche e autoimmuni, le sottopopolazioni linfocitarie,
le frazioni del complemento, gli ormoni tiroidei e l’Antigene Carcino-Embrionario.
Nell’ottobre 2003 l’INPS negava al paziente le previdenze
previste per la TBC, non ritenendo sufficientemente documentata
la diagnosi e lo inviava presso il Servizio di prevenzione e sicurezza degli
ambienti di lavoro della AUSL competente per approfondire l’eventuale
esposizione professionale a polveri minerali. I medici del lavoro
hanno evidenziato che il lavoratore era stato addetto alla sabbiatura manuale
della tela jeans con sabbia contenente silice cristallina, tra il gennaio
1992 e il giugno 1997 e poi tra il gennaio 1998 e l’ottobre 2001.
Dopo tale data il lavoratore ha dovuto abbandonare tale mansione per
l’insorgere della sintomatologia respiratoria sopradescritta. La sabbiatura
mirava a conferire l’effetto usato al tessuto jeans e avveniva tramite un sistema
pneumatico manuale ad elevata pressione, in ambiente confinato,
dotato di cappa aspirante insufficiente ad abbattere la polverosità ambientale.
Il lavoratore utilizzava, in maniera discontinua, mascherine non
adeguate. Granulometria, frazione respirabile e composizione della sabbia
sono in corso di definizione. L’esame istologico di frustoli di tessuto
ottenuti tramite biopsia polmonare transbronchiale ha evidenziato parenchima
polmonare interessato da fibrosi interstiziale, con focale presenza
di istiociti contenenti microparticelle di materiale corpuscolato brunastro.
La spirometria ha riscontrato un deficit ventilatorio misto di grado lieve

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 131
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e l’emogasanalisi arteriosa una discreta ipossiemia a riposo (PaO 2 = 75
mmHg). Si concludeva per una pneumoconiosi da polveri miste, si giudicava
il lavoratore non idoneo alla mansione specifica di sabbiatore e si
inoltrava primo certificato di malattia professionale all’INAIL. L’Istituto
assicuratore riconosceva l’origine professionale della fibrosi polmonare e
un’inabilità derivantene del 13%.
DISCUSSIONE
È tuttoggi possibile riscontrare anche in Italia casi sporadici di pneumoconiosi
in lavorazioni atipiche in seguito all’inalazione prolungata in
ambiente confinato di elevate concentrazioni di polveri miste, a vario tenore
di silice cristallina. Tali lavorazioni “di nicchia” devono diventare
oggetto di attenzione da parte della medicina del lavoro e dell’igiene industriale
al fine di monitorare gli ambienti di lavoro e tutelare la salute
dei lavoratori e così prevenire l’insorgenza di quadri, anche atipici, di
pneumoconiosi.
Inoltre il ricorso tempestivo e routinario alla consulenza di specialisti
in medicina del lavoro è auspicabile in presenza di interstiziopatie polmonari
in soggetti in età lavorativa per una diagnosi eziologica precoce.
Quest’ultima risulta necessaria al fine di garantire un’adeguata terapia e
una corretta definizione medico-legale dei singoli casi.
Il caso sovradescritto dimostra che la cultura della medicina del lavoro
deve ancora affermarsi in alcuni comparti industriali, ma anche fra
gli stessi medici, nonostante il suo insegnamento sia obbligatorio da 15
anni.
BIBLIOGRAFIA
1) Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Changing patterns
of pneumoconiosis mortality - United States, 1968-2000.
MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2004; 53: 627-632.
2) Gong H Jr. Uncommon causes of occupational interstitial lung diseases.
Curr Opin Pulm Med 1996; 2: 405-411.
P-16
VALUTAZIONE DEL RISCHIO CANCEROGENO
NEL COMPARTO GALVANICO
R. d’Angelo1 ,E. Russo1 , G. Lama2 , A. Del Gaudio3 , L. Attaianese4 1 Contarp - INAIL, Direzione Regionale per la Campania
2 ASL - CE2, Servizio di Medicina e Igiene del lavoro
3 SCA s.r.l., Servizi tecnici
4 Indesit Company SpA
Corrispondenza: R. d’Angelo - Contarp - INAIL,
Direzione Regionale per la Campania
EVALUATION OF CANCEROGENOUS RISK IN GALVANIC
TECHNOLOGIES
Key words: electroplating, occupational cancer, risk analysis.
ABSTRACT. In the last year, we studied 8 companies with production
processes involving galvanic technologies, with the goal to verify
the “title VII of D.lgs 626/94”.
Research results showed that there are many critical issues that
underline the need of an improved awareness about the worker’s
exposure to cancerogenous materials. We also think that a greater
cooperation among managers, occupational physicians and ever
workers would be useful. The companies have cooperated in the
research allowing us to fix some items and to reach results that
represent a remarkable improvement in the management of the
cancerogenous risk.
INTRODUZIONE
L’industria di elettrodeposizione dei metalli, comunemente definita
galvano-tecnica, comprende processi di rivestimento e finitura di superfici
metalliche. Il processo di elettrodeposizione avviene attraverso una
scarica di ioni metallici posti in soluzione (bagno galvanico) che migrano
sul pezzo da trattare detto catodo. Le proprietà del metallo elettrodepositato
dipendono da diversi parametri, alcuni dei quali ad es. la temperatura
e l’agitazione incidono notevolmente sul livello di inquinamento ambientale.
Il principale rischio per la salute presente nel comparto galvanico
risulta essere quello chimico (1). Ciò deriva dall’utilizzo come materie
prime di numerose sostanze che possono causare gravi effetti sulla
salute, tra queste un rilievo va dato alle sostanze cancerogene.
I principali trattamenti di elettrodeposizione collegati al rischio cancerogeno
risultano essere: la cromatura a spessore, la cromatura lucida; la
nichelatura; la nichelatura chimica; la zincatura; la cadmiatura; l’anodizzazione
cromica.
Il rischio cancerogeno è dovuto all’utilizzo nei bagni di cromo e
composti, cadmio, nichel e composti. Nella Tabella I vengono riportate le
più frequenti sostanze cancerogene utilizzate nei bagni galvanici e i loro
organi bersaglio (2).
Tabella I. Sostanze cancerogene utilizzate nei bagni galvanici
organo bersaglio
Sostanza Organo bersaglio Evidenza
Cadmio e composti Polmone, Prostata Certa
Nichel e composti Seni nasali, Polmone Certa
Laringe Probabile
Cromo e composti Polmone, Seni nasali Certa
Zinco cromato, Zinco potassio, cromato Polmone Certa
Composti del cobalto Polmone Certa
MATERIALE E METODI
L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di verificare le modalità di
gestione del rischio cancerogeno ai sensi del titolo VII del D.L.vo 626/94
(3), relativamente a 8 aziende del comparto galvanico, ubicate in Campania.
Le ditte sono state ripartite in tre gruppi in funzione delle dimensioni
aziendali (fino a 5 dipendenti, da 6 a 10 Dipendenti, da 11 a 20 dipendenti).
Le attività svolte sono rappresentate da: cromatura, nichelatura,
zincatura.
RISULTATI
Tutte le otto aziende esaminate utilizzavano sostanze cancerogene
(etichettate R45, R49) e/o potenzialmente cancerogene (etichettate R40).
Nella Tabella II vengono elencate le sostanze cancerogene/potenzialmente
cancerogene utilizzate dalle aziende esaminate.
Tabella II. Sostanze cancerogene/potenzialmente
cancerogene utilizzate
Frase
Sostanza
di rischio
Sodio bicromato, Anidride cromica, Cobalto solfato R49
Nichel solfato, Nichel metallo, Nichel cloruro esaidrato,
Tiourea, Alchil fenolo etossilato solfitato, Percloroetilene, R40
Ac. Benzoico sulfimmide sale sodico, Formaldeide
I sopralluoghi tecnici effettuati presso le aziende hanno evidenziato
che nessuna di esse aveva utilizzato il cosiddetto “ciclo chiuso” per le sostanze
cancerogene. Sei aziende erano completamente prive di sistemi di
aspirazione. Solo un’azienda adottava procedure di lavoro in sicurezza sia
per condizioni ordinarie di lavoro che per le emergenze, tuttavia tali procedure
non risultavano formalizzate. Due aziende avevano effettuato
un’indagine ambientale per la misurazione degli inquinanti aerodispersi
tra cui le sostanze cancerogene. Due aziende avevano provveduto a stoccare
le sostanze chimiche in aree appositamente riservate e dotate dell’apposita
cartellonistica. Tutte le aziende fornivano dispositivi di protezione
individuale (DPI); solo due utilizzavano in realtà DPI idonei. Tre aziende
non avevano nominate il medico competente. Su cinque aziende sottoposte
a sorveglianza sanitaria due prevedevano nel protocollo l’effettuazione
di monitoraggi biologici specifici per le sostanze cancerogene. Solo un’azienda
aveva istituito il registro degli esposti a sostanze cancerogene.
CONCLUSIONI
Il campione d’aziende sottoposto all’indagine, anche se di dimensione
ridotte, ha comunque messo in evidenza che nel comparto galvanico
in regione Campania, il rischio cancerogeno è particolarmente rilevante.
In particolare, l’indagine ha evidenziato (Tab. III):

132 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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Tabella III. Risultati
Azienda 1 2 3 4 5 6 7 8
Lavorazione A B C A B,D A,C A A
Sistema chiuso no no no no no no no no
Aspirazione
localizzata si no no si no no no no
Procedure di sicurezza *si no no no no no no no
Monitoraggio ambientale si no no si no no no no
Stoccaggio cancerogeni Ad no no Ad no no no no
DPI Id Nid Nid Id Nid Nid Nid Nid
Misure igieniche Ad no no Ad no no no no
Informazione/formazione si no no si no no no no
Sorveglianza sanitaria **si si si **si no no no no
Registro esposti si no no no no no no no
A = Cromatura; B = Zincatura, C = Nichelatura; D = Cromatazione, Ad = Adeguato,
Id = idonei; Nid = non idonei; * non formalizzate; ** con monitoraggio
biologico
1) Assenza dell’applicazione di misure di prevenzione primaria, quali:
– la sostituzione dell’agente cancerogeno o in alternativa l’utilizzo
del sistema a ciclo chiuso;
– utilizzo di impianti automatizzati per l’immersione dei pezzi
nelle vasche di trattamento, che consentono di ridurre sia l’entità
d’esposizione che il numero di operatori esposti;
– utilizzo di sistemi di aspirazioni localizzati (erano presenti solo
in due aziende);
– verifica dell’efficacia dei sistemi di aspirazione localizzati, attraverso
il monitoraggio ambientale degli agenti cancerogeni.
Nessuna azienda aveva programmato controlli ambientali nel
tempo; due aziende avevano eseguito un unico monitoraggio che
teneva conto della presenza nel ciclo produttivo delle sostanze
cancerogene;
– predisposizione di procedure per la gestione delle sostanze cancerogene
sia nelle condizioni ordinarie di lavoro che delle emergenze
(ad es. modalità di comportamento in caso di incendio, in
caso di travasi accidentali di sostanze chimiche ecc.), nessuna
azienda aveva procedure formalizzate;
– informazione e formazione dei lavoratori sugli agenti cancerogeni
o mutageni presenti nei cicli lavorativi, la loro dislocazione,
i rischi per la salute connessi al loro impiego, compresi i rischi
supplementari dovuti al fumare; le precauzioni da prendere per
evitare l’esposizione, le misure igieniche da osservare; la necessità
di indossare e di impiegare indumenti di lavoro e protettivi
e dispositivi individuali di protezione ed il loro corretto impiego;
il modo di prevenire il verificarsi di incidenti e le misure da
adottare per ridurre al minimo le conseguenze. Nella maggior
parte dei casi, in ben sei aziende, i lavoratori erano poco informati
sui rischi legati all’utilizzo di sostanze cancerogene e risultava
limitata la formazione dei lavoratori in merito ai comportamenti
da adottare,. Per quanto riguarda le misure igieniche in poche
aziende veniva osservato il divieto di fumo, e i lavoratori
erano stati informati sull’importanza di un’adeguata igiene personale
prima del pranzo. In molti casi i lavoratori non avevano a
disposizione un doppio armadietto per tenere separati gli indumenti
da lavoro da quelli civili;
– utilizzo di idonei dispositivi di protezione individuale in qui momenti
lavorativi dove la protezione collettiva è insufficiente per
la salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori. Tranne in
due casi, in cui il datore di lavoro si era impegnato personalmente
nella ricerca di DPI adeguati, i DPI utilizzati non risultavano
idonei (4);
– stoccaggio dei recipienti e fusti contenenti le sostanze chimiche
pericolose in apposito locale ben areato con ventilazione naturale
continua opportunamente segnalato con idonea cartellonistica.
Solo due aziende avevano affrontato in modo corretto lo
stoccaggio.
2) Sorveglianza sanitaria:
– la sorveglianza sanitaria degli esposti a cancerogeni professionali
riveste un ruolo fondamentale ai fini della prevenzione. A
parte le tre aziende che non avevano provveduto a nominare il
medico competente, in due aziende i relativi medici competenti
avevano inserito nel piano sanitario il monitoraggio biologico
della sostanza cancerogena. In particolare era prevista la misurazione
del cromo urinario, nelle urine a fine turno fine settimana.
Nelle altre tre aziende i rispettivi medici non avevano
preso in considerazione l’esposizione a sostanze cancerogene.
Complessivamente la partecipazione del medico competente al
processo di valutazione del rischio è risultata insignificante.
Come indicato, scopo principale dell’indagine era la verifica dell’applicazione
del titolo VII del D.Lgs 626/94, e di pari passo la diffusione tra
le aziende del comparto di conoscenze più approfondite in materia di rischio
cancerogeno e i conseguenti interventi di prevenzione più appropriati.
In particolare, questo ha portato, presso le aziende esaminate alla
realizzazione dei seguenti interventi: installazione di un impianto di aspirazione
localizzato, esecuzione di un monitoraggio ambientale; stoccaggio
in maniera adeguata delle sostanze pericolose; formalizzazione di
procedure di lavoro di sicurezza che risultano esposte direttamente nei
luoghi di lavoro; utilizzo di DPI idonei; nomina del medico competente
per le tre aziende che non avevano ancora provveduto a farlo.
Nonostante la maggioranza delle aziende esaminate fosse rappresentata
da aziende artigianali, spesso alle prese con problemi gestionali o finanziari,
la collaborazione e l’attenzione per la problematica è stata tale,
che nel giro di poco tempo, si è riusciti a migliorare notevolmente la gestione
del rischio cancerogeno.
BIBLIOGRAFIA
1) Coordinamento Tecnico per la Sicurezza nei luoghi di lavoro della
Regione e delle Province autonome - Titolo VII Dlgs 626/94- Protezione
da agenti cancerogeni e/o mutageni - Linee guida - aggiornamento
2002.
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editrice Universo - Roma.
3) D.Lgs 19 settembre 1994, 626 “attuazione delle direttive 89/391/CEE,
89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE,
90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza
e della salute sui luoghi di lavoro”.
4) Cassinelli C, Arfaioli C, Ricucci S, Bolognesi R. Rischi per la salute
nelle galvaniche - Guida all’utilizzo dei dispositivi di protezione personale
- Sesto Fiorentino.
P-17
VIGILANZA SUL RISCHIO CHIMICO NEI CALZATURIFICI,
COME PREMESSA PER UN AUDIT GESTIONALE
G. Bilancio1 , A. Sacco2 , L. Bevilacqua3 , N. Magnavita4 1 Servizio di Igiene e Medicina del Lavoro, ASL NA3,
Frattamaggiore (NA)
2 Spresal ASL FR, Frosinone
3 Spresal ASL RMF, Civitavecchia
4 Istituto di Medicina del Lavoro, UCSC Roma
Corrispondenza: Nicola Magnavita - Istituto di Medicina del Lavoro,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Gemelli, 8 - 00168 Roma,
Italy - Tel. 3473300367, Fax 0661909399, E-mail: nicolamagnavita@tiscali.it
VIGILANCE ON THE CHEMICAL RISK IN THE SHOE
FACTORIES, A PREMISE FOR MANAGEMENT AUDIT
Key words: audit, vigilance, shoe factories.
ABSTRACT. Formal audit programmes designed to provide
management with established governmental standards and good
industrial standards are widely diffused in companies in North America
and Europe. Management systems assessments are concerned with the
quality of system design, the effectiveness of the implementation
of health programmes and the competence and adequacy of resources.
They can be very disruptive to plant operations, and they must be well
prepared before commencing the fieldwork.
In order to achieve this, our Local sanitary unity sent to all shoe
factories in Naples3 area a pre-audit questionnaire, requesting safety

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 133
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data sheets, health practitioner’s name, and health surveillance
program.
Rough 1/3 of shoe factories in the area responded to the questionnaire.
Chemical substances included acetone, ethyl-acetate, cycloesane,
methyl-ethyl-ketone, n-esane, 1,2-dichloropropane, eptane,
trichloroethylene, tetrachloroethylene, solvent naphta. More than 2/3
of physician did not perform biological monitoring of exposed workers.
Other special investigations were often unrelated to exposition. Strong
effort is required, in order to attain acceptable levels of quality in
health and safety management in shoe factories.
INTRODUZIONE
Le valutazioni del sistema gestionale della sicurezza o “management
systems assessments” sono processi di auditing a cascata, focalizzati sulla
valutazione dei processi decisionali nell’intera azienda (1). Essi mirano a
valutare la qualità del sistema, l’efficacia della messa in opera dei programmi
di prevenzione e l’adeguatezza delle risorse. Il loro punto focale
è l’identificazione delle carenze che possono determinare un livello di rischio
inaccettabile per l’organizzazione e le loro cause. Benché indispensabili
ad una corretta gestione delle risorse, queste valutazioni possono
avere un impatto molto forte sull’organizzazione aziendale, e devono
quindi essere accuratamente preparate.
Prima di proporre l’applicazione di tale metodologia, l’organo di vigilanza
è tenuto a condurre un approfondito lavoro preparatorio, la cui
prima tappa è l’acquisizione di informazioni sul comparto produttivo che
si intende migliorare.
MATERIALI E METODI
È stata elaborata una scheda informativa che è stata trasmessa ai datori
di lavoro del territorio della ASL NA3. Tale scheda chiedeva di fornire
le schede tecniche di sicurezza degli agenti chimici pericolosi utilizzati,
il nominativo del medico competente ed il programma di sorveglianza
sanitaria.
RISULTATI
L’indagine ha consentito di delineare la mappa degli insediamenti produttivi
ed il censimento degli agenti chimici in uso. Le aziende non hanno
una distribuzione omogenea. Il comune più rappresentato nell’ambito dell’ASL
NA3 è Grumo Nevano con 56 aziende, 13 delle quali (23%) hanno
fornito la documentazione richiesta. Seguono, in ordine di frequenza, il comune
di Arzano (14 aziende, delle quali hanno risposto 6, pari al 43%) e di
Casandrino (14 aziende, hanno partecipato 4, pari al 28%), e gli altri comuni,
nei quali si trovano meno di 10 aziende. Complessivamente, a fronte
di 102 aziende censite, i dati raccolti sono relativi a 32 aziende (31%).
Gli agenti chimici comprendono: acetone, etil-acetato, cicloesano
(presenti in tutte le aziende del settore), metiletilchetone, n-esano, 1,2-dicloropropano,
eptano, tricloroetilene, tetracloroetilene, nafta solvente.
Solo in 3 calzaturifici vengono utilizzati collanti, la cui componente liquida
è costituita da acqua o soluzioni acquose ammoniacali. I prodotti
maggiormente pericolosi, come il tricloroetilene (cancerogeno), l’nesano
al 99% e il tetracloroetilene, vengono impiegati nelle fasi di smacchiatura
della tomaia in 4 aziende (12,5%).
Dalle dichiarazioni dei datori di lavoro risulta che meno di un terzo
dei medici competenti (4 su 13 responsabili dei 32 calzaturifici) fa ricorso
a monitoraggio biologico. Uno solo di tali specialisti predispone l’effettuazione
degli esami tossicologici in tutte le aziende che segue. Si osserva
inoltre in questi casi che i metaboliti indicati nei protocolli di sorveglianza
sanitaria spesso non corrispondono agli agenti chimici cui i lavoratori
del calzaturificio sono esposti. Spesso vengono dosati metaboliti
obsoleti, che potrebbero essere sostituiti da indicatori più sensibili e specifici.
Nella maggior parte dei casi non viene dosato nessun metabolita.
In una significativa quota dei calzaturifici (10/32, il 31%) gli accertamenti
previsti dal protocollo di sorveglianza sanitaria non risultano correlati
al rischio specifico. Non trova difatti giustificazione il ricorso alla valutazione
bioumorale dei livelli di trigliceridi, colesterolo e glicemia, così come
l’effettuazione dell’esame elettrocardiografico. Alcuni medici competenti
effettuano tali accertamenti sanitari addirittura con frequenza semestrale.
DISCUSSIONE
L’indagine ha permesso di evidenziare significative carenze del processo
di controllo dei rischi professionali nell’industria calzaturiera. L’a-
spetto più rilevante è che il 70% delle aziende non ha risposto alla richiesta
di informazioni, ancorché i dati richiesti fossero quanto mai elementari. Ciò
induce a ritenere che la situazione reale dell’industria calzaturiera del napoletano
sia peggiore di quella rilevata, in quanto le aziende che hanno risposto
sono verosimilmente le più sensibili alle tematiche di salute e sicurezza.
Ciò nonostante, i datori di lavoro hanno una conoscenza limitata dei possibili
danni per la salute connessi con l’attività professionale, e non risultano
efficacemente assistiti dai consulenti né per quanto riguarda la valutazione
del rischio (che è sempre estremamente lacunosa e reticente sui livelli di
esposizione) né per la sorveglianza sanitaria (che non è in grado di fornire
evidenze di assorbimento, né di danno precoce). Molti datori di lavoro, che
spesso ricoprono anche il ruolo di responsabili del servizio di prevenzione e
protezione, sembrano ritenere di avere ottemperato ai propri obblighi semplicemente
delegando ad un medico l’esecuzione delle visite mediche.
Per quanto riguarda specificamente i medici competenti, emerge una
stridente contraddizione tra lo scarso ricorso agli indicatori biologici di
esposizione, dimostrato da questa indagine, e la dichiarata adesione ai
protocolli nazionali o internazionali di sorveglianza sanitaria e alle buone
pratiche di medicina del lavoro che emergono da un’altra indagine condotta
da questa ASL sugli stessi medici competenti (2).
Il ricorso a metodiche di “peer review” e “auditing” dei medici del
lavoro e la continua formazione in medicina del lavoro appaiono misure
indispensabili per migliorare la qualità della sorveglianza sanitaria nel
settore calzaturiero nell’area di Napoli3.
L’interesse dell’organo di vigilanza è appunto quello di migliorare i
livelli di salute e sicurezza sul lavoro, non certo quella di colpire le
aziende la cui attività è vitale per il benessere sociale dell’area. Dalla ricerca
condotta emerge che le risorse destinate alla prevenzione sono talora
impiegate in modo incongruo. Non è probabile che attività di valutazione
dei rischi, di sorveglianza e di formazione/informazione non coordinate
possano conseguire un miglioramento dei livelli di salute e sicurezza
dei lavoratori. I datori di lavoro meritano di essere informati di tale
dato. L’azienda sanitaria può espletare, prima dell’intervento di vigilanza,
audit mirati alla corretta gestione delle risorse di salute e sicurezza (management
systems assessment). Il punto focale di questo tipo di audit è
l’identificazione delle carenze che possono determinare un livello di rischio
inaccettabile per l’organizzazione. L’elaborazione di raccomandazioni
è l’obiettivo principale di questo tipo di valutazione.
L’esecuzione di un audit tempestivamente rispetto all’intervento
ispettivo dell’organo di vigilanza può consentire alle diverse figure coinvolte
dal processo di prevenzione di riconoscere le responsabilità del proprio
ruolo e la necessità di coordinare le rispettive azioni in una prospettiva
di medicina occupazionale basata sull’evidenza.
BIBLIOGRAFIA
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Atti del 69° Congresso Nazionale SIMLII, Montesilvano
(PE) 26-28 ottobre 2006.
P-18
LA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DEL RUMORE IN AMBIENTI
DI LAVORO E IL D.LGS. 195/06
R. La Bua, G. Gianello, A. Miceli, S.C.R. Pisano, A. Bergamaschi
Università Cattolica S. Cuore, Roma - Centro di Igiene Industriale,
Largo Francesco Vito, 1 - 00168 Roma
Corrispondenza: Dr. Roberto La Bua - Università Cattolica S. Cuore,
Roma - Centro di Igiene Industriale, Largo Francesco Vito, 1
- 00168 Roma, Italy - Tel. 06-30154486/7, Fax 06-3053612,
E-mail: rlabua@rm.unicatt.it
GRAPHIC REPRESENTATION OF NOISE IN THE WORKPLACE
AND D.LGS. 195/06
Key words: noise, map, isophonic.

134 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
ABSTRACT. The graphic representation of sound levels has
to be revised following D.Lgs. 195/06 that modified the parameters
for occupational exposure evaluation set out in D.Lgs. 277/91.
We described a method used to obtain a map representing noise level
in industrial plants. This can be adapted for various purposes, not least
to inform both Company and contract workers.
INTRODUZIONE
Il Decreto Legislativo n.195 del 10 aprile 2006, che va ad inserirsi
nel D.Lgs. 626/94 al Titolo V-bis, costituisce, con l’abrogazione del Capo
IV D.Lgs. 277/91, il solo riferimento normativo nazionale per la valutazione
del rischio di esposizione professionale al rumore.
La nuova normativa, che mantiene inalterati numerosi elementi già
presenti nel vecchio D.Lgs., modifica tuttavia alcuni importanti parametri
di riferimento per la valutazione dell’esposizione, rendendo quindi necessario
l’aggiornamento dei Documenti di Valutazione del Rischio redatti
dalle Aziende in cui è presente questo fattore di rischio.
Tra le modifiche più importanti possiamo ricordare:
♦ la riduzione del numero delle fasce di esposizione, 4 nella vecchia
normativa [< 80, 80/85, 85/90 e > 90 dB(A)] e 3 nel D.Lgs. 195/06
[< 80, 80/85, > 85 dB(A)].
♦ L’introduzione del valore limite di esposizione [87 dB(A)], nuovo
parametro di valutazione che tiene conto dell’effetto protettivo dei
DPI, che non può mai essere superato, e la conseguente abolizione
del registro degli esposti.
♦ La definizione di livelli di rischio crescenti anche per quanto riguarda
i livelli di picco, misurati con curva di ponderazione “C”.
♦ La possibilità di impiego di strumentazione di misura non più obbligatoriamente
in classe di precisione I, considerando adeguati metodi
e strumenti che rispondano alle norme di buona tecnica.
♦ Definizione della periodicità della valutazione e/o misurazione
del rumore, indicata in almeno 4 anni.
MATERIALI E METODI
Le varie modifiche apportate dal D.Lgs. 195/06 comportano
per il Datore di lavoro l’obbligo di attuare una verifica per l’adeguamento
delle condizioni ambientali ai nuovi criteri.
Tra questi vi è un particolare aspetto, che riteniamo di importanza
non secondaria, costituito dalla rappresentazione grafica dei
livelli sonori nell’ambiente di lavoro, che implicitamente era già
previsto dal D.Lgs. 277/91 con la perimetrazione e la segnalazione
delle aree con livello sonoro maggiore di 90 dB(A).
Questo tipo di studio viene oggi ripreso dal D.Lgs. 195/06,
che prevede un analogo provvedimento per le aree in cui il livello
sonoro eccede la soglia superiore che fa scattare l’azione [85
dB(A)].
Questo tipo di analisi costituisce evidentemente un elemento
indispensabile soprattutto per l’informazione del personale potenzialmente
esposto, sia dipendente dell’Azienda in questione, sia
dipendente da ditte terze che debbano svolgere delle attività all’interno
dell’area oggetto dello studio. In tal senso l’illustrazione
grafica dei livelli sonori può risultare un metodo particolarmente
efficace in quanto consente una immediata visualizzazione delle
aree maggiormente a rischio.
Tale aspetto era stato preso in esame dall’ISPESL nelle Linee
Guida pubblicate nel 2001, in cui si indicava la necessità di allegare
alla relazione tecnica dell’indagine ambientale una planimetria con
il lay-out delle macchine e degli impianti, con l’indicazione delle
posizioni di lavoro, delle sorgenti di rumore, dei punti di misura e,
se presenti, delle aree con livello sonoro maggiore di 90 dB(A).
Tale criterio, fatte salve le modifiche riguardanti la soglia che
determina l’area a rischio, attualmente stabilita in 85 dB(A), deve essere
a tutt’oggi ritenuto valido, e la visualizzazione grafica dei livelli
sonori può essere attuata con criteri analoghi a quelli precedenti.
RISULTATI E DISCUSSIONE
I risultati di un’indagine ambientale sull’esposizione professionale
al rumore effettuata nel 2005 in uno stabilimento petrolchimico
sono stati elaborati graficamente secondo i criteri previsti
dall’allora vigente D.Lgs. 277/91, ottenendo per ciascuno degli
impianti di raffineria una mappa isofonica.
Figura 1
Nella Figura 1 è riportato un esempio di tale elaborazione, ottenuta
sottoponendo i dati sperimentali ad un software geostatistico dedicato, in
grado di effettuare un calcolo previsionale del valore che una variabile (in
questo caso il livello di pressione sonora) assume in ogni punto di uno
spazio predefinito, essendo noti i valori di quella variabile in un numero
limitato di punti.
Nella successiva elaborazione sono stati uniti tutti i punti di pari livello,
ottenendo così le curve isofoniche relative ai livelli sonori prescelti,
corrispondenti alle soglie [80, 85, 90 dB(A)] previste dal D.Lgs. 277/91.
Si noti come l’uso di campiture con la colorazione rossa a crescente densità
di colore per i livelli maggiori di 90 dB(A), indicati con curve isofoniche
supplementari, permetta l’immediata percezione dell’ubicazione
delle principali sorgenti sonore, anche quando la soglia sopra indicata
viene superata in un’area relativamente estesa.
Con l’emanazione del D.Lgs.195/06 si è posto il problema di rappresentare
la situazione ambientale, sostanzialmente invariata rispetto all’anno
precedente, secondo i nuovi criteri.
Il data-base è stato quindi riprocessato per ottenere delle rappresentazioni
grafiche aggiornate; nella Figura 2 è riportato un esempio relativo
allo stesso impianto di Figura 1.
Si noti che nella Figura 2 le aree con livello sonoro maggiore di 85
dB(A) sono rappresentate tutte con una colorazione rossa, che indica la
necessità di perimetrazione, segnalazione e restrizione di accesso, ma con
densità di colore crescente che mette in evidenza il posizionamento delle
sorgenti sonore di maggiore intensità.
Al di là della facilità di rielaborazione dei dati ottenuti nel corso di
indagini precedenti, un aspetto positivo non trascurabile può risiedere
nella maggiore ampiezza della zona di rischio, che con un maggiore impatto
cromatico, induce nell’operatore una maggiore attenzione nel rispetto
delle procedure di prevenzione.
Figura 2

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 135
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VII SESSIONE
RISCHIO ORGANIZZATIVO ED ERGONOMIA
P-01
VALUTAZIONE DEI DISTURBI MUSCOLO-SCHELETRICI
NEL LAVORATORE IN FORMAZIONE FISIOTERAPICA
S. Cavalca, M. Riccò, M. del Mar J. Sanchez, C. di Maggio,
F.S. Renzulli, P. Carta, L. Selis, I. Franchini
Università degli Studi di Parma - Dipartimento di Clinica Medica,
Nefrologia, Scienze della Prevenzione
Corrispondenza: Dr.ssa Silvia Cavalca - Università degli Studi
di Parma - Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia, Scienze
della Prevenzione; Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro,
Via Terracini, 25 - 43100 Monticelli Terme, Italy - Tel. (cellulare
e domicilio) 347-0198869, E-mail: s_cavalca@virgilio.it
EVALUATION OF MUSCOLOSKELETAL DISORDERS
IN UNDERGRADUATE PHYSIOTHERAPY STUDENTS
Key words: low back pain, physiotherapy students, scoliosis.
ABSTRACT. Work-related muscolo-skeletal disorders (WRMD) are
muscoloskeletal injuries resulting from work-related events. This study
collects data about their prevalence in undergraduate physioterapists
during the practicum at Parma University. Informations about job
tasks, procedures performed, and symptoms were collected. All subjects
(39 students, 17 males and 22 females; mean age 23,8 years) received
a complete physical examination, stating signs and symptoms of both
static and dynamic muscolo-skeletal disorders. Thirteen subjects
referred chronical muscolo-skeletal pain, that in 10 of them worsens
during the physical terapy tasks. Low back pain and upper limb pain
were the symptoms most frequently referred (in 9 and 3 subjects,
respectively). In subjects compelling muscolo-skeletal disorders,
occupational history was negative in 8 cases: remaining two cases refer
previous occupations associated with weight lifting and prolonged
maintaining of a fixed position. In conclusion, our study suggests the
importance of health surveillance also in physical therapy students.
INTRODUZIONE
I cosiddetti disturbi muscolo-scheletrici correlati al lavoro (WRMD)
sono definiti come patologie di ordine muscolo-scheletrico secondarie ad
attività lavorativa (1). I WRMD rappresentano un problema particolarmente
diffuso negli operatori sanitari, esitando in perdita di ore di lavoro,
riduzione della capacità lavorativa specifica, o determinando in casi
estremi la perdita del lavoro (2-8). Le indagini epidemiologiche condotte
fino ad oggi hanno studiato prevalentemente popolazioni sanitarie direttamente
impegnate nell’assistenza clinica (infermieri ed assistenti sociosanitari),
mentre sono meno numerosi i dati sul personale fisioterapico (6-
8): gli studi disponibili confermano, tuttavia, la relativa frequenza di tali
patologie in questa ristretta popolazione di lavoratori (1-2, 9-10). In effetti,
i fisioterapisti svolgono quotidianamente procedure (come la riattivazione
motoria degli arti inferiori e superiori), che impongono l’esecuzione
di movimenti ripetuti dell’arto superiore con contestuale movimentazione
di carichi di entità variabile (1). Essi, cioè, sono esposti, in una
sede non convenzionale, a convenzionali fattori di rischio per lo sviluppo
di patologie muscolo-scheletriche (2, 5, 10). Particolarmente a rischio
sono i soggetti in corso di formazione, in quanto essi presentano una
maggiore probabilità di eseguire tali procedure in modo erroneo, associando
al rischio intrinseco quello determinato dall’assunzione di posture
incongrue (2, 5). Scopo della nostra indagine è quindi valutare l’incidenza
dei disturbi muscolo-scheletrici nel personale fisioterapico in formazione
presso l’Università degli Studi di Parma.
SOGGETTI E METODI
Tutti gli iscritti al Corso di Laurea in Fisioterapia presso l’Università
degli Studi di Parma ed impegnati nel tirocinio pratico professionaliz-
zante (39 tirocinanti, 17 maschi e 22 femmine; età media 23,8 anni; 10
iscritti al 1° anno di corso, 16 al 2°, 13 al 3°) sono stati sottoposti a visita
medica preventiva-periodica nell’ambito del programma di sorveglianza
sanitaria predisposto dalla legge 626/94. L’indagine ha richiesto: la raccolta
anamnestica, comprensiva di anamnesi professionale, la valutazione
dell’attività di tirocinio in corso (ed in particolare: orario di lavoro, tasks
giornalieri eseguiti, eventuale movimentazione di carichi e loro indicativa
quantificazione), l’esecuzione di un esame obiettivo completo, comprendente
specifica valutazione dei disordini muscolo-scheletrici statici (e.g.
scoliosi) o dinamici (e.g. algie a carico dell’arto superiore, del dorso,
della colonna lombare). In caso di reperti positivi, sia a livello anamnestico
che fisico, sono state ricostruire le circostanze e le attività associate
a comparsa o peggioramento dei sintomi.
RISULTATI
Tutti i soggetti hanno riferito di svolgere quotidianamente attività
comportanti: movimentazione manuale dei carichi (> 20 kg), assunzione
di posture fisse prolungate, movimenti ripetuti dell’arto superiore. L’orario
di lavoro è stato stimato in 6,1 ore/die (minimo 4, massimo 9). Nel
complesso, era presente anamnesi patologia remota positiva per disordini
osteo-articolari, precedenti l’inizio dell’attività di tirocinio, in sei soggetti
(4 lombalgie croniche; 2 gonalgie, una delle quali in paziente affetto da
esiti di displasia congenita dell’anca; 1 algia del gomito post-traumatica).
Complessivamente, 13 soggetti (33,3%) riferivano di soffrire di algie croniche
osteo-articolari insorte dopo l’inizio dell’attività lavorativa. Tre di
essi, riferivano dolore alla movimentazione dell’arto superiore; 9 soggetti
lamentavano quindi algie croniche a carico del rachide dorso lombare:
quattro di essi presentavano scoliosi strutturale clinicamente rilevabile, di
grado lieve. Dieci dei 13 soggetti sintomatici (26% del totale; 2 iscritti al
1° anno di corso; 7 al 2°, 1 al 3°) riferivano un peggioramento dei sintomi
durante l’attività fisioterapica ed al termine del turno di lavoro. Fra i lavoratori
sintomatici, 8 risultavano al primo impiego e non presentavano
fattori di rischio extra-professionali per patologie muscoloscheletriche,
mentre i restanti 2 hanno storia professionale positiva per movimentazione
manuale dei carichi ed assunzione di posture fisse prolungate.
CONCLUSIONI
Nella ristretta popolazione da noi studiata, i disordini muscolo-scheletrici
si sono rivelati relativamente frequenti (circa un terzo del totale),
ma talora pre-esistenti l’esposizione ai noti fattori di rischio. La mancanza
di uno specifico trend temporale avvalora il sospetto che tale sintomatologia
non trovi nell’attività fisioterapica un esclusivo fattore di rischio:
d’altra parte, l’elevata percentuale (33,3%) di operatori che riferiscono
la comparsa dei sintomi dopo l’inizio dell’attività di tirocinio, nonché
il loro aggravamento durante l’attività lavorativa (26% circa) testimonia
l’importanza dell’attività medica preventiva-periodica anche nel
personale in formazione, e pone interrogativi sulle modalità di riconoscimento
di idoneità specifica, specialmente nel lungo termine.
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problema among physiotherapists. Appl Ergon 2003; 34: 635-639.
P-02
SINTOMI ASTENOPICI E MUSCOLO-SCHELETRICI IN LAVORATORI
CHE UTILIZZANO IL MICROSCOPIO
A. Lorusso, S. Bruno, F. Caputo, S. Pranzo, G. Sciannamblo, N. L’Abbate
Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini” - DIMIMP,
Università di Bari, P.zza Giulio Cesare, 11 - 70124 Bari
Corrispondenza: Prof. Nicola L’Abbate - Sezione di Medicina
del Lavoro “B. Ramazzini” - DIMIMP Università di Bari,
Policlinico, P.zza Giulio Cesare, 11 - 70124 Bari, Italy
- E-mail: n.labbate@radioprotezione.uniba.it
MUSCULOSKELETAL SYMPTOMS AND EYE STRAIN
IN MICROSCOPE WORKERS
Key words: microscope, musculoskeletal, eye strain.
ABSTRACT. OBJECTIVE. The aim of the study was to investigate the
prevalence of eye strain and musculoskeletal symptoms in microscope
workers.
MATHERIALS AND METHODS. A cross-sectional study was carried out
among 121 microscope workers. A questionnaire was used to collect
data on personal characteristics, occupational factors, and the presence
of eye strain and musculoskeletal symptoms in the neck, upper and low
back, shoulders, arms and hand/wrist.
RESULTS. The prevalences of low back, upper back, neck, shoulders, arm
and hand/wrist pain in previous four weeks were 41,3%, 25,6%, 58,7%,
23,1%, 6,6% and 26,4%, respectively. Neck symptoms were related to
individual and occupational factors and to eye strain, whereas low back
symptoms were related to occupational factors.
CONCLUIONS. Results of the present study suggest that musculoskeletal
pain among microscope workers may have association with daily
protract microscope use and eye strain.
INTRODUZIONE
L’attività di osservazione al microscopio comporta l’assunzione di
una postura fissa che viene mantenuta per lunghi periodi di tempo. Inoltre,
una postazione di lavoro scarsamente adattabile all’operatore determina
l’assunzione di posture inadeguate (1, 2). Posture lavorative fisse
prolungate o inadeguate rappresentano un fattore di rischio per l’insorgenza
di disturbi muscolo-scheletrici (3).
Abbiamo condotto uno studio di tipo trasversale su lavoratori che utilizzano
il microscopio, per indagare la presenza di astenopia e di sintomi
muscolo-scheletrici. È stata inoltre studiata l’associazione dei fattori individuali,
ergonomici e astenopia con la presenza di sintomi muscoloscheletrici.
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati 130 lavoratori, impiegati in servizi di anatomia
patologica e centri di ricerca, che utilizzano il microscopio quotidianamente.
Tutti i partecipanti hanno compilato un questionario.
Il questionario adottato rileva la presenza di fattori di rischio di tipo
individuale dell’operatore, caratteristiche ergonomiche della postazione
di lavoro, caratteristiche dell’attività di osservazione svolta e infine presenza
di sintomi astenopici e muscolo-scheletrici.
Le informazioni di carattere individuale richieste hanno riguardato:
età, sesso, peso/altezza, abitudine al fumo, attività fisica.
Per quanto concerne la postazione di lavoro, è stato indagato il tipo
e le caratteristiche del microscopio utilizzato, il tipo di sedia e di tavolo
di lavoro utilizzati, ed altri aspetti ergonomici. Tramite le informazioni
fornite dal lavoratore e le osservazioni effettuate sul campo, è stato possibile
attribuire un punteggio ad ogni postazione di lavoro, sulla base
delle sue caratteristiche ergonomiche e della sua adattabilità all’antropometria
dell’operatore. Il punteggio può variare da zero (postazione peggiore)
a dieci (postazione migliore).
Sono state poi richieste informazioni sull’anzianità lavorativa, durata
media quotidiana dell’attività di osservazione, durata di osservazione
continuativa.
È stato quindi richiesto ai partecipanti di riferire se avessero accusato,
nei precedenti 30 giorni, in relazione all’attività di osservazione,
sintomi oculo-visivi e/o dolore a carico di alcuno dei distretti indagati (rachide
cervicale, dorsale e lombare, spalle, collo, braccia e segmento
polso/mano).
Nell’analisi statistica, per il confronto fra proporzioni, è stato utilizzato
il test del chi-quadrato o il test esatto di Fisher quando necessario,
mentre per il confronto tra medie è stato utilizzato il test t di Student.
Sono stati considerati significativi i valori di p inferiori a 0,05.
RISULTATI
Hanno compilato il questionario 121 soggetti (93,1%). Di questi, 46
(38%) erano maschi e 75 (62%) erano femmine. L’età media risultava di
43,3 anni (ds 12,7) per i maschi e di 42,1 anni (ds 11,9) per le femmine.
Il punteggio medio attribuito alla postazione di lavoro è stato pari a
4,7 punti (ds 1,6). L’anzianità lavorativa media, in riferimento all’utilizzo
del microscopio, è risultata di 15,1 anni (ds 11,5) per le donne e 17,2 anni
(ds 12,3) per gli uomini. La durata complessiva dell’attività di osservazione
quotidiana è risultata in media di 2 ore e 36 minuti (ds 1 h e 30
min), mentre la durata media di osservazione continuativa è risultata 1
ora e 30 minuti (ds 48 min). La durata media delle pause osservate dai lavoratori
è stata di 9,5 minuti (ds 8,5).
La prevalenza dei sintomi è illustrata in Tabella I. L’astenopia è stata
considerata in analisi come variabile indipendente.
Tabella I. Prevalenza dei sintomi
Dorsalgia Lombalgia Collo Spalle Braccia Polso/mano Cefalea
n/N 31/121 50/121 71/121 28/121 8/121 32/121 31/121
% 25,6% 41,3% 58,7% 23,1% 6,6% 26,4% 25,6%
L’analisi statistica ha evidenziato un’associazione significativa tra
sesso femminile e dorsalgia e tra scarsa attività fisica e cervicalgia. Inoltre
lombalgia e cervicalgia sono risultate associate ad una maggior durata
complessiva giornaliera di osservazione al microscopio e ad una maggiore
durata continuativa della stessa. Si è inoltre riscontrata un’associazione
dei sintomi astenopici con cervicalgia e cefalea.
Non è stata invece riscontrata alcuna associazione per le variabili età,
anzianità lavorativa, altezza (stratificata per sesso in analisi), abitudine al
fumo, caratteristiche della postazione di lavoro.
DISCUSSIONE
I dati di prevalenza riscontrati nel presente studio sono in accordo
con quelli di studi analoghi presenti in letteratura (4, 5). Le associazioni
da noi riscontrate suggeriscono che un’attività di osservazione continuativa
di lunga durata con poche e brevi pause può contribuire all’insorgenza
di disturbi del rachide.
Per quanto riguarda l’astenopia, mentre la sua associazione con cervicalgia
può essere spiegata con l’assunzione di posture di lavoro non
adeguate, l’associazione con cefalea suggerisce che quest’ultima sia più
da attribuire ad un quadro astenopico che non ad uno stato muscolo-tensivo.
Il fatto che sia stato attribuito alla maggior parte delle postazioni di
lavoro un punteggio uniformemente basso, non ha probabilmente consentito
di riscontrare delle associazioni significative dal punto di vista statistico.
La prosecuzione del presente studio consentirà di aumentare la dimensione
campionaria consentendo di individuare eventuali ulteriori associazioni
con i fattori di rischio studiati.
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surface electromyography demonstrates the advantage of an ergonomic
versus a standard microscope workstation. Eur J Appl Physiol
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P-03
FATTORI INDIVIDUALI ED ERGONOMICI CORRELATI A DISTURBI
MUSCOLO-SCHELETRICI IN TECNICI DI RADIOLOGIA
A. Lorusso, S. Bruno, F. Caputo, S. Pranzo, G. Sciannamblo, N. L’Abbate
Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini” - DIMIMP,
Università di Bari, P.zza Giulio Cesare, 11 - 70124 Bari
Corrispondenza: Prof. Nicola L’Abbate - Sezione di Medicina
del Lavoro “B. Ramazzini” - DIMIMP, Università di Bari,
Policlinico, P.zza Giulio Cesare, 11 - 70124 Bari, Italy
- E-mail: n.labbate@radioprotezione.uniba.it
OCCUPATIONAL AND INDIVIDUAL FACTORS RELATED
TO MUSCULOSKELETAL SYMPTOMS AMONG X-RAY
TECHNOLOGISTS
Key words: X-ray technologists, musculoskeletal symptoms, prevalence.
ABSTRACT. OBJECTIVES. This study was aimed at investigating
the prevalence of musculoskeletal symptoms with respect to individual,
physical and psychosocial risk factors in X-ray technologists.
METHODS. A cross-sectional study was carried out among 203 X-ray
technologists working in 13 hospitals of Apulia (Italy). A questionnaire
was used to collect data on personal characteristics, physical workload,
psychosocial workload, and the presence of musculoskeletal symptoms
in the neck, shoulders, low back, hand/wrist and knees. Univariate
analyses and multiple logistic regression analyses were performed.
RESULTS. Overall prevalence of reported musculoskeletal symptoms
was 67%.The prevalences of low back, neck, shoulders, knees and
hand/wrist pain in previous 12 months were 59,6%, 19,7%, 21,2%,
13,8% and 12,3%, respectively. Individual factors were associated
with low back and neck pain. Physical factors were associated with
symptoms in the neck, low back and hand/wrist. High job demand
was associated with neck and shoulder pain.
CONCLUSIONS. The results of the present study suggest that
musculoskeletal pain among X-ray technologists may have associations
with individual and psychosocial factors and with the execution
of physically demanding job tasks.
INTRODUZIONE
Le patologie muscolo-scheletriche di natura lavorativa rappresentano
il principale problema tra i lavoratori della sanità. Sebbene numerose ricerche
abbiano indagato la prevalenza di disturbi muscolo-scheletrici nel
personale infermieristico, pochi tuttavia risultano gli studi condotti su
tecnici sanitari di radiologia medica. Abbiamo quindi condotto uno studio
di tipo trasversale su tecnici di radiologia per indagare la prevalenza
di disturbi muscolo-scheletrici in diverse regioni corporee ed una eventuale
associazione con fattori di rischio di differente natura.
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati 214 tecnici di radiologia che lavorano nei reparti
di radiologia di 13 presidi ospedalieri pugliesi. Tutti i partecipanti hanno
compilato un questionario.
Il questionario adottato rileva la presenza di fattori di rischio di tipo
individuale, ergonomico e psico-sociale e la presenza di sintomi muscolo-scheletrici.
Le informazioni di carattere individuale richieste sono state: età,
sesso, peso/altezza, abitudine al fumo, attività fisica.
Per quanto riguarda i fattori psico-sociali, è stata valutata la presenza
di carico di lavoro eccessivo e ridotta possibilità decisionale mediante il
Job Content Questionnaire di Karasek (versione italiana a 49 items).
Per i fattori di rischio ergonomici è stato richiesto di specificare il reparto
di lavoro, l’anzianità di mansione e se lo svolgimento della mansione
prevedesse l’esecuzione di particolari compiti a rischio, comportanti
sovraccarico biomeccanico o posture incongrue, quali la movimentazione
manuale dei pazienti, l’uso frequente del camice in piombo, l’esecuzione
di particolari metodiche radiologiche, le modalità di trasporto
delle attrezzature radiografiche (1).
È stato infine richiesto di riferire se avessero sofferto, nei precedenti
12 mesi, di dolore a carico di alcuno dei cinque distretti presi in esame
(rachide lombare, spalla, collo, polso/mano, gambe).
Nell’analisi statistica, per il confronto fra proporzioni è stato utilizzato
il test del chi-quadrato, mentre per il confronto tra medie è stato utilizzato
il test t di Student. Sono stati considerati significativi i valori di p
inferiori a 0,05.
Per verificare la correlazione indipendente dei fattori di rischio è
stata eseguita un’analisi multivariata per mezzo di regressione logistica
considerante le stesse variabili, eccetto l’anzianità di mansione che non è
stata inclusa perché in correlazione con l’età.
RISULTATI
Hanno compilato il questionario 203 soggetti (94,8%), che sono stati
inclusi nell’analisi. Di questi, 158 (77,8%) erano maschi e 45 (22,2%)
erano femmine. L’età media risultava di 48,5 anni (ds 7,6) per i maschi e
di 42,8 anni (ds 7,1) per le femmine. L’anzianità di mansione era in media
di 23,7 anni (ds 8,4) per i maschi e di 17,6 anni (ds 7,7) per le femmine.
In base alle informazioni sullo svolgimento frequente di compiti a rischio
è stato possibile assegnare un profilo di rischio alto a 127 soggetti
(62,6%) che risultavano per la gran maggioranza impiegati nei reparti di
ortopedia, neuroradiologia, pronto soccorso, sala operatoria, radiodiagnostica
e radiologia mobile.
Complessivamente 136 soggetti (67%), dichiaravano di aver sofferto,
nei 12 mesi precedenti, di dolore a carico dei distretti esaminati. La
prevalenza dei sintomi per distretto è riportata in Tabella I, il distretto
maggiormente interessato risulta essere il rachide lombare. L’analisi univariata
(Tabella II) ha evidenziato un’associazione significativa tra lombalgia
e profilo di rischio alto, età ed anzianità; tra sintomi a carico della
spalla e carico di lavoro eccessivo; tra cervicalgia e profilo di rischio alto,
carico di lavoro eccessivo e scarsa attività fisica; tra dolore a livello di
polso/mano e profilo di rischio alto. L’analisi multivariata, condotta per
mezzo della regressione logistica, ha confermato l’associazione indipendente
dei fattori.
Tabella I. Prevalenza dei sintomi per distretto
Lombalgia Collo Spalla Polso/mano Gambe
n/N 121/203 40/203 43/203 25/203 28/203
% 59,6% 19,7% 21,2% 12,3% 13,8%
Tabella II. Prevalenza dei sintomi in relazione alle variabili
in studio (analisi univariata)
Lombalgia Collo Spalla Polso/mano Gambe
Sesso
maschi
femmine
94/121
27/121
28/40
12/40
32/43
11/43
19/25
6/25
23/28
5/28
Abitudine al fumo 29/121 11/40 12/43 8/25 5/28
Scarsa attività fisica 50/121 22/40* 17/43 10/25 14/28
Ridotta possibilità decisionale 39/121 14/40 19/43 11/25 10/28
Elevato carico di lavoro 45/121 27/40* 21/43* 8/25 13/28
Profilo di rischio alto 88/121* 31/40* 32/43 21/25* 19/28
Età (anni) 48,3 (ds 7,2)* 46,6 (ds 6,7) 46,9 (ds 7,7) 47,1 (ds 6,9) 48,6 (ds 6,3)
BMI (kg/m 2 ) 25,2 (ds 3,4) 24,7 (ds 3,2) 26 (ds 3,4) 24,6 (ds 2,9) 25,4 (ds 4,5)
Anzianità di mansione (anni) 23,6 (ds 8,2)* 21,6 (ds 9,0) 22,1 (ds 7,7) 23 (ds 7,3) 23,7 (ds 7,7)
* p

138 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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DISCUSSIONE
I dati di prevalenza riscontrati nel presente studio rispecchiano quelli
descritti da precedenti studi riportati in letteratura (2, 3).
Il nostro studio ha riscontrato un’associazione tra fattori individuali,
fattori ergonomici e carico di lavoro eccessivo, e la presenza di sintomi
muscolo-scheletrici.
I soggetti impiegati in ortopedia, neuroradiologia, pronto soccorso,
sala operatoria, radiodiagnostica e radiologia mobile risultano maggiormente
esposti a rischio biomeccanico derivante, oltre che dalla movimentazione
manuale dei pazienti, anche dallo svolgimento di specifici
compiti previsti dalla mansione. Successive indagini di tipo longitudinale
permetteranno di approfondire il ruolo dei fattori biomeccanici, derivanti
dallo svolgimento di compiti lavorativi specifici, nell’insorgenza di disturbi
muscolo-scheletrici in determinati distretti del corpo.
BIBLIOGRAFIA
1) Kumar S, Moro L, Narayan Y. A biomechanical analysis of loads on
X-ray technologists: a field study. Ergonomics 2003; 46: 502-517.
2) Kumar S, Moro L, Narayan Y. Perceived physical stress at work and
musculoskeletal discomfort in X-ray technologists. Ergonomics
2004; 47: 189-201.
3) Bos E, Krol B, Van Der Star L, Groothoff J. Risk factors and musculoskeletal
complaints in non-specialized nurses, IC nurses, operation
room nurses, and X-ray technologists. Int Arch Occup Environ
Health 2006; paper online 1432-1246.
P-04
LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA MOVIMENTAZIONE
MANUALE DEI PAZIENTI NELLE STRUTTURE OSPEDALIERE
PADOVANE
S. Maso, C. Garbin, C. Guggiana, S. Gemelli, L. Colombera,
P. Paruzzolo, B. Saia
Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica,
Università degli Studi di Padova
Corrispondenza: Stefano Maso - Dipartimento di Medicina Ambientale
e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Padova, Via Giustiniani, 2
- 35128 Padova, Italy - E-mail: ergonom@unipd.it
EVALUATING PATIENTS MANUAL HANDLING HAZARDS
WITHIN HOSPITAL FACILITIES OF PADUA
Key words: patient handling, nursing, musculoskeletal hazards.
ABSTRACT. Many work-related muscoloskeletal hazards of the
vertebral column depend on handling with charges, and rappresent
the most frequent causation of nurses’ morbility. This study aims at
evaluating lumbar column injures hazard as for as patients handling
nurses are concerned. The study has been carried out according
to the MAPO method and it has involved nurses working for Azienda
Ospedaliera of Padua. To test the effectiveness of some prevention
techniques applied in 2004 (i.e. training of the whole nursing staff
and refurbishment of medical wards), results gained in 2005 have been
compaired to previous results dating back to 1997, in both cases using
the MAPO method. Moreover, 6 out of all concerned medical wards
have been evaluated using two different methods: MAPO and SpoSo.
The last survey proves a clear decrease in medical wards at high risk.
Actually, the SpoSo method does not completely avoid misunderstanding
risks, since it does not involve direct analysis of nurses’ activities, in
fact this method realies on nurses’ reports about their own activities.
Eventually, according to this study, by introducing proper equipment
and working on nurses’ training, it is possibile to reinclude a selected
amount of workers, who were previously considered as not suitable for
nursing activities, thereby further reducing the amount of working
places at high risk.
INTRODUZIONE
Molte affezioni osteoarticolari del rachide di origine professionale,
sono correlate alla movimentazione manuale di carichi (MMC), e rappresentano
la causa prevalente di morbilità per i lavoratori ospedalieri. Il D.Lgs.
626/94, che definisce e regolamenta la MMC, trova applicazione anche
nelle strutture sanitarie, dove il carico è rappresentato dal paziente con un
peso significativo, con una distribuzione della massa irregolare e che può
compiere improvvisi movimenti. Il grado di collaborazione del paziente, il
livello di formazione e di esperienza dell’operatore sono elementi fondamentali
nella scelta delle strategie di movimentazione. La maggior parte dei
disturbi/patologie del rachide lavoro-correlate (che peraltro hanno genesi
multifattoriale), sono rappresentate dalle lombalgie e dalle discopatie.
Lo scopo dello studio è stato quello di valutare il rischio di lesioni a
carico del rachide lombare negli operatori addetti alla movimentazione
manuale di pazienti (MMP), dipendenti dell’Azienda Ospedaliera di Padova
applicando il metodo MAPO (EPM Milano). I risultati ottenuti con
metodo MAPO nel 2005 (dopo formazione su tutto il personale sanitario
e ristrutturazione dei reparti, avvenute a fine 2004), sono stati confrontati
con quelli ottenuti nel 1997 (con un metodo che prendeva in considerazione
gli stessi parametri del metodo MAPO), al fine di riscontrare l’efficacia
di tali interventi. Sono stati inoltre confrontati 6 reparti utilizzando
il metodo MAPO e il metodo SpoSo.
MATERIALI E METODI
Per la valutazione del rischio sono stati applicati due differenti metodi:
1. Il metodo MAPO Movimentazione e Assistenza Pazienti Ospedalizzati
(Menoni e coll., 1999) (1). Il Metodo è basato sulla definizione di
specifici coefficienti utilizzati per calcolare un Indice sintetico di esposizione,
denominato MAPO. All’aumentare del valore dell’indice aumenta il
livello di esposizione e pertanto il rischio di lombalgia. L’indice consente
di individuare almeno tre livelli di azione secondo un modello a semaforo
(verde, giallo e rosso). È un metodo costruito sulla raccolta di informazioni
relative al reparto attraverso colloquio con la caposala, non prevede una valutazione
basata sull’osservazione dell’attività di movimentazione effettuata
da un operatore. Il metodo consente di indirizzare le adeguate misure
di prevenzione, sia per le scelte di priorità che il tipo di interventi necessari
2. Per sei reparti selezionati è stato applicato il metodo SpoSo (Spostamenti
Sollevamenti) (2, 3). Tale metodo quantifica le azioni di sollevamento
o di spostamento effettuate da ogni operatore, la disponibilità
degli ausili, i parametri ambientali e la capacità di applicare corrette tecniche
di movimentazione. Il metodo identifica 4 possibili classi di rischio
cui corrispondono specifiche misure di tipo tecnico, formativo o sanitario
da intraprendere. Sono state infine confrontate le classi di rischio risultate
dall’ultima indagine rispetto alla precedente.
3. Il metodo utilizzato nel 1997 prevedeva la raccolta delle stesse
informazioni sull’aspetto strutturale, organizzativo e sull’ausiliazione
meccanica quantificando i reparti in gradi di rischio da 0 a 3 (4).
RISULTATI
Complessivamente, nel 2005, sono stati analizzati 72 reparti di degenza,
di cui 55 (76.4%) sono risultati a rischio trascurabile (MAPO

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 139
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(35.8%) erano risultati a rischio trascurabile; 14 (26.4%) a rischio moderato;
e 20 (37.7%) a rischio elevato.
Il confronto per fasce di rischio fra gli indici MAPO-SpoSo, è risultato
sovrapponibile per 4 reparti su 6, con il metodo SpoSo il reparto di
Clinica Medica V risulta nella fascia di rischio più bassa mentre per la clinica
medica IV si colloca nella fascia a maggior rischio.
Reparti Indice MAPO Indice SpoSo
Ortopedia 4.69** 4.07**
Clinica medica V 3.01** 0.68*
Clinica medica IV 2.48** 5.20***
Clinica chirurgica IV 1.23* 0.56*
Chirurgia toracica 0.18* 0.66*
Lungodegenza 0.24* 0.55*
* Rischio lieve ** Rischio moderato *** Rischio elevato
DISCUSSIONE
L’ultima indagine condotta mostra un netto decremento dei reparti a
rischio elevato. Tale miglioramento è sostanzialmente riconducibile alla
ristrutturazione dei reparti con una miglior distribuzione degli spazi e la
sostituzione degli arredi oltre che alla formazione degli operatori. L’applicazione
dei due metodi per confronto ha messo in luce la possibilità di
una sovra/sottostima che dipendono dalle variabili che hanno maggior rilievo
in ciascun metodo. Il metodo SpoSo presenta delle difficoltà trattandosi
di un metodo che, come il precedente, non prevede una valutazione
basata sull’osservazione diretta dell’attività di movimentazione effettuata
da un operatore. Infatti le attività svolte possono essere falsate da
fattori soggettivi durante la fase di raccolta dei dati, che tendono a sovra
o sottostimare l’entità delle singole operazioni. Infatti nel nostro caso ci
sono due reparti con caratteristiche del tutto simili la Clinica Medica IV
con un indice di rischio elevato mentre nella Clinica Medica V il rischio
risulta lieve. In conclusione, dall’ultima indagine effettuata in nessuno
dei reparti di degenza valutati si pone il problema di una revisione dell’organico;
altresì, con l’introduzione di adeguati ausili ed agendo sui fattori
non strutturali, si può contribuire a ridurre il numero di “posti di lavoro
a rischio”, permettendo, su casi selezionati, il reintegro di lavoratori
in precedenza risultati non idonei.
BIBLIOGRAFIA
1) Menoni O, Ricci MG, Panciera D, Occhipinti E. Valutazione dell’esposizione
ad attività di movimentazione manuale dei pazienti nei
reparti di degenza: metodi, procedure, indice di esposizione (MAPO)
e criteri di classificazione. Med Lav 1999; 90(2): 152-72.
2) Poletti M, Pinotti A, Mineo F, Morini G. La riduzione del rischio per
movimentazione pazienti nell’AUSL di Reggio Emilia SpoSo. Atti
Convegno “Strutture sanitarie e socio-assistenziali. La sicurezza degli
operatori e dei pazienti” Modena 15 ottobre 2004.
3) Poletti M, Morini G, Farina M, Vezzosi G. Un’esperienza di contenimento
del rischio da movimentazione manuale di pazienti in un’azienda
sanitaria. G Ital Med Lav Ergon. 2005 Apr-Giu; 27(2): 205-7.
4) Bertolazzi M, Saia B. Rischio da movimentazione manuale di carichi.
G Ital Med Lav Erg 1999; 21(2): 130-133.
P-05
VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA MOVIMENTAZIONE MANUALE
DI CARICHI IN UNA POPOLAZIONE LAVORATIVA SULLA BASE
DEI RISULTATI ANONIMI COLLETTIVI DELLA SORVEGLIANZA
SANITARIA
A. Messineo, M. Leone1 , P. D’Altilia2 Direttore Dipartimento Prevenzione ASL RM H, B.go Garibaldi, 12
- 00041 Albano Laziale (RM)
1 Azienda USL RM H Dipartimento Prevenzione Servizio PRESAL H4,
Via dei Castelli Romani, 2/P - 00040 Pomezia (RM)
2 Università degli studi di Roma Tor Vergata, Scuola di Specializzazione
in Medicina del Lavoro, V.le Oxford, 81 - 00133 Roma
Corrispondenza: Prof. Agostino Messineo - Direttore Dipartimento
Prevenzione ASL RM H, B.go Garibaldi, 12 - 00041 Albano Laziale
(RM), Italy
RISK EVALUATION FROM MANUAL HANDLING OF LOADS
IN WORKING POPULATION ON THE BASIS OF ANONYMOUS
COLLECTIVE RESULTS OF SANITARY SURVEILLANCE
Key words: movimentazione manuale dei carichi, sorveglianza
sanitaria, patologie osteo-articolari.
ABSTRACT. Chronic-degenerative back diseases represent one
of the main health problems in the working world. Our study wishes to
confirm the importance of prevention, even for not high values of risk
exposure, regarding the manual handling of loads, showing data
relating to exposed workers, as to a control group.
Because of higher percentage found of positiveness to osteo-articular
diseases among exposed people, both in near pathological anamnesis
and prevalently in medical examinations, it is a matter of course that
more incisive interventions on the ergonomic evaluation of the
occupational environment and on training/information of employees
on the correct procedures of manual handling of loads are necessary.
Even though non–occupational factors (sports practised, means of
transportation used, hobbies and physical features) are important in
determining a back disease, in this study the percentages found in the
exposed population are significantly higher than those in non-exposed
population; this conclusion induces to consider that occupational
factors are important concomitant causes in the development of osteoarticular
diseases.
This study mostly exhibits that the analysis of anonymous collective
results of a health surveillance is a helpful means to investigate the
correctness of evaluations carried out by a company.
INTRODUZIONE
L’art. 47 del D. Lgs. n. 626/1994 definisce la movimentazione manuale
dei carichi (mmc) come l’insieme di tutte quelle operazioni di trasporto
o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese
le azioni di sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un
carico che, per le loro caratteristiche o in conseguenza delle condizioni
ergonomiche sfavorevoli, comportano tra l’altro rischi di lesioni dorsolombari.
Un sondaggio dell’Unione Europea rivela che il 30% dei lavoratori
europei soffre di dolori alla schiena. Il NIOSH-USA pone tali patologie
al secondo posto nella lista dei dieci problemi di salute più rilevanti nei
luoghi di lavoro e negli Stati Uniti il low-back pain determina in media
28,6 giorni di assenza per malattia ogni 100 lavoratori e 36 giorni per 100
lavoratori nei Paesi Scandinavi. In Italia, secondo stime provenienti dagli
Istituti di Medicina del Lavoro, le patologie croniche del rachide sono la
principale causa di parziale non idoneità al lavoro specifico.
Le affezioni cronico-degenerative della colonna vertebrale rappresentano
quindi uno dei principali problemi sanitari nel mondo del lavoro
sia per la sofferenza che causano al lavoratore, sia per i costi economici
e sociali che ne derivano (assenze per malattia, limitazioni del giudizio di
idoneità, invalidità). Nonostante l’elevata prevalenza dei disturbi osteoarticolari
nella popolazione generale il nostro studio vuole confermare
l’importanza della prevenzione, anche per valori non elevati dell’esposizione
a rischio di mmc, riportando i dati relativi a lavoratori esposti rispetto
ad un gruppo di controllo.
MATERIALI E METODI
I medici competenti di alcune industrie (settori alimentare, farmaceutico,
elettrotecnico, produzione materie plastiche e cartone) del Comune
di Pomezia (RM) sono stati invitati a compilare uno schema informatizzato
fornito dal Servizio PRESAL della ASL RMH con i dati anonimi
collettivi della sorveglianza sanitaria svolta in azienda. È stata focalizzata
l’attenzione sulla sola azione di sollevamento del carico, indicata
dalla presenza di un valore dell’indice sintetico di rischio NIOSH compreso
tra 0,75 ed 1, indice messo poi in relazione alla positività anamnestica
ed all’esame obiettivo per patologie osteo-articolari. Secondo le linee
guida sulla mmc ci troviamo nella cosiddetta area gialla, ovvero in
una situazione che si avvicina ai limiti, per cui una quota della popolazione
(stimabile tra l’1% e il 10%) può essere non protetta e pertanto occorrono
cautele anche se non è necessario uno specifico intervento. I la-

140 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
voratori reclutati sono stati complessivamente 293: 129 esposti (79 uomini:
età media di 37,67±9,92 anni, 50 donne: età media di 39,4±8,06
anni) e 164 non esposti (113 uomini: età media di 41,39±9,88 anni, 51
donne: età media di 37,96±7,3 anni) suddivisi ulteriormente in sottogruppi
per fasce d’età.
RISULTATI
I risultati possono essere riassunti nelle seguenti Tabelle.
Tabella I. Percentuali di positività per patologie osteo-articolari
all’anamnesi patologica prossima (app) ed all’esame obiettivo (eo)
nella popolazione degli esposti
MASCHI ESPOSTI FEMMINE ESPOSTE
età n° soggetti app + eo + età n° soggetti app + eo +
≤ 30 19 2 (10,5%) 4 (21%) ≤ 30 9 1 (11,1%) 3 (33,3%)
31-40 35 4 (11,4%) 6 (17,1%) 31-40 18 3 (16,6%) 6 (33,3%)
41-50 15 2 (13,3%) 2 (13,3%) 41-50 19 3 (15,7%) 5 (26,3%)
≥ 51 10 2 (20%) 2 (20%) ≥ 51 4 0 0
Tabella II. Percentuali di positività per patologie osteo-articolari
all’anamnesi patologica prossima (app) ed all’esame obiettivo (eo)
nella popolazione dei non esposti
MASCHI NON ESPOSTI FEMMINE NON ESPOSTE
età n° soggetti app + eo + età n° soggetti app + eo +
≤ 30 19 2 (10,5%) 0 ≤ 30 8 0 0
31-40 33 2 (6%) 1 (3%) 31-40 23 0 3 (13%)
41-50 39 2 (5,1%) 2 (5,1%) 41-50 17 3 (17,6%) 2 (11,7%)
≥ 51 22 1 (4,5%) 3 (13,6%) ≥ 51 3 0 0
DISCUSSIONE
L’ipotesi iniziale è ampiamente confermata dalle maggiori percentuali
riscontrate negli esposti sia in anamnesi patologica prossima sia soprattutto
all’esame obiettivo; considerando poi la quota (non superiore al
10%) di soggetti che possono non essere protetti da un indice compreso
tra 0,75 ed 1, le percentuali riscontrate negli esposti sono eccedenti ben
oltre il suddetto 10% rispetto ai controlli, come si può notare nella seguente
Tabella.
Tabella III. Percentuali di positività risultanti dalla differenza
tra esposti e non esposti
MASCHI ESPOSTI FEMMINE ESPOSTE
età n° soggetti app + eo + età n° soggetti app + eo +
≤ 30 19 / + 21% ≤ 30 8 + 11,1% + 33,3%
31-40 33 + 5,4% + 14,1% 31-40 23 + 16,6% + 20,3%
41-50 39 + 8,2% + 8,2% 41-50 17 - 1,9% + 14,6%
≥ 51 22 + 15,5% + 6,4% ≥ 51 3 / /
L’ulteriore conferma della relazione tra rischio espositivo e sintomatologia
clinica sollecita interventi più incisivi sulla valutazione ergonomica
dei posti di lavoro e delle modalità operative, ed interventi formativi
per la formazione e informazione dei lavoratori circa le corrette modalità
di mmc. In ambito sanitario appare necessario un approfondito
esame obiettivo alla ricerca di tutte le possibili forme di predisposizione
alla sintomatologia lombosacrale (dismorfismi, ernie o protrusioni, dismetrie
degli arti etc). Un’ulteriore osservazione riguarda le donne, che
presentano percentuali maggiori di positività sintomatologica non solo rispetto
alla popolazione di controllo dello stesso sesso e della stessa età,
ma anche nei confronti dei soggetti maschili esposti della stessa età. È
possibile in questo caso che concorrano situazioni extralavorative, in particolare
in ambito domestico.
Indubbiamente i fattori extralavorativi quali sport praticati, mezzi di
trasporto utilizzati, hobbies e caratteristiche fisiche (BMI) hanno una
certa importanza nel determinare una patologia del rachide; bisogna tuttavia
dire che le percentuali rilevate da questo studio nella popolazione
degli esposti sono significativamente elevate rispetto a quelle dei non
esposti, dato che deve far ritenere i fattori lavorativi, se non la causa, sicuramente
una concausa importante nello sviluppo di una patologia
osteo-articolare, essendo ormai consolidato in letteratura il rapporto esi-
stente tra mmc ed incremento del rischio di affezione acute o croniche
dell’apparato locomotore e del rachide lombare in particolare.
Il presente studio mette soprattutto in evidenza quanto l’analisi dei
dati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria sia un utile mezzo per
indagare sulla correttezza delle valutazioni effettuate in azienda.
BIBLIOGRAFIA
1) Anderson GBJ. Epidemiological features of chronic low-back pain.
The Lancet 1999, vol. 354, 581-585.
2) Colombini D, Occhipinti E. La movimentazione dei carichi. Dossier
Ambiente, Marzo 1996.
3) Colombini D, Occhipinti E, Menoni O, Bonaiuti D, Cantoni S, Molteni
G, Greco A. Patologie del rachide dorso-lombare e movimentazione
manuale di carichi: orientamenti per la formulazione di giudizi
di idoneità. Medicina del Lavoro 1993; 84: 373-387.
4) De Beeck R, Hermans V. Work-related Low Back Disorders, edita
dall’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, 2000,
ISBN 92-95007-02-6.
5) National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH-USA).
P-06
EFFETTO DEGLI INTERVENTI ERGONOMICI PREVENTIVI
SULL’ANDAMENTO DEL FENOMENO INFORTUNISTICO
PER LOMBALGIA ACUTA DA SFORZO NEL PERSONALE
INFERMIERISTICO DELL’OSPEDALE POLICLINICO DI BARI
F. Caputo1 , A. Lorusso1 , I. Albano1 , S. Bruno1 , G. Sciannamblo1 ,
G. Marinelli2 , N. L’Abbate1 1 Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”- DIMIMP Università
di Bari, P.zza Giulio Cesare, 11 - 70124 Bari
2 Azienda Ospedaliera Policlinico Bari, P.zza Giulio Cesare, 11
- 70124 Bari
Corrispondenza: Prof. Nicola L’Abbate - Sezione di Medicina
del Lavoro “B. Ramazzini”- DIMIMP Università di Bari,
Policlinico, P.zza Giulio Cesare, 11 - 70124 Bari, Italy
- E-mail: n.labbate@radioprotezione.uniba.it
EFFECT OF AN ERGONOMIC INTERVENTION ON LOW BACK
INJURY TRENDS IN A LARGE ITALIAN HOSPITAL
Key words: low back injury, nursing aids, ergonomic intervention.
ABSTRACT. INTRODUCTION. In order to reduce musculoskeletal injuries
in nurses performing patient lifts and transfers, a large hospital of
Apulia (Southern Italy) started in late 2000 an intervention program.
Mechanical lifting devices were purchased and workers were trained in
safe patient handling tecniques.
OBJECTIVE. this was aimed at comparing trends in the incidence of low
back injury during two five-years periods, before and after the
introduction of the intervention program.
MATHERIALS AND METHODS. Low back injury records were collected from
hospital registry. Pre-intervention and post-intervention injury rates
were analyzed by age, sex, job title and ward of employment.
RESULTS. In the post-intervention period the incidence of low back
injuries declined by 15,5%. The decrease of low back injuries incidence
was greater (p

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 141
www.gimle.fsm.it
piego di sollevatori meccanici nel ridurre l’occorrenza di episodi di lombalgia
è stata descritta in diversi studi (3-5).
Nell’ambito di un programma di intervento mirato alla riduzione dei rischi
connessi alla movimentazione manuale dei pazienti, realizzato negli ultimi
mesi del 2000 presso l’Ospedale Policlinico di Bari, sono stati introdotti
nei diversi reparti gli ausili meccanici per la movimentazione dei pazienti.
Inoltre, sono stati tenuti dei corsi di formazione per l’utilizzo dei sollevatori
e per una corretta movimentazione manuale dei pazienti e dei carichi.
OBIETTIVO DELLO STUDIO
Abbiamo condotto uno studio di tipo longitudinale per valutare l’effetto
degli interventi ergonomici preventivi sull’andamento del fenomeno
infortunistico per lombalgia acuta da sforzo nel personale infermieristico
dell’Ospedale Policlinico di Bari.
MATERIALI E METODI
È stato preso in esame il fenomeno infortunistico nel quinquennio 1996-
2000, che precede gli interventi preventivi, e nel quinquennio 2001-2005,
susseguente agli interventi. L’indagine è stata condotta su una popolazione lavorativa
media di 1889 soggetti nel primo quinquennio e 1967 soggetti nel
secondo quinquennio. Nei due periodi presi in esame la popolazione lavorativa
ha mantenuto pressocchè invariate le proprie caratteristiche demografiche,
mentre leggermente differente risulta il profilo mansionario (Tabella I).
Per ogni quinquennio è stato ricavato, dal registro aziendale degli infortuni,
il numero di infortuni per lombalgia acuta da sforzo. Per ogni infortunio sono
stati rilevati età, sesso, mansione e reparto di impiego del lavoratore.
Tabella I. Composizione della popolazione lavorativa in studio
Periodo
di osservazione
Totale
lavoratori Ausiliario
Distribuzione per mansione
Infermiere Infermiere
generico professionale
O.T.A.
1996-2000 1889 348 92 1182 267
2001-2005 1967 354 84 1267 262
Tabella II. Analisi per variabili demografiche e profilo mansionario
Totale
infortuni
Indice di
incidenza
Età* M - F
mansione
Ausiliario* Inf. gener. Inf. prof. O.T.A.
1996-00 183 1,94 39,8
(ds 8,2)
118-65 82 8 72 21
2001-05 161 1,64 42,8
(ds 8,0)
98-63 42 7 81 31
* p

142 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
INTRODUZIONE
Le patologie muscolo-scheletriche correlate al lavoro (WRMDs)
sono causa di dolore, disagio e perdita di possibilità di impiego per i lavoratori
di numerose attività (4). L’attenzione è stata posta in modo preminente
sulle affezioni lombari e sui disordini muscoloscheletrici dei lavoratori
di industria e terziario (uffici), ma l’evidenza scientifica tende a
dimostrare che i musicisti sono egualmente vulnerabili (7). I disturbi muscoloscheletrici
correlati alla pratica musicale (PRMDs) affliggono tipicamente
le estremità degli arti superiori, il collo, la schiena e la muscolatura
della faccia. Tali disturbi spesso divengono cronici, dolorosi e disabilitanti
potendo permanere anche 2-5 anni. Benché la categoria dei pianisti
sia la più rappresentata negli studi di prevalenza su PRMSDs, ad
oggi poco è noto circa i fattori di rischio specifici legati all’utilizzo del
pianoforte ed associati allo sviluppo di tali disturbi (1).
OBIETTIVO
Al fine di determinare la prevalenza dei disturbi correlati alla pratica
musicale è stato condotto uno studio trasversale su pianisti studenti di
conservatorio.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta mediante somministrazione di un questionario
appositamente sviluppato agli studenti delle classi di pianoforte
di due conservatori della regione Puglia. Sono state rilevate le seguenti
informazioni: caratteristiche demografiche, tipologia di strumento utilizzato
e metodo di studio, eventuali attività lavorative o hobbies con utilizzo
di forza o esecuzione di movimenti ripetitivi dell’arto superiore, attività
sportiva, presenza di disturbi muscoloscheletrici connessi con la
pratica musicale e quantificazione degli stessi su apposita scala, traumatismi
dovuti ad eventi accidentali non riferibili alla pratica musicale.
Sono stati inoltre raccolti dati antropometrici.
Sono stati utilizzati il test del Chi-quadrato, corretto per continuità ed
il test t di Student per il confronto delle differenze tra gruppi di variabili.
Sono stati considerati significativi i valori di p20 15/120 12.5% 20/75 26.7% 0.021
>20 h di pratica a settimana 18/120 15.0% 21/75 28.0% 0.043
>60 min senza pause 38/120 31.6% 39/75 52.0% 0.007
No pratica sportiva 44/120 36.6% 42/75 56.0% 0.013
Accettabilità di “No pain, no gain” 69/120 57.5% 57/75 76.0% 0.013
Mean SD Mean SD
Età 16.30 3.00 17.38 3.70 0.027
Età di inizio 7.62 1.97 8.06 2.44 N.S.
Anni di studio 8.60 3.36 9.27 3.98 N.S.
Ore di pratica per settimana 13.00 8.72 16.02 10.5 0.031
Minuti di pratica in assenza di pause 53.57 28.68 62.57 36.70 N.S.
di prevalenza per il sesso femminile, ma non statisticamente significativo.
Un’ulteriore stratificazione all’interno delle variabili per le quali si
è osservata associazione con i disturbi ha mostrato un incremento della
significatività statistica per gli studenti con età superiore ai 20 anni. Non
si osservata associazione tra disturbi e dimensione delle mani nel gruppo
dei pianisti affetti da soli disturbi dell’arto superiore.
L’analisi multivariata condotta per mezzo della regressione logistica
ha confermato l’associazione indipendente per i fattori di rischio età, assenza
di pratica sportiva e accettabilità del “No pain, no gain”.
DISCUSSIONE
A fronte di un cospicuo numero di studi condotti su disturbi muscoloscheletrici
correlati alla pratica musicale su musicisti di ogni tipologia
di strumento, ben pochi hanno focalizzato l’attenzione su di una sola categoria
di questi (3). Il tasso di prevalenza riscontrato in questa indagine
(38.4%.) si colloca tra i più bassi della letteratura del settore (7). In accordo
con precedenti studi si segnala come la maggioranza (90.6%) degli
studenti affetti abbia lamentato disturbi di entità lieve-moderata (grado 1-2)
e solo il restante 9.4% disturbi medio-severi.
A differenza di altri studi si è riscontrato un eccesso di rischio negli
studenti d’età maggiore. Tale dato sarebbe giustificato dal trend positivo
riscontrato nel numero di ore di studio per settimana per le fasce d’età più
avanzate. Ciò determinerebbe un aumento dell’esposizione a rischio biomeccanico
con conseguente aumento di rischio per lo sviluppo di disturbi
correlati. Non si è inoltre osservato un significativo eccesso di rischio nel
sesso femminile. L’interpretazione di questo dato risiede probabilmente
nell’esclusione dallo studio degli studenti di grandi strumenti ad arco (ad
es. violoncello) che costringono l’arto superiore e la mano ad ampie
estensioni di tipo asimmetrico. Tale atteggiamento si è più volte dimostrato
fattore di rischio per l’insorgenza di tendiniti e sindromi da intrappolamento
soprattutto nel sesso femminile in età pre-peripuberale.
L’elevata frequenza riscontrata nella distribuzione dei disturbi a carico
del collo e del rachide dorsale suggerisce il verificarsi di alti livelli
di contrazione statica e di prolungati periodi di carico statico o posture
estreme durante lo studio di determinati passaggi tecnici, con il coinvolgimento
della muscolatura delle suddette regioni anatomiche. I risultati
del presente studio suggeriscono la necessità di impostare programmi di
prevenzione basata sulla collaborazione tra insegnanti e i “medici degli
artisti”, incentrati primariamente sull’informazione per i giovani pianisti
in ordine ai fattori di rischio correlati all’insorgenza di patologie multifattoriali
quali le PRMDs. Ulteriori indagini di tipo longitudinale permetteranno
di approfondire il ruolo dei fattori di rischio evidenziati, nell’insorgenza
di disturbi muscolo-scheletrici in differenti distretti del corpo.
BIBLIOGRAFIA
1) Bragge P, Bialocerkowski A, McMeeken J. A systematic review of
prevalence and risk factors associated with playing-related musculoskeletal
disorders in pianists. Occup Med (Lond). 2006; 56(1): 28-38.
2) European Agency for Safety and Health at Work. Ripetitive strain
injuries in the member States of the European Union, 2000.
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3) Grieco A, Occhipinti E, Colombini D, Menoni O, Bulgheroni M,
Frigo C, Boccardi S. Muscolar effort and muscolo-skeletal disorders
in piano student: electromyographic, clinical and preventive aspects.
Ergonomics 1989; 32(7): 697-716.
4) Herington TN, Morse LH. Occupational injuries. Evaluation, management
and prevention. 1995. Mosby, St. Louis, 333-345.
5) Hoppmann R. Instrumental musicians’ hazards. Occupational medicine
2001; 16(4): 619-631.
6) Institute of Medicine. Musoloskeletal disorders and the workplace:
low back and upper extremities. National Accademy of Science, Washington,
2001.
7) Zaza C. Playing-related musculoskeletal disorders in musicians: a
Systematic review of incidence and prevalence. Can Med Ass J
1998; 158: 1019-1025.
P-08
UN’ESPERIENZA DI BACK SCHOOL IN EDILIZIA: RUOLO
FORMATIVO E PREVENTIVO
M. Santini1 , P. Leghissa1 , G. Molinero2 , G. Mosconi1 1 Unità Operativa Ospedaliera Medicina del Lavoro, Azienda
Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, Largo Barozzi, 1
- 24126 Bergamo
2 Unità Operativa Ospedaliera Riabilitazione Neuromotoria
degli Ospedali Riuniti di Bergamo, Sede di Mozzo
Corrispondenza: Marisa Santini - Unità Operativa Ospedaliera
Medicina del Lavoro, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti
di Bergamo, Largo Barozzi, 1 - 24126 Bergamo, Italy
- Tel. 035-269196, Fax 035-266866, E-mail: marisanti@libero.it
A BACK SCHOOL EXPERIENCE IN CONSTRUCTION
INDUSTRY: FORMATION AND PREVENTION
Key words: back pain, back school, construction industry.
ABSTRACT. The aim of this work is to describe the application
of a Back School experience in a group of male construction workers.
We submitted 57 workers (mean age 41,9 years, mean lenght of service
8,8 years), all blue collars, to a questionnaire based on the Backill
scale, in order to obtain an anamnestic evaluation of low back pain
before and after an experience of Back School.
15 subjects had a previous diagnosis of Low Back Disease. In this
group 12 patients (80%) reported a symptomatic relief after the
experience of Back School.
The work underlines the preventive and formative role of Back School
in construction industry.
INTRODUZIONE
L’obiettivo del presente lavoro è di descrivere i risultati dell’applicazione
di un percorso di formazione e riabilitazione basato sulle teorie di
“Back School” in un gruppo eterogeneo (per età e mansione) di lavoratori
di sesso maschile di un’impresa edile.
In un comparto, quale quello dell’edilizia, dove sono presenti numerosi
fattori dei rischio per la colonna vertebrale, come la movimentazione
manuale dei carichi e le posture incongrue, la Low Back Pain, ed in genere
i disturbi del rachide lombo-sacrale, hanno un’elevata prevalenza e
sono tra le cause di maggiore rilievo di astensione dall’attività lavorativa
per malattia (1, 2, 3, 4).
In considerazione dell’ampiamente documentata efficacia degli insegnamenti
di Back School nel trattamento e contenimento dei disturbi a
carico del rachide (5, 6), si è deciso di organizzare un percorso basato sull’applicazione
di un protocollo teorico-pratico di Back School per un
gruppo di lavoratori di un’azienda edile, a scopo educativo, formativo e
preventivo.
MATERIALI E METODI
La popolazione da noi esaminata è composta da 135 dipendenti addetti
ad attività di cantiere (colletti blu), di cui il 20% è stato giudicato
idoneo con limitazioni per patologie riscontrate all’apparato osteo-mio-
articolare. Di questi, il 56% presentava limitazioni per patologie a carico
del rachide.
I 57 lavoratori che hanno aderito al programma di Back School proposto,
sono stati suddivisi in due gruppi (gruppo A e gruppo B) tramite un
questionario basato sulla scala Backill per la valutazione sintomatologica
del dolore lombo-sacrale (7) e tramite una visita medica, seguita, in alcuni
casi, da accertamenti di 2° livello (esami strumentali e/o visita specialistica
ortopedica) in collaborazione con l’Unità Operativa Ospedaliera
Riabilitazione Neuromotoria degli Ospedali Riuniti di Bergamo.
• “Gruppo A”: soggetti sintomatici ed asintomatici, con obiettività clinica
attualmente negativa (42 in totale).
• “Gruppo B”: soggetti con patologia del rachide conclamata (15 in totale).
Il “Gruppo A” ha aderito ad un programma di 16 ore di Back School
preventiva, in cui è stata integrata un parte informativo-teorica anatomico-fisiologica
del rachide e una parte educativa-pratica posturale.
Il “Gruppo B”, oltre all’acquisizione di nozioni anatomo-funzionali
e posturali, ha partecipato a 10 sedute di educazione fisioterapica per
l’apprendimento di specifici esercizi di ginnastica vertebrale posturale, di
stabilizzazione della colonna durante le attività quotidiane, e di recupero
funzionale (per un totale di 40 ore).
Parte del corso è stata inoltre dedicata a sottolineare l’importanza
della prevenzione e del contenimento dei disturbi lombari tramite l’esecuzione
autonoma, continuativa e costante, degli esercizi imparati e dei
corretti comportamenti posturali acquisiti, anche al termine dell’esperienza
formativa.
A sei mesi dall’effettuazione del corso di Back School, è stato riproposto
il questionario basato sulla scala Backill ed è stata effettuata una visita
medica di controllo per i 15 lavoratori con patologie conclamate al rachide.
A termine dell’esperienza, a tutti e 57 i partecipanti è stato sottoposto
un questionario anonimo per la valutazione dell’apprendimento e dell’efficacia
nel miglioramento sintomatologico per i 15 soggetti con diagnosi
accertata.
RISULTATI
Dei 57 soggetti che hanno aderito all’esperienza di Back School (età
media 41,9 anni, anzianità lavorativa media 8,8 anni), l’87,7% (50 soggetti)
si dichiara soddisfatto del percorso formativo di Back School intrapreso.
Dei 15 lavoratori con patologia conclamata del rachide (Gruppo B),
12 soggetti (80%) riferiscono una remissione o un notevole miglioramento
della sintomatologia algica lombare (diminuzione dei fenomeni
dolorosi acuti, non episodi di blocco lombare acuto, non ricorso alla terapia
farmacologica), mentre 3 soggetti (20%) non evidenziano sensibili
cambiamenti nella percezione dei disturbi lombosacrali.
11 soggetti (73,3%) del “Gruppo B” riferiscono di continuare ad eseguire
in modo sufficientemente continuativo gli esercizi insegnati durante
il corso di Back School.
DISCUSSIONE
In accordo con i dati di letteratura (6), si evidenzia l’efficacia della
Back School nella gestione di soggetti con conclamata patologia a carico
del distretto lombo-sacrale.
Il percorso educativo e formativo teorico permette di acquisire informazioni
in merito ad atteggiamenti posturali scorretti ed in merito alle patologie
che, in tal modo, si possono instaurare. Contemporaneamente,
l’apprendimento di attività pratiche quali gli esercizi di stabilizzazione
vertebrale e di ginnastica posturale, diventa un importante strumento di
autogestione della sintomatologia algica.
Si evidenzia come, in Edilizia, la Back School può essere un valido
strumento per contenere e/o ridurre la comparsa di “Back Pain” e di disturbi
del rachide lombo-sacrale (8), in lavoratori esposti quotidianamente
a fattori di rischio difficilmente quantificabili ed eliminabili.
BIBLIOGRAFIA
1) Latza U, Karmaus W, Stürmer T, Steiner M, Neth A., Rehder U.
Cohort study of occupational risk factors of low back pain in construction
workers. Occup Environ Med 2000; 57: 28-34.
2) Rothenbacher D, Brenner H, Arndt V et al. Disorders of the back and
spine in construction workers: prevalence and prognostic value for
disability. Spine 1997; 22: 1481-6.

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low back pain. Spine 1996; 21: 2909-17.
4) Sturmer T, Luessenhoop S, Neth A et al. Construction work and low
back disorder. Preliminary findings of the Hamburg construction
worker study. Spine 1997; 22: 2558-63.
5) Menoni O, De Marco F et al. La Back School per un efficace trattamento
delle rachialgie, E.P.T., Milano 1994.
6) Heymans MW, Van Tulder MW, Esmail R, Bombardier C, Koes BW.
Back Schools for non specific low-back pain (Review). The Cochrane
Library 2006, Issue 3.
7) Tesio L, Granger CV, Fiedler RC, A unified pain/disability measure
for low back pain syndromes, Pain, 1997.
8) Penna A. Back School. Una strategia per la prevenzione e il contenimento
delle lombalgie acute e croniche nei lavoratori dell’edilizia,
A.RE.S.S, 2003.
P-09
RISCHIO DI INFORTUNIO: CONFRONTO FRA DIVERSI SISTEMI
DI TURNAZIONE E MANSIONE LAVORATIVA
S. Garbarino1,2 , F. Spigno3 , F. Traversa3 , B. Mascialino4 , G. Cuomo1 ,
G. Mantineo1 , F. Ferrillo2 , A.D. Bonsignore3 1 Servizio Sanitario Polizia di Stato Ministero dell’Interno
2 Centro di Fisiopatologia del Sonno, Università di Genova
3 Dipartimento di Medicina Legale e del Lavoro, Sezione Medicina
del Lavoro, Università di Genova
4 Istituto Nazionale Fisica Nucleare, Sezione di Genova
Corrispondenza: Dr. Sergio Garbarino - Ufficio Sanitario Provinciale
Polizia di Stato, Salita San Giovanni di Prè, 1 - 16126 Genova, Italy
- E-mail: uffsanitpol.ge@libero.it
RISK OF OCCUPATIONAL ACCIDENT: COMPARISON
BETWEEN DIFFERENT WORK SHIFT SCHEDULES AND JOB
Key words: shiftwork, occupational accident, medical surveillance.
ABSTRACT. Recent studies showed a close relationship between
number of working hours, their position in the work day, duration of
previous waking period, drowsiness and accidents at work. In our study
we compared three different kinds of shift workers (178 nurses, 174
policemen, and 126 train drivers) by means of a validated questionnaire
(Standard Shiftwork Index). Statistical analysis was carried out using
Kolmogorov-Smirnov test and Cox proportional regression, then
calculating the Fitted Hazard Function (FHF) and the Simulated FHF.
According to our data, the occurrence of occupational accidents seems
to depend both on the job and the work shift schedule. Train drivers
have a lower risk of accident than the others workers; yet the
policemen, whose work schedule consists of four periods, the last of
which at night, have a much higher risk during the third and especially
the fourth period when compared with workers whose work schedule
consists of only three periods before the rest. The knowledge of these
aspects can help the occupational physician to a correct management in
order to reduce accident risk at shift work: firstly by information and
education of workers (feeding habits, lifestyle etc.), then by medical
surveillance aimed to point out eventual clinical situations predisposing
to accident and to identify criteria for fitness judgment, finally
suggesting the employer ergonomic measures, such as shift changes.
INTRODUZIONE
Il sistema di turno adottato, la mansione e le condizioni di lavoro
possono condizionare notevolmente la capacità di adattamento al lavoro
notturno. Recenti studi mostrano una stretta correlazione fra numero di
ore lavorative, posizione temporale delle stesse, durata del tempo di veglia
precedente e sonnolenza da una parte ed infortuni sul lavoro dall’altra.
Scopo dello studio è stato quello di confrontare tre diverse categorie
di lavoratori turnisti al fine di valutare come la mansione lavorativa ed il
sistema di turnazione adottato influenzino separatamente l’occorrenza di
infortuni, ed adottare le conseguenti strategie di prevenzione.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto in una grande città mediante l’uso di un
questionario assistito e validato (Standard Shifwork Index-SSI), somministrato
ad un campione di 478 lavoratori turnisti appartenenti a tre differenti
categorie: 178 infermieri (I), 174 operatori della Polizia di Stato (P)
e 126 macchinisti delle ferrovie (F).
I sistemi di turnazione adottati sono i seguenti: Infermieri “turno in
quarta” con notte prolungata (pomeriggio 14-21; mattino 7-14; notte 21-
7; riposo); Ferrovieri “turno in quarta” (pomeriggio 14-22; mattino 6-14;
notte 22-6; riposo); Poliziotti “turno in quinta” (sera 19-24; pomeriggio
13-19; mattino 7-13; notte 24-7; riposo). Tutti e tre i sistemi sono in senso
antiorario, regolari, con velocità di rotazione rapida.
Sono state confrontate le distribuzioni del numero di infortuni per categoria
lavorativa mediante il test di Kolmogorov-Smirnov (KS). L’influenza
della categoria lavorativa e delle caratteristiche personali del lavoratore
(età, sesso, BMI, anzianità di turnismo) sul rischio di infortunio
all’interno di un ciclo di turnazione sono state valutate per mezzo della
regressione proporzionale di Cox, che stima l’Hazard Ratio (HR) di ogni
variabile inserita nell’analisi e la sua significatività. Il rischio di infortunio
HF (Hazard Function) risulta dalla sovrapposizione degli HR delle
variabili emerse significative nell’analisi di Cox; il suo andamento in funzione
del tempo trascorso dall’inizio del piano di turnazione (Fitted Hazard
Function - FHF) è stato ben interpolato mediante delle funzioni matematiche
strettamente crescenti nel tempo. Infine, per separare gli effetti
della mansione e del sistema di turnazione, sono state simulate per le tre
categorie lavorative sistemi di turnazione differenti da quelli effettivamente
seguiti; la stima del rischio è espressa dalla funzione SFHF (Simulated
FHF).
Per ogni analisi effettuata il livello di significatività è stato fissato a 0.005.
RISULTATI
Il campione è prevalentemente costituito da soggetti di sesso maschile;
i F sono più anziani ed hanno anzianità di turnismo significativamente
più elevate rispetto ad I e P.
Il 26% degli I, il 34% dei P ed il 19% dei F riporta di aver avuto un
infortunio sul lavoro; rispettivamente il 28%, il 7% ed il 21% di questi lo
attribuiscono all’eccessiva sonnolenza. I P hanno un numero di infortuni
significativamente più elevato degli altri (p

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 145
www.gimle.fsm.it
Figura 1. In alto a sinistra. Andamento del rischio di avere un incidente
(FHF) in funzione delle ore trascorse dall’inizio del ciclo di turnazione.
Gli altri tre grafici mostrano le funzioni di rischio simulate
(SFHF) nel caso ipotetico in cui le categorie lavorative seguano sistemi
di turnazione differenti da quello effettivamente adottato.
DISCUSSIONE
I nostri dati indicano che l’occorrenza degli infortuni studiati sembra
dipendere in parte dalla mansione lavorativa ed in parte dal sistema di
turno adottato. Il fattore anzianità contribuisce poco ad aumentare il rischio
d’infortunio. In generale, le tre categorie lavorative mostrano un rischio
di infortunio intrinseco, indipendente dal piano di turnazione adottato:
tale rischio è simile per I e P, mentre è significativamente più basso
per i F, pur avendo questi una maggiore anzianità di turnazione. Il rischio
di infortunio di I e P si diversifica a partire dal terzo turno lavorativo. Gli
I concludono il ciclo di turnazione dopo tre turni lavorativi, mentre i P devono
affrontare un ulteriore turno lavorativo, quello di notte, durante il
quale il rischio di infortunio aumenta ulteriormente, rendendolo quello a
rischio più elevato.
Pertanto, il sistema di turnazione in quinta, adottato dai P e più in generale
dalle forze dell’ordine in Italia, sembra costituire un ulteriore fattore
di rischio nell’occorrenza degli infortuni: il turno in quinta ha un
20% di rischio in più, dovuto semplicemente alla lunghezza del ciclo di
turnazione, insufficientemente compensato dal minor numero di cicli
(ogni 4 cicli dei P, gli I ed i F ne fanno 5).
L’individuazione di tipologie di turno particolarmente a rischio di
infortunio e l’individuazione all’interno di esse di aree temporali critiche
stimolano il Medico Competente ad impostare un intervento che deve in
primo luogo privilegiare l’informazione e la formazione del lavoratore
(abitudini di sonno-veglia ed alimentari, stili di vita etc.). Nell’ambito
della sorveglianza sanitaria si cercheranno i possibili segnali di aumentato
rischio con particolare attenzione ai turni più disagevoli, anche ai fini
del giudizio di idoneità. Qualora le condizioni lo richiedano, sarà infine
opportuno collaborare con il datore di lavoro nella ricerca di soluzioni organizzative
più appropriate.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
1) Costa G. Shift Work and occupational medicine: an overview. Occup
Med 2003; 53: 83-88.
2) Härma M. Individual differences in tolerance to shift-work. A review.
Ergonomics 1993; 36: 97-110.
3) Garbarino S, Nobili L, Beelke M, Balestra V, Cordelli A, Ferrillo F.
Sleep disorders and day time sleepiness in state police shiftworkers.
Arc Environ Health 2002; 57: 167-173.
4) Garbarino S, Mascialino B, Borraccia V, De Carli F, La Paglia G, Nobili
L, Ravera G, Zanardi S, Ferrillo F. Tipologia lavorativa e sistema
di turnazione: differenziazione dell’influenza sul rischio di infortunio
nei turnisti. G Ital Med Lav Erg 2003; 25 (3) suppl.: 405-406.
P-10
I DISTURBI DA COSTRITTIVITÀ ORGANIZZATIVA IN AMBITO
INAIL NEL PERIODO 1999-2004. ASPETTI MEDICO-LEGALI
E TUTELA ASSICURATIVA
V. Anzelmo1 , F. D’Auria2 , P. Bianco3 1 Istituto Medicina del Lavoro, Università Cattolica S. Cuore, Roma
2 INAIL Salerno
3 Servizio Sanitario RAI Radiotelevisione Italiana Roma
INAL (1999-2004): MOBBING CASES. MEDICAL AND LEGAL
ISSUES
Key words: mobbing, malattia professionale, tutela assicurativa,
mobbing, occupational disease, workers’ compensation law.
Corrispondenza: F. D’Auria - INAIL Salerno, Via De Leo, 12
- 84100 Salerno, Italy - E-mail: f.dauria@inail.it
ABSTRACT. This study is focused on mobbing cases signalled to the
INAIL from 1999 to 2004. The 432 cases presented have been studied
analysing the distribution for sex, age, job profile, productive and
geographic area. The cases have been differentiated in connection with
the final result: 41 positive case.
INTRODUZIONE
L’entità del fenomeno del mobbing, delineatosi negli ultimi due decenni,
è stato oggetto di recenti stime epidemiologiche sia a livello europeo
che a livello nazionale. La normativa della Comunità Europea riporta
riferimenti di tutela e nei Paesi del Nord Europa sono stati emanati provvedimenti
legislativi specifici sul mobbing. In Italia, l’INAIL con la delibera
n. 473/2001 ha approvato un’impostazione di attenta apertura a questa
tematica, riconoscendo la possibile rilevanza assicurativa di situazioni
di rischio tecnopatico determinato dalle condizioni organizzative-ambientali
in cui il lavoratore svolge le sue prestazioni La Circolare n. 71 del
dicembre 2003 forniva indicazioni sulla modalità di trattazione dei casi.
Il Decreto 27 aprile 2004 (con il quale è stato approvato l’elenco delle
malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi dell’art. 139 del
T.U. n. 1124/65) nella lista II, contenente le malattie la cui origine lavorativa
è di limitata probabilità, include le malattie psichiche e psico-somatiche
da disfunzione dell’organizzazione del lavoro. La recente sentenza
del TAR del Lazio (n. 5454 del 4 luglio 2005) ha annullato la Circolare
INAIL 71/2003 riaprendo il dibattito sulla necessità di una norma
che tuteli i lavoratori dal mobbing.
MATERIALI E METODI
Per definire l’entità del fenomeno in ambito INAIL ed individuarne
elementi caratterizzanti,
sono state analizzate le Tabella I. Caratteristiche denunce
482 denunce pervenute,
nel periodo 1999-2004,
presso la Sovrintendenza
Medica Generale. Sono
stati valutati i seguenti
dati: la distribuzione per
sesso, età, mansione lavorativa,
comparto produttivo,
area geografica.
Sono state quindi differenziate
le denunce in
rapporto all’esito finale.
RISULTATI
I dati ottenuti, sintetizzate
nelle Tabelle I e II,
hanno consentito di rilevare
che la prevalenza
delle denunce riguardava
il sesso maschile (59,5%)
rispetto a quello femminile
(40,5%). In riferi-

146 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
mento all’età, il 41,9% dei casi era rappresentato da lavoratori con età superiore
ai 50 anni, il 36% dei casi con età compresa tra 41 e 50.anni, il 17%
dei casi con età tra 31 e 40 anni. La maggior parte delle denunce riguardava
i lavoratori dell’industria (48,1%) seguiti dai lavoratori del terziario
(30,4%) e da quelli del settore pubblico (20,7%). La percentuale degli impiegati,
in accordo con i dati nazionali ed internazionali, è risultata maggiore
rispetto a quella degli operai. Il 50% delle denunce proveniva dalle
regioni dell’Italia settentrionale. I casi accolti dall’INAIL sono stati l’8,5%,
quelli respinti il 56,0%, il 35,5% erano ancora in istruttoria. Nel periodo
esaminato risulta evidente un progressivo incremento delle denunce con
particolare negli anni 2003-2004.
DISCUSSIONE
I dati resi disponibili dall’INAIL rappresentano un importante contributo
statistico ed epidemiologico sulla complessa tematica, anche in
rapporto alla metodologia utilizzata per l’accertamento del rischio di costrittività
organizzativo, della conseguente diagnosi di malattia e della
successiva diagnosi medico-legale.
BIBLIOGRAFIA
1) Citarella G, Cristiano A, De Luca MG, Iugoli AR.
2) “Considerazione sui primi casi di mobbing pervenuti alla Sovrintendenza
Medica Generale”.
3) Atti III Convegno Nazionale di Medicina Legale Previdenziale. S.
Margherita di Pula, 2000.
P-11
Tabella II. Stratificazione per anno, regione e trattazione
ANALISI QUALITATIVA DEGLI OSTACOLI CHE LIMITANO
LA PRATICA PROFESSIONALE BASATA SU PROVE DI EFFICACIA
P. Grandi, A. Franchi, G. Corona, M. Minerva, G. Franco
Cattedra e Scuola di Specializzazione in Medicina del lavoro,
Università di Modena e Reggio Emilia, Servizio di Sorveglianza
Sanitaria, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena,
Largo del Pozzo, 71 - 41100 Modena
Corrispondenza: Dr.ssa Pamela Grandi - Scuola di Specializzazione
in Medicina del lavoro dell’Università di Modena e Reggio Emilia
Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena,
Largo del Pozzo, 71 - 41100 Modena, Italy - Tel. +39-059 422 2766,
Fax +39-059 422 2465, E-mail: medlav2@unimore.it; grandi.pamela@virgilio.it
QUALITATIVE ANALYSIS OF THE OBSTACLES LIMITING
THE EVIDENCE-BASED PRACTICE
Key words: evidence based occupational health, occupational health
practice, quality.
ABSTRACT. INTRODUCTION. Evidence-based practice has
emerged as a priority in efforts to improve health care quality.
Aim of the present study is to analyse the obstacles limiting
searching for evidence and its application in the practice
of the occupational physician.
MATERIALS AND METHODS. The study has been carried out
during the course, organized by the University of Modena
and Reggio Emilia, on the Evidence Based Occupational
Health. The objectives of the course consisted in the
acquisition of new knowledge to provide an effective
protection of the workers’ health, the development of
searching models based on scientific evidence and the
development of problem solving skill.
RESULTS AND CONCLUSION. Eight main themes emerged as
obstacles in the adoption of practice founded on the Evidence
Based Occupational Health paradigm. The themes can
be classified in: (i) technical or pragmatic factors (access
to electronic information resources, skills in searching
information resources, clinical question tracking, time) and
(ii) emotional or cultural factors (clinical question priority,
personal initiative, team dynamics, institutional culture).
Participants showed a positive attitude toward the approach,
based on the instruments and techniques provided from the formative
model, aiming at satisfying their informative needs.
INTRODUZIONE
L’adozione di una pratica sanitaria basata su prove di efficacia è
considerata una priorità sia da parte delle istituzioni che regolano le professioni
che da parte delle associazioni scientifiche di professionisti (1,
2). I medici sono incoraggiati a identificare, valutare e applicare le migliori
prove disponibili per assumere decisioni in linea con le attese dei
loro interlocutori. Tuttavia diversi motivi rendono difficoltosa l’adozione
di decisioni basate su prove. I professionisti identificano la mancanza
di tempo come l’ostacolo principale per rispondere alle domande
che si pongono durante la pratica professionale quotidiana (3). Inoltre,
essi segnalano la difficoltà nel formulare correttamente le domande e la
mancanza di consapevolezza, di accesso e di abilità nella ricerca delle risorse
mediche da cui trarre le informazioni (3, 4, 5). Scopo di questa
esperienza è l’analisi dei fattori che contribuiscono ad ostacolare la ricerca
di prove e la loro applicazione nella pratica corrente del medico
competente.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto durante il corso, organizzato dall’Università
di Modena e Reggio Emilia con il supporto logistico della locale
Azienda Ospedaliero-Universitaria, sull’Evidence Based Occupational
Health. Il corso aveva come obiettivi formativi l’acquisizione di nuove
conoscenze sull’attuale sviluppo delle pratiche di medicina del lavoro
per garantire un’efficace tutela della salute dei lavoratori, lo sviluppo di
modelli interpretativi basati su prove scientifiche e di capacità di problem
solving relativamente ai problemi emergenti nel campo della tutela
della salute. Al corso, a numero chiuso, che si è tenuto nel periodo
aprile-settembre 2005, hanno partecipato 20 medici con diversa formazione
e provenienza geografica. In particolare, erano presenti dipendenti
pubblici o libero professionisti con funzione di medico competente e
medici del lavoro dei servizi territoriali provenienti da 8 regioni centrosettentrionali.
Il corso è stato strutturato in 4 moduli di 5 ore ciascuno,
per un totale di 20 ore. Il metodo formativo ha privilegiato la partecipazione
attiva e l’interazione con i formatori, l’adozione di tecniche di
gioco dei ruoli, la costruzione di problemi simulati affrontati individualmente
e in gruppo, la ricerca di soluzioni con l’utilizzo di strumenti
informatici e banche dati, la discussione in piccoli gruppi. Queste modalità
formative hanno consentito di condurre un’analisi qualitativa sul
modello del focus group che ha permesso di far emergere i fattori che
ostacolano la ricerca di prove e la loro applicazione nella pratica corrente
(6, 7, 8, 9).
RISULTATI E CONCLUSIONE
Sono stati identificati 8 fattori che possono rappresentare altrettanti
ostacoli nell’adozione di pratiche basate sul paradigma dell’Evidence
Based Occupational Health. I fattori possono essere classificati

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 147
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come appartenenti alla categoria tecnico-strumentale e alla categoria
formativo-culturale (3, 4). Alla prima appartengono fattori quali: (i)
l’insoddisfacente accesso alle risorse (mancanza di connessione ad Internet
sul luogo di lavoro o connessioni lente, hardware non aggiornati,
impossibilità di stampare documenti), (ii) la scarsa abilità nella tecnica
di ricerca delle informazioni (mancanza di familiarità o non conoscenza
dell’ampia gamma di banche dati disponibili on-line e di quale
risorsa possa essere più appropriata per rispondere ad un particolare
tipo di domanda), (iii) la scarsa abilità nel reperimento delle informazioni
(difficoltà nella corretta formulazione delle domande che emergono
durante la pratica professionale e quindi difficoltà nel reperimento
delle risposte, mancanza di una strategia ottimale di ricerca, incapacità
nel definire le parole chiave, incertezza su quali articoli leggere
integralmente), (iv) la mancata disponibilità di tempo necessario
per la ricerca. Alla seconda categoria appartengono: (i) la difficoltà di
identificare le possibili soluzioni del problema (reperimento di informazioni
non corrette e/o non aggiornate, inadeguatezza delle prove reperite,
scarsa chiarezza delle informazioni, difficoltà nell’applicare i
risultati ai singoli problemi), (ii) la mancanza di iniziativa personale
(mancato riconoscimento della necessità di informazioni o repressione
dello stesso per caratteristiche personali, imbarazzo o carenza di
tempo) (iii) la scarsa attitudine al lavoro di gruppo, (iv) la scarsa cultura
dell’istituzione sul tema specifico, oltre alla scarsa conoscenza
della lingua inglese. A fronte di tali ostacoli è stata osservata un’attitudine
positiva dei partecipanti verso un approccio che mira a soddisfare
i bisogni di informazione necessari per lo svolgimento di una pratica
professionale di qualità con gli strumenti e le tecniche previste dal modello
formativo attuato. In particolare, dal questionario di gradimento
è emerso un giudizio complessivo finale “buono/eccellente” in merito
a interesse generale e professionale, utilità e chiarezza. I principali
punti di forza sono risultati essere l’aula informatizzata in cui si è
svolto il corso e l’elevato grado di interattività con i docenti e con le
basi di dati. I risultati, confermando una precedente esperienza (10),
dimostrano che un corso intensivo di 20 ore, strutturato in 4 moduli, rivolto
a medici di diversa formazione culturale e professionale, ha permesso
di soddisfare i bisogni formativi dei partecipanti e, in particolare,
di migliorare conoscenze e abilità nell’ambito della pratica professionale
basata sulle prove di efficacia.
BIBLIOGRAFIA
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Washington: National Academy Press, 2003; 45-742.
2) Franco G. The future of occupational health practice: reconciling customer
expectation and evidence based practice. Occup Med 2001;
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questions? A qualitative study of barriers to practicing Evidence-Based
Medicine. Academic Medicine 2005; 80: 176-182.
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patient care with evidence: qualitative study. BMJ 2002; 324: 1-7.
5) Franco G, Monduzzi G. Validazione sperimentale del paradigma dell’Evidence
Based Occupational Health e del modello PICO nell’analisi
decisionale del medico del lavoro. Med Lav 2004; 95: 423-430.
6) Franco G. Evidence-based decision making in occupational health.
Occup med (Lond) 2005; 55: 1-2.
7) Monduzzi G, Franco G. Practising evidence based occupational
health in individual workers: how to face with a latex allergy problem
in a health care setting. Occup med (Lond) 2005; 55: 3-6.
8) Grandi P, Franco G. Practising evidence based occupational health in
workers’ groups: how to prevent sickness absence caused by influenza.
Occup med (Lond) 2005; 55: 7-9.
9) Franchi A, Franco G. Evidence-based decision making in endoscopy
nurse with respiratory symptoms exposed to the new ortophtalaldehyde
(OPA) disinfectant. Occup Med (Lond) 2005; 55:
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10) Fritsche L, Greenhalgh T, Falck-Ytter Y, Neumayer H-H, Kunz R.
Do short courses in evidence based medicine improve knowledge
and skills? Validation of Berlin questionnaire and before and after
study of courses in evidence based medicine. BMJ 2002; 325: 1338-
1341.
P-12
ANALISI DELLA POSTAZIONE DI LAVORO DEI BANCONI
SPORTELLERIA DEGLI UFFICI POSTALI E PROPOSTE
DI INTERVENTI STRUTTURALI
V. Molinaro, E. Badellino, S. Del Ferraro, A. Silvetti, F. Draicchio
Laboratorio di Fisiologia ed Ergonomia, Dipartimento di Medicina
del Lavoro, ISPESL Centro Ricerche, Via Fontana Candida, 1
- 00040 - Monteporzio Catone (RM), Italy - Tel. 06-94181453,
E-mail: vincenzo.molinaro@ispesl.it
ANALYSIS OF THE WORKSTATION LAYOUT OF POSTAL
TELLERS AND PROPOSAL OF STRUCTURAL MODIFICATIONS
Key words: workstation layout, postural requirements, work-related
musculoskeletal disorders (WMSDs).
ABSTRACT. Postal teller workstation involves awkward postures and
wrong movements because of the available space, including furniture
and PC station.
Some critical aspects have been noticed: back bending during
interaction with client; limited spaces to lean forearms; worker
instability due to the height of the chair; vertical gap between printer
table and operator table; limited space for legs; repeated flexion of the
forearm over the shoulder. Some structural and organizative elements
can be considered as risk factors.
In this paper some structural solutions are proposed for this specific
workstation.
INTRODUZIONE E METODI
Nell’ambito dell’accordo di collaborazione tra ISPESL e Poste Italiane
S.p.A. inerente la verifica dell’osservanza dei principi ergonomici
previsti dal D.Lgs. 626/94 [1] sono stati effettuati alcuni sopralluoghi,
con riprese video, presso Uffici Postali della Campania, ed è stata esaminata
la documentazione fornita, inerente le postazioni oggetto di valutazione.
Sono state esaminate la postazione tradizionale ed alcune postazioni
modificate mediante abbassamento del piano di lavoro o con l’adozione
di pavimenti galleggianti a diverse altezze.
Rapporti dimensionali e caratteristiche della postazione di lavoro
dell’operatore di sportello degli uffici postali comportano l’assunzione di
posture incongrue e l’esecuzione di movimenti inadeguati al fine dell’adattamento
agli spazi a disposizione, delineando un quadro di non rispondenza
della postazione ai requisiti previsti dal D.Lgs. 626/94 e dalla
normativa tecnica UNI 7367 [2] Le criticità evidenziate sono:
flessione del rachide nella fase di scambio col cliente con conseguente
mancanza di appoggio del tratto lombare allo schienale per
l’impossibilità di avvicinamento della sedia al piano principale di lavoro
a causa della presenza del poggiapiedi fisso;
spazio insufficiente sul piano di lavoro per lo schermo e per l’appoggio
degli avambracci;
eccessiva altezza della seduta, vincolante per il raggiungimento del
piano di lavoro, con conseguente instabilità dell’operatore;
dislivello tra piano di appoggio del supporto per la stampante e piano
principale che interrompe la continuità del piano di lavoro, impedendone
il completo utilizzo;
ingombri al di sotto del piano di lavoro, che ostacolano l’alloggiamento
degli arti inferiori e la rotazione della sedia, con conseguente
torsione del tronco;
stampanti a caricamento dall’alto che richiedono il sollevamento dell’avambraccio
oltre il piano dell’articolazione scapolo-omerale per
l’inserimento dei documenti;
spazio insufficiente per l’eventuale inserimento della roller-cash.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Fra le soluzioni prospettate, e già operative in alcuni uffici, ve ne
sono due che prevedono l’adeguamento del bancone mediante l’adozione
di un pavimento galleggiante, con un’unica modifica legata all’innalzamento
del piano di calpestìo, posto rispettivamente a 10 e a 32 cm., rispetto
alla struttura tradizionale. È stato inoltre aggiunto al piano di lavoro
principale, con un’angolazione di 90°, un ulteriore piano, a supporto
per la stampante.

148 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
Tali soluzioni però, introducono un fattore di rischio infortunistico legato
all’innalzamento parziale del piano di calpestìo; peraltro, l’inserimento
nella postazione del supporto per la stampante crea nel piano di lavoro un
dislivello, dato dalla differenza tra il piano principale ed il piano di lavoro
aggiuntivo per l’appoggio della stampante, più alto del primo di 6,5 cm.
Al di sotto di tale supporto, gli arti inferiori trovano l’ostacolo costituito
dal supporto stesso e dalla cassettiera, situata sotto il piano di appoggio
della stampante. Queste soluzioni non rispondono, pertanto, ai
criteri generali previsti dalla UNI 7367 che prevede che l’operatore abbia
sufficiente spazio per le variazioni di postura, sia sopra che sotto il piano
di appoggio, indipendentemente dall’altezza del piano di lavoro.
La soluzione che prevede invece l’adeguamento del bancone tradizionale
senza interventi sul pavimento presenta, rispetto alle altre soluzioni
analizzate, caratteristiche strutturali che consentono, con alcune
modifiche correttive da noi proposte, di renderla rispondente ai requisiti
richiesti dalla normativa nazionale, relativamente all’aspetto ergonomico
della postura e del movimento dell’operatore nello svolgimento della specifica
mansione.
Le modifiche apportate alla struttura tradizionale consistono in un
doppio abbassamento del piano di lavoro: da 110 cm. a 100 cm. per il
piano operatore-utente e da 110 cm. a 73 cm. per il piano operatore. La
postazione si sviluppa a penisola, in diretta continuazione del piano di lavoro
operatore, verso destra o sinistra a seconda delle diverse esigenze
funzionali e strutturali delle sedi. Il piano di lavoro dell’operatore ha una
profondità di 60 cm. ed il piano di interfaccia cliente/operatore, dal lato
operatore, si sovrappone al piano di lavoro stesso per circa 19 cm. Il
bordo del piano operatore (lato operatore) è sagomato per dare un buon
appoggio degli avambracci anche quando l’operatore opera in posizione
angolare (Figg. 1-2).
Tale soluzione presenta i seguenti vantaggi:
il limitato dislivello tra piano di lavoro e piano cliente/operatore non
rende necessaria, nelle fasi di scambio con l’utente, la flessione del
tronco né un eccessivo sollevamento degli avambracci; inoltre il piano
di interscambio, sporgendo dal lato operatore di 19 cm. costituisce un
adeguato punto di appoggio per l’avambraccio durante lo scambio;
Figura 1
Figura 2
la continuità del piano di lavoro con la penisola e la sagomatura del
bordo interno ne permette il completo utilizzo, consentendo il posizionamento
di tastiera e monitor a 45° di inclinazione rispetto al
piano di interfaccia cliente-operatore e il loro corretto allineamento
rispetto all’operatore, fornendo adeguato appoggio agli avambracci
durante la digitazione;
la griglia metallica applicata posteriormente all’alloggio del computer
permette il contenimento dei cavi riducendone i rischi legati all’ingombro;
il monitor, mediante sostegno regolabile, può essere posizionato all’altezza
più opportuna, in base alle indicazioni fornite dal Decreto 2
ottobre 2000 “Linee Guida d’uso dei videoterminali” [3];
lo spazio per il posizionamento delle gambe al di sotto del piano di
lavoro risulta conforme a quanto previsto dalla UNI EN 527-1 [4], e
cioè “…uno spazio per le gambe al di sotto del piano di lavoro che
abbia larghezza non minore di 60 cm.” Anche in presenza della roller-cash
tale spazio è garantito, risultando pari a 92,48 cm.;
la roller-cash che risulterebbe posizionata troppo in basso, costringendo
l’operatore a flettere il tronco durante l’utilizzo se appoggiata
direttamente sul pavimento, è stata collocata su appositi sostegni per
rialzarla, affinché l’operatore nell’utilizzarla non debba portare le
mani sotto il piano di seduta;
la penisola fornisce un adeguato sostegno per la stampante, che dovrà
essere collocata ad una distanza tale da consentire all’operatore
di raggiungerla senza dover estendere completamente il braccio nell’inserimento
dei documenti.
BIBLIOGRAFIA
1) Decreto Legislativo 19 settembre 1994 n. 626. “Attuazione delle direttive
89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE,
90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il
miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo
di lavoro”, in: S.O. n. 141 alla G.U. n. 265 del 12/11/94.
2) UNI n° 7367 del 28/02/1987. ”Mobili per ufficio. Posto di lavoro:
scrivania e sedia, tavolo per video terminale e sedia. Generalità”.
3) Decreto Ministeriale 02/10/2000. “Linee guida d’uso dei videoterminali”.
4) UNI EN n° 527-1 del 31/07/2000. “Mobili per ufficio - Tavoli da lavoro
e scrivanie - Dimensioni”.
P-13
VALUTAZIONE DEL RISCHIO OSTETRICO-GINECOLOGICO
NELLE IMPIEGATE DELLA MANIFATTURA CALZATURIERA
M. Valentino1 , V. Rapisarda2 , M. Ciuccarelli1 , L.A.Tranquilli3 ,
N. Montik3 , L. Di Nunzio1 1 Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative,
Clinica di Medicina del Lavoro, Università Politecnica delle Marche,
Via Tronto, 10/a - 60100 Ancona
2 Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Sezione di Medicina
del Lavoro, Università degli Studi di Messina
3 Clinica di Ginecologia e Ostetricia, Università Politecnica
delle Marche, Ancona
Corrispondenza: Dr.ssa Marida Ciuccarelli - c/o Dipartimento
di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Clinica di Medicina
del Lavoro, Università Politecnica delle Marche, Via Tronto, 10/A
- 60100 Ancona, Italy - Tel. e Fax 3383524923, 071206062,
E-mail: marida13@tele2.it
ASSESSMENT OF OBSTETRICAL-GYNAECOLOGICAL RISK
AMONG WOMEN EMPLOYED IN THE SHOE MANUFACTURING
INDUSTRY
Key words: pregnancy outcome, fetal risk, shoe industry.
ABSTRACT. In Italy, the pregnancy of female workers and the foetus
are protected by Law Decree no. 151/01. The incidence of some
maternal and foetal pathologies among workers employed in the shoe

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 149
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manufacturing industry was investigated in the framework of a
programme directed at the assessment and prevention of the obstetricalgynaecological
risk of employment in this industry and at gauging the
observance of current maternity protection laws. The study was
conducted from October 2005 to March 2006 in collaboration with the
Obstetrics Clinic of the Polytechnic University of Marches, Ancona,
Italy. Female workers employed at several Italian shoemaking factories
were given an anonymous questionnaire to collect data on age, lifestyle,
work tasks performed, number of pregnancies, abortion risk, preterm
deliveries, foetal death, foetal growth delay, infertility and menstrual
cycle problems. Overall, 145 questionnaires were returned and analysed.
As a control, the questionnaire was also given to female employees in
the same factories; 135 questionnaires were returned.
Data analysis showed that there were no significant differences in the
incidence of obstetrical-gynaecological problems between the two
populations.
The small sample size however suggests that the relationship between
the potential risks related to jobs in the shoe manufacturing industry
and the incidence of spontaneous abortion, preterm delivery, infertility
and menstrual problems in this environment should be further
investigated, as also highlighted by other researchers.
INTRODUZIONE
In un’area ad alta concentrazione di calzaturifici come potrebbe essere
la realtà marchigiana, molti addetti alla manifattura sono donne in età
fertile, esposte a numerosi fattori di rischio per la salute riproduttiva ed il
prodotto del concepimento. I rischi professionali risultano fondamentalmente
legati a rumore, vibrazioni, movimenti ripetitivi, mantenimento
prolungato della postura eretta, sollevamento di carichi eccessivi, traumatismi
da macchine in movimento, inadeguato microclima e inalazione di
sostanze tossiche quali i solventi organici. Numerosi studi epidemiologici
suggeriscono che proprio l’esposizione a questi ultimi rischi può avere effetti
negativi sulla sopravvivenza e sullo sviluppo embrionale del feto. Un
aumento di aborti spontanei è stato osservato in donne in gravidanza impiegate
in attività che prevedevano l’utilizzo di solventi organici in alcuni
settori produttivi, come le industrie delle vernici, delle lavanderie a secco
e delle calzature (Agnesi et al., 1997, Lindbohm et al., 1990).
Allo scopo di valutare gli effetti del lavoro calzaturiero sull’outcome
ostetrico-ginecologico delle lavoratrici madri e nel rispetto dell’attuale
normativa italiana sulla tutela della maternità (D.Lgs 151/01), abbiamo
analizzato l’occorrenza di alcune patologie materne e fetali in donne impiegate
in questo specifico settore industriale.
MATERIALI E METODI
La valutazione è stata ottenuta dalla collaborazione tra la Clinica di
Medicina del Lavoro e la Clinica Ostetrica dell’Università Politecnica
delle Marche, presso alcune aziende calzaturiere delle province di Macerata,
Ascoli Piceno e Fermo, nel periodo Ottobre 2005-Marzo 2006. Sono
state incluse nello studio 280 donne in età fertile, di cui 145 operaie
presso aziende calzaturiere (Gruppo-1) e 135 donne impiegate, casalinghe
ed insegnanti (Gruppo-2). Per ciascuna dipendente sono stati indagati,
mediante questionario anonimo, età, stile di vita, abitudine tabagica,
anamnesi lavorativa ed eventuali fattori di rischio legati alla mansione
svolta, quali la posizione scomoda o faticosa, il rumore, il sollevamento
di carichi pesanti, l’esposizione a vibrazioni intense, l’inalazione di sostanze
tossiche presenti nelle varie fasi del ciclo produttivo da un lato e
dall’altro il numero di gravidanze, il rischio di aborto spontaneo, il parto
pretermine, la morte fetale, il ritardo di crescita intrauterino, l’infertilità e
i disturbi mestruali a cui sono andate incontro nell’arco della loro vita.
Tutti i dati raccolti sono stati elaborati con il pacchetto di software
SPSS (Statistical Pattern for Social Science) e sottoposti ad analisi statistica
per valutare la loro significatività.
RISULTATI
Un riepilogo delle mansioni e dei relativi rischi è mostrato nella Tabella
I.
Dai dati ottenuti si può notare come il Gruppo-1, che è composto in
prevalenza da donne addette alla orlatura, è impiegato in attività che
espongono maggiormente a rumore, a sostanze tossiche ed al mantenimento
di un prolungata stazione eretta; viceversa nel Gruppo-2 c’è un
maggior rischio di sollevamento di carichi pesanti, soprattutto per le
donne adibite ad attività domestiche.
Tabella I. Principali mansioni lavorative e rischi occupazionali
nel Gruppo-1 e Gruppo-2. * Gruppo-1 vs Gruppo-2 (p1 ora/die 8,99* 2,96
Ore in piedi >3/die 42,76* 24,44
Nella Tabella II si osserva che le lavoratrici del settore calzaturiero
(Gruppo-1) presentano cicli mestruali irregolari rispetto al campione di
controllo (Gruppo-2), come pure una maggiore frequenza di aborti spontanei,
problemi nel corso della gravidanza e al feto.
DISCUSSIONE
Da un’analisi preliminare di tutte le variabili relative alle caratteristiche
e ai rischi dell’attività lavorativa si è cercato di estrapolare solo
quelle che mostravano una certa associazione statistica con la tipologia di
lavoro svolta, indipendentemente dalle correlazioni con le variabili relative
alle abitudini e stili di vita (fumo, alcool, uso di farmaci, ecc); in questo
modo la matrice dei dati è stata semplificata per mettere in evidenza
la relazione con il tipo di lavoro svolto e associare così ad ogni fattore di
rischio specifico una probabilità di incidenza delle malattie ostetrico-ginecologiche
dei due gruppi di lavoratrici esaminati.
Da questo tipo di analisi si è giunti alla conclusione che le problematiche
ostetrico-ginecologiche quali irregolarità mestruali, problemi
alla gravidanza e aborti spontanei sono associate alla tipologia di lavoro
svolto e ai rischi lavorativi ad essa connessi (rumore, esposizione alle vibrazioni,
esposizione a sostanze tossiche e ore di lavoro in piedi), come
peraltro era già stato messo in evidenza da altri autori.
Tuttavia la esiguità dei campioni esaminati ed il relativo breve periodo
di osservazione, ci suggerisce di indagare ulteriormente la relazione
esistente tra questi rischi presenti nell’industria calzaturiera e l’insorgenza
di aborti spontanei, parti pretermine, infertilità e disturbi mestruali.
Resta dunque la necessità di indagare ulteriormente questa correlazione
al fine di preservare lo stato di salute non solo delle donne che scelgono
di lavorare anche durante la gravidanza, ma soprattutto del nascituro.
Tabella II. Disturbi Ostetrico-Ginecologici osservati
nelle due popolazioni studio
Gruppo-1 Gruppo-2
(%) (%)
Ciclo mestruale:
– assente (menopausa) 10,34 15,56
– regolare per ritmo, perdite e durata 61,38 53,33
– irregolare per ritmo 6,90* 12,59
– irregolare per perdite e durata 10,34 13,33
– irregolare per ritmo, perdite e durata 11,03* 5,93
Problemi di infertilità 6,90 4,44
Aborti spontanei (≥1) 15,86* 9,63
Problemi in corso di gravidanza (tot.): 20,37* 10
– parto prematuro 4,63 4
– morte fetale intrauterina 4,63* 1
– rottura pre-termine delle membrane 3,70* 1
– altro 7,41* 4
* Gruppo-1 vs Gruppo-2 (p

150 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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BIBLIOGRAFIA
1) Agnesi R, Valentini F, Mastrangelo G. Risk of spontaneous abortion
and maternal exposure to organic solvents in the shoe industry. Int
Arch Occup Environ Health 1997; 69: 311-316.
2) Lindbohm ML, Taskinen H, Sallmen M, Hemminki K. Spontaneous
abortions among women exposed to organic solvents. Am J Ind Med
1990; 17: 449-463.
P-14
LAVORO SEDENTARIO E SINDROME METABOLICA
M. Bracci1 , N. Croce1 , G. Ceccarelli2 , F. Monaco2 , L. Santarelli1 1 Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative,
Area di Medicina del Lavoro, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università Politecnica delle Marche, Ancona
2 RFI S.p.A., Direzione P.O., Direzione Sanità, Unità Sanitaria
Territoriale, Ancona
Corrispondenza: Massimo Bracci - Clinica di Medicina del Lavoro,
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche,
Via Tronto, 10/A - 60020 Ancona, Italy - E-mail address: m.bracci@email.it
SEDENTARY WORK AND METABOLIC SYNDROME
Key words: sedentary work, sedentariness, metabolic syndrome.
ABSTRACT. The incidence of metabolic syndrome, defined by the
National Cholesterol Education Program-Adult Treatment Panel III
(NCEP-ATP III) as the simultaneous presence of three or more
alterations among hyperglycaemia, hypertriglyceridaemia, low HDL,
increased waist circumference, and arterial hypertension, is rising in
Italy and in all Western countries. The syndrome is associated with
increased rates of mortality and an increased risk for cardiovascular
accidents.
A sedentary lifestyle has an important role in causing the syndrome.
Since a large part of most people’s life is spent working, there is a wide
scope for an influence of the various types of jobs in preventing or
favouring metabolic parameter changes.
The aim of this work was to assess the possible link between sedentary
job (sitting or remaining at a fixed post for more than two thirds of
one’s working hours) and the increased prevalence of metabolic
syndrome among 236 male workers subjected to health surveillance.
Sedentary work was associated with a greater prevalence of metabolic
syndrome and changes in the relevant parameters.
While awaiting more exhaustive studies, the occupational physician has
an important role in promoting correct dietary habits and moderate
physical exercise in subjects with work tasks requiring very limited
physical exertion.
INTRODUZIONE
La sindrome metabolica è stata definita e studiata solo in tempi recenti,
il National Cholesterol Education Program-Adult Treatment Panel
III (NCEP-ATP III) l’ha definita nel 2001 come la contemporanea presenza
di tre o più alterazioni fra iperglicemia, ipertrigliceridemia, basso
colesterolo HDL, aumentata circonferenza vita e ipertensione arteriosa
(1). Numerosi studi hanno associato la sindrome metabolica ad una mortalità
più elevata ed in specifico ad un rischio maggiore di accidenti cardiovascolari
(2, 3). Pur essendo i meccanismi patogenetici di tale sindrome
complessi (4) e legati anche al background genetico individuale
(5), essa è senza dubbio associata ad uno stile di vita sedentario (6, 7).
Negli ultimi decenni in Italia, come in gran parte dei paesi industrializzati,
stiamo assistendo ad un notevole incremento del settore terziario
con un progressivo aumento di mansioni che richiedono un ridotto
impegno fisico. Un lavoro leggero è stato correlato ad una maggiore
prevalenza di obesità (8) ma solo scarse e imprecise informazioni
si hanno sull’associazione fra lavoro sedentario e alterazioni di parametri
metabolici (9).
Poiché un turno medio di lavoro impiega buona parte della giornata
di un individuo, si è valutata la possibile associazione fra lavoro di tipo
sedentario e maggior prevalenza di sindrome metabolica.
SOGGETTI E METODI
Il campione studiato è costituito da 236 lavoratori maschi sottoposti
a sorveglianza sanitaria presso RFI, Unita Sanitaria Territoriale di Ancona.
I soggetti, reclutati in maniera sequenziale, sono stati divisi in due
gruppi: lavoratori sedentari e lavoratori attivi. Nel primo gruppo sono
rientrati coloro che riferivano di lavorare seduti o in una postazione fissa
per più di 2/3 dell’orario lavorativo. Durante la visita medica sono stati
misurati: peso, altezza, circonferenza vita e pressione arteriosa. È stata effettuata
un’anamnesi farmacologica per identificare i soggetti in terapia
per ipertensione, dislipidemia o diabete mellito ed è stata indagata l’attività
sportiva extralavorativa identificando come sportivi coloro che effettuavano
almeno 1 ora/sett. di qualsiasi sport. Tutti i lavoratori studiati
sono stati sottoposti a prelievo ematico per la rilevazione dei parametri
necessari per definire la presenza di sindrome metabolica secondo la definizione
del NCEP-ATP III.
RISULTATI
Il gruppo dei lavoratori sedentari è risultato composto da 57 soggetti
mentre quello dei lavoratori attivi da 179 individui. I due gruppi sono risultati
omogenei per età e quota di soggetti svolgenti attività sportiva extralavorativa.
La sindrome metabolica definita come presenza nel medesimo
soggetto di alterazioni in almeno tre dei parametri stabiliti dal
NCEP-ATP III è risultata significativamente più rappresentata nel gruppo
dei lavoratori sedentari (15,8% contro 6,1% dei lavoratori attivi). Un significativo
aumento di prevalenza si è osservato anche prendendo in considerazione
l’alterazione contemporanea di almeno due parametri o di
solo uno di essi (Figura 1).
Figura 1. Prevalenza di parametri metabolici alterati in lavoratori
sedentari e attivi. * = p

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 151
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CONCLUSIONI
Il lavoro di tipo sedentario è associato ad una maggior prevalenza di
sindrome metabolica e di alterazioni di parametri ad essa associati. In attesa
di ulteriori approfondimenti, il Medico del Lavoro, nello svolgimento
delle sue funzioni può assumere un ruolo di rilievo nella educazione
ad una dieta corretta e nell’incentivazione, specie in questa classe
di lavoratori, alla pratica di una moderata attività fisica extralavorativa.
BIBLIOGRAFIA
1) Executive Summary of The Third Report of The National Cholesterol
Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation,
And Treatment of High Blood Cholesterol In Adults (Adult
Treatment Panel III). JAMA. 2001; 285: 2486-97. URL: http://
www.nhlbi.nih.gov/guidelines/cholesterol/index.htm
2) Maggi S, Noale M, Gallina P et al. ILSA Working Group. Metabolic
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cohort: the Italian Longitudinal Study on Aging. J Gerontol A
Biol Sci Med Sci. 2006; 61: 505-10.
3) Isomaa B, Almgren P, Tuomi T, Forsen B, Lahti K, Nissen M, Taskinen
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with the metabolic syndrome. Diabetes Care 2001; 24(4): 683-9.
4) Lombard L, Augustyn MN, Ascott-Evans BH. The metabolic syndrome-pathogenesis,
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S Afr 2002; 13: 181-6.
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Study. Genome-wide linkage scan for the metabolic syndrome in the
HERITAGE Family Study. J Clin Endocrinol Metab 2003; 88(12):
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6) Bertrais S, Beyeme-Ondoua JP, Czernichow S et al. Sedentary behaviors,
physical activity, and metabolic syndrome in middle-aged
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and the American College of Sports Medicine. JAMA 1995;
273: 402-7.
P-15
ELEMENTI ANALITICI PER LA PROGETTAZIONE DI POSTAZIONI
DI LAVORO DI PERSONE DISABILI ALLE CASSE DEI SUPERMERCATI
F. Draicchio1 , A. Silvetti1 , E. Badellino1 , V. Molinaro1 , S. Del Ferraro1 ,
G. Gianello2 , A. Bergamaschi2 1 Laboratorio di Fisiologia ed Ergonomia, ISPESL, Via Fontana
Candida, 1 - 00040 Monte Porzio Catone, Roma
2 Centro di Igiene Industriale, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Via della Pineta Sacchetti, 644 - 00168 Roma
Corrispondenza: Francesco Draicchio, Laboratorio di Fisiologia
ed Ergonomia, ISPESL, Via Fontana Candida, 1 - 00040 Monte Porzio
Catone, Roma, Italy - E-mail: francesco.draicchio@ispesl.it
DATA ANALYSIS TO DESIGN CHECKOUT SYSTEMS
FOR WHEELCHAIR MOBILE INDIVIDUALS
Key words: wheelchair mobile adults, workstation design,
checkout systems.
ABSTRACT. The paper presents a method (Biomechanical Analysis
Chart, BAC) to obtain data for workstation design. This motion analysis
technique gives data relative to the projections of the upper arm
movements on the vertical (midsagittal) and horizontal planes.
Furthermore the technique gives data relative to the reaching distances
in the horizontal and vertical planes and to the frequencies of the
projections on the different areas of the two planes. The BAC method
was applied to a checkout station in a big supermarket. The data
showed significative differences between the projections of the left and
of the right upper arms on the horizontal plane. The horizontal plane
was divided in five sectors of 45 degrees amplitude each. In the central
sector (S 0) the right upper arm projections are more frequent than the
left ones. On the other hand in the lateral sectors (S -2 and S +2) the
left upper arm is more frequently active than the right one. In the
intermediate sectors (S -1 and S +1) the ratio between left and right
upper arm projections is opposite. The data can be used to design new
workstations for wheelchair mobile individuals.
INTRODUZIONE
Per la progettazione delle postazioni di lavoro di soggetti disabili ci
si avvale di consueto dell’integrazione degli elementi biomeccanici e posturali,
che caratterizzano le diverse disabilità, con la classificazione ICF
(International Classification of Function and Disability). Al fine di rendere
disponibile un indicatore integrato delle attività motorie e lavorative
degli arti superiori, che fosse utilizzabile in fase di progettazione, abbiamo
definito delle speciali “tavole di analisi biomeccanica”. Si tratta in
pratica di una valutazione statistica delle proiezione dei movimenti dell’arto
superiore rispettivamente su un piano orizzontale e su uno verticale
coincidente con il piano sagittale dell’operatore in posizione seduta a riposo.
Il piano orizzontale viene posto, a seconda delle attività, ad un livello
che corrisponde al piano di lavoro. Tale piano può essere ulteriormente
suddiviso in settori. Per applicare l’indicatore proposto, in una
prima fase si è provveduto ad individuare un compito lavorativo di specifico
interesse per la motilità dell’arto superiore. A tale riguardo si è
scelta l’attività di operatori impegnati alle casse di supermercati e ipermercati.
Tale attività si caratterizza per un precipuo impegno degli arti superiori
e può essere svolta anche in posizione seduta. Poiché i controlli
che prevedono l’utilizzo degli arti inferiori, ove presenti, possono essere
sostituiti da controlli manuali, l’attività in cassa si presta all’inserimento
di soggetti paraplegici costretti su sedia a rotelle.
MATERIALI E METODI
Le attività svolte alle casse dei supermercati sono state analizzate a
partire da videoriprese effettuate utilizzando videocamere digitali. Per ogni
sessione di studio svolta sul campo sono state utilizzate due videocamere
delle quali una posta perpendicolarmente al piano sagittale dell’operatore
e l’altra posta al di sopra del capo dell’operatore. In tal modo è stato possibile
rappresentare le attività dell’operatore attraverso le proiezioni del
movimento su due piani: un piano sagittale (con la videocamera laterale)
ed un altro orizzontale. ortogonale al precedente, posto a livello del piano
della cassa (con la videocamera posta sopra al capo dell’operatore). Sono
state poi studiate le caratteristiche delle proiezioni dei movimenti nei due
piani. In tal modo è possibile valutare ad esempio la massima altezza raggiunta
dall’arto superiore, che porta i prodotti in prossimità del sistema di
lettura e la massima distanza raggiunta (reaching) nelle fasi di digitazione
sulla tastiera. Nelle proiezioni sul piano orizzontale sono stati valutati gli
angoli fra la retta risultante dalla proiezione del piano sagittale sul piano
orizzontale e la proiezione sullo stesso piano di una retta passante per la
spalla ed il gomito. Quest’ultima proiezione non tiene conto della flessione
del gomito, che è stata valutata con il software APALYS 3.0. Questo
software permette di ricostruire la posizione del corpo dell’operatore sovrapponendovi
un modello tridimensionale, scelto tra una serie di modelli
presenti in una libreria e modificando in seguito le varie parti del corpo in
modo tale da far corrispondere il più possibile il modello con l’immagine.
Affinché la ricostruzione possa risultare efficace, il piano dell’immagine
deve essere parallelo al piano sagittale dell’operatore. È possibile, una
volta effettuata la sovrapposizione, osservare il modello tridimensionale da
più punti di vista ed ottenere le proiezioni sui piani sagittale ed orizzontale.
Il programma calcola inoltre gli angoli articolari più significativi: flessione
del collo, flessione, torsione ed inclinazione laterale del tronco, flessoestensione
della spalla, l’angolo tra braccio ed avambraccio ed inoltre consente
una stima del carico a livello della giunzione lombo-sacrale.

152 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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RISULTATI E CONCLUSIONI
La valutazione delle proiezioni sul piano orizzontale delle posizioni
degli arti superiori è stata condotta dividendo il piano di lavoro in cinque
settori così come rappresentato nella Tavola 1. Tutti i settori hanno
un’ampiezza di 45°. Un primo settore (Settore 0) si trova immediatamente
al davanti dell’operatore e si sviluppa per 22.5° a sinistra e 22.5° a
destra del piano sagittale. A destra dell’operatore si trovano altri due settori
denominati rispettivamente Settore +1 (S+1), che arriva fino a 77.5°
dal piano sagittale e Settore +2 (S+2). che arriva fino a 122.5°. Analogamente
a sinistra sono collocati due settori denominati rispettivamente Settore
-1 (S-1) e Settore -2 (S-2).
Tavola 1. Rappresentazione grafica dei cinque settori
Le immagini sono state campionate ad una frequenza di 5 Hz e si
sono valutate le percentuali medie di proiezione rispettivamente dell’arto
superiore sinistro e destro in un particolare tipo di cassa di un ipermercato.
La Figura 1 rappresenta la distribuzione percentuale media delle
proiezioni dell’arto superiore sinistro (left upper arm, LUA: barre scure)
e dell’arto superiore destro (right upper arm, RUA: barre chiare) nei diversi
settori.
Figura 1
L’arto superiore destro si proietta nel Settore 0 più frequentemente
dell’arto superiore sinistro (rispettivamente per il 54% e il 32%). Ciò deriva
dalla collocazione delle aree di raccolta delle merci dopo la lettura
laser alla sinistra dell’operatore. Si consideri a tale riguardo che il sistema
analizzato si caratterizzava per l’attività di imbustamento delle merci
svolta con l’arto superiore sinistro. Se si confrontano inoltre le aree
estreme di sinistra e di destra si osserva una notevole asimmetria della distribuzione
delle proiezioni. In particolare l’arto sinistro viene a trovarsi
per il 42% del tempo in S-2, mentre l’arto superiore destro si porta in S+2
solo nell’11,8% dei casi. In entrambi i settori estremi praticamente non si
trovano proiezioni dell’arto controlaterale. Anche nei settori intermedi si
evidenzia l’asimmetria della distribuzione delle proiezioni. Tuttavia la
percentuale delle proiezioni dell’arto di destra in S+1 risulta maggiore di
quelle del sinistro in S-1 per il contributo dell’arto destro alla prensione
degli oggetti da portare alla lettura dello scanner. La piccola componente
sinistra in S+1 si giustifica con la presa di oggetti ingombranti con il contributo
dell’arto di sinistra.
In conclusione la tecnica utilizzata consente di rilevare elementi analitici
relativamente ai caratteri biomeccanici e posturali di una mansione,
che insieme alle conoscenze disponibili sull’antropomentria funzionale
dei soggetti disabili possono guidare i progettisti nella realizzazione di
postazioni di lavoro adeguate alle loro esigenze.
BIBLIOGRAFIA
1) Hobson DA, Molenbroek JFM. Anthropometry and design for the disabled:
Experiences with seating design for the cerebral palsy population.
Appl Ergonomics 1990; 21(1): 43-54.
2) Wilson JR, Grey SM. Reach requirements and job attitudes at laserscanner
check out systems. Ergonomics 1984; 27(12): 1247-1266.
P-16
LO PSICOLOGO IN AZIENDA: ANALISI PRELIMINARE
DELL’ESPERIENZA DI COUNSELLING ALL’INTERNO
DI UNO STABILIMENTO PETROLCHIMICO MULTISOCIETARIO
R. Morreale, P. Barbiero
IFM Ferrara Scarl, Servizio Sanitario, Piazzale Donegani, 12
- 44100 Ferrara
Corrispondenza: Rosalba Morreale - IFM Ferrara Scarl,
Servizio Sanitario, Piazzale Donegani, 12 - 44100 Ferrara, Italy
- Tel. 0532598240, Fax. 0532597833, E-mail:
rosalba.morreale@ifmferrara.com
THE PSYCOLOGIST IN THE COMPANY: PRELIMINARY
ANALYSIS OF THE COUNSELLING EXPERIENCE INDOORS
A MULTI-COMPANY PETROCHEMICAL PLANT
Key words: psicologia del lavoro, counselling psicologico, integrità
psicofisica
ABSTRACT. The study reports about the counselling experience
carried out by a psycologist, in support to the occupational doctor in
the healthcare is part of the activity developped by our Health
Service indoors a multi-company factory, counting around 1800
workers. Couselling aims consist of improving the wellbeing of the
workers in workplace, their human relationships, their mission and
organization rules to help healthful and psyco-physical wholeness in
support to the proper occupational doctor activity.
INTRODUZIONE
L’esperienza, oggetto della nostra analisi, guidata da uno psicologo e
da due medici del lavoro, si colloca nell’ambito delle attività di un Servizio
Sanitario operativo all’interno di uno stabilimento petrolchimico multisocietario
(n° totale dipendenti circa1800).
Le società insediate nel contesto di nostro interesse sono 10, alcune
delle quali a capitale multinazionale, vocate ad aspetti industriali di tipo
produttivo e/o di prestazione di servizi. Secondo quanto individuato dal
D.M. n. 388/03, recante disposizioni sul pronto soccorso aziendale, queste
società, sulla base della tipologia di attività svolte, sono classificate in
gruppo A. Tre di esse sono anche soggette a notifica di rischio di incidente
rilevante, ai sensi della legge 334/99, ovvero “Severo bis”.
Il contesto lavorativo si caratterizza nello specifico per una estrema
attenzione agli aspetti di sicurezza dei processi tecnici, per una organizzazione
del lavoro a ciclo continuo e per una ricca vivacità di relazioni interpersonali
e di sistema.
Il progetto, già nelle sue prime fasi di sviluppo, è stato illustrato e
condiviso con i diversi rappresentanti del management aziendale e con i
Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza.
Gli obiettivi degli interventi di counselling psicologico si propongono
infatti di favorire il benessere delle persone in relazione al loro contesto lavorativo,
alle relazioni interpersonali, ai compiti da svolgere e alle regole del-

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 153
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l’organizzazione, contribuendo in tal modo “alla tutela della salute e all’integrità
psicofisica” dei lavoratori, in supporto al ruolo del Medico
Competente.
MATERIALI E METODI
Preliminarmente all’avvio del progetto sono stati organizzati una serie
di incontri specifici, allargati alla partecipazione di gruppi tematici, sia
per ruolo che per aree di competenza (responsabili di reparto, specialisti
del SPP, referenti della gestione delle Risorse Umane), con la finalità di:
1. promuovere una prima fase di indagine conoscitiva relativa ai contesti
lavorativi nei quali sono inseriti i dipendenti e al clima aziendale
che sottostà alle relazioni interpersonali,
2. favorire un miglior dialogo tra le organizzazioni interne alle aziende
sui temi, per esempio, dell’integrazione di colleghi con disagio psicologico.
L’attività di counselling si è quindi successivamente strutturata, grazie
alla presenza diretta dello psicologo presso un ambulatorio del Servizio
Sanitario, in diverse tipologie di interventi, accessibili in orario di lavoro
a tutti gli interessati che ne fanno preventiva richiesta, come ad
esempio: colloqui individuali per ristrutturare i vissuti disfunzionali sia
a livello personale che lavorativo; colloqui individuali e di piccolo
gruppo per intervenire sui problemi di comunicazione e sui conflitti;
primo intervento di sostegno nei casi di patologie psichiatriche sospette
e/o accertate; sportello informativo sul mobbing, sulle dipendenze da alcool
e droghe ricreative etc.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Già nell’arco del primo semestre di attività – gennaio/giugno 2006 –
il servizio di counselling si è presto rivelato un nuovo punto di riferimento
nel sistema ormai consolidato di prevenzione e tutela della salute
dei lavoratori, aggiungendo un tassello strategico all’abilità necessaria
alla gestione di realtà e legami relazionali complessi, facendo registrare,
vedi Tabella I:
– 24 casi per colloqui personali, non riconducibili ancora a un inquadramento
omogeneo,
– 4 casi per colloqui personali finalizzati, specificamente, al supporto
al medico competente per la definizione del giudizio di idoneità alla
mansione lavorativa,
– 3 interventi di piccolo gruppo per la gestione di tematiche interaziendali
quali la dipendenza da alcool e il clima relazionale all’interno
delle organizzazioni e di tematiche intra-aziendali quali le relazioni
interpersonali interne al gruppo di lavoro,
– 1 primo intervento di sostegno in un caso di minaccia per la vita.
Tabella I. Tipologie e numero di interventi del Servizio di Counselling
ATTIVITÀ DEL SERVIZIO DI COUNSELLING
NEL PRIMO SEMESTRE 2006
TIPOLOGIE DI INTERVENTI N° CASI
Colloqui individuali 24
Colloqui individuali di supporto al medico
competente per il giudizio di idoneità
4
Interventi di piccolo gruppo 3
Primo intervento di sostegno 1
CONCLUSIONI
Se davvero siamo convinti che il lavoro sia un’opportunità che una
persona ha di realizzare progetti, sia di tipo personale che di tipo professionale,
allora è necessario che l’azienda si organizzi in un sistema aperto
e multidisciplinare, coerentemente con i bisogni espliciti ed impliciti del
contesto di riferimento, realizzando interventi il cui fine è proprio quello di
agevolare situazioni lavorative che mantengano e promuovano la salute e
la sicurezza dei lavoratori. Dall’analisi preliminare della nostra esperienza
di counselling in azienda siamo in grado di testimoniare che ambiente di lavoro,
stress, sicurezza dei processi tecnici e fattori psicosociali risultano legati
da una circolarità causale: l’ottica sistemica con cui gestire e organizzare
il lavoro diventa così una occasione non solo di valorizzazione delle
persone ma anche un’opportunità di crescita complessiva per l’azienda.
BIBLIOGRAFIA
1) Sarchielli G. Psicologia del Lavoro. Il Mulino. 2003.
P-17
SORVEGLIANZA SANITARIA E VALUTAZIONE DEL LIVELLO
D’ANSIA IN UN GRUPPO DI VIGILI URBANI CAMPANI
R. Barletta, E. De Notaris1 , E. Pennarola2 , E. Russo, E. Nigro,
G. Bulgarelli, G. Marino2 , E. Farinaro
Università degli Studi di Napoli Federico II - Via Pansini, 5
- 80131 Napoli
Dipartimento di Scienze Mediche Preventive, Sezione di Medicina
del Lavoro
1 Dipartimento di Neuroscienze e del Comportamento
2 ASL AV/1, Distretto Sanitario di Grottaminarda, Via Bosco, 54
- 83035 Grottaminarda
Corrispondenza: Prof. Raffaele Barletta - Cattedra di Medicina
del Lavoro, Università degli Studi di Napoli Federico II, Via Pansini, 5
- 80131 Napoli, Italy - E-mail: raffaele.barletta@unina.it
HEALTH SURVEILLANCE AND EVALUATION OF ANXIETY
LEVEL IN A GROUP OF POLICE OFFICERS FROM CAMPANIA
Key words: sorveglianza sanitaria, vigili urbani, livello d’ansia.
ABSTRACT. Since the psycho-physical state of a policeman could
reflect on his job in public security, health surveillance plays an
important preventive role.
Therefore the AA have carried out a study on the anxiety level of
a group of police officers from Campania suffering from ischaemic
cardiopathy compared with an homogeneous contfol group, examined
in a period starting in January 2006 at the Department of Preventive
Medical Science – Section of Occupational Medicine - University
of Naples Federico II. Two groups were selected from a sample of 1250
police officers of Naples, from 25 to 64 years old and with work
experience of 21.1 ± 7.9 years: group “A” of 46 cardiopathic patients
and group “B” of 46 healthy subjects. They compiled a questionnaire
for the evaluation of anxiety state of Zung (S.A.I. # 051 and S.A.I.
# 054). 90 questionnaires were compiled: 44 for group A and 46
for group B. 2 subjects did not respond.The statistical data found 20
anxious subjects out of 90 (22.2%).10 anxious of the subjects suffered
from ischemic cardiopathy (22.7%).
INTRODUZIONE
La sorveglianza sanitaria attraverso il controllo clinico periodico
delle condizioni di salute dei lavoratori svolge un importante ruolo preventivo
nella tutela della loro salute. Questo è particolarmente vero nella
categoria dei vigili urbani laddove, tenuto conto della loro esposizione
per motivi occupazionali ad una molteplicità di fattori di rischio tali da
costituire per loro stessa natura eventi stressogeni rilevanti per l’alterazione
del loro stato di benessere psicofisico, senza quest’attenta valutazione
sanitaria sarebbe possibile l’insorgenza di patologie di rilievo ulteriormente
aggravabili se associate a disturbi nel campo psichico neurocomportamentale,
in particolar modo se associate a condizioni cliniche
particolari come in caso di cardiopatia ischemica. Quanto evidenziato potrebbe
avere ripercussione sullo svolgimento delle numerose attività di
questi operatori, incaricati di far rispettare l’applicazione delle leggi quali
tutori dell’ordine e della sicurezza pubblica, in qualità di polizia urbana,
rurale, edilizia, sanitaria, nella tutela dell’ambiente, nel settore turistico e
nella protezione civile.
Al fine di valutare l’interazione cardiopatia ischemica - stato d’ansia
in questa categoria lavorativa ed attuare le misure organizzative preventive
ritenute più idonee al contenimento del rischio, sulla scorta dell’esperienza
maturata nella valutazione del benessere psicofisico dei lavoratori,
gli AA hanno condotto uno studio caso-controllo nell’ambito della
sorveglianza sanitaria sullo stato d’ansia dei vigili urbani, affetti e non affetti
da cardiopatia ischemica giunti alla loro osservazione.
MATERIALI E METODI
Da gennaio 2006 a tutt’oggi presso il Dipartimento di Scienze Mediche
Preventive - Cattedra di Medicina del Lavoro sono giunti alla nostra
osservazione 1250 vigili urbani, di età compresa tra 25 e 64 anni ed anzianità
lavorativa di 21,1 ± 7,9 anni. Essi sono stati sottoposti a visita me-

154 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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dica e ad esami diagnostico-strumentali secondo un protocollo stabilito
dai Medici Competenti e ad un gruppo selezionato di 92 persone sono
stati somministrati loro i questionari di valutazione dello stato ansioso
ideati da W.W.K. Zung. Di questi, 46 erano affetti da cardiopatia ischemica
(gruppo A) con età media pari a 52,9 ± 6,1 anni ed anzianità lavorativa
pari a 21,2 ± 7,8 anni e 46 costituivano il gruppo di controllo
(gruppo B), con età media pari a 51,8 ± 6,16 anni ed anzianità lavorativa
pari a 20,5 ± 8,1 anni. I questionari somministrati sono stati: l’Anxiety
Status Inventory (S.A.I. # 051) ed il Self-Rating Anxiety State (S.A.S.
# 054), scale rispettivamente di eterovalutazione e di autovalutazione del
livello d’ansia costituite da 20 item a risposta multipla, riguardanti segni
e sintomi correlati all’ansia: nervosismo o stato d’ansia, paura, panico,
crollo mentale, apprensione, tremori, dolori somatici, affaticabilità e debolezza,
irrequietudine, palpitazioni, vertigini, svenimenti, dispnea, parestesie,
nausea e vomito, pollachiuria, sudorazione, rossore alle guance,
insonnia, incubi.
RISULTATI
Sui questionari attesi, i questionari di ritorno sono stati 90 (97.8%),
di cui 44 per i vigili urbani di gruppo A (48.8%) e 46 per i vigili urbani
di gruppo B (51.1%). 2 soggetti non hanno risposto (2.17%). I dati ottenuti
dalla ricerca hanno permesso di distinguere i vigili urbani selezionati
in soggetti Ansiosi e Non Ansiosi. In particolare, i risultati dello studio
(Fig. 1) hanno evidenziato sintomatologia ansiosa in 20 casi su 90 (18%)
ed assenza di questa sintomatologia nei 70 casi rimanenti (63%). Del personale
esaminato, sono risultati Ansiosi 10/44 vigili urbani per il gruppo
A pari al 22.7% e 10/46 vigili urbani per il gruppo B pari al 21.7% e Non
ansiosi 34 soggetti su 44 per il gruppo A (77.2 %) e 36 su 46 per il gruppo
B (78.2%).
DISCUSSIONE
Nonostante i vigili urbani abbiano compiti gravosi in relazione
alla molteplicità degli adempimenti istituzionali ed alle attese dei cittadini
e nonostante siano stati diffusamente studiati gli effetti sul loro
stato di salute derivanti dall’esposizione a carburanti e scarichi veicolari
in relazione all’inquinamento atmosferico anche per quanto concerne
lo stato della funzionalità cardiovascolare i risultati ottenuti non
hanno evidenziato nessuna differenza sostanziale nell’associazione livello
d’ansia - cardiopatia ischemica con quanti invece non erano affetti
da cardiopatia. Questa condizione potrebbe essere dovuta a fattori
di rilievo collegati alla sfera psicologica quali il senso di responsabilità
personale, l’attenzione al proprio stato di salute anche in funzione
dell’attività espletata e ad una corretta conoscenza del problema che
potrebbe essere riconducibile sia pure parzialmente all’attività di formazione-informazione
svolta ai lavoratori dal Medico Competente. Ribadita
quindi l’importanza di un’attenta sorveglianza sanitaria che
tenga conto di tutte le variabili di rischio che possono intervenire nell’attività
lavorativa da svolgere, gli AA, sulla scorta dell’esperienza
maturata con i test S.A.I. # 051 e S.A.S. # 054 per valutare lo stato di
benessere psichico del lavoratore (2 - 3) e considerata la valutazione
semplice e rapida della sintomatologia ansiosa come disturbo psicopatologico,
ne auspicano la diffusione nell’effettuazione della sorveglianza
sanitaria.
Figura 1
BIBLIOGRAFIA
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preparazione ai concorsi nella Polizia Municipale Maggioli Editore,
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2) Barletta R, De Notaris E, Galletta D, Pennarola E, Polverino B, Vallefuoco
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psicologico negli infermieri di sala operatoria e di rianimazione
di un presidio ospedaliero dell’ASL AV/1 G It Med Lav Erg
2004; 26(4): 314-315.
5) Zung WW. A Rating instrument for Anxiety Disorders. Psychosomatics.
1971.
P-18
STRESS E LAVORO. RUOLO ED IMPORTANZA DEI FATTORI
CAUSALI LAVORATIVI
G. Galtieri, M. Migliara, G. Legato
Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Sez. di Medicina
del Lavoro, Università degli Studi di Messina Policlinico Universitario
G. Martino Pad. H 2° piano Gazzi - Messina
Corrispondenza: Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio,
Sez. di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Messina
Policlinico Universitario G. Martino Pad. H 2° piano Gazzi
- Messina, Italy - Tel. 090-221/2052-2071, E-mail: g_legato@virgilio.it
STRESS AND WORK. ROLE AND IMPORTANCE
OF THE WORKING CAUSAL FACTORS
Key words: stress, stressors, workmanships fatiguing.
ABSTRACT. Stress is often the causal factor of various diseases, above
all for the neuroendocrine alterations that it induces. The causal factors
of stress are numerous and they vary from typology to typology.
Different existential situations are causes of stress therefore it is very
difficult to define with certainty occupational stress and to differentiate
it from the other causes of neuroses.
The Authors proceed therefore with an analysis of the various stressful
factors inviting to use the criteriology Coroner for the evidence of the
causes or working concauses of the Stress.
INTRODUZIONE
La società contemporanea si caratterizza per un vivere costantemente
frenetico, sempre in continua accelerazione e questo correre e
rincorrere l’evoluzione tecnologica porta ad un dispendio energetico
fisico-psichico che è causa dell’alterato equilibrio biologico la cui
conseguenza sono quelle patologie organo - funzionali e psico - comportamentali
genericamente comprese nelle Nevrosi. Il comune denominatore
di queste sindromi è lo “Stress”, termine che sta ad indicare
lo stato di tensione dell’organismo nell’atto di attivare le proprie difese
per fronteggiare uno stimolo nocivo. Oggi lo Stress è utilizzato
per indicare lo stato di tensione emotiva indotto da situazione esistenziali
tra le più varie. Situazioni di Stress possono realizzarsi con una
certa facilità in ambito lavorativo per l’alterazione dei rapporti “verticali”
(con superiori gerarchici) od “orizzontali” (con colleghi), per cui
la giornata lavorativa è vissuta con particolare “pathos”, realizzandosi
una vera e propria Sindrome da disadattamento lavorativo stress indotta
con un corteo sintomatologico tipico delle Nevrosi. Sembra dunque
che la Nevrosi da cause lavorative sia indifferenziabile dalla Nevrosi
da altre cause.Il rischio esiste,soprattutto se nell’analisi del
nesso di causa si trascura il condizionamento e l’interferenza di “va-

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 155
www.gimle.fsm.it
rie situazioni esistenziali” capaci di determinare tensione emotiva
quindi Stress.
DISCUSSIONE
L’orientamento della ricerca sullo Stress lavorativo occupazionale si
è, sin oggi, sviluppato in 4 direzioni:
– Indagini a campione con Chek-List per tipologia e aspetti sanitari del
lavoro.
– Individuazione degli “Stressors lavorativi”.
– Quantificazione psicometrica del grado di Stress.
– Studio della “Reazione di Stress” (risposta psicologica, fisiologica,
comportamentale).
Questo approccio ha favorito l’identificazione di numerosi fattori
“stressogeni lavorativi” ma non ha permesso di sviluppare completamente
l’analisi per limiti propri del metodo (alcuni questionari non considerano
gli stressors extra-lavorati, etc.). Che l’ambiente di lavoro possa
essere causa di Stress è scontato,infatti, in letteratura molti autori hanno
individuato in esso svariati fattori stressogeni (ved. Tab. I).
Anche in sede giurisprudenziale sono ormai acquisite le risultanze
di tali ricerche, infatti, in molte sentenze lo Stress viene indicato come
fattore causale efficiente e determinante diverse patologie. Stabilito il
ruolo causale-concausale del servizio nell’induzione od esplicitazione
di alcune forme morbose, occorre notare che vale il principio che dice:
Il servizio è “causa efficiente e determinante, oppure concausa necessaria
e preponderante” ogni qual volta può ritenersi che senza la prestazione
lavorativa non si sarebbe prodotto l’evento morboso, oppure,
si sarebbe verificato in misura meno grave od a notevole distanza di
tempo.
Per la presenza in ogni ambiente lavorativo di stressors, sembrerebbe
giustificato invocare sempre lo Stress nella determinazione di patologie
riconducibili all’attività lavorativa. È opportuno, comunque, individuare
un elenco di lavorazioni, che definiremmo usuranti, per le
quali si può attribuire l’ascrivibilità tabellare sebbene deve essere dimostrata
l’efficienza e la determinazione dello Stress lavorativo quale
fattore causale/concausale nonché la sua incidenza e prevalenza nel rispetto
della criteriologia medico-legale. Questi tre criteri sono: criterio
statistico-epidemiologico, criterio etio-patogenetico,criterio di esclusione.
Il D.Lgs. 374/93 così recita: “lavori usuranti s’intendono quelli
per il cui svolgimento è richiesto un determinato impegno psicofisico
particolarmente intenso e continuativo,condizionato da fattori che non
possono essere prevenuti con misure idonee”. Tuttavia alle lavorazioni
usuranti presenti in tabella A del D.Lgs. 374/93, ci pare, sarebbe opportuno
aggiungere, con criterio equitativo e nel rispetto di valutazioni tecnico
scientifiche: le attività lavorative dei soggetti privi di vista, il personale
di volo, le attività sanitarie che comportino responsabilità di diagnosi
e cura, quando svolte in reparti che comportino assistenza ai malati
di AIDS e ai neoplastici terminali. È necessario comunque, condurre
una analisi dettagliata del nesso di causa nel rispetto dei criteri indicati
dalla metodologia medico-legale (ved. Tab. II). Solo così si evita
di ascrivere qualsiasi patologia allo Stress e, si differenzia la sindrome
da disadattamento lavorativo dalle altre Nevrosi che con il lavoro hanno
a che fare poco o nulla.
Tabella I. Analisi e valutazione delle cause
del disadattamento al lavoro
– Fattori intrinseci al lavoro: carico di lavoro, monotonia,
ripetitività, ambiente fisico, sicurezza.
– Fattori legati al ruolo: conflittualità ed ambiguità ruolo,
contratto, aspettative e futuro lavorativo.
– Rapporti umani orizzontali e verticali: armonia con colleghi
e superiori
– Fattori legati all’organizzazione del lavoro: tempi, ritmi,
pause.
– Fattori legati all’interfaccia ambiente di lavoro/ambiente
di vita: turni, lavoro straordinario, etc.
– Fattori individuali: condizioni economiche, personalità.
– Fattori extralavorativi: condizioni finanziarie, familiari.
CONCLUSIONI
Considerata la presenza di stressor in ogni ambiente di lavoro e di
vita potrebbe sembrare logico invocare lo Stress nel determinismo di talune
patologie che con l’attività lavorativa hanno un rapporto causale indiretto
e non con carattere di efficienza e determinazione. Ebbene, dunque,limitare
il campo a quelle patologie determinate da lavorazioni così
dette usuranti, per le quali, si può attribuire l’ascrivibilità tabellare. Resta
dunque irrinunciabile il principio dell’efficienza e determinazione del fattore
stressogeno, quindi, una sua partecipazione diretta all’induzione
della patologia non trascurando comunque le risultanze dell’indagine statistica
- epidemiologica.
BIBLIOGRAFIA
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versione italiana del NIOSH Generai Stress Questionnaire. Scienze
del lavoro Vol. X; n. 3-4 luglio-dicembre 1994; 313-318.
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626/94 e ruolo del medico competente. Acta Medica Mediterranea,
Vol. 13; n. 2: Spec. “Atti 60° Congr. Naz. SIMLII Palermo 24-27
sett. 1997; 109-114.
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13; n. 2: Spec. “Atti 60° Congr. Naz. SIMLII Palermo 24-27 sett.
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7) Faretto-Raffaello G. Le forme del Mobbing. Cortina 2005.
P-19
Tabella II. Criteri metodologici del nesso di causa
1. Compatibilità (Criterio della Compatibilità scientifica)
2. Identificazione della causa (anche probabile)
3. Cronologia (Criterio cronologico)
4. Criterio Topografico(dell’organo bersaglio)
5. Criteri di continuità fenomenologica
6. Idoneità lesiva
7. Esclusione di altre cause
MOBBING: UN FATTORE DI RISCHIO PROFESSIONALE
SOVRASTIMATO?
F. Manfredini1 , D. Borleri1 , M. M. Riva1 , D. Ramenghi2 , S. Spada3 ,
P. Zoncheddu4 , G. Mosconi1 1 U.S.C. Medicina del Lavoro, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti
di Bergamo
2 Comitato Paritetico Territoriale Provincia di Bergamo
3 U.S.S. Psicologia, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo
4 Dipartimento di Salute Mentale, Azienda Ospedaliera Ospedali
Riuniti di Bergamo
Corrispondenza: Dr. Fabio Manfredini - U.S.C. Medicina del Lavoro,
Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, Largo Barozzi, 1
- 24128 Bergamo, Italy - Tel. 035-269.190, E-mail: fabio.manfredini@libero.it
MOBBING: AN OVER-EVALUATED OCCUPATIONAL
RISK FACTOR?
Key words: occupational adjustment disorders, mobbing,
psychological risk harassment.
ABSTRACT. Authors report the experience of the Centre for the Study
of Occupational Adjustment Disorders of a major Hospital in Northern
Italy (Ospedali Riuniti di Bergamo), between 2004 and 2006.
We describe, beside the general characteristics of the population
examined, both clinical and instrumental tools available in order

156 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
to make the diagnosis of pathology and to evince the aetiology
of occupational adjustment disorder, underlining the need for a
multidisciplinary approach to the patient. In fact, the Specialist in
Occupational Medicine co-ordinates the work of other Specialists,
e.g. Occupational Psychologist, Clinical Psychologist and Psychiatrist,
each of them owning a peculiar job: the first the individuation of work
organisational constraints, the second the personality of the patient,
the latter the clinical diagnosis.
On the contrary, the main responsibility pertaining to the Specialist in
Occupational Medicine is to make a diagnosis of occupational disorder,
based on the evidence of a clear and reliable cause-effect relationship.
Finally, Authors try to explain why, among many suspected cases of
occupational adjustment disorders (N = 38), only few where recognised
to be true occupational disorders (N = 5).
INTRODUZIONE
Il mobbing, termine mutuato dall’inglese per descrivere una situazione
di violenza morale esercitata in maniera sistematica e con intento
persecutorio nell’ambiente di lavoro (Leymann 1996), è un fenomeno che
frequentemente si pone e sempre più frequentemente si porrà, almeno per
il futuro prossimo, all’attenzione dei Medici in generale e di quelli Specialisti
in Medicina del Lavoro in particolare. La letteratura scientifica
nazionale ed internazionale è concorde nel ritenere indispensabile una
sempre più accurata stima e conoscenza di tale fattore di rischio professionale
emergente, sia in termini di prevalenza epidemiologica, secondo
molti sottostimata, sia in relazione alle conseguenze somato-psichiche
che affliggono le vittime sottoposte all’azione del fattore di rischio operante
per un tempo adeguato, sia alle possibili strategie preventive. È in
questo spirito che gli Autori hanno approntato, circa tre anni or sono, un
Ambulatorio per lo Studio dei Disturbi da Disadattamento Lavorativo
presente in seno alla U.S.C. di Medicina del Lavoro degli Ospedali Riuniti
di Bergamo, l’esperienza del quale descrivono nel presente lavoro.
MATERIALI E METODI
Nel triennio 2004-2006 sono afferiti al nostro “ambulatorio mobbing”
38 pazienti eterogenei per sesso ed età, inviati su indicazione del
Medico Curante o di altri Specialisti (Psichiatra, Neurologo, Medico
Competente). Ogni Paziente è stato sottoposto alla valutazione clinicostrumentale
conforme al protocollo concordato ed adottato dal team multidisciplinare,
che prevede in primis una visita con il Medico del Lavoro,
che si perita di eseguire una accurata e circostanziata anamnesi patologica
e lavorativa, in particolare evidenziando, ove esistenti, oltre ai sintomi
patologici ed alle malattie eventualmente già in essere e diagnosticate,
anche gli elementi di costrittività organizzativa che il Paziente riferisce,
correlando temporalmente gli uni agli altri. Segue la valutazione dello
Psicologo del Lavoro, finalizzata ad attestare oltre l’attendibilità del dichiarante,
anche la modalità di accadimento dell’attività vessatoria, analizzando
gli specifici meccanismi relazionali e comportamentali tra la figura
del mobbizzatore e quella del mobbizzato. Il passo successivo comprende
una prima discussione multidisciplinare, che vede coinvolti anche
lo Psicologo Clinico e lo Psichiatra, e dalla quale si conclude se la documentazione
sanitaria specialistica presentata dal Paziente (studio di personalità,
diagnosi psichiatrica) è sufficiente o necessiti di essere integrata
in uno o più aspetti sostanziali, nel qual caso l’iter diagnostico viene completato
con l’intervento di queste due figure professionali. Il caso clinico
viene quindi ulteriormente esplicitato in un secondo incontro multidisciplinare
nel corso del quale, oltre a formulare l’eventuale diagnosi di compatibilità
eziologica secondo le indicazioni del Documento di Consenso,
si stabiliscono anche le indicazioni terapeutiche e “gestionali” da fornire
al Paziente.
RISULTATI
Sono stati esaminati 38 Pazienti, 22 maschi (59%) e 16 femmine
(41%), di età media pari a 41 anni (± 9 anni) e minimo e massimo rispettivamente
pari a 23 e 59 anni. Le richieste di valutazione per “sospetto
mobbing” sono pervenute quasi sempre da parte del Medico di Medicina
Generale, sia su indicazione propria (in 30 casi su 38) sia su indicazione
specialistica (neurologica o psichiatrica). In 2 casi il Paziente è stato inviato
direttamente dal Medico Competente. Il grado di istruzione rilevato
vede preponderante la scolarità media inferiore (21 casi su 38, pari al
55% circa), rispetto a quella media superiore (13 casi su 38, pari al 35%
circa) ed alla laurea (4 casi su 38, pari al 10% circa). Il settore lavorativo
privato (79%) incide per una quota di lavoratori significativamente maggiore
rispetto a quello pubblico (21%). In ordine alla mansione lavorativa
svolta, sono risultate più numerose le richieste di valutazione da parte dei
cosiddetti “colletti bianchi” (60%), rispetto ai “colletti blu” (40%). In particolare,
si sono presentati al nostro ambulatorio 17 impiegati, 7 operai, 6
commessi/banconieri, 2 dirigenti, 2 insegnanti, 2 autisti, 1 libero professionista,
1 assistente sociale. L’anzianità lavorativa media nel campione è
pari a 22 ± 11 (DS) anni circa, mentre il dato riferito alla realtà lavorativa
“incriminata” è di 11 ± 10 (DS) anni. È interessante notare che la durata
dell’esposizione a riferite situazioni mobbizzanti, per il 71% circa dei Pazienti
è compresa in un arco di tempo non superiore a 24 mesi, mentre il
10% dei lavoratori riferisce una durata tra 24 e 48 mesi, un altro 10% tra
i 48 e 72 mesi, ed il restante 9% oltre i 96 mesi. Le reazioni emozionali
maggiormente riferite sono state ansia (76%), alterazioni timiche (76%)
e disturbi del sonno (71%). Meno frequente il riscontro di sintomi neurovegetativi,
quali gastralgie (24%), cefalea (16%), cardiopalmo (10%),
vertigini (8%) e parestesie (4%). Anche le franche modificazioni comportamentali
sono risultate piuttosto rare, e prevalentemente rappresentate
da inappetenza (13%), ritiro sociale (10%) e abuso alcolico (8%). La
diagnosi psichiatrica è risultata “normale” in 20 soggetti su 38, mentre è
stata formulata diagnosi di disturbo dell’adattamento (DDA) in 4 casi, di
disturbo misto ansioso-depressivo in 4 casi, di episodio depressivo in 4
casi, di disturbo d’ansia in 3 casi, di disturbo da attacchi di panico in 1
caso, di disturbo della personalità in 1 caso, ed 1 caso è in corso di definizione
diagnostica. Relativamente ai 5 pazienti (13%) per cui è stata posta
diagnosi di compatibilità eziologica con una patologia mobbing correlata,
risultano interessanti: le caratteristiche anagrafiche (3 maschi e 2
femmine, età media 40 anni); il settore lavorativo (privato) e la mansione
svolta (2 impiegati, 2 operai ed 1 cassiere); la durata dell’esposizione, in
3 casi valutata entro i 24 mesi, negli altri 2 entro i 48 mesi; la modalità di
realizzazione del mobbing, strategico (3 casi) e misto strategico - relazionale
(2 casi); gli elementi di costrittività organizzativa evidenziati e
variamente associati, individuabili nell’esercizio di un controllo esasperato
(3 casi), nel declassamento professionale (3 casi), in un eccessivo atteggiamento
sanzionatorio pretestuoso (2 casi) nello svuotamento della
mansione ed isolamento (1 caso), nella eccessiva richiesta di prestazioni
(1 caso) e nella formulazione di minacce e ricatti verbali (1 caso); la costante
presenza di sintomi emozionali (ansia, insonnia, disturbo dell’umore);
la diagnosi psichiatrica (DDA con umore depresso, disturbo depressivo
e disturbo ansioso generalizzato ad andamento cronico in struttura
di personalità premorbosa favorente) e la diagnosi di compatibilità
eziologica (DDA in situazione occupazionale anamnesticamente avversativa).
Relativamente alle motivazioni delle mancate segnalazioni di malattia
professionale, il dato che emerge chiaramente è l’assenza di elementi
di costrittività organizzativa rilevati nel corso dell’anamnesi nel
53% dei casi, l’assenza di un quadro patologico o dell’aggravamento di
una patologia preesistente pur in presenza di elementi riconducibili ad
una situazione di costrittività organizzativa (16%), la contemporanea
mancanza del fattore di rischio e della patologia (10%) e infine la sospensione
dell’iter diagnostico per volontà del Paziente (8%).
CONCLUSIONI
Il presente lavoro, pur con i limiti legati all’esiguità numerica del
campione esaminato, conferma quanto già evidenziato altrove in Letteratura
in tema di mobbing, ossia che le vessazioni psicologiche, esercitate
attraverso qualsivoglia modalità, sia essa strategica che relazionale (apparendo
comunque la prima prevalente rispetto alla seconda), sono in
grado di determinare lo sviluppo di patologie nei lavoratori esposti. In
questa casistica su 11 casi (29% degli esaminati) in cui sono stati evidenziati
elementi di costrittività organizzativa, è stata posta diagnosi di patologia
mobbing correlata in 5 casi, a testimonianza del fatto che l’esposizione
a tale fattore di rischio è in grado di indurre malattia, almeno secondo
questi dati, in una cospicua frazione degli esposti (45%). Tale dato
trova riscontro anche in altri studi. Una ulteriore considerazione riguarda
la già ribadita proficuità di un approccio multidisciplinare, tenuto conto
non solo della complessità e specificità del quadro clinico, ma anche della
valutazione terapeutica e prognostica che il Paziente necessariamente si
aspetta. Infine, non può non balzare all’occhio che la stragrande maggioranza
dei casi osservati nel nostro ambulatorio sono stati inviati dal Medico
Curante, fatto questo che, richiama il Medico Competente Aziendale,
fautore della sorveglianza sanitaria dei “suoi” lavoratori, a considerare
la presenza di un fattore di rischio professionale forse non di così im-

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 157
www.gimle.fsm.it
mediata evidenza quali quelli tradizionali, ma pur sempre nocivo per la
salute, e ad approntare idonee misure preventive pure basate sull’informazione
dei lavoratori.
BIBLIOGRAFIA
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Lavoro: le molestie morali (mobbing). Documento di consenso. Med
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P-20
APPROCCIO ALLA VALUTAZIONE DELLO STRESS CRONICO,
DELLE COSTRITTIVITÀ ORGANIZZATIVE E DEL MOBBING
B. Sed, A. Magrini, L. Livigni, A. Pietroiusti, G. Somma, L. Coppeta,
E. Romeo, P. Boscolo2 , A. Bergamaschi1 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Roma
Tor Vergata
1 Istituto di Medicina del Lavoro. Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma
2 Dipartimento di Medicina Interna e Scienze dell’Invecchiamento,
Università di Chieti “G. D’Annunzio”
EVALUATION APPROACH TO CHRONIC STRESS,
ORGANIZATIONAL CONSTRICTIVITY, AND MOBBING
Key word: chronic stress, organizational constrictivity, and mobbing.
Corrispondenza: Barbara Sed - Cattedra di Medicina del Lavoro,
Università degli Studi di Roma Tor Vergata - E-mail: barbarased@libero.it
ABSTRACT. The interest in psychosocial and organizational problems
and in their effects on workers wellness is increasing, and the
occupational physician has to pay attention not only to physic risks
but to psychosocial and relational too.
In 2005, in “Tor Vergata” University Polyclinic in Rome, a Centre
for the study and prevention of occupational unsuitableness, was
constituted; in particular, it was focused on stress, mobbing and
organizational constrictivity, and related discomfort and disorders.
In this Centre occupational physicians, psychiatrists, psychologists,
experts in work organization operate in strict cooperation.
The workers are seen in this order: first step medical examination
(occupational physician), second step a organizational analysis
(expert in work organization), third step psychiatric and psychological
examination. In our series, men were more frequently observed than
women, and the age range between 45 and 55 years was the most
common one. Chronic adjustment disorders was the most frequently
diagnosed psychiatric disorder.
INTRODUZIONE
Nella realtà occupazionale attuale le problematiche psicosociali ed
organizzative e le loro ripercussioni sul benessere psico-fisico dei lavoratori,
stanno assumendo sempre maggiore rilievo, sia per il modificarsi
della tipologia di lavoro, sia per un maggiore interesse generale nei confronti
della tutela dei diritti e della dignità dei lavoratori in senso esteso.
In particolare sempre maggiore attenzione viene rivolta ai “nuovi” fattori
di disagio lavorativo: stress cronico, mobbing, costrittività organizzative.
Si tratta, quindi, per il medico del lavoro che fa sorveglianza sanitaria,
di considerare non più solo fattori di natura fisica, ma anche di natura
psicosociale e relazionale.
Un numero sempre crescente di lavoratori riferisce disturbi di natura
psichica, e buona parte di questi individua nel lavoro la causa. È in crescita
anche il numero di patologie mobbing correlate denunciate all’I-
NAIL come malattie professionali.
Nel 2005 si è costituito un centro interdisciplinare per lo studio e
prevenzione del disadattamento lavorativo presso il Policlinico Universitario
di Tor Vergata, con l’obiettivo di studiare i disagi e le patologie
correlate stress, mobbing e costrittività organizzative, e di fornire una
consulenza all’INAIL in tal senso. Tale centro si avvale della collaborazione
di medici del lavoro, psichiatri, psicologi, esperti di organizzazione
del lavoro.
MATERIALI E METODI
I lavoratori afferenti al Centro seguono un iter suddiviso in step successivi.
Il primo step è rappresentato dall’incontro con il medico del lavoro,
che procede all’anamnesi fisiologica, patologica remota e prossima
(con particolare attenzione ad eventi della vita lavorativa/eventi della vita
non lavorativa, condizioni psichiche precedenti l’evento patogeno, cronologia
dell’insorgenza dei disturbi, eventuali terapie praticate, presenza
di patologie organiche), raccoglie l’anamnesi lavorativa, conduce l’esame
obiettivo (con particolare riguardo agli organi ed apparati coinvolti
nelle risposte ad eventi stressanti), analizza la documentazione sanitaria
prodotta dall’interessato e inviata dall’INAIL e l’eventuale richiesta di ulteriori
accertamenti specialistici. Il secondo step, condotto con il personale
esperto di organizzazione, prevede l’approfondimento dell’analisi
organizzativa e del contesto di lavoro, con la rilevazione dell’eventuale
presenza di costrittività organizzative (azioni e atti che comportano conseguenze
rilevanti sulla posizione lavorativa e sulle possibilità di svolgimento
del lavoro del soggetto). Nel colloquio, per rilevare situazioni potenzialmente
critiche che coinvolgono l’organizzazione del lavoro, si
tiene conto della scala di Leyman (LIPT). Particolare attenzione è rivolta
a distinguere le situazioni di conflitto interpersonale da quelle di costrittività
organizzativa, che se presenti hanno rilievo nel riconoscimento
della malattia professionale. Il terzo step prevede un colloquio con lo psicologo
e, successivamente, un incontro con gli psichiatri, per la valutazione
della personalità, l’analisi della valutazione soggettiva della situazione,
la diagnosi del disturbo presentato. Questo duplice passaggio prevede
anche la somministrazione del MMPI e di eventuali altri questionari
e test specifici valutatati caso per caso.
RISULTATI/DISCUSSIONE
Una analisi preliminare dei dati raccolti nell’esperienza del Centro
Interdisciplinare ci ha permesso di trarre alcune riflessioni in merito alla
tipologia del campione, sia dal punto di vista anagrafico che sociale, sia
per ciò che riguarda la tipologia di disturbi più frequentemente riscontrati
e di quelli correlabili con situazioni lavorative in cui sono presenti costrittività
organizzative. Ed in particolare, alla nostra attenzione sono
giunti pazienti, in prevalenza, di sesso maschile (12 maschi e 5 femmine),
la classe di età maggiormente rappresentata è risultata essere quella compresa
trai 45 ed i 55 anni (anche se c’è da considerare come fattore
confondente il fatto che, per alcuni casi giunti alla nostra osservazione,
gli eventi oggetto di valutazione hanno inizio molti anni prima), anche se
non risultano esenti dal fenomeno le altre classi di età. Un altro dato interessante
riguarda la “trasversalità” del fenomeno, in quanto questo si
presenta in ugual misura nelle diverse classi sociali, indipendentemente
dal grado di istruzione o dalla mansione svolta; sono giunti alla valutazione
del centro interdisciplinare casi riguardanti sia operai che quadri,
sia soggetti con bassa scolarità e laureati. Per quanto attiene la diagnosi
psichiatrica il disturbo maggiormente riscontrato è risultato essere il disturbo
dell’adattamento (associato ad ansia e/o umore depresso misti) ad
andamento cronico (n. 13 su 17 pazienti).
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Issue of The European Journal of Work and Organizational Psychology
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158 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
P-21
IL MOBBING, VERSO UNA RIVOLUZIONE CULTURALE
E GIURIDICA? INDAGINI PRELIMINARI IN COLLABORAZIONE
CON I PREVIDENZIALISTI DI BARI
L.A. Fino1 1 AUSL BA/4, Dipartimento di Prevenzione, Servizio SPESAL,
Via Murat, 2 - 70122 Bari
Corrispondenza: Dr. Luigi Antonio Fino - Via Matteotti, 24
- 70121 Bari, Tel. 080-5543992 - Cell. 335/8018103, E-mail: luigifino@libero.it
THE MOBBING. TOWARDS A CULTURAL AND JURIDICAL
REVOLUTION? PRELIMINARY INVESTIGATIONS
IN COOPERATION WITH LAWYERS IN BARI
Key words: mobbing, working conditions, culture and sentences.
ABSTRACT. This preliminar investigation’ll inform researchers
about the perception of mobbing correlate diseases.
Our area of investigation’ill be lawyers’s work on this matter.
The first acknowledge implies the filling up of a form of ours by means
of 20 lawyers.
As agreed upon, the people we got in touch with, will inform us about
their future situation, as far as medical and social aspects are
concerned.
INTRODUZIONE
Accanto ai rischi tradizionali (chimici, fisici e biologici) per la salute
del lavoratore, i rischi psicosociali ed organizzativi diventano ogni
giorno di più una delle cause di alterazione della salute sul posto di lavoro.
Fra questi il “rischio relazionale” o “interpersonale” si è posto all’attenzione
del medico del lavoro solo di recente, ma in modo crescente.
Negli ultimi anni, il mobbing è in incremento per motivazioni di carattere
macroeconomico (globalizzazione, grandi emergenze internazionali,
fusioni, ecc.), e per il cambiamento delle tipologie di lavoro e dei
correlati rischi lavorativi.
Le indagini scientifiche rigorose su questo tema sono poche e non
esaustive, a livello nazionale ed internazionale, anche perché condotte su
popolazioni con scarsa numerosità. D’altronde, il tema dei disturbi e delle
patologie derivanti da, o riconducibili a, situazioni mobbizzanti pare rivestire
carattere di patologia sociale dilagante, se si considerano le statistiche
dell’European Foundation for the Improvement of Living and
Working Conditions, un’istituzione dell’Unione Europea, secondo la
quale in Italia la prevalenza del fenomeno tra i lavoratori è del 4.2%, ossia
di circa 800.000-1.000.000 persone coinvolte (anno 1996-97). Una ricerca
recente condotta da istituzioni bancarie avrebbe rilevato, in quest’area,
prevalenze molto più elevate, dell’ordine del 18% (anno 2000).
MATERIALI E METODI
Il mobbing è comunemente definito come una forma di molestia o
violenza psicologica esercitata quasi sempre con intenzionalità lesiva, ripetuta
in modo iterativo, con modalità polimorfe; l’azione persecutoria
è intrapresa per un periodo determinato, arbitrariamente stabilito in almeno
sei mesi sulla base dei primi rilievi svedesi, ma con ampia variabilità
dipendente dalle modalità di attuazione e dai tratti della personalità
dei soggetti, con la finalità o la conseguenza dell’estromissione della
persona da quel posto di lavoro. A tal proposito, sembra più opportuno
parlare di “soglia individuale di resistenza alla violenza psicologica” capace
di indurre una condizione di mobbing, che è possibile esprimere
come funzione di: (intensità della violenza) - (tempo di esposizione) -
(tratti della personalità).
La violenza morale è esercitata mediante attacchi contro la persona
del lavoratore, il lavoro svolto, la funzione lavorativa ricoperta e, infine,
lo status del lavoratore, da parte di un singolo soggetto protagonista
(mobber), generalmente un superiore. In alcuni casi costui viene “coadiuvato”
da dinamiche di gruppo complesse, intrecciate e gestite da un
“coro” di colleghi che concorre – in maniera più o meno consapevole –
alla violenza psicologica, sia con atteggiamento di attiva partecipazione,
sia come testimone passivo, incapace di contrastare tale attività per presunte
convenienze secondarie.
L’analisi rispettivamente delle situazioni lavorative di mobbing e
delle malattie mobbing-correlate è particolarmente critica per i seguenti
motivi:
a) la fonte precipua d’informazione è rappresentata, nella situazione attuale,
quasi esclusivamente dalla raccolta anamnestica diretta;
b) la possibilità di verifica di questi dati è scarsa, in quanto – solitamente
– la collaborazione dell’ambiente di lavoro è carente. Le citate
difficoltà devono essere affrontate con una strategia ad ampio
raggio che non esclude la possibilità di falsi positivi, ma ne può ridurre
la frequenza, mediante una rigorosa osservanza dei seguenti
punti:dichiarazione autocertificata della situazione di lavoro da
parte del soggetto;
c) identificazione del livello di attendibilità del paziente ed esclusione
di un possibile disturbo fittizio;
d) identificazione di un disturbo psichiatrico non legato al lavoro;
e) identificazione delle caratteristiche e/o comportamenti che definiscono
la situazione di mobbing;
f) contatto formale con il medico competente – ove previsto – al fine
sia di aggiungere elementi di validazione dell’anamnesi fornita e sottoscritta
dal lavoratore vittima del mobbing, sia di informare e resposabilizzare
il medico competente stesso;
g) definizione del quadro clinico e della sua compatibilità con le sindromi
mobbing-correlate.
Gli strumenti necessari a soddisfare questi criteri sono:
a) la specifica preparazione alla conduzione di colloqui psicologicopsichiatrici
mirati;
b) l’impiego di strumenti di rilevazione della situazione di mobbing validi
e sensibili, con particolare riferimento all’organizzazione del lavoro
all’interno dell’azienda;
c) l’impiego di metodi psicodiagnostici validi e sensibili;
d) effettuazione di diagnosi sindromica.
La differenziazione suggerita è la seguente:
a) DDA in situazione occupazionale vissuta come avversativa;
b) DDA in situazione occupazionale stressogena.
Queste due diagnosi si riferiscono a componenti soggettive di valutazione
da parte del paziente e a situazioni di stress generico
a) DDA compatibile con situazione anamnesticamente avversativa;
b) DDA occupazionale;
c) DPTS con prevalente componente occupazionale;
d) DPTS occupazionale.
Le norme giuridiche relative al mobbing sono oggi in Italia ancora
assolutamente carenti a cause della recente emersione del fenomeno e
della ancora incerta definizione dello stesso.
Tentativi di articolare norme precise si devono al legislatore regionale,
come la L.R. della Regione Lazio dell’11 luglio 2002 con la quale
si cerca di definire il mobbing e quindi si prevedono interventi di sensibilizzazione
e l’istituzione di un organismo di assistenza ai lavoratori e di
monitoraggio del fenomeno.
La presidenza del Consiglio dei Ministri ha quindi promosso ricorso
alla Corte Costituzionale ritenendo la predetta legge invasiva di competenze
statuali.
Va valutato comunque che il danno psicologico, alla vita di relazione
e tutte le lesioni alla salute del lavoratore sono già tutelate in quanto tali
da norme già esistenti, in particolare l’articolo 2087 del codice civile.
Le future normative dovranno invece definire organicamente la valenza
di vessazioni sistematiche poste in essere nei confronti di un soggetto
per lederne l’integrità psicofisica o quanto meno provocarne l’emarginazione.
Le norme giuridiche terranno conto, come già accennato in precedenza,
essenzialmente:
1) della ripetitività delle condotte lesive,
2) della intenzionalità delle stesse,
3) della volontarietà degli effetti che ad essere devono conseguire.
Tali elementi devono coesistere e trovano riscontri anche in ambito
non giuslavoristico. Importante a tal riguardo la sentenza della Corte di
Appello di Torino del 21 febbraio 2000, che identificava nell’azione lesiva
del marito nei confronti della propria moglie atteggiamenti tipo mobbing:
svalutazione ripetuta in presenza di terzi, con offese sul valore estetico e
quindi su quello di moglie e madre. La Corte ha ritenuto detti comportamenti
causa di addebito per la separazione. Questa sentenza richiama facilmente,
anche se indirettamente, sia i dettami dell’OMS che la classificazione
ISPESL sui rischi trasversali circa l’organizzazione del lavoro.

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 159
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Esistono pertanto nel nostro ordinamento strumenti che tutelano la
dignità e la salute del lavoratore-persona pur in assenza di specifica legislazione
sul mobbing.
La dimostrazione del nesso di causalità, la ricostruzione degli eventi
ed ancor più l’avvalersi di consulenze tecniche, mediche in primo luogo,
completano lo scenario di azioni giudiziarie già oggi frequenti nei nostri
tribunali.
Ulteriori difficoltà emergono nella quantificazione del danno patrimoniale
così come quelli biologico, morale ed esistenziale.
Quest’ultimo crea quasi un capitolo a sé perché ingloba le altre tipologie
costituendo però voce potenzialmente autonoma. Il Tribunale di
Forlì con sentenza del 23 febbraio 2001 riconobbe in un danno da mobbing,
la categoria del danno esistenziale in sé per lesione alla dignità ed
alla personalità morale del lavoratore.
Ulteriore capitolo a sé la rilevanza penale del mobbing che sarà sempre
più dibattuta.
Se infatti l’art. 594 del cod. pen. punisce chi offende l’onore ed il decoro
di una persona tanti altri tipi di reati possono delinearsi come ad es.
la minaccia (art. 612 del cod. pen.) ove essa limiti la libertà psichica del
soggetto.
Analogo discorso per i reati di maltrattamento, molestia e disturbo
alla persona o costrizione ad arti seriali.
RISULTATI ATTESI
In conclusione la giurisprudenza si sostanzia attraverso la scienza
medica con il coinvolgimento di figure specialistiche che agiscono in sinergia
con il medico competente o disgiuntamente da esso, in specie nei
casi in cui spetti alla presunta vittima caricarsi integralmente o quasi degli
oneri di prova.
La nostra ricerca prevede il coinvolgimento di venti avvocati previdenzialisti
del Foro di Bari cui sarà sottoposto un questionario allo scopo
di rilevare l’entità del fenomeno fra i propri assistiti.
Successivamente saranno contattati i soggetti disponibili ad essere
seguiti nel tempo per monitorare le condizioni cliniche degli
stessi e contestualmente i provvedimenti degli organi giudicanti al
fine di valutare l’evoluzione giuridico-culturale della percezione del
Mobbing.
BIBLIOGRAFIA
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20) Avallone. Salute organizzativa. Cortina ed. Milano 2005.
P-22
PREVALENZA DELL’ULCERA DUODENALE NEI LAVORATORI
IN TURNO DISPEPTICI CON INFEZIONE DA H. PYLORI
A. Pietroiusti, A. Forlini 1 , A. Magrini 2 , A. Galante, L. Coppeta 2 ,
G. Somma 2 , E. Bergamaschi 3 , A. Bergamaschi 4
Dipartimento di Medicina Interna, Università Tor Vergata,
1 Dipartimento di Chirurgia, Università Tor Vergata
2 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università di Roma Tor Vergata,
Via Montpellier, 1 - 00133 Roma
3 Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione,
Università degli Studi di Parma
4 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Largo Francesco Vito, 1 - 00168 Roma
Corrispondenza: Antonio Pietroiusti - Dipartimento di Medicina
Interna, Università Tor Vergata, Via Montpellier, 1 - 00161 Roma, Italy
- Tel. +390620902201, Fax +390620902212
- E-mail: pietroiusti@med.uniroma2.it
PREVALENCE OF DUODENAL ULCER DISEASE IN H. PYLORI
INFECTED SHIFT WORKERS
Key words: Lavoro in turno, H. pylori, ulcera duodenale.
ABSTRACT. Previous works on the association between shift work
and peptic ulcer did not consider the role of Helicobacter pylori
(H. pylori), the main causative agent of this disorder. Aim of this study
was to evaluate whether shift work was associated with an increased
rate of peptic ulcer in H. pylori infected workers.
During a 2 year period, consecutive dyspeptic workers underwent
non invasive evaluation of H. pylori status. Those testing positive
were included in the study and divided into two main categories
according to their job schedule: day-time workers and shift workers.
An upper gastrointestinal endoscopy was performed in all workers,
and biopsies were taken from the stomach to confirm the presence
of infection.
A total of 247 day-time workers and 101 shift workers were included.
The prevalence of duodenal ulcer was significantly higher in shift
workers than in day-time workers (29 out of 101, 28.7% vs 23 out of
247, 9.3%; odds ratio [OR]=3.92, 95% confidence interval [CI] 2.13
to 7.21; p

160 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
dispeptici, che erano risultati positivi all’urea 13 C breath test per infezione
da H. pylori. Le caratteristiche lavorative di tali pazienti sono state
analizzate presso il nostro Servizio di Medicina del Lavoro, che ha identificato
due gruppi principali: lavoratori a turno (comprendente almeno
4 turni notturni al mese) e lavoratori non a turno (cioè quelli coinvolti
esclusivamente in attività lavorativa diurna in orario compreso tra le
6,30 e le 19,30).
Un’esofago-gastro-duodenoscopia, comprendente biopsie dell’antro
e del corpo gastrico per la valutazione invasiva dell’H. pylori (test all’ureasi,
valutazione istologica e coltura) (4), è stata proposta ai lavoratori di
entrambi i gruppi per valutare la prevalenza dell’ulcera peptica.
RISULTATI
132 pazienti sono stati classificati come turnisti e 303 come non turnisti.
Quindici pazienti (2 tra i turnisti e 13 tra i non turnisti) hanno rifiutato
l’esame endoscopico. Ulteriori 67 pazienti non hanno eseguito la
procedura per la presenza di condizioni potenzialmente in grado di alterare
l’attendibilità del dato endoscopico e/o della valutazione invasiva
dell’Helicobacter (recente uso di antibiotici, FANS, farmaci antisecretori
gastrici). Pertanto l’esofagogastroduodenoscopia è stata eseguita in 102
turnisti e 251 non turnisti. Dopo l’esame endoscopico, ulteriori 5 pazienti
(1 turnista e 4 non turnisti) sono stati esclusi, in quanto risultati negativi
al test invasivo per l’H. pylori. L’analisi finale ha pertanto riguardato 101
lavoratori in turno e 247 non turnisti.
I due gruppi erano comparabili per età (39.13±9.88 vs 40.54±10.20
anni), con prevalenza di soggetti di sesso maschile e storia familiare di ulcera
peptica (19.8% vs 17%), mentre la prevalenza di fumatori è risultata
maggiore nei turnisti rispetto al gruppo di controllo (38% vs 25.9%; OR
1.72, 95% CI: 1.05 - 2.82; p=0.04). La prevalenza di ulcera duodenale è
risultata significativamente maggiore nei turnisti rispetto ai controlli (29
su 101, 28.7% vs 23 su 247, 9.3%; OR 3.92, 95% CI 2.13-7.21; p

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 161
www.gimle.fsm.it
The object of our study is to prevent these inconveniences using
tools like redefinition of the functions, improved social support
and to conform physical conditions to work abilities and
expectations of workers.
Considering this object, it is advisable not only to research but also to
conform the programs of study of the faculties of economy, engineering,
medicine es well as to improve the professional adjournment in the
vigilance’s sector of work premises and of the sanitary care.
INTRODUZIONE
Nell’Unione europea, più di un lavoratore su quattro è affetto da sintomi
di stress derivante dal lavoro, comportanti gravi problemi ambientali,
economici e sanitari. Il fenomeno riguarda 40 milioni di lavoratori.
Lo stress derivante dal lavoro, può essere definito un modello di reazioni
“arcaiche” che predispongono l’organismo umano alla lotta o alla
fuga. Per l’uomo contemporaneo che tenta faticosamente di adattarsi a
turni a rotazione, a compiti estremamente monotoni e frammentari, a
l’uso di nuove tecnologie, a clienti minacciosi e troppo esigenti, è spesso
una riposta non adattiva e patogena.
Da studi condotti si evince che diversi “fattori di stress” contribuiscono
a realizzare vari quadri di sintomi patologici riferiti dai lavoratori
compresi quelli legati a pressioni psicosociali (violenza, intimidazioni,
vessazioni), incidendo sulla produttività e competitività.
Il nostro studio si pone come obiettivo quello di prevenire tali disagi
intervenendo a vari livelli con tutta una serie di provvedimenti che vanno
dalla ridefinizione delle mansioni, al miglioramento del sostegno sociale,
all’adeguamento delle condizioni fisiche di lavoro, alle capacita, alle esigenze
e alle aspettative dei lavoratori.
MATERIALI E METODI
Abbiamo effettuato uno studio su tre distinti gruppi composti di 85
soggetti ciascuno di età compresa tra 25 e 45 anni con anzianità lavorativa
maggiore di 5 anni, utilizzatori di attrezzature munite di videoterminali
(vdt). Del primo gruppo facevano parte gli analisti e programmatori
addetti al software applicativo, al secondo gruppo gli operatori sulla base
di programmi ideati da altri e al terzo gruppo utilizzatori di videoterminali
con attività lavorativa tradizionale. A ciascun gruppo è stato somministrato
un questionario: Scala di autovalutazione per i disturbi depressivi
e d’ansia (S.A.D).
RISULTATI
Si è riscontrato che il coinvolgimento emotivo e cognitivo, sollecitato
dall’interazione uomo-macchina, che si riscontra nei soggetti del
1° gruppo (38,82%), sembra spesso superare la soglia oltre la quale tende
a convertirsi in fattore di rischio, cioè realizza una condizione di stress
psicologico per l’elevato impegno mentale che richiede. Nei soggetti del
2° gruppo invece (72,94%) la mancanza di conoscenza sulla logica dei
programmi, la monotonia, e la ripetività dei compiti genera una sensazione
d’insoddisfazione e d’inutilità verso l’attività lavorativa e la componente
salariale resta la motivazione più importante al lavoro.
Nel 3° gruppo il disagio psicofisico incide in ragione del 27,06%
sotto un aspetto generico soggettivo.
Figura 1
DISCUSSIONE
I dati confermano che il “Vissuto psicologico” sia in termini di ansia,
depressione, disagio generico soggettivo nei tre gruppi è condizionato da
due variabili fondamentali: Livello qualitativo dei compiti svolti e tempo
giornaliero d’interazione con il vdt.
Dall’analisi statistica risulta non significativo il raffronto tra il
primo e il terzo gruppo; Altamente significativo tra il secondo e il terzo
gruppo; Significativo il raffronto tra il primo e il secondo gruppo (Fig.
1). Questa componente di disagio psicofisico tende ad attenuarsi con il
decrescere del livello temporale d’interazione con il videoterminale e,
conseguentemente, con il riaffiorare delle caratteristiche più tradizionale
del lavoro.
Riteniamo che la prevenzione dello stress e i disagi ad esso correlati
deve rappresentare un “investimento” a favore della salute e della produttività.
Le iniziative rivolte a ridurre questa condizione di disagio devono
prevedere interventi a vari livelli, in primo luogo rivolte ad una adeguata
valutazione del rischio; alla realizzazione di misure dirette all’ambiente,
al lavoro e ai lavoratori; alla pianificazione e diversificazioni delle
mansioni, delle responsabilità e nell’assegnazione di risorse; nell’adozione
di condizioni ottimali per l’introduzione di nuove tecnologie; al
dialogo sociale con il coinvolgimento di tutti a livello dirigenziale e intermedio;
mediante interventi sulle base di operatori esperti; all’introduzione
di nuovi orari di lavoro in un contesto globale; all’adozione di pari
opportunità di trattamento tra uomini e donne; nell’attuazione della formazione
permanente per favorire l’adeguamento delle competenze dei lavoratori
alle esigenze aziendali e nella formazione e aggiornamento professionale
per tutti gli operatori nel settore della sicurezza, dell’igiene e
della salute sui luoghi di lavoro.
BIBLIOGRAFIA
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la gestion de la prevention du stress occasionne par le travail.
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Travail N° 72, 30 March, 1999.
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di videoterminali. 65° Congresso SIMLII - Giardini Naxos
(Me) 11-14 Settembre 2002.
P-24
EVALUATION OF SOCIAL, WORKING CONDITIONS AND WEALTH
CHARACTERISTICS IN HARASSED WORKERS
M. Barattucci, E. Di Ninni, E. Scassa, A. Ambrosi, N. Celsi, A Valente
Servizio Prevenzione Azienda USL Pescara
Corrispondenza: Massimiliano Barattucci - Via Aterno, 262
- 65128 Pescara, Italy - Mobile: 3402442202,
E-mail: massimiliano.barattucci@tin.it
EVALUATION OF SOCIAL, WORKING CONDITIONS
AND WEALTH CHARACTERISTICS IN HARASSED WORKERS
ABSTRACT. The aim of the present research is to evaluate different
characteristics of workers with problems at work who ask help to
specialistic public services, in order to study the time gap between the
beginning of the negative situation at work, the decision to ask help to a
public service and the manifestation of a mental disease. 496 workers
that asked help to a specialistic public service in order to face their
negative work condition, had been clinically assessed with MMPI II and
interviewed with 3 questionnaire that investigated social, working
conditions and familiar variables. Results had shown that workers use
to denounce their situation not before than one year after the bad
condition at work started, when a mental disorder is already evident.

162 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
INTRODUZIONE
I profondi cambiamenti dei contesti occupazionali e l’apprezzabile
aumento di dinamiche disfunzionali sul lavoro sembrano incidere significativamente
sullo stato di salute psicofisica di un numero crescente di lavoratori,
motivando la nascita di servizi di consulenza clinica e di strategie
di intervento in medicina del lavoro.
L’oggetto della presente ricerca è la valutazione delle caratteristiche
socio-anagrafiche, occupazionali e di salute di lavoratori che si sono rivolti
ad un servizio pubblico di assistenza e consulenza di medicina del
lavoro. La letteratura in materia ha indagato diverse caratteristiche dei lavoratori
in situazioni di disagio occupazionale, ma un numero esiguo di
ricerche si è concentrato sulle variabili lavorative utili alla programmazione
di strumenti operativi d’intervento. I risultati della presente analisi
saranno utilizzati per la implementazione e la realizzazione di strategie
innovative di intervento e prevenzione in medicina di lavoro.
MATERIALI E METODI
Il presente studio è stato condotto presso uno sportello d’ascolto e
consulenza di una struttura pubblica di medicina del lavoro, rivolto specificamente
a lavoratori in difficoltà. La corte dei lavoratori che hanno
avuto accesso al servizio dal settembre 2001 al dicembre 2004 rappresenta
il campione di 496 soggetti, che sono stati sottoposti a tre interviste
semi-strutturate che hanno indagato rispettivamente i dati anagrafici, i
dati relativi alla condizione lavorativa, i dati riguardanti la salute, e ad un
questionario di personalità. Il campione è formato per il 56% da uomini
(287) e per il 44% da donne (208). L’età media del campione è di 42.3
anni, ma la media del campione femminile (38.7 anni) è significativamente
inferiore a quella maschile (45.9 anni). Il campione possiede, complessivamente,
un livello di istruzione medio-alto: i soggetti possiedono
un diploma nel 54% dei casi, una laurea nel 22%, la licenza media inferiore
nel 20% e solo il 3% dei soggetti possiede la licenza elementare.
I soggetti venivano prima sottoposti ad una intervista semi-strutturata
per la valutazione della situazione lavorativa composta da 28 items,
poi sottoposti ad un questionario (MMPI II) ed a colloqui di valutazione
clinica e, a distanza di trenta giorni, ad un colloquio esplorativo.
RISULTATI
INVIO - I soggetti accedono ai servizi per il 37% inviati da Specialisti
(avvocato, medico, psicologo) o vengono a conoscenza del servizio attraverso
i Mass-media nel 23% dei casi, mentre solo il 16% viene consigliato
dal Sindacato, da un Collega (16%) o reperisce informazioni attraverso
Internet (8%).
POSIZIONE SINDACALE - Il 44% (220 utenti) è iscritto a sindacati, l’8%
è rappresentante sindacale (42), mentre il 47% non è sindacalizzato (233).
AZIENDA DI APPARTENENZA - I lavoratori sono dipendenti di Aziende
di produzione di beni e servizi nel 36% dei casi (178), di Enti ed Amministrazioni
pubbliche nel 32% dei casi (157), di Strutture sanitarie pubbliche
e private (13%, 64 utenti), di Attività commerciali (11%, 52
utenti), di Istituti ed enti di formazione nel 6% (33), di Altro tipo di
azienda nel 2% (11 utenti).
CONTRATTO - I lavoratori hanno contratti a tempo indeterminato nel
93% (463 utenti) dei casi, contratti a tempo determinato nel 7% (32 utenti).
ANZIANITÀ DI SERVIZIO - L’anzianità di servizio è nel 21% (104
utenti) dei casi inferiore ai 5 anni, nel 11% (55) compresa tra i 5 e i 10
anni, nel 27% (137) compresa tra i 10 e i 20 anni, nel 29% (145) compresa
tra i 20 e i 30 anni, nell’11% (54) maggiore di 30 anni.
MANSIONI - I lavoratori sono addetti a mansioni che riguardano i Servizi
nel 27% dei casi (134), l’Amministrazione nel 24% (120), la Produzione
nel 14% (70), o a mansioni da Tecnico nel 12% (60), da Dirigente
(8%, 42 utenti), da Venditore (8%, 42 utenti), da Insegnante (6%, 27 utenti).
AZIONI SUBITE - I lavoratori giungono al servizio lamentando nei loro
confronti Atmosfera ostile (68%, 336 utenti), Isolamento (47%, 234
utenti), Pressioni psicologiche volte al licenziamento o al trasferimento,
(45%, 221 utenti), Minacce di provvedimenti disciplinari, spostamento o
licenziamento (41%, 201 utenti), Attacchi alla reputazione professionale
o personale (35%, 173), Persecuzione sistematica (33%, 165 utenti), Demansionamento
(30%, 146 utenti), Spostamenti (26%, 130 utenti), Controllo
ossessivo (23%, 114 utenti), Modifica delle mansioni (sovraccarico,
compiti umilianti, compiti nocivi) nel 23% (113 utenti), Modifiche o manomissioni
alla propria postazione di lavoro (19%, 92 utenti), Limitazioni
della possibilità di esprimersi, partecipare o contribuire alle attività
(17%, 84 utenti), Attribuzione di errori (14%, 68 utenti), Difficoltà a usu-
fruire di periodi di malattia o ferie (13%, 67 utenti).
RESPONSABILI - I responsabili delle situazioni lavorative di disagio
sono i Superiori nel 87% dei casi (430 utenti), i Colleghi nel 21% (106
utenti) e i Subordinati nel 2% (10). Le responsabilità delle vicende negative
di lavoro sono fatte risalire ad un Unico responsabile nel 54% dei
casi (266 utenti), ad un Piccolo gruppo di lavoratori (2-4) nel 32% (158
utenti), ad un Nutrito gruppo di colleghi nel 14% (71 utenti).
DURATA - La vicenda negativa sul lavoro perdura da Più di due anni
nel 58% dei casi (286 utenti), da Più di un anno nel 19% (95 utenti), da
Più di 6 mesi nel 16% dei casi (78 utenti), da Più di 2 mesi nel 5% dei
casi (25 utenti), da Meno di 2 mesi nel 2% (11 utenti).
TIPOLOGIA - Le situazioni lavorative descritte si configurano come
Avversative (presenza di una volontà precisa di licenziare il lavoratore,
emarginarlo, esasperarlo, arrecargli danno, sfavorirlo) nel 64% dei casi
(320 utenti), Stressogene (quando le azioni subite sul lavoro sono in relazione
con cambiamenti organizzativi, circostanze aziendali, conflitti professionali)
nel 20% (99 utenti), Negative (non vi sono ne volontà precise
di ledere il lavoratore, ne circostanze organizzative sfavorevoli) nel 15%
(76 utenti).
MOTIVAZIONI - Le situazioni lavorative valutate come “Avversative”
(dove è riscontrabile una volontà precisa di licenziare o sfavorire il lavoratore)
hanno nel 48% Motivazioni Strategiche (downsizing, pre-pensionamenti,
esternalizzazioni, etc.), nel 35% Motivazioni Emozionali (legate
a conflitti o episodi), nel 17% dei casi i lavoratori non sono in grado di
individuare Nessuna motivazione.
AZIONI LEGALI - Il 47% dei lavoratori (233 utenti) giunge ad osservazione
quando ha già intrapreso azioni legali, mentre il 53% (262 utenti)
non ha ancora avviato contenziosi legali. Nel 95% dei casi non sono stati
informati soggetti deputati ad attività di prevenzione (medico del lavoro,
medico competente, servizio di prevenzione e protezione), mentre nel 5%
dei casi sono stati contattati o sono venuti a conoscenza della vicenda lavorativa.
CAUSE - Tra le cause dell’insorgere della situazione lavorativa negativa
si riscontra nel 32% dei casi la degenerazione di un Conflitto tra colleghi
o con il superiore (157 utenti), l’applicazione di precise Strategie
aziendali nel 22% (111 utenti), le difficoltà di assegnazione di responsabilità
e mansioni ad un dipendente con Invalidità o Inabilità nel 7% dei casi
(36 utenti), difficoltà legate a periodi di Malattia, permessi, ferie e soprattutto
maternità nel 7% (33 utenti), la Personalità del responsabile delle
azioni negative sul lavoro nel 7% (33 utenti), l’Attività sindacale nel 6%
(30 utenti), rifiuto di essere coinvolti in illeciti o denunce di illeciti nel 7%
(33 utenti), la Personalità del lavoratore nel 5% (24 utenti), Richieste o
Problematiche contrattuali nel 3% (17 utenti), Circostanze stressogene
nel 3% (14 utenti), Molestie a sfondo sessuale nel 2% (10 utenti).
SITUAZIONE ATTUALE - Le situazioni lavorative descritte sono caratterizzate
principalmente da Demansionamento nel 11% dei casi (46 utenti),
Trasferimento o Spostamento nel 11% dei casi (45 utenti), Isolamento o
Emarginazione nel 10% dei casi (41 utenti), Conflitto con il titolare nel
10% dei casi (39 utenti), Conflitto con i colleghi nel 8% dei casi (33
utenti), Minacce di licenziamento, Richiami, Procedimenti disciplinari
nel 7% dei casi (30 utenti), Difficoltà al rientro dalla maternità, dalle ferie
o dalla malattia nel 6% dei casi (26 utenti), Carico di lavoro eccessivo
nel 5% dei casi (19 utenti), Discriminazione nei turni o negli orari
nel 5% dei casi (21 utenti), Licenziamento nel 4% dei casi (17 utenti), Altre
voci 24%.
SALUTE - Le diagnosi cliniche effettuate sono risultate il Disturbo
dell’Adattamento nel 74% dei pazienti, Disturbi somatici nel 8% dei casi,
Disturbi d’Ansia nel 8%, Disturbi dell’umore nel 6%, Nessuna diagnosi
psichiatrica degna di nota nel 4%.
FARMACI - Il 70% dei lavoratori fanno uso di farmaci in conseguenza
della sintomatologia dichiarata, il 30% dichiara di non fare uso di farmaci.
DISCUSSIONE
I lavoratori giungono al servizio almeno dopo un anno dall’inizio
delle azioni aggressive, quando la situazione lavorativa è ormai responsabile
di un danno alla salute psicofisica. Le azioni avversative correlabili
a specifiche strategie aziendali spiegano solo un quarto dei casi, mentre
la maggior parte delle vicende lavorative che causano un danno alla
salute appare correlato alla degenerazione di un conflitto professionale o
personale con il superiore gerarchico, e per motivi eterogenei che comprendono
l’organizzazione interna, l’attività sindacale, la denuncia di illeciti,
richieste contrattuali, molestie sessuali, circostanze lavorative

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 163
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stressogene, incompatibilità ambientale, appartenenza a diverse cordate
politiche. Il conflitto è sovente in grado di influenzare anche le stesse
strategie aziendali, dal momento in cui le azioni a cui è sottoposto il lavoratore
sono nella maggior parte dei casi la modifica delle mansioni, l’isolamento,
la discriminazione nelle ferie, nei turni, nei premi, nella formazione.
Dai risultati emerge che nella quasi totalità delle vicende lavorative
(95%) non vengono informati i soggetti deputati ad attività di prevenzione
(medico del lavoro, medico competente, servizio di prevenzione e
protezione), e qualora vengano contattati non si registra una partecipazione
attiva di tali soggetti.
In una ampia percentuale delle situazioni esaminate sarebbe possibile,
dunque, mettere in atto soluzioni ed interventi di medicina del lavoro
in grado di modificare l’esito delle vicende lavorative e di prevenire le
degenerazioni, i licenziamenti, le dimissioni e l’aggravarsi dello stato di
salute psichica. L’analisi dei rischi psico-sociali e la messa in atto di interventi
innovativi volti alla risoluzione dei conflitti rappresentano le due
nuove sfide in medicina del lavoro per la gestione dei rischi trasversali
che rivestono un ruolo sempre maggiore nelle patologie sul lavoro.
P-25
MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI NELLA PICCOLA
IMPRESA COLLEGATE CON LA CNA DI PESCARA
A. Antonucci1 , M. Di Carlantonio2 , D. Di Giuseppe3 , L. Di Giampaolo1 1 Unità operativa di Medicina del Lavoro, Università “G. D’Annunzio”
Chieti Pescara
2 Medico del Lavoro, Società Leonardo S.r.l.
3 Specializzanda in Medicina del Lavoro
Corrispondenza: Ing. Andrea Antonucci - Università G. D’Annunzio,
Via dei Vestini - 66023 Chieti, Italy - Tel. 0871-3556777,
E-mail: andrea.antonucci@tin.it
MANUAL HANDLING OF WEIGHTS IN SMALL INDUSTRIES
ASSOCIATED WITH THE CNA OF PESCARA
Key words: movimentazione manuale dei carichi, manual movement
of cargos.
ABSTRACT. Low back pain is common among blue collar workers.
The sanitary staff of the CNA of Pescara in collaboration with Chieti
University studied manual handling of weights on 60 workers in
storerooms. The study investigated the risk perception and efficacy
of formation and information among workers. Moreover, the NIOSH
index on operation of empting and lifting was determined. 3 workers,
after 4 years of activity in storeroom, referred low back pain; one
among these people showed initial clinical alterations documented by
instrumental exams. Some female workers referred pain in arms,
perhaps due to repeated movements.
INTRODUZIONE
Le affezioni cronico-degenerative della colonna vertebrale sono di
assai frequente riscontro presso i lavoratori dell’industria, dell’agricoltura
e del terziario. Esse, sotto il profilo della molteplicità delle sofferenze e
dei costi economici e sociali indotti (assenze per malattia, cure, cambiamenti
di lavoro, invalidità) rappresentano uno dei principali problemi sanitari
del mondo del lavoro.
Il National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH -
USA) pone tali patologie al secondo posto nella lista dei dieci problemi
di salute più rilevanti nei luoghi di lavoro.
Negli Stati Uniti il low-back pain determina una media di 28 giorni di
assenza per malattia ogni 100 lavoratori e secondo stime provenienti dagli
Istituti di Medicina del Lavoro, le patologie croniche del rachide sono la
prima causa nelle richieste di parziale non idoneità al lavoro specifico.
In questo contesto, la società Leonardo S.r.l. (società di servizi
della CNA di Pescara), da anni operante nel campo della sicurezza sul
lavoro, della qualità e dell’ambiente, ha stipulato una convenzione con
l’Università di Chieti, Unità operativa di Medicina del Lavoro, con la
finalità di individuare i rischi esistenti per le singole categorie di lavo-
ratori delle società convenzionate, integrare e aggiornare i documenti
di valutazione del rischio, stimare il livello di percezione del rischio da
parte dei lavoratori, valutare la qualità della sorveglianza sanitaria
adottata.
In questa prima fase di collaborazione è stata effettuata un’analisi riguardante
la movimentazione manuale dei carichi (MMC) su un campione
di 60 persone afferenti a 2 cooperative convenzionate con la Società
Leonardo S.r.l. che svolgono attività di gestione magazzino, comprendente
carico e scarico merce e confezionamento.
MATERIALI E METODI
Il campione di 60 lavoratori, costituito per l’80% da uomini e per il
20% da donne, di età variabile tra i 18 e i 40 anni, è stato osservato per
più giornate lavorative durante la normale attività di gestione del magazzino,
costituita da 2 turni di 6 ore, con la finalità di individuare nel dettaglio
le modalità operative di scarico, trasporto e sistemazione dei contenitori,
nonché la tipologia di merce immagazzinata.
È stata valutata inoltre la difficoltà della presa dei contenitori, la ripetitività
dei movimenti, la visuale consentita al lavoratore durante il trasporto,
la presenza di spigoli taglienti sulle confezioni, la presenza di materiale
sciolto. Ciò ha consentito la valutazione dell’indice di sollevamento
mediante il metodo NIOSH e la valutazione dei rischi connessi durante
il trasporto.
L’analisi è stata estesa anche all’ambiente lavorativo nel quale si
svolgono le mansioni, considerando lo spazio libero necessario alla movimentazione,
le condizioni del pavimento, la stabilità dei punti di appoggio,
la luminosità dell’ambiente e l’eventuale presenza di ostacoli.
È stata altresì condotta un’intervista diretta su un campione di 40 persone,
con l’obiettivo di individuare il livello personale di percezione del
rischio e l’efficacia della formazione e informazione ricevuta in riferimento
ai rischi connessi con l’attività lavorativa.
Dei 60 lavoratori oggetto dello studio, si avevano a disposizione i risultati
delle visite mediche preventive di idoneità al lavoro al momento
dell’assunzione nonché le cartelle sanitarie delle visite periodiche durante
gli anni lavorativi nel magazzino; esse comprendevano una raccolta
anamnestica volta a verificare la presenza o meno di possibili patologie
del rachide già esistenti e la valutazione clinica della motilità dei 3 tratti
del rachide.
L’indagine ha preso in considerazione anche l’utilizzo dell’abbigliamento
antinfortunistico consigliato per questo tipo di mansioni: essenzialmente
scarpe antiscivolo con puntale rinforzato e guanti.
RISULTATI
L’analisi dell’attività lavorativa ha individuato 2 tipologie di mansioni
connesse al rischio di patologie derivanti da MMC: 1) durante la
fase di scarico della merce dal camion, effettuata manualmente fino alla
sistemazione sul transpallets 2)durante la fase di sistemazione della
merce dal transpallets alla scaffalatura del magazzino.
Nella 1° fase, il carico, costituito per il 90% da scatole di cartone
delle dimensioni di cm 90x70 e dal peso variabile tra i 9 e i 12 kg., viene
spinto e trainato con busto piegato in avanti di circa 45°; nella 2° fase si
effettuano invece sia operazioni di sollevamento che di spinta, operazioni
effettuate in parte in posizione precaria (sulla scala) ed effettuando una
rotazione del busto di 45°.
Il calcolo dell’indice NIOSH per queste operazioni ha fornito un valore
pari a 0,9 nella prima fase e 1,2 nella seconda, situazioni non critiche,
ma ai limiti della sicurezza per ciò che concerne la possibilità di incorrere
in patologie.
Dagli accertamenti sanitari è emerso che 3 lavoratori, impiegati unicamente
nelle operazioni di magazzino, a distanza di 4 anni dall’ultimo
referto positivo, denunciano fastidi a livello del rachide, riferibili a sforzi
effettuati durante lo svolgimento della loro mansione; e 1 lavoratore, in
seguito ad accertamenti specialistici effettuati di recente, ha manifestato
un’iniziale patologia del tratto lombare del rachide.
Si è inoltre osservato che alcune lavoratrici di sesso femminile hanno
lamentato disturbi agli arti superiori dovuti alla ripetitività durante le operazioni
di confezionamento della merce.
Per ciò che concerne l’analisi del luogo di lavoro, non si sono riscontrate
particolari condizioni di criticità.
L’indagine ha rilevato un consistente utilizzo delle scarpe antinfortunistiche
(99% dei lavoratori visionati), mentre si riscontra una minore diffusione
nell’utilizzo dei guanti (60% dei casi).

164 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
Dalle interviste con il personale è emersa una limitata presa di coscienza
da parte dei lavoratori del rischio di incorrere in patologie dovute
a MMC. Soltanto il 30% degli intervistati considera l’attività di magazzino
rischiosa dal punto di vista della salute e tra questi soltanto 8 persone
ritengono possibili interventi efficaci al fine di ridurre il rischio.
CONCLUSIONI
Nel mondo del lavoro il problema della MMC è ancora poco sentito
e incontra scarsa sensibilità da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei
preposti e molto spesso anche dei lavoratori, i quali lo ritengono non risolvibile
o difficilmente migliorabile.
Il nostro caso studio conferma quanto sopra riportato, soprattutto riguardo
la scarsa presa di coscienza da parte dei lavoratori dei rischi connessi
con le proprie mansioni; oltre alla sfiducia nella possibilità di ottimizzare
il lavoro riducendone rischi. Un intervento semplice e senza dubbio
migliorativo, nel caso esaminato, consisterebbe nell’utilizzare, per le
operazioni di trasporto e sistemazione del carico sulle scaffalature, i muletti
con dispositivo di spinta del carico anziché i transpallets. Ciò consentirebbe
di ridurre la movimentazione manuale nonché il rischio di caduta
dall’alto da parte dei magazzinieri addetti alla sistemazione sugli
scaffali. Nella fase di scarico dei camion, invece, l’operazione potrebbe
essere effettuata con l’ausilio di semplici carrelli manuali, oppure impiegando
2 persone per volta, anche se questa soluzione troppo spesso incontra
le resistenze degli imprenditori a causa della necessità di aumento
del personale.
BIBLIOGRAFIA
1) Colombini D, Occhipinti E, Menoni O, Bonaiuti D, Greco A. Patologie
del rachide dorso-lombare e movimentazione manuale dei carichi.
Medicina del Lavoro, 84, 5, 373-387, 1999.
2) Colombini D, Occhipinti E, Molteni G, Menoni O, Greco A. Messa
a punto e validazione di un questionario per lo studio delle alterazioni
del rachide in collettività lavorative. Medicina del Lavoro, 79, 5,
390-402, 2000.
3) Apostoli P, Bovenzi M, Occhipinti F et al. Linee Guida per la prevenzione
dei disturbi e delle patologie muscolo-scheletriche dell’arto
superiore correlati al lavoro. Maugeri Fondazione, Pavia, 2003
Vol. 4.
VIII SESSIONE
ESPOSIZIONE AD ASBESTO
P-01
INCIDENZA DEGLI INFORTUNI NELLE ATTIVITÀ
DI RIMOZIONE DEI MATERIALI CONTENENTE AMIANTO
G. Robuffo, E. Giancaterino, G. Zappacosta, R. De Santis, B. Nicola,
A. Caponetti
Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro ASL Pescara,
Via Paolini, 45 - 65100 Pescara
Corrispondenza: G. Robuffo - Servizio Prevenzione e Sicurezza
negli Ambienti di Lavoro ASL Pescara, Via Paolini, 45 - 65100 Pescara,
Italy, Tel. 085-4253406, Fax 085-4253951, E-mail: medlav.pe@libero.it
INCIDENCE OF THE INJURIES IN THE ACTIVITIES
OF REMOVAL OF THE MATERIALS CONTAINS AMIANT
Key words: amiant reclamation injuries.
ABSTRACT. For the removal of the materials containing amiant must
be presented special level to the service of vigilance of the Asl, level
that it is consider approved if it is not do within 90 days.
The removal habitually is made by specialized firms in this tipe
of works registered in special list.
In our Asl the procedure of valutation foresees to value the levels not
only to the documentation but also high level supervising for each work
site with particular care to the problems of the safety before to issue the
permission to the reclamation.
Respecting this procedure there have been authorized in the year 93-95
almost 1200 work sites. It was treated in the mayor part of the removal
of covering in asbestos lumber, therefore it was in the presence of works
high risks winded with this tipe of activity.
For valuate the strong procedure have been included in the census
of the accidents happened in the work site authorized in the period
2000-2005.
From the analisys is emerged that only 8 accidents are verified.
It evidences therefore like an adeguate work of prevention/vigilance
can be attain best results in the improvement of the safety on the work.
INTRODUZIONE
Il D.L.vo 15 Agosto 1991, n. 277, quale norma di attuazione delle direttive
n.80/1107/CEE, n.82/642/CEE, n.83/477/CEE, n.86/188/CEE e n.
88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti
da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro,
prevede al capo terzo la “protezione dei lavoratori contro i rischi connessi
all’esposizione ad amianto durante il lavoro”.
Le norme si applicano a tutte le attività lavorative nelle quali vi è rischio
di esposizione alla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali
contenenti amianto.
In particolare il datore di lavoro prima dell’inizio dei lavori di demolizione
o di rimozione dell’amianto, ovvero dei materiali contenenti
amianto, dagli edifici, strutture, apparecchi e impianti, nonché dai mezzi
di trasporto, predispone un piano di lavoro da presentare all’organo di vigilanza
competente per territorio ai sensi dell’art. 34 del D.L.vo 277/91.
Ai fini della prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle attività di
bonifica dei MCA, nella nostra esperienza è risultato assai rilevante non
solo la valutazione del piano ma anche il sopralluogo preventivo che ha
l’obiettivo di fornire al datore di lavoro elementi di valutazione utili per
migliorare le misure di sicurezza da adottare nelle varie fasi lavorative.
Il lavoro illustra l’incidenza degli infortuni nella ASL di Pescara
in 5 anni, nei cantieri in cui sono stati effettuati i lavori di bonifica dei
MCA e nei quali l’organo di vigilanza è intervenuto con una intensa attività
preventiva.
MATERIALI E METODI
Il servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPSAL)
della ASL di Pescara richiede alle aziende la compilazione di uno speci-

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 165
www.gimle.fsm.it
fico modello di piano di lavoro, ai sensi dell’art. 34 del D.L.vo 277/91,
contenente le informazioni necessarie per formulare il parere tecnico-sanitario
di autorizzazione.
In particolare il piano prevede notizie in merito: ai dati identificativi
dell’impresa, del committente e sull’ubicazione del cantiere, alle
caratteristiche della struttura e tipologia dei materiali da bonificare nonché
alle quantità complessiva da rimuovere, all’iscrizione all’albo Nazionale
delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti (Categoria 10), al
documento di valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 del D.L.vo 626/94,
alle modalità operative seguite per la bonifica del MCA, alla organizzazione
del cantiere, alle modalità di confezionamento e di trasporto del
MCA, al coordinamento delle attività di cantiere ai sensi del D.L.vo
494/96, ai dati inerenti la struttura da bonificare (caratteristiche del fabbricato
con planimetria, misure di sicurezza adottate contro il pericolo di
caduta dall’alto ecc.).
In allegato al piano la ditta è invitata a presentare: il certificato di
iscrizione alla camera di commercio da cui risulti la tipologia lavorativa
relativa alla bonifica di MCA, la lettera di nomina del medico competente
con firma di accettazione dell’incarico, i certificati di idoneità rilasciati
dal medico competente per gli addetti alla rimozione del MCA, una copia
del certificato di iscrizione all’albo dei bonificatori del MCA (cat.10),
l’attestato rilasciato dall’INAIL in cui risulti il pagamento del premio assicurativo
per gli esposti all’amianto (Testo Unico 1124 INAIL), la planimetria
dell’unità di decontaminazione con la dotazione degli accessori,
la scheda tecnica del filtro assoluto per le fibre di amianto, da utilizzare
per la filtrazione delle acque reflue provenienti dall’unità di decontaminazione,
il verbale attestante la formazione dei lavoratori sul rischio
amianto ai sensi degli articoli 21/22 D.L.vo 626/94, i certificati attestanti
la formazione dei lavoratori ai sensi della Legge 257/92, il piano della gestione
delle emergenze, l’elenco dei DPI, una copia della scheda tecnica
dell’incapsulante da utilizzare prima della rimozione, le fotografie dei
fabbricati, le planimetrie e i prospetti in scala 1:100, il certificato di analisi
del MCA da bonificare.
Iter seguito per la concessione dell’autorizzazione ai sensi dell’art
34 D.L.vo 277/91:
1. la ditta è tenuta a presentare il piano di lavoro presso lo sportello
Spsal. Il piano viene consegnato al dirigente medico responsabile del
procedimento che, in collaborazione con un tecnico della prevenzione,
controlla la documentazione presentata e chiede, se necessario,
un’integrazione;
2. entro 30 giorni viene fissato l’appuntamento con la ditta per il sopralluogo
in cantiere;
3. completato l’iter della consegna della documentazione e del sopralluogo
viene preparata l’autorizzazione con le eventuali prescrizioni,
discusse, se necessario, con la ditta.
RISULTATI
Analisi dei piani di lavoro presentati nel periodo 2001-2005
correlati al n. infortuni
DISCUSSIONE
La procedura adottata dallo Spsal che prevede il sopralluogo in tutti
i cantieri in cui deve effettuarsi la rimozione di materiali contenenti
amianto si è dimostrata particolarmente utile nella prevenzione degli
infortuni. Su 743 cantieri aperti nel periodo 2001-2005 si sono verificati
solo 8 eventi, addirittura negli ultimi due anni solo 1 su 382 cantieri. Il
dato appare ancora più significativo se si ricorda che si è trattato nella
maggior parte dei casi di rimozione di coperture, quindi si era in presenza
di lavori in altezza che di norma presentano alti indici d’infortunio sia per
gravità che per frequenza. Per operare in questo modo lo Spsal destina a
tali attività molte delle poche risorse a disposizione tuttavia, considerati
gli eccellenti risultati, la scelta appare opportuna anche perché si dimostra
chiaramente come una adeguata azione preventiva permette di raggiungere
risultati positivi di assoluto rilievo.
BIBLIOGRAFIA
1) Marconi A, Binetti R, Di Prospero P. Le fibre vetrose artificiali rassegna
delle più recenti evidenze scientifiche, “Il Giornale degli Igienisti
Industriali” vol. 20 (1995).
2) Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277, capo III.
3) Legge del 27 marzo 1992, n. 257.
4) D.P.R. del 8 agosto 1994.
5) Decreto Ministeriale del 6 settembre 1994.
6) Linee guida “Rischio amianto” delle Regioni Lombardia - Piemonte
- Veneto.
P-02
anno n. n° n° MCA bonificato quantità n°
ditte piani cantieri Tipologia: prevalentemente bonificata infortuni
presentati ispezionati coperture in eternit mq
2001 12 88 88 prevalentemente coperture in eternit 23800 1
2002 14 111 109 prevalentemente coperture in eternit 72500 2
2003 12 158 152 prevalentemente coperture in eternit 40500 4
2004 14 164 162 prevalentemente coperture in eternit 53300 1
2005 17 222 220 prevalentemente coperture in eternit 64000 0
TOT. 743 731 254100 8
Quantità di MCA rimosse nel capoluogo e in provincia nel periodo 2001-2005
ANNO Mq. di MCA % mq. di MCA % Totale mq. di MCA
bonificato in Pescara bonificato in provincia bonificato
2001 16919 71 6881 29 23800
2002 45860 63.2 26640 36.8 72500
2003 20649 51 19851 49 40500
2004 19728 37 33572 63 53300
2005 31997 49.99 32003 50.01 64000
RUOLO DELLA MESOTELINA SIERICA COME MARKER
DI DIAGNOSI PRECOCE DEL MESOTELIOMA MALIGNO
M. Amati, L. Mariotti, M. Ciuccarelli, M. Tomasetti, M. Valentino
Dipartimento di Patologia molecolare e Terapie innovative,
Clinica di Medicina del Lavoro, Università Politecnica delle Marche,
Via Tronto, 10/a - 60020 Torrette (Ancona)
Corrispondenza: Monica Amati - Dipartimento di Patologia
molecolare e Terapie innovative, Medicina del Lavoro, Università
Politecnica delle Marche, Via Tronto, 10/a - 60020 Torrette (Ancona),
Italy - Tel. 071-2206064-60 - Fax 071-2206062, E-mail m.amati@univpm.it
ROLE OF SERUM MESOTHELIN AS A MARKER
FOR MALIGNANT MESOTHELIOMA
Key words: mesothelin, asbestos-exposed workers, serum marker.
ABSTRACT. Malignant mesothelioma (MM) is a highly
aggressive tumour of serosal cavities, which is resistant to
conventional therapies. It is characterized by a long
latency and nearly always late diagnosis. Obviously, the
earlier the diagnosis, the better the response to therapy.
Measurement of serum levels of mesothelin (SMRP), a
surface protein normally found on mesothelial cells that is
highly expressed in some cancers, including mesothelioma,
has recently been proposed as an early marker for this
tumour. The reliability of mesothelin as marker for the
early diagnosis of mesothelioma was evaluated in 121
asbestos-exposed individuals, 21 MM patients and 59 agematched
controls. SMRP serum levels were determined
using ELISA test. The mean SMRP concentration found in
MM patients was significantly higher than in the other two
groups (p

166 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
INTRODUZIONE
Il mesotelioma maligno (MM) è una neoplasia altamente aggressiva
delle sierose. È caratterizzato da un lungo periodo di latenza e la sintomatologia
si manifesta relativamente tardi durante il suo decorso per cui
la diagnosi è spesso tardiva (2). Tra i diversi marcatori attualmente utilizzati
nella diagnosi immunoistochimica della neoplasia non ne esiste
uno che possa, da solo, fornire la certezza di mesotelioma, per cui si tratta
di una diagnosi di esclusione. È evidente che una diagnosi più precoce
potrebbe ampliare la scelta delle possibili terapie e presumibilmente migliorare
la risposta alle stesse da parte del soggetto malato (3, 4). La Mesotelina
(SMRP), proteina di superficie normalmente presente sulle cellule
delle sierose e maggiormente espressa in alcuni tumori tra cui il mesotelioma,
è stata recentemente proposta come possibile marker sierico di
diagnosi precoce (1). Allo scopo di valutare l’implicazione clinica della
mesotelina come marker specifico e sensibile per la diagnosi precoce di
mesotelioma, 201 soggetti sono stati arruolati dal settembre 2004 al maggio
2006 e sottoposti all’analisi sierica della mesotelina.
MATERIALI E METODI
Reclutamento pazienti
Il gruppo di studio comprendeva 59 soggetti sani reclutati come controllo
(CTRL); 121 soggetti ex-esposti all’amianto (EXP) lavoratori del
cantiere navale di Ancona; 21 soggetti con diagnosi di mesotelioma maligno
(MM) provenienti dall’ Oncologia
Clinica dell’Azienda Ospedali
Riuniti di Ancona. Ogni soggetto è
stato sottoposto ad anamnesi ed esame
obiettivo, spirometria e prelievo
ematico, previo consenso informato.
Determinazione SMRP
I livelli sierici di SMRP sono
stati determinati attraverso il doppio
test ELISA (Mesomark, Schering,
Milano, Italia).
Analisi statistica
I dati sono riportati come media
± DS. Le differenze tra i gruppi sono
state valutate usando i test non parametrici
Mann-Whitney e Kruskall-
Wallis. L’attendibilità del marker
SMRP è stata valutata mediante curva
ROC (Receiver Operating Characteristics).
L’area sottesa alla curva
(AUC) indica la sensibilità e la specificità
del marker. L’analisi statistica
è stata effettuata mediante SPSS
software (SPSS, Inc., Chicago, IL).
RISULTATI
Nella tabella I sono evidenziate
le caratteristiche demografiche del
gruppo di studio.
Come illustrato nella figura 1, la
concentrazione media di SMRP è significativamente
più elevata nei soggetti
affetti da MM rispetto al gruppo
degli EXP e al gruppo CTRL
(p

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 167
www.gimle.fsm.it
DISCUSSIONE
I risultati del nostro studio, in particolare la ROC analisi, indicano
che la determinazione della concentrazione di SMRP può essere molto
utile per differenziare i pazienti con MM da quelli ex-esposti e da quelli
non esposti, ma non riesce a discriminare gli ex-esposti dai controlli. Essendo
strettamente associato alla malattia, il dosaggio di questo biomarker
può essere utile nella diagnosi di MM e nel monitoraggio della
patologia.
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P-03
MESOTELIOMA MALIGNO NEL SESSO FEMMINILE IN PROVINCIA
DI BERGAMO
F. Bartolozzi1 , S. Facchinetti1 , P. Leghissa1 , M. Caironi2 , M. Migliori1 ,
G. Mandelli1 , G Mosconi1 1 Unità Operativa Ospedaliera Medicina del Lavoro - Azienda
Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, Largo Barozzi, 1
- 24126 Bergamo
2 Servizio PSAL ASL Provincia di Bergamo.
Corrispondenza: Fabio Bartolozzi - Unità Operativa Ospedaliera
di Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti
di Bergamo, Largo Barozzi, 1 - 24126 Bergamo, Italy
- Tel. 035-269196, Fax 035-266866, E-mail: fabio.bart2004@libero.it
MALIGNANT MESOTHELIOMA AMONG WOMEN
IN THE BERGAMO AREA
Key words: women, mesothelioma, textile industry.
ABSTRACT. Relatively few studies have evaluated the epidemiological
features among women professionally exposed to asbestos fiber.
The aim of this study is to trace the outline of malignant mesothelioma
among women in the Bergamo Area. Since 1990 is active in the
department of Occupational Health of Bergamo General Hospital the
Malignant Mesothelioma Registry of Bergamo Area. The recorded data
(registered from 1990 to 2005) counted 285 cases of mesothelioma, 92
of them occurred in women with a mean age of 70 years (range 42-92).
Tumor arose in the pleura in 93% of the women in our study, and the
majority were epithelial. In 7% of cases tumor arose in peritoneum.
An occupational exposure to asbestos was identified in 43 cases of
mesothelioma among woman (47%). The occupational history
demonstrated 38 women involved in the textile industry and the latency
period (time interval elapsed between first exposure to asbestos and
diagnosis of the tumor) was 51 years and ranged from 31 to 70.
The goal of Authors is to discuss the results in comparison with
the mesotheliomas occurred in men during the same period.
INTRODUZIONE
La maggior parte degli studi relativi al mesotelioma maligno hanno
focalizzato l’attenzione sullo studio della neoplasia tra soggetti di sesso
maschile in quanto storicamente maggiormente esposti professionalmente
all’inalazione di fibre d’amianto. In letteratura sono infatti pochi
gli studi condotti su coorti di pazienti di sesso femminile (1). Dal 1990 è
attivo presso l’U.S.C di Medicina del Lavoro degli Ospedali Riuniti di
Bergamo il Registro Mesoteliomi della Provincia di Bergamo. L’obiettivo
del presente lavoro è quello di descrivere i casi di mesotelioma maligno
nel sesso femminile diagnosticati in provincia di Bergamo nel periodo
1990-2005. Viene analizzata, in particolare, la casistica di quelli professionali
classificati secondo le linee guida del Registro Nazionale dei Mesoteliomi,
il settore di provenienza e le differenze emerse dal confronto
del campione con i casi diagnosticati nello stesso periodo in pazienti di
sesso maschile.
MATERIALI E METODI
La casistica analizzata riguarda 92 casi di mesotelioma riscontrati in
pazienti di sesso femminile su un totale di 285, giunti alla nostra osservazione
nel periodo 1990-2005 al fine di stabilire un nesso di causalità tra
la malattia ed un’eventuale esposizione professionale ad amianto. Ogni
paziente è stato sottoposto ad accertamenti sanitari finalizzati alla diagnosi
clinica ed alla sommistrazione del questionario ISPESL come indicato
dalle linee guida proposte dal Registro Nazionale dei Mesoteliomi.
In caso di impossibilità a convocare i pazienti presso i nostri ambulatori,
per le scadenti condizioni cliniche o per il loro decesso, si è provveduto
alla raccolta anamnestico-clinica tramite colloqui telefonici con gli stessi
o con i loro familiari. I dati relativi ad ogni singolo caso sono stati inseriti
in un database su piattaforma access riportando per ogni paziente i
dati anagrafici, i risultati degli accertamenti sanitari eseguiti (Rx torace,
TC torace, Esame istologico, citologico ed immunoistochimico) ed
un’accurata raccolta anamnestica professionale.
RISULTATI
Nei 92 casi di mesotelioma riscontrati in pazienti di sesso femminile
l’età media al momento della diagnosi era di 70 anni (range 42-92)
mentre nel campione maschile l’età media era di 67,5 anni (range 36-
95). Per quanto concerne la sede sono state osservate 85 (92%) neoplasie
della sierosa pleurica nelle donne e 183 (94,8%) negli uomini. Nelle
donne in 7 casi (8%) la sede di insorgenza della neoplasia è stata la sierosa
peritoneale, mentre negli uomini solo il 3% aveva sede peritoneale.
Il tipo istologico maggiormente rappresentato in entrambe le casistiche
è stato quello epitelioide. In 6 pazienti di sesso femminile (6,5%) è stata
evidenziata la presenza di placche pleuriche calcifiche bilaterali radiologicamente
evidenti uno dei quali con asbestosi. Nel campione maschile
sono stati osservati 13 casi (6,7%) con placche pleuriche calcifiche
bilaterali in 2 dei quali con asbestosi. Tutti i pazienti con placche
pleuriche e/o asbestosi avevano un’esposizione professionale certa ad
asbesto. I mesoteliomi professionali sono stati 43 (47%) nelle donne
(30 certi, 11 probabili, 2 possibili) e 144 (75%) negli uomini (117 certi,
20 probabili, 7 possibili). Il periodo di latenza media tra prima esposizione
ad amianto ed insorgenza della neoplasia è stato di 51 anni (31-
70) nelle pazienti di sesso femminile, mentre nei maschi è stato di 41
anni (19 -64). I settori lavorativi di provenienza più rappresentati nel
campione femminile sono stati: il tessile non dell’amianto con 36 casi
(84% dei casi professionali), il tessile dell’amianto con 3 casi (7% dei
casi professionali) e 4 casi (9%) da altri settori lavorativi; mentre negli
uomini: 63 casi nel settore metalmeccanico/siderurgico, 33 casi nel settore
edile, 9 casi nel settore di produzione di manufatti in cementoamianto,
7 casi (4,9%) nel tessile non amianto, 6 nel tessile amianto, 9
nel settore elettromeccanico, 5 nel settore chimico, 12 in altri settori lavorativi.
Tra le 49 donne (53%) con mesotelioma di origine non professionale
in 7 casi è stato possibile ricondurre la patologia all’esposizione
ad amianto di tipo domestico riconducibile all’esposizione ad asbesto in
occasione della pulizia di indumenti da lavoro indossati da un familiare
convivente esposto professionalmente di cui uno deceduto per mesotelioma
maligno, in 4 pazienti l’esposizione al minerale era di tipo ambientale
e in 38 casi non è stato possibile identificare un’esposizione ad
amianto.
DISCUSSIONE
I dati evidenziano che il 32% dei casi di mesotelioma maligno osservati
sono occorsi in pazienti di sesso femminile, dato che non si discosta
molto da quello rilevato nel primo rapporto del Registro Nazionale
dei Mesoteliomi ove la percentuale nel sesso femminile è stata del
28%. Solo nel 47% dei mesoteliomi diagnosticati nella coorte femminile,
è stato possibile identificare un nesso di causalità tra esposizione
professionale ad amianto e neoplasia, percentuale nettamente inferiore
rispetto a quella documentata nei maschi (75%). L’interpretazione del
risultato può essere attribuibile ad una esposizione al rischio superiore
nelle attività normalmente svolte dai lavoratori di sesso maschile ri-

168 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
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spetto a quello femminile. Tuttavia, confrontando la percentuale di mesoteliomi
professionali documentata nella nostra coorte con quella calcolata
dal registro mesoteliomi della Lombardia (37,5%) (2), emerge
una maggiore incidenza di casi nella nostra provincia nel settore tessile
non dell’amianto che rappresenta, con 36 casi, l’84% dei mesoteliomi
di origine professionale osservati. Da rilevare che il dato si discosta
nettamente da quanto osservato da altri registri provinciali ove i casi
incidenti nel settore sono stati numericamente molto limitati. Si ritiene
importante sottolineare che il comparto tessile è stato in passato, ed è
tuttora, un settore produttivo strategico dell’economia del nostro territorio
pertanto con elevato numero di addetti. Nella nostra casistica è
stato inoltre possibile identificare nel settore alcuni gruppi di soggetti
(cluster) che avevano lavorato nelle medesime unità produttive inoltre
è stata recentemente documentata l’esistenza di un significativo rischio
amianto in tutte le fasi della produzione tessile ove l’amianto è stato
ampiamente utilizzato negli impianti frenanti su tutti i tipi di macchine
del ciclo produttivo oltre che come materiale coibentante e fonoassorbente
nelle strutture edilizie (5, 6, 7). Il periodo di latenza media dall’inizio
dell’esposizione all’insorgenza della neoplasia risulta essere di
10 anni superiore nel sesso femminile rispetto al sesso maschile (rispettivamente
51 e 41 anni). La differenza è probabilmente giustificata
da una esposizione a fibre di amianto di intensità notevolmente più ridotta
nelle attività svolte dalle donne, principalmente occupate nel settore
tessile rispetto ai maschi. La maggiore percentuale di mesoteliomi
peritoneali osservati nelle donne (8% verso 3%) non sembrerebbe essere
riconducibile ad una elevata esposizione professionale, in contrasto
con quanto suggerito dalla letteratura (4). Tale evidenza potrebbe
essere giustificata dalla maggiore suscettibilità nel sesso femminile rispetto
al maschile nell’insorgenza del mesotelioma peritoneale spontaneo
(2, 3).
BIBLIOGRAFIA
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and asbestos exposure in the population of an area neighboring Lake
Iseo, northern Italy Med Lav 1999; 90(6): 762-75.
P-04
UN CASO DI MESOTELIOMA MALIGNO DELLA TUNICA
VAGINALE DEL TESTICOLO CON ESPOSIZIONE
PROFESSIONALE AD ASBESTO
C. Dimaggio1 , F. Roscelli2 , C. Tanzi2 , M. del Mar J. Sanchez1 ,
M. Riccò1 , I. Franchini1 1 Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Clinica Medica,
Nefrologia, Scienze della Prevenzione
2 Azienda USL di Parma, Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti
di Lavoro
Corrispondenza: Cinzia Dimaggio - Università degli Studi di Parma,
Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della
Prevenzione, Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro,
Corso Umberto, 72 - 74020 San Marzano di San Giuseppe
(Taranto), Italy - Tel. (cellulare e domicilio) 347-8916181,
E-mail: cinziadimaggio1973@libero.it
MALIGNANT MESOTHELIOMA OF THE TUNICA VAGINALIS
TESTIS WITH OCCUPATIONAL EXPOSURE TO ASBESTOS:
A CASE REPORT
Key words: malignant mesothelioma, tunica vaginalis testis, asbestos
exposure.
ABSTRACT. Malignant Mesothelioma of tunica vaginalis testis
(MM-TVT) is a rare tumor, with about 80 cases reported in English
speaking literature. Asbestos exposure and trauma have been implicated
as risk factors. In the case we present, a 61-year-old man previously
asymptomatic referred a scrotal mass, subsequently resected. The lesion
showed an infiltrating, biphasic pattern, with epithelial and sarcomatous
components. Immunohistochemistry evaluations were positive for
calretinin, vimentin, cytokeratin; negative for CK5-CK6. Reports were
compatible with diagnosis of MM-TVT. Occupational history identified
asbestos exposure 47 years before the outbreak of symptoms, during five
consecutive years. At first, the patient was employed as mechanical
apprentice performing occasional substitution of brake pads. During
following five years, he was assigned to the cutting of asbestos panels
insulating small vans. Referred procedures were performed in closed
places and without respiratory personal devices. Previous professional
exposure, despite long latency time, suggested an occupational etiology
for the referred malignancy. Causality relation was subsequently
acknowledged receiving economic compensation.
Actually, given the rarity of these tumors, it is difficult to obtain precise
information regarding natural history. Diagnosis of MM-TVT in most
cases can be established only by immunohistochemistry, but should
always be suspected in patients with previous asbestos exposure.
INTRODUZIONE
Il mesotelioma maligno (MM) è una rara malattia insorgente dalle
membrane sierose mesoteliali, caratterizzata da alta letalità e frequente
eziologia professionale. Le sedi primarie più frequenti sono pleura e peritoneo.
Più raramente, il MM può originare della tunica vaginale del testicolo:
a partire dai primi casi descritti in letteratura (1), fino ad oggi ne
sono stati segnalati circa ottanta (2).
L’esposizione all’asbesto ed i traumi sono i fattori di rischio attualmente
riconosciuti: ma nel caso specifico dell’asbesto, ad incrementare
significativamente incidenza e frequenza della patologia è altresì una storia
occupazionale positiva nei familiari conviventi (3). Più recentemente,
fattori biologici (virus SV40) (4) e genetici (delezioni di 1p, 3p, 6q e 9p)
(5-6) sono stati associati ad un incrementato rischio.
La fisiopatologia del MM non è ancora stata pienamente definita, in
particolare per le varianti ad insorgenza testicolare, data la carenza di
studi epidemiologici attendibili. Lew et al (7) hanno riconosciuto nei lavoratori
esposti ad asbesto e affetti da mesotelioma una cronica riduzione
nella conta assoluta dei linfociti T h , ipotizzando quindi il ruolo determinante
dell’immunosoppressione. La latenza media tra l’esposizione all’agente
eziologico e la manifestazione della malattia è molto lunga: 30-40
anni per i casi associati ad esposizione all’asbesto (8).
MATERIALI E METODI
Soggetto maschio, 61 anni, fumatore fino a 20 anni fa, pensionato dal
1998. Nell’ottobre 2005, per riscontro di massa testicolare, viene sottoposto
ad intervento di orchifunicolectomia sinistra con asportazione della
vaginale. L’esame istopatologico evidenzia un mesotelioma di tipo misto
(sarcomatoide-epiteliomorfo), esteso a ridosso dell’epididimo ed infiltrante
il margine didimale del funicolo mentre didimo, rete testis, e cute
soprastante risultano indenni.
L’immunocitochimica è positiva per calretinina, vimentina, citocheratine,
desmina e actina antimuscolo liscio e negativa per citocheratine 5
e 6 ed actina antimuscolo striato; si rileva iperespressione della p53. L’indice
di proliferazione secondo Ki67 viene stimato nel 70%.
Il paziente non viene sottoposto ad alcun trattamento chemioterapico,
né radioterapico. Nel giugno 2006, per un sospetto di recidiva, esegue una
biopsia scrotale, con esito negativo per malattia residua o recidiva.
Dall’anamnesi professionale risulta esposizione lavorativa all’asbesto,
dapprima molto modesta come apprendista meccanico (dai 12 ai 14 anni:
mansione di ausilio al meccanico come riparatore di autoveicoli in genere,
compresa saltuaria sostituzione dei ferodi dei freni). Successivamente, ha
sempre lavorato come carrozziere presso varie aziende. Riferisce di aver
svolto, nei primi anni di tale attività, taglio e rifinitura di pannelli in asbe-

G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl 169
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sto per la coibentazione di piccoli furgoni per il trasporto di generi alimentari.
Tali procedure venivano svolte, per la maggior parte del tempo, in
ambienti confinati, privi di presidi di aspirazione e senza il ricorso a dispositivi
di protezione individuale. In seguito, riferisce di aver svolto l’attività
di carrozziere lamierista e meccanico al bisogno: l’indagine anamnestica
non ha evidenziato manipolazione diretta di asbesto o derivati.
L’esposizione professionale ad asbesto, cominciata 45 anni prima
dell’insorgenza della malattia, per una durata di almeno 5 anni, ha suggerito
l’esistenza di un nesso causale tra attività lavorativa e neoplasia.
Pertanto, è stato redatto il primo certificato di malattia professionale. La
sede INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni
sul Lavoro) di Parma, su parere favorevole della Direzione Regionale
dell’Emilia-Romagna, ha riconosciuto l’origine professionale della malattia,
ammettendo il caso alla tutela previdenziale.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Circa un terzo dei casi di MM della tunica vaginale del testicolo riportati
in letteratura presenta una storia positiva per esposizione ad asbesto,
ma la ricostruzione dell’esposizione è spesso incompleta e frammentaria
(1-2). La meticolosa e sistematica raccolta di informazioni sulla storia
lavorativa, le abitudini di vita e le aree di residenza, generalmente effettuata
nell’ambito del Registro Nazionale Mesoteliomi, risulta pertanto
particolarmente importante per la classificazione epidemiologica dei casi,
inclusi quelli a localizzazione testicolare.
Dato il tipico pleomorfismo del MM, e la conseguente insufficienza
delle colorazioni istologiche convenzionali, l’imunoistochimica (9) ricopre
un ruolo chiave per un’accurata diagnosi: diversi studi hanno infatti
segnalato una specifica, diffusa positività per calretinina, antigene di
membrana epiteliale (EMA), trombomodulina e citocheratina 7 ed una
negatività per citocheratine 20 ed antigene carcino-embrionario, marcatori
effettivamente rilevati nel caso da noi segnalato.
La consapevolezza dell’esistenza di queste rare forme di MM in considerazione
anche della lunga latenza dall’inizio dell’esposizione ad asbesto,
è importante, sia per indirizzare la diagnosi (10) sia per fini medico-legali.
Dal 1987 al 2004 in Italia sono stati notificati 431 casi di MM extrapleurico;
di questi, 386 (90%) interessavano il peritoneo, 23 (5%) il pericardio
e solo 22 (5 %) la tunica vaginale del testicolo (11). Il dato conferma
la rarità della neoplasia e suggerisce una probabile sottonotifica dei casi.
BIBLIOGRAFIA
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14) Elaborato_Finale_PrMMEP.pdf (sito visitato il 07/08/2006, h16:34).
P-05
MESOTELIOMA PRIMITIVO DELL’OVAIO: DESCRIZIONE
DI UN CASO
M. Musti1 , D. Cavone1 , T. Massaro1 , L. Convertini2 , G. Cauzillo2 ,
D. De Santis4 , A.M. Leo1 , G. Montagano3 , G. Serio5 1 Università degli Studi di Bari. Dipartimento di Medicina Interna
e Medicina Pubblica. Sezione di Medicina del Lavoro Vigliani,
Policlinico, P.zza G. Cesare - 70124 Bari
2 Regione Basilicata, Dipartimento Salute Sicurezza e Solidarietà
Sociale, Servizi alla Persona e alla Comunità. Servizio Osservatorio
Epidemiologico Regionale ReNaM COR Basilicata, Via Anzio, 10
- 85100 Potenza
3 Regione Basilicata. Dipartimento Salute Sicurezza e Solidarietà
Sociale, Servizi alla Persona e alla Comunità, Ufficio Direzione
Generale, Via Anzio, 10 - 85100 Potenza
4 Ospedale S. Carlo Potenza, Servizio di Anatomia Patologica,
Via Potito Petrone - 85100 Potenza
5 Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Anatomia Patologica,
Policlinico, P.zza G. Cesare - 70124 Bari
Corrispondenza: Prof.ssa Marina Musti - Università degli Studi
di Bari. Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica,
Sezione di Medicina del Lavoro Vigliani, Policlinico,
P.zza G. Cesare - 70124 Bari, Italy - Tel. 0039-080-5479209,
Fax 0039-080-5427300, E-mail: m.musti@medlav.uniba.it
PRIMARY OVARIAN MESOTHELIOMA: A CASE REPORT
Key words: ovarian mesothelioma, asbestos, ironing board.
ABSTRACT. The role of asbestos exposure in the development of lung
cancer and mesothelioma is accepted, while no clear association
between asbestos and other cancer sites is demonstrated. Primary
papillary ovarian mesothelioma is rare and it sometimes arises in
young women lacking a history of asbestos exposure, that often is
unrecognized. Case report: during the activity of the Renam, COR
Basilicata, a case of ovarian mesothelioma, arised in the 1995 in a 38
years old Italian woman, was discovered. The patient, housewife,
neither significant past medical history, underwent an hysterectomy for
adnexal masses with a normal serum CA-125 level; histology confirmed
diagnosis of bilateral primary papillary mesothelioma of ovaries; the
histological pattern was papillary with well differentiated mesothelial
cells. A domestic exposure to asbestos because of the covering of the
ironing board it was reported from 1970 to 1980. The patient is without
evidence of disease ten years after diagnosis.
INTRODUZIONE
Il mesotelioma primitivo dell’ovaio è una patologia neoplastica rara
che può presentare difficoltà nella diagnosi differenziale con il carcinoma
ovarico (1, 2) e che spesso insorge in giovani donne in cui non è stata evidenziata
esposizione ad asbesto (4, 6, 9, 11).
Nell’ambito delle attività del Registro Mesoteliomi Basilicata, è
emerso un caso di una donna casalinga affetta da mesotelioma ovarico
papillare bilaterale in cui invece l’esposizione ad amianto è da ricondursi
al rivestimento dell’asse da stiro utilizzato per circa 10 anni; trattasi
quindi di esposizione domestica. La paziente è attualmente in vita, è in
buono stato di salute e non si evidenziano segni di ripresa della malattia,
a sostegno dell’opinione di molti autori sul decorso favorevole di queste
forme dopo esciussione chirurgica.
Il ruolo patogenetico dell’amianto nell’insorgenza del mesotelioma e
del cancro polmonare è da tempo confermato; in questo lavoro vengono
discusse le conoscenze sul ruolo patogenetico dell’amianto nell’eziologia
del mesotelioma e carcinoma in altre sedi in particolar modo l’ovaio (6, 8).
La diagnosi differenziale tra queste due forme tumorali è molto importante
per il riflesso nelle scelte terapeutiche (9). Nella eziologia del carcinoma
ovarico, multifattoriale, sono segnalati fattori genetici, ormonali, virali,
uso di talco per l’igiene intima ed esposizione ad asbesto (12, 18).
Vari studi sono stati condotti per cercare di individuare una correlazione
tra l’esposizione ad asbesto e mesotelioma e carcinoma ovarico.
Nel 2000, Attanoos e Gibbs, hanno valutato quattro casi di mesotelioma

170 G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, Suppl
www.gimle.fsm.it
degli organi genitali maschili e femminili; per tre dei quali risultava positiva
l’esposizione ad asbesto (2). Una meta-analisi del ’99 sulla mortalità
di donne impiegate in un’industria tipografica Russa ha evidenziato
13 decessi per carcinoma ovarico; 12 donne erano addette alla rilegatura
dei testi ed esposte a talco contaminato da asbesto (3).
Nel 1985 Falkson, nella descrizione di un caso di mesotelioma
ovarico, ha evidenziato la correlazione tra carcinoma e mesotelioma
ovarico ed esposizione ad asbesto, in virtù della comune origine dall’epitelio
celomatico (5). Una condizione simile si verifica a carico
dell’apparato respiratorio tra mesotelioma pleurico e carcinoma polmonare
(8). Non va trascurato, tuttavia, che un’eventuale esposizione
può rimanere misconosciuta (4,10); significativo a questo proposito lo
studio caso-controllo di Heller del 1996 in cui con l’ausilio della microscopia
elettronica, sono state ricercate fibre di asbesto in 13 campioni
anatomici di donne affette da carcinoma ovarico sicuramente
esposte ad asbesto (esposizione domestica) ed in 17 frammenti di lesioni
ovariche benigne di donne non esposte. In 9 dei 13 casi ed in 6
dei 17 controlli, erano presenti fibre di asbesto. Gli autori suggeriscono
due possibili meccanismi per spiegare la presenza di fibre negli organi
genitali: la via transvaginale percorsa dalle fibre in occasione di rapporti
sessuali con coniugi occupati nella lavorazione dell’amianto e
l’utilizzo di talco cosmetico contaminato da asbesto largamente applicato
a livello perineale a scopo igienico(10). Ciò confermerebbe l’ipotesi
circa l’importante ruolo dell’asbesto nella patogenesi sia del mesotelioma
che del carcinoma ovarico.
Il mesotelioma ovarico si manifesta in diverse forme istologiche:
cistico, papillare, diffuso maligno, tumore adenomatoide (16). In letteratura,
il tipo istologico maggiormente riscontrato è il papillare ben
differenziato, sulla cui natura benigna o comunque la bassa malignità
molti autori concordano. La diagnosi di questa forma è spesso accidentale
con decorso paucisintomatico e prognosi favorevole dopo
escissione chirurgica della neoplasia (7, 9). Anche per il carcinoma
ovarico la sintomatologia è molto lieve, e quando compare, il tumore è
in fase molto avanzata, tale da richiedere a seconda dello stadio, un
trattamento chemioterapico preoperatorio neoadiuvante e cicli di chemioterapia
successivi a escissione chirurgica (19). La percentuale di
sopravvivenza a 5 anni per gli stadi III e IV è compresa tra il 10% e il
20% (13).
L’esigenza di effettuare una corretta diagnosi differenziale tra carcinoma
e mesotelioma ovarico è basata sulla necessità di differenziare le
scelte terapeutiche.
CASO CLINICO
Nell’ambito delle attività del Registro Mesoteliomi Basilicata, è stato
identificato un caso di mesotelioma ovarico occorso nel 1995 in una
donna di 38 anni, casalinga, coniugata, non fumatrice. Secondo le procedure
standardizzate del Registro (15) si è preceduto alla conferma della
diagnosi ed alla ricostruzione dell’esposizione ad amianto.
La storia clinica ricostruita è la seguente:
– nel settembre del 1992 la paziente in seguito a dolori addominali diffusi
esegue Ect pelvica che risulta negativa;
– nell’ottobre del 1994 viene nuovamente eseguita una Ect pelvica che
segnala un utero aumentato di volume e la presenza di due formazioni
solide ipoecogene del diametro di 76 e 32 mm a livello delle
ovaie. Esegue marcatori tumorali: ca125 negativo;
– nel gennaio del 1995 viene disposto il ricovero presso l’ospedale S.
Carlo di Potenza dove viene effettuata una isterectomia totale e annessiectomia
bilaterale. La diagnosi istologica del pezzo operatorio
depone per mesotelioma ovarico primitivo bilaterale con positività
dell’indagine immunoistochimica per Ema, Vimentina e Calretinina;
– nel marzo del 1995 il vetrino viene revisionato presso l’Istituto Nazionale
dei Tumori di Milano dove viene confermata la diagnosi di
mesotelioma papillare ben differenziato dell’ovaio.
La paziente, in seguito a tale diagnosi, non è stata sottoposta a trattamento
chemio o radioterapico pre e post operatorio a conferma della benignità
della neoplasia.
A giugno del 2005 la paziente è vivente ed in buona salute.
RICOSTRUZIONE DELL’ESPOSIZIONE AD AMIANTO
L’anamnesi non ha evidenziato la presenza di esposizione ad amianto
di tipo professionale, ambientale o familiare. I genitori (padre muratore e
madre operaia in un biscottificio), non erano conviventi con la paziente
in quanto emigrati in Svizzera. Il marito (tecnico d’azienda telefonica),
non è professionalmente esposto ad amianto. L’analisi residenziale è negativa
per la presenza di manufatti in cemento amianto. Espressamente
indagato non risulta utilizzato talco cosmetico per igiene personale da
parte della paziente.
L’esposizione ad amianto di tipo domestico è da ricondursi all’uso di
un asse da stiro coperto da telo di amianto, la cui sostituzione per usura
avveniva ogni 3-4 mesi; il rivestimento è stato utilizzato per circa 10
anni, dal 1970 fino al 1980. Il caso è stato classificato nel Registro come
esposizione extra lavorativa, per attività svolte in ambiente domestico
con utilizzo di manufatti contenenti amianto.
DISCUSSIONE
L’analisi del Registro Mesoteliomi ha messo in evidenza un’esposizione
domestica legata alla presenza di amianto nella copertura dell’asse
da stiro utilizzato negli anni 1970-1980. Per tale periodo è infatti nota l’elevata
presenza nelle abitazioni di manufatti contenenti amianto, usati
specialmente per l’isolamento termico, come le coperture di asse da stiro
e pannelli per forni e stufe (20-22). Data la stretta correlazione tra esposizione
ad asbesto e mesotelioma, ed alla luce della lunga latenza che può
intercorrere fino allo sviluppo della patologia, riteniamo esserci nesso di
causalità tra mesotelioma ovarico ed esposizione all’asbesto contenuto
nella copertura dell’asse da stiro.
La stessa modalità di esposizione è segnalata da diversi Registri Regionali
(14, 15, 17, 22) che citano altri casi di mesotelioma pleurico in
donne con la stessa esposizione domestica. La particolarità del caso da
noi presentato è rappresentata dalla localizzazione del processo neoplastico
a livello ovarico.
L’analisi della letteratura evidenzia il possibile ruolo dell’amianto
nella patogenesi del carcinoma e del mesotelioma ovarico, anche quando
apparentemente non si riesca a risalire ad una storia di esposizione, data
la probabilità che questa passi inosservata (4, 6, 9, 11). Le colorazioni e
le moderne tecniche di immunoistochimica consentono di effettuare la
diagnosi differenziale fra le due neoplasie necessaria al fine di individuare
il corretto trattamento terapeutico: l’intervento chirurgico radicale
del mesotelioma ovarico ben differenziato si rivela infatti risolutivo a
fronte di un protocollo terapeutico per carcinoma ovarico che prevede il
ricorso alla chemioterapia pre e post operatoria con una mortalità che rimane
comunque elevata. L’accurata diagnosi differenziale arreca quindi
un indubbio vantaggio in termini di scelta terapeutica. L’uso infine della
microscopia elettronica per l’individuazione delle fibre di asbesto può
rappresentare un importante strumento per il riconoscimento dell’esposizione
ad amianto.
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22) www.ispesl.it
P-06
IL REGISTRO REGIONALE DEI MESOTELIOMI ASBESTO-CORRELATI:
RISULTATI DEL PRIMO ANNO DI ATTIVITÀ NELLA REGIONE
ABRUZZO
L. Trafficante1 , S. Gatta2 , A.M. Di Giammarco3 1 U.O. di Medicina del Lavoro Polo Sanitario Tocco da Casauria AUSL
Pescara, Responsabile COR Abruzzo
2 Servizio PSAL AUSL Avezzano - Sulmona
3 Servizio PSAL AUSL Pescara
Corrispondenza: Dr.ssa Anna Maria Di Giammarco - Servizio PSAL
AUSL Pescara, Piazza della Stazione - 65020 Alanno (PE), Italy
Richiesta estratti: Dr.ssa Luana Trafficante - U.O. Medicina
del Lavoro, Polo Ospedaliero di Tocco da Casauria AUSL Pescara
- 65028 Tocco da Casauria (PE), Italy
THE REGIONAL REGISTER OF MEOTHELIUM ASBESTOS-
CORRELATED: RESULTS OF THE FIRST YEAR OF ACTIVITY
IN THE REGION OF ABRUZZO
Key words: Mesothelium Register, asbestos, anamnestic criteria.
ABSTRACT. The Mesothelium Register was set up in Abruzzo at the
end of 2003. The epidemiologic surveillance framework on a regional
scale was built up involving health institutions, generally considered
as the primary source of relevant data (above all the Thoracic Surgery
Clinic of Chieti University, which provided the greatest number of the
cases diagnosed between 2000 and 2005), and assigning a key role to
PSAL services of the public health system.
In a subsequent phase, based on data selected from primary information
sources, in accordance with diagnostic and anamnestic criteria on a
national scale (ReNaM guidelines), the analysis of the individual cases
acquired by COR (Regional Operative Centre) was initiated.
In order to have the maximum accuracy in etiologic categorization,
professionals from PSAL services involved in data collection took a
specifically designed training course.
Here is presented a discussion of the preliminary results deriving from the
analysis of the first 30 cases observed at COR with an outline of the
problems and bottlenecks.
Il Registro dei Mesoteliomi Asbesto-correlati della Regione Abruzzo è
stato istituito alla fine dell’anno 2003 e ha sede presso l’Unità Operativa di
Medicina del Lavoro di Tocco da Casauria della AUSL di Pescara. Dopo una
fase preliminare di raccolta dei dati di contesto socio-economico e di ricognizione
delle strutture sanitarie regionali individuate come fonti informative
primarie, si è avviato il lavoro di costruzione della rete Regionale di sorveglianza
epidemiologica, che si avvale primariamente dei Servizi PSAL.
Sulla base dei dati provenienti dalle fonti informative primarie, dai
certificati di morte e dalle Schede di Dimissione Ospedaliera, utilizzando
criteri diagnostici ed anamnestici standardizzati e codificati nell’ambito
delle linee guida ReNaM, è stata poi avviata l’analisi dei singoli casi
giunti a conoscenza del COR.
Al fine di perseguire la massima accuratezza nella definizione eziologia,
è stato progettato ed organizzato una specifico corso di formazione
(che si è tenuto alla fine del 2004) indirizzato a referenti individuati nell’ambito
di ciascun Servizio PSAL della Regione.
Fra le fonti informative primarie presenti nella Regione ha avuto particolare
rilievo la Clinica di Chirurgia Toracica dell’Università di Chieti,
che ha fornito la casistica più numerosa di mesoteliomi con diagnosi incidente
tra il 2000 e il 2005 giunti all’attenzione del COR nei primi mesi
di attività. Sui primi casi con diagnosi già definita, la valutazione del
grado di certezza eziologia ha incontrato difficoltà legate alle diffuse ed
irrisolte carenze presenti nei Servizi PSAL della Regione.
Ancora più problematica è apparsa la definizione dei casi desunti
dalle Schede di Dimissione Ospedaliera, che hanno richiesto una preliminare
disaggregazione dei dati - codificati secondo ICD IX - nella carenza
di sensibilizzazione della gran parte delle fonti informative primarie
interessate, peraltro ripetutamente sollecitate.
Il flusso informativo periodico tramite la rete di rilevazione è stato
avviato da poco tempo (sostanzialmente dai primi mesi del 2005), per cui
i dati di incidenza per i casi di Mesotelioma Maligno diagnosticati in Regione
a partire dal 1 gennaio 2000 sono evidentemente sottostimati.
La casistica attualmente disponibile presso il COR (derivante dalla
valutazione retrospettiva dei casi di Mesotelioma diagnosticati presso la
Clinica di Chirurgia Toracica dell’Università di Chieti ed alcuni Servizi
di Anatomia Patologica) è di 35 casi, di cui solo 30 sono risultati di pertinenza
del COR con diagnosi di mesotelioma.
In aderenza alle Linee Guida ReNaM, per la valutazione dell’esposizione
professionale sono stati utilizzati - oltre ai dati desunti dalle interviste
- anche quelli ricavabili dai libretti di lavoro e dalla documentazione
disponibile presso i Servizi PSAL e le sedi INAIL.
Tutti i casi in esame (23 maschi e 7 femmine) sono di pertinenza
pleurica. In 23 casi si dispone di una diagnosi istologica; nei restanti 7
casi si dispone solo di dati citologici e Clinico/Radiologici.
La classe di età maggiormente rappresentata al momento della diagnosi
risulta essere, per i maschi, quella compresa tra i 70 ed i 79 anni
(56,5% dei casi).
Al momento attuale, solo per quattro casi valutati e definiti è stata
possibile l’attribuzione di una pregressa esposizione professionale certa.
Si tratta di lavoratori per i quali è stata individuata l’esposizione ad
amianto nei settori metalmeccanico (costruzione e coibentazione di forni
e di impianti siderurgici), chimico (manutenzione di impianti industriali)
e del vetro (conduzione di forni).

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