SICUREZZA DEL LAVORO NEL SETTORE TESSILE - Giornale ...
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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1, 45-75 © PI-ME, Pavia 2004<br />
www.gimle.fsm.it<br />
ATTI <strong>DEL</strong> SEMINARIO<br />
“<strong>SICUREZZA</strong> <strong>DEL</strong> <strong>LAVORO</strong> <strong>NEL</strong> <strong>SETTORE</strong> <strong>TESSILE</strong>”<br />
Seminario organizzato dall’ISPESL, Dipartimento Documentazione,<br />
Informazione e Formazione nell’ambito del 2° Convegno “Tessile e Salute”*<br />
(a cura di Nicolina Mucci)<br />
Richiesta estratti:<br />
Gli atti potranno essere richiesti a:<br />
Redazione<br />
“<strong>Giornale</strong> Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia”<br />
Fondazione Salvatore Maugeri<br />
Istituto di Pavia<br />
Via A. Ferrata, 4<br />
27100 PAVIA<br />
All’attenzione del Prof. M. Imbriani<br />
tel. 0382/592990-598<br />
fax 0382/592514-090<br />
Biella, 24 gennaio 2002<br />
* 2° Convegno “Tessile e Salute”, Biella, 23-25 gennaio 2002. Centro Congressi di “Città degli Studi” di Biella, Corso Pella, 1 - 13900 Biella -<br />
Tel. 015.8488307 - www.tessileesalute.it
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1, 46 © PI-ME, Pavia 2004<br />
www.gimle.fsm.it<br />
Introduzione<br />
Nel gennaio 2001 s’è svolto a Biella il I Forum internazionale<br />
“Tessile e Salute”, organizzato dalla ASL 12 di<br />
Biella, l’Istituto “O. Rivetti” del CNR e Città degli Studi<br />
di Biella, al quale hanno partecipato esperti europei e statunitensi.<br />
Il convegno si è configurato come momento di<br />
scambio d’informazioni e di riflessione collettiva su questo<br />
tema, sul quale sono impegnati università, industrie<br />
tessili, associazioni di consumatori, nonché ricercatori e<br />
medici. Grazie a questo confronto, approfondito ed aperto,<br />
tra tutti i protagonisti del tessile e della salute, si è potuto<br />
procedere ad una verifica dello stato dell’arte, conoscere le<br />
prospettive delle ricerche avanzate nel campo e iniziare un<br />
percorso verso il miglioramento del confort negli ambienti<br />
di vita e di lavoro e della prevenzione d’alcune patologie,<br />
dermatologiche e sistemiche, conseguibile anche mediante<br />
i tessuti.<br />
Il Forum, che ha suscitato nella sua prima edizione<br />
grande interesse, è stato riproposto nel gennaio seguente,<br />
progettandosi quindi come un appuntamento annuale, punto<br />
di riferimento permanente per questi argomenti.<br />
Nell’ambito del II Convegno, si è ritenuto opportuno<br />
dedicare uno spazio rilevante al tema della qualità e della<br />
sicurezza dei processi produttivi, sia per quel che riguarda<br />
la produzione dei materiali di base sia dei prodotti finiti.<br />
Infatti, sebbene in questo settore siano stati fatti dei progressi<br />
significativi, tuttavia è ben noto che alcune lavorazioni<br />
possono, ancora oggi, presentare rischi per i lavoratori,<br />
associati, tra l’altro, all’esposizione a sostanze chimiche<br />
pericolose, a lunghe permanenze in ambienti rumorosi,<br />
alla ripetitività di alcune mansioni. D’altra parte, è documentato<br />
un aumento dell’incidenza di varie manifestazioni<br />
allergiche, soprattutto a carattere dermatologico, per<br />
le quali si sospetta una concausa nell’utilizzazione di alcuni<br />
tipi di tessuti.<br />
Non bisogna dimenticare, infine, che una gran quantità<br />
di tessuti proviene da Paesi extra-europei, prevalentemente<br />
asiatici, per i quali non disponiamo di alcun’informazione,<br />
né per quanto riguarda le materie prime né per i processi<br />
produttivi.<br />
Il presente seminario effettua una panoramica sull’industria<br />
tessile, riportando le principali valutazioni tossicologiche<br />
e gli studi epidemiologici condotti, sia a livello nazionale<br />
che internazionale, ed offrendo, poi, un quadro nazionale<br />
del settore, prendendo come fonte le principali banchedati<br />
disponibili sugl’infortuni e le malattie professionali.<br />
Sono inoltre riportati i profili espositivi d’alcune lavorazioni<br />
specifiche, quali la filatura del cardato, la tintura e<br />
stampa di tessuti, il confezionamento di capi d’abbigliamento.<br />
Quest’ultimi fanno parte del Sistema Informativo Nazionale<br />
“Profili di rischio di comparto”, banca dati progettata e<br />
gestita dall’ISPESL, che raccoglie le informazioni sui rischi<br />
in ogni singola fase del ciclo produttivo, direttamente osservato<br />
in un insieme d’imprese che rappresentano il comparto<br />
sul territorio. Il contenuto della banca dati rappresenta una<br />
prima base informativa, in aggiornamento continuo, e collegata<br />
ad altri sistemi informativi, che integrano o approfondiscono<br />
temi specifici trattati nei profili. La banca dati “Profili<br />
di rischio di comparto” è consultabile sul sito dell’ISPESL<br />
(http://www.ispesl.it/profili_di_rischio/index.htm).<br />
Sono infine riportati contributi originali, riguardanti<br />
esperienze in aziende tessili, e proposte alcune soluzioni<br />
pratiche a specifici problemi.<br />
Partecipanti:<br />
M. Cristina Acciai, CML, INAIL, Prato<br />
Lorenzo Alpi, Dipartimento Prevenzione, ASL 4, Prato<br />
Roberta Artaria, SPSAL, ASL della provincia di Como<br />
Giuseppe Banchi, ARPAT, Firenze<br />
Giuseppe Campo, ISPESL, Dipartimento Documentazione,<br />
Informazione e Formazione<br />
Stefano Busia, Dipartimento Prevenzione, ASL 4, Prato<br />
Chiara Dall’Ara, Centro Ricerche in Ergonomia, ASL Firenze<br />
Fabrizio Ferrarsi, ASL N. 12, Biella<br />
Nicolina Mucci, ISPESL, Dipartimento Documentazione,<br />
Informazione e Formazione<br />
Mario Sabattini, Dipartimento Prevenzione, ASL 4, Prato<br />
Lamberto Settimi, SPSAL, ASL della provincia di Como<br />
Riccardo Tartaglia, Centro Ricerche in Ergonomia, ASL<br />
Firenze<br />
Franco Ventura, Dipartimento Prevenzione, ASL 4, Prato<br />
Segreteria Scientifica: N. Mucci, ISPESL, Dipartimento<br />
Documentazione, Informazione e Formazione<br />
Chairman: Sergio Perticaroli, ISPESL, Direttore Dipartimento<br />
Documentazione, Informazione e Formazione<br />
Moderatori: Andrea Dotti, Università degli Studi di Torino,<br />
Marcello Passerini, ISPESL
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1, 47-49 © PI-ME, Pavia 2004<br />
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N. Mucci<br />
Esposizioni professionali nel settore tessile<br />
I.S.P.E.S.L., Dipartimento Documentazione, Informazione e Formazione, Roma, Italy<br />
Introduzione<br />
Le attività tessili si collocano tra le più antiche nella<br />
storia dell’umanità ed il loro sviluppo è strettamente connesso<br />
a quello della civiltà. Si è passati così da un’epoca di<br />
attività meramente familiare, ad una artigianale ed, infine,<br />
con l’avvento della rivoluzione industriale e il progressivo<br />
raffinarsi delle tecnologie, alla vera e propria fase industriale.<br />
L’industria tessile consiste di un insieme di settori che<br />
vanno dalla produzione dei materiali, alla lavorazione, al<br />
finissaggio, alla colorazione, al confezionamento, ciascuno<br />
dei quali comprende una serie di fasi lavorative, con<br />
particolari esposizioni e potenziali rischi per i lavoratori.<br />
In questa nota sono analizzate le valutazioni tossicologiche<br />
effettuate da alcune tra le più importanti Organizzazioni<br />
scientifiche ed istituzionali nonché i principali studi<br />
condotti sulle esposizioni nell’industria tessile, con particolare<br />
riferimento a quelle con potenzialità cancerogene.<br />
Valutazioni di tossicità<br />
Quando si procede ad una valutazione di rischio cancerogeno<br />
associato a determinate esposizioni professionali, il<br />
punto di riferimento è generalmente costituito dall’International<br />
Agency for Research on Cancer (IARC). Come<br />
noto, l’Agenzia di Lione ha inserito le attività tessili in<br />
gruppo 2B, sulla base di una limitata evidenza di cancerogenicità,<br />
rilevata dagli studi sull’uomo disponibili (1). La<br />
IARC ha, infatti, esaminato un poderoso insieme di studi<br />
epidemiologici, basati su statistiche nazionali di mortalità,<br />
condotti su base ospedaliera o ancora studi caso-controllo,<br />
nei quali sono analizzati gli incrementi di molti tipi di neoplasie,<br />
tra cui il cancro orofaringeo, laringeo, esofageo,<br />
dello stomaco, del colonretto, della vescica, del polmone,<br />
del sistema emopoietico. Non sono disponibili studi sperimentali<br />
o informazioni d’altra natura. Bisogna anche rilevare<br />
che, da tale valutazione, sono escluse le attività che<br />
comportano esposizione ad amianto e ad oli minerali, noti<br />
cancerogeni per l’uomo.<br />
La valutazione di sospetta cancerogenicità si basa, essenzialmente,<br />
sui risultati di aumento dell’incidenza di<br />
cancro vescicale tra i tintori ed i tessitori e di cancro dei se-<br />
ni paranasali tra i tessitori. Per quanto riguarda i primi, le<br />
esposizioni sospette sono quelle a coloranti azoici, per i secondi<br />
quelle a polveri provenienti da fibre e tessuti.<br />
La valutazione della IARC ha, tra l’altro, avuto l’effetto<br />
di influenzare gli studi successivi, indirizzandoli verso<br />
l’esplorazione mirata di queste sedi tumorali, che comunque<br />
non esauriscono l’intero panorama dell’eventuale rischio<br />
di cancerogenicità nell’industria tessile.<br />
Così, a livello nazionale, la valutazione del rischio cancerogeno<br />
è stata effettuata dalla Commissione Consultiva<br />
Tossicologica Nazionale (CCTN), che, partendo dall’analisi<br />
della IARC, ha preso in considerazione altri studi epidemiologici,<br />
portati a termine dopo la valutazione della<br />
IARC stessa.<br />
In particolare, la CCTN ha esaminato tre studi sul tumore<br />
della vescica, due, caso-controllo, condotti negli<br />
USA ed uno, di coorte, condotto in Cina, e tre studi casocontrollo<br />
sul tumore nasale, dei quali due condotti in Italia<br />
ed uno in Francia. I risultati di tutti questi studi, comunque,<br />
non aggiungono elementi di valutazione sostanzialmente<br />
differenti da quelli contenuti nella monografia della IARC<br />
e, quindi, la CCTN ha confermato la valutazione di limitata<br />
evidenza di cancerogenicità per cancro della vescica per<br />
i tintori ed i tessitori e di cancro dei seni paranasali per i<br />
tessitori (2).<br />
Studi epidemiologici recenti<br />
In linea generale, si può asserire che, nell’ultimo decennio,<br />
l’attenzione per le esposizioni nel settore tessile è<br />
diminuita, sia per il generale miglioramento delle condizioni<br />
di lavoro sia per lo spostamento di gran parte delle<br />
mansioni in Paesi extraeuropei. Tuttavia, il lungo periodo<br />
di latenza di alcune delle patologie correlate fa sì che ancora<br />
oggi, e probabilmente ancora per vari anni, si possa<br />
riscontrare un’associazione positiva tra esposizioni pregresse<br />
e aumento dell’incidenza di alcune forme tumorali.<br />
Tra gli studi più significativi, si possono citare i seguenti.<br />
Uno studio di popolazione caso-referente, condotto<br />
nell’area di Prato, ha evidenziato un aumentato rischio di<br />
cancro polmonare tra i cernitori di stracci ed i tessitori.<br />
L’analisi temporale, inoltre, ha indicato il rischio più alto<br />
per i cernitori esposti negli anni ’50 e per i tessitori impie-
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gati negli anni ’70, suggerendo l’amianto e gli oli minerali,<br />
rispettivamente, come i relativi fattori cancerogeni (3).<br />
Uno studio retrospettivo condotto in un impianto di<br />
tessuti sintetici nel Quebec ha prodotto interessanti ed<br />
articolati risultati. Gli autori hanno osservato un aumento<br />
significativo per “tutti i tumori”, cancro del fegato,<br />
della colecisti, linfoma non-Hodgkin e sarcoma a cellule<br />
reticolari nel reparto di produzione delle fibre di acetato<br />
di cellulosa; “tutti i tumori” nel reparto di estrusione<br />
del triacetato di cellulosa e tra gli addetti alle pulizie;<br />
leucemie tra i non esposti (4). Gli stessi autori hanno rilevato,<br />
inoltre, un aumento di cancro del colon per gli<br />
uomini impiegati nel reparto d’estrusione del polipropilene<br />
e del triacetato di cellulosa, correlato alla durata<br />
dell’impiego (5).<br />
Un successivo studio canadese, condotto allo scopo di<br />
identificare nuovi fattori eziologici per linfomi e mielomi,<br />
ha associato i linfomi di Hodgkin e non-Hodgkin con l’esposizione<br />
a polveri tessili o altre mansioni correlate (6).<br />
Uno studio di coorte su 7892 lavoratori, impiegati da<br />
almeno 10 anni in una fabbrica di cotone, non ha rivelato<br />
incrementi statisticamente significativi, rispetto alla popolazione<br />
generale, né per quanto riguarda la mortalità generale<br />
né per patologie neoplastiche, quali cancro polmonare,<br />
laringeo e altre sedi (7).<br />
Un recente studio spagnolo, mirato all’identificazione<br />
di attività lavorative e industrie ad alto rischio per cancro<br />
della vescica, non ha riscontrato alcuna associazione tra<br />
esposizione nell’industria tessile ed aumento dell’incidenza<br />
di carcinoma vescicale, con l’eccezione di lavoratori (filatori,<br />
torcitori e controllori di macchine), esposti a dosi<br />
molto alte nel periodo 1960-74 (8).<br />
Si può citare, infine, la segnalazione di un decesso per<br />
mesotelioma pleurico in un operaio di uno stabilimento di<br />
produzione laniera, in Biella, con 35 anni di servizio come<br />
addetto alla manutenzione delle macchine (9). Tale caso ha<br />
destato interesse poiché la produzione laniera non è considerata<br />
un’occupazione a rischio per insorgenza di mesotelioma.<br />
Valutazioni di cancerogenicità di alcune sostanze usate nel settore<br />
tessile<br />
Nella maggior parte degli studi effettuati nell’industria<br />
tessile, viene prestata grande attenzione alle sostanze chimiche<br />
utilizzate nei processi produttivi, quali potenziali<br />
fattori di rischio cancerogeno.<br />
In tabella I, è riportata una lista (non esaustiva) di 21 sostanze<br />
e gruppi di esse, con le relative allocazioni di cancerogenicità,<br />
scelte tra le più significative, a livello nazionale<br />
ed internazionale. In particolare, sono riportate le valutazioni<br />
della IARC, dell’Unione Europea (UE), della CCTN e<br />
dell’Environmental Protection Agency (EPA) degli Stati<br />
Uniti. Per facilitare la lettura di questa tabella, è riportato<br />
uno schema di corrispondenza tra le categorie di cancerogenicità<br />
dei sistemi di classificazione considerati (tabella II).<br />
Come si può leggere dalla tabella I, sono presenti nei<br />
cicli produttivi sostanze, quali la benzidina e il bicromato<br />
di potassio, valutati come sicuri cancerogeni umani da tut-<br />
Tabella I. Valutazioni di cancerogenicità di alcune<br />
sostanze utilizzate nel settore tessile<br />
N. Sostanza IARC UE CCTN EPA<br />
1 Acido Nitrilotriacetico 2B – 3a –<br />
2 Acrilonitrile 2B 2 2 B1<br />
3 Benzidina 1 1 1 A<br />
4 Bicromato di Potassio 1 2 – A<br />
5 CI Acid Red 114 2B – – –<br />
6 CI Basic Red 9 2B – – –<br />
7 CI Basic Red 28 – 2 – –<br />
8 Coloranti a base<br />
di benzidina 2A – 2 –<br />
9 Direct Black 38 2 –<br />
10 Direct Blue 6 2 –<br />
11 Direct Brown 95 2 –<br />
12 4-Cl-o-Toluidina 2A 2 –<br />
13 Diclorometano 2B 3 2 B2<br />
14 Dietil Solfato 2A – 2 –<br />
15 Formaldeide 2A 3 2 B1<br />
16 Percloroetilene 2A – 3a –<br />
17 Policlorofenoli 2B – – B2<br />
18 2,4- e 2,6-Toluene<br />
Diisocianati 2B 2 –<br />
19 o-Toluidina 2A 2 2 –<br />
20 Tricloroetilene 2A 3 2 In prep<br />
21 Tris(2,3-dibromopropil)<br />
fosfato 2A – 2 –<br />
Nota: le valutazioni di “sicuri cancerogeni” e “probabili cancerogeni” sono in<br />
neretto.<br />
Tabella II. Corrispondenza tra i diversi sistemi<br />
di valutazione dell’evidenza cancerogena<br />
Grado di evidenza<br />
di cancerogenicità<br />
IARC UE CCTN EPA<br />
Sicuri cancerogeni 1 1 1 A<br />
Probabili cancerogeni 2A 2 2 B1-B2<br />
Sospetti cancerogeni 2B 3 3 C<br />
Sostanze non valutabili 3 – 4 D<br />
Non cancerogeni 4 – 5 E<br />
te le Organizzazioni considerate. Altre sostanze (o gruppi<br />
di esse) sono valutate come probabili cancerogeni: coloranti<br />
a base di benzidina, 4-cloro-o-toluidina, dietil solfato,<br />
formaldeide, percloroetilene, o-toluidina, tricloroetilene,<br />
tris(2,3-dibromopropil) fosfato. Altre, infine, sono sospetti<br />
cancerogeni. Bisogna osservare che sono presenti<br />
delle discordanze, che riguardano l’acrilonitrile, il diclorometano,<br />
la formaldeide, il percloroetilene, e il tricloroetilene.<br />
Le discordanze nelle allocazioni effettuate da Istituzioni<br />
diverse sono relativamente frequenti e le ragioni possono<br />
essere trovate sia in differenti criteri di valutazione
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1 49<br />
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sia in tempi diversi in cui è stata effettuata la valutazione<br />
stessa (10). È d’uopo ricordare che queste classificazioni<br />
sono meramente qualitative, ossia si basano sul peso dell’evidenza<br />
di cancerogenicità, così come si evince da tutte<br />
le informazioni disponibili sulla sostanza al momento della<br />
valutazione, e sono quindi passibili di continui aggiornamenti<br />
nel tempo.<br />
Per quanto riguarda l’acrilonitrile, comunque, si può rilevare<br />
che la IARC ha solo recentemente spostato questa<br />
sostanza dal gruppo 2A al 2B, dopo che ulteriori indagini<br />
epidemiologiche, condotte con metodologia più rigorosa, e<br />
l’analisi metanalitica degli studi precedenti, avevano dimostrato<br />
che non sussisteva associazione tra l’esposizione<br />
ad acrilonitrile ed aumento del rischio di cancro, esaminato<br />
per varie sedi, compreso il polmone, il sistema nervoso<br />
centrale e la prostata. L’evidenza sull’uomo è stata così<br />
considerata inadeguata e, sulla base di una sufficiente evidenza<br />
sull’animale, la sostanza è stata “declassata” in<br />
gruppo 2B (11). Per quanto riguarda, poi, la formaldeide,<br />
solo l’UE dà una classificazione di “sospetto cancerogeno”,<br />
mentre nei restanti casi è inserita in categorie a rischio<br />
più alto. Motivazioni pratiche, in questo caso specifico,<br />
non possono essere escluse.<br />
Conclusioni<br />
Gli studi effettuati sull’industria tessile nei decenni<br />
precedenti hanno rivelato la presenza di rischi cancerogeni<br />
rilevanti, che ha portato alla valutazione delle esposizioni<br />
professionali in questo settore come sospette cancerogene.<br />
L’attenzione prestata, sia a livello scientifico sia istituzionale,<br />
ai problemi dell’industria tessile, soprattutto per<br />
quanto riguarda l’utilizzazione di sostanze pericolose, ha<br />
portato ad un generale miglioramento del livello di sicurezza<br />
sul lavoro. Tuttavia, sono ancora in uso sostanze e<br />
preparati con potenzialità cancerogene, che devono essere<br />
tenute sotto controllo, soprattutto per quanto riguarda i<br />
nuovi cicli tecnologici.<br />
Bisogna anche porre l’accento sul fatto che i più recenti<br />
studi epidemiologici non riguardano realtà nazionali. Sarebbe<br />
quindi auspicabile che fossero effettuate nuove indagini,<br />
per la conoscenza dettagliata della situazione nazionale,<br />
in relazione ai diversi cicli produttivi ed alla tipologia di<br />
fibre naturali e artificiali e di sostanze chimiche utilizzate,<br />
anche in collaborazione con le categorie professionali del<br />
settore. Tali indagini devono anche essere finalizzate all’ottenimento<br />
d’informazioni sui principali cambiamenti verificatisi<br />
nei vari comparti ed alla verifica di condizioni di<br />
esposizioni che possono determinare un aumento del rischio<br />
cancerogeno. Sarebbe opportuno, inoltre, effettuare<br />
una sorveglianza mirata per le pregresse esposizioni.<br />
Bibliografia<br />
1) IARC. Monographs on the evaluation of the carcinogenic risks of<br />
chemicals to humans (Lione). Vol. n. 48, 1990.<br />
2) Mucci N, Rossi L (Eds). Raccolta dei pareri espressi dalla CCTN nel<br />
1991. Istituto Superiore di Sanità, Serie Relazioni 92/1.<br />
3) Zappa M, Paci E, Seniori Costantini A, Kriebel D. Lung cancer<br />
among textile workers in the Prato area of Italy. Scand J Work Environ<br />
Health 1993; 19(1): 16-20.<br />
4) Goldberg MS, Theriault G. Retrospective cohort study of workers of<br />
a synthetic textiles plant in Quebec: I. General mortality. Am J Ind<br />
Med 1994; 25(6): 889-907.<br />
5) Goldberg MS, Theriault G. Retrospective cohort study of workers of<br />
a synthetic textiles plant in Quebec: II. Colorectal cancer mortality<br />
and incidence. Am J Ind Med 1994; 25(6): 909-22.<br />
6) Fritschi L, Siematycki J. Lymphoma, myeloma and occupation: results<br />
of a case-control study. Int J Cancer 1996; 67(4): 498-503.<br />
7) Szeszenia-Dabrowska N, Wilczynska U, et al. Mortalità in the cotton<br />
industry workers: results of a cohort study. Int J Occup Med Environ<br />
Health 1999; 12 (2): 143-58.<br />
8) Serra C, Bonfill X, et al. Bladder cancer in the textile industry. Scand<br />
J Work Environ Health 2000; 26 (6): 476-81.<br />
9) Colli G, Terzi M, et al. Un caso di mesotelioma pleurico causato da<br />
esposizione professionale ad amianto nell’industria laniera. G Ital<br />
Med Lav Ergon 2001; 23 (1): 18-20.<br />
10) Mucci N, Rossi L. Definizioni e allocazioni di cancerogenesi, mutagenesi<br />
e teratogenesi da parte di alcune Agenzie ed Istituzioni nazionali<br />
ed internazionali. Med Lav 1992; 83: 211-243.<br />
11) IARC. Monographs on the evaluation of the carcinogenic risks of<br />
chemicals to humans (Lione). Vol. n. 71, 1999.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1, 50-54 © PI-ME, Pavia 2004<br />
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G. Campo, M. Marconi<br />
Danni da attività lavorative nel settore tessile<br />
ISPESL - Dipartimento Documentazione, Informazione e Formazione<br />
Introduzione<br />
I dati presentati intendono offrire un quadro descrittivo<br />
dei danni alla salute cui sono esposti i lavoratori del comparto<br />
Tessile in Italia. Al riguardo, sono stati sintetizzati, attraverso<br />
l’utilizzo di opportuni indicatori, i dati per gli<br />
infortuni sul lavoro disponibili nei sistemi informativi dell’Inail<br />
e dell’Ispesl. La descrizione del fenomeno infortunistico<br />
e delle malattie è stata effettuata alla luce delle caratteristiche<br />
strutturali del settore stesso, che evidenziano nel<br />
nostro paese un tessuto produttivo del settore Tessile caratterizzato<br />
da un’elevata presenza di piccole e medie imprese,<br />
particolarmente rilevante in alcune aree geografiche.<br />
In Italia, secondo i dati dell’Ispesl, quasi la metà dei lavoratori<br />
dell’Industria sono concentrati in soli quattro<br />
comparti produttivi, tra cui quello Tessile (8,2%). La dimensione<br />
media aziendale del settore Tessile (6 addetti) è<br />
più alta della dimensione media dell’intera Industria (4,6),<br />
differenziandosi però tra le attività produttive delle Lavorazioni<br />
tessili (7,6) e del Confezionamento (4,9). Anche la<br />
quota degli operai del comparto (70%) è superiore a quella<br />
riferita all’intera Industria (61%) (Tabella I).<br />
Dal punto di vista geografico, gli addetti del comparto<br />
Tessile sono raggruppati soprattutto in 5 regioni comprendenti<br />
il 74,2% di tutti gli addetti (Figura 1). Tra queste,<br />
Emilia-Romagna e Toscana hanno una dimensione media<br />
bassa, poco oltre 4 addetti per unità locale, chiaramente al<br />
di sotto della media nazionale, pari a 6 addetti. Se poi osserviamo<br />
la dislocazione delle Unità produttive del comparto<br />
Tessile e Confezionamento Vestiario, notiamo ancora<br />
un’evidente concentrazione in alcuni distretti territoriali.<br />
Infatti, 20 province italiane (su 103 complessive) comprendono<br />
da sole oltre il 60% delle imprese, analoga percentuale<br />
si ha per gli addetti. In particolare, nella sola Pra-<br />
Figura 1<br />
to risultano ad inizio 1999 circa 8300 imprese, pari all’8,4<br />
del totale, con una dimensione media di 4 addetti.<br />
Gli infortuni sul lavoro<br />
Tabella I.<br />
Fonte: Anagrafe ISPESL dei luoghi di lavoro, 1999<br />
Attività economica unità locali addetti % addetti<br />
Per l’esame dei danni conseguenti alle attività lavorative<br />
nel settore Tessile, sono stati utilizzati i dati sugli addetti provenienti<br />
dall’Anagrafe dei luoghi di lavoro dell’Ispesl al fine<br />
dim media<br />
(add./u.l.)<br />
% operai % impieg.<br />
Industrie tessili 40.491 308.122 4,3 7,6 71% 29%<br />
Confezione tessuti, pelli e abbigliamento 58.487 284.011 4,0 4,9 68% 32%<br />
TOT. <strong>TESSILE</strong> E CONFEZIONI 98.978 592.133 8,2 6,0 70% 30%<br />
INDUSTRIA 1.552.732 7.181.157 100,0 4,6 61% 39%
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1 51<br />
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Figura 2. Infortuni TOTALI per mille operai (1995 - 1997). Confronto tra Tessile e Divisioni del settore Industria. Fonte Ispesl<br />
di calcolare degli indicatori di rischio infortunistico. Gli addetti,<br />
così come tutte le altre informazioni dell’Anagrafe, provengono<br />
da un record linkage tra gli archivi Inps e gli archivi<br />
Infocamere, a differenza degli addetti riportati nella banca dati<br />
dell’Inail, che sono ottenuti come stima indiretta a partire<br />
dal monte salari dichiarato dai datori di lavoro. Un altro aspetto<br />
molto importante dei dati dell’Anagrafe dell’Ispesl è la<br />
possibilità di distinguere gli addetti tra “operai” ed “impiegati”,<br />
e quindi far riferimento ai primi per calcolare indici di incidenza,<br />
riferiti in tal modo alla categoria di lavoratori (gli<br />
operai) effettivamente esposti al rischio di infortuni.<br />
Nella graduatoria degli indici di incidenza dell’Industria,<br />
il comparto Tessile risulta tra quelli a minor rischio,<br />
ben al di sotto dell’indice medio dell’intero settore (Figura<br />
2). Anche nel caso degli infortuni mortali, il comparto<br />
Tessile è tra i comparti industriali meno rischiosi.<br />
All’interno del comparto Tessile emergono alcune regioni<br />
a rischio più elevato. Concentrando l’attenzione sulle<br />
cinque regioni dove l’attività del comparto è più rilevante,<br />
è da sottolineare il dato della Toscana, il cui indice di frequenza<br />
(67,37 casi di infortunio all’anno su mille operai) è<br />
ben al di sopra della media italiana (47,16). Ricordiamo come<br />
in questa regione sia presente un elevato numero di imprese<br />
e come la dimensione media delle stesse risulti bassa<br />
(Tabella II).<br />
Dal punto di vista temporale, i comparti Tessile ed Abbigliamento<br />
(in questo caso individuati secondo la classificazione<br />
per codici di tariffa Inail) mostrano un andamento<br />
decrescente del fenomeno infortunistico negli ultimi anni.<br />
In realtà, se si tiene conto che anche i lavoratori assicurati<br />
nei due comparti sono in diminuzione, l’andamento<br />
del fenomeno infortunistico rimane sostanzialmente costante<br />
tra il 1996 ed il 1999.<br />
Utilizzando le variabili presenti della banca dati sugli<br />
infortuni dell’Inail, è possibile utilizzare la coppia natura-sede<br />
per analizzare le conseguenze fisiche degli infortuni e come<br />
queste si caratterizzano secondo la tipologia. Nel Tessile<br />
ed Abbigliamento il maggior numero di infortuni è dovuto<br />
a ferite e contusioni, specialmente alla mano ed alla testa,<br />
il che sottolinea la necessità di un ricorso maggiore sia del-<br />
REGIONE<br />
Tabella II. Indici di frequenza: quadro regionale<br />
Media triennio 1995-97. Fonte Ispesl<br />
Indici di frequenza Infortuni anno<br />
(per 1000 operai) (media 95/97)<br />
PIEMONTE 49,68 1652,3<br />
VALLE D’AOSTA 27,78 0,3<br />
LOMBARDIA 43,9 4282,3<br />
TRENTINO-ALTO ADIGE 49,43 134,3<br />
VENETO 39,46 1381,7<br />
FRIULI-VENEZIA GIULIA 100,34 338,3<br />
LIGURIA 50,04 18,7<br />
EMILIA-ROMAGNA 34,83 551,7<br />
TOSCANA 67,37 2445,0<br />
UMBRIA 31,35 125,0<br />
MARCHE 34,61 122,3<br />
LAZIO 49,82 117,7<br />
ABRUZZI 31,37 183,7<br />
MOLISE 64,2 8,7<br />
CAMPANIA 33,83 107,0<br />
PUGLIA 27,15 148,7<br />
BASILICATA 91,08 48,0<br />
CALABRIA 83,86 52,7<br />
SICILIA 25,72 26,3<br />
SARDEGNA 100,75 130,7<br />
ITALIA 47,15 11875,3<br />
l’uso di dispositivi di protezione individuale che di idonee<br />
barriere di sicurezza tra le parti pericolose dei macchinari e<br />
gli operatori. La mano si evidenzia come la sede con il maggior<br />
numero di infortuni, inoltre, in termini di gravità, si segnala<br />
per essa l’elevato numero di casi di perdita anatomica.<br />
Tra gli incroci della tavola, risultano evidenti anche gli<br />
infortuni alla colonna vertebrale dovuti a distrazioni/distorsioni<br />
e lesioni da sforzo, presumibilmente dovuti alla mancanza<br />
di accortezze nella movimentazione manuale dei carichi<br />
ed a posture incongrue.
52 G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1<br />
www.gimle.fsm.it<br />
Tabella III. Infortuni indennizzati secondo la Natura e la Sede della lesione.<br />
Grande gruppo (ind): <strong>TESSILE</strong> E ABBIGLIAMENTO - Anno di accadimento: 1999. Fonte Inail<br />
Tronco,<br />
Colonna<br />
Natura lesione Testa organi<br />
Colonna<br />
vertebrale Braccio Mano Gamba Piede TOTALE<br />
vertebrale<br />
interni (midollo)<br />
Ferita 720 29 – – 413 4.516 279 100 6.057<br />
Contusione<br />
Lussazione, Distorsione<br />
870 727 369 13 837 2.027 1.217 751 6.811<br />
Distrazione 59 267 1.432 43 411 420 1.263 141 4.036<br />
Frattura 88 206 93 7 323 806 224 414 2.161<br />
Perdita anatomica<br />
Lesioni da agenti infettivi<br />
– 1 – – 2 110 1 1 115<br />
e parassitari<br />
Lesioni da altri agenti<br />
4 3 – – 2 3 2 1 15<br />
(calore, elettricità, ...) 226 39 – – 129 187 58 49 688<br />
Corpi estranei 268 8 – 1 9 194 10 2 492<br />
Lesioni da sforzo 1 26 212 12 33 10 20 1 315<br />
TOTALE 2.236 1.306 2.106 76 2.159 8.273 3.074 1.460 20.690<br />
La coppia di variabili forma-agente offre la possibilità<br />
di descrivere in modo molto sintetico le modalità di accadimento<br />
degli infortuni. È importante sottolineare come a<br />
partire dal 2003, con l’avvio operativo del progetto europeo<br />
ESAW, sarà possibile descrivere le circostanze in cui<br />
accadono gli infortuni sul lavoro attraverso otto variabili.<br />
Attraverso i dati al momento disponibili, è immediato rilevare<br />
ai primi posti della graduatoria per ISG (indice sintetico<br />
di gravità) delle coppie forma-agente il ruolo degli<br />
incidenti stradali in occasione di lavoro o in itinere. Tale<br />
dato, tuttavia, è caratteristico di molti settori di attività<br />
economica e pertanto non individua una specificità del<br />
settore in questione. Per il Tessile appare in evidenza il<br />
ruolo delle cadute nell’ambiente di lavoro, che comportano<br />
una durata media di assenza dal lavoro elevata, seconda<br />
solo a quella conseguente agli incidenti a bordo di<br />
mezzi di trasporto. Da ultimo si evidenzia la coppia sollevando/spostando<br />
materiali solidi, che si ricollega alle conseguenze<br />
fisiche alla colonna vertebrale, evidenziate in<br />
precedenza. Va osservato che le prime 15 coppie formaagente<br />
della graduatoria secondo l’ISG spiegano il 40% di<br />
tutti gli infortuni sul lavoro che avvengono nel comparto<br />
Tessile, dando quindi una prima indicazione sulla priorità<br />
delle misure di prevenzione da adottare nei luoghi di lavoro<br />
del comparto.<br />
Infine, la distribuzione degli infortuni indennizzati secondo<br />
il particolare tipo di lavorazione del comparto Tessile<br />
evidenzia l’alto numero di eventi nelle attività del<br />
Confezionamento e della Tessitura. Tale distribuzione, tuttavia,<br />
riflette la consistenza numerica degli addetti presenti<br />
in ciascuna lavorazione. Più interessante è il dato della<br />
quota percentuale degli infortuni gravi, ossia quelli che<br />
hanno determinato esiti permanenti o mortali, in quanto<br />
consente un raffronto tra la tipologia di rischio di ciascuna<br />
lavorazione del settore tessile. Al riguardo, si nota come risulti<br />
più elevata la percentuale di infortuni gravi nella Preparazione<br />
di fibre (7,1%), seguita dalla Lavorazione completa<br />
delle fibre tessili (4,4%).<br />
Le malattie professionali<br />
I dati INAIL delle malattie professionali sono influenzati,<br />
in termini di tempestività, dal maggior intervallo di<br />
tempo richiesto per la definizione della pratica amministrativa<br />
che viene aperta in seguito ad una denuncia. Per tale<br />
motivo, il 1996 risulta l’anno di accadimento più recente<br />
che è possibile considerare nella lettura del fenomeno.<br />
Nel settore tessile sono state riconosciuti dall’Inail, al 31<br />
dicembre 2000, 202 casi di malattia professionale denunciati<br />
nel 1996, ma solo 109 di questi sono stati indennizzati,<br />
avendo i restanti una percentuale di invalidità inferiore<br />
all’11%, la quale non da diritto ad indennizzo. Conteggiando<br />
tutti i casi individuati di malattia, il rapporto tra i<br />
casi e le denunce è pari al 36,4%, poco al di sotto della media<br />
del settore Industria (39,9%).<br />
Nell’ambito del settore tessile, il numero maggiore di<br />
malattie indennizzate dall’Inail riguarda l’ipoacusia e la<br />
sordità, con 59 casi su un totale di 109, seguito dalle malattie<br />
cutanee (10 casi indennizzati). Tuttavia è da notare<br />
come tra le malattie non tabellate di cui non è specificata<br />
la singola malattia, la percentuale di mancato riconoscimento<br />
sia altissima, per motivi legati a vincoli assicurativi<br />
per l’eventuale indennizzo. Purtroppo è proprio in tale<br />
gruppo di malattie che negli più recenti si riscontra il<br />
maggior numero di denunce (oltre il 50% del totale). Questo<br />
fa sì che in termini di conoscenza del fenomeno delle<br />
malattie professionali, l’immagine che noi ricaviamo dai<br />
dati Inail, legata ai soli dati degli indennizzi, sia condizionata<br />
da logiche di natura prettamente assicurativa, che<br />
non consentono di inquadrare il fenomeno in un’ottica di<br />
prevenzione.<br />
Al di là dei problemi legati alla natura dei dati disponibili,<br />
all’interno del settore tessile si evidenziano per il<br />
numero di malattie professionali le lavorazioni della tessitura<br />
(50% delle denunce) e della filatura, torcitura e ritorcitura<br />
(36,6%).
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1 53<br />
www.gimle.fsm.it<br />
Nel corso degli ultimi anni i dati sulle malattie professionali<br />
diffusi dall’Inail mostrano un andamento decrescente,<br />
ma, alla luce delle considerazioni precedenti,<br />
è lecito chiedersi se anche questo aspetto sia dovuto ad<br />
una reale contrazione del fenomeno o ad un problema intrinseco<br />
alla natura dei dati stessi. Per tentare di ovviare<br />
al problema della lettura dei dati di fonte assicurativa,<br />
l’Ispesl ha avviato un progetto in cui i Servizi di prevenzione<br />
della Asl si qualificano come nodo informativo di<br />
particolare importanza nella rilevazione delle malattie<br />
professionali, coordinati attraverso specifici progetti regionali.<br />
I dati, al momento riferiti alle sole regioni della<br />
Lombardia e della Toscana (comprendenti comunque il<br />
25% circa degli occupati in Italia), sono ricavati in base<br />
alle segnalazioni di malattia professionale inoltrate ai<br />
Servizi, e sono raccolti secondo un modello (denominato<br />
MALPROF) che consente di stabilire un probabile<br />
nesso di causalità tra la malattia e l’attività lavorativa<br />
(Tabella IV).<br />
Dai dati disponibili dI questa nuova fonte, risulta una<br />
casistica abbastanza ampia delle patologie riscontrate nel<br />
comparto tessile e si evidenziano per la prima volta alcune<br />
patologie di cui non si aveva riscontro all’interno del settore<br />
in questione, come osservabile nella Tabella V, che ri-<br />
Tabella IV. Segnalazioni di malattie professionali e casi con nesso causale positivo.<br />
Anno 2000. Fonte Ispesl<br />
Regioni Attività<br />
Segnalati Nessi positivi Nessi pos. su segnalati<br />
casi % casi % %<br />
INDUSTRIE TESSILI 67 6,1 40 5,0 59,7<br />
TOSCANA NON DEFINITO 114 10,3 25 3,2 21,9<br />
TOTALE SETTORI 1108 100,0 794 100,0 71,7<br />
INDUSTRIE TESSILI 146 3,7 59 3,0 40,4<br />
LOMBARDIA NON DEFINITO 1839 46,5 973 49,7 52,9<br />
TOTALE SETTORI 3952 100,0 1957 100,0 49,5<br />
Tabella V. Segnalazioni di M.P. e casi con nesso causale positivo per gruppi di diagnosi<br />
Industrie Tessili Anno 2000 Lombardia. Fonte Ispesl<br />
Attività Segnalati Nessi positivi Nessi pos. su segnalati<br />
casi % casi % %<br />
Tumori maligni del retroperitoneo e del peritoneo 2 1,4 – – –<br />
Tumori maligni delle cavità nasali, dell’orecchio medio 1 0,7 – – –<br />
Tumori maligni della trachea, dei bronchi e dei polmoni 1 0,7 – – –<br />
Tumori maligni della pleura 3 2,1 3 5,1 100,0<br />
Tumori maligni del connettivo e di altri tessuti molli 3 2,1 1 1,7 33,3<br />
Tumori maligni della vescica 3 2,1 1 1,7 33,3<br />
Mononeuriti dell’arto superiore e mononeuriti multiple 9 6,2 5 8,5 55,6<br />
Altri disturbi dell’orecchio 18 12,3 9 15,3 50,0<br />
Sordità 83 56,9 30 50,9 36,1<br />
Rinite allergica 1 0,7 – – –<br />
Bronchite cronica 1 0,7 – – –<br />
Asbestosi 1 0,7 1 1,7 100,0<br />
Foruncolo e antrace 1 0,7 1 1,7 100,0<br />
Dermatite da contatto e altri eczemi 6 4,1 3 5,1 50,0<br />
Entesopatie periferiche e sindromi similari 1 0,7 – – –<br />
Distorsione e distrazione del gomito e dell’avambraccio 1 0,7 – – –<br />
Distorsione e distrazione del polso e della mano 1 0,7 – – –<br />
Distorsione e distrazione della regione sacroiliaca 1 0,7 – – –<br />
Contusione dell’arto superiore 6 4,1 5 8,5 83,3<br />
Non definito 3 2,1 – – –<br />
Totale 146 100,0 59 100,0 40,4
54 G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1<br />
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porta il dettaglio delle segnalazioni e dei nessi positivi in<br />
Lombardia.<br />
Tra le professioni interessate, preponderante risulta il<br />
gruppo degli artigiani e operai, che nella regione Toscana<br />
arriva a concentrare l’82,5% dei casi di malattia professionale<br />
con nesso positivo.<br />
Infine, nell’osservare le fonti delle segnalazioni ai Servizi,<br />
si nota come le segnalazioni di Ipoacusie siano preponderanti<br />
presso i Medici competenti e l’Inail. Per contro<br />
i patronati costituiscono una fonte informativa anche per<br />
malattie diverse dalle Ipoacusie. Da segnalare anche la differente<br />
tipologia di informazione fornita dagli Ospedali<br />
delle due Regioni. I dati secondo la fonte informativa, desumibili<br />
dal modello MALPROF, risultano particolarmente<br />
utili per individuare i percorsi delle segnalazioni e come<br />
questi si caratterizzano, mettendo in evidenza laddove so-<br />
no opportune campagne di sensibilizzazione per avere una<br />
visione il più ampia possibile sul fenomeno delle malattie<br />
professionali, e non limitata a particolari sottogruppi, quale<br />
quello pur rilevante delle ipoacusie.<br />
Riferimeni bibliografici<br />
1) Pira E et al. L’ambiente di lavoro (The Working Environment): Health<br />
and Textile International Forum, Biella, 17-19 January 2001.<br />
2) INAIL Rapporto Annuale 2000. Roma, 21 Settembre 2001.<br />
3) Campo G et al. Secondo Atlante Nazionale degli Infortuni sul lavoro.<br />
Monografico di “Fogli d’Informazione”, ISPESL, Roma, 2000.<br />
4) ISTAT, 8° Censimento generale dell’industria e dei servizi, Anno<br />
2001 - Dati provvisori, 2002.<br />
5) http://www.ispesl.it/profili_di_rischio/index.htm<br />
6) Pianosi G. Gli infortuni sul lavoro con esito mortale in Lombardia (Fatal<br />
workplace accidents in Lombardia). Med Lav 1995; 56(6): 534-41.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1, 55-59 © PI-ME, Pavia 2004<br />
www.gimle.fsm.it<br />
L. Alpi, S. Busia, M. Sabattini<br />
Filatura del cardato<br />
Dipartimento Prevenzione, ASL 4, Prato<br />
Premessa<br />
Nel territorio della provincia di Prato sono presenti<br />
circa 25.000 unità lavorative, sia di natura artigianale<br />
che industriale, con la più svariata tipologia, dalle ditte<br />
individuali senza dipendenti, alle industrie con un cospicuo<br />
numero di addetti. L’industria tessile è presente in<br />
questo contesto con circa 8.000 aziende occupanti<br />
37.000 lavoratori su un totale di 90.000 addetti a tutte le<br />
lavorazioni. Circa 1/3 delle attività lavorative e dei relativi<br />
addetti, appartengono cioè al settore tessile; inoltre<br />
bisogna considerare tutte le altre tipologie lavorative che<br />
pur non rientrando direttamente nel campo tessile, vi<br />
rientrano indirettamente facendo parte dell’indotto collegato<br />
a tale settore. In Italia la provincia di Prato è uno<br />
dei centri più importanti per quanto riguarda l’industria<br />
tessile.<br />
La situazione infortunistica rispecchia l’andamento<br />
percentuale degli addetti: infatti su un totale di 5.000 infortuni<br />
avvenuti nel 2000, 1.700 sono avvenuti nel settore tessile;<br />
di questi, quasi 180 sono accaduti nelle circa 350 filature<br />
a cardato presenti sul territorio.<br />
L’infortunio in filatura cardata, nella maggior parte dei<br />
casi, comporta una prognosi superiore ai 30 giorni e molto<br />
spesso, a seguito del fatto, deriva una invalidità permanente<br />
per perdita di parti anatomiche o gravissime lesioni muscolo-tendinee<br />
agli arti superiori. Tale alta incidenza infortunistica<br />
è dovuta principalmente alla pericolosità del macchinario<br />
utilizzato ed al fatto che tali macchine sono state<br />
costruite principalmente negli anni ‘60 con accorgimenti<br />
mirati all’ottimizzazione della produzione e non alla prevenzione<br />
degli infortuni ed al rispetto delle norme allora in<br />
vigore quali il D.P.R. 547/55.<br />
Conseguentemente a questa situazione, l’Azienda<br />
U.S.L. n° 4 di Prato, attraverso l’Unità Operativa di Igiene<br />
e Salute nei Luoghi di Lavoro, ha cercato di individuare<br />
delle soluzioni concrete che potessero permettere<br />
di lavorare in sicurezza sulle macchine presenti nel ciclo<br />
della filatura cardata. Sono stati effettuati alcuni studi<br />
tecnici, in collaborazione con le organizzazioni artigianali,<br />
industriali e sindacali che hanno portato alla stesura<br />
del Protocollo Filature di Cardato del settembre 1987 realizzato<br />
in collaborazione con F.U.L.T.A., U.I.P., A.P.I.,<br />
A.M.A.P., C.N.A., Consorzio Lavorazioni Tessili. Tale<br />
protocollo è stato rielaborato dal C.E.D.O.C. della Regione<br />
Toscana che ha pubblicato nell’ottobre 1994 il<br />
quaderno della collana Profili di rischio e soluzioni della<br />
filatura cardata. Tale quaderno è stato aggiornato ed integrato<br />
ad aprile 1999 dai tecnici dell’Azienda U.S.L. n° 4<br />
di Prato.<br />
La filatura cardata: cos’è, quali macchine utilizza e quali sono i rischi<br />
infortunistici<br />
Nella filatura della lana cardata vengono utilizzate fibre<br />
di lana vergine combinate con fibre ottenute dai processi<br />
di rigenerazione degli stracci di materiale usato o<br />
nuovo. Generalmente la lana è usata in mista con altre fibre<br />
di natura sintetica o artificiale che contribuiscono a<br />
migliorare il prodotto finale. La filatura cardata è composta<br />
da tre diverse fasi di lavoro tutte presenti nella stessa<br />
azienda, caratterizzate da macchine specifiche: la preparazione<br />
alla cardatura, la cardatura e la filatura vera e<br />
propria.<br />
Preparazione alla cardatura<br />
La preparazione alla cardatura consiste nel rendere<br />
omogenea e scorrevole la mista di lane (o lana ed altre fibre)<br />
mediante oliatura e pulitura, affinché possa essere facilmente<br />
lavorata alle carde ed ai filatoi.<br />
Le macchine che troviamo in questa prima fase sono<br />
principalmente le seguenti:<br />
– apriballe: è una macchina sulla quale vengono introdotte<br />
le balle di fibra in fiocco che vengono portate da<br />
un nastro trasportatore ad un’impannata dotata di punte<br />
le quali prelevano le fibre e le inviano alla<br />
– camera di mista: qui vengono depositati a strati i diversi<br />
tipi di fibra nelle quantità volute.<br />
Contemporaneamente o precedentemente alla deposizione<br />
si può avere anche l’oliatura del materiale.<br />
In seguito il materiale viene raccolto dalla fresa con<br />
un’impannata dentata posta verticalmente che provvede a<br />
prelevare le fibre stratificate per inviarle alla<br />
– Battitora: questa è una macchina composta da un tamburo<br />
rotante dotato di aculei di acciaio della lunghezza<br />
di circa 25 cm e lamiere avvolte elicoidalmente sull’asse<br />
del cilindro che provvedono ad una ancora grossolana<br />
apertura delle fibre (figura 1).
56 G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1<br />
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Un trattamento di apertura più completo viene effettuato<br />
dal:<br />
– Lupo apritore o Lupa: (figura 2). Tramite l’azione combinata<br />
fra gli “ingollini alimentatori” che ruotano a bassa<br />
velocità ed il tamburo munito di punte della lunghezza<br />
di circa cm 3, ruotante ad alta velocità, si ottiene<br />
un’azione di completa apertura delle fibre. In queste<br />
due ultime operazioni vengono anche allontanati, per<br />
forza centrifuga, corpi estranei (tipo bottoni o toppe di<br />
grandi dimensioni) che possono eventualmente trovarsi<br />
ancora nella mista.<br />
Alla fine di questo processo la fibra ritorna alle camere<br />
di mista pronta per essere inviata ai caricatori delle carde.<br />
Il trasporto della fibra da una macchina all’altra avviene<br />
mediante condotte pneumatiche alimentate da ventole.<br />
Rischi:<br />
– infortuni: in particolare alla lupa, alla battitora e agli<br />
apriballe ed alle ventole per il trasporto pneumatico<br />
delle fibre poiché vi è la possibilità di essere afferrati<br />
da tamburi dentati, impannate con punte, giranti delle<br />
ventole o dagli ingollino. Tali rischi sono molto meno<br />
probabili via via che i sistemi vengono automatizzati<br />
e le macchine dotate di efficienti dispositivi di sicurezza<br />
che impediscano l’apertura delle protezioni<br />
quando gli organi dentati pericolosi sono in moto. Per<br />
quanto riguarda gli organi di trasmissione, si segnala<br />
Figura 1. La battitora è una delle macchine utilizzate per la<br />
preparazione della cardatura<br />
Figura 2. La lupa viene utilizzata per aprire completamente<br />
le fibre<br />
l’installazione di carter su cinghie, pulegge, catene,<br />
ingranaggi etc.<br />
– polveri: alla battitora ed alla lupa nei sistemi più vecchi;<br />
– rumore: causato sopratutto dai sistemi di trasporto<br />
pneumatico, da lupa e battitora.<br />
Cardatura<br />
La fase centrale del processo di filatura cardata è la cosiddetta<br />
cardatura, effettuata per mezzo di grandi macchine<br />
denominate carde, composte da innumerevoli cilindri di<br />
diverso diametro sulle cui circonferenze esterne sono installate<br />
guarnizioni dotate di punte metalliche elastiche,<br />
che effettuano la parallelizzazione e l’omogeneizzazione<br />
delle fibre prima della filatura (figure 3 e 4).<br />
In queste carde viene completata l’apertura della massa<br />
fibrosa, con la cardatura della stessa, mediante le superfici<br />
contrapposte munite di punte (guarnizioni) che sono posizionate<br />
sui tre principali cilindri (gran tamburo, cilindro lavoratore<br />
e spogliatore) che compongono la carda. Viene definito<br />
come assortimento di carderia un insieme di minimo<br />
tre carde che lavorano in serie denominate carda a rompere,<br />
carda traversa e carda a dividere. Dalla prima le fibre escono<br />
sottoforma di velo che tramite una serie di nastri trasportatori<br />
viene ruotato di 90° prima di essere introdotto nella<br />
carda traversa. Tale velo viene ulteriormente affinato nell’ultima<br />
carda, all’uscita della quale si trova il castello del<br />
divisore; qui il velo viene suddiviso in piccole strisce che<br />
Figura 3. Carde prive di protezioni<br />
Figura 4. Nella filatura cardata viene comunemente utilizzato<br />
il filatoio intermittente o self-acting
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1 57<br />
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poi passano tra coppie di “cilindri flottatori” dalla superficie<br />
gommata, che conferiscono loro una falsa torsione in modo<br />
da formare il cosiddetto “stoppino”, un nastro di fibre ancora<br />
privo di consistenza destinato a diventare filato solo con<br />
la successiva operazione di filatura vera e propria. L’insieme<br />
delle macchine sopra descritto non è affatto standard: la<br />
composizione della serie può essere la più varia; può essere<br />
presente una “avancarda” con le guarnizioni rigide a dente<br />
di sega (come prima macchina) che permette un’azione di<br />
apertura delle fibre più energica, oppure ci possono essere<br />
due carde traverse, o due carde a dividere, ecc.<br />
Se il divisore lavora di concerto con le macchine che lo<br />
precedono (lavorazione in continuo) si parla di assortimento<br />
“a treno”; in altri casi invece l’assortimento può alimentare<br />
più divisori (lavorazione discontinua). In quest’ultimo<br />
caso il velo in uscita dalle carde traverse, prima<br />
di esser introdotto nella carda a dividere viene raccolto su<br />
un grande cilindro del diametro di 5 metri (botte) che funge<br />
da “polmone”, oppure su di un nastro trasportatore che<br />
segue un percorso a forma di “emme”.<br />
Se il titolo dello stoppino viene fatto direttamente al caricatore<br />
ci troviamo di fronte ad un assortimento “automatico”<br />
mentre se è presente la “botte”, il titolo dello stoppino<br />
viene determinato direttamente su tale strumento e l’assortimento<br />
prende il nome di “semiautomatico”.<br />
Rischi:<br />
– infortuni: è il più elevato nel comparto tessile sia come<br />
quantità che come gravità. Non tanto durante la lavorazione<br />
normale di cardatura, quanto durante alcune<br />
operazioni accessorie come l’oliatura degli ingranaggi,<br />
la pulizia dei tamburi e cilindri lavoratori effettuata<br />
con la canna dell’aria compressa, la pulizia della<br />
fossa sottocarda, l’arrotatura delle guarnizioni dentate,<br />
la ripresa degli stoppini quando si rompono, l’eliminazione<br />
degli agglomerati di fibre dette “rolle” che<br />
si possono formare attorno a cilindri con punte rigide<br />
(“ingollini”, “rubàno”), ecc.<br />
Oltre che agli organi lavoratori, molti infortuni si verificano<br />
agli organi di trasmissione (pulegge a gola e<br />
cinghie trapezoidali, ingranaggi ecc).<br />
Filatura<br />
Con questa operazione viene conferita consistenza allo<br />
stoppino che viene trasformato in filato esercitando su di<br />
esso le azioni di torsione e di stiro.<br />
Nella filatura cardata è tipico l’uso del filatoio intermittente<br />
(“self-acting” o “filanda”) (figura 5): questo è costituito da<br />
una parte fissa (banchina) che supporta l’alimentazione degli<br />
stoppini, e da una parte mobile (carro) che supporta invece i<br />
fusi di raccolta del filato. Quando il carro si allontana dalla<br />
banchina viene esercitata l’azione di stiro, quando i fusi ruotano<br />
su se stessi viene esercitata l’azione di torsione. Nella fase<br />
di riavvicinamento si ha la “incannatura”, cioè l’avvolgimento<br />
del filato formato sul fuso, e quindi il ciclo ricomincia.<br />
Non è raro, anche se meno diffuso, l’uso dei filatoi in<br />
continuo (“ring”) o filatoi ad anello: in questi l’azione di<br />
stiro è determinata dal passaggio dello stoppino fra due<br />
coppie di cilindri dei quali la seconda ha velocità superiore<br />
alla prima, e la torsione è conferita dalla rotazione di un<br />
Figura 5. Nella filatura cardata viene comunemente utilizzato<br />
il filatoio intermittente o self-acting<br />
anellino (il ring) su di una banchina posizionata attorno al<br />
fuso su cui viene avvolto il filato.<br />
Rischi:<br />
– infortuni:basso in ambedue le lavorazioni;<br />
– rumore: presente in ambedue i tipi di filatura, di carattere<br />
impulsivo il primo (colpo del carro contro la<br />
banchina) o comunque intermittente (fasi di avvio della<br />
rotazione dei fusi); di tipo più continuo nel secondo,<br />
con frequenze ed intensità proporzionali alla velocità<br />
di rotazione dei fusi.<br />
Normativa di Riferimento<br />
La prima normativa di riferimento per la prevenzione<br />
degli infortuni alle macchine risale al 27.04.1955 con il<br />
D.P.R. 547. Dalla lettura di tale decreto emerge una sostanziale<br />
differenziazione tra i rischi dovuti al contatto del<br />
lavoratore con gli “organi di trasmissione del moto” e<br />
quelli dovuti al contatto con “organi lavoratori delle macchine”.<br />
Gli organi di trasmissione del moto sono ad es. gli<br />
alberi, le puleggie, le cinghie, gli ingranaggi, le catene di<br />
trasmissione del moto ecc. (Artt. 55 e seguenti). Gli organi<br />
lavoratori sono costituiti da tutti gli elementi in movimento<br />
delle macchine che partecipano alla lavorazione del<br />
materiale, ad es. il punzone di una pressa, il cesto di una<br />
centrifuga, e nel caso delle carde, i cilindri lavoratori e<br />
spogliatori, il rubano, i cilindri flottanti del divisore, ecc.<br />
(Art. da 135 a 143 per filatura cardata).<br />
In breve, il legislatore degli anni ‘50 ha disposto che gli<br />
organi di trasmissione del moto siano protetti da custodie<br />
o ripari costituiti in modo tale da rendere inaccessibili le<br />
zone di pericolo.<br />
Per gli organi lavoratori, oltre ad essere resi inaccessibili<br />
da custodie, le stesse devono essere provviste del dispositivo<br />
di blocco ex art. 72 D.P.R. 547/55, tale che fino<br />
a quando la macchina non è completamente ferma non sia<br />
possibile rimuovere il riparo e fino a quando lo stesso non<br />
è stato riposizionato correttamente, la macchina non deve<br />
poter essere avviata.<br />
Esistono comunque delle eccezioni in quanto la stessa<br />
legge prevede che le zone di operazione delle macchine, siano<br />
esse composte da organi di trasmissione o da organi la-
58 G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1<br />
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Figura 6. Gli organi di trasmissione del moto e gli organi<br />
lavoratori devono essere protetti<br />
voratori, quando possono costituire un pericolo devono essere<br />
protette anche mediante il dispositivo di blocco. Viene<br />
in mente l’esempio delle custodie dotate di blocco posizionate<br />
a protezione degli organi, che sono di trasmissione e<br />
non lavoratori, da cui viene regolato lo stiro nei filatoi ring.<br />
Sempre lo stesso decreto prevede che (art. 47), se per<br />
esigenze dovute alla lavorazione, vi è la necessità di togliere<br />
temporaneamente un riparo o un dispositivo di sicurezza,<br />
dovranno immediatamente essere adottate misure<br />
atte a mettere in evidenza e a ridurre al limite minimo possibile<br />
il pericolo che ne deriva.<br />
Le misure di prevenzione richieste dal Legislatore degli<br />
anni ‘50 sopra riportate, sono state riprese e sviluppate<br />
anche dal Legislatore europeo con il D.P.R. 459/96 (Direttiva<br />
Macchine) il quale, nell’allegato I al punto 1.3.8.<br />
“scelta di una protezione contro i rischi dovuti agli elementi<br />
mobili” ha ribadito la differenziazione tra gli “organi<br />
di trasmissione” e gli “organi lavoratori”. In particolare<br />
tali delucidazioni vengono fornite ai punti 1.4, 1.4.1, 1.4.2.<br />
Esempi di soluzioni per la bonifica di macchine presenti nella filatura<br />
cardata<br />
In questo paragrafo verranno trattate soluzioni per<br />
macchine che presentano velocità di inerzia al momento<br />
dell’arresto, costruite e progettate in funzione della produzione,<br />
tenendo poco conto delle norme di sicurezza, anche<br />
se tali macchine sono state costruite negli anni successivi<br />
all’entrata in vigore del DPR 547/55.<br />
Per semplificare l’esposizione e renderla più comprensibile,<br />
verranno effettuati degli esempi concreti sulle macchine<br />
precedentemente descritte (lupa, battitora e carde).<br />
Tutti e tre i tipi di macchine qui trattati sono dotate di<br />
notevole inerzia degli organi lavoratori e pertanto le protezioni<br />
di tali organi devono essere provviste del dispositivo<br />
di blocco conforme all’art. 72 del DPR 547/55, il quale deve<br />
impedire l’accesso fino a che la macchina non è completamente<br />
ferma e negare il consenso alla partenza fino a<br />
che le protezioni non sono state ricollocate al loro posto.<br />
L’abbinamento che di solito viene effettuato per ottenere<br />
questo è l’installazione di un dispositivo elettrico che rileva<br />
il fermo della macchina (ad esempio un dispositivo di controllo<br />
dell’albero fermo oppure un dispositivo di controllo<br />
della tensione residua) collegato ad un dispositivo di blocco,<br />
il quale non permette l’apertura della custodia o del riparo fino<br />
a quando il macchinario non è completamente fermo.<br />
La norma “UNI EN 1088 - Sicurezza del macchinario<br />
- Dispositivi di interblocco associati ai ripari - Principi di<br />
progettazione e di scelta”, alla quale i costruttori si sono<br />
correttamente allineati, al paragrafo 5.5, prescrive che i dispositivi<br />
di blocco siano dotati di un dispositivo manuale<br />
di bloccaggio al fine di permettere all’operatore, in caso di<br />
situazioni anormali o di emergenza (ad es. un incendio) la<br />
tempestiva rimozione del riparo o della custodia.<br />
I dispositivi di blocco costruiti e commercializzati precedentemente<br />
non prevedevano la possibilità dello sbloccaggio<br />
manuale.<br />
La norma UNI EN 1088 è stata elaborata seguendo le<br />
linee tracciate dalla precedente norma EN 292, che nei<br />
contenuti corrisponde quasi integralmente all’allegato I<br />
della Direttiva Macchine e quindi disegna dei dispositivi di<br />
blocco idonei ad essere installati su macchine dotate di più<br />
livelli di sicurezza (ad esempio l’arresto controllato, l’arresto<br />
di emergenza, ecc.).<br />
In altri termini questi nuovi dispositivi di blocco diventano<br />
uno degli elementi del sistema di sicurezza elaborato e definito<br />
nel suo insieme, in sede progettuale, dal costruttore<br />
delle nuove macchine. L’adozione di questi nuovi e più sofisticati<br />
dispositivi di blocco su macchine di vecchia costruzione<br />
non è però così semplice in quanto, il più delle volte, il<br />
dispositivo di blocco non è un elemento di un insieme ma è<br />
l’unico dispositivo di sicurezza presente sulla macchina.<br />
Nell’esempio concreto di applicazione di un blocco acquistato<br />
oggi (ed in quanto tale costruito seguendo la norma<br />
UNI EN 1088 con il dispositivo di bloccaggio manuale)<br />
su di una macchina esistente e dotata di notevole inerzia,<br />
si verrebbe a verificare una pericolosa possibilità da<br />
parte dell’operatore di poter accedere mediante lo sbloccaggio<br />
manuale del dispositivo all’organo lavoratore mentre<br />
questo non è ancora fermo visto il tempo di accesso che<br />
è inferiore a quello di arresto.<br />
Questa situazione è in palese difformità da quanto prescritto<br />
dall’art 72 del DPR 547/55, che come è noto, non è<br />
stato abrogato da nessuna nuova direttiva. Le soluzioni a<br />
questo problema possono essere molteplici: si può dotare<br />
la macchina di un dispositivo di arresto di emergenza, oppure<br />
si può più semplicemente installare il dispositivo di<br />
blocco sigillandone il comando di sbloccaggio manuale ad<br />
esempio mediante filo e piombo a schiaccio.<br />
Questa operazione deve essere effettuata dall’installatore<br />
del dispositivo e, qualora il sigillo debba essere rimosso,<br />
il Datore di Lavoro dovrà provvedere alla riapposizione<br />
immediata. Per non incorrere nelle sanzioni previste<br />
dall’art. 91 in connessione con l’art. 6 del D.Lgs 626/94,<br />
l’installatore dovrà consegnare al datore di lavoro una certificazione<br />
attestante la consegna dell’impianto di bordo<br />
macchina dotato di dispositivi di blocco sigillati. Pertanto<br />
l’installazione dei dispositivi di blocco conformi alla UNI<br />
EN 1088, dovrà necessariamente essere effettuata in modo<br />
tale da rendere il dispositivo di bloccaggio manuale accessibile<br />
dall’esterno della protezione per permettere all’utilizzatore<br />
della macchina l’intervento tempestivo nelle situazioni<br />
di emergenza.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1 59<br />
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Nel caso concreto della battitora e della lupa, le zone<br />
da proteggere sono tutte le aperture che permettono agli arti<br />
dell’operatore di venire in contatto con i cilindri lavoratori<br />
che ruotano all’interno di tali macchine.<br />
Pertanto tutte queste aperture devono o essere saldamente<br />
fissate (qualora non vi sia la necessità di<br />
rimuoverle durante la lavorazione) oppure dotate del<br />
dispositivo di blocco.<br />
Tale dispositivo, essendo corredato del comando di<br />
sbloccaggio manuale, dovrà o essere collegato ad un arresto<br />
di emergenza che assicuri la fermata della macchina in<br />
un tempo inferiore a quello di accesso all’organo lavoratore,<br />
oppure dovrà essere dotato di sigillo come precedentemente<br />
descritto.<br />
È nostro parere che l’installazione del sigillo da parte<br />
dell’installatore è sicuramente la strada più semplice e meno<br />
onerosa da seguire poiché l’installazione di un arresto<br />
di emergenza su di una macchina non progettata per sostenere<br />
le sollecitazioni in fase di decelerazione, comporterebbe<br />
l’obbligo, da parte del progettista della modifica, di<br />
effettuare una serie complessa di calcoli per la verifica della<br />
struttura della macchina e per l’ottenimento della marcatura<br />
CE, come previsto dalla direttiva macchina (trattandosi<br />
infatti di una modifica strutturale della macchina).<br />
Lo stesso discorso è applicabile agli assortimenti di<br />
carderia. In questo caso, il dispositivo di blocco dotato di<br />
sigillo apposto dall’installatore, dovrà essere fissato sulla<br />
protezione della carda, che potrà essere o la cuffia della<br />
carda posta a protezione degli organi lavoratori oppure una<br />
serie di pannelli mobili posizionati ad esempio su ruote,<br />
che rendano completamente inaccessibile la macchina, in<br />
modo da proteggere sia gli organi di trasmissione che gli<br />
organi lavoratori (Figura 7).<br />
Per quanto riguarda la prima soluzione, gli organi di<br />
trasmissione posti nelle parti laterali delle carde devono<br />
comunque essere dotati di ripari (carter) in modo da impedire<br />
il contatto, anche accidentale, dell’operatore con essi:<br />
la legge non impone che tali carter siano dotati di blocco.<br />
Questo a patto che all’atto dell’apertura degli stessi non<br />
vi sia la possibilità di entrare in contatto con gli organi lavoratori;<br />
in caso contrario si dovranno dotare anche tali ripari<br />
del dispositivo di blocco ex art. 72.<br />
Sicurezza in fase di manutenzione e pulizia<br />
Dopo aver effettuato una delle bonifiche sopra prospettate,<br />
la macchina risulta protetta, e può essere avviata solamente<br />
quando tutti i ripari ed i relativi dispositivi di blocco<br />
sono inseriti.<br />
Considerando invece le carde, dato il tipo di lavorazione<br />
che viene effettuata nel comprensorio pratese, il susseguirsi<br />
di materie prime completamente diverse fra loro e<br />
molto spesso la scarsa qualità delle stesse, obbliga i lavoratori<br />
a dover effettuare delle regolazioni, pulizie e manutenzioni<br />
intervenendo sulle macchine in movimento e con<br />
le protezioni rimosse.<br />
Per fare fronte a questa esigenza primaria per la lavorazione,<br />
bisogna tenere conto di cosa viene prescritto dall’art.<br />
47 del DPR 547/55.<br />
Figura 7. Pannelli mobili che rendono inaccessibile la macchina<br />
costituendo un riparo sia nei confronti degli organi di<br />
trasmissione che degli organi lavoratori<br />
Tale articolo prevede che, all’atto della rimozione delle<br />
protezioni, per cause inerenti alla lavorazione, vengano<br />
subito adottate tutte le misure atte a ridurre al limite minimo<br />
possibile il pericolo che ne deriva.<br />
Tale prescrizione, in seguito ripresa anche dalla Direttiva<br />
Macchine e dalle norme UNI EN 292/2 e CEI EN 60204,<br />
può essere rispettata mediante una pulsantiera pensile, dotata<br />
di dispositivo di comando ad azione mantenuta, che permetta<br />
all’operatore di muovere la macchina sotto il proprio<br />
controllo, tenendo d’occhio la zona oggetto dell’intervento.<br />
Tale pulsantiera, una volta inserita, deve escludere il<br />
“modo di comando automatico” ovvero non deve essere possibile<br />
azionare la macchina dalle postazioni fisse, in modo da<br />
garantire all’operatore il controllo assoluto dell’intero sistema<br />
(in questo caso il completo assortimento di carderia).<br />
Per garantire ancora maggiore sicurezza è stata introdotta<br />
la restrizione dell’accesso alla zona pericolosa; essendo<br />
l’assortimento di carderia dotato di numerosi blocchi<br />
fissati a reti, pannelli, cuffie o per meglio dire protezioni<br />
amovibili, è stato prescritto, sempre nell’ottica di rispettare<br />
l’art. 47 del DPR 547/55 e le norme di buona tecnica,<br />
di poter avviare la macchina con la pulsantiera con<br />
una sola protezione rimossa (un solo blocco scollegato).<br />
Oppure possono essere tolti i ripari, da una zona anche più<br />
estesa, a condizione che l’operatore sia l’unico ad agire<br />
sulla macchina ed abbia il completo controllo visivo della<br />
zona in cui sono state rimosse le protezioni.<br />
Questo al fine di impedire che durante l’avviamento della<br />
macchina per mezzo della pulsantiera, altri operatori si<br />
possano trovare con le mani in zone di pericolo avendo rimosso<br />
protezioni non visibili dal punto in cui l’operatore staziona<br />
ed opera. Oltre ai suddetti<br />
requisiti, la pulsantiera deve<br />
essere corredata di un dispositivo<br />
di arresto di emergenza e<br />
deve azionare la macchina ad<br />
una velocità ridotta in modo da<br />
ridurre al minimo il rischio.<br />
Figura 8. Pulsantiera dotata di<br />
dispositivo mobile di comando<br />
ad “azione mantenuta” e pulsante<br />
di arresto di emergenza
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1, 60-63 © PI-ME, Pavia 2004<br />
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S. Beccastrini, G. Banchi, D. Scala<br />
Sicurezza nel comparto tessile<br />
Profilo di rischio “Confezione di capi d’abbigliamento”<br />
ARPAT - Agenzia per la Protezione Ambientale della Toscana<br />
Descrizione generale del comparto<br />
Nella presente ricerca si prende in esame il comparto di<br />
confezioni di capi di abbigliamento che nella classificazione<br />
delle attività economiche ISTAT-ATECO ’91 si riferisce<br />
alle attività identificate dal codice: 18.22.1 - “Confezione<br />
di vestiario esterno”. Questo comparto fa parte del settore<br />
produttivo della “Confezione di articoli di vestiario;<br />
preparazione e tintura pellicce” (codice 18) e più in generale<br />
della filiera tessile - abbigliamento oggetto di altre<br />
ricerche nell’ambito del progetto ISPESL (Stamperia tessuti,<br />
Tintoria tessuti). In particolare ARPAT ha già elaborato<br />
il profilo della Filatura del cardato ed è in corso di avvio<br />
quello della Tessitura dei filati.<br />
In Toscana, da una ricerca effettuata sui dati delle<br />
C.C.I.A.A. (Unioncamere), risultano presenti al 1999 sotto<br />
il codice 18221 3.185 unità locali, per un totale di<br />
17.434 addetti.<br />
Le aree di riferimento per la presente ricerca sono quella<br />
fiorentina e pistoiese.<br />
Il comparto produttivo dell’abbigliamento in Toscana,<br />
come altrove, ha subito un’importante evoluzione organizzativa<br />
costituita dalla spostamento della maggior parte delle<br />
produzioni in serie dei capi in industrie extra nazionali<br />
(romene, ecc...). Questo ha portato alla scomparsa di grosse<br />
aziende (ad esempio la Lebole Moda che ha occupato<br />
oltre 3.000 dipendenti) ed al ridimensionamento di altre,<br />
che oggi svolgono prevalentemente funzioni commerciali,<br />
di progettazione dei modelli e realizzazione dei campioni,<br />
di controllo dei capi acquisiti all’estero, di immagazzinamento<br />
e distribuzione. Questo fenomeno si collega alla<br />
frammentazione del processo produttivo che avviene all’interno<br />
della globalizzazione dell’economia, che interessa<br />
molti paesi industrializzati ed è particolarmente evidente<br />
nell’industria del tessile e della moda e dei prodotti per<br />
lo sport. Ricordiamo che contro gli effetti sociali negativi<br />
di tale fenomeno è nata la campagna internazionale Clean<br />
clothes che mobilita gli stessi consumatori a fare pressione<br />
sulle compagnie che attuano comportamenti lesivi del diritto<br />
internazionale nel quadro delle condizioni lavorative<br />
(salario minimo, orario di lavoro, lavoro minorile, ecc...).<br />
Inoltre l’industria manifatturiera toscana e soprattutto il sistema<br />
moda presentano un elevato decentramento produttivo.<br />
La possibilità di ricorrere a subfornitori esterni con-<br />
sente alle imprese di adeguarsi tempestivamente alle mutevoli<br />
condizioni della domanda e di evitare una crescita<br />
dimensionale che, proprio a causa dell’elasticità della domanda<br />
stessa, potrebbe rivelarsi una scelta poco conveniente.<br />
Per quanto riguarda la forza lavoro del comparto essa<br />
rimane fortemente femminilizzata, con uno spostamento<br />
dalle professioni operaie a quelle impiegatizie, relative alla<br />
progettazione e gestione delle collezioni.<br />
Da un punto di vista della igiene e sicurezza del lavoro,<br />
il processo produttivo del comparto non ha visto grossi<br />
cambiamenti tecnologici, fatta eccezione per l’informatizzazione<br />
ed automazione di alcune fasi del ciclo come la<br />
progettazione, la stampa dei modelli, il taglio<br />
All’interno del settore tessile - abbigliamento, il comparto<br />
delle confezioni in tessuto è stato riconosciuto nel<br />
corso degli anni come a basso rischio infortunistico. I dati<br />
attuali e quelli di indagini pluriennali condotte negli<br />
anni 60-80 nel nostro territorio presentano casistiche di<br />
media e lieve entità, con discreta prevalenza di infortuni<br />
“in itinere”. Frequenti sono gli infortuni relativi a urti<br />
contro e da parte di oggetti e le cadute. Relativamente alle<br />
macchine, laddove non è presente il confezionamento<br />
in serie, gli infortuni al taglio e allo stiro prevalgono su<br />
quelli al cucito.<br />
Per quanto attiene le patologie da lavoro negli anni ’70<br />
e ’80 si sono avute, in Toscana ed altrove, manifestazioni<br />
di disturbi irritativi acuti a carico di faringe, laringe, congiuntive<br />
e della cute degli arti superiori, con la maggiore<br />
l’incidenza delle patologie al reparto stiro. Tali disturbi furono<br />
attribuiti alla formaldeide presente in elevata quantità<br />
non tanto nell’ambiente di lavoro quanto nei tessuti e nelle<br />
fodere, sia come formaldeide totale, sia come formaldeide<br />
libera, sia soprattutto come formaldeide sotto flusso<br />
di vapore. Fra questi disturbi, quelli a carico dell’orofaringe<br />
si sono cronicizzati in maggior misura lasciando un<br />
danno permanente alle corde vocali (diverse centinaia furono<br />
in quegli anni le malattie professionali riconosciute<br />
dall’INAIL fra questi lavoratori). Le misure preventive efficacemente<br />
adottate e tuttora valide furono quelle di certificare<br />
e controllare i tessuti in ingresso all’azienda rispetto<br />
alla presenza di sostanze nocive provenienti dai trattamenti<br />
eseguiti sui tessuti, nonché soluzioni impiantistiche<br />
sulle macchine (aspirazioni localizzate sulle taglierine,<br />
sorgettatrici e presse-stiro).
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1 61<br />
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Nel 1986 ad Arezzo si svolse un convegno nazionale<br />
promosso dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale sui rischi,<br />
patologia e prevenzione nell’industria dell’abbigliamento<br />
e gli atti riportavano che “il dolore di schiena, la pesantezza<br />
ed i formicolii agli arti inferiori rappresentano generalmente<br />
la causa di disagio lamentato dalle lavoratrici<br />
dell’industria dell’abbigliamento”. Possiamo dire che ad<br />
oggi la progettazione ergonomica del posto di lavoro non è<br />
stata risolta e che alcune delle soluzioni individuate in quella<br />
ricerca (e pubblicate anche in materiali successivi - v.<br />
E.B.E.R., ecc…), non sono divenute patrimonio delle<br />
aziende presenti in altre aree e/o nate in anni successivi. Ne<br />
consegue un impegno posturale spesso inadeguato a carico<br />
dei vari distretti muscolo-tendinei, nelle posizioni di lavoro<br />
sedute e in piedi, con rischio di insorgenza di disturbi e aggravamento<br />
di patologie, ed il conseguente aumento di denunce<br />
all’INAIL di malattie professionali non tabellate (28<br />
su 32 denunce totali nel settore complessivo, nel 1999).<br />
È da notare che, nelle aziende che hanno appaltato la<br />
produzione in serie a ditte esterne, si è avuta una sensibile<br />
riduzione dei ritmi e della monotonia del lavoro per i lavoratori<br />
delle fasi centrali del ciclo produttivo (taglio, cucito,<br />
stiro); infatti, agli addetti a queste lavorazioni è affidata solo<br />
la produzione dei campioni da inviare alle ditte appaltatrici;<br />
i campioni sono, naturalmente, un numero limitato di<br />
capi che devono essere realizzati perfettamente, pertanto i<br />
ritmi di lavoro non sono pressanti a vantaggio della qualità<br />
del prodotto. La lavorazione inoltre assume un andamento<br />
stagionale, con possibili interruzioni e/o cambi di mansione.<br />
Possono comunque aumentare, in questo contesto organizzativo,<br />
i disturbi da stress legati a carichi di lavoro concentrati<br />
nel tempo, e/o alla incertezza del lavoro.<br />
Ciclo lavorativo e principali fattori di rischio<br />
Il ciclo lavorativo relativo al confezionamento di capi<br />
di abbigliamento è mostrato nello schema che segue.<br />
I fattori di rischio presenti nelle diverse fasi del ciclo produttivo<br />
sono indicati nella tab. I e vengono estesamente descritti<br />
nel profilo di rischio che è consultabile in Internet nella<br />
banca dati nazionale ISPESL “Profili di rischio di comparto”,<br />
(http://www.ispesl.it/profili_di_rischio/index.htm. In<br />
questa sede ci limiteremo ad un inquadramento complessivo<br />
della lavorazione, con alcuni esempi di soluzioni possibili.<br />
Davanti alle macchine per il controllo del tessuto, alle<br />
rollatrici, alle macchine di vaporizzo e di decatizzo, di<br />
taglio, di stiro, il lavoro avviene in posizione fissa in piedi,<br />
aggravato dall’eventuale utilizzo di pedali di comando<br />
con conseguente movimento ripetitivo gravante su<br />
uno solo degli arti. Sono state indicate alcune possibili<br />
soluzioni a questo fattore di rischio come la progettazione<br />
più ergonomica delle macchine nonché la dotazione<br />
di appositi sedili e pedane. Il lavoro ala macchina da cucire<br />
comporta altresì una fatica fisica per gli innumerevoli<br />
spostamenti del capo di vestiario in lavorazione,<br />
normalmente sottovalutata, nonché il rischio di ulteriori<br />
sollecitazioni osteoarticolari da posture scorrette a carico<br />
della colonna e degli arti, e di movimenti ripetuti delle<br />
braccia, in assenza di una corretta progettazione della<br />
postazione di lavoro ed organizzazione del ritmo e dell’intensità<br />
del lavoro.<br />
L’affaticamento visivo al controllo sulla qualità dei tessuti,<br />
sia nella fase iniziale che finale della lavorazione, può<br />
essere ridotto attraverso la sostituzione delle lampade con<br />
altre aventi spettro a luce diurna e dotate di opportuni<br />
schermi, e/o variazione delle angolazioni per evitare l’abbagliamento<br />
e con l’introduzione di opportune pause e avvicendamenti.<br />
L’esposizione a calore radiante e clima caldo umido<br />
per le operazioni di vaporizzo, decatizzo e stiro, può essere<br />
ridotta mediante un’adeguata coibentazione di macchinari<br />
e tubazioni adducenti vapore.<br />
L’esposizione a rumore e vibrazioni alle macchine di<br />
taglio è riducibile con adeguata progettazione delle macchine,<br />
e con l’introduzione di pause etc…
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Tabella I. Fattori di rischio identificati nel ciclo produttivo del confezionamento di capi di abbigliamento<br />
Principali fattori di rischio<br />
L’esposizione ad inquinanti aerodispersi può comprendere,<br />
oltre alle sostanze utilizzate per il trattamento dei tessuti<br />
(come la formaldeide già ricordata), vapori di ammoniaca<br />
qualora siano presenti macchine a eliografia per la riproduzione<br />
dei disegni su fogli di carta nella fase di preparazione<br />
dei modelli, aerosol di oli lubrificanti dovuti ai<br />
sistemi di lubrificazione degli organi elettropneumatici,<br />
fumi di termosaldatura di plastica della macchina termosaldatrice<br />
delle buste di plastica che avvolgono i capi d’abbigliamento,<br />
solventi utilizzati nella fase di smacchiatura<br />
dei tessuti, polveri di tessuto.<br />
La tabella I riporta anche fattori di rischio collegati ad<br />
attività collaterali alla produzione vera e propria delle confezioni,<br />
quali quelle della manutenzione dei carrelli elevatori<br />
e della gestione-manutenzione della centrale termica,<br />
poiché anche in queste operazioni possono verificarsi<br />
infortuni o danni a causa dello scorretto utilizzo di prodotti<br />
e materiali pericolosi (soda, acido cloridrico, idrazine,<br />
oli minerali, amianto).<br />
Esposizione a campo magnetico a bassa frequenza (50 Hz)<br />
Un altro fattore di rischio per il quale può essere richiesta<br />
la valutazione da parte del datore di lavoro ai sensi<br />
del decreto legislativo 626 del 1996 (art. 3), in assenza<br />
di una normativa specifica per gli ambienti di lavoro in Italia,<br />
è quello relativo ai campi magnetici.<br />
Principali fasi del ciclo produttivo<br />
Lavoro in posture scorrette e movimenti ripetitivi • • • • •<br />
Movimentazione manuale dei carichi e fatica fisica • • • • • •<br />
Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento • • • • • •<br />
Investimento da mezzi e materiali, urto di attrezzature sospese,<br />
caduta dall’alto • •<br />
Lavoro ai videoterminali •<br />
Lavoro faticoso per gli occhi • •<br />
Esposizione ad inquinanti aerodispersi • • • • • •<br />
Esposizione calore radiante e microclima caldo umido • • •<br />
Esposizione a rumore • • • ( • ) •<br />
Esposizione a vibrazioni • •<br />
Esposizione a campo magnetico a bassa frequenza (50 Hz) •<br />
Esposizione ad amianto •<br />
Manipolazione di oli minerali •<br />
Manipolazione di acidi forti per accumulatori elettrici •<br />
Stoccaggio, controllo<br />
e trattamento tessuto<br />
Manipolazione di prodotti per la demineralizzazione dell’acqua •<br />
Incendio-esplosione • • • •<br />
Progettazione e<br />
preparazione modelli<br />
Taglio<br />
Confezione - cucito<br />
Stiro<br />
Recenti studi hanno esaminato il rischio di insorgenza<br />
di tumori infantili (leucemia, tumori cerebrali, etc.) in figli<br />
di sarte, in relazione alla esposizione a radiazioni non ionizzanti<br />
in utero prodotte dal motore della macchina da cucire.<br />
I risultati non sono coerenti fra gli studi e manca una<br />
valutazione quantitativa dell’esposizione a campo magnetico<br />
durante la gravidanza. Uno studio caso controllo su tre<br />
serie cliniche di casi sporadici di malattia di Alzheimer<br />
(finlandesi e statunitensi) ha evidenziato un’associazione<br />
con l’esposizione occupazionale a campi elettromagnetici,<br />
in particolare per donne nelle professioni di sartoria e confezionamento<br />
abiti.<br />
Sotto il piano di lavoro delle macchine per cucire e delle<br />
tagliaecuci, si trova il motore elettrico per il funzionamento<br />
delle macchine stesse, il quale genera nel suo intorno<br />
un campo magnetico di tipo reattivo dovuto alla circolazione<br />
della corrente a frequenza di rete (50 Hz) negli avvolgimenti<br />
elettrici del motore.<br />
Dalle misurazioni di induzione del campo magnetico B<br />
effettuate dal Dipartimento Provinciale ARPAT di Prato in<br />
una azienda del comparto, su macchine cucitrici di varie tipologie<br />
(macchina piana, tagliaecuci, ribattitrice, bordatrice,<br />
smerlatrice) tutte con motori ad alimentazione elettrica<br />
monofase a 50 Hz, sono risultati i valori riportati in tab. II.<br />
I dati da considerare sono le colonne c, d ed e (N.R. indica<br />
misura non rilevabile per difficoltà tecniche).<br />
Per l'esposizione lavorativa a campi elettrici e magnetici<br />
variabili nel tempo (valori efficaci dei campi non perturba-<br />
Smacchiatura<br />
Magazzino capi finiti<br />
e spedizione<br />
Movimentazione<br />
meccanica dei carichi<br />
Centrale termica -<br />
produzione di vapore
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ti), cioè non in presenza del soggetto umano ma effettuati<br />
nella medesima posizione in cui esso si trova nella postazione<br />
di lavoro, per la frequenza di 50 Hz il limite è 500 microtesla<br />
(come indicato anche nel documento congiunto<br />
ISPESL, ISS sulla problematica della protezione dei lavoratori<br />
e della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici e<br />
magnetici e a campi elettromagnetici, a frequenze comprese<br />
fra OHz e 300GHz, del 1997). Le misure della tabella II so-<br />
Tabella II. Misure di induzione del campo magnetico<br />
B a 50 Hz alle macchine cucitici<br />
Valori massimi di induzione magnetica<br />
a 50 Hz espressi in microtesla (µT)<br />
TIPO DI MACCHINA misurati nei punti indicati in figura 1<br />
a b c d e<br />
Ribattitrice con motore<br />
550W 381 n.r. n.r. 1,0 0,41<br />
Macchina piana<br />
con motore 550 W 58 n.r. n.r. 5,98 3,01<br />
Tagliaecuci (marca 1) 394 n.r. n.r. 2,06 2,26<br />
Tagliaecuci (marca 2),<br />
motore 740 W 82 n.r. n.r. 2,2 3,4<br />
Bordatrice 365 n.r. n.r. 2,60 3,06<br />
Smerlatrice<br />
con motore 370 W 500 125 15 n.r. 4,8<br />
Figura 1. Schema di postazione di lavoro alla macchina cucitrice,<br />
con indicazione dei punti (a, b, c, d, e) dove sono state<br />
effettuate le misure del campo magnetico, qui sotto elencati.<br />
a: in prossimità del motore sul retro della macchina;<br />
b: a 10 cm circa da A;<br />
c: a 30 cm circa da A, in prossimità del ginocchio della operatrice;<br />
d: in prossimità della coscia sinistra;<br />
e: in prossimità della coscia destra.<br />
no sono state effettuate in tal modo, quindi i valori rilevati<br />
in questa unica prova, se confermati da indagini ulteriori mirate,<br />
sembrerebbero ampiamente compresi nei limiti, benché<br />
diversi e superiori a quelli raccomandati per la popolazione<br />
generale (0,2-0,5 microtesla).<br />
In alcune macchine da cucire moderne, è utilizzato un<br />
motore che genera un ridotto campo magnetico nel proprio<br />
intorno e lo stesso motore è stato incorporato nel braccio<br />
della macchina (anziché sotto il piano di lavoro dove viene<br />
quasi a contatto con le gambe), consentendo tra l’altro<br />
anche un miglioramento posturale grazie alla riduzione degli<br />
ingombri al di sotto del piano di lavoro. È inoltre necessaria<br />
l’informazione e formazione degli addetti.<br />
Tutela delle lavoratrici madri<br />
Il comparto delle confezioni è caratterizzato da una manodopera<br />
prevalentemente femminile, nel profilo di rischio<br />
pertanto sono state evidenziate le situazioni in cui il datore<br />
di lavoro deve garantire la tutela delle lavoratrici nel momento<br />
in cui si trovano in gravidanza, in rispondenza di<br />
quanto previsto dal decreto legislativo 626 del 1996 e dal<br />
Testo Unico che ha raccolto la normativa specifica a tutela<br />
delle lavoratrici madri. La tab. III riassume le fasi del ciclo<br />
in cui si possono riscontrare fattori di rischio che richiedono<br />
l’allontanamento o lo spostamento della lavoratrice in gravidanza<br />
(ai sensi dell’Allegato A, B e C del Testo Unico).<br />
Fase del ciclo<br />
lavorativo<br />
Tabella III. Allontanamento o spostamento<br />
della lavoratrice in gravidanza<br />
Fattore di rischio Riferimenti normativi*<br />
Stoccaggio, Postura D. Lgs 151/01<br />
controllo tessuti Movimentazione Allegato A (lettera f, g)<br />
manuale dei carichi e Allegato C<br />
Taglio Postura D. Lgs 151/01<br />
Esposizione a polveri Allegato A (lettera f, g)<br />
e Allegato C<br />
Confezione - Postura D. Lgs 151/01<br />
cucito Allegato A (lettera g, h)<br />
e Allegato C<br />
Stiro Postura D. Lgs 151/01<br />
Microclima Allegato A (lettera g)<br />
e Allegato C<br />
Smacchiatura Solventi clorurati D. Lgs 151/01<br />
Allegato A (lettera b)<br />
e Allegato C<br />
Magazzino Postura D. Lgs 151/01<br />
Movimentazione Allegato A (lettera f, g)<br />
manuale dei carichi e Allegato C<br />
* D. Lgs 151 del 26/03/2001 Testo Unico delle disposizioni legislative in materia<br />
di tutela e sostegno della maternità e della paternità a norma dell’art. 15<br />
della Legge n. 53/2000.
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R. Artaria, L. Settimi<br />
Tintorie e stamperie di tessuti<br />
SPSAL della ASL della Provincia di Como<br />
Premessa<br />
La nobilitazione del tessuto rappresenta un comparto<br />
produttivo che, partendo dal tessuto grezzo fornito dalle<br />
tessiture, attraverso le fasi di preparazione, tintura, stampa<br />
e finissaggio, giunge al prodotto finito destinato alle unità<br />
produttive di confezione.<br />
La presente relazione vuole rivisitare le tipologie di rischio<br />
collegate alle diverse operazioni lavorative ponendo<br />
l’attenzione sulle differenze che, per la stessa mansione,<br />
possono esistere in rapporto al tessuto in lavorazione.<br />
Nella relazione sono stati presi in considerazione, dal<br />
un lato la seta, dall’altro il cotone e sue miste.<br />
Inquadramento del problema<br />
Normalmente i tessuti pregiati richiedono lavorazioni<br />
più accurate, quindi più lente, con una maggiore manualità.<br />
Tessuti meno pregiati possono essere lavorati con minor<br />
impiego di mano d’opera, in quanto è possibile standardizzarne<br />
le lavorazioni, investendo maggiormente in<br />
macchinari che consentono velocità maggiori di lavorazioni<br />
e quindi produzioni maggiori. Prendendo in considerazione<br />
la seta ed il cotone e sue miste, potremmo riassumere<br />
quanto detto nella tabella I.<br />
La lavorazione della seta espone maggiormente al rischio<br />
di contatto con sostanze tossiche e/o irritanti e a posture<br />
lavorative disagevoli, mentre la lavorazione del cotone<br />
misto a fibre sintetiche, comporta un maggior rischio di<br />
infortuni, compreso il possibile contatto con caustici.<br />
Di seguito le differenze tra i diversi tipi di tessuto vengono<br />
analizzate per fase lavorativa, accennando nel contempo<br />
alle diverse tipologie di rischio correlate.<br />
Preparazione<br />
Tabella I. Tipologie lavorative in rapporto al tessuto lavorato<br />
SETA:<br />
La lavorazione di preparazione della seta è un’operazione<br />
molto accurata per l’esigenza di non avere successivamente<br />
difetti di stampa o tintura. Le lavorazioni avvengono<br />
prevalentemente in discontinuo: la pezza, (al massimo<br />
60 metri di stoffa) viene ogni volta caricata su un impianto,<br />
scaricata e ricaricata su un altro impianto<br />
Non è necessario normalmente l’uso di particolari sostanze<br />
chimiche, ma di semplici saponi.<br />
Il candeggio della seta viene effettuato solo quando<br />
viene richiesto il tessuto bianco e non tinto o per alcuni tipi<br />
di stampa particolari. Il candeggio avviene soprattutto<br />
con sostanze riducenti, di solito idrosolfito di sodio. Il candeggio<br />
viene svolto su macchine che lavorano a pressione<br />
atmosferica.<br />
Rispetto agli apparecchi omologhi a pressione esiste sicuramente<br />
un maggior rischio di contatto con bagni ustio-<br />
SETA COTONE E MISTE<br />
LIMITATE QUANTITÀ DI TESSUTO LAVORATO ELEVATE QUANTITÀ DI TESSUTO IN LAVORAZIONE<br />
VELOCITÀ DI LAVORAZIONI RELATIVAMENTE BASSE TENDENZA TECNOLOGICA ALL’IMPIEGO DI<br />
MACCHINARI A VELOCITÀ ELEVATE<br />
LAVORAZIONI SU APPARECCHI A PRESSIONE ATMOSFERICA USO DI APPARECCHI A PRESSIONE PER LA TINTURA<br />
DI TESSUTI MISTI A FILATI SINTETICI<br />
LAVORAZIONI DISCONTINUE LAVORAZIONI IN CONTINUO<br />
ASSENZA DI AUTOMAZIONE DEI PROCESSI ALTA AUTOMATIZZAZIONE DEI PROCESSI<br />
LAVORAZIONI DISCONTINUE CHE RICHIEDONO MAGGIOR MANUALITÀ LAVORAZIONI CONTINUE CHE RICHIEDONO MINOR<br />
MANUALITÀ<br />
MINOR UTILIZZO DI PRODOTTI CAUSTICI MAGGIOR UTILIZZO DI PRODOTTI CAUSTICI<br />
IMPATTO AMBIENTALE CONTENUTO IMPATTO AMBIENTALE SIGNIFICATIVO
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nanti e sostanze chimiche: il caricamento dei prodotti infatti<br />
avviene direttamente nel bagno di lavorazione e non<br />
in vasche laterali di caricamento<br />
COTONE:<br />
Di contro, la preparazione del cotone e sue miste non è<br />
una lavorazione molto accurata anche perché è più facile,<br />
nella preparazione del filato e del tessuto, standardizzare la<br />
lunghezza delle fibre ed avere quindi un prodotto molto<br />
omogeneo.<br />
È pertanto possibile lavorare in continuo il tessuto, facendolo<br />
passare anche su tre impianti diversi prima di scaricarlo.<br />
In questo modo è possibile trattare migliaia di metri<br />
di tessuto alla volta<br />
Il tessuto di cotone, prima delle lavorazioni successive,<br />
può essere mercerizzato: questa lavorazione comporta<br />
l’impiego di elevate quantità di soda caustica ad alta concentrazione<br />
e a freddo. Subito dopo l’impregnazione con<br />
soda il tessuto deve essere neutralizzato con acido acetico<br />
e poi, sempre in continuo, lavato a caldo. L’aggiunta della<br />
soda caustica è di solito in automatico, ma possono essere<br />
eseguite anche aggiunte manuali.<br />
Con l’uso di macchinari chiusi diminuisce notevolmente<br />
la dispersione di vapori ed il disagio microclimatico<br />
risulta più contenuto. Esiste per contro il pericolo di investimento<br />
da vapore a pressione, per malfunzionamenti<br />
dei macchinari o errori di manovra. Inoltre il caricamento<br />
del tessuto avviene velocemente ed i motori interni sono<br />
dotati di elevata potenza, rispetto agli equivalenti impianti<br />
non a pressione: esiste perciò il rischio di cattura, per nodi<br />
di tessuto che si legano a mani e braccia, con trascinamento<br />
verso l’imboccatura del macchinario durante il caricamento<br />
del tessuto in corda.<br />
Tintura<br />
SETA:<br />
La tintura della seta viene svolta sempre su impianti discontinui.<br />
L’automazione dei processi tintoriali è di difficile<br />
realizzazione per tre motivi essenziali:<br />
le minori metrature lavorate;<br />
l’elevata varietà di colori e nuansature;<br />
i diversi tipi di tessuti e di seta.<br />
Nonostante una indubbia innovazione tecnologica, esiste<br />
sempre in una tintoria di seta una serie di manualità come:<br />
la pesatura, lo scioglimento ed il caricamento del colore,<br />
le aggiunte effettuate per correggere ricette già preparate<br />
(utilizzando coloranti già sciolti).<br />
I macchinari utilizzati sono simili a quelli per le operazioni<br />
di preparazione della seta, spesso sono gli stessi.<br />
Spesso nella tintura della seta gli apparecchi vengono<br />
tenuti aperti. Anche se non si raggiungono mai temperature<br />
elevate, la dispersione di vapori nell’ambiente di lavoro<br />
può essere ingente ed il rischio di contatto con bagni a temperatura<br />
di 80°C è alto specie quando si preleva un campione<br />
di tessuto per controllarne la tintura<br />
COTONE:<br />
La tintura del cotone si presta a processi quasi sempre<br />
automatizzati, dove è prevista la pesatura automatica del<br />
colorante ed il suo scioglimento in semiautomatico; operazioni<br />
che permettono una standardizzazione del processo<br />
tintoriale e la sua ripetibilità. Le operazioni di tintura avvengono<br />
spesso in apparecchi a pressione (per i tessuti misti<br />
a sintetico) quali jets e siluri.<br />
Sugli apparecchi a pressione non è possibile aprire i<br />
macchinari se non al termine delle operazioni tintoriali.<br />
Anomalie di funzionamento possono causare gravi infortuni,<br />
anche se rari, per l’apertura dei portelloni quando<br />
l’impianto è in pressione.<br />
Stampa<br />
SETA:<br />
La stampa della seta è un’operazione estremamente accurata<br />
e spesso richiede una particolare abilità dello stampatore<br />
che in questa lavorazione esprime un’alta specializzazione.<br />
Ciò per l’elevato numero di colori richiesti nel disegno<br />
da stampare, in particolare per la stampa dei foulard<br />
e alla necessaria precisione della sovrapposizione dei colori<br />
nel disegno finale.<br />
Vi è quindi un’alta manualità dell’operazione soprattutto<br />
per rapportare i quadri, per la loro accurata pulizia, il<br />
dosaggio della pasta da stampa che viene aggiunta manualmente,<br />
l’asciugamento del colore dopo ogni stampa. Il<br />
tavolo deve essere rivestito di un adesivo, che permette di<br />
fissare il tessuto durante la stampa, ma che deve essere<br />
spesso rimosso e risteso manualmente, sciogliendo la resina<br />
in solventi.<br />
COTONE:<br />
La stampa del cotone, viste le elevate metrature, si presta<br />
ad una lavorazione in continuo su manomacchine o tavoli<br />
rotativi. La precisione è sicuramente inferiore a quella<br />
del tavolo a quadro singolo, ma consente lavorazioni<br />
con metrature elevate e velocità di avanzamento, specie<br />
per la stampa rotativa, che possono raggiungere i 40 metri<br />
al minuto.<br />
Su questi impianti, dove il tappeto gira insieme al tessuto,<br />
l’adesivo (a base di alcool polivinilico) viene automaticamente<br />
rimosso e risteso ad ogni giro del tappeto. Le<br />
operazioni manuali sono ridotte alla sola aggiunta di pasta<br />
da stampa.<br />
Finissaggio<br />
SETA:<br />
La seta è una fibra nobile e normalmente non richiede<br />
trattamenti particolari di finissaggio.<br />
Ci si limita ad asciugarla su rameuse solo per stirare ed<br />
asciugare la stoffa. A volte vengono aggiunti degli ammorbidenti<br />
o cere nella zona di impregnazione detta foulard.<br />
Le velocità di lavorazione sono molto basse e non si superano<br />
mai i 12 m/minuto, per cui il rischio di infortuni è legato<br />
soprattutto alle operazione di incorsatura del tessuto,<br />
cioè all’inserimento della stoffa tra i vari cilindri, che può<br />
esporre i lavoratori a rischio di cattura e trascinamento e/o<br />
caduta dall’alto.<br />
Le operazioni di finissaggio comportano anche il controllo<br />
finale del tessuto per eliminare le eventuali macchie
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e, in alcuni casi, correggere manualmente con pennelli piccoli<br />
difetti del disegno. Il controllo della seta è un’operazione<br />
molto accurata che viene svolta su tavoli chiamati<br />
“specole”, su alcuni dei quali vi è anche un avanzamento<br />
manuale del tessuto. L’impegno visivo è elevato.<br />
Il prodotto finale consiste per lo più in piccoli rotoli,<br />
considerata anche la ridotta metratura lavorata per disegno,<br />
che vengono spesso movimentati manualmente.<br />
COTONE:<br />
Il cotone necessita di trattamenti di finissaggio più complessi<br />
e anche particolari, sia chimici, con resine, formaldei-<br />
Conclusioni<br />
La presente relazione ha rivisitato le tipologie di rischio<br />
collegate alle diverse operazioni lavorative ponendo<br />
l’attenzione sulle differenze che, per la stessa mansione,<br />
possono esistere in rapporto al tessuto in lavorazione.<br />
I tessuti considerati sono la seta e il cotone e sue miste<br />
con fibre sintetiche.<br />
Rinviando ad altre numerose pubblicazioni presenti<br />
l’analisi dei rischi specifici, come quello da esposizione a<br />
Tabella riassuntiva rischi lavorativi<br />
SETA COTONE E MISTE<br />
Disagio microclimatico Contatto con caustici<br />
Contatto con sostanze chimiche Infortuni per cattura da parte di organi in movimento<br />
PREPARAZIONE Ustioni Esposizione a gas e vapori<br />
Posture Ustioni<br />
Rumore<br />
TINTURA<br />
STAMPA<br />
de, DMF, che meccanici; esiste un elevato rischio di cattura<br />
da parte dei cilindri e degli organi in movimento per l’elevata<br />
velocità di avanzamento (anche 80 m/minuto). Il controllo<br />
dei tessuti viene effettuato su tavoli “visita pezze” in<br />
cui l’operatore, se presente, si limita solo a segnare, con un<br />
foglietto, l’eventuale macchia o difetto presente, e per tessuti<br />
di maggior pregio, ad effettuare una vera propria smacchiatura<br />
con trielina. Quando la pezza è molto “sporca”, si<br />
passa direttamente al lavaggio a secco con percloroetilene.<br />
Il confezionamento dei tessuti è automatizzato e la presenza<br />
di personale si limita al controllo del funzionamento dell’impianto<br />
ed al caricamento dei rotoli di polietilene.<br />
Contatto con coloranti durante Esposizione a gas e vapori<br />
la pesatura e preparazione Infortuni per cattura da parte di organi in movimento<br />
Microclima Ustioni<br />
Ustioni<br />
Ustioni chimiche<br />
Rumore<br />
Ustioni chimiche<br />
Contatto con coloranti e prodotti chimici Contatto con coloranti e prodotti chimici in<br />
in cucina colori cucina colori<br />
Esposizione a solventi Infortuni da schiacciamento e da taglio<br />
Microclima Infortuni per cattura con organi in movimento<br />
Infortuni per scivolamento<br />
Rumore lavaggio manuale dei quadri<br />
Esposizione a vapori<br />
Infortuni durante l’incorsatura del tessuto Esposizione a formaldeide e trielina<br />
Affaticamento visivo nel controllo finale Infortuni per cattura con organi in movimento<br />
FINISSAGGIO Movimentazione manuale dei carichi Infortuni per schiacciamento e trascinamento<br />
Microclima<br />
Esposizione a gas (CO 2 e CO)<br />
coloranti, si può affermare che nella lavorazione della seta<br />
prevalgono i rischi da contatto con sostanze chimiche, da<br />
rumore, da posture incongrue, da movimentazione manuale<br />
dei carichi e da disagio microclimatico, mentre nella lavorazione<br />
del cotone si deve maggiormente considerare il<br />
rischio infortunistico, da cattura, trascinamento e schiacciamento<br />
da parte di organi in movimento e da ustione sia<br />
termica che chimica.<br />
Questi concetti sono da tenere presenti sia nell’ottica<br />
del processo di valutazione dei rischi che in sede di giudizio<br />
di idoneità alla mansione.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1, 67 © PI-ME, Pavia 2004<br />
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M.C. Acciai 1 , A. Resti 1 , L. Mauro 2 , F. Ventura 3 , M. Margheri 2 , A. Sertoli 4<br />
DAC professionale da resina dimetilolmelaminica in operaio tessile<br />
1 CML, INAIL Prato<br />
2 UO Ig. Sal. Luoghi Lav. ASL 4, Prato<br />
3 Dip. Prev., ASL 4, Prato<br />
4 Cons. derm., CML, INAIL Firenze<br />
Introduzione<br />
Il ciclo tecnologico dei tessuti spalmati e floccati può<br />
essere assimilato a quello della finta pelle. Su un supporto<br />
di tessuto (cotone o poliestere) viene spalmato un composto<br />
costituito da una miscela di resina acrilica, acqua e addittivi.<br />
La miscelazione dei vari componenti avviene sotto<br />
agitatori provvisti di sistemi di aspirazione localizzati. Il<br />
composto così ottenuto viene depositato sul tessuto mediante<br />
un sistema di pompa aspirante, a livello del banco di<br />
spalmatura. Ai lati del banco sono posizionati due sensori,<br />
che permettono di regolare e mantenere costante lo spessore<br />
della resina spalmata, mentre la parte centrale è occupata<br />
da una lama di acciaio: scorrendo al di sotto di questa<br />
il tessuto si impregna di uno strato omogeneo di resina e<br />
arriva nella zona di floccaggio. Il floc (polvere di fibre sintetiche)<br />
viene fatto cadere attraverso una corrente elettrostatica<br />
sul tessuto, che dopo l’asciugatura viene trasportato<br />
nel reparto rifinizione, dove avviene la reticolazione<br />
della resina acrilica (termofissaggio). Alcuni tipi di tessuto<br />
vengono sottoposti ad ulteriori fasi di rifinizione. Al termine<br />
il tessuto rifinito viene arrotolato e stoccato per la<br />
spedizione.<br />
Descrizione del caso<br />
Maurizio, di anni 32, operaio tessile, dall’ottobre 1996<br />
è addetto alla preparazione della miscela da spalmare e al<br />
banco di spalmatura. I composti con cui può venire in contatto<br />
sono: resine acriliche, acido poliacrilico, resine metilolmelaminiche,<br />
ammoniaca, antischiuma, pigmenti. Dal<br />
1998 è affetto da un eczema delle mani e diffuso con test<br />
di arresto/ripresa negativo. Nel 1999 è stato sottoposto ad<br />
un primo accertamento allergologico con serie standard<br />
GIRDCA FI’99. In seguito al risultato negativo era stata<br />
formulata diagnosi di eczema nummulare non professionale.<br />
Nel dicembre/gennaio 2000/2001 sono stati eseguiti<br />
nuovi accertamenti anche con Serie Addizionale (SA) Industria<br />
tessile e Resine Acriliche. È stata dimostrata una<br />
sensibilità nei confronti della resina dimetilolmelaminica<br />
(10% in vaselina, Firma). La sensibilità riscontrata è clinicamente<br />
rilevante in quanto, nelle fasi di preparazione e di<br />
spalmatura, il lavoratore viene in contatto con il prodotto<br />
denominato “Retol CL”, la cui composizione chimica corrisponde<br />
alla resina metossimetil-metilolmelaminica. Si<br />
tratta di una resina metilolmelaminica del tutto analoga a<br />
quella testata, avendo in comune la struttura melaminica e<br />
la presenza di raggruppamenti metilolici. Il Retol CL è utilizzato<br />
come agente reticolante di resine acriliche e poliuretaniche.<br />
Aumenta la solidità del tessuto ai lavaggi a secco<br />
e ad umido e la resistenza all’abrasione. Appartiene al<br />
gruppo delle resine tessili di finissaggio (textile finish resins)<br />
che insieme ai coloranti, in particolare quelli dispersi,<br />
rappresentano le principali cause di dermatite da contatto<br />
nei lavoratori dell’industria tessile<br />
Conclusioni<br />
In seguito al secondo accertamento allergologico il caso<br />
è stato concluso con la diagnosi di Dermatite Allergica<br />
da Contatto (DAC) professionale delle mani e diffusa, tabellata<br />
alla voce 42/3 della NTMPIA,1994.<br />
È stata effettuata la valutazione del danno biologico<br />
che in sede di accertamento postumi definitivo è risultata<br />
pari al 6% con conseguente indennizzo in capitale.<br />
Attualmente l’interessato ha cambiato mansione, è addetto<br />
alla bottalatura, con miglioramento del quadro clinico.<br />
Discussione<br />
Segnaliamo il caso per l’importanza dell’utilizzo delle<br />
SA per l’esecuzione degli accertamenti allergologici,<br />
soprattutto in ambito professionale, al fine di una corretta<br />
diagnosi anche medico-legale. Infatti senza l’impiego<br />
delle SA sarebbe rimasta la primitiva diagnosi, quindi<br />
non ci sarebbe stato il riconoscimento di Malattia Professionale,<br />
la valutazione del danno biologico e il conseguente<br />
indennizzo in capitale ottenuto. Ovviamente sarebbero<br />
venuti meno anche i risvolti preventivi tra cui il<br />
cambio mansione.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1, 68-71 © PI-ME, Pavia 2004<br />
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F. Ferraris 1 , M. Ruggieri 1 , A. Marciandi 1 , G. Smecca 2<br />
Valutazione del rischio chimico in una azienda tessile laniera<br />
piemontese<br />
1 A.S.L. n. 12 - Biella - U.O.A. Medicina del Lavoro<br />
2 A.S.L. n. 12 - Biella - S.PRE.S.A.L.<br />
Introduzione<br />
Il Decreto Legislativo 626/94 impone al datore di lavoro<br />
l’obbligo della valutazione dei rischi in ambiente di lavoro<br />
allo scopo di tutelare e “promuovere la salute” dei lavoratori<br />
esposti ai rischi specifici. Uno degli aspetti più complessi<br />
della valutazione dei rischi è la quali-quantificazione del “rischio<br />
chimico”, compito arduo se consideriamo il numero di<br />
sostanze chimiche e dei preparati presenti sul mercato e utilizzati<br />
negli ambienti di lavoro compreso il settore tessile.<br />
Lo scopo del presente lavoro è quello di mettere in evidenza<br />
quali sono i principali rischi per la salute dei lavoratori<br />
che sono stati evidenziati con la metodica proposta e<br />
indicare quali sono, a nostro parere, le attuali difficoltà nel<br />
procedere ad una tale valutazione in una azienda del settore<br />
tessile-laniero.<br />
Ricordando che s’intende, per “pericolo”, la condizione<br />
di ogni situazione che, per sue proprietà o caratteristiche<br />
intrinseche, ha i connotati potenziali per causare danno<br />
a cose e/o persone e/o ambiente, e per “rischio” la probabilità<br />
che si raggiunga il potenziale di danno e si producano<br />
gli effetti prevedibili, il fine del valutatore è quello<br />
d’individuare i pericoli, valutare, se possibile in modo<br />
quantitativo, il rischio espositivo e identificare, infine, tutte<br />
le misure di prevenzione e protezione per ridurre al minimo<br />
o eliminare il rischio. Minimizzando il rischio al di<br />
sotto dei livelli di sostenibilità, si devono creare delle procedure<br />
per la gestione del cosiddetto “rischio residuo”.<br />
Nel comparto tessile, sono state attuate diverse procedure<br />
di stima del rischio chimico, ma la continua evoluzione<br />
tecnologica e la carenza di supporti scientifici consolidati,<br />
non hanno permesso la creazione di banche dati per consentire<br />
una standardizzazione delle procedure valutative.<br />
Scopo del presente studio è di l’identificazione dei gap<br />
procedurali nell’analisi del rischio chimico e delle relative<br />
proposte operative in una grande Azienda nel comparto Tessile<br />
Laniero della Regione Piemonte al fine di prevenire eventuali<br />
effetti indesiderati sulla salute degli operatori esposti.<br />
Materiali e Metodi<br />
In una Azienda tessile laniera della Regione Piemonte,<br />
è stata analizzata, in collaborazione con il Servi-<br />
zio di Protezione e Prevenzione Aziendale, la presenza<br />
del rischio chimico negli ambienti di lavoro, ponendosi<br />
l’obbiettivo di quantificare i rischi stessi al fine di procedere<br />
alle opportune eventuali bonifiche ed alla predisposizione<br />
di una serie di procedure che permettano il<br />
monitoraggio in continuo del rischio in questione. Più<br />
in dettaglio gli scopi dell’indagine in questione erano i<br />
seguenti:<br />
Individuazione delle sostanze pericolose per la salute<br />
dei lavoratori all’interno dell’azienda<br />
Valutazione della possibilità di una reale esposizione<br />
alle sostanze pericolose e sua prima stima<br />
Predisposizione di un programma di monitoraggio ambientale<br />
Indicazioni principali per sorveglianza sanitaria<br />
Il primo passaggio è stato quindi l’individuare le sostanze<br />
pericolose per la salute dei lavoratori. Tale operazione<br />
è stata fatta partendo dalle schede di sicurezza dei<br />
preparati utilizzati in azienda, aggiornate all’ultimo<br />
emendamento.<br />
Le schede di sicurezza sono state controllate per valutarne<br />
l’aggiornamento e l’adeguatezza in base alle norme<br />
previste per l’etichettatura delle sostanze pericolose, D.M.<br />
del Ministero della Sanità del 28 Aprile 1997, D.M. 4<br />
aprile 1997 relativamente alla scheda informativa in materia<br />
di sicurezza e al D. Lgs. 16 luglio 1998 n. 285 inerente<br />
i preparati pericolosi e successive modifiche. Si è<br />
provveduto a verificare con le ditte fornitrici l’esistenza di<br />
ulteriori aggiornamenti delle schede di sicurezza dei preparati<br />
forniti e a richiedere l’integrazione di quelle non<br />
adeguate o mancanti.<br />
Il primo dato emerso è che alcune delle schede da noi<br />
analizzate presentavano grossolani errori nell’indicazione<br />
dell’etichettatura del preparato (punto 15 della scheda). In<br />
alcuni dei casi suddetti l’etichettatura del preparato era errata<br />
in relazione alle indicazioni presenti al punto 2 della<br />
scheda (composizione) oppure erano errate le indicazioni<br />
relative all’etichettatura e/o frasi R delle singole sostanze<br />
formanti il preparato presenti al punto 2. Alla luce della situazione<br />
evidenziata riteniamo utile che, prima di passare<br />
alla valutazione della presenza di sostanze pericolose, le<br />
schede di sicurezza siano validate dal Medico Competente<br />
e dal RSPP alla luce delle specifiche norme che definiscono<br />
le modalità di compilazione di questo insostituibile<br />
strumento conoscitivo.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1 69<br />
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Una volta individuate le sostanze presenti nei preparati<br />
o utilizzate come tali etichettate come pericolose per<br />
la salute dei lavoratori sono state integrate le informazioni<br />
tossicologiche dedotte dalle schede, molto spesso generiche<br />
se non addirittura inesatte, tramite altre fonti<br />
informative.<br />
Per la verifica delle caratteristiche tossicologiche delle<br />
sostanze pericolose e per l’analisi della letteratura scientifica<br />
per la raccolta dati epidemiologici sugli effetti sulla<br />
salute delle stesse, sono state consultate le seguenti banche<br />
dati:<br />
TOXNET, in particolare utilizzando l’HSBD (Hazardous<br />
Substances Data Bank)<br />
TOXLINE (Toxicology Bibliographic)<br />
NIEHS (National Institute of Environmental Health<br />
Sciences).<br />
Per quanto concerne invece l'analisi della possibile<br />
esposizione, oltre ad una attenta analisi della mansione, sono<br />
state prese in considerazione le principali variabili che,<br />
secondo noi, caratterizzano la presenza e determinano l'entità<br />
del rischio, in particolare:<br />
• le caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze utilizzate<br />
nei vari settori lavorativi;<br />
• le vie di assorbimento nell’organismo umano;<br />
• gli organi bersaglio delle sostanze pericolose;<br />
• le modalità di utilizzo delle sostanze con particolare riferimento<br />
a:<br />
⇒ quantitativi<br />
⇒ tipologia di manipolazione<br />
⇒ temperatura di utilizzo<br />
⇒ presenza di dispositivi di protezione collettiva<br />
(DPC)<br />
⇒ uso di dispositivi di protezione individuale (DPI).<br />
Risultati<br />
Lo studio preliminare per la stima del rischio chimico<br />
effettuato presso una grossa Azienda tessile laniera, che<br />
occupa circa 1000 dipendenti ed è suddivisa in diversi<br />
settori, di cui alcuni con produzione a ciclo continuo<br />
(carderia, tessitura, tintoria, finissaggio), è consistito, oltre<br />
allo studio del layout aziendale con avvio della compilazione<br />
di particolareggiato mansionario, nell’analisi<br />
delle schede di sicurezza di 278 preparati e sostanze pericolose,<br />
di cui 104 sono risultate etichettate secondo normativa<br />
comunitaria (37,4%).<br />
Suddividendo le sostanze chimiche utilizzate nei diversi<br />
settori lavorativi (Fig. 1), si sono identificate tre sostanze<br />
con effetti irritanti su 11 (27%) utilizzate nel reparto<br />
carderia, 8 sostanze classificate come irritanti su 18 (44%)<br />
nel reparto filatura, 2 con effetti irritanti su 12 (16%) identificate<br />
presso il reparto tessitura. Per la tintoria sono state<br />
identificate 202 sostanze pericolose, di cui 33 (16,3%)<br />
classificate come nocive, 45 (22,3%) come irritanti, 4 (2%)<br />
come tossiche e 7 (3. 4%) come corrosive; mentre nel reparto<br />
finissaggio sono state identificate 25 sostanze pericolose<br />
di cui 2 (8%) classificate come nocive, 5 (20%) irritanti<br />
e 1 (4%) corrosiva. Per le sostanze prese in esame<br />
fino ad ora presso la ritorcitura e roccatura e dipanatura e<br />
per le restanti dei vari reparti sopra elencati, non sono riconosciuti<br />
effetti per la salute umana sulla base dei dati<br />
raccolti (Fig. 2).<br />
La stima globale dei consumi di sostanze chimiche per<br />
settore lavorativo, ha evidenziato che nel reparto tintoria è<br />
stato calcolato il maggior utilizzo di sostanze chimiche,<br />
prevalentemente coloranti (278.000 kg/anno), seguito dal<br />
Figura 1. Numero di sostanze pericolose nei settori di produzione<br />
di una azienda tessile laniera (diviso per reparti)<br />
Figura 2. Numero e tipologia di sostanze pericolose classificate nei settori di produzione di una azienda laniera piemontese
70 G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1<br />
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Figura 3. Consumo annuo (kg/anno) di sostanze chimiche<br />
nel 2001 in azienda tessile piemontese<br />
reparto filatura cardata (47.000 kg/anno), dal reparto orditura<br />
e tessitura (24.100 kg/anno), dal reparto filatura pettinata<br />
(11.900 kg/anno), dal finissaggio (8.600 kg/anno) e da<br />
altri settori (6.200 kg/anno) (Fig. 3).<br />
È stata esclusa la presenza di sostanze cancerogene<br />
(R45 ed R49) nei reparti presi in esame ed in particolare la<br />
presenza di derivati di benzidina, orto-tuolidina e orto-dianisidina.<br />
Al fine di giungere ad una stima misurata del rischio è<br />
stato predisposto un programma di campionamenti ambientali<br />
in due importanti reparti dell'azienda in cui maggiore<br />
è l'utilizzo di sostanze chimiche quali la tintoria ed il<br />
finissaggio tessuti.<br />
Si sono considerate le sostanze per cui sono previsti<br />
i Thereshold Limit Value (TLV) dall’ACGIH per il 2001,<br />
onde poter confrontare i livelli misurati con concentrazioni<br />
di riferimento. Le sostanze per le quali è presente<br />
un TLV nella lista ACGIH sono solo quelle indicate in<br />
tabella I.<br />
Per le altre sostanze pericolose non sono stati evidenziati<br />
concentrazioni ambientali accettabili di riferimento.<br />
Per quanto riguarda gli effetti attesi, desunti dalle schede<br />
di sicurezza e dalle banche dati citate sono riassumibili<br />
nei seguenti:<br />
a) effetti locali: irritativi e/o sensibilizzanti su cute e mucose<br />
visibili<br />
b) effetti sistemici: irritativi e/o sensibilizzanti per l’apparato<br />
respiratorio, tossicità epatica, renale, e sul SNC da<br />
esposizione a percloroetilene.<br />
Per nessuna sostanza, escluso il percloroetilene, sono<br />
stati evidenziati effetti per esposizioni a lungo termine dalle<br />
banche dati interrogate.<br />
Altresì oscuri sono gli effetti che potremmo attenderci<br />
dagli eventuali effetti di sommazione derivanti dalle esposizioni<br />
multiple a basse concentrazioni tipiche degli ambienti<br />
in esame. Un esempio è la mansione pesa-colori della<br />
tintoria che arriva ad utilizzare decine di sostanze in un<br />
turno di lavoro.<br />
Con l’esclusione del percloroetilene usato in finissaggio,<br />
le patologie che ci attendiamo sono le seguenti:<br />
• Dermatiti Irritative da Contatto (DIC)<br />
• Dermatiti Allergiche da Contatto (DAC)<br />
• Congiuntiviti: Irritative ed Allergiche<br />
• Riniti: Irritative ed Allergiche<br />
• Bronchite Cronica<br />
• Asma Bronchiale.<br />
Per quanto riguarda le esposizioni recenti nessun dato<br />
emerge per quanto concerne il rischio da carcinoma vescicale.<br />
Per tentare di oggettivare i pericoli per la salute evidenziati,<br />
sono stati analizzati i dati relativi all’esposizione<br />
a sostanze sensibilizzanti, forse il rischio principale evidenziato,<br />
forniti dal Centro Regionale Permanente per la<br />
ricerca attiva delle allergopatie professionali, nella regione<br />
Piemonte, dal 1996 al 2001, non sono stati segnalati casi<br />
da asma da coloranti, mentre sono stati segnalati 12 casi di<br />
DAC con sensibilizzazione a coloranti.<br />
Conclusioni<br />
In relazione ai dati in nostro possesso riteniamo di dover<br />
fare alcune riflessioni che partono soprattutto da un’evidente<br />
situazione caratterizzata dalla scarsità di lavori<br />
scientifici che affrontano in modo globale la difficile problematica<br />
della valutazione del rischio da esposizione a sostanze<br />
chimiche in particolare in realtà caratterizzate da<br />
basse esposizioni a numerose sostanze pericolose.<br />
La principale esigenza che emerge dalla presente esperienza,<br />
in relazione alla valutazione del rischio chimico, è<br />
quella di ricevere adeguate informazioni circa la natura delle<br />
sostanze utilizzate, realizzabile per mezzo di una scheda<br />
di sicurezza esaustiva per le notizie necessarie sia per gli<br />
adempimenti legislativi, sia per i provvedimenti antinfortunistici<br />
e preventivi a protezione della salute dei lavoratori.<br />
Inoltre, una carenza dei dati scientifici sugli effetti sulla<br />
salute delle sostanze chimiche pericolose, si rivela al-<br />
Tabella I. Stima dei consumi e TLVs delle sostanze pericolose monitorabili nei reparti tintoria e finissaggio<br />
TINTORIA KG/a<br />
TLV<br />
TLV<br />
FINISSAGGIO KG/a<br />
(mg/m3 ) (mg/m3 )<br />
AC. SOLFORICO 20.160 1 AC. SOLFORICO 2.000 1<br />
AMMONIACA 16.000 17 METABISOLFITO 15.000 5<br />
AC. FORMICO 7.570 9.4 PERCLOROETILENE 2.000 170<br />
AC. ACETICO 16.800 40<br />
IPOCLORITO 10.000 1.5<br />
AMINE SPECIFICHE ? ?
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1 71<br />
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trettanto importante motivo di difficoltà nel processo valutativo<br />
quando, nell’applicazione pratica, si devono affrontare<br />
le problematiche inerenti la quantificazione dell’esposizione,<br />
l’individuazione delle misure di protezione, sia<br />
collettiva sia individuale, e la stesura dei protocolli sanitari<br />
per la sorveglianza medica dei lavoratori da parte del<br />
Medico Competente, nonché la programmazione del monitoraggio<br />
ambientale, soprattutto in presenza di esposizione<br />
a basse dosi.<br />
Le proposte operative che scaturiscono dalla presente<br />
esperienza al fine di permettere una soddisfacente stima<br />
del rischio chimico, sono:<br />
⇒ istituire una banca dati dedicata al tessile;<br />
⇒ validare i protocolli di sorveglianza sanitaria per le<br />
principali esposizioni;<br />
⇒ raccogliere ed elaborare a livello istituzionale i dati sull’attività<br />
di sorveglianza sanitaria per esposizioni omogenee,<br />
onde poter individuare eventuali effetti oggi non<br />
conosciuti, o sottostimati, anche per la loro bassa frequenza,<br />
non evidenziabili dalla attività del singolo Medico<br />
Competente.<br />
Bibliografia<br />
Faventi AM. La buona conoscenza del processo lavorativo: elemento<br />
qualificante dell’attività di vigilanza nei luoghi di lavoro. Atti del<br />
Convegno Nazionale - V salone della Sicurezza e Igiene in Ambiente<br />
di Lavoro - Regione Emilia-Romagna- Modena 10-12 Ottobre<br />
1996: 153-155.<br />
Foà V, Castellino N. Quali effetti dall’esposizione a basse dosi: introduzione<br />
al tema. Folia Med. 2000:71 (S1) 1-5. Atti del 63mo Congresso<br />
Nazionale - Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale<br />
- Sorrento 8-11 Novembre 2000.<br />
Foà V. Criteri generali per il monitoraggio biologico di esposti a sostanze<br />
chimiche. Atti del Convegno Nazionale - V salone della Sicurezza<br />
e Igiene in Ambiente di Lavoro- Regione Emilia-Romagna - Modena<br />
10-12 Ottobre 1996: 175-179.<br />
Mariotti M. Individuazione dei pericoli intrinseci dei prodotti chimici sulla<br />
base delle informazioni presenti nella scheda di dati di sicurezza.<br />
Atti del Convegno Nazionale - V salone della Sicurezza e Igiene in<br />
Ambiente di Lavoro- Regione Emilia-Romagna- Modena 10-12 Ottobre<br />
1996: 93-100.<br />
Riva A. Il concetto di rischio chimico nella didattica e nella ricerca - Atti<br />
del Convegno Nazionale - V salone della Sicurezza e Igiene in Ambiente<br />
di Lavoro- Regione Emilia-Romagna - Modena 10-12 Ottobre<br />
1996: 83-91.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1, 72-75 © PI-ME, Pavia 2004<br />
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C. Dall’Ara, R. Tartaglia, T. Bellandi, V. Abrami<br />
Analisi ergonomica delle postazioni di lavoro nel comparto delle confezioni<br />
e linee-guida per la progettazione di soluzioni ergonomiche<br />
Centro Ricerche in Ergonomia, Azienda Sanitaria di Firenze<br />
Il comparto dell’abbigliamento<br />
Nell’ambito delle imprese manifatturiere il settore delle<br />
confezioni ricopre un ruolo di grande importanza, sia<br />
dal punto di vista economico che occupazionale e la popolazione<br />
lavorativa di questo comparto, è molto numerosa.<br />
A fronte di tali dati, il settore è stato oggetto in Italia<br />
solo di pochi studi di tipo ergonomico o volti a migliorare<br />
le condizioni lavorative e di sicurezza. Questo atteggiamento<br />
può essere dovuto al tipo di evoluzione storica che<br />
ha caratterizzato le macchine per cucito industriali, ma anche<br />
al fatto che la maggior parte delle imprese sono di dimensioni<br />
molto limitate. Questi fattori hanno portato negli<br />
anni ad una spinta costante verso la diminuzione dei costi<br />
fissi. La conseguenza di ciò è stata la scarsa propensione<br />
del settore alla ricerca e all’innovazione tecnologica e il<br />
fatto che sia i macchinari sia le postazioni di lavoro non<br />
sono mai stati migliorati dal punto di vista ergonomico<br />
(Hague J, 2001). Né i produttori di macchine, né direttamente<br />
le imprese sembrano essere interessati ad un miglioramento<br />
ergonomico del prodotto, anche se questo<br />
comporterebbe un incremento della produttività oltre che<br />
della qualità della vita lavorativa.<br />
I problemi storici<br />
La postazione di lavoro per la cucitura industriale deriva<br />
strettamente da quella per la cucitura domestica, portando<br />
conseguentemente con sé tutta una seria di caratteristiche<br />
non pensate per l’ambiente industriale e pertanto<br />
inadatte ad una situazione lavorativa che si possa definire<br />
ergonomica. Le prime macchine erano costruite in funzione<br />
della limitazione dello spazio occupato e soprattutto<br />
dell’occultamento della parte meccanica. Col passare del<br />
tempo nessun cambiamento sostanziale è intervenuto nella<br />
progettazione della postazione di lavoro, mentre le macchine<br />
hanno subito un’ovvia evoluzione. Le innovazioni<br />
tecnologiche riguardanti il macchinario sono state man<br />
mano aggiunte alla situazione preesistente o hanno sostituito<br />
le vecchie parti superate, ma senza mai un progetto<br />
integrato che comprendesse uno studio ergonomico, sia<br />
della macchina, sia della postazione, sia delle due cose insieme.<br />
Così il motore elettrico è tuttora esterno e le cinghie<br />
di trasmissione talvolta non sono protette adeguatamente, i<br />
comandi di accensione e spegnimento sono stati posizio-<br />
nati nei punti più comodi per la macchina ma non per l’operatore,<br />
gli spazi d’appoggio vengono riproposti identici<br />
a loro stessi sui modelli dei primi tavoli ottocenteschi pensati<br />
per l’ambiente domestico.<br />
L’efficienza delle postazioni è stata migliorata dal punto<br />
di vista della velocità d’esecuzione delle operazioni e<br />
anche della specializzazione delle macchine, cosa che ha<br />
conseguentemente frammentato ulteriormente il già parcellizzato<br />
lavoro di cucitura, creando operatori super-specializzati<br />
in una data brevissima operazione (ad esempio<br />
tagliare le asole). Il miglioramento dell’interazione uomomacchina<br />
non è stato previsto nella ristrutturazione del lavoro<br />
e dei macchinari, nemmeno in considerazione del fatto<br />
che questo porterebbe ad un aumento della resa e della<br />
produttività.<br />
Gli studi nel settore dell’abbigliamento<br />
Il lavoro nel settore dell’abbigliamento è stato analizzato<br />
in numerosi studi e classificato come ad alto rischio<br />
per quanto riguarda le patologie muscolo-scheletriche<br />
(Tartaglia R, 1990; Nieves Serratos Perez J, 1993). Molte<br />
delle mansioni infatti, ed in particolare quella di cucitura,<br />
sono fortemente frazionate. Durante gli anni ’90 la globalizzazione,<br />
i cambiamenti nelle domande dei consumatori<br />
e lo sviluppo di nuove tecnologie hanno posto il settore<br />
dell’abbigliamento in uno stato di enorme difficoltà che lo<br />
ha costretto a significative ristrutturazioni e, di conseguenza,<br />
c’è stata una tendenza crescente a trasferire la produzione<br />
verso ambienti economici con manodopera a basso<br />
costo. Il fatto che molte aziende basino la propria politica<br />
esclusivamente sulla riduzione del prezzo ha avuto come<br />
risultato un peggioramento delle condizioni di salute e sicurezza<br />
nel luogo di lavoro, attraverso l’intensificazione<br />
del lavoro, l’incremento della velocità e la nascita di nuovi<br />
rischi. Conseguentemente, patologie come quelle muscolo-scheletriche<br />
sono aumentate in modo significativo.<br />
Le patologie muscolo-scheletriche<br />
L’ergonomia è un approccio multi-disciplinare che si<br />
occupa di adattare i processi, le mansioni, le attrezzature e<br />
le macchine alle persone. In sintesi, l’ergonomia confronta<br />
le richieste fatte agli operatori in relazione allo spazio di<br />
lavoro, alla mansione e all’organizzazione del lavoro, e definisce<br />
i limiti ma anche le capacità delle persone di svolgere<br />
una attività. Tramite l’applicazione dell’ergonomia
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1 73<br />
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nella progettazione di utensili, spazi di lavoro, ambienti e<br />
sistemi, la capacità delle persone di svolgere il proprio lavoro<br />
in modo efficiente e salutare si incontra meglio con la<br />
richiesta del lavoro stesso. Se si mantiene un equilibrio tra<br />
la capacità dell’operatore e la richiesta operativa, allora<br />
sarà possibile svolgere il lavoro in modo salutare, confortevole<br />
ed efficiente.<br />
Il lavoro nell’industria dell’abbigliamento è stato classificato<br />
come “lavoro leggero”, ma comporta la sopportazione<br />
di carichi statici considerevoli e richieste frequenti di<br />
maneggiare oggetti pesanti, grandi e scomodi. I carichi statici<br />
sussistono quando vengono mantenute delle posture<br />
fisse, spesso in posizioni scomode ed i muscoli rimangono<br />
in contrazione per periodi prolungati. Tale tipo di lavoro<br />
muscolare è di gran lunga meno efficace rispetto a quello<br />
che fa un corpo in movimento, o che ha la possibilità di<br />
cambiare posizione e nel quale i muscoli hanno la possibilità<br />
di lavorare.<br />
Altri fattori di rischio associati alla postura di lavoro,<br />
alle richieste del compito ed alla capacità individuale di<br />
adattarsi alle richieste del lavoro, che contribuiscono all’insorgenza<br />
di patologie muscolo-scheletriche e di<br />
stress sono:<br />
• L’adozione di posture di lavoro incongrue e fisse dovute<br />
ad una scorretta configurazione dimensionale del<br />
posto di lavoro e al design delle attrezzature, che causano<br />
un sovraccarico biomeccanico delle articolazioni<br />
ed affaticamento muscolare. Gli addetti alla cucitura<br />
tendono a lavorare in una postura caratterizzata dal<br />
tronco in un costante atteggiamento di flessione. Questa<br />
posizione è conseguente alla necessità di avere un<br />
buon angolo di visione ma dipende anche dalle dimensioni<br />
e dalla disposizione della postazione di lavoro e,<br />
se il lavoro è svolto in posizione seduta, dalle caratteristiche<br />
non ergonomiche della seduta.<br />
• Gli scarsi contenuti e la monotonia del lavoro incrementano<br />
lo sforzo di mantenere la concentrazione e<br />
l’attenzione.<br />
• I ritmi di lavoro talvolta sostenuti con elevata ripetitività.<br />
• La mancanza di autonomia decisionale nel proprio<br />
lavoro.<br />
• Il sovraccarico biomeccanico dell’articolazione con<br />
tempi di recupero inadeguati.<br />
• Il livello inadeguato di formazione per quanto riguarda<br />
i compiti e la sicurezza del lavoro.<br />
• L’alto tasso di azioni richiedenti sforzo fisico e/o torsioni<br />
del tronco.<br />
• Le sedute di lavoro inadeguate per il tipo di compito richiesto<br />
e per gli effetti sulla postura, specialmente per<br />
quanto riguarda la posizione del rachide, spalle e arti<br />
superiori.<br />
• I fattori personali come il tipo di formazione, l’età,<br />
l’addestramento al compito, l’esperienza, la capacità<br />
manuale.<br />
• I fattori ambientali, come la presenza di vibrazioni o<br />
condizioni inadeguate di microclima e illuminazione.<br />
• La movimentazione manuale. La richiesta di sollevamento<br />
e spostamento manuale di carichi anche in postura<br />
assisa.<br />
Le patologie muscolo-scheletriche che si riscontrano più<br />
frequentemente in questo settore lavorativo riguardano: le<br />
spalle ed il collo (a causa delle posture incongrue), l’avambraccio<br />
e la mano (a causa delle azioni ripetitive e richiedenti<br />
sforzo muscolare), il tratto lombare (soprattutto per<br />
posture incongrue e movimentazione manuale di carichi).<br />
Analisi ergonomica della postazione del cucito<br />
Per poter effettuare una valutazione in termini ergonomici<br />
del lavoro in oggetto è stata effettuata un’analisi di alcune<br />
postazioni per macchine da cucire piane e taglia-cuci.<br />
Le postazioni di lavoro in oggetto sono state analizzate<br />
con diversi specifici metodi al fine di individuare eventuali<br />
incongruenze di tipo ergonomico. I fattori dimensionali,<br />
antropometrici e posturali sono stati confrontati coi metodi<br />
suggeriti dalla letteratura per individuare gli elementi di<br />
criticità, ma anche le basi per le ipotesi progettuali.<br />
I metodi utilizzati sono stati:<br />
Strain Index<br />
Owas (Owako Work Posture Analysing System)<br />
3DSSPP (3D Static Strenght Prediction Program)<br />
Confronto dei dati antropometrici con quelli dimensionali<br />
degli arredi<br />
Analisi tramite determinazione dello Strain Index<br />
Questo metodo di analisi ha lo scopo di quantificare, mediante<br />
la determinazione di un indice di strain, il rischio di<br />
contrarre una patologia muscolo-scheletrica a carico dell’arto<br />
superiore, in particolare una sindrome del tunnel carpale.<br />
La postazione osservata è quella di un’operatrice addetta<br />
alla cucitura di pantaloni. Un capo viene completato in circa<br />
60 secondi (con variazioni di 2-3 secondi in più o in meno).<br />
Le variabili analizzate sono state: l’intensità dello sforzo,<br />
la durata dello sforzo, il numero di azioni per minuto,<br />
la postura polso-mano, il ritmo di lavoro e la durata giornaliera<br />
del compito. Dopo l’assegnazione dei punteggi e la<br />
determinazione dei moltiplicatori, è stato calcolato uno<br />
Strain Index pari a 24.3. Tale dato classifica il lavoro come<br />
potenzialmente pericoloso e indica pertanto la necessità di<br />
misure urgenti di tipo correttivo.<br />
Le variabili prese in considerazione dal metodo sottolineano<br />
come una possibile riprogettazione potrebbe prevedere<br />
una riduzione del ritmo lavorativo, anche se le azioni<br />
per minuto non superano le trenta, limite consigliato<br />
dalla letteratura. È importante prevedere congrue pause di<br />
recupero durante il turno di lavoro, e, se la lavoratrice è<br />
d’accordo, l’alternanza con altri compiti che comportino<br />
un differente uso degli arti superiori.<br />
Analisi tramite metodo OWAS<br />
Il metodo OWAS è una tecnica di analisi che valuta la<br />
qualità delle posture, ovvero identifica quelle posture e<br />
quei carichi di lavoro (o sforzi impiegati per compiere<br />
un’azione) che possono causare disturbi muscolo-scheletrici.<br />
Il metodo consiste nell’osservazione diretta delle attività<br />
svolte da un lavoratore addetto ad una determinata<br />
mansione; la valutazione delle posture va effettuata ad intervalli<br />
di tempo fissi e predefiniti. La durata complessiva
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dell’analisi può variare a seconda del tipo di valutazione<br />
che si vuole effettuare. Le posture e l’uso della forza (o carico<br />
di lavoro) vengono classificate con dei numeri in modo<br />
da ottenere un codice finale a cinque cifre; va infatti<br />
compilata una scheda di valutazione che prende in esame i<br />
cinque punti fondamentali dell’analisi: le posture assunte<br />
dalla schiena, l’atteggiamento degli arti, il carico di lavoro<br />
(o uso della forza); la quinta cifra corrisponde alla fase di<br />
lavoro, cioè all’attività svolta dal lavoratore al momento<br />
dell’osservazione. Ogni codice numerico corrisponde poi<br />
ad una delle quattro possibili categorie d’azione (1 = nessuna<br />
misura correttiva, 2 = misure correttive nel prossimo<br />
futuro, 3 = misure correttive appena possibile, 4 = misure<br />
correttive immediatamente), ciascuna delle quali indica<br />
una necessità di intervento correttivo più o meno urgente.<br />
Le postazioni analizzate sono state due e per entrambe<br />
è emerso che è stata assunta una postura corrispondente alla<br />
seconda categoria d’azione per la maggior parte del tempo<br />
dell’osservazione. L’indicazione è quindi quella di apportare<br />
delle misure correttive alla situazione esistente nel<br />
prossimo futuro. È da segnalare che una maggiore esposizione<br />
al compito determina il passaggio alla categoria successiva<br />
(misure correttive appena possibile).<br />
Analisi tramite 3DSSPP (3D STATIC STRENGTH<br />
PREDICTION PROGRAM)<br />
Tale metodo consente di calcolare il carico biomeccanico<br />
sopportato dal rachide nel tratto lombare durante l’assunzione<br />
di determinate posture o il sollevamento manuale<br />
di un carico. La situazione esaminata presenta sia il caso<br />
di posture incongrue sia di movimentazione manuale di<br />
carichi (i tessuti, i capi semilavorati, ecc.).<br />
Sono state esaminate sei posture considerate “tipiche”<br />
del lavoro di cucitura, tratte dalla videoregistrazione di<br />
un’addetta durante un turno di lavoro. Tali posture ricorrono<br />
frequentemente durante il turno di lavoro e vengono ripetute<br />
ad ogni ciclo (un ciclo = un capo di abbigliamento).<br />
I risultati di questa analisi hanno evidenziato che le sei<br />
postazioni in esame, in nessun caso superano il valore del<br />
BCDL (Back Compression Design Limit), che viene considerato<br />
il limite massimo consigliato per la progettazione di<br />
una postazione di lavoro o di una mansione lavorativa. Tre di<br />
queste posture (la prima, la seconda e la sesta) presentano un<br />
valore di compressione doppio rispetto alle altre e vanno pertanto<br />
considerate come le più a rischio per quanto riguarda il<br />
carico biomeccanico. L’analisi è stata effettuata prendendo<br />
come riferimento un soggetto di sesso femminile appartenente<br />
al cinquantesimo percentile. Il calcolo è stato ripetuto,<br />
per quanto riguarda la sesta postura, anche per un soggetto<br />
appartenente al novantacinquesimo percentile. In questo caso<br />
il valore di compressione è aumentato da 169 kg a 257 kg.<br />
I risultati dell’analisi<br />
L’analisi delle postazioni di lavoro ha fatto emergere<br />
una serie di problematiche, che possono essere riassunte in<br />
questo modo:<br />
Dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro:<br />
• mansioni di tipo monotono e ripetitivo<br />
• ritmi e carichi di lavoro talvolta elevati<br />
• scarsa autonomia decisionale<br />
Dal punto di vista delle posture di lavoro:<br />
• assunzione di posture incongrue per periodi prolungati<br />
di tempo<br />
• esecuzione di movimenti rapidi a carico del busto e degli<br />
arti superiori<br />
• frequenti flessioni e torsioni del tronco<br />
• flessione costante del capo<br />
• movimentazione manuale di carichi, anche col tronco<br />
inclinato o in torsione<br />
• sforzi muscolari a carico degli arti superiori<br />
Dal punto di vista della postazione ed ambiente di lavoro:<br />
• livello di illuminazione generale e localizzata insufficiente<br />
• piani di lavoro non regolabili<br />
• posizione della macchina e delle attrezzature comportanti<br />
atteggiamenti posturali incongrui per il tronco e<br />
arti superiori<br />
• scarsa disponibilità di spazio sul piano di lavoro<br />
• scarsa disponibilità di spazio sotto il piano di lavoro<br />
per gli arti inferiori<br />
• superfici con spigoli vivi<br />
• seduta non ergonomica<br />
Foto 1, 2, 3.<br />
Postazioni<br />
1, 2, 3<br />
Foto 4, 5, 6.<br />
Postazioni<br />
4, 5, 6
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:1 75<br />
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Ipotesi progettuali - Un approccio ergonomico<br />
Alla luce delle analisi ergonomiche svolte, sono state<br />
approntate alcune ipotesi progettuali per una postazione di<br />
lavoro ergonomica per il cucito.<br />
La postazione è stata dotata di un piano di lavoro regolabile<br />
in altezza ed inclinazione ed è prevista la possibilità<br />
di alternare la posizione seduta e quella in piedi. Il tavolo<br />
di lavoro assume in questo modo caratteri di massima<br />
adattabilità per ogni lavoratore. Il motore della macchina<br />
da cucire è stato spostato in posizione più arretrata (per<br />
quanto riguarda i vecchi modelli), ma si raccomanda l’adozione<br />
dei nuovi modelli di motore, di dimensioni più<br />
piccole e che quindi non costituiscono un ingombro per gli<br />
arti inferiori. Al di sotto del piano di lavoro è quindi previsto<br />
un congruo spazio anche in relazione all’uso del pedale.<br />
Il piano di lavoro è sufficientemente largo per consentire<br />
l’appoggio dei semilavorati, ma dimensionato in modo<br />
tale da non richiedere l’iperestensione degli arti superiori<br />
per prendere o riporre i materiali. Le superfici di lavoro sono<br />
state dotate di bordi in elastomero al fine di impedire la<br />
compressione dei tessuti degli arti e del tronco. La posizione<br />
del pedale è stata resa regolabile.<br />
La seduta (associata ad un siedi-in-piedi e ad un tappeto<br />
antifatica per alternare le posizioni) è imbottita ed è facilmente<br />
regolabile in altezza. Lo schienale è inclinabile ed<br />
è dotato di supporto lombare regolabile. Le sedute previste<br />
per le postazioni VDT possono essere considerate adatte<br />
anche per questo tipo di lavorazione.<br />
Una cura particolare è stata posta nella possibilità di<br />
composizione delle varie postazioni di lavoro. La conformazione<br />
del piano di lavoro permette infatti di integrare più<br />
postazioni di lavoro tra loro o con ulteriori piani d’appoggio<br />
e nastri trasportatori, in modo tale da seguire il tradizionale<br />
sistema di lavoro “in linea”, ma anche un più moderno<br />
sistema “a squadre”. Un elemento contenitore rotante,<br />
montato su una base ad altezza regolabile, è stato affiancato<br />
alle postazioni in modo tale da poter essere usato<br />
da un solo lavoratore o da un gruppo di lavoratori. Questo<br />
al fine di avere prontamente a disposizione i materiali e gli<br />
utensili, ma senza la necessità di ruotare o flettere il tronco.<br />
I cablaggi elettrici sono stati inseriti direttamente nei<br />
montanti della base del piano di lavoro, mentre il motore<br />
e le cinghie di collegamento sono state dotate di carter<br />
protettivo.<br />
A latere del progetto sono state fornite indicazioni organizzative<br />
per ridurre i rischi da movimenti ripetuti e lo<br />
stress occupazionale.<br />
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