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284 g. fichera<br />
un funzionale f (u) def<strong>in</strong>ito <strong>in</strong> A di cui ϕ[u; α] sia la derivata nel senso di Volterra. Con ciò <strong>in</strong>tendendo che<br />
per ogni u(x) ∈Ae per ogni η(x) tale che u(x) +η(x) ∈A,siabbia<br />
<br />
(2.8) f (u + η) − f (u) = ϕ[u; α]η(α)d α +0(δ)<br />
C<br />
ove è δ = maxα∈C |η(α)|.<br />
Naturalmente si suppone che ϕ[u; α] sia per ogni u funzione cont<strong>in</strong>ua di α <strong>in</strong> C , talché hasenso<br />
l’<strong>in</strong>tegrale al secondo membro di (2.8).<br />
È ovvio come la (2.8) sia ottenuta per passaggio dal f<strong>in</strong>ito all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito dalla (2.7).<br />
La soluzione del problema posto si ottiene con un’ovvia trasposizione dello schema f<strong>in</strong>ito classico<br />
sopra richiamato allo schema <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito funzionale. Si considera, <strong>in</strong>fatti, una curva regolare chiusa Γ del<br />
campo funzionale A di equazione u = u(x; s). Ciò significa che u(α;s) per ogni s ∈ [0;L] appartiene<br />
ad A, riesce u(α; 0) ≡ u(α;L)eu(α;s) è funzione cont<strong>in</strong>ua di s <strong>in</strong> [0;L] assieme a @u(α;s) . Inoltre<br />
<br />
@s<br />
@u(α;s)<br />
C | |<br />
@s<br />
2 d α > 0 per ogni s ∈ [0;L]. Orbene, la condizione perché sussista la (2.8) è che per ogni Γ sia<br />
<br />
(2.9)<br />
ds ϕ[u(x; s); α]<br />
Γ C<br />
@u(α;s)<br />
d α =0<br />
@s<br />
la quale si ottiene dalla (2.5) sostituendo l’operazione «f<strong>in</strong>ita» <br />
<br />
α con quella «<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita» C :::dα. Inoltre,<br />
soddisfatta la (2.9), ogni soluzione del problema si ottiene assumendo<br />
(2.10) f (u) =f (u 0 <br />
)+<br />
Λ(u0;u) <br />
ds ϕ[v(x; s); α]<br />
C<br />
@v(α;s)<br />
d α<br />
@s<br />
con ovvio significato da attribuire ai simboli impiegati (cfr. la (2.6)).<br />
La (2.9) e la (2.10), oltre al loro valore concettuale, hanno anche notevole importanza <strong>in</strong> molti problemi<br />
della Fisica matematica.<br />
Il metodo di Volterra, per quanto suggestivo e ricco di notevoli risultati, ha però<br />
conf<strong>in</strong>i ben precisi, che ne limitano il raggio d’azione e gli impediscono di entrare<br />
nel vivo dei più importanti problemi dell’Analisi funzionale. Infatti, ottenere i risultati<br />
dell’Analisi funzionale da quelli dell’Analisi <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itesimale classica con il passaggio dal<br />
f<strong>in</strong>ito all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, tacitamente presuppone il sussistere del seguente pr<strong>in</strong>cipio: Nulla può<br />
accadere negli spazi di dimensione <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita che già non accada <strong>in</strong> quelli di dimensione f<strong>in</strong>ita.<br />
Tale affermazione è ben lontana dalla realtà! In effetti, i più significativi e profondi<br />
concetti e risultati, relativi agli spazi di dimensione <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita, quali, <strong>in</strong> genere, sono gli<br />
spazi funzionali, non hanno un significativo riscontro <strong>in</strong> quelli di dimensione f<strong>in</strong>ita,<br />
dato che gli uni e gli altri si appiattiscono su concetti e risultati che, passando dalla<br />
dimensione f<strong>in</strong>ita a quella <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita, ammettono almeno due possibilità digeneralizzazione;<br />
di esse il metodo di Volterra porta a considerare la più ovvia e, spesso, la meno<br />
importante. Si pensi ai concetti, fondamentali nell’Analisi funzionale, di compattezza, di<br />
totale cont<strong>in</strong>uità, diconvergenza debole, etc. che nella dimensione f<strong>in</strong>ita co<strong>in</strong>cidono con<br />
quelli di limitatezza e di chiusura, di cont<strong>in</strong>uità, di convergenza ord<strong>in</strong>aria, etc.<br />
Non è <strong>in</strong>utile mostrare come il metodo di Volterra risulti <strong>in</strong>adeguato per poter studiare a fondo taluni<br />
problemi fondamentali dell’Analisi. Ci riferiremo, come esempio, alla equazione <strong>in</strong>tegrale a limiti fissi di<br />
seconda specie<br />
1<br />
(2.11) u(s) +λ K (s; t)u(t)dy = f (s) (0 ≤ s ≤ 1)<br />
0<br />
per la quale supponiamo che K (s; t) sia una funzione dello spazio L 2 [(0; 1) ×(0; 1)], sia f (s) ∈ L 2 (0; 1) e<br />
l’<strong>in</strong>cognita u(s) sia ricercata <strong>in</strong> L 2 (0; 1). Supporremo a valori complessi tutte le funzioni considerate; λ è