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304 g. fichera<br />
fornire condizioni perché, data la trasformazione u ′ = T (u) fra Σ e Σ ′ ed ammesso che, fissato u ′<br />
0 <strong>in</strong> Σ′ esista<br />
u0 <strong>in</strong> Σ tale che T (u0 )=u ′<br />
′<br />
0 , possa affermarsi che esiste tutto un <strong>in</strong>torno I 0 di u′ 0 <strong>in</strong> Σ′ ed un <strong>in</strong>torno I0 di<br />
u0 tali che, per ogni u ′ ∈ I ′<br />
0 , esiste un solo u ∈ I0 tale che T (u) =u′ .Intal caso si ha la <strong>in</strong>vertibilità locale<br />
nell’<strong>in</strong>torno di u0 della trasformazione T .Siricercano poi condizioni atte ad assicurare che la <strong>in</strong>vertibilità<br />
locale di T implichi la sua <strong>in</strong>vertibilità globale o <strong>in</strong> grande, cioè l’esistenza di un unico u <strong>in</strong> Σ tale che<br />
T (u) =u ′ comunque si sia fissato u ′ <strong>in</strong> Σ ′ . Ad esempio, se u ′ = T (u) è una trasformazione di classe C ′<br />
di un campo Σ di Rn ,suuncampo Σ ′ di Rn essa, com’è ben noto, è localmente <strong>in</strong>vertibile nell’<strong>in</strong>torno<br />
di u0 se il determ<strong>in</strong>ante jacobiano det[@T=@u] u = u0 è non nullo. In generale, tale T , anche se localmente<br />
<strong>in</strong>vertibile nell’<strong>in</strong>torno di ogni u0 ∈ Σ, non lo è<strong>in</strong>grande. Questo peròsiverifica, per un classico teorema<br />
di Hadamard, se Σ ′ èaconnessione l<strong>in</strong>eare semplice, se, cioè, due curve che uniscono due qualsiansi punti<br />
u ′<br />
0 e v′ 0 di Σ′ sono omotopiche su Σ ′ (cioè l’una si riduce all’altra con una deformazione cont<strong>in</strong>ua che non<br />
fa mai uscire la curva deformata da Σ ′ ). Questo teorema di Hadamard si estende a spazi assai più generali<br />
di R n , assieme ad altri criteri che fanno seguire l’<strong>in</strong>vertibilità globale di una trasformazione T da quella<br />
locale. 3) Metodi di esistenza del punto unito. Supposto Σ ′ = Σ e considerata la trasformazione T di Σ <strong>in</strong><br />
se stesso, si cerca di dare dei criteri perché esista un punto unito (o fisso) diT , cioè unpunto u tale che<br />
u = T (u). Questo avviene se, supposto Σ uno spazio metrico, si ha per ogni coppia u e v di punti di Σ<br />
distanza (Tu; Tv) ≤ q distanza (u; v) con q <strong>in</strong>dipendente da u; v e0≤ q1) la<br />
varietà l<strong>in</strong>eare V costituita dai δdu (<strong>in</strong> senso debole) di funzioni u ∈ C 0 (S) efece vedere che V co<strong>in</strong>cide<br />
con quella delle funzioni di L p (S) ortogonali alla costante. Dopo aver constatato che V è una varietà chiusa<br />
di L p (S), usando il classico teorema di Hahn-Banach, dimostrò, <strong>in</strong>fatti, che gli unici funzionali l<strong>in</strong>eari e<br />
cont<strong>in</strong>ui <strong>in</strong> L p (S) nulli su V e non identicamente nulli, sono quelli che esprimono l’ortogonalitàdiδdu alla<br />
costante. Riuscì <strong>in</strong>questo <strong>in</strong>tento dimostrando, preventivamente, che se una misura, def<strong>in</strong>ita sui boreliani<br />
di un aperto Ω del piano, è tale che<br />
<br />
∆2udα =0<br />
Ω<br />
per ogni u di C 2 (Ω) con supporto <strong>in</strong> Ω, allora α è assolutamente cont<strong>in</strong>ua ed ha per densità una funzione<br />
armonica <strong>in</strong> Ω. Questo lemma, del 1934, che, quasi contemporaneamente a Caccioppoli, veniva, <strong>in</strong> ipotesi<br />
lievemente differenti, dimostrato <strong>in</strong> U.R.S.S. anche da S.L. Sobolev, fu, nel 1940, riscoperto da H. Weyl<br />
che, tramite esso, provò laregolarità all’<strong>in</strong>terno della soluzione del problema di Dirichlet (6.1), (6.2) (con<br />
g = 0), ottenuta con il suo metodo della proiezione. Oggi esso è, <strong>in</strong>giustamente, <strong>in</strong>dicato nella letteratura<br />
come lemma di Weyl.