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paragone - Montclair State University

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SERVIZI EDITORIALI<br />

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Te!. +39055784221 - Fax +390557333196<br />

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www.<strong>paragone</strong>.it<br />

Prezzi per l'anno 2006<br />

ITALIA ESTERO<br />

Abbonamento annuo € 31,00 € 52,00<br />

Fascicolo singolo € 16,00 € 31,00<br />

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L'abbonamento si intende rinnovato se non disdetto entro il31 dicembre di ogni anno<br />

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• Assegno o assegno internazionale intestato a SERVIZI<br />

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Direttore responsabile:<br />

MINA GREGORI<br />

Autorizzazione Tribunale di Firenze decreto n. 4477 del 25-5-1995<br />

PARAGONE<br />

Rivista mensile di arte figurativa e letteratura<br />

fondata da Roberto Longhi<br />

LETTERATURA<br />

Anno LV - Terza serie - Numero 60-61-62 (666-668-670)<br />

Agosto-Dicembre 2005<br />

SOMMARIO<br />

INFERNI<br />

VITTORIO SERMONTI: Gesualdo considered as a murder - MICHEL JEANNERET:<br />

La tragedia gioca col fuoco - ROSETTA Loy: Il paese del cioccolato - GIACOMO<br />

TRINCI: Stanze del matricida - GIORGIO PRESSBURGER: Nel regno oscuro - MARCO<br />

MARCHI: Baldacci. Perché Tozzi - GIOVANNA ANGELI: Malebolge. La nuova<br />

letteratura francese nell'occhio di Pierre Jourde - ELENA SALIBRA: Postille per un<br />

diario - MARCO ROMANELLI: Febbraio '63 - ROBERT FAJEN: Gli idilli terribili. Su<br />

La paura del cielo di Fleur Jaeggy - MARIO FRESA: Nodo parlato<br />

RICORDANDO PASOLINI<br />

ALDO F. COLONNA: Ricordando Pasolim; e Moravia, e le cose che non ci sono più<br />

ANDREA DINI: Una commedia di borgata<br />

GIORNALE<br />

ROSANNA BETTARINI: I:Inferno di Garboli<br />

APPUNTI<br />

Un libro assente: li più lungo giorno (Laura Gatti) - In margine a L'altra metà di<br />

Luciano Erba (Giuseppe Limone) - Richard Strauss, un mistico senza religione<br />

e senza divinità (Aldo Nicastro)<br />

SERVIZI EDITORIALI


142 ANDREADINI<br />

cioè oggettivarsi in un discorso: in quanto, appunto, sarebbe 'inconcepibile<br />

rivivere un discorso altrui, linguisticamente, senza<br />

averne oggettivato, oltre che la psicologia, anche la particolare<br />

condizione sociale: quella che produce le diversità linguistiche'6.<br />

Per estensione, anche nel discorso diretto, nelle parole dei<br />

personaggi della Commedia, si sarebbe verificato in nuce un<br />

discorso rivissuto, in quanto Dante 'citava' da un altro mondo<br />

linguistico che non era il SUOi. Chiaro, allora, di come Dante si<br />

fosse 'valso di materiali linguistici propri di una società, di una<br />

élite: gergali. Che certamente egli stesso non usava, né nella<br />

sua cerchia poetica, né in quanto poeta. L'uso è dunque mimetico,<br />

e se non si tratta di una vera e propria mimesis vissuta<br />

grammaticalmente, è certo una sorta di emblematico Libero<br />

Indiretto, di cui c'è la condizione stilistica, non quella grammaticale<br />

poi divenuta comune: esso è piuttosto lessicale, e sacrifica<br />

l'espressività tipica del Libero Indiretto all'espressività<br />

derivante dall'omologazione nel tessuto linguistico di chi narra<br />

col tessuto linguistico dei personaggi... '8.<br />

L'interpretazione s'inseriva provocatoria in una lettura politica<br />

del poeta fiorentino volta allo scompiglio dell'acque autocelebrative<br />

e sostanzialmente immobili del centenario (come<br />

aveva del resto fiutato Anna Banti, pronta ad accogliere come<br />

direttrice di 'Paragone' il contraltare delle diverse prospettive<br />

critiche 9 ); tuttavia la vis polemica pasoliniana non rimaneva localmente<br />

strumentale, e il suo cipiglio invettiva si scagliava contro<br />

il linguaggio di scrittori che si servivano di una lingua 'nazionale',<br />

disdegnante l'apporto dei gerghi e dei diversi registri,<br />

che per lui finiva col cancellare proprio quel multiforme sostrato<br />

sociale (ergo, di determinazione economica) che condiziona<br />

gli esiti di una lingua. A promozione di un paradigma<br />

ideologico, Dante veniva ripescato da Pasolini come modello di<br />

un successo politico, come figura d'intellettuale che nella Commedia,<br />

nell'Inferno, non aveva esitato a sporcarsi le mani con i<br />

linguaggi (e l'immaginario) delle diverse classi (specie le subalteme),<br />

portandole alla ribalta. Un Dante, allora, da usare, strumentalizzare,<br />

abitare, contemporaneizzare, rimettere insomma<br />

in circolazione contro letture stantie o conservatrici lO •<br />

Nonostante un preambolo cautelativo di Pasolini sulle accezioni<br />

terminologiche usate nel saggio - che da solo rileva la<br />

UNA COMMEDIA DI BORGATA<br />

143<br />

preoccupazione e lo sforzo concettuale dello scrittore di fronte<br />

alla sua audience accademica ('non si tratta, si capisce, di un vero<br />

e proprio Libero Indiretto, in senso grammaticale. Si può<br />

parlare di un Libero Indiretto simbolico o metaforico: tale da<br />

essere assunto a livello linguistico') -, l'intervento suscitò forti<br />

reazioni proprio per quest'uso disinvolto del concetto di 'discorso<br />

rivissuto', cui Pasolini replicò con la solita ruvidità, in<br />

forma d'attacco all'establishment critico-letterario italiano: 'mi<br />

dispiace di aver turbato con questo i sonni terminologici della<br />

critica universitaria che si dichiara tale. [...] Insisto a dire che il<br />

libero indiretto non può che avere un fondo sociologico, perchè<br />

è impossibile rivivere il discorso particolare di un parlante se<br />

non se ne sia individuata l'estrazione sociale con le sue caratteristiche<br />

linguistiche'!!. Queste polemiche pubbliche e al contempo<br />

private (come ci testimoniano gli epistolari sopravvissuti),<br />

si compendiarono alla comparsa stessa del saggio su 'Paragone'<br />

in una replica ufficiale della redazione, alla firma di Garbali<br />

e Segre. La diatriba al vitriolo finì però per farsi primariamente<br />

terminologica, e oscurò il nodo Dante-Pasolini stesso,<br />

che invece non meritava affatto di essere preso sottogamba.<br />

Quindi, a causa della querelle critica sui saggi e, principalmente,<br />

per la mancanza diretta di prove 'dantesche' maggiori<br />

prima della morte (a parte Salò, la Mimesis è tecnicamente postuma,<br />

e, ovviamente, lo è Petrolio), gli auspici per una valutazione<br />

effettiva del Pasolini studioso o fruitore di Dante non<br />

erano favorevoli, anche all'indomani della pubblicazione della<br />

Mimesis stessa. 'Dal punto di vista critico Pasolini non fu un<br />

dantista': così uno dei primi giudizi complessivi post-mortem,<br />

del 1977, che subito rimuoveva l'importanza dell'apporto pasoliniano<br />

alla 'fortuna' di Dante, scartando i saggi del 1965-66<br />

in cui Dante era esaminato perché 'legati agli interessi prevalentemente<br />

linguistici della critica pasoliniana', e non 'studi<br />

specifici su Dante, quanto ricerca di una conferma, anche in<br />

Dante, dei principi fondamentali della poetica pasoliniana'!2.<br />

Un giudizio che avrebbe fatto scuola.<br />

Negato ogni apporto teorico degli interventi danteschi pasoliniani<br />

(incentrati sull'ideologia linguistica dietro la Commedia),<br />

i corollari critico-interpretativi erano chiari (ma rischiosi):<br />

portavano alla ricerca, nel corpus pasoliniano, non di una 'spina'


I<br />

!<br />

144<br />

ANDREADINI<br />

ideologica e linguistica di matrice dantesca (come fruttuosamente<br />

avrebbe fatto un ventennio più tardi Siti, sincronicamente<br />

e diacronicamente, sui testi ), ma alla tassonomia immediata<br />

di corrispondenze lessicali, ritmico-sintattiche, di citazioni<br />

e luoghi comuni tra testo in esame e archetipo dantesco,<br />

rapportandosi insomma a un bagaglio primariamente (anche<br />

se non esclusivamente) di fonti intese nell'accezione più positivista<br />

del termine. L'accezione di legittimo 'dantismo'- che<br />

avrebbe costituito la traditio critica nella valutazione delle opere<br />

di Pasolini - si riportava nel campo della lettura dotta, nel<br />

campo applicativo dell"influenza' come esclusiva rilevazione<br />

(e censimento numerico) di 'prestiti', senza considerare alcun<br />

aspetto della ricezione (e sfruttamento 'in chiave') di Dante,<br />

alcuna messa a sistema.<br />

Di un'interessante preistoria dantesca di Pasolini testimonia<br />

un complesso 'frammento' narrativo intitolato La mortaccia<br />

(del 1959, pubblicato in Alt' dagli occhi azzurri nel 1965 13 ), incarnazione<br />

embrionale ma sistemica di un' attualizzazione della<br />

Commedia, dove lo scopo attribuito a Dante d"immersione e<br />

[... ] mimesis totale nella psicologia e nelle abitudini sociali dei<br />

suoi personaggi' già veniva esplorato con decisione. Liquidata<br />

spesso dalle ricognizioni critiche che hanno indugiato sulla<br />

prova più muscolosa della Divina Mimesis, La mortaccia resta<br />

invece la prova del nove più cospicua per capire la forza attrattiva<br />

del modello originario e i suoi modi d'impiego. Testo<br />

anch'esso incompleto, cartone indiretto dell'opera 'maggiore',<br />

La mortaccia si pùo contare come esempio precoce di lettura e<br />

fiction reinterpretativa del testo dantesco, visto in quanto 'grande<br />

affabulazione' applicabile ancora oggi al paesaggio contemporaneo.<br />

2. Una Commedia borgatara<br />

I 'frammenti' che inquadrano questa Mortaccia, divisa in<br />

due canti, ritengono i luoghi topici del canto I dell'Inferno,<br />

comprese le immagini delle allegorie dantesche (la via smarrita,<br />

la selva, il colle, le tre fiere, etc.) e dei suoi personaggi (l'homo<br />

viator, la guida); si concludono a piè di un 'carcere', quello di<br />

-L<br />

UNA COMMEDIA DI BORGATA<br />

145<br />

Rebibbia, corrispondente all'incipit del III (con l'iscrizione sulla<br />

porta infernale, l'entrata). Due le novità fondamentali del<br />

recit pasoliniano. Questo palinsesto dantesco è in prosa (un<br />

tentativo di romanzo); inoltre, con efficacia, Pasolini attua un<br />

rovesciamento straniante e parodico del testo di base col mutare<br />

l'artificialità del segno allegorico che lo pervadeva in corrispondenza<br />

diretta e naturale, arrestando cioè alla 'lettera' (che<br />

prevede l'identità di significante e significato) le allegorie di<br />

partenza. Tuttavia, il rapporto eventuale che il lettore stabilisce<br />

con la memoria del testo di Dante, e col suo confronto, necessariamente<br />

ricaricano i frammenti pasoliniani di sovrassensi allegorici,<br />

in una satira al quadrato.<br />

Lo smarrimento nella selva, scontata allegoria del traviamento<br />

morale dell'agens ('Nel mezzo del cammin di nostra vita<br />

/ mi ritrovai per una selva oscura / che la diritta via era smarrita"<br />

In.! I 1_3 14 ), viene allora sostituito dal disorientamento notturno<br />

di una peripatetica, Teresa, in una periferia romana oscura,<br />

fatta di 'baracche' e 'tuguri' dai 'tetti di bandone', contrassegno<br />

di borgate senza luce né speranza. Un luogo riconoscibile<br />

allettare, altrettanto identificabile come il paesaggio archetipico<br />

o forse simbolicamente stereotipo di Dante del primo canto,<br />

ma che a differenza di quello possiede in più coordinate<br />

geografiche precise, marcate da tratti realistici e indirizzi alla<br />

mano ('La catapecchia di Teresa era una dell'ultime, quasi laggiù<br />

in fondo, poco prima dell'arco, verso i depositi della Coca<br />

Cola', p. 592; '[Teresa] imboccò il Mandrione [... ] sotto la muraglia<br />

dell'Acquedotto Felice', p. 591), che lo svincolano dall'universalità<br />

per accentuarne la necessaria identificazione urbana,<br />

nel riconoscimento topografico del possibile inferno (neocapitalistico)<br />

della vita di borgata (frutto degli sventramenti<br />

mussoliniani prima e delle speculazioni edilizie degli anni '50<br />

poi), nella cui cornice si riconoscono i segni danteschi, quel<br />

possibile sovrassenso 'allegorico' appunto sempre leggibile nel<br />

paesaggio fortemente degradato contemporaneo. In questo<br />

adattamento alla modernità dei segnali danteschi, il paesaggio<br />

scelto diviene tacitamente allusivo di una condizione sociale,<br />

che laicamente corrisponde a quella etica di Dante. L'amara<br />

perdizione delle borgate, la miseria nera, l'abbrutimento, la<br />

prostituzione per sopravvivenza, sono gli elementi che l'uomo


I<br />

148<br />

ANDREADINI<br />

'colle' per antonomasia, possibile via salvifica, trasformato però<br />

in un familiare, romanesco 'montarozzo', la cui mappatura precisa<br />

ne svuota il valore simbolico: 'Era quel montarozzo che sta<br />

sulla Tiburtina, dopo il Forte, prima di Tiburtino III, dove stava<br />

a abitare Peppe il Folle. Era un montarozzo che sotto i ragazzi<br />

ci giocavano al pallone, [... J e, arrivati in pizzo, laggiù si<br />

vede l'Aniene, tra i canneti, e dall'altra parte Pietralata' (p.<br />

592). Un colle isolato e oscuro, non certo vestito dai 'raggi del<br />

pianeta / che mena dritto altrui per ogni calle' (I 17-18), simmetricamente<br />

opposto all'omologo dantesco anche per 'l'ora del<br />

tempo' (143) che non è 'cagione' di 'bene sperar' (141):<br />

... era notte alta: non soffiava un fiato di vento: non c'era neanche<br />

una luce, si vede c'era una interruzione alla centrale elettrica, non una luce,<br />

nè sulla Tiburtina, nè dietro la borgata [...l Tutto scuro, morto. E<br />

neanche una voce. [.. .J E il montarozzo, detto il monte del Pecorara, lì davanti,<br />

era alto che pareva una montagna, [...J nell'oscurità, senza un filo di<br />

vita. "Ma indò me trovo, qua, vaff. .. !" pensava Teresa, che già parlava da<br />

sola, con uno spagheggio che tremava. Camminò lì nello spiazzio giallo,<br />

verso la gobba del monte: e si sarebbe messa a strillare, se non avesse<br />

avuto paura che fosse peggio. (p. 592)<br />

Un colle intimidatorio ('era alto che pareva una montagna')<br />

che tradisce subito le poche speranze di salvezza di Teresa<br />

spaesata ('Camminava camminava, tutta col culo stretto, pora<br />

creatura, senza sapere dove andare', p. 592) e spaventata da<br />

tre cagnacci (' ...quand'ecco che, daje!, da dietro una gobba<br />

del monte si pararono, colla bava alla bocca, tre canacci lupi,<br />

abbaiando da torcersi i polmoni, secchi allampanati, con le code<br />

dritte sulle cosce spelate e piene di rogna', p. 592), numericamente<br />

e domesticamente corrispondenti alle tre fiere dantesche,<br />

spogliate di ogni esoticità, con l'appiattimento referenziale<br />

sulla realtà di borgata dove i randagi pullulano impuniti:<br />

'Chissà, erano forse scappati da qualche casale, alle Messi d'Oro,<br />

dietro il monte, lungo l'Aniene: o avevano sentito qualche ladro<br />

morto di fame' (p. 593). A questa situazione, Teresa reagisce<br />

come il pellegrino Dante all'ingresso della selva, perdendo la<br />

voce, facendosi dominare da un'esplicita 'paura' qui rovesciata<br />

in paura fisica, carnale, che dal'culo stretto' si emana a tutta la<br />

sua persona: 'Adesso ce l'avevano con Teresa: e queste se ne<br />

UNA COMMEDIA DI BORGATA 149<br />

stette lì ferma; coi capelli dritti in testa, e il sangue che gli s'era<br />

gelato. Strillare non poteva, tanta era la paura. Le usciva come<br />

una lagna dalla strozza, nemmeno quella' (p. 593). Lo schema<br />

affabulatorio dantesco viene mantenuto nelle coordinate più<br />

immediate, e così ne è il linguaggio, quotidiano, rivissuto dal romanesco<br />

di Pasolini (quel'culo stretto', 'pora creatura', il 'daje',<br />

il 'cioccare', la 'lagna' e la 'strozza', secondo la teorizzazione del<br />

'libero indiretto' visto in Dante).<br />

La scelta dei protagonisti gioca coi nomi o con i significati<br />

dei nomi: l'idea basilare del poema dantesco, dell'homo vz'ator,<br />

genera una passeggiatrice, con tutte le conseguenze letterali<br />

che calzano sull'interpretazione allegorica del traviamento dantesco.<br />

Una prostituta che si perde: un personaggio, cioè, che<br />

non solo si è allontanato dalla diritta via a principio, che si è<br />

smarrita, in quanto peccatrice, rispetto alla società a causa del<br />

suo mestiere; qui si smarrisce sul serio, in un gioco linguistico<br />

che si fa struttura del testo. Il canto I s'interrompe, infatti, con<br />

una linea che attraversa lo spazio bianco della pagina, tra il<br />

tentativo di ritorno a casa di Teresa e l'inizio della sua avventura<br />

dantesca. Una situazione d'apparente impasse critica, specie<br />

se ripercorriamo le coordinate del testo, il quale improvvisamente<br />

diventa inconseguente: come si è persa, difatti, Teresa?<br />

Come si trova, d'un tratto, così lontana da casa? Il testo l'aveva<br />

in precedenza lasciata quasi alla porta di casa, nel vicolo buio<br />

dei tuguri che le reclama il domicilio. Come può trovarsi ora davanti<br />

a un monterozzo d'indubbia identità, in un luogo che pare<br />

e non pare conoscere, e come, in ultimo, può decidere la salita<br />

del monte, quando attorno a lei appaiono fermate dei bus<br />

('Lì c'era la fermata degli autobus, il 109 che voltava giù verso il<br />

centro di Tiburtino, il 211 , il 213 che seguitavano verso Ponte<br />

Mammolo e San Basilio, e pure i pulman che andavano a Tivoli...<br />

', p. 593), piazzali, luoghi noti e (presumibilmente) meno<br />

minacciosi?<br />

La struttura, o 'sintassi', della storia si fa per un momento<br />

singhiozzante o inconseguente. Questa apparente e misteriosa<br />

scoordinatezza, che perplessità può causare nel lettore, è però<br />

un colpo basso di Pasolini, che volge letteralmente in narrazione<br />

la spiegazione dantesca dello smarrimento nella selva: 'lo<br />

non so ben ridir com'i' v'intrai, / tant'era pien di sonno a quel


l'II<br />

l'<br />

.II<br />

, "<br />

I<br />

150<br />

ANDREADINI<br />

punto / che la verace via abbandonai' (I 10-12). La cesura grafica<br />

della pagina, tra Teresa che torna a casa e l'immagine del<br />

monte e dello smarrimento (corrispondente, nei fatti, a un lungo<br />

brano cassato dal dattiloscritto originale, di cui si discute più<br />

sotto), muta le carte in tavola; e la terzina dantesca si consustanzia<br />

nel dialogo mentale di Teresa ('Ma indò me trovo, qua,<br />

vaff... !', p. 592), la quale, più che perplessa dal luogo, è resa<br />

perplessa dalla situazione da incubo, da questa sua entrata in<br />

una peculiare twilight zone. E forse in quest'incubo vero o presunto<br />

è la risposta: se il viaggio dantesco è visione, è sogno, un<br />

'itinerarium mentis in Deum', Pasolini accentua proprio il ruolo<br />

del sonno (letterale) col proposito di riflettere una dimensione<br />

onirica. Dimensione nella quale ogni tipo d'incontro è<br />

lecito e permesso, ogni tipo di sintassi logica deve re-inventare<br />

le proprie coordinate, e le immagini arrivano alla superficie<br />

portando le stigmate di timori e paure (il carcere per Teresa,<br />

spada di Damocle presente nella vita di una prostituta post­<br />

Merlin).<br />

La parte espunta dall'originale dattiloscritto nel passaggio<br />

alla stampa 15 include riferimenti espliciti alla Commedia e a<br />

Dante, che svelano l'origine dell'incubo (propriamente detto) di<br />

Teresa, la quale, tornata a casa, nell'approntarsi al talamo e al<br />

sonno ristoratore caccia dalla borsa<br />

.. , 'La Divina Commedia' illustrata, a fumetti, tutta ciancicata, che<br />

s'era fatta dare da un cliente suo [...J. Siccome Teresa era fin da ragazzina<br />

che sentiva parlare di questo libro, se l'era fatto prestare, per levarsi una<br />

curiosità, e durante la giornata, battendo sotto un sole che levava i sentimenti,<br />

s'era letto tutto l'Inferno. Era un libro gaiardo proprio, mica so lo<br />

credeva, li mortacci sua! (e. 3)<br />

Pasolini volutamente taglia i riferimenti troppo scoperti<br />

per lasciare l'episodio sul filo del sogno cassando la pericope<br />

che palesemente rivelerebbe al lettore la natura della storia di<br />

Teresa, l'incubo:<br />

Come si fu appennicata, cominciò d'acchito a sognare: mannaggia alla<br />

Divina Commedia, aòh, e a chi gliela aveva data, quel martufagno tubercoloso<br />

morto di fame zappaterra, lui e l'anima de li mortacci sua! Il sogno<br />

che fece, l'incubo! A trentacinqu'anni ancora non c'era arrivata, che<br />

non ne aveva manco trenta, ma era come se n'avesse sessanta: altro che<br />

UNA COMMEDIA DIBORGATA<br />

mezza foja s'era magnata, ormai! E, insomma, dai questo dai quell'altro, in<br />

mezzo alla selva dei peccati ci stava, e ecchela là! Veramente non era nella<br />

selva: era quel montarozzo. (e. 4)<br />

Nel passaggio alla stampa i riferimenti diretti al testo dantesco<br />

spariscono, non più in 'citazione', ma mediati dalla narrazione:<br />

non importa che Teresa non abbia raggiunto 'il mezzo<br />

del cammin di nostra vita' - identificato coi trentacinque anni di<br />

Dante - se pure si stia 'in mezzo alla selva dei peccati', selva che<br />

diviene comunque subito il 'montarozzo', e da cui Pasolini farà<br />

essenzialmente partire la seconda parte del canto L Un'indicazione<br />

a penna rossa sul margine del dattiloscritto, relativa a<br />

questa pericope ('preparare il sogno chiaramente') viene dunque<br />

disattesa, o comunque la preparazione al sogno è resa implicita<br />

dall'incipit peculiare nella prima pagina del racconto,<br />

dedicato al sonno che, appunto, sogni suggerisce ma non determina.<br />

L'astuzia compositiva pasoliniana si scopre tutta nella<br />

riga di sospensione coincidente con l'espunzione, e maggiormente<br />

perché questa parte finale cassata, se lasciata intatta, ridurrebbe<br />

l'intero episodio al semplice incubo, privandolo di un<br />

effetto-sorpresa,<br />

In linea con l'archetipo dantesco, rimane conservato nel testo<br />

pasoliniano il riferimento al tentativo di salita del colle e al<br />

suo fallimento, allo scivolamento 'in basso loco' (161), al quale<br />

segue l'incontro come da manuale di una Teresa 'che piange e<br />

s'attrista' (I 57) con un peculiare salvatore:<br />

Poi piano piano, facendo finta di niente, sempre coi capelli dritti, fece<br />

qualche passo verso il monte, guardando i cani, e, come quelli pareva<br />

che ancora sbranarla e divorarsela viva non ci pensassero, cominciò a salire:<br />

ma non ce la faceva, perché la scesa del monte era tutta una melma, ci<br />

si poteva sciare, e come puntava il piede per arrembarsi, questo le scivolava<br />

e le tornava giù più in basso di prima. Stette lì un bel pezzo, a cercare<br />

di salire su per quello scivolo di fanga nera: e piangeva, piangeva, s'insozzava<br />

tutta. (p. 593)<br />

L'incontro di Teresa con un imprevisto coadiuvante - in cui<br />

scopriamo l'Alighieri stesso - è una piccola commedia degli<br />

equivoci che finemente gioca sulle attese del lettore e sulla sua<br />

memoria della situazione dantesca: 'Poi, verso sinistra, sentì<br />

151


Il Il<br />

152 ANDREADINI<br />

..<br />

1<br />

Il...' 111. .<br />

Il<br />

una voce che la chiamava, che diceva: "Aòh". Si voltò, con le<br />

mani a terra contro la fanga, a pecoroni come si trovava, e<br />

iii<br />

guardò da quella parte. C'era un'ombra, un'ombra che non si<br />

capiva bene chi era. Stava ferma, e guardava verso di lei. [... J<br />

,i Ili: L'ombra stava proprio lì accanto alla fermata degli auti, contro<br />

J<br />

il Bar Duemila' (p. 593). Teresa corruga la fronte, tenta di capire<br />

chi 1'ombra sia, e, come l'archetipo Dante con Virgilio nel<br />

\<br />

canto I, cerca la risposta d'identità all'interno del dominio della<br />

sua conoscenza, cioè, qui, nel cerchio della propria esperieni,i<br />

za di prostituta. Per questa moderna traviata, quello che sco­<br />

il,<br />

priremo a posteriori come l'integerrimo Poeta può diventare un<br />

cliente:<br />

\,i .<br />

1<br />

li: l<br />

Non riusciva a svagare s'era un cliente, di quelli che arrivano con la<br />

macchina, a San Sebastiano, e non vogliono farsi riconoscere, o perchè so­<br />

'III no sposati, o perché sono viziosi; qualcuno sadico, magari, che gli piace veil<br />

'il<br />

dere il sangue, qualcuno che invece vuoI fare tutta una messinscena, con la<br />

i I donna che deve far finta di non conoscerlo e farsi trovare ignuda col di<br />

'1,,1 ,. dietro di fuori in qualche posto della casa, e via dicendo. Oppure se si trat­<br />

,i!1 1, tava invece di qualcuna di quelle persone importanti che s'incontrano<br />

11<br />

1 o<br />

l.'1 .<br />

',i,<br />

l:,<br />

andando per gli uffici a fare le carte. Oppure un dottore di San Gallicano,<br />

magara... un commissario di polizia! (p. 594)<br />

Il rapporto di filiazione delle figure dal modello originale<br />

viene preservato: il metro della poesia detta l'incontro Dante­<br />

l,i' Virgilio, che si riconoscono attraverso le rispettive, e comuni,<br />

l'<br />

professioni ('Poeta fui, e cantai di quel giusto / figliuol d'Anchise';<br />

'Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore', I 73-74 e 85); il<br />

metro del meretricio l'incontro Teresa-Dante, qui, dapprima,<br />

" I giustamente ombra misteriosa, come ombra d'uomo era il Viri<br />

gilio dantesco ("'Miserere di me" gridai a lui / "qual che tu sii,<br />

i, od ombra od amo certo!"', I 65-66). Quel Dante moralmente<br />

IJl<br />

Il intransigente e descrittore di pene e contrappassi, diventa un<br />

,i<br />

ipotetico cliente vizioso, sadico, a cui piace il sangue. La com­<br />

media dell'incontro preserva in filigrana il sospettato riconoscimento<br />

(dall'originale dantesco) di una persona importante,<br />

li cliente laureato, 'dottore' o più modernamente 'commissario',<br />

,I<br />

comunque un'auctoritas, resa di nuovo elemento parodico per<br />

li<br />

I .1<br />

lo spostamento dei campi semantici.<br />

La 'vergognosa fronte' (I 81) del risultato dell'incontro<br />

III<br />

I<br />

i:'<br />

;11<br />

'II<br />

1<br />

..-..<br />

UNA COMMEDIA DI BORGATA<br />

153<br />

Dante-Virgilio è mantenuta nella soggezione di Teresa ('a Teresa<br />

venne una tremarella e una soggezione', p. 594) perché anche<br />

una prostituta, nella sua vera o presunta ignoranza, non può che<br />

riconoscere Dante Alighieri, nella severità di quell'uomo non<br />

tanto alto di statura, secco, con la fronte sporgente, un naso a<br />

becco, e le labbra strette, che, si capiva, non ridevano mai' (p.<br />

594), giudice morale di vizi che si affaccia sulla scena secondo il<br />

ritratto canonico della vulgata popolare. Un fiorentino Dante<br />

ora personaggio che reclama l'attenzione con un tipico, romanesco<br />

'Aòh'; un Dante sbrigativo che si erge a virgiliano soccorso<br />

come da palinsesto, aiutando Teresa non metaforicamente:<br />

' ... come le fu vicino, quello là la prese per un braccio, e,<br />

aiutandola a sollevarsi, le fece: "Vieni!", allora a Teresa venne<br />

una tremarella e una soggezione che quasi si sturbava, perchè<br />

l'aveva riconosciuto' (p. 594). Secondo il dettato letterale che<br />

governa la riscrittura, Dante-Virgilio, con funzione di vero coadiuvante<br />

narrativo, trae la donna dagli impicci in cui s'è cacciata<br />

('la prese per un braccio [... J aiutandola a sollevarsi', p.<br />

594). Cui fa seguito una formula tipica dantesca, l"Allor si mosse<br />

e io li tenni dietro' (In! I 136), che in questa rivisitazione trova<br />

ancora la sua fonte in Dante che, silenzioso, timoroso, tiene<br />

dietro a Virgilio (così Teresa, 'muta come una cella, guardandolo<br />

quasi piangendo per la timidezza, gli andò appresso'), in<br />

un rapporto che viene a configurarsi come piena urgenza; un<br />

Dante che infatti qui incomincia subito 'a pedalare di buon<br />

passo, sempre con Teresa dietro come un cane', 'zitto [... J con<br />

Teresa alle tacche' (e si notino le espressioni colloquiali con<br />

cui si sottolinea lo stare dietro di Teresa, la sua assoluta dipendenza),<br />

i due 'lesti lesti' per la campagna romana in direzione di<br />

un luogo da rivelarsi in seguito Rebibbia.<br />

Auctoritas in quanto già visitatore dell'oltretomba, Dante<br />

diventa il personaggio-guida, sostituendosi a Virgilio. Il 'tema'<br />

della guida che tanta importanza avrà nella Divina Mimesis viene<br />

qui mostrato di sbilenco, con questa figura archetipa d'intellettuale<br />

tra le rovine delle borgate, che mostra la strada (punitiva,<br />

penitenziale ma anche di conoscenza) alla prostituta. Il<br />

testo si conclude appunto sulla soglia del carcere, per scelta o<br />

accidente; la strada che Dante indica non porta a nessun riscatto:<br />

nell'incubo di Teresa, il coadiuvante l'indirizza sulla via


156 ANDREADINI<br />

La mortaccia è capitale per il posto che occupa all'interno<br />

della cronologia delle opere dell'autore, come si diceva in apertura,<br />

per 1'anticipazione pratica delle teorie sul discorso rivissuto<br />

dei personaggi danteschi, sulla 'mala mimesi' o 'coscienza sociologica'<br />

in gioco nella narrazione (teorizzazione esplicita che<br />

prenderà ancora cinque, sei anni a venire alla luce, in parte<br />

forzata dalla polemica su 'Paragone'). Fin dal1'incipit, la narrazione<br />

si trova sul piano di Teresa, delle sue possibilità linguistiche,<br />

e ricalca fedelmente modi di dire e sintassi tipica del romanesco,<br />

con intenzioni parodiche.<br />

Tuttavia, esaurire il frammento all'interno della parodia sarebbe<br />

fuorviante: il testo pasoliniano, come abbiamo mostrato,<br />

è anche una lettura critico-interpretativa dei primi canti infernali,<br />

e sintomo della necessità di narrare (dantescamente) il<br />

mondo contemporaneo.<br />

Con gli anni '60 inizia a consumarsi in Pasolini una crisi,<br />

una progressiva sfiducia verso la storia, la letteratura, la società<br />

che in essa si riflette, e Dante, il 'reazionario' Dante, così moralmente<br />

intransigente, non può che diventare l'eroe con cui<br />

identificarsi in primo luogo ideologicamente, prima che semplice<br />

riferimento di sperimentalismo stilistico. Quattro anni<br />

soltanto separano i testi della Mortaccia e della Mimesis (1'esperimento<br />

di più largo respiro); ma, per la biografia pasoliniana<br />

e la storia italiana da essa riflessa, di fatto appartengono a<br />

due epoche tra loro non più conciliabili.<br />

L'agens dantesco, con la sua biografia di auctor e vz'ator,<br />

reinterpretato negli anni del boom economico, del consumismo<br />

neo-capitalista, non potrà che diventare il modello cui Pasolini<br />

tenderà naturaliter. E paradossalmente, non in quanto<br />

letterato ma in quanto politico, non per un discorso 'personale'<br />

ma per un discorso il più possibile oggettivo, dove 'lingua' e<br />

'lingua letteraria' si confronteranno, smosse da Pasolini, con la<br />

drammatica Divina Mimesis, dall'interno della palude neocapitalista.<br />

Nella Mimesis, Pasolini si sbarazzerà di personaggi intermediari,<br />

come Teresa la prostituta, e si sostituirà al pellegrino<br />

Dante, e prenderà ancora se stesso, sdoppiandosi e raddoppiandosi,<br />

come novello Virgilio, a ruolo di guida tra le macerie<br />

delle speranze del dopoguerra, in una società italiana epitome<br />

della società industriale. La passeggiata dantesca l'assumerà<br />

----<br />

--l<br />

UNA COMMEDIA DI BORGATA<br />

adesso in prima persona, come intellettuale italiano che affronta<br />

la corruzione del tempo, che sfida se stesso e i propri compromessi<br />

(col potere dell'establishment letterario, con la mercificazione<br />

della letteratura) e che deve purificarsi, almeno intellettualmente,<br />

per sferzare (ancora dantescamente) le coscienze:<br />

'Questo tuo grido farà come vento, / che le più alte cime più<br />

percuote; / e ciò non fa d'onor poco argomento' (Par. XVII,<br />

133-135).<br />

E che quest'epitaffio paradisiaco s'abbia a monito pasoliniano<br />

per un'immagine di ciò che la letteratura dovrebbe essere:<br />

coraggio e denuncia, con Dante il grande 'esiliato' come<br />

corrispettivo del poeta che ha il coraggio di porsi fuori dal 'sistema',<br />

che sceglie la via dolorosa della non-integrazione, quando<br />

1'appartenenza al sistema significhi ipocrisia e compromesso,<br />

che dunque non possa essere accompagnata da eticità. Pasolini<br />

ritrovava se stesso in questa prima grande figura di intellettuale<br />

italiano: un Dante anche storicamente inteso e rivissuto come<br />

dissidente-modello nelle vicende storico-politiche italiane degli<br />

anni Sessanta, del trasformismo e corruzione del Potere e dell'Opposizione,<br />

da raccontare nella Divina Mimesis.<br />

NOTE<br />

l A. Quondam, A proposito d'idelit/tà nazionale, di Petrarca e di Dante, in Petrarca,<br />

l'italiano dimenticato, Milano, Rizzoli, 2004, p. 57.<br />

2 I tre saggi, raccolti da Pasolini in Empirismo eretico, nel 1972, si leggono<br />

adesso in P. P. Pasolini, Saggi sulla lettemtura e sull'arte, a cura di W Siti e S. De<br />

Laude, Milano, Mondadori, 1999, t. I, pp. 1345-1399. Indispensabili per comprendere<br />

il dibattito critico accompagnatosi alla pubblicazione dei saggi le note ai<br />

testi (in P. P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull'arte, cit., t. II, pp. 2946-2955).<br />

3 Si tengano presente, per questo ri-esame, il saggio seminale di Z. Baranski,<br />

The Power 0/ In/luence: Aspects 0/ Dante's Presence in Twentieth-Ceutury Italian<br />

Culture in 'Strumenti critici' 3 (1986), pp. 343-376 e i contributi di L. Scorrano,<br />

Presenza verbale di Dante nella letteratura italiana del Novecento, Ravenna, Longo,<br />

1994; nel caso di Pasolini, un ritratto complessivo dell'impegno 'dantesco' è stato<br />

tracciato da S. Titone, Cantiche del Novecento. Dante nell'opera di Luzi e Pasolini,<br />

Firenze, Olschki, 2001.<br />

4 Cfr. per questa rivisitazione l'intero, notevole volume di A. Quondam, Petrarca,<br />

l'italiano dimenticato, cit.<br />

5 P. P. Pasolini, Intervento sul discorso libero indiretto, cit., p. 1352.<br />

l· P. P. Pasolini, La volontà di Dante a essere poeta, cit., t. I, p. 1376.<br />

7 'Prima di tutto, i discorsi diretti di Dante, quelli chiusi tra virgolette, impli­<br />

157

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