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<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong><br />

Paolo Bouquet - Francesca Delogu<br />

IL PROBLEMA DEL CONTESTO:<br />

LINGUAGGIO, RAPPRESENTAZIONI, CONOSCENZA.<br />

Versione 1.0<br />

<strong>Linee</strong><br />

<strong>di</strong><br />

<strong>Ricerca</strong><br />

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia<br />

Rivista elettronica <strong>di</strong> filosofia - Registrazione n. ISSN 1126-4780


AUTORI<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> – SWIF<br />

Coor<strong>di</strong>namento E<strong>di</strong>toriale: Gian Maria Greco<br />

Supervisione Tecnica: Fabrizio Martina<br />

Supervisione: Luciano Flori<strong>di</strong><br />

Redazione: Eva Franchino, Federica Scali.<br />

Paolo Bouquet [bouquet@<strong>di</strong>t.unitn.it] è professore <strong>di</strong> informatica presso la Facoltà <strong>di</strong> Economia dell'Università<br />

<strong>di</strong> Trento. Ha conseguito la laurea in Filosofia presso l'Università <strong>di</strong> Milano (1992) e il dottorato il Filosofia della<br />

Scienza presso l'Università <strong>di</strong> Genova (1997). Nel 1998 è stato Visiting Research Fellow della Royal Society of<br />

E<strong>di</strong>nburgh (Scozia). I suoi interessi <strong>di</strong> ricerca si concentrano essenzialmente sulla formalizzazione della nozione<br />

<strong>di</strong> contesto e <strong>di</strong> ragionamento contestuale, sul problema degli in<strong>di</strong>cali, sul problema del ragionamento su credenze,<br />

sui rapporti tra linguaggio e conoscenza, sullo sviluppo <strong>di</strong> ontologie formali. Recentemente, ha trasferito parte del<br />

proprio lavoro teorico nello sviluppo <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> e tecnologie per il Semantic Web. Ha pubblicato una monografia<br />

su Contesti e Ragionamento Contestuale. Il problema del contesto in una teoria della rappresentazione della<br />

conoscenza (1998) e articoli su riviste internazionali come Epistemologia, Artificial Intelligence, Journal of Pragmatics,<br />

Journal of Experimental and Theoretical Artificial Intelligence, Fundamenta Informaticae, Journal of Web Semantics.<br />

È stato tra i promotori della International and Inter<strong>di</strong>sciplinary conference on CONTEXT (giunta alla quinta e<strong>di</strong>zione<br />

nel 2005), ha organizzato numerosi workshop e simposi internazionali e a curato il numero monografico de<strong>di</strong>cato<br />

al Semantic Web della rivista elettronica Networks, e<strong>di</strong>ta dallo SWIF.<br />

Francesca Delogu [f_delogu@hotmail.com] ha conseguito la laurea in filosofia presso l’Università degli Stu<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> Trieste nel 2002 e attualmente frequenta la Scuola <strong>di</strong> Dottorato in Scienze della Cognizione e della Formazione<br />

presso l’Università degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Trento. I suoi interessi <strong>di</strong> ricerca si concentrano particolarmente sul tema della<br />

presupposizione e del suo ruolo nella comprensione testuale. Ha partecipato, presentando relazioni, a workshop e<br />

convegni nazionali e internazionali, tra i quali: Convegno SIFA 2004 (Genova, 23-25 Settembre 2004) e 9th<br />

International Pragmatic Conference (Riva del Garda, 10-15 Luglio 2005).<br />

La revisione e<strong>di</strong>toriale <strong>di</strong> questo capitolo è a cura <strong>di</strong> Gian Maria Greco.<br />

LdR è un e-book, inteso come numero speciale della rivista SWIF. È e<strong>di</strong>to da Luciano Flori<strong>di</strong> con il coor<strong>di</strong>namento e<strong>di</strong>toriale<br />

<strong>di</strong> Gian Maria Greco e la supervisione tecnica <strong>di</strong> Fabrizio Martina.<br />

LdR - <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> è il servizio <strong>di</strong> Bibliotec@SWIF finalizzato all’aggiornamento filosofico. LdR è un e-book in progress,<br />

in cui ciascun testo è un capitolo autonomo. In esso l'autore o l'autrice, presupponendo solo un minimo <strong>di</strong> conoscenze <strong>di</strong> base,<br />

fornisce una visione panoramica e critica dei temi principali, dei problemi più importanti, delle teorie più significative e degli<br />

autori più influenti, nell'ambito <strong>di</strong> una specifica area <strong>di</strong> ricerca della filosofia contemporanea attualmente in <strong>di</strong>scussione e <strong>di</strong><br />

notevole importanza. Il fine è quello <strong>di</strong> fornire al pubblico italiano un'idea generale su quali sono gli argomenti <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> maggior<br />

interesse nei vari settori della filosofia contemporanea oggi, con uno stile non-storico, accessibile ad un pubblico <strong>di</strong> filosofi non<br />

esperti nello specifico settore ma interessati ad essere aggiornati.<br />

Tutti i testi <strong>di</strong> <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> sono <strong>di</strong> proprietà dei rispettivi autori. È consentita la copia per uso esclusivamente personale.<br />

Sono consentite, inoltre, le citazioni a titolo <strong>di</strong> cronaca, stu<strong>di</strong>o, critica o recensione, purché accompagnate dall'idoneo riferimento<br />

bibliografico. Per ogni ulteriore uso del materiale presente nel sito, è fatto <strong>di</strong>vieto l'utilizzo senza il permesso del/degli autore/i.<br />

Per quanto non incluso nel testo qui sopra, si rimanda alle più estese norme sui <strong>di</strong>ritti d’autore presenti sul sito Bibliotec@SIWF,<br />

www.swif.it/biblioteca/info_copy.php.<br />

Per citare un testo <strong>di</strong> <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> si consiglia <strong>di</strong> utilizzare la seguente notazione:<br />

AUTORE, Titolo, in L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006, ISSN 1126-4780, p. X, www.swif.it/biblioteca/lr.


1 Introduzione<br />

SWIF – <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong><br />

Il problema del contesto:<br />

linguaggio, rappresentazione, conoscenza ∗<br />

Paolo Bouquet e Francesca Delogu<br />

Versione 1.0<br />

Se c’è un tema che è trasversale a tutte le <strong>di</strong>scipline che – a vario titolo –<br />

si occupano <strong>di</strong> linguaggio, conoscenza e rappresentazione, questo è il proble-<br />

ma del contesto. Ma, forse proprio per la sua trasversalità, il problema del<br />

contesto sembra sfuggire a ogni tentativo <strong>di</strong> darne una precisa definizione.<br />

Così, in ambiti <strong>di</strong>versi troviamo usi della nozione <strong>di</strong> contesto apparentemente<br />

molto eterogenei, <strong>di</strong>fficili da confrontare, a volte apparentemente scorrelati<br />

o persino incomparabili. Per esempio, Frege nel suo ben noto principio del<br />

contesto sostiene che il significato <strong>di</strong> una parola <strong>di</strong>pende dal contesto (Zusam-<br />

menhang) dell’enunciato in cui occorre; alcuni filosofi del linguaggio, tra cui<br />

∗ Ringraziamo <strong>di</strong> cuore Marina Sbisà per i prezioni commenti e le dettagliate ciritiche<br />

che ci ha fatto avere sulle versioni preliminari <strong>di</strong> questo saggio, delle cui tesi tuttavia gli<br />

autori sono interamente responsabili.<br />

963


P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 964<br />

Lewis e Kaplan, vedono il contesto come l’insieme dei fattori extra-linguistici<br />

che contribuiscono a determinare il significato <strong>di</strong> una certa espressione usata<br />

in una determinata occasione; Sperber e Wilson come l’insieme delle premes-<br />

se usate nell’interpretazione <strong>di</strong> un certo enunciato; in Intelligenza Artificia-<br />

le, McCarthy definisce il contesto come l’insieme delle assunzioni implicite<br />

che “qualificano” la verità <strong>di</strong> una formula (o insieme <strong>di</strong> formule), mentre<br />

Giunchiglia lo definisce come il sottoinsieme della conoscenza che un agente<br />

utilizza per ragionare su un certo problema; infine, in psicologia cognitiva,<br />

Kokinov caratterizza il contesto come l’insieme delle entità che influenzano<br />

il comportamento <strong>di</strong> un sistema cognitivo in una particolare situazione.<br />

Data la vastità delle tematiche coinvolte, in questo saggio ci focaliz-<br />

zeremo su un solo aspetto del problema del contesto: capire quale sia il suo<br />

ruolo nel determinare il significato <strong>di</strong> una certa espressione linguistica, sia<br />

essa usata per comunicare un certo contenuto tra due o più agenti, sia essa<br />

usata per rappresentare parte <strong>di</strong> ció che un agente crede o sa del proprio<br />

ambiente. Con il concorso <strong>di</strong> varie <strong>di</strong>scipline – la filosofia del linguaggio,<br />

l’epistemologia (nel senso <strong>di</strong> teoria filosofica della conoscenza), l’Intelligenza<br />

Artificiale (IA), la psicologia cognitiva e la linguistica, l’obiettivo è quello <strong>di</strong><br />

dare una spiegazione sistematica (a) <strong>di</strong> come il linguaggio possa essere usato<br />

per rappresentare e comunicare la conoscenza che un agente ha sul mondo e<br />

(b) <strong>di</strong> come la conoscenza rappresentata me<strong>di</strong>ante tale linguaggio possa es-<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


965 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

sere utilizzata per inferirne <strong>di</strong> nuova me<strong>di</strong>ante ragionamento. Questo saggio<br />

non ha un intento principalmente storico, <strong>di</strong> rassegna delle principali teorie<br />

sviluppate a partire da Frege, quanto piuttosto concettuale, ovvero <strong>di</strong> rico-<br />

struzione <strong>di</strong> un percorso logico che – a nostro avviso – si può ravvisare nello<br />

sviluppo delle teorie e degli approcci al problema del contesto. Prendendo a<br />

prestito una terminologia usata da David Kaplan (1989), tale sviluppo parte<br />

da una visione che possiamo chiamare metafisica del contesto, in cui cioè il<br />

contesto è visto come parte della struttura logica del mondo rispetto a cui<br />

un certo linguaggio viene interpretato, e si è evoluta sempre più verso una<br />

visione cognitiva, che cioè vede il contesto come parte della struttura men-<br />

tale dell’agente la cui conoscenza un certo enunciato dovrebbe esprimere.<br />

Storicamente, le due prospettive si sono sviluppate in ambiti <strong>di</strong>fferenti (in<br />

filosofia del linguaggio <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione analitica la prima, in linguistica, scienze<br />

cognitive e nell’approccio logicista all’IA la seconda) e con <strong>di</strong>verse motiva-<br />

zioni (il problema degli in<strong>di</strong>cali da una parte, quelli della comprensione degli<br />

enunciati e della rappresentazione della conoscenza dall’altro). Questo ha<br />

fatto sì che anche gli approcci, gli strumenti e i meto<strong>di</strong> utilizzati siano stati<br />

molto <strong>di</strong>versi. Uno degli obiettivi <strong>di</strong> questo saggio sarà <strong>di</strong> far risaltare le<br />

<strong>di</strong>fferenze filosofiche tra le due visioni, e la misura e i mo<strong>di</strong> in cui ciascuna<br />

contribuisce alla comprensione del problema del contesto. In questo percor-<br />

so logico, collocheremo e <strong>di</strong>scuteremo più o meno in dettaglio alcune della<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 966<br />

pietre miliari sul tema: dalla “scoperta” del contesto (Frege, Bar-Hillel) alle<br />

prime teorie formali e filosofiche (la logica dei <strong>di</strong>mostrativi <strong>di</strong> Kaplan, ma<br />

anche le riflessioni <strong>di</strong> Perry su questo tema), passando poi all’introduzione<br />

del contesto cognitivo nella teoria pragmatica della presupposizione (Stalna-<br />

ker) e nelle logiche del ragionamento contestuale in Intelligenza Artificiale<br />

(McCarthy, Dinsmore, Giunchiglia). Vista la delimitazione degli aspetti del<br />

problema del contesto che inten<strong>di</strong>amo trattare, non vi sarà spazio per una<br />

considerazione dettagliata <strong>di</strong> un’altra fonte dell’attenzione per il contesto in<br />

filosofia del linguaggio, la filosofia del linguaggio or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> Austin, Grice,<br />

Strawson, che ha sollevato e <strong>di</strong>scusso approfon<strong>di</strong>tamente la questione dell’ap-<br />

propriatezza o inappropriatezza contestuale degli enunciati (considerati come<br />

atti linguistici, o come espressione delle intenzioni comunicative del parlan-<br />

te), e della sua relazione con la buona riuscita degli atti linguistici nonché<br />

con la verità o falsità delle asserzioni.<br />

2 In<strong>di</strong>calità e visione metafisica<br />

La nozione metafisica <strong>di</strong> contesto nasce nell’ambito della filosofia del lin-<br />

guaggio <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione analitica per dare una semantica formale alla parte<br />

in<strong>di</strong>cale del linguaggio or<strong>di</strong>nario. Uno dei principali strumenti utilizzati in<br />

questa tra<strong>di</strong>zione è la cosiddetta semantica intensionale, sviluppatasi con il<br />

contributo <strong>di</strong> autori come Carnap, Montague e Kripke (si vedano per esem-<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


967 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

pio (Carnap 1976, Montague 1974, Kripke 1962)). La semantica intensionale,<br />

utilizzata come principale strumento <strong>di</strong> analisi del linguaggio or<strong>di</strong>nario, ha<br />

come oggetto lo stu<strong>di</strong>o della relazione che esiste tra linguaggio e mondo. In<br />

termini molto generali, questa relazione è pensata come una funzione che<br />

assegna una appropriata estensione a tutte le espressioni grammaticalmente<br />

corrette rispetto a un certo insieme <strong>di</strong> stati <strong>di</strong> cose. Questa funzione è detta<br />

intensione. Il funzionamento <strong>di</strong> una semantica <strong>di</strong> questo tipo è esemplifi-<br />

cato nella figura 1. Σ è la funzione intensione, Φ rappresenta un enunciato<br />

qualunque e la notazione 〈w, t〉 rappresenta un possibile stato <strong>di</strong> cose (o cir-<br />

costanza), visto come una sorta <strong>di</strong> istantanea <strong>di</strong> un mondo possibile w a un<br />

certo istante <strong>di</strong> tempo t. Se, ad esempio, immaginiamo che Φ sia l’enunciato<br />

“Roma è la capitale d’Italia”, la sua intensione è la funzione che, per ogni<br />

coppia 〈w, t〉, gli assegna il vero o il falso. Nella figura esso è vero rispetto<br />

alla circostanza 〈w, t〉 (ad esempio, w potrebbe essere il mondo reale e t il<br />

2006), falso rispetto alla circostanza 〈w ′ , t ′ 〉 (ad esempio, w ′ potrebbe essere<br />

ancora il mondo reale e t ′ il 1750, oppure w ′ un mondo possibile <strong>di</strong>verso dal<br />

quello reale e t ′ il 2006).<br />

In questo quadro, l’intensione (o contenuto) <strong>di</strong> un’espressione lingui-<br />

stica in un modello <strong>di</strong>pende soltanto dall’interpretazione dei simboli elemen-<br />

tari <strong>di</strong> un linguaggio in ogni possibile circostanza (più precisamente, dall’e-<br />

stensione assegnata a ogni simbolo rispetto a tutte le circostanze considerate<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 968<br />

Figura 1: Semantica intensionale classica<br />

dal modello). A <strong>di</strong>fferenza dell’estensione, l’intensione <strong>di</strong> un’espressione non<br />

cambia in funzione della circostanza rispetto a cui essa è valutata; possiamo<br />

dunque <strong>di</strong>re che essa è stabile in ogni punto del modello. Questo significa, per<br />

esempio, che un enunciato come “Roma è la capitale d’Italia” può avere un<br />

<strong>di</strong>verso valore <strong>di</strong> verità in circostanze <strong>di</strong>verse, ma l’insieme delle circostanze<br />

in cui esso è vero (cioè la sua intensione) in un modello non <strong>di</strong>pende in nessun<br />

modo dalla particolare circostanza in cui esso è valutato.<br />

Questo aspetto della semantica intensionale classica, tuttavia, fu mes-<br />

so in crisi dal tentativo <strong>di</strong> estendere questa analisi a linguaggi contententi<br />

espressioni in<strong>di</strong>cali, come ‘io’, ‘qui’, ‘ora’, ‘ieri’, ‘domani’. Già Frege, in al-<br />

cuni dei suoi scritti sul problema del senso (Frege 1918-19), aveva rilevato la<br />

peculiarità dei linguaggi in<strong>di</strong>cali 1 . Tuttavia, fu Bar-Hillel (1954) a porre il<br />

problema al centro dell’attenzione dei filosofi del linguaggio. Egli notò che il<br />

1 Anche se forse non vi de<strong>di</strong>cò mai l’attenzione che meritavano. Infatti, secondo (Penco<br />

1994), gli in<strong>di</strong>cali (o deittici) costituivano forse l’eccezione più eclatante a una versione<br />

“ingenua” della <strong>di</strong>stinzione fregeana tra senso (Sinn) e significato (Bedeutung).<br />

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969 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

riferimento delle espressioni in<strong>di</strong>cali (e quin<strong>di</strong> la loro intensione) non può es-<br />

sere determinato solo in funzione <strong>di</strong> un insieme <strong>di</strong> circostanze. Riprendendo<br />

un suo esempio, mentre la proposizione espressa dall’enunciato:<br />

Il ghiaccio galleggia sull’acqua (1)<br />

<strong>di</strong>pende solo dall’interpretazione delle parole che lo compongono rispetto a<br />

un tempo e a un mondo, la proposizione espressa da un enunciato come:<br />

Piove (2)<br />

può essere determinata solo a patto <strong>di</strong> prendere in considerazione il luogo e<br />

il tempo in cui esso è stato prodotto. Infatti, non solo il suo valore <strong>di</strong> verità<br />

(estensione) può variare da circostanza a circostanza, ma anche la sua inten-<br />

sione non è stabile (nel senso visto sopra); essa infatti varia in <strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong><br />

fattori come il luogo e il tempo in cui esso è prodotto: se prodotto a Trento<br />

il 4 gennaio 2006 alle 10, (2) esprimerà la proposizione che a Trento piove il<br />

4 gennaio 2006 alle 10 (e sarà dunque verificato dall’insieme delle circostanze<br />

in cui a Trento il 4 gennaio 2006 pioveva); se prodotto a Trento il 15 gennaio<br />

2006 alle 14, (2) esprimerà la proposizione che a Trento piove il 15 genna-<br />

io 2006 alle 14 (e sarà verificato dall’insieme <strong>di</strong> circostanze in cui a Trento<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 970<br />

pioveva il 15 gennaio 2006). In altre parole, l’intensione (o – nei termini <strong>di</strong><br />

Kaplan – il contenuto) <strong>di</strong> un’espressione <strong>di</strong> un linguaggio in<strong>di</strong>cale non <strong>di</strong>pen-<br />

de solo dall’interpretazione dei simboli linguistici nelle <strong>di</strong>verse circostanze <strong>di</strong><br />

un modello, ma <strong>di</strong>pende anche da fattori <strong>di</strong> contorno che hanno a che vedere<br />

con la posizione (non solo spaziale, ma anche temporale e “logica”) in cui<br />

essa è usata. Pertanto, per determinare il contenuto <strong>di</strong> un’espressione non<br />

è sufficiente considerare l’interpretazione dei simboli rispetto a tutte le cir-<br />

costanze incluse in un modello, ma bisogna anche tener conto – <strong>di</strong> volta in<br />

volta – del contesto in cui essa è stata usata.<br />

È facile vedere che quanto detto<br />

per l’enunciato (2) vale anche per espressioni in<strong>di</strong>cali quali ‘ora’, ‘qui’, ‘io’, il<br />

cui contenuto <strong>di</strong>pende da fattori che costituiscono il contesto <strong>di</strong> produzione.<br />

Per denotare anche linguisticamente la <strong>di</strong>fferenza tra (1) e (2), Bar-<br />

Hillel introduce la seguente terminologia:<br />

• gli enunciati (come (1)) che esprimono sempre la stessa proposizione,<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dal contesto in cui sono prodotti, sono chiamati<br />

enunciati non in<strong>di</strong>cali (non-indexical sentences);<br />

• gli enunciati (come (2)) che, al variare del contesto in cui sono pro-<br />

dotti, esprimono <strong>di</strong>verse proposizioni, sono chiamati enunciati in<strong>di</strong>cali<br />

(indexical sentences).<br />

La conseguenza <strong>di</strong> tutto ciò, secondo Bar-Hillel, è che la relazione tra<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


971 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

un’espressione e il suo riferimento non può essere concepita nel modo tra<strong>di</strong>-<br />

zionale, cioè come una relazione binaria R(a, b) tra un enunciato a e la pro-<br />

posizione b che esso esprime. Si tratta invece <strong>di</strong> una relazione essenzialmente<br />

tria<strong>di</strong>ca tra a, b e un contesto <strong>di</strong> produzione c:<br />

Since the pragmatic context is essential and its omission leaves the<br />

token without reference, we have before us an essentially tria<strong>di</strong>c re-<br />

lation between token, context, and proposition [ . .. ]: “(the senten-<br />

ce) a refers–pragmatically–to (the proposition) b in (the pragmatical<br />

context which includes also a reference to a language) c” [ . .. ], in<br />

symbols: RP(a,b,c). (Bar-Hillel 1954, p. 364).<br />

Questa è quella che Bar-Hillel chiama relazione <strong>di</strong> riferimento pragma-<br />

tico. Secondo Bar-Hillel, il fatto che la semantica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione modellistica<br />

concepisca la relazione <strong>di</strong> riferimento come una relazione binaria è frutto <strong>di</strong><br />

un’astrazione, non sempre consapevole:<br />

[. ..] the abstraction from the pragmatic context, which is precisely<br />

the step taken from descriptive pragmatics to descriptive semantics,<br />

is legitimate only when the pragmatic context is (more or less) irrile-<br />

vant and defensible as a tentative step only when this context can be<br />

assumed to be irrilevant (Bar-Hillel 1954, p. 360).<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 972<br />

Assumendo come primitiva la relazione ternaria <strong>di</strong> riferimento prag-<br />

matico, è possibile definire una relazione binaria detta relazione <strong>di</strong> riferimen-<br />

to semantico:<br />

RS(a,b) ≡Def (c)(d)(RP(a,b,c) ≡ RP(a,b,d)) (3)<br />

ovvero: l’enunciato a si riferisce semanticamente alla proposizione b qualora,<br />

per ogni coppia <strong>di</strong> contesti c e d, il riferimento pragmatico <strong>di</strong> a resti costante<br />

e coincida con la proposizione b. Tale astrazione, come abbiamo visto, non è<br />

legittima quando si voglia dare una semantica a linguaggi in<strong>di</strong>cali, tra i quali<br />

sicuramente dobbiamo includere il linguaggio or<strong>di</strong>nario. Perciò, sostiene Bar-<br />

Hillel, una logica del linguaggio or<strong>di</strong>nario non può limitarsi ad assegnare un<br />

riferimento a semplici enunciati, ma deve trattare oggetti più complessi, cioè<br />

asserzioni (coppie or<strong>di</strong>nate <strong>di</strong> enunciati e contesti) 2 .<br />

Nell’approccio modellistico, il trattamento della <strong>di</strong>pendenza dal con-<br />

testo passò principalmente attraverso due fasi. La prima fase del trattamen-<br />

to della <strong>di</strong>pendenza da fattori contestuali nell’approccio modellistico è ben<br />

rappresentata dall’articolo General semantics <strong>di</strong> David Lewis (Lewis 1970).<br />

2 La terminologia usata per esporre il pensiero <strong>di</strong> Bar-Hillel non è esattamente quella <strong>di</strong><br />

Bar-Hillel (1954), ma quella che lo stesso Bar-Hillel introdusse in articoli successivi (per<br />

esempio in Bar-Hillel (1963)). Il motivo è che, per ammissione dello stesso autore, la<br />

terminologia del primo lavoro poteva risultare fuorviante a causa dell’uso non standard<br />

dei termini inglesi statement (asserzione) e judgment (giu<strong>di</strong>zio).<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


973 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

Figura 2: Logica intensionale del contesto<br />

L’idea <strong>di</strong> fondo è quella <strong>di</strong> generalizzare la funzione <strong>di</strong> interpretazione<br />

del linguaggio. Lewis (1970) concepisce l’intensione non più come una fun-<br />

zione da circostanze a estensioni, ma come una funzione da in<strong>di</strong>ci a estensio-<br />

ni. Un in<strong>di</strong>ce è definito come una collezione <strong>di</strong> fattori (non necessariamente<br />

tutti) da cui <strong>di</strong>pende la determinazione dell’estensione <strong>di</strong> una determinata<br />

espressione.<br />

Lewis propone una classificazione il più possibile esaustiva dei fattori<br />

rilevanti per la determinazione del significato. Nella parte principale del-<br />

l’articolo, un in<strong>di</strong>ce è pensato come una collezione <strong>di</strong> otto coor<strong>di</strong>nate. Esse<br />

sono: mondo possibile, tempo, spazio, parlante, u<strong>di</strong>torio (l’insieme delle per-<br />

sone a cui il parlante può rivolgersi in un certo contesto), gli oggetti in<strong>di</strong>cati<br />

(l’insieme degli oggetti che il parlante può in<strong>di</strong>care in un certo contesto), il<br />

<strong>di</strong>scorso precedente (le parti <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso a cui un parlante può riferirsi in un<br />

certo contesto). Infine, l’ultima coor<strong>di</strong>nata è costituita da un assegnamen-<br />

to (una sequenza infinita <strong>di</strong> oggetti che serve a dare un’interpretazione alle<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 974<br />

variabili libere che possono occorrere in un enunciato) 3 . Lewis non sostiene<br />

che le otto coor<strong>di</strong>nate da lui in<strong>di</strong>viduate siano tutte e sole quelle che occor-<br />

re considerare. Anzi, nell’appen<strong>di</strong>ce del suo articolo, ne propone altre che<br />

egli considera come possibili can<strong>di</strong>date per essere incluse in un in<strong>di</strong>ce. Ad<br />

esempio, per spiegare enunciati quali “La porta è aperta”, potrebbe essere<br />

necessario considerare una coor<strong>di</strong>nata con gli oggetti in primo piano in un<br />

certo contesto; per spiegare la vaghezza <strong>di</strong> proprietà quali “caldo” e “freddo”<br />

(e la loro relatività al contesto), potrebbe essere necessario considerare una<br />

coor<strong>di</strong>nata <strong>di</strong> delineazione; e via <strong>di</strong>cendo.<br />

Tuttavia, in un celebre articolo dal titolo On the Logic of Demon-<br />

stratives del (1978), Kaplan <strong>di</strong>mostrò che qualsiasi soluzione come quella <strong>di</strong><br />

Lewis (1970) sia concettualmente inadeguata. Il solo in<strong>di</strong>ce – in<strong>di</strong>pendente-<br />

mente da quanti e quali fattori esso includa – non basta a spiegare alcuni<br />

aspetti fondamentali della logica degli in<strong>di</strong>cali (o <strong>di</strong>mostrativi, come prefe-<br />

risce chiamarli Kaplan) nel linguaggio or<strong>di</strong>nario. Kaplan mostrò che tali<br />

aspetti potevano essere spiegati solo facendo <strong>di</strong>pendere l’interpretazione se-<br />

mantica <strong>di</strong> un enunciato da due insiemi <strong>di</strong>stinti <strong>di</strong> fattori, cioè da un contesto<br />

che ne determina il contenuto e da un in<strong>di</strong>ce o circostanza che ne determina<br />

il valore <strong>di</strong> verità. Da questo punto <strong>di</strong> vista possiamo <strong>di</strong>re che il lavoro <strong>di</strong> Ka-<br />

3 L’assegnamento è introdotto più per motivi tecnici che per reali esigenze <strong>di</strong> analisi del<br />

linguaggio or<strong>di</strong>nario. Lo stesso Lewis <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> averlo introdotto solo ai fini <strong>di</strong> ottenere una<br />

maggiore generalità (includendo anche linguaggi che permettono l’uso <strong>di</strong> variabili). Per<br />

questa ragione, spesso lo ignorerò nella <strong>di</strong>scussione.<br />

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975 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

plan inaugurò una nuova fase del trattamento degli in<strong>di</strong>cali nella tra<strong>di</strong>zione<br />

modellistica, in cui il contesto <strong>di</strong>venta un oggetto formale da cui il significato<br />

<strong>di</strong> un’espressione viene fatto esplicitamente <strong>di</strong>pendere.<br />

L’inadeguatezza <strong>di</strong> qualsiasi approccio basato sulla sola nozione <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>ce è esposta molto efficacemente da Kaplan <strong>di</strong>scutendo un caso para<strong>di</strong>g-<br />

matico. Consideriamo l’enunciato:<br />

Io sono qui ora (4)<br />

Seguendo la linea <strong>di</strong> Lewis (1970), il significato <strong>di</strong> (4) dovrebbe essere<br />

definito rispetto a un in<strong>di</strong>ce composto (almeno) da un mondo, un parlante,<br />

un certo istante <strong>di</strong> tempo e una posizione, ovvero rispetto a quadruple del<br />

tipo 〈w, t, p, a〉. Se immaginiamo che a sia David Kaplan, p sia Los Angeles,<br />

t sia il 21 aprile 1973 e w sia il mondo attuale, il significato dell’enunciato<br />

(4) sarebbe del tutto equivalente al significato dell’enunciato:<br />

David Kaplan è a Los Angeles il 21 aprile 1973 (5)<br />

Ma – osserva Kaplan – pensare che (4) e (5) siano logicamente equi-<br />

valenti vuol <strong>di</strong>re ignorare un aspetto molto profondo del modo in cui i <strong>di</strong>-<br />

mostrativi sono usati nel linguaggio or<strong>di</strong>nario. (5) è vero rispetto a un certo<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 976<br />

insieme <strong>di</strong> in<strong>di</strong>ci (quelli in cui David Kaplan è a Los Angeles il 21 aprile 1973)<br />

e falso rispetto a un altro insieme <strong>di</strong> in<strong>di</strong>ci (quelli in cui David Kaplan non è<br />

a Los Angeles il 21 aprile 1973). Per contro, c’è un senso profondo in cui (4)<br />

non può mai essere usato per <strong>di</strong>re qualcosa <strong>di</strong> falso. Infatti, chiunque <strong>di</strong>ca<br />

“Io sono qui ora”, in qualunque tempo, luogo e mondo, non può fare un’af-<br />

fermazione falsa (è impossibile, infatti, che non sia nel luogo e nel mondo in<br />

cui si trova nel momento in cui parla!). Qualunque trattamento degli in<strong>di</strong>cali<br />

che non renda conto <strong>di</strong> questa sostanziale <strong>di</strong>fferenza tra (4) e (5) non cattura<br />

un aspetto molto importante della logica degli in<strong>di</strong>cali.<br />

In via ipotetica, un modo per risolvere questa <strong>di</strong>fficoltà sarebbe il se-<br />

guente: invece <strong>di</strong> ammettere come in<strong>di</strong>ci “buoni” tutte le possibili quadruple<br />

〈w, t, p, a〉, ci si limiti a considerare un insieme ristretto <strong>di</strong> in<strong>di</strong>ci, cioè l’insie-<br />

me degli in<strong>di</strong>ci 〈w, t, p, a〉 in cui al mondo w, l’agente a si trova nella posizione<br />

p al tempo t. Si chiamino in<strong>di</strong>ci propri quelli appartenenti a quest’ultimo in-<br />

sieme, in<strong>di</strong>ci impropri – cioè non ammissibili – tutti gli altri. Rispetto alla<br />

classe degli in<strong>di</strong>ci propri, (4) è sempre vero. Tuttavia, questa soluzione –<br />

nota Kaplan – risolve un problema introducendone uno ancora più grave dal<br />

punto <strong>di</strong> vista logico. Infatti, se la restrizione agli in<strong>di</strong>ci propri esclude i casi<br />

in cui (4) è falso, essa ha come conseguenza del tutto indesiderata <strong>di</strong> rende-<br />

re (4) necessariamente vero. In altre parole, la restrizione agli in<strong>di</strong>ci propri<br />

rende vero l’enunciato:<br />

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977 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

✷(Io sono qui ora) (6)<br />

e questo grazie alla possibilità <strong>di</strong> applicare un ben noto principio <strong>di</strong> logica<br />

modale, spesso espresso come regola <strong>di</strong> necessitazione 4 : se un enunciato è<br />

vero rispetto a tutti gli in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> un modello, allora esso è necessariamente<br />

vero. Questa conclusione – <strong>di</strong>ce Kaplan – è inaccettabile: (6) non dovrebbe<br />

essere logicamente vero, dato che non è affatto necessario – nell’esempio visto<br />

sopra – che David Kaplan sia a Los Angeles il 21 aprile 1973. Ci troviamo<br />

dunque davanti a una sorta <strong>di</strong> impasse. Da un lato, un enunciato come (4)<br />

non può mai essere usato per <strong>di</strong>re qualcosa <strong>di</strong> falso (cioè ogni sua emissione<br />

esprime una proposizione vera), dall’altro la proposizione che esso esprime<br />

non è necessariamente vera.<br />

La proposta <strong>di</strong> Kaplan per uscire da questa impasse parte dalla con-<br />

statazione che, nella logica intensionale classica, la necessità logica <strong>di</strong> un<br />

enunciato è definita in funzione del suo essere vero (o meno) a tutti gli in<strong>di</strong>ci<br />

associati a un certo modello. Nel caso <strong>di</strong> un enunciato come (4), la situazio-<br />

ne è che in ogni contesto <strong>di</strong> produzione esso esprime una proposizione vera,<br />

senza però che questo lo renda necessariamente vero. Sembra dunque che<br />

il problema stia nell’aver assimilato il ruolo del contesto in una logica dei<br />

4 Per un’introduzione a questa regola (e in genere alla logica modale) si veda per<br />

esempio (Chellas 1980).<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 978<br />

<strong>di</strong>mostrativi al ruolo degli in<strong>di</strong>ci in una logica intensionale classica. In altre<br />

parole, il problema sta proprio nell’aver pensato <strong>di</strong> poter trattare la <strong>di</strong>pen-<br />

denza dal contesto aggiungendo un certo insieme <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate contestuali ai<br />

fattori da cui <strong>di</strong>pende la funzione <strong>di</strong> interpretazione. Il cuore della soluzione<br />

<strong>di</strong> Kaplan sta dunque nella <strong>di</strong>stinzione netta tra contesto e in<strong>di</strong>ce. In un<br />

approccio come quello proposto da Lewis (1970), le coor<strong>di</strong>nate contestuali<br />

concorrono a definire lo stato <strong>di</strong> cose (o circostanza in senso lato) rispetto a<br />

cui un enunciato è valutato. Kaplan fa vedere che un contesto non concorre<br />

a identificare una circostanza, ma a determinare ciò che un enunciato <strong>di</strong>ce<br />

rispetto a una certa circostanza. La strada non è dunque quella <strong>di</strong> aggiungere<br />

coor<strong>di</strong>nate contestuali in modo da identificare in modo più “fine” l’insieme<br />

delle circostanze rispetto a cui un’espressione è valutata, ma quella <strong>di</strong> ag-<br />

giungere una struttura (quella dei contesti) che permetta <strong>di</strong> stabilire in che<br />

modo il contenuto <strong>di</strong> un’espressione vari al variare del punto <strong>di</strong> produzione<br />

(anche rispetto a una singola circostanza).<br />

Per spiegare l’approccio <strong>di</strong> Kaplan, seguiremo sostanzialmente le idee<br />

e la terminologia <strong>di</strong> Kaplan (1978), la cui Logica dei Dimostrativi (LD) è<br />

tuttora considerata un punto <strong>di</strong> riferimento standard per la tra<strong>di</strong>zione che<br />

stiamo analizzando. LD si basa sull’idea che i fattori “locali” da cui <strong>di</strong>pende<br />

il significato delle espressioni in<strong>di</strong>cali (per esempio, nel caso <strong>di</strong> (2), il luogo<br />

e il tempo <strong>di</strong> emissione) debbano essere tenuti <strong>di</strong>stinti dagli aspetti “globa-<br />

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979 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

li” (cioè dall’insieme <strong>di</strong> circostanze rispetto a cui è definita la funzione <strong>di</strong><br />

intensione). I primi, infatti, hanno la funzione <strong>di</strong> fornire informazione che<br />

permette <strong>di</strong> “de-contestualizzare” un certo enunciato e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> determinare<br />

quale contenuto esso esprima in una particolare occasione. Di fatto, secon-<br />

do Kaplan, tale informazione riguarda la posizione (location) rispetto a cui<br />

un certo enunciato è usato, dove per posizione tecnicamente si intende: un<br />

punto nello spazio P, un istante <strong>di</strong> tempo T e un mondo possibile W in cui<br />

è collocato un parlante A a cui l’enunciato è attribuito. Di conseguenza, un<br />

contesto c è definito tecnicamente da Kaplan proprio come una quadrupla<br />

〈cP, cT, cA, cW 〉, cioè come una posizione rispetto a cui può essere assegnato<br />

un contenuto a una certa espressione attribuita a un certo parlante 5 . La<br />

regola in base a cui il contenuto <strong>di</strong> una certa espressione varia da contesto a<br />

contesto (cioè <strong>di</strong>pende dalla variazione degli elementi delle quadruple suddet-<br />

te) è chiamata da Kaplan il carattere <strong>di</strong> quell’espressione. Secondo Kaplan,<br />

il carattere è una terza <strong>di</strong>mensione del significato <strong>di</strong> un’espressione (assieme<br />

a estensione e intensione) che una teoria non può trascurare in un’analisi<br />

adeguata della logica del linguaggio naturale 6 .<br />

5È importante notare che una posizione in cui non sia presente alcun parlante non è – per<br />

Kaplan – un contesto.<br />

6Il motivo per cui, secondo Kaplan, questo terzo livello nella gerarchia del significato non era<br />

mai stato notato prima è presto detto: nei linguaggi non in<strong>di</strong>cali, tutte le espressioni hanno<br />

carattere stabile, ovvero il loro contenuto non varia al variare del contesto. Lo stesso vale<br />

per la parte non in<strong>di</strong>cale del linguaggio <strong>di</strong> LD. Solo le espressioni in<strong>di</strong>cali (o le espressioni<br />

al cui interno sono presenti occorrenze significative <strong>di</strong> espressioni in<strong>di</strong>cali) hanno carattere<br />

variabile. Per esempio, mentre il contenuto del nome ‘Carlo Azeglio Ciampi’ <strong>di</strong>pende<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 980<br />

La figura 2 rappresenta graficamente il modo in cui in LD viene deter-<br />

minato il contenuto <strong>di</strong> un’espressione linguistica. L’idea è che un enunciato<br />

Φ (per esempio “Piove”) può essere usato da un agente in <strong>di</strong>versi contesti<br />

(per esempio c1 e c2). Diversi contesti corrispondono a <strong>di</strong>verse combinazioni<br />

<strong>di</strong> agenti, luoghi, tempi e mon<strong>di</strong> possibili. Se con la scrittura 〈cP, cA, cW, cT, 〉<br />

in<strong>di</strong>chiamo rispettivamente il luogo, il parlante, il mondo e il tempo associato<br />

a un contesto c, la valutazione dell’enunciato “Piove [qui,ora]” in c1 passerà<br />

attraverso due fasi:<br />

• nella prima, l’informazione associata a c1 verrà usata per de-contestualizzare<br />

gli in<strong>di</strong>cali ‘qui’ e ‘ora’ e fissare il loro riferimento a c1P (il luogo asso-<br />

ciato al contesto) e c1T (il tempo associato al contesto) rispettivamente;<br />

• nella seconda fase, gli verrà associato come contenuto l’insieme delle<br />

circostanze in cui “Piove [c1P, c1T]” è vero.<br />

Qualcosa <strong>di</strong> analogo accadrebbe se a “Piove [qui,ora]” fosse assegnato un<br />

contenuto rispetto al contesto c2 (solo che ‘qui’ verrebbe interpretato su c2P<br />

e ‘ora’ su c2T).<br />

È dunque chiaro il motivo per cui il contenuto <strong>di</strong> “Piove<br />

[qui,ora]” sarà inevitabilmente <strong>di</strong>verso in due contesti a cui siano associati<br />

un tempo e un luogo <strong>di</strong>versi.<br />

solo dal suo riferimento nelle varie circostanze associate a un certo modello (salvo casi <strong>di</strong><br />

omonimia che qui trascurerò), l’in<strong>di</strong>cale ‘io’ ha un contenuto <strong>di</strong>verso a seconda del parlante<br />

che lo usa – e quin<strong>di</strong> del contesto rispetto a cui è valutato.<br />

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981 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

La nozione <strong>di</strong> contesto introdotta in LD esemplifica molto bene quanto<br />

abbiamo chiamato contesto metafisico. La struttura dei contesti metafisici<br />

(esemplificati nella figura 2 con un sistema <strong>di</strong> assi cartesiani) è un modo<br />

per arricchire il modello del mondo rispetto a cui viene definita la funzione<br />

<strong>di</strong> intensione, ovvero a introdurre l’idea <strong>di</strong> posizione in cui un agente può<br />

trovarsi. Si può facilmente osservare che, in questo approccio, il ruolo degli<br />

agenti è esclusivamente quello <strong>di</strong> occupare un’intersezione spazio–temporale-<br />

logica del modello. Ciò significa che, nonostante il fatto che un agente sia<br />

una componente ineliminabile della definizione <strong>di</strong> contesto, le credenze, le<br />

aspettative, le intenzioni <strong>di</strong> questo agente non hanno alcuno ruolo nella de-<br />

terminazione del contenuto degli enunciati che gli sono attribuiti. Il parlante,<br />

perciò, è visto come un semplice “produttore” <strong>di</strong> enunciati, alcuni dei quali<br />

(precisamente, quelli in<strong>di</strong>cali) hanno la particolarità <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendere quanto al<br />

loro contenuto dal contesto, ovvero dalla posizione in cui sono usati.<br />

3 Contesto e comunicazione: il caso <strong>di</strong> Tom Brown<br />

La prospettiva metafisica ha collocato il contesto nel mondo. Rispetto a<br />

questa scelta, coerente con l’impostazione della semantica intensionale, si<br />

pongono due tipi <strong>di</strong> problema. Il primo concerne l’adeguatezza <strong>di</strong> tale ap-<br />

proccio per il trattamento delle espressioni in<strong>di</strong>cali; il secondo concerne la<br />

capacità o meno <strong>di</strong> questo approccio <strong>di</strong> trattare forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza conte-<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 982<br />

stuale che poco o nulla hanno a che vedere con il fenomeno dell’in<strong>di</strong>calità e<br />

che pure sono certamente collegate alla nozione <strong>di</strong> senso comune <strong>di</strong> conte-<br />

sto. Per ragioni <strong>di</strong> spazio, qui ci concentreremo prevalentemente sul primo<br />

problema, riprendendo brevemente il secondo solo nel paragrafo 6.<br />

La domanda che inten<strong>di</strong>amo porre è la seguente: una logica (come<br />

LD) basata sulla nozione <strong>di</strong> contesto metafisico è adeguata per spiegare il<br />

ruolo degli in<strong>di</strong>cali nel linguaggio? Per rispondere a questa domanda è ne-<br />

cessario chiarire preliminarmente qual sia questo ruolo, cercando <strong>di</strong> capire<br />

cosa andrebbe perso qualora eliminassimo gli in<strong>di</strong>cali dal linguaggio stesso.<br />

Un problema per certi aspetti molto simile è posto già in (Bar-Hillel 1954),<br />

quando l’autore si chiede se sia possibile sostituire un enunciato in<strong>di</strong>cale –<br />

sempre e senza per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> informazione – con uno non in<strong>di</strong>cale. Se così fosse,<br />

osserva Bar–Hillel, lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> una logica degli in<strong>di</strong>cali perderebbe molta<br />

della sua urgenza e si ridurrebbe allo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> ridondanza del<br />

linguaggio or<strong>di</strong>nario.<br />

È lo stesso Bar–Hillel a fornire un argomento contro<br />

questa conclusione. L’argomento è basato su un semplice esperimento men-<br />

tale che ha per protagonista un “logico sperimentale” <strong>di</strong> nome Tom Brown.<br />

Sono le ore 8 del 1 gennaio 1951 e Tom si chiede: posso io Tom comunicare<br />

a mia moglie il desiderio <strong>di</strong> avere la colazione a letto usando un linguaggio<br />

completamente privo <strong>di</strong> qualsiasi componente in<strong>di</strong>cale? Bar–Hillel sostiene<br />

che il tentativo è destinato a fallire. Da un lato, infatti, Bar–Hillel accetta<br />

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983 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

senza riserve quella che potremmo chiamare tesi <strong>di</strong> trasformabilità debole: se<br />

un certo contenuto può essere espresso me<strong>di</strong>ante un enunciato in<strong>di</strong>cale in un<br />

contesto, allora esiste sempre un enunciato non in<strong>di</strong>cale che esprime lo stesso<br />

contenuto in modo in<strong>di</strong>pendente dal contesto 7 . Dall’altro lato, però, Bar–<br />

Hillel ritiene infondata quella che potremmo chiamare tesi <strong>di</strong> trasformabilità<br />

forte, secondo la quale tale trasformazione è sempre effettivamente <strong>di</strong>sponi-<br />

bile agli agenti coinvolti in situazioni comunicative reali. Nell’esperimento<br />

mentale, ciò equivale a <strong>di</strong>re che, se da un lato esiste un enunciato non in<strong>di</strong>-<br />

cale con il quale Tom potrebbe comunicare a sua moglie il proprio desiderio,<br />

dall’altro non è detto (i) che tale enunciato sia effettimente <strong>di</strong>sponibile per<br />

Tom (per esempio, osserva Bar–Hillel, Tom potrebbe non essere in grado <strong>di</strong><br />

sostituire l’in<strong>di</strong>cale ‘ora’ con un tempo assoluto perchè non ha l’orologio), nè<br />

(ii) che l’uso dell’enunciato non in<strong>di</strong>cale produca lo stesso effetto che avreb-<br />

be l’uso dell’enunciato in<strong>di</strong>cale (nell’esempio, la moglie potrebbe non sapere<br />

l’ora o l’in<strong>di</strong>rizzo del luogo in cui si trova).<br />

La prospettiva intensionale è, in un certo senso, la versione formale<br />

della tesi <strong>di</strong> trasformabilità debole. Infatti, essa permette <strong>di</strong> determinare in<br />

modo rigoroso a quale enunciato non in<strong>di</strong>cale corrisponda un enunciato in<strong>di</strong>-<br />

cale preso in un certo contesto (dove “corrispondere” ha il preciso significato<br />

7 Menzioniamo qui il fatto che non tutti concordano neanche con questa versione della tesi<br />

<strong>di</strong> trasformabilità. Basti ricordare il lavoro <strong>di</strong> Perry sugli in<strong>di</strong>cali essenziali (Perry 1979).<br />

Per gli scopi della presente argomentazione, tuttavia, qui seguirò Bar–Hillel e la accetterò,<br />

anche se in una prospettiva più ampia concordo pienamente con le conclusioni <strong>di</strong> Perry.<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 984<br />

tecnico <strong>di</strong> avere lo stesso contenuto). Tuttavia, la prospettiva intensionale<br />

non permette nemmeno <strong>di</strong> rappresentare la con<strong>di</strong>zione richiesta dalla tesi <strong>di</strong><br />

trasformabilità forte, ovvero che gli agenti coinvolti in uno scambio comu-<br />

nicativo abbiano effettivamente la conoscenza richiesta per stabilire questa<br />

identità <strong>di</strong> contenuto. Infatti, ponendo il contesto nel mondo e riducendo<br />

l’agente ad esso associato al rango <strong>di</strong> “occupante” <strong>di</strong> una certa posizione,<br />

essa astrae da tutto ciò che ha a che vedere con le credenze <strong>di</strong> un agente<br />

sulla posizione che egli stesso occupa. In tal modo, dunque, la prospettiva<br />

intensionale non permette <strong>di</strong> catturare un aspetto centrale della <strong>di</strong>fferenza<br />

che esiste tra usare un enunciato in<strong>di</strong>cale in un contesto e uno non in<strong>di</strong>cale,<br />

poichè tale <strong>di</strong>fferenza non sta tanto (o solo) nella struttura del mondo rispet-<br />

to a cui i due enunciati sono interpretati, ma nel tipo <strong>di</strong> conoscenza che un<br />

agente deve usare per interpretare l’uno e l’altro. Ad esempio, per stabilire<br />

se l’enunciato “Piove” è vero, non è necessario sapere che sono (mettiamo) le<br />

18.45 del 28 luglio 1997, ma basta stabilire se al momento e nel luogo in cui<br />

qualcuno emette l’enunciato sta effettivamente piovendo; viceversa, valutare<br />

un enunciato come “A Trento piove(re) alle 18.45 del 28 luglio 1997” richiede<br />

<strong>di</strong> sapere se nel luogo chiamato Trento alle 18.45 del 28 luglio 1997 effettiva-<br />

mente pioveva (si noti che l’enunciato potrebbe anche essere stato emesso a<br />

Trento alle 18.45 del 28 luglio 1997, ma chi lo valuta potrebbe non sapere <strong>di</strong><br />

trovarsi a Trento o non sapere l’ora e la data).<br />

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985 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

Un altro esempio 8 che può aiutare a chiarire quanto detto è il seguen-<br />

te. Immaginiamo che un tale <strong>di</strong>ca alla moglie che deve andare una settimana<br />

a Sofia, mentre in realtà intende passare una settimana con la sua amante<br />

a Parigi. Il 20 luglio parte e la sera, verso le 21, telefona alla moglie <strong>di</strong>cen-<br />

dole: “Ciao, sono qui. Tutto bene”. La moglie si tranquillizza e gli augura<br />

buona permanenza a Sofia. Il comportamento della moglie non si spiega nei<br />

termini della nozione <strong>di</strong> contesto fin qui introdotta, dato che il contenuto<br />

(intensionale) dell’enunciato del marito fe<strong>di</strong>frago è che egli si trova a Parigi il<br />

giorno 20 luglio alle ore 21. Tuttavia, è chiaro che il contenuto che la moglie<br />

attribuisce all’enunciato è ben <strong>di</strong>verso, cioè che il marito è a Sofia. L’uomo<br />

sa che la moglie assegnerà un contenuto erroneo al suo enunciato, e questo<br />

grazie al fatto che sa che la moglie lo interpreterà nel contesto sbagliato e<br />

dunque risolverà l’in<strong>di</strong>cale ‘qui’ in modo erroneo. Ma in LD non ha neanche<br />

senso porsi il problema <strong>di</strong> un contesto “sbagliato”: il contesto è esattamente<br />

il luogo in cui si trova il parlante al tempo in cui <strong>di</strong>ce qualcosa 9 .<br />

Qualcuno potrebbe però obiettare che quanto detto non mina in al-<br />

8Per questo esempio siamo debitori a Christoph Schlieder, che lo ha usato durante una<br />

scuola estiva a Sofia nel 1996.<br />

9A coloro che sono familiari con il lavoro <strong>di</strong> Kaplan non sarà certo sfuggita la “perfi<strong>di</strong>a” <strong>di</strong><br />

questo esempio, Infatti, il marito dell’esempio usa un enunciato che, nei termini <strong>di</strong> Kaplan,<br />

è LD-valido, cioè in nessun contesto esso può essere usato per esprimere una proposizione<br />

falsa (pur non esprimendo una proposizione necessaria): nessuno può <strong>di</strong>re falsamente <strong>di</strong><br />

essere nel posto in cui si trova nel momento in cui lo <strong>di</strong>ce! Eppure, la moglie associa alla<br />

frase del marito una proposizione falsa, cioè che egli si trova a Sofia. Ma questo <strong>di</strong>mostra<br />

esattamente quello che volevamo sostenere, e cioè che l’approccio <strong>di</strong> LD non è in grado <strong>di</strong><br />

spiegare un aspetto cruciale della logica delle espressioni in<strong>di</strong>cali.<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 986<br />

cun modo l’approccio <strong>di</strong> LD, il cui scopo non è quello <strong>di</strong> formalizzare ciò che<br />

gli agenti sanno (o non sanno) sul contesto <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> un enunciato<br />

(e tanto meno <strong>di</strong> fornire un alibi ai mariti infedeli!), ma quello <strong>di</strong> stabilire<br />

una relazione (astratta, ideale) tra linguaggio e mondo. In realtà, questa<br />

contro–obiezione non è del tutto fondata.<br />

È lo stesso Bar–Hillel a <strong>di</strong>rci per-<br />

chè. Infatti, la seconda morale che egli trae dall’esperimento <strong>di</strong> Tom Brown<br />

è <strong>di</strong> tipo metodologico: se noi fossimo soggetti onniscienti, se cioè avessimo<br />

una conoscenza completa del mondo, non ci sarebbe bisogno <strong>di</strong> una logica<br />

dei linguaggi in<strong>di</strong>cali, dato che potremmo esprimere – sempre e senza per<strong>di</strong>ta<br />

<strong>di</strong> informazione – ogni contenuto cognitivo in un linguaggio non in<strong>di</strong>cale. In<br />

altre parole, la tesi <strong>di</strong> trasformabilità forte verrebbe ad appiattirsi su quella<br />

debole. Per contro, la necessità <strong>di</strong> una logica dei linguaggi in<strong>di</strong>cali si basa<br />

proprio sul fatto che noi siamo soggetti con una limitata conoscenza del mon-<br />

do. Pertanto, una logica degli in<strong>di</strong>cali data dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> un soggetto<br />

onniscente (o, equivalentemente, basata su “come stanno effettivamente le<br />

cose”) vanifica il ruolo stesso degli in<strong>di</strong>cali nel linguaggio, dato che non per-<br />

mette <strong>di</strong> spiegare perchè per esseri come noi, dotati <strong>di</strong> conoscenza limitata del<br />

mondo, non sia affatto equivalente usare un linguaggio <strong>di</strong> rappresentazione<br />

in<strong>di</strong>cale e uno non in<strong>di</strong>cale.<br />

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4 In<strong>di</strong>calità e prospettiva cognitiva<br />

Questa considerazione ci porta al cuore stesso del problema, cioè alla nozione<br />

<strong>di</strong> contesto. All’inizio ho detto che il contesto può in generale essere pensato<br />

come un insieme <strong>di</strong> fattori “<strong>di</strong> contorno” che integrano l’informazione data<br />

da una certa espressione linguistica e permettono <strong>di</strong> stabilirne il contenuto.<br />

In LD, questa caratterizzazione generale viene interpretata come <strong>di</strong>pendenza<br />

da una collezione <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate che identificano il punto in cui un agente<br />

produce un certo enunciato. Un contesto è visto come una possibile combi-<br />

nazione <strong>di</strong> queste coor<strong>di</strong>nate. Tuttavia, gli esempi del paragrafo precedente<br />

mostrano che, in termini <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate del punto <strong>di</strong> produzione, non si riesce<br />

a fornire una logica del contesto adeguata per spiegare il ruolo degli in<strong>di</strong>cali<br />

nel linguaggio, poichè non si spiega nè la profonda <strong>di</strong>fferenza epistemica che<br />

esiste (per parlanti con limitata conoscenza del mondo) tra enunciati in<strong>di</strong>-<br />

cali ed enunciati non in<strong>di</strong>cali, nè la possibilità che un enunciato in<strong>di</strong>cale sia<br />

interpretato nel contesto “sbagliato”. La conclusione è che la prospettiva<br />

intensionale (incorporata in LD) rischia semplicemente <strong>di</strong> vanificare il ruolo<br />

essenziale degli in<strong>di</strong>cali nel linguaggio.<br />

Una logica adeguata a formalizzare gli esempi fatti sopra sembra ri-<br />

chiedere una <strong>di</strong>versa nozione <strong>di</strong> contesto entro cui interpretare le espressioni<br />

in<strong>di</strong>cali: non più il contesto come coor<strong>di</strong>nate della posizione dell’agente, ma<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 988<br />

Figura 3: Logica cognitiva degli in<strong>di</strong>cali<br />

il contesto come insieme <strong>di</strong> informazioni che un agente (il parlante, l’ascolta-<br />

tore, ...) ha (o non ha) su queste coor<strong>di</strong>nate. La <strong>di</strong>fferenza è cruciale: una<br />

cosa è costruire una logica degli in<strong>di</strong>cali a partire dalla struttura del mon-<br />

do su cui un certo linguaggio è interpretato, una cosa è costruirla a partire<br />

da informazione che un certo agente ha (o non ha) sul mondo. Se da un<br />

lato, infatti, sono le coor<strong>di</strong>nate del punto <strong>di</strong> produzione che determinano il<br />

contenuto intensionale <strong>di</strong> un’espressione in<strong>di</strong>cale, dall’altro lato è anche vero<br />

che sono le informazioni che un agente ha su queste coor<strong>di</strong>nate che rendono<br />

interessante una logica degli in<strong>di</strong>cali, dato che è proprio la possibilità <strong>di</strong> avere<br />

o meno a <strong>di</strong>sposizione tali informazioni che fa sì che gli in<strong>di</strong>cali arricchiscano<br />

il poter espressivo <strong>di</strong> un linguaggio (ve<strong>di</strong> argomento <strong>di</strong> Bar–Hillel).<br />

Rispetto alla figura 2, una logica degli in<strong>di</strong>cali basata sulla prospettiva<br />

cognitiva può essere raffigurata come nella figura 3. La <strong>di</strong>fferenza fondamen-<br />

tale è che un’espressione in<strong>di</strong>cale non è più interpretata <strong>di</strong>rettamente rispetto<br />

alle coor<strong>di</strong>nate del punto in cui si trova l’agente, ma rispetto alla rappresen-<br />

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tazione che <strong>di</strong> tali coor<strong>di</strong>nate ha l’agente che la usa (o la interpreta). Per<br />

esempio, il contenuto <strong>di</strong> “Piove” non è determinato tanto in funzione del<br />

luogo e del tempo in cui si trova effettivamente l’agente che lo <strong>di</strong>ce, quanto<br />

piuttosto in funzione del tempo e del luogo che il parlante associa a ‘qui’<br />

e ‘ora’ nella circostanza in cui tale enunciato è usato. Questo permette <strong>di</strong><br />

spiegare sia i casi in cui un agente non è in grado <strong>di</strong> assegnare un contenuto a<br />

una certa espressione in<strong>di</strong>cale (la sua informazione sul contesto <strong>di</strong> produzione<br />

potrebbe essere parziale), sia i casi in cui un agente assegna un contenuto<br />

“sbagliato” (la sua informazione potrebbe essere errata).<br />

Per cercare <strong>di</strong> chiarire in cosa consista il passaggio da una prospettiva<br />

intensionale a una cognitiva rispetto al problema del contesto, può essere<br />

utile servirsi <strong>di</strong> una metafora ispirata a un esempio <strong>di</strong> (Perry 1979). In ta-<br />

le esempio, troviamo due campeggiatori che, persi nella foresta, consultano<br />

una mappa per stabilire la propria posizione. La <strong>di</strong>fferenza tra la prospet-<br />

tiva intensionale e la prospettiva cognitiva può essere descritta come segue.<br />

Immaginiamo <strong>di</strong> dover stabilire il contenuto dell’enunciato “Siamo qui” emes-<br />

so dai due campeggiatori. La prospettiva intensionale affronta il problema<br />

dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> un aviatore che sorvola la zona e, utilizzando la sua<br />

conoscenza (completa) sulla posizione dei due, determina quale sia il conte-<br />

nuto dell’enunciato in questione. Viceversa, la prospettiva cognitiva affronta<br />

il problema dal punto <strong>di</strong> vista dei campeggiatori e, quin<strong>di</strong>, richiede <strong>di</strong> non<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 990<br />

utilizzare informazione che solo l’aviatore (osservatore esterno) può avere.<br />

Questa sembra essere la nozione <strong>di</strong> contesto sviluppata da Robert Stalnaker<br />

fin dai suoi primi lavori sulla presupposizione pragmatica (1970, 1973, 1974).<br />

In On the Representation of Context (1999), Stalnaker si propone <strong>di</strong> ritornare<br />

sui concetti fondamentali della sua teoria, chiarendo la funzione che contesto,<br />

contenuto e <strong>di</strong>scorso rivestono nella situazione comunicativa per eccellenza:<br />

la conversazione.<br />

Dalla teoria degli atti linguistici Stalnaker assume l’idea che il <strong>di</strong>scorso<br />

sia un certo tipo <strong>di</strong> azione e, come tale, esso avvenga sempre in un conte-<br />

sto. Gli atti linguistici <strong>di</strong>pendono dal contesto nel senso che il loro contenuto<br />

<strong>di</strong>pende ”not only on the syntactic and semantic proprieties of the types of<br />

expressions used, but also on facts about the situation in which the expres-<br />

sions are used” (1999:98). E il contenuto <strong>di</strong> un atto linguistico non è altro<br />

che il modo in cui esso influenza la situazione in cui è compiuto.<br />

In base a queste osservazioni, Stalnaker caratterizza la nozione <strong>di</strong> con-<br />

testo secondo due ruoli che esso giocherebbe nella comunicazione: il contesto<br />

è sia ciò su cui agisce un atto linguistico, sia ciò rispetto a cui il contenuto<br />

<strong>di</strong> un atto linguistico può essere interpretato.<br />

Esiste una singola nozione <strong>di</strong> contesto tale da sod<strong>di</strong>sfare entrambe<br />

le funzioni precedentemente assegnategli? Secondo Stalnaker è sufficiente<br />

che esso sia concepito come un corpo <strong>di</strong> informazioni che gli interlocutori<br />

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danno per scontato e presumono <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre durante una conversazione,<br />

informazioni concernenti ciò <strong>di</strong> cui si parla e la situazione in cui si parla.<br />

Le informazioni rilevanti per l’interpretazione degli in<strong>di</strong>cali sono pro-<br />

prio queste ultime: informazioni sulla conversazione stessa. I partecipanti<br />

possono dare per scontato che una conversazione sta avendo luogo, che il<br />

parlante sta <strong>di</strong>cendo ciò che sta <strong>di</strong>cendo nel modo in cui lo sta <strong>di</strong>cendo, al<br />

tempo in cui lo sta <strong>di</strong>cendo, e così via.<br />

A scopo illustrativo ripren<strong>di</strong>amo un esempio <strong>di</strong> Stalnaker (1999) lie-<br />

vemente mo<strong>di</strong>ficato:<br />

I saw an interesting movie yesterday (7)<br />

Questo enunciato contiene due espressioni in<strong>di</strong>cali- il pronome perso-<br />

nale ’io’ (’I’) e l’avverbio ’ieri’ (’yesterday’).<br />

Per comprendere il contenuto <strong>di</strong> (7), l’ascoltatore deve sapere chi sta<br />

parlando e quando sta parlando. Nella teoria <strong>di</strong> Stalnaker, queste informa-<br />

zioni non sono altro che presupposizioni. Se il parlante è cooperativo e parla<br />

in modo appropriato starà presumendo che tali informazioni siano con<strong>di</strong>vise,<br />

cioè <strong>di</strong>sponibili al suo u<strong>di</strong>torio, nel momento stesso in cui l’atto linguistico<br />

deve essere interpretato (e prima che il contenuto dell’asserzione sia accetta-<br />

to o rifiutato): “context-dependence means dependence on certain facts, but<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 992<br />

the facts must be available, or presumed to be available, to the participants<br />

in the conversation”[p. 98].<br />

In base a cosa il parlante può correttamente presumere che tali in-<br />

formazioni siano <strong>di</strong>sponibili all’u<strong>di</strong>torio? La risposta è molto semplice: “the<br />

fact that the statement was made is information that is added to the con-<br />

text simply as a result of the fact that it is a manifestly observable event<br />

that it was made.” [p. 101]. In Stalnaker, quin<strong>di</strong>, le coor<strong>di</strong>nate ’esterne’<br />

e in generale la situazione in cui avviene la conversazione entrano in gioco<br />

nell’interpretazione degli in<strong>di</strong>cali solo in quanto elementi manifesti e per que-<br />

sto incontrovertibilmente assumibili come parte del contesto. E’ sufficiente<br />

che sia evidente a tutti che il parlante abbia proferito qualcosa affinché egli<br />

possa presumere in modo cooperativo che gli interlocutori saranno in grado<br />

<strong>di</strong> accomodare 10 questa informazione presupponendola a loro volta. Inol-<br />

tre, essendo ugualmente manifesto che il parlante ha usato l’espressione io,<br />

egli può presumere che il suo u<strong>di</strong>torio sarà in grado <strong>di</strong> interpretarne il con-<br />

tenuto dalla presupposizione che era stata appena accomodata (cioè che il<br />

parlante ha proferito un certo enunciato), e così via. Una volta interpreta-<br />

ti gli in<strong>di</strong>cali, il contenuto dell’asserzione, se accettato, può essere aggiunto<br />

10 Il termine accomodamento è stato introdotto da (Lewis 1979)proprio in relazione ai fenomeni<br />

presupposizionali. La sua “regola <strong>di</strong> accomodamento” per la presupposizione <strong>di</strong>ce<br />

che “se al tempo t viene detto qualcosa che richiede la presupposizione P per essere accettabile,<br />

e se P non è presupposto prima <strong>di</strong> t, allora – ceteris paribus ed entro certi limiti<br />

– la presupposizione P entra in vigore a t” (p.417).<br />

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al corpo <strong>di</strong> informazioni che fa da sfondo alla conversazione, il cosiddetto<br />

context set (Stalnaker 1978). Durante una conversazione, infatti, i parlanti<br />

partecipano ciascuno con un proprio insieme contesto, ovvero con quell’in-<br />

sieme <strong>di</strong> credenze e assunti che ciascuno presume <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre con il resto<br />

dell’u<strong>di</strong>torio.<br />

Questo contesto comprende innanzitutto informazioni su ciò <strong>di</strong> cui si<br />

sta parlando. Se l’argomento <strong>di</strong> conversazione è, ad esempio, la situazione<br />

politica, i fatti più elementari dell’attuale situazione politica possono essere<br />

dati per scontati, e si può assumere che ogni altro partecipante stia facen-<br />

do lo stesso. La presenza <strong>di</strong> questo presunto ”terreno comune” (common<br />

ground) rende la comunicazione possibile ed efficace guidando ciò che potrà<br />

appropriatamente essere detto durante tutta la conversazione. Asserire qual-<br />

cosa che tutti stanno presumibilmente dando per scontato sarà una ”mossa”<br />

conversazionale inopportuna perché ridondante (non informativa), così co-<br />

me asserire qualcosa <strong>di</strong> incompatibile con il presunto terreno comune sarà<br />

controproducente, perché facilmente contestabile,(si veda (Stalnaker 1974).<br />

Tuttavia, non è detto che le informazioni che compongono l’insieme contesto<br />

rimangano sempre sullo sfondo. L’uso <strong>di</strong> espressioni presupposizionali 11 può<br />

far affiorare alcuni elementi <strong>di</strong> questo insieme, non essendo altro le presup-<br />

11 Le espressioni presupposizionali, o attivatori, sono tutte quelle espressioni o costruzioni<br />

sintattiche cui sono associate delle presupposizioni. Ad esempio, le descrizioni definite<br />

attivano la presupposizione <strong>di</strong> esistenza e unicità del referente, i verbi fattivi quella della<br />

verità del complemento, ecc.<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 994<br />

posizioni che informazioni date per scontate dal parlante e che egli assume<br />

<strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre con il proprio u<strong>di</strong>torio. L’uso <strong>di</strong> un’espressione presupposi-<br />

zionale, quin<strong>di</strong>, ”attiva” una <strong>di</strong> quelle informazioni che definiscono l’insieme<br />

contesto.<br />

Il presunto sfondo comune può essere rappresentato con un insieme<br />

<strong>di</strong> mon<strong>di</strong> possibili, quelli compatibili con le informazioni in esso contenute.<br />

Lo scopo <strong>di</strong> un atto linguistico, come ad esempio <strong>di</strong> un’asserzione, sarà <strong>di</strong><br />

tracciare <strong>di</strong>stinzioni tra i mon<strong>di</strong> possibili dell’insieme contesto, eliminando<br />

quelli in cui la proposizione asserita non è vera. In altre parole, un’asserzione<br />

può essere intesa come la proposta <strong>di</strong> alterare il corpo <strong>di</strong> informazioni che<br />

definisce il contesto aggiungendovi l’informazione che costituisce il contenuto<br />

<strong>di</strong> ciò che è stato asserito. Se tale proposta sarà accettata dai partecipanti, il<br />

contesto cambierà e da quel momento in poi sarà presupposto ciò che è stato<br />

appena asserito. Tutti gli atti linguistici successivi verranno interpretati<br />

rispetto a questo nuovo contesto integrato.<br />

Riassumendo, due sono i tipi <strong>di</strong> informazioni che contribuiscono a<br />

definire il contesto, e due i mo<strong>di</strong> in cui un proferimento può contribuire a<br />

cambiarlo:<br />

(a) informazioni sulla situazione in cui avviene la conversazione e sulla<br />

conversazione stessa; al contesto vengono aggiunte informazioni re-<br />

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995 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

lative alla conversazione che sta avendo luogo, al fatto che qualcuno<br />

ha detto qualcosa in un certo modo, ecc. Da queste informazioni<br />

<strong>di</strong>pende l’interpretazione dei proferimenti contenenti in<strong>di</strong>cali;<br />

(b) informazioni <strong>di</strong> sfondo sull’argomento <strong>di</strong> conversazione; questo sfon-<br />

do viene continuamente aggiornato con i contenuti dei proferimenti<br />

che, non essendo stati messi in <strong>di</strong>scussione, <strong>di</strong>ventano patrimonio<br />

comune dei conversanti.<br />

Dal primo tipo <strong>di</strong> informazioni <strong>di</strong>pende, come abbiamo visto, l’in-<br />

terpretazione degli in<strong>di</strong>cali, ma non solo. Da esso <strong>di</strong>pende anche l’inter-<br />

pretazione degli attivatori presupposizionali le cui presupposizioni non siano<br />

informazione già con<strong>di</strong>vise. Supponiamo che il parlante proferisca<br />

Il film che ho visto ieri era molto interessante (8)<br />

e che non sia informazione con<strong>di</strong>visa che il giorno precedente a quello in cui<br />

sta parlando, egli abbia visto un film. Pur essendo parte della definizione<br />

<strong>di</strong> presupposizione che essa sia un elemento del contesto e come tale un’in-<br />

formazione che si assume già a <strong>di</strong>sposizione dell’u<strong>di</strong>torio, l’uso dell’espressio-<br />

ne presupposizionale il film che ho visto ieri non risulta inappropriato. Si<br />

tratta infatti <strong>di</strong> un fenomeno molto comune, quello per cui le presupposi-<br />

zioni possono essere usate con funzione informativa(si pensi alla nozione <strong>di</strong><br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 996<br />

accomodamento introdotta da Lewis). Stalnaker (1999) spiega il fenomeno<br />

ricorrendo ancora una volta al contesto in quanto composto da informazioni<br />

sulla conversazione stessa.<br />

Supponiamo che prima che il parlante proferisca (8), i partecipanti al-<br />

la conversazione presuppongano a) che egli è competente e cooperativo e che<br />

i suoi proferimenti saranno appropriati; e b) che la descrizione definita il film<br />

che ho visto ieri richieda la presupposizione che il parlante ha visto un film<br />

il giorno precedente, nel senso che l’uso <strong>di</strong> questa espressione è appropriato<br />

solo in un contesto in cui il parlante stia presupponendo <strong>di</strong> aver visto un film<br />

il giorno precedente. Aggiungendo a queste presupposizioni iniziali l’infor-<br />

mazione che il parlante ha proferito (8) (ovvero un’informazione <strong>di</strong> tipo (b)),<br />

seguirà che, dopo aver prodotto il suo proferimento, egli starà assumendo<br />

che l’u<strong>di</strong>torio con<strong>di</strong>vide l’informazione che ha visto un film (come conseguen-<br />

za del fatto che ”an utterance event is something conspicuous that happens<br />

at the scene of a conversation, and the presupposition that such an event<br />

occurred is the source of any accommodation” (1999, p.103). E poiché si<br />

presume che le presupposizioni siano informazioni con<strong>di</strong>vise, anche l’u<strong>di</strong>torio<br />

starà facendo questa presupposizione. Un’ulteriore requisito deve però essere<br />

sod<strong>di</strong>sfatto (come rileva Stalnaker stesso). Bisogna assumere che l’u<strong>di</strong>torio<br />

sia <strong>di</strong>sposto a supporre che, se il parlante sta presupponendo <strong>di</strong> aver visto un<br />

film il giorno precedente, allora è vero che lo abbia fatto. E il parlante stesso,<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


997 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

nel proferire appropriatamente (8) deve presupporre che l’u<strong>di</strong>torio sarà <strong>di</strong>-<br />

sposto a fare questa supposizione. In altre parole, l’informazione presupposta<br />

non deve essere considerata dal parlante controversa 12 .<br />

Da quanto fin qui detto, emerge chiaramente che la nozione <strong>di</strong> contesto<br />

adottata da Stalnaker è una nozione prettamente cognitiva, essendo parte <strong>di</strong><br />

ciò che gli interlocutori hanno in mente quando parlano. La comunicazione<br />

avviene in modo efficace quando i partecipanti riescono a coor<strong>di</strong>nare in modo<br />

razionale i loro contenuti mentali.<br />

L’unico riferimento al contesto ’esterno’ sta nel suo essere qualcosa <strong>di</strong><br />

manifesto, sotto gli occhi <strong>di</strong> tutti, e nel suo essere quin<strong>di</strong> fonte <strong>di</strong> informazioni<br />

per l’interpretazione dei proferimenti. Ma sono queste informazioni che rico-<br />

prono un vero e proprio ruolo nel processo comunicativo. Se i partecipanti<br />

fossero tutti vittime <strong>di</strong> un’illusione e credessero <strong>di</strong> aver sentito X proferire<br />

un enunciato, il fatto che X in realtà non esista o non abbia proferito parola,<br />

non ha alcuna conseguenza nella teoria <strong>di</strong> Stalnaker.<br />

12 La teoria <strong>di</strong> Stalnaker è stata criticata da Christopher Gauker (1998) anche sulla base <strong>di</strong><br />

questo requisito <strong>di</strong> incontrovertibilità. Discutendo un classico esempio <strong>di</strong> uso informativo<br />

della presupposizione, cioè “We regret that children cannot accompany their partents to<br />

the commencement exercises” (dove il verbo regret attiva la presupposizione informativa<br />

che i figli non sono ammessi alla cerimonia), Gauker osserva: “Si può ben immaginare una<br />

rivolta dei genitori, in cui essi insistono che i bambini devono essere ammessi e in cui li<br />

portino nell’au<strong>di</strong>torium, che le autorità lo permettano o meno. In questo caso è <strong>di</strong>fficile<br />

trovare un qualche senso in cui la presupposizione sia non controversa” (Gauker 1998,<br />

p. 162).<br />

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5 Il contestualismo<br />

P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 998<br />

Ispirato alla tra<strong>di</strong>zione dei filosofi del linguaggio or<strong>di</strong>nario, e in particolare<br />

a Austin, ma anche agli approcci al linguaggio elaborati successivamente da<br />

Grice e da Searle, esiste oggi un ampio programma <strong>di</strong> ricerca nel quale con-<br />

fluiscono i lavori <strong>di</strong> autori provenienti da <strong>di</strong>versi ambiti <strong>di</strong>sciplinari (Carston<br />

e Sperber & Wilson dalle scienze cognitive , Charles Travis e Francois Re-<br />

canati dalla filosofia del linguaggio, ecc.), accomunati da una critica ra<strong>di</strong>cale<br />

al letteralismo insito nel para<strong>di</strong>gma semantico tra<strong>di</strong>zionale. Si tratta <strong>di</strong> una<br />

critica volta a demolire la tesi secondo cui gli enunciati hanno un contenuto<br />

vero-con<strong>di</strong>zionale determinato, <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente, dal significato<br />

linguistico delle varie espressioni che li compongono, in<strong>di</strong>pendentemente dal<br />

contesto in cui vengono usati. Il contestualismo sostiene invece che “only<br />

in the context of a speech act does a sentence express a determinate con-<br />

tent” (Recanati 2005, p. 171). La critica al para<strong>di</strong>gma tra<strong>di</strong>zionale si fonda<br />

sull’analisi <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> espressioni il cui contenuto semantico sarebbe sot-<br />

todeterminato (non pienamente in<strong>di</strong>viduato) dal significato linguistico. La<br />

proposizione espressa da enunciati in cui occorrono espressioni in<strong>di</strong>cali, <strong>di</strong>-<br />

mostrative, costruzioni possessive, certi aggettivi, verbi, ecc., non potrebbe<br />

essere in<strong>di</strong>viduata, secondo i contestualisti, senza ricorrere a particolari pro-<br />

cessi pragmatici che si basano, inoltre, su una nozione <strong>di</strong> contesto <strong>di</strong> natura<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


999 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

prettamente cognitiva.<br />

Il para<strong>di</strong>gma tra<strong>di</strong>zionale si era confrontato ben presto, come abbia-<br />

mo visto, con il fenomeno della <strong>di</strong>pendenza contestuale. Il caso degli in<strong>di</strong>cali<br />

classificati come puri – io, qui, ora – è stato infatti ampiamente trattato al-<br />

l’interno del para<strong>di</strong>gma criticato dal contestualismo. Brevemente, il carattere<br />

Kaplaniano non è altro che quella regola linguistica che, a partire dal contesto<br />

<strong>di</strong> proferimento, in<strong>di</strong>vidua automaticamente il contenuto, in quel contesto,<br />

dell’espressione cui la regola è associata. La scelta del parametro contestuale<br />

pertinente è pertanto co<strong>di</strong>ficata nel significato linguistico stesso fissato dalle<br />

convenzioni della lingua. Il processo attraverso cui si ricorre al contesto del<br />

proferimento (o a certe coor<strong>di</strong>nate <strong>di</strong> questo) è attivato linguisticamente, è<br />

un processo bottom-up (ve<strong>di</strong> (Recanati 2005)) ed è confinato a una categoria<br />

limitata <strong>di</strong> espressioni. L’approccio contestualista sostiene invece che i pro-<br />

cessi pragmatici che sottendono l’interpretazione delle espressioni sensibili al<br />

contesto e degli enunciati in cui occorrono, sono processi top-down, processi<br />

pragmaticamente controllati a partire dal contesto d’uso dell’enunciato, dal-<br />

le intenzioni comunicative dei parlanti, dalla loro conoscenza enciclope<strong>di</strong>ca,<br />

da uno sfondo <strong>di</strong> pratiche e assunti senza il quale nessun enunciato sarebbe<br />

interpretabile. Per i contestualisti la sottodeterminazione è una proprietà<br />

intrinseca del linguaggio in generale, e non soltanto <strong>di</strong> particolari espressioni.<br />

Consideriamo il caso dei <strong>di</strong>mostrativi e delle costruzioni possessive:<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 1000<br />

Questo libro è <strong>di</strong> Giovanni (9)<br />

Per la determinazione del riferimento del <strong>di</strong>mostrativo, fanno notare i<br />

contestualisti, sono rilevanti le intenzioni del parlante. Non esiste una regola<br />

linguistica che, date le opportune coor<strong>di</strong>nate contestuali, fissa automatica-<br />

mente il riferimento dell’occorrenza <strong>di</strong> questo in (9). Inoltre, sempre in (9),<br />

l’espressione <strong>di</strong> segnala l’esistenza <strong>di</strong> una relazione R tra un particolare libro<br />

e Giovanni. Per la determinazione delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> verità dell’enunciato è<br />

necessario specificare <strong>di</strong> che genere <strong>di</strong> relazione si tratti. Il libro in questione<br />

potrebbe essere infatti, a seconda dell’occasione d’uso, quello che Giovanni<br />

si è recentemente comprato, quello che ha recentemente letto, quello che ha<br />

scritto, il suo libro preferito, ecc. Il destinatario deve assegnare un valore<br />

contestuale alla variabile R, ma non c’è nulla nella semantica dell’espressione<br />

possessiva che in<strong>di</strong>chi come la variabile debba essere istanziata. Il processo<br />

<strong>di</strong> saturazione è in questo caso un processo pragmatico top-down, fondato sul<br />

contesto cognitivo, sulle conoscenze enciclope<strong>di</strong>che dei parlanti, gli assunti <strong>di</strong><br />

sfondo, il riconoscimento delle intenzioni dei parlanti. Il valore semantico <strong>di</strong><br />

queste espressioni varia, secondo Recanati 2005, da occorrenza a occorrenza,<br />

e varia non come funzione <strong>di</strong> qualche caratteristica oggettiva della situazione<br />

<strong>di</strong> proferimento, ma come funzione <strong>di</strong> ciò che il parlante intende. Ciò vale per<br />

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1001 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

tutti gli enunciati del linguaggio naturale. La sottodeterminazione sarebbe,<br />

cioè, una proprietà universale del significato, anche dopo l’in<strong>di</strong>viduazione del<br />

contenuto <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cali, <strong>di</strong>mostrativi, possessivi, ecc.: “no sentence ever ful-<br />

ly encodes the thought or proposition it is used to express” (Carston 2002,<br />

p. 29).<br />

Se consideriamo infatti alcuni enunciati ampiamente <strong>di</strong>scussi, per esem-<br />

pio da Searle e da Travis, come:<br />

Giovanni ha tagliato l’erba (10)<br />

che cosa contribuisce alla determinazione delle loro con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> verità in-<br />

tuitive? Secondo l’approccio contestualista è il contesto a dare il contribu-<br />

to decisivo, il contesto identificato con la nozione <strong>di</strong> background <strong>di</strong> Searle<br />

(Searle 1978), cioè quello sfondo <strong>di</strong> pratiche e assunti che sottende ogni pro-<br />

cesso <strong>di</strong> interpretazione. Nella determinazione delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> verità <strong>di</strong><br />

(10), infatti, gioca un ruolo importante il modo in cui l’erba è stata taglia-<br />

ta. Se Giovanni l’avesse tagliata come si taglia una fetta <strong>di</strong> torta, <strong>di</strong>remmo<br />

intuitivamente che (10) è vero? Probabilmente no. D’altra parte, in<br />

Francesca ha tagliato la torta (11)<br />

se la torta fosse stata tagliata con una falciatrice, <strong>di</strong>remmo intuitivamente<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 1002<br />

che (11) non è vero. Questo perché la nostra conoscenza enciclope<strong>di</strong>ca, il<br />

nostro background <strong>di</strong> assunti e pratiche, ci <strong>di</strong>ce che i prati si tagliano con<br />

la falciatrice e le torte con i coltelli. Il medesimo pre<strong>di</strong>cato (tagliare) ha<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> applicazione che variano da contesto a contesto. L’assegnazione<br />

<strong>di</strong> un contenuto agli enunciati in cui il pre<strong>di</strong>cato occorre <strong>di</strong>pende in modo<br />

cruciale dal modo in cui il contesto ci fa saturare variabili quali quella che,<br />

in questo caso, potremmo definire “modo <strong>di</strong> tagliare”. E non è il significato<br />

linguistico del verbo “tagliare” a <strong>di</strong>rci che c’è una variabile contestuale da<br />

saturare, né tantomento come essa debba essere saturata (al contrario <strong>di</strong> ciò<br />

che accade per gli in<strong>di</strong>cali puri). Il processo <strong>di</strong> saturazione delle variabili,<br />

e la conseguente determinazione delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> verità degli enunciati, è<br />

dunque, secondo i contestualisti, un processo top-down.<br />

Cosa rimane allora del significato linguistico nella prospettiva conte-<br />

stualista? Esso ha ancora un ruolo nelle forme <strong>di</strong> contestualismo che sono<br />

state definite moderate (Bianchi 2001), quelle posizioni cioè che riconoscono<br />

l’esistenza <strong>di</strong> un nucleo semantico delle parole fissato dalla lingua, ma che<br />

insistono sul fatto che tale nucleo sia insufficiente a determinare le con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong> verità delle espressioni complesse e degli enunciati: l’istanziazione delle<br />

variabili contestuali e la composizione semantica dei sensi delle parole sono<br />

processi pragmatici top-down che si servono del contesto inteso come sapere<br />

enciclope<strong>di</strong>co e background. Il contestualismo ra<strong>di</strong>cale, invece, può giungere a<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


1003 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

eliminare la nozione stessa <strong>di</strong> significato linguistico. Il senso <strong>di</strong> un’espressione<br />

sarebbe computato <strong>di</strong>rettamente nel suo contesto d’uso sulla base dei sensi<br />

che essa ha assunto in precedenti occasioni d’uso, senza bisogno <strong>di</strong> postula-<br />

re l’esistenza <strong>di</strong> astratte con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> applicazione che ne costituirebbero il<br />

significato convenzionale.<br />

Una forma <strong>di</strong>versa <strong>di</strong> contestualismo è quella <strong>di</strong> Christopher Gauker, il<br />

quale sviluppa una teoria della comunicazione linguistica in aperto contrasto<br />

con quella che chiama “the received view”, quella tra<strong>di</strong>zione teorica cioè che<br />

concepisce il linguaggio come mezzo attraverso cui i parlanti rendono mani-<br />

festi i contenuti dei propri pensieri agli ascoltatori. Il ruolo del linguaggio,<br />

secondo (Gauker 2003), è un altro: “la funzione primaria delle asserzioni è <strong>di</strong><br />

influenzare [shape] la maniera in cui gli interlocutori tentano <strong>di</strong> raggiungere<br />

i loro scopi” (p. 52). Ogni conversazione, osserva Gauker, ha un obiettivo,<br />

uno scopo con<strong>di</strong>viso. Il modo migliore <strong>di</strong> raggiungere tale scopo <strong>di</strong>pende dalle<br />

circostanze in cui avviene la conversazione stessa. Supponiamo per esempio<br />

che Giorgio e Anna vogliano incontrarsi il giorno successivo. Per raggiungere<br />

tale obiettivo compiranno una serie <strong>di</strong> azioni. Tali azioni, secondo Gauker,<br />

possono accordarsi o meno ad un insieme <strong>di</strong> enunciati che la situazione e<br />

l’obiettivo stesso dei partecipanti rendono pertinenti. Se, nel nostro caso,<br />

questo insieme contiene gli enunciati: {Anna è impegnata domani mattina.<br />

Giorgio è impegnato domani sera. L’incontro avverrà al Caffè SSan Marco},<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 1004<br />

ra le azioni in accordo ci sarà quella <strong>di</strong> incontrarsi al Caffè San Marco nel<br />

pomeriggio del giorno successivo, tra quelle in <strong>di</strong>saccordo ci saranno l’incon-<br />

trarsi l’indomani mattina, o l’indomani sera, o in un luogo <strong>di</strong>verso dal Caffè<br />

San Marco (p. 53).<br />

Data questa idea intuitiva <strong>di</strong> azioni in accordo con un certo insieme <strong>di</strong><br />

enunciati pertinenti, Gauker definisce il contesto come il più piccolo insieme<br />

coerente <strong>di</strong> enunciati semplici <strong>di</strong> un linguaggio e <strong>di</strong> negazioni <strong>di</strong> enunciati<br />

semplici (literals) tale che “tutte le modalità d’azione che si accordano con<br />

esso relativamente allo scopo della conversazione sono buoni mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> raggiun-<br />

gere lo scopo” (p. 54). Durante una conversazione sarà dunque utile, in vista<br />

del raggiungimento dello scopo della conversazione e senza ri<strong>di</strong>re quanto è<br />

già dato per scontato, asserire gli enunciati che sono nel contesto (o negare<br />

le loro negazioni), mentre è inutile o dannoso asserire altri enunciati.<br />

Definito il contesto come insieme <strong>di</strong> enunciati asseribili, qual è la sua<br />

relazione con il mondo e con i parlanti? Il contesto, afferma Gauker, <strong>di</strong>-<br />

pende dai fatti che risultano pertinenti agli scopi della conversazione. La<br />

sua è dunque una nozione oggettiva <strong>di</strong> contesto: il contenuto del contesto<br />

è determinato da come è fatto il mondo, dalla situazione in cui avviene la<br />

conversazione, dagli scopi per cui si sta conversando e non da ciò che i par-<br />

lanti hanno in mente quando parlano. Gli interlocutori possono infatti essere<br />

inconsapevoli <strong>di</strong> quali fatti siano pertinenti agli scopi della conversazione,<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


1005 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

e possono anche assumere erroneamente che il contenuto del contesto che<br />

governa la conversazione sia <strong>di</strong>verso da quello che oggettivamente è. quello<br />

che oggettivamente è. Il fatto che il parlante assuma un certo contesto non<br />

significa, secondo Gauker, che egli stia presumendo <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre con il suo<br />

u<strong>di</strong>torio una serie <strong>di</strong> informazioni. Significa invece che egli conidera certi<br />

enunciati come asseribili nel contesto oggettivo.<br />

Poiché nella teoria <strong>di</strong> Gauker la valutazione dei proferimenti non <strong>di</strong>-<br />

pende in alcun modo dall’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> un contenuto proposizionale che<br />

il parlante intenda esprimere, né da un presunto sfondo <strong>di</strong> assunti con<strong>di</strong>visi, il<br />

contestualismo <strong>di</strong> Gauker si pone in controtendenza rispetto a quel percorso<br />

teorico che ha progressivamente portato nel cuore del concetto <strong>di</strong> comunica-<br />

zione la nozione cognitiva <strong>di</strong> contesto. Gauker ammette che il significato ha<br />

una <strong>di</strong>mensione psicologica, ma essa, per lui, non interferisce con la questione<br />

logica della valutazione, relativa al contesto oggettivo, dell’asseribilità degli<br />

enunciati e della vali<strong>di</strong>tà degli argomenti.<br />

6 Verso una logica del contesto cognitivo<br />

Il passaggio da una prospettiva metafisica a una prospettiva cognitiva ri-<br />

spetto al problema del contesto riceve una forte spinta nelle <strong>di</strong>scipline che,<br />

invece <strong>di</strong> focalizzarsi su un particolare ruolo del contesto (per esempio nella<br />

formalizzazione <strong>di</strong> una logica per gli in<strong>di</strong>cali o i <strong>di</strong>mostrativi), si pongono il<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 1006<br />

problema più generale <strong>di</strong> quale sia la logica del ragionamento contestuale, ov-<br />

vero <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> ragionamento le cui premesse e conclusioni siano <strong>di</strong>pendenti<br />

dal contesto. Per esempio, cosa può inferire Francesca dal fatto che Giovan-<br />

ni, seduto al ristorante <strong>di</strong> fronte a lei, le <strong>di</strong>ca che gli piace il suo orecchino<br />

destro? Oppure, cosa possiamo inferire dall’asserzione “La Francia è esago-<br />

nale” fatta nel contesto <strong>di</strong> una <strong>di</strong>scussione informale sulla forma degli stati<br />

europei? Oppure dal fatto che, nel contesto <strong>di</strong> credenza <strong>di</strong> Giovanni, ci sia la<br />

credenza “Azeglio Ciampi è il Presidente dalla Repubblica Italiana”, mentre<br />

in quello <strong>di</strong> Francesca c’è la credenza “Un Trentino è Presidente della Re-<br />

pubblica Italiana”? In tutti questi casi, una nozione <strong>di</strong> contesto che astragga<br />

dallo stato cognitivo degli agenti coinvolti sembra inadeguata, mentre una<br />

nozione <strong>di</strong> contesto come spazio cognitivo (entro cui è assegnato un certo<br />

valore alle espressioni del linguaggio in base ad assunzioni “locali”) sembra<br />

permettere <strong>di</strong> vedere la <strong>di</strong>pendenza contestuale in un quadro omogeneo, nel<br />

quale rientrano anche le espressioni in<strong>di</strong>cali.<br />

È interessante notare come, in aree <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong>verse dalla filosofia<br />

del linguaggio, la nozione <strong>di</strong> contesto che qui è chiamata cognitiva sia presa<br />

– in un certo senso – come quella “ovvia”. Per esempio, ecco come Sperber<br />

e Wilson, nel loro celebre libro Relevance. Communication and Cognition,<br />

tratteggiano la definizione <strong>di</strong> contesto: “The set of premises used in interpre-<br />

ting an utterance [...] constitutes what is generally known as the context.<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


1007 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

A context is a psychological construct, a subset of the hearer’s assumptions<br />

about the world” (Sperber & Wilson 1986). Da un’angolazione più cognitiva,<br />

questa stessa nozione è così descritta in (Kokinov 1995): “Context is the set<br />

of all entities that influence human (or system’s) cognitive behaviour on a<br />

particular occasion. [...] There are many things in the universe that do not<br />

influence human behaviour in a particular moment and only very few that<br />

do influence it. Moreover, <strong>di</strong>fferent people will be influenced by <strong>di</strong>fferent ele-<br />

ments of the same environment. So, all the entities in the environment which<br />

do influence human behaviour are internally represented and it is the repre-<br />

sentation which actually influence the behaviour [...] That is why context<br />

is considered as a ‘state of the mind’ of the cognitive system”. In entrambe<br />

le citazioni riportate si insiste molto sull’idea che il contesto ha a che vedere<br />

con la struttura cognitiva <strong>di</strong> un agente piuttosto che con la struttura dello<br />

stato <strong>di</strong> cose rispetto a cui un enunciato è valutato.<br />

Queste idee sono riprese in forma sistematica anche nei lavori <strong>di</strong> Fau-<br />

connier sulla nozione <strong>di</strong> spazio mentale (Fauconnier 1985) e soprattutto <strong>di</strong><br />

Dinsmore sulla nozione <strong>di</strong> partitioned representation (Dinsmore 1991). In<br />

tutti questi casi, l’assunzione <strong>di</strong> fondo è che la rappresentazione della co-<br />

noscenza <strong>di</strong> un agente non possa essere pensata come un unico insieme <strong>di</strong><br />

“verità eterne”, bensì deve essere pensata come <strong>di</strong>visa in una serie <strong>di</strong> spazi<br />

(alcuni più statici, altri creati <strong>di</strong>namicamente) i cui contenuti sono altamente<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 1008<br />

<strong>di</strong>pendenti dal contesto. Per esempio, nello spazio che rappresenta la cono-<br />

scenza <strong>di</strong> un agente sulle storie <strong>di</strong> Sherlock Holmes, l’enunciato “Holmes è<br />

un detective” rappresenta l’asserzione (vera) che il protagonista dei celebri<br />

racconti è un detective, mentre nello spazio relativo alla storia del pugilato<br />

moderno esso potrebbe rappresentare l’asserzione (falsa) che il pugile Larry<br />

Holmes è un detective. Da questo punto <strong>di</strong> vista, anche quello che in filosofia<br />

del linguaggio è chiamato un contesto <strong>di</strong> produzione può essere visto come<br />

uno spazio mentale, ovvero come un insieme <strong>di</strong> enunciati il cui contenuto<br />

<strong>di</strong>pende da una serie <strong>di</strong> assunzioni (relative alle circostanze spazio–temporali<br />

<strong>di</strong> emissione <strong>di</strong> un enunciato) che un agente associa a quello spazio mentale.<br />

Sebbene tale nozione <strong>di</strong> contesto come spazio cognitivo sia sufficien-<br />

temente nota e <strong>di</strong>scussa, esistono solo pochissimi tentativi – e quasi tutti<br />

nel campo dell’Intelligenza Artificiale – <strong>di</strong> definire una logica cognitiva del<br />

contesto. I principali sono due: la formalizzazione del contesto proposta da<br />

John McCarthy (McCarthy 1993) (e successivamente sviluppata da suoi col-<br />

laboratori, per esempio nella tesi <strong>di</strong> dottorato <strong>di</strong> R. Guha (Guha 1991) o in<br />

nei lavori <strong>di</strong> Buvac e Mason (Buvač & Mason 1993, Buvač 1996)), e i Siste-<br />

mi MultiContesto (SMC) introdotti in (Giunchiglia 1993) e compiutamente<br />

formalizzati in (Ghi<strong>di</strong>ni & Giunchiglia 2001). I due approcci, che apparente-<br />

mente con<strong>di</strong>vidono molte motivazioni, sono in realtà profondamente <strong>di</strong>versi<br />

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1009 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

dal punto <strong>di</strong> vista delle assunzioni <strong>di</strong> fondo 13 .<br />

L’approccio “alla McCarthy” si basa su due idee fondamentali: da un<br />

lato che la verità <strong>di</strong> ogni enunciato p è sempre relativa a un qualche contesto<br />

c (formalmente, ist(p, c)), compresi gli enunciati della forma ist(p, c) (che<br />

quin<strong>di</strong> andrebbe scritto come c ′ : ist(p, c)); e che non esiste un “contesto<br />

più esterno” o outermost context (sostanzialmente, la visione oggettiva delle<br />

cose), per cui ogni contesto può sempre essere “trasceso” (transcended) e<br />

visto da un punto <strong>di</strong> osservazione più generale. Di conseguenza, la logica<br />

dei contesti <strong>di</strong> McCarthy può essere vista come una struttura “a cipolla” <strong>di</strong><br />

contesti, in cui ogni contesto è sempre contenuto da un contesto più generale<br />

e in cui la verità <strong>di</strong> un enunciato deve essere valutata in base alla catena<br />

<strong>di</strong> contesti da cui <strong>di</strong>pende (per esempio, un enunciato come “Un Trentino<br />

è Presidente della Repubblica Italiana” (Φ)potrebbe <strong>di</strong>pendere da una serie<br />

<strong>di</strong> contesti annidati uno nell’altro, come quello delle credenze <strong>di</strong> Francesca<br />

(c1 )nel 2006 (c2) dopo una buona bevuta <strong>di</strong> Teroldego (c3) in un rifugio <strong>di</strong><br />

Madonna <strong>di</strong> Campiglio (c4) 14 .<br />

L’approccio proposto da Giunchiglia e dal suo gruppo si basa sull’in-<br />

tuizione che un contesto sia “that subset of the complete state of an in<strong>di</strong>vidual<br />

13 Un confronto concettuale e formale dei due approcci richiederebbe molto spazio, per cui<br />

riman<strong>di</strong>amo i lettori interessati a (Serafini & Bouquet 2004). Una <strong>di</strong>scussione più informale<br />

sui vari tipi <strong>di</strong> logiche per i contesti si trova in (Bouquet, Ghi<strong>di</strong>ni, Giunchiglia & Blanzieri<br />

2003).<br />

14 Formalmente: c ′ : ist(c4, ist(c3, ist(c2, ist(c1, Φ).<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 1010<br />

that is used for reasoning about a given goal”. Questa idea è espressa anche<br />

<strong>di</strong>cendo che un contesto è una rappresentazione parziale e approssimata del<br />

mondo dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> un determinato agente: è parziale perchè descri-<br />

ve solo una porzione limitata del mondo (per esempio, le storie <strong>di</strong> Sherlock<br />

Holmes o un certo contesto <strong>di</strong> emissione <strong>di</strong> un enunciato); è approssimata<br />

perchè anche la porzione <strong>di</strong> mondo considerata è descritta a un certo livello<br />

<strong>di</strong> dettaglio. Una logica del contesto, da questa prospettiva, deve affronta-<br />

re due problemi: da un lato, come possano convivere nello stesso sistema<br />

molteplici rappresentazioni (talvolta tra <strong>di</strong> loro inconsistenti) del mondo;<br />

dall’altro, quali relazioni esistano (se esistono) tra <strong>di</strong>verse rappresentazioni.<br />

In (Giunchiglia & Bouquet 1997, Ghi<strong>di</strong>ni & Giunchiglia 2001, Benerecetti,<br />

Bouquet & Ghi<strong>di</strong>ni 2000), questi due aspetti sono descritti come i due princi-<br />

pi più generali del ragionamento contestuale. Il primo, chiamato principio <strong>di</strong><br />

località, <strong>di</strong>ce che ciò che può essere espresso (quin<strong>di</strong>, il linguaggio <strong>di</strong>sponibi-<br />

le) e le fondamentali relazioni semantiche (denotazione, verità, conseguenza<br />

logica) sono sempre locali a un contesto (formalizzato come una teoria logi-<br />

ca). Il secondo, chiamato principio <strong>di</strong> compatibilità, <strong>di</strong>ce che tra due contesti<br />

(teorie) possono esistere dei vincoli tale per cui la verità <strong>di</strong> un insieme <strong>di</strong><br />

enunciati <strong>di</strong> un contesto può forzare la verità <strong>di</strong> un altro insieme <strong>di</strong> enunciati<br />

in un <strong>di</strong>verso contesto (tale principio può essere facilmente generalizzato a<br />

più <strong>di</strong> due contesti). Semanticamente, il principio <strong>di</strong> compatibilità è cattura-<br />

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1011 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

to come una relazione (detta appunto <strong>di</strong> compatibilità) tra insiemi <strong>di</strong> modelli<br />

<strong>di</strong> linguaggi <strong>di</strong>stinti, ad esempio tra i modelli che rappresentano il punto <strong>di</strong><br />

vista <strong>di</strong> Francesca e quelli che rappresentano il punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Giovanni<br />

nell’esempio del ristorante poco sopra. Dal punto <strong>di</strong> vista del sistema for-<br />

male, tali relazioni sono catturate me<strong>di</strong>ante le cosiddette regole ponte, che<br />

hanno la seguente forma:<br />

c : Φ<br />

c1 : Φ1, . . .,cn : Φn<br />

(se nei contesti c1, . . .,cn si possono inferire rispettivamente le formule Φ1, . . .,Φn,<br />

allora nel contesto c si può inferire la conclusione Φ) e la cui principale ca-<br />

ratteristica è che premesse e conclusione appartengono a contesti (e quin<strong>di</strong> a<br />

teorie, linguaggi) <strong>di</strong>fferenti.<br />

L’applicazione <strong>di</strong> questa logica alla formalizzazione dei linguaggi in<strong>di</strong>-<br />

cali è stata <strong>di</strong>scussa in (Benerecetti, Bouquet & Zanobini 2003). L’interpre-<br />

tazione dell’enunciato “Piove”, per esempio, è data relativamente a un certo<br />

spazio cognitivo, nel quale sono assunte certe informazioni sul luogo e sul<br />

tempo <strong>di</strong> emissione. Se, per esempio, c1 e c2 rappresentano ciò che un agente<br />

sa <strong>di</strong> due <strong>di</strong>versi contesti <strong>di</strong> produzione, il contenuto e, quin<strong>di</strong>, la verità <strong>di</strong><br />

“Piove” <strong>di</strong>penderanno da questa conoscenza. Questo è effetto del principio<br />

<strong>di</strong> località. Ora, se immaginiamo che c1 rappresenti le credenze dell’agente<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 1012<br />

a proposito del 24 novembre 1997 a Trento e c2 a proposito del 25 novembre<br />

sempre a Trento, è anche facile immaginare una semplice relazione <strong>di</strong> com-<br />

patibilità che vogliamo imporre tra i contenuti dei due contesti: ogni volta<br />

che in c1 è vero qualcosa al tempo ‘ora’, la stessa cosa deve essere vera nel<br />

contesto c2 al tempo ‘ieri’. Per esempio, se “Piovere [qui,ora]” è vero in c1,<br />

“Piovere [qui,ieri]” deve essere vero in c2.<br />

Un esempio <strong>di</strong>fferente è il seguente. Immaginiamo che il contesto c1<br />

contenga l’informazione che un agente ha sulla fisica (ingenua) del mondo<br />

reale e c2 l’informazione che egli ha sulle storie <strong>di</strong> Sherlock Holmes. Se<br />

tale agente assume (come pare plausibile) che nel contesto delle storie <strong>di</strong><br />

Sherlock Holmes valgano le stesse leggi fisiche del mondo reale, allora tra c1<br />

e c2 va imposta la seguente relazione: ogni enunciato che è vero in c1 deve<br />

essere vero anche in c2 (in termini metaforici, c1 può essere “importato”<br />

in c2).<br />

È così possibile spiegare in che modo, leggendo in un racconto che<br />

Holmes viene spinto da Moriarty giù da un <strong>di</strong>rupo, il lettore può inferire che<br />

Holmes precipiterà verso il basso e che, se non interviene qualche altro fatto,<br />

si sfracellerà sul fondo del burrone. Conan Doyle, infatti, non ha bisogno <strong>di</strong><br />

introdurre le leggi della fisica ingenua nei suoi racconti proprio perchè assume<br />

che il lettore sia in grado <strong>di</strong> cogliere il vincolo <strong>di</strong> compatibilità tra le leggi<br />

del mondo reale e quelle del mondo fantastico dei racconti 15 .<br />

15 Questa <strong>di</strong>stinzione tra il contesto della fisica ingenua del lettore e quello dei racconti <strong>di</strong><br />

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1013 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

Un ultimo esempio <strong>di</strong> relazione (<strong>di</strong> compatibilità) tra contesti <strong>di</strong>versi<br />

è il seguente. Chiamiamo view la rappresentazione <strong>di</strong> un insieme <strong>di</strong> credenze<br />

dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> un agente ǫ. Possibili view sono: le credenze che ǫ<br />

attribuisce a se stesso; le credenze che ǫ attribuisce a un altro agente A;<br />

le credenze che ǫ attribuisce ad A a proposito <strong>di</strong> se stesso (cioè <strong>di</strong> ǫ); e<br />

così via. Ora, se nella view c1 che rappresenta le credenze che ǫ attribuisce<br />

a se stesso c’è la credenza che A crede che piove (un enunciato del tipo<br />

CredeA(“Piove”), è lecito aspettarsi che nella view c2 che rappresenta le<br />

credenze che ǫ attribuisce ad A ci sia un enunciato del tipo Piove. Più<br />

in generale, tra c1 e c2 esiste una relazione tale per cui, se è vero in c1 un<br />

enunciato della forma CredeA(“Φ”), allora deve essere vero in c2 un enunciato<br />

della forma Φ 16 .<br />

In entrambe le logiche brevemente <strong>di</strong>scusse, la caratteristica che risalta<br />

è la forma molto forte <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza dal contesto, vista non tanto come la<br />

<strong>di</strong>pendenza da una lista (per quanto lunga e articolata) <strong>di</strong> parametri, ma<br />

come la <strong>di</strong>pendenza da un insieme (sempre parzialmente specificato, perchè<br />

in generale non completamente accessibile) <strong>di</strong> assunzioni che hanno un effetto<br />

Sherlock Holmes permette anche <strong>di</strong> spiegare quei casi in cui un autore vuole invece che<br />

nel contesto <strong>di</strong> una storia le leggi del mondo reale siano soppresse a favore <strong>di</strong> altre che<br />

permettono ai tappeti <strong>di</strong> volare o ai geni <strong>di</strong> comparire dalle lampade. Se non ci fosse una<br />

<strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> contesto, i racconti del secondo tipo non sarebbero nemmeno comprensibili<br />

al lettore.<br />

16 I contesti <strong>di</strong> credenza nel quadro dei sistemi MC sono <strong>di</strong>cussi e stu<strong>di</strong>ati per esempio<br />

in (Giunchiglia & Serafini 1994, Cimatti & Serafini 1995, Benerecetti, Bouquet & Ghi<strong>di</strong>ni<br />

1997).<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 1014<br />

sull’interpretazione (e quin<strong>di</strong> sul valore <strong>di</strong> verità) degli enunciati.<br />

7 Conclusioni<br />

In questo lavoro abbiamo cercato <strong>di</strong> presentare (anche se parzialmente, per<br />

evidenti ragioni <strong>di</strong> spazio) le principali ragioni che hanno portato all’introdu-<br />

zione del tema del contesto in relazione al tema del linguaggio e della cono-<br />

scenza e abbiamo presentato alcune delle soluzioni proposte. Tra le tematiche<br />

che abbiamo dovuto tralasciare, sebben a malincuore, citiamo almeno quel-<br />

la riguardante l’influenza del contesto sull’appropriatezza degli enunciati, la<br />

riuscita degli atti linguistici, l’attivazione <strong>di</strong> implicature conversazionali. Per<br />

esse, forniamo alcuni importanti riman<strong>di</strong> nella bibliografia ragionata alla fine<br />

del saggio. Come risulta evidente dal materiale <strong>di</strong>scusso, il tema del contesto<br />

è estremamente inter<strong>di</strong>sciplinare, e coinvolge non solo <strong>di</strong>scipline tra loro rela-<br />

tivamente vicine (per esempio, varie <strong>di</strong>scipline che si occupano <strong>di</strong> linguaggio<br />

da un punto <strong>di</strong> vista filosofico), ma anche <strong>di</strong>scipline più <strong>di</strong>stanti (come per<br />

esempio le scienze cognitive e l’intelligenza artificiale). Proprio questa varietà<br />

<strong>di</strong> posizioni, unita talvolta alla mancanza reciproca <strong>di</strong> conoscenza tra teorie<br />

proposte in campi <strong>di</strong>versi, ha reso <strong>di</strong>fficile un trattamento del tutto uniforme<br />

del tema, anche se ci auguriamo che le principali idee siano comunque emerse<br />

in modo sufficientemente chiaro.<br />

La chiave <strong>di</strong> lettura che abbiamo cercato <strong>di</strong> usare è la <strong>di</strong>alettica tra<br />

<strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong> - SWIF - ISSN 1126-4780 - www.swif.it/biblioteca/lr


1015 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

una visione che abbiamo chiamato “metafisica” e una visione “cognitiva” del<br />

contesto, vale a <strong>di</strong>re una visione in cui il contesto è visto come parte inte-<br />

grante della struttura del mondo rispetto al quale le espressioni del linguaggio<br />

sono interpretate, e una visione in cui il contesto è un oggetto cognitivo che<br />

riflette piuttosto la struttura attraverso cui il mondo viene rappresentato da<br />

agenti cognitivi. Ovviamente non è questa l’unica chiave <strong>di</strong> lettura possibile,<br />

ma ci pare fornisca una lente attraverso cui leggere problemi e teorie che, a<br />

prima vista, possono sembrare molto <strong>di</strong>stanti tra <strong>di</strong> loro o ad<strong>di</strong>rittura non<br />

collegate. Da questa prospettiva, la chiave <strong>di</strong> volta tra posizioni più metafi-<br />

siche e posizioni cognitive sembra essere costituta da posizioni come quella<br />

<strong>di</strong> Bar-Hillel (sebbene il suo lavoro preceda <strong>di</strong> quasi vent’anni il lavoro <strong>di</strong><br />

Kaplan sulla logica dei <strong>di</strong>mostrativi) o <strong>di</strong> Perry, che hanno messo in evidenza<br />

come l’impossibilità <strong>di</strong> rinunciare alla parte in<strong>di</strong>cale del linguaggio or<strong>di</strong>nario<br />

<strong>di</strong>scenda dall’impossibilità per degli enti cognitivi <strong>di</strong> esprimere la stessa co-<br />

noscenza in modo indpendente dal contesto.<br />

È questa osservazione che, nel<br />

presente saggio, motiva il passaggio logico dalla visione metafisica a quella<br />

cognitiva, sebbene – ed è bene sottolinearlo anche in sede <strong>di</strong> conclusioni –<br />

tale passaggio non sia per niente un dato <strong>di</strong> fatto accettato da tutti, come<br />

<strong>di</strong>mostrano i numerosi lavori anche recenti che argomentano contro la visio-<br />

ne cognitiva del contesto (si vedano per esempio i lavori <strong>di</strong> Stanley citati<br />

in bibliografia). Noi non inten<strong>di</strong>amo qui prendere una posizione favorevole<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 1016<br />

all’una o all’altra visione, anche se ovviamente abbiamo le nostre preferenze<br />

in<strong>di</strong>viduali. Quello che ci preme maggiormente è <strong>di</strong> dare alle persone even-<br />

tualmente interessate tutti gli elementi necessari per elaborare una propria<br />

posizione in materia, uscendo se possibile dai confini angusti <strong>di</strong> una singola<br />

<strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o.<br />

Bibliografia ragionata<br />

(Bar-Hillel 1954) contiene una delle prime (o forse la prima) formulazione del<br />

problema del contesto come problema fondamentale per la logica filosofica.<br />

Per contro, (Kaplan 1978) (e ancora prima, nel 1977, in lavori precenti)<br />

presenta la prima logica per linguaggi in<strong>di</strong>cali e <strong>di</strong>mostrativi, e costituisce<br />

ancora oggi il punto <strong>di</strong> partenza e la pietra <strong>di</strong> paragone <strong>di</strong> quanto viene<br />

fatto in questo campo; il principale contributo è stato quello <strong>di</strong> far vedere<br />

che la formalizzazione della nozione <strong>di</strong> contesto richiedeva una sostanzaile<br />

mo<strong>di</strong>fica dei modelli sviluppati in precedenza, ovvero l’introduzione <strong>di</strong> un<br />

doppio in<strong>di</strong>ce per formalizzare la <strong>di</strong>fferenza tra la circostanza e il contesto<br />

rispetto a cui un’espressione è interpretata. (Lewis 1970) rappresenta, in<br />

un certo senso, uno dei punti <strong>di</strong> arrivo dell’approccio ante-Kaplan, ovvero<br />

l’approccio basato sull’idea che i fattori contestuali potessero essere visti come<br />

elementi <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>ce complesso rispetto a cui interpretare le espressioni del<br />

linguaggio. In questa tra<strong>di</strong>zione, sebbene a un livello più informale, è molto<br />

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1017 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

importante leggere anche i lavori <strong>di</strong> Perry (per esempio, (Perry 1979).<br />

Per la nozione <strong>di</strong> contesto sviluppata da R.Stalnaker si consiglia la<br />

lettura <strong>di</strong> (Stalnaker 1999). Questa raccolta contiene, tra l’altro, alcuni<br />

degli articoli coi quali all’inizio degli anni ’70 quest’autore introdusse la<br />

sua teoria pragmatica della presupposizione. Per il contestualismo, si ve-<br />

dano (Travis 2000), (Carston 2002), (Recanati 2004) e, in lingua italiana,<br />

(Bianchi 2001). In (Preyer & Peter 2005) si trovano inoltre alcuni dei più<br />

recenti interventi pro o contro il contestualismo. La raccolta contiene, ol-<br />

tre al già citato (Recanati 2005) a favore del contestualismo, gli articoli <strong>di</strong><br />

(Cappelen & Lepore 2005b) contro il contestualismo e a favore del minimali-<br />

smo semantico (ma <strong>di</strong> questi autori si veda anche (Cappelen & Lepore 2005a)<br />

e <strong>di</strong> (Stanley 2005b) (per un approfon<strong>di</strong>mento della concezione semantica <strong>di</strong><br />

J. Stanley si consulti (Stanley 2000)). In prospettiva non contestualista si<br />

veda anche (Predelli 2005). Il contestualismo è stato applicato anche in<br />

epistemologia, con la tesi che le attribuzioni <strong>di</strong> conoscenza cambiano valore<br />

<strong>di</strong> verità a seconda dei contesti e degli standard <strong>di</strong> valutazione loro asso-<br />

ciati. Contro il contestualismo epistemico argomentano (Stanley 2005a) e<br />

(Williamson 2005). Per la versione contestualista <strong>di</strong> Gauker, riman<strong>di</strong>amo ai<br />

già citati (Gauker 1998, Gauker 2003); per il suo concetto <strong>di</strong> proposizione<br />

si può consultare (Gauker 2002), <strong>di</strong>sponibile in traduzione italiana. Per le<br />

importanti tematiche che sono state tralasciate, riguardanti l’influenza del<br />

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P. Bouquet e F. Delogu - Il problema del contesto 1018<br />

contesto sull’appropriatezza degli enunciati, la riuscita degli atti linguisti-<br />

ci, l’attivazione <strong>di</strong> implicature conversazionali, riman<strong>di</strong>amo alle opere clas-<br />

siche <strong>di</strong> Austin e Grice (in particolare (Austin 1962) e (Grice 1975)), alla<br />

<strong>di</strong>scussione della nozione <strong>di</strong> contesto nell’ambito della teoria degli atti lin-<br />

guistici in (Sbisà 2002), e al vasto campo inter<strong>di</strong>sciplinare della pragmatica,<br />

<strong>di</strong> cui costituiscono ottime introduzioni in lingua italiana (Bianchi 2003) e<br />

(Bazzanella 2005).<br />

Per quanto riguarda gli approcci più vicini alle scienze cognitive (ma<br />

sempre d’interesse filosofico-linguistico), rinviamo a (Fauconnier 1985) e so-<br />

prattutto a (Dinsmore 1991). I due lavori introducono una nozione <strong>di</strong> conte-<br />

sto come “spazio mentale” che molto ha a che vedere con la visione cognitiva<br />

del contesto <strong>di</strong>scussa in questo saggio. Dinsmore, in particolare, introduce<br />

anche una logica per il ragionamento su spazi mentali, in cui varie forme <strong>di</strong><br />

ragionamento contestuale sono (parzialmente) formalizzate.<br />

In intelligenza artificiale, la prima menzione della necessità <strong>di</strong> include-<br />

re fattori contestuali nei formalismi per la rappresentazione della conoscenza<br />

e del ragionamento la troviamo in (McCarthy 1987). Lo stesso McCarthy<br />

elaborò le sue idee in (McCarthy 1993). Su un solco simile, anche se legger-<br />

mente <strong>di</strong>verso, si colloca la tesi <strong>di</strong> dottorato <strong>di</strong> R. Guha (Guha 1991), svolta<br />

sotto la supervisione <strong>di</strong> McCarthy stesso. Il principale approccio alternativo<br />

a quello <strong>di</strong> McCarthy in IA è quello <strong>di</strong> Giunchiglia, la cui eleborazione più<br />

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1019 L. Flori<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), <strong>Linee</strong> <strong>di</strong> <strong>Ricerca</strong>, SWIF, 2006<br />

matura si trova in (Ghi<strong>di</strong>ni & Giunchiglia 2001). Una <strong>di</strong>scussione a livel-<br />

lo astratto sui pattern <strong>di</strong> ragionamento contestuale si trova in (Benerecetti<br />

et al. 2000).<br />

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