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Comunitarismo e liberalismo - Swif - Università degli Studi di Bari

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Paolo Quaglia, Una lettura filosofica dei racconti <strong>di</strong> J.L. Borges<br />

che è ad un tempo presente ed assente, che si dà e si sottrae" (pag. 7). E' questo uno dei<br />

più significativi paradossi filosofici che, come ha scritto Emilio Garroni in "Senso e<br />

Paradosso", non vanno confusi con i paradossi retorici o con i paralogismi. E' un paradosso<br />

inevitabile che serve a dare senso a ciò che altrimenti può sembrare semplicemente<br />

contrad<strong>di</strong>ttorio. L'Assoluto, scrive Quaglia, "non deve essere pensato come illimitato, cioè<br />

senza principio né fine, quanto piuttosto come inesauribile, cioè come quel termine<br />

dell'indagine che l'indagine stessa non riesce ad esaurire" (pag. 8).<br />

L'inesauribile quin<strong>di</strong> non ha niente a che vedere con l'in<strong>di</strong>cibile; anzi, proprio perché l'uomo è<br />

in grado <strong>di</strong> formulare certe domande, l'inesauribile va detto, sempre daccapo. Certo gli<br />

strumenti <strong>di</strong> tale ricerca non possono essere quelli logico-razionali; c'è bisogno <strong>di</strong> strumenti<br />

che, al pari dell'oggetto della ricerca, siano capaci <strong>di</strong> significare, senza però esaurire nell'atto<br />

del significare il proprio significato una volta per tutte: i simboli sono, e non soltanto da<br />

questo punto <strong>di</strong> vista, gli strumenti più potenti.<br />

La prima immagine dell'Assoluto presentata da Quaglia è quella della sfera. "Già Parmenide<br />

aveva pensato l'Assoluto [...] simile alla massa <strong>di</strong> una rotonda sfera [...] Borges, ne L'Aleph,<br />

il più conosciuto dei suoi racconti [...] ci presenta un'immagine analoga a quella parmenidea"<br />

(Pag.8) Perché la sfera? Perché essa è l'immagine che più si avvicina all'Aleph che, nella<br />

definizione <strong>di</strong> Borges è "il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra,<br />

visti da tutti gli angoli"; vi si approssima, senza coincidere perfettamente, poiché la totalità<br />

simboleggiata dall'Aleph dovrebbe essere priva <strong>di</strong> estensione; ma una totalità priva <strong>di</strong><br />

estensione è inimmaginabile (e soprattutto indescrivibile) e quin<strong>di</strong> l'Aleph non può essere<br />

altro che una sfera dal <strong>di</strong>ametro irrisorio (due o tre centimetri, <strong>di</strong>ce Borges). La "visione"<br />

dello spazio infinito è dunque simultanea; l'Assoluto reificato nella sfera irrompe nella misera<br />

<strong>di</strong>mensione spazio- temporale del vedere e dell'esperire umano, costringendo il narratore a<br />

depauperare la visione simultanea in un goffo tentativo descrittivo, me<strong>di</strong>ante l'unico<br />

strumento <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>spone l'uomo, quello linguistico, che per sua natura è successivo. Il<br />

tentativo <strong>di</strong> riportare l'esperienza vissuta è comunque destinato al fallimento: l'Assoluto è<br />

stato contemplato, ma tale istante privilegiato non può essere comunicato, e quin<strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>viso, perché lo strumento <strong>di</strong> comunicazione umana per eccellenza, il linguaggio, è<br />

inservibile.<br />

Se la sfera è l'immagine della totalità indescrivibile, la descrizione metaforica scelta da<br />

Borges per rappresentarne le proprietà è quella della Biblioteca; essa, come scrive Borges<br />

nel racconto La Biblioteca <strong>di</strong> Babele, "è una sfera il cui centro esatto è qualsisi esagono, e la<br />

cui circonferenza è inaccessibile". Quaglia ci mostra come la metafora della Biblioteca sia<br />

utilizzata non soltanto per rappresentare l'Universo, ma anche per delineare i rapporti tra<br />

finitezza e immortalità, contingenza e necessarietà; tra uomo e Dio. "La sfera, esistendo da<br />

sempre, deve avere la sua origine in un principio egualmente eterno: è certo l'opera <strong>di</strong> un<br />

<strong>di</strong>o. Il <strong>di</strong>o è il principio che essa è <strong>di</strong> se stessa. L'uomo al confronto sembra essere l'opera<br />

della contingenza: egli vive al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> essa, nella successione temporale. Eppure solo<br />

l'uomo può essere l'interprete della totalità del sapere racchiusa nella Biblioteca" (pag.14).<br />

Dunque l'uomo <strong>di</strong> fronte alla Biblioteca, all'Assoluto, ha un compito preciso: scoprire la legge<br />

della Biblioteca; ma tale scoperta, il fatto che non vi siano due soli libri identici nella<br />

Biblioteca, non è che l'inizio della ricerca, il punto <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> una serie infinita <strong>di</strong><br />

http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2001-02/quaglia.htm (2 of 5) [09/11/2005 21.21.02]

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