Comunitarismo e liberalismo - Swif - Università degli Studi di Bari

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Paolo Quaglia, Una lettura filosofica dei racconti di J.L. Borges Università degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Quaglia, Paolo, Una lettura filosofica dei racconti di J.L. Borges Roma, EPJ, Spazio Aperto, 2000, pp. 65, Lit.15.000, ISBN 88-7801-293-9 Recensione di Alfonso Ottobre - 5/12/2000 Indice - L'autore - Link Rudolf Carnap riteneva che i "metafisici" non fossero altro che dei "musicisti senza talento musicale" e che in qualche modo l'arte fosse l'unica a poter trattare ciò che trascende il campo del "conoscitivamente sensato", la metafisica essendo "un surrogato, per lo più insufficiente dell'arte". Si può ovviamente non essere d'accordo con la tesi di Carnap (anche perché qui non è affatto contestualizzata come meriterebbe); rimane vero però che la tendenza a considerare l'esperienza estetica come la chiave per accedere ad una dimensione trascendentale sia ben presente nella riflessione filosofica moderna. Il breve saggio di Paolo Quaglia, "Una lettura filosofica dei racconti di J.L. Borges", si muove esattamente lungo questa linea di tendenza; i racconti del grande scrittore argentino, una delle figure più autorevoli della letteratura mondiale del nostro secolo, sono infatti l'occasione per mostrare come "la limitatezza dell'esistenza viene superata mediante l'esperienza dell'opera d'arte, capace di dare carattere meta-temporale alla vita" (dalla quarta di copertina). Nei racconti di Borges, secondo la lettura che ne fa Quaglia, c'è la possibilità di rintracciare alcuni temi ricorrenti di sicuro rilievo filosofico, grazie soprattutto ad una scrittura che fa di metafore e simboli un consapevole strumento di indagine "metafisica". Tra questi temi, Quaglia avverte di aver voluto concentrare la propria attenzione soprattutto su di uno: la contemplazione dell'Assoluto: "Borges ha tentato, mediante il ricorso ad immagini simboliche di esprimere l'incomunicabilità della contemplazione [...] se l'esperienza dell'Assoluto è incomunicabile in quanto non può essere tradotta nella linearità del pensiero, è possibile alludere ad essa mediante un linguaggio filosofico" (pag. 62). Il saggio si apre con alcune considerazioni su l'Assoluto e le sue possibili immagini. Quaglia, evidenzia come l'Assoluto sia "ciò che è sciolto da ogni rapporto, ciò che sta al di là di ogni possibile rapporto" (il termine deriva dal latino ab-solvo, vale a dire, separo-da); ma è anche vero che se l'Assoluto fosse interamente al di là di ogni possibile rapporto, esso non sarebbe neppure concepibile. Traendo spunto da Tillich che ne "La mia ricerca degli Assoluti" ha scritto che "in ogni domanda il soggetto interrogante ha già qualcosa dell'oggetto su cui interroga, altrimenti non potrebbe porre la domanda", Quaglia definisce l'Assoluto come "ciò http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2001-02/quaglia.htm (1 of 5) [09/11/2005 21.21.02]
Paolo Quaglia, Una lettura filosofica dei racconti di J.L. Borges che è ad un tempo presente ed assente, che si dà e si sottrae" (pag. 7). E' questo uno dei più significativi paradossi filosofici che, come ha scritto Emilio Garroni in "Senso e Paradosso", non vanno confusi con i paradossi retorici o con i paralogismi. E' un paradosso inevitabile che serve a dare senso a ciò che altrimenti può sembrare semplicemente contraddittorio. L'Assoluto, scrive Quaglia, "non deve essere pensato come illimitato, cioè senza principio né fine, quanto piuttosto come inesauribile, cioè come quel termine dell'indagine che l'indagine stessa non riesce ad esaurire" (pag. 8). L'inesauribile quindi non ha niente a che vedere con l'indicibile; anzi, proprio perché l'uomo è in grado di formulare certe domande, l'inesauribile va detto, sempre daccapo. Certo gli strumenti di tale ricerca non possono essere quelli logico-razionali; c'è bisogno di strumenti che, al pari dell'oggetto della ricerca, siano capaci di significare, senza però esaurire nell'atto del significare il proprio significato una volta per tutte: i simboli sono, e non soltanto da questo punto di vista, gli strumenti più potenti. La prima immagine dell'Assoluto presentata da Quaglia è quella della sfera. "Già Parmenide aveva pensato l'Assoluto [...] simile alla massa di una rotonda sfera [...] Borges, ne L'Aleph, il più conosciuto dei suoi racconti [...] ci presenta un'immagine analoga a quella parmenidea" (Pag.8) Perché la sfera? Perché essa è l'immagine che più si avvicina all'Aleph che, nella definizione di Borges è "il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli"; vi si approssima, senza coincidere perfettamente, poiché la totalità simboleggiata dall'Aleph dovrebbe essere priva di estensione; ma una totalità priva di estensione è inimmaginabile (e soprattutto indescrivibile) e quindi l'Aleph non può essere altro che una sfera dal diametro irrisorio (due o tre centimetri, dice Borges). La "visione" dello spazio infinito è dunque simultanea; l'Assoluto reificato nella sfera irrompe nella misera dimensione spazio- temporale del vedere e dell'esperire umano, costringendo il narratore a depauperare la visione simultanea in un goffo tentativo descrittivo, mediante l'unico strumento di cui dispone l'uomo, quello linguistico, che per sua natura è successivo. Il tentativo di riportare l'esperienza vissuta è comunque destinato al fallimento: l'Assoluto è stato contemplato, ma tale istante privilegiato non può essere comunicato, e quindi condiviso, perché lo strumento di comunicazione umana per eccellenza, il linguaggio, è inservibile. Se la sfera è l'immagine della totalità indescrivibile, la descrizione metaforica scelta da Borges per rappresentarne le proprietà è quella della Biblioteca; essa, come scrive Borges nel racconto La Biblioteca di Babele, "è una sfera il cui centro esatto è qualsisi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile". Quaglia ci mostra come la metafora della Biblioteca sia utilizzata non soltanto per rappresentare l'Universo, ma anche per delineare i rapporti tra finitezza e immortalità, contingenza e necessarietà; tra uomo e Dio. "La sfera, esistendo da sempre, deve avere la sua origine in un principio egualmente eterno: è certo l'opera di un dio. Il dio è il principio che essa è di se stessa. L'uomo al confronto sembra essere l'opera della contingenza: egli vive al di fuori di essa, nella successione temporale. Eppure solo l'uomo può essere l'interprete della totalità del sapere racchiusa nella Biblioteca" (pag.14). Dunque l'uomo di fronte alla Biblioteca, all'Assoluto, ha un compito preciso: scoprire la legge della Biblioteca; ma tale scoperta, il fatto che non vi siano due soli libri identici nella Biblioteca, non è che l'inizio della ricerca, il punto di partenza di una serie infinita di http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2001-02/quaglia.htm (2 of 5) [09/11/2005 21.21.02]
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