00 - Copertina n. 9-2008.indd - Centro Studi Lavoro e Previdenza
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il Giurista del <strong>Lavoro</strong><br />
M e n s i l e d i a p p r o f o n d i m e n t o g i u r i d i c o , f i s c a l e , p r e v i d e n z i a l e e a s s i c u r a t i v o i n m a t e r i a d i l a v o r o<br />
Sommario<br />
9 2<br />
0 0 8<br />
L’utilizzabilità delle prove acquisite<br />
a sostegno del licenziamento<br />
disciplinare<br />
L’ontologico conflitto tra esercizio del<br />
potere datoriale (e del giudice) e diritto<br />
alla riservatezza del lavoratore<br />
di Daniele Iarussi 2<br />
Il licenziamento motivato da<br />
finalità di riduzione dei costi<br />
di Pietro Scudeller 17<br />
L’impugnazione della cartella<br />
di pagamento per i contributi<br />
Inps<br />
di Sergio Mogorovich 22<br />
Il confine fra trasferta “strutturale”<br />
e “occasionale”<br />
Osservazioni a Min. Lav. 20 giugno<br />
2<strong>00</strong>8<br />
di Paolo Cuzzelli 26<br />
Osservatorio Giurisprudenziale<br />
Approfondimenti su sentenze di particolare<br />
interesse<br />
a cura di Romina Dalzini 29<br />
Ultime dalla Cassazione<br />
Rapida panoramica delle ultime pronunce<br />
della Suprema Corte<br />
a cura di Romina Dalzini 34
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Approfondimenti<br />
L’utilizzabilità delle prove acquisite<br />
a sostegno del licenziamento disciplinare<br />
L’ontologico conflitto tra esercizio del potere datoriale (e del giudice)<br />
e diritto alla riservatezza del lavoratore<br />
DANIELE IARUSSI<br />
Tribunale Torino, 28 settembre 2<strong>00</strong>7, n. 4885 - Est. Ciocchetti - E.C. c. Fiat Auto Financial Services spa<br />
Licenziamento disciplinare - Acquisizione ex art. 421 c.p.c. tabulati telefonici - Diritto alla riservatezza lavoratore - Decadenza e<br />
rinuncia - Art. 1175 c.c. - Disapplicazione provvedimento Garante privacy - Utilizzabilità in giudizio delle prove illecitamente acquisite<br />
- Controlli difensivi datoriali - Diritto alla riservatezza ed abuso del diritto di difesa<br />
La giurisdizione, per le finalità istituzionali che persegue e per la rilevanza costituzionale che le attribuisce la Carta<br />
Costituzionale, si colloca in un ambito tale da rendere ad essa inapplicabili i vincoli e limiti previsti da numerose<br />
e qualificanti disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196),<br />
le quali non hanno né possono avere come destinatario il giudice, sotto pena di veder vanificato l’accertamento<br />
processuale e frustrate le esigenze di giustizia cui esso mira.<br />
(Omissis)<br />
Le prove offerte dal datore di lavoro, a sostegno dell’intimato licenziamento del lavoratore, consistenti nei tabulati<br />
telefonici analitici riferiti al telefonino aziendale sono utilizzabili in quanto si collocano nell’ambito di situazioni<br />
che prescindono dal consenso dell’interessato ovvero nell’ambito dei c.d. “controlli difensivi” datoriali, ammessi e<br />
ritenuti legittimi dalla giurisprudenza, o comunque per non essere la privacy del prestatore di ostacolo all’accertamento<br />
giudiziale, sulla scorta della disciplina processuale vigente, cui il Codice della privacy rinvia.<br />
1. Il Tribunale premesso:<br />
(Omissis)<br />
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />
- che il ricorrente - già dipendente di Fiat Sava spa dal settembre 2<strong>00</strong>1, con mansioni di responsabile di settore<br />
legale recupero crediti e inquadramento al 7° livello del CCNL industria metalmeccanica, licenziato per giusta causa<br />
con lettera del 08.03.2<strong>00</strong>6, in relazione alla contestazione d’addebito 28.02.2<strong>00</strong>6 - impugna il recesso datoriale in<br />
riferimento ai seguenti specifici profili:<br />
a) carattere ritorsivo e ingiurioso di esso,<br />
b) tardività dell’addebito, con conseguente contrarietà al canone di buona fede e violazione del diritto di difesa,<br />
c) mancanza di proporzionalità tra addebito e sanzione, atteso (quanto all’addebito su telefonate e sms) l’affidamento<br />
suscitato nel lavoratore e la tenuità del danno dal medesimo cagionato nonché (quanto all’addebito relativo ai<br />
files presenti sul pc portatile) l’inutilizzabilità delle prove invocate dal datore,<br />
2
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
onde chiede di essere reintegrato nel proprio posto di lavoro, con tutte le conseguenze di legge;<br />
Approfondimenti<br />
- che parte convenuta, nel domandare pronuncia assolutoria, contesta specificamente tutti gli assunti contenuti<br />
in ricorso;<br />
- che con ordinanza 16.04.2<strong>00</strong>7 il giudice acquisisce, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., i tabulati analitici TIM relativi all’utenza<br />
del telefonino aziendale assegnato al lavoratore e al periodo oggetto di causa (giugno-novembre 2<strong>00</strong>5);<br />
- che il ricorrente formula opposizione a tale acquisizione, attesa la genericità della contestazione d’addebito, l’intervenuta<br />
decadenza del datore dall’onere della prova ex art. 5 della legge n. 604/66, la contrarietà del provvedimento<br />
alla legge (art. 132 D.Lgs. n. 196/03; art. 15 direttiva UE 2<strong>00</strong>2/58; artt. 1 e 13 direttiva UE 2<strong>00</strong>6/24);<br />
- che il giudice ribadisce la propria precedente ordinanza, tenuto conto dell’art. 24, comma 1, lett. f) del D.Lgs. 196/03,<br />
peraltro con riserva al definitivo di valutare le specifiche ragioni di opposizione prospettate dal ricorrente;<br />
- che all’udienza del 17.05.2<strong>00</strong>7 il ricorrente produce nota del Segretario generale del Garante della privacy del<br />
16.05.2<strong>00</strong>7, all’esito del reclamo 18.04.2<strong>00</strong>7 proposto dal ricorrente ex art. 142 del Codice della privacy nei<br />
confronti della convenuta, con richiesta di vietare l’illegittimo trattamento dei dati relativi al traffico telefonico<br />
comunicati dal gestore a questo ufficio;<br />
- che a tale udienza chiede altresì la cancellazione delle e-mail di trasmissione a questo ufficio dei citati tabulati<br />
telefonici da parte del gestore telefonico, per violazione degli artt. 132 e 123 del Codice della privacy, nonché la<br />
declaratoria di inutilizzabilità di tali dati a fini probatori, ai sensi dell’art. 160, ultimo comma, di tale Codice;<br />
- che il giudice, nel riconfermare la propria ordinanza 16.04.2<strong>00</strong>7, invita quindi entrambe le parti in causa a depositare<br />
breve nota, onde dar conto delle risultanze complessive emergenti dai tabulati telefonici acquisiti, con<br />
analisi puntuale e a campione di singole giornate, rappresentate dai giovedì di ciascuna settimana dal periodo<br />
oggetto del giudizio;<br />
- che parte convenuta deposita in cancelleria in data 14.06.2<strong>00</strong>7 la propria nota;<br />
- che il ricorrente non vi provvede e riconferma la propria eccezione di inutilizzabilità dei dati provenienti dal<br />
gestore telefonico, già formulata all’udienza del 17.05.2<strong>00</strong>7;<br />
- che il giudice acquisisce, infine ai sensi dell’art. 421 c.p.c., la registrazione (e relativa trascrizione) effettuata<br />
dal ricorrente con riferimento alla conversazione telefonica in viva voce avvenuta il 07.03.2<strong>00</strong>6 e menzionata in<br />
ricorso;<br />
ciò premesso in ordine all’oggetto della controversia e allo svolgimento del processo, il Tribunale osservava quanto<br />
segue all’esito dell’istruttoria esperita e della successiva discussione orale della causa<br />
MOTIVI DELLA DECISIONE<br />
2. La prima questione che in ordine logico deve essere affrontata concerne la doglianza prospettata dal ricorrente<br />
in riferimento all’ordinanza 16.04.2<strong>00</strong>7, pronunciata dal giudice ai sensi dell’art. 421 c.p.c., di acquisizione dei<br />
tabulati analitici TIM relativi all’utenza del telefonino aziendale assegnato al lavoratore e al periodo giugno-novembre<br />
2<strong>00</strong>5.<br />
Essa muove da un triplice ordine di considerazioni:<br />
α) genericità della contestazione d’addebito;<br />
β) intervenuta decadenza del datore all’onere della prova ex art. 5 della legge n. 604/66;<br />
γ) contrarietà del provvedimento alla legge e in particolare:<br />
- agli artt. 123 (Dati relativi al traffico) e 132 (Conservazione di dati di traffico per altre finalità) del decreto<br />
legislativo 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali),<br />
- all’art. 15 della direttiva UE 2<strong>00</strong>2/58 (Direttiva relativa al trattamento dei dati personali),<br />
3
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Approfondimenti<br />
- agli artt. 1 e 13 della direttiva UE 2<strong>00</strong>6/24 (Direttiva riguardante la conservazione dei dati generati o trattati<br />
nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica).<br />
Il rilievo sub α) è privo di fondamento.<br />
In proposito è sufficiente osservare che l’addebito relativo all’utilizzo abusivo del telefonino aziendale contenuto<br />
nella lettera 28.02.2<strong>00</strong>6 è specifico e puntuale sia in riferimento alla situazione anomala lamentata sia in ordine<br />
al periodo preso in considerazione (giugno-novembre 2<strong>00</strong>5), come si evidenzia del resto dal prospetto allegato a<br />
tale lettera, contenente la distribuzione temporale di Sms e di telefonate.<br />
Quanto poi al profilo sub β) va osservato che la convenuta ha già prodotto in allegato alla propria memoria un<br />
tabulato telefonico, peraltro con numeri del destinatario della chiamata parzialmente criptati, onde quello acquisito<br />
d’ufficio dal Tribunale è semplicemente destinato a consentire un migliore apprezzamento della situazione dallo<br />
stesso emergente; e ciò nel rispetto dell’onere della prova che, in ipotesi di recesso disciplinare, incombe per legge<br />
sul datore.<br />
In riferimento infine al rilievo sub γ) il Tribunale osserva quanto segue.<br />
I tabulati telefonici acquisiti in corso di causa ex art. 421 c.p.c. concernono un telefonino di proprietà della convenuta,<br />
la quale ne è l’abbonato, titolare cioè della relativa utenza, avendo stipulato con fornitore di servizi telefonici<br />
accessibili al pubblico un apposito contratto; il ricorrente non è parte in senso formale di tale contratto né quindi<br />
abbonato, ma utente di tale telefonino, per decisione della convenuta, la quale glielo ha assegnato affinché se ne<br />
serva per ragioni di lavoro e cioè per l’espletamento della prestazione ex art. 2094 c.c.<br />
Secondo la prassi in atto presso la resistente è peraltro consentito ai dipendenti assegnatari di telefonino aziendale<br />
di utilizzarlo, all’occorrenza, per ragioni estranee al facere lavorativo, con obbligo in tal caso di digitare il prefisso<br />
46, che comporta l’addebito del relativo costo, anziché all’azienda, direttamente sul conto corrente del lavoratore,<br />
il cui numero viene comunicato dal medesimo al gestore telefonico.<br />
Il datore consente altresì ai dipendenti di effettuare con il telefonino aziendale Sms (o Mms) per ragioni extra-lavorative,<br />
ma in tal caso i medesimi sono tenuti ad effettuare specifica e periodica segnalazione alla convenuta, per il<br />
relativo addebito, non essendo tecnicamente possibile digitare il prefisso 46 per tale tipologia di comunicazione.<br />
Dal momento che la convenuta è l’abbonato dell’utenza del telefonino dato in dotazione al ricorrente, la medesima<br />
ha legittimamente chiesto ed ottenuto dal gestore telefonico Tim, che li ha in carico, i tabulati del periodo<br />
oggetto di causa e a cui si riferisce la contestazione d’addebito (giugno-novembre 2<strong>00</strong>5), nei quali le ultime tre cifre<br />
dei numeri chiamati risultano però criptati, in conformità con quanto previsto dall’art. 5, comma 3, del decreto<br />
legislativo 13 maggio 1988 n. 171, e ora, a seguito del riordino della materia, dall’art. 124, comma 4, del decreto<br />
legislativo 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196 per ragioni che sono state individuate sia nell’esigenza di ridurre il numero di<br />
delicate informazioni in circolazione sia nel possibile interesse alla privacy della chiamata effettuata dal chiamante,<br />
quando questi sia soggetto diverso dall’abbonato. Tale ultimo articolo e comma - recependo precedenti decisioni<br />
del Garante per la protezione dei dati personali in ordine al diritto di accesso ai propri dati da parte dell’abbonato<br />
- prevede peraltro il diritto di quest’ultimo di chiedere al gestore telefonico i numeri chiamati in forma “completa”<br />
con la sola limitazione rappresentata dal dover essere essa relativa a “periodi limitati”. In riferimento a tale ipotesi<br />
e richiesta il Garante aveva già precisato, prima del riordino della normativa da parte del decreto legislativo 30<br />
giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196 - e cioè sotto il vigore dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 13 maggio 1998, n. 171,<br />
che prevedeva sui tabulati comunicati all’abbonato il mascheramento delle ultime tre cifre dei numeri chiamati, e<br />
dell’art. 13 della legge 31 dicembre 1996, n. 675 che sanciva il diritto del medesimo di accesso ai propri dati - che<br />
“l’abbonato non è tenuto a fornire alcuna particolare motivazione per richiedere “in chiaro” i numeri chiamati e<br />
può rivolgersi al gestore telefonico con una procedura informale”. Tale precisazione deve ritenersi del tutto attuale<br />
anche in riferimento al testo normativo oggi in vigore, dal momento che esso, nel sancire il diritto dell’abbonato<br />
alla completezza dei numeri chiamati, esige ora - unicamente e restrittivamente, rispetto alla prassi antecedente<br />
imposta dal Garante - che la richiesta abbia ad oggetto un arco temporale limitato.<br />
4
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Approfondimenti<br />
Ciò premesso, il ricorrente non ha quindi alcuna ragione per dolersi dell’acquisizione dei tabulati telefonici disposta dal<br />
Tribunale, nella parte in cui essi riportano dati completi delle utenze chiamate, che la convenuta in qualità di abbonato,<br />
avrebbe potuto direttamente chiedere al gestore telefonico, essendo essi relativi a limitato periodo di tempo.<br />
Il diritto alla tutela della privacy che il ricorrente può legittimamente vantare, in riferimento a tali tabulati, risulta<br />
conseguentemente circoscritto e confinato alle sole comunicazioni per le quali egli ha anteposto il prefisso 46 o<br />
agli Sms dal medesimo dichiarati e qualificati all’epoca come extra-lavorativi, con apposita doverosa segnalazione<br />
alla resistente. Va però detto che le comunicazioni effettuate dal lavoratore premettendo il prefisso 46 sono prive<br />
di reale interesse per la causa, comparendo del resto non nella fatturazione a carico della convenuta, ma in quella<br />
a carico del ricorrente; quanto poi agli Sms, si deve osservare che il sig. E. non ne ha segnalato alcuno al datore,<br />
per l’addebito personale, dei numerosissimi effettuati nel periodo oggetto di contestazione disciplinare, o quanto<br />
meno non ha provato di averlo fatto, onde essi devono ritenersi tutti inerenti all’attività lavorativa.<br />
Sull’oggetto reale della causa e dell’accertamento giudiziale, rappresentato dalle telefonate prive del prefisso 46 e da<br />
tutti gli Sms effettuati nel periodo, il ricorrente non può pertanto vantare alcun diritto alla riservatezza, trattandosi<br />
per sua stessa ammissione di comunicazioni afferenti il facere lavorativo.<br />
Se poi così non è - e cioè se una parte di quelle telefonate e una parte degli Sms sono in realtà estranei al rapporto<br />
di lavoro, pur avendo il ricorrente dichiarato e fatto risultare l’esatto contrario - non per questo gli è consentito di<br />
invocare il diritto alla privacy, che sarebbe non già la tutela di un diritto costituzionale, ma diverrebbe la tutela dell’abuso,<br />
destinata ad impedire i controlli - essi si legittimi - del datore di lavoro su telefonate e Sms del cui costo si è<br />
fatto economicamente carico (o meglio, ha dovuto farsi carico) per fatto imputabile esclusivamente al dipendente.<br />
Il ricorrente va conseguentemente dichiarato decaduto dal diritto alla privacy vantato, per il divieto - argomentabile<br />
e desumibile dall’art. 1175 c.c. - di venire contra factum proprium, il quale esclude la tutela giuridica quando essa<br />
si correli a pregresso comportamento antidoveroso in antecedenza tenuto da colui che la richiede.<br />
A prescindere dai ristretti ambiti in cui il ricorrente potrebbe, in questa sede, far valere il proprio diritto alla privacy,<br />
destinati come tali ad avere un’incidenza pressoché nulla sulla vicenda e sull’accertamento oggetto di causa, va<br />
comunque osservato che nel caso qui in discussione del tutto legittimamente il Tribunale ha chiesto e ottenuto dal<br />
gestore telefonico, in forza degli ampi poteri istruttori previsto dal 2° comma dell’art. 421 c.p.c. i tabulati integrali<br />
relativi al telefonino aziendale in dotazione dal ricorrente e al periodo giugno-novembre 2<strong>00</strong>5, non potendosi<br />
ravvisare alcun ostacolo normativo nel decreto legislativo 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196.<br />
Il comma 1, lett. f), dell’art. 24 (Casi nei quali può essere effettuato il trattamento senza consenso) di tale decreto<br />
stabilisce innanzi tutto che “il consenso non è richiesto … quando il trattamento … è necessario … per far valere o<br />
difendere un diritto in sede giudiziaria”. In tal caso, che è quello di causa, si può pertanto prescindere dal consenso<br />
dell’interessato o degli interessati.<br />
Ragionare diversamente significherebbe, del resto, impedire alla convenuta di poter assolvere all’onere della prova<br />
che le incombe e quindi di difendersi, in contrasto con l’art. 24 Cost. ed il principio di inviolabilità che esso sancisce.<br />
Né ad una diversa conclusione può pervenirsi in base a quanto previsto dall’art. 132 (Conservazione dei dati<br />
per altre finalità) del decreto legislativo 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196, come invece pare suggerire la nota del Segretario<br />
generale del Garante della privacy 16.05.2<strong>00</strong>7 acquisita in corso di giudizio.<br />
Tale norma ha infatti come destinatari i gestori telefonici, disciplinando gli ambiti territoriali in cui i medesimi<br />
sono tenuti a conservare i dati del traffico telefonico, ai fini dell’accertamento e repressione dei reati, e pertanto<br />
è fatto loro divieto di procedere alla cancellazione ex art. 123, commi 1, 2, 3 e 5, del Codice della privacy, in<br />
quanto non più necessari ai fini della comunicazione elettronica, della fatturazione, della gestione del traffico,<br />
dell’accertamento di frodi, ecc.<br />
Essa non ha invece come funzione quella di escludere che l’accertamento giudiziario civile possa avvalersi dei<br />
dati comunque conservati presso i gestori telefonici né che questi siano tenuti ad fornirli, a fronte dell’ordine di<br />
esibizione del giudice, ai sensi dell’art. 210 c.p.c.<br />
5
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Approfondimenti<br />
Da altre due norme del Codice della privacy si ricava del resto, in modo inequivoco, l’esatto contrario rispetto<br />
a tale pretesa esclusione. Si tratta dell’art. 47 (Trattamenti per ragioni di giustizia) e del 6° comma dell’art. 160<br />
(Particolari accertamenti), la cui portata verrà esaminata nel seguito, al quale pertanto si rinvia.<br />
(Omissis)<br />
4. Il ricorrente sostiene, in subordine, che il recesso sarebbe annullabile per le seguenti autonome ragioni:<br />
c) tardività dell’addebito, con conseguente contrarietà al canone di buona fede e violazione del diritto di difesa,<br />
d) mancanza di proporzionalità tra addebito e sanzione applicata, quanto a telefonate e Sms, atteso sia l’affidamento<br />
suscitato nel lavoratore circa il possibile utilizzo del telefonino aziendale anche per finalità e collegamenti extralavorativi<br />
sia la tenuità del danno dal medesimo cagionato al datore,<br />
e) mancanza di proporzionalità tra addebito e sanzione applicata, sia quanto a telefonate ed Sms sia quanto ai<br />
presenti nella cartella personale del pc portatile, attesa l’inutilizzabilità in giudizio delle prove invocate o prodotte<br />
dal datore.<br />
In merito alla doglianza sub c) il Tribunale osserva quanto segue. La questione contestata al lavoratore emerge,<br />
come già si è detto, a fine 2<strong>00</strong>5, in coincidenza con il momento in cui il responsabile di settore effettua l’esame dei<br />
costi delle telefonate, ed è poi formalizzata a livello di incolpazione con lettera 28.02.2<strong>00</strong>6.<br />
Il tempo decorso non evidenzia pertanto alcun apprezzabile ritardo, apparendo esso del tutto congruo per consentire<br />
un esame ponderato della situazione, anche nell’interesse dello stesso lavoratore.<br />
A ciò aggiungasi che nelle imprese dotate di struttura complessa - e tale è il caso della società resistente - le decisioni<br />
in materia disciplinare, ivi compresa la formulazione dell’addebito, vengono ordinariamente assunte con la<br />
collaborazione di più persone e di più uffici, all’esito di apposita istruttoria interna, la quale per definizione richiede<br />
un certo tempo tecnico. Nel caso di specie esso deve ritenersi limitato e contenuto, onde non appare censurabile.<br />
In conseguenza di ciò non sussiste pertanto la violazione al canone di buona fede lamentata in causa né può dirsi<br />
pregiudicato il diritto di difesa del lavoratore.<br />
5. Veniamo a questo punto al profilo afferente la mancanza di proporzionalità tra addebito e sanzione, il quale<br />
suppone che la trasgressione da parte del lavoratore agli obblighi sul medesimo gravanti vi sia stata, ma vada valutata<br />
diversamente da come effettuato dal datore e cioè con applicazione di una sanzione conservativa, in luogo<br />
del recesso disciplinare.<br />
Il ricorrente sostiene in proposito che nella vicenda sarebbero presenti alcune circostanze, destinate a segnalare<br />
l’eccesso di potere disciplinare in cui la convenuta è incorsa, rappresentate:<br />
1) dall’affidamento dalla medesima determinato nel lavoratore circa il possibile utilizzo del telefonino aziendale<br />
anche per finalità e collegamenti extra-lavorativi,<br />
2) dalla tenuità del danno da questi cagionato alla resistente, avuto riguardo al costo di telefonate e Sms estranei<br />
al facere lavorativo.<br />
Il profilo sub 1) è del tutto destituito di fondamento. È, infatti, agli atti di causa la prova dell’esatto contrario di<br />
quanto asserito dal lavoratore, rappresentata:<br />
- dalla prassi aziendale, vigente fin dal 2<strong>00</strong>0 e di cui si è detto sopra, di far elaborare dal proprio Ente Information<br />
Technology i files di tutte le telefonate, da inviare periodicamente a ciascun responsabile di settore (tra cui il<br />
ricorrente, in tale qualità, sino a metà 2<strong>00</strong>5), onde controllare i costi relativi, prassi ben nota al lavoratore, come<br />
attesta quanto dal medesimo riferito in sede di interrogatorio,<br />
- dall’obbligo per i dipendenti tutti di digitare, per le telefonate private effettuate dal telefonino aziendale, il prefisso<br />
46, con conseguente addebito del costo di esse direttamente sul conto corrente del lavoratore comunicato dal<br />
medesimo al gestore telefonico, obbligo anch’esso noto al ricorrente,<br />
6
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Approfondimenti<br />
- dall’obbligo di segnalare gli utilizzi privati del telefonino aziendale che non consentono di digitare il prefisso<br />
46, come nel caso degli Sms, per il relativo addebito al dipendente, e anche tale obbligo era certamente noto al<br />
ricorrente, essendosi questi dichiarato ex post disponibile a risarcire la convenuta sul punto,<br />
- dall’esistenza di precedente licenziamento di dipendente della convenuta per abuso del telefonino aziendale,<br />
risalente agli anni 2<strong>00</strong>3-2<strong>00</strong>4.<br />
Quanto poi al profilo sub 2), il Tribunale ne rinvia l’esame e la trattazione al seguito, facendo esso parte della<br />
complessiva valutazione del caso qui in discussione.<br />
6. Passiamo ora ad esaminare la questione sub e), concernete l’eccezione prospettata dal ricorrente di inutilizzabilità<br />
in giudizio delle prove invocate o prodotte dal datore, fondata:<br />
A. quanto alle telefonate e agli Sms, sull’illegittima acquisizione dei tabulati telefonici, per violazione degli artt.<br />
123 e 132 del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196),<br />
B. quanto ai files contenuti nella cartella personale del pc portatile in dotazione al lavoratore, sul provvedimento<br />
18.05.2<strong>00</strong>6 del Garante per la protezione dei dati personali, pronunciato nei confronti di Fiat Auto Financial<br />
Services Spa su ricorso del sig. E. ex art. 146 del Codice della privacy.<br />
L’assunto sub A. è stato già esaminato nel paragrafo 2., sub γ), e all’esito della relativa trattazione ritenuto destituito<br />
di fondamento; onde appare superfluo in questa sede aggiungere altro, salvo quanto si dirà nel seguito a proposito<br />
della categoria legale dell’inutilizzabilità, invocata a proprio beneficio dal ricorrente, e sulla sua portata nell’ambito<br />
dell’ordinamento giuridico italiano.<br />
E veniamo all’assunto sub B., che si fonda sul provvedimento del Garante della privacy in atti, il quale accerta la<br />
violazione, da parte della società qui resistente:<br />
- dell’art. 13 del Codice della privacy, per non essere il lavoratore stato previamente informato del trattamento dei<br />
suoi dati personali, al momento della visione del contenuto dei files, pur avvenuto alla sua presenza;<br />
- dell’art. 11 del Codice della privacy, per essere il trattamento avvenuto eccedendo le finalità di controllo perseguite,<br />
non essendo necessario rendere visibili gli specifici contenuti di tali files ed essendo viceversa bastevole<br />
l’accertamento delle dimensioni informatiche della cartella personale e delle tipologie dei files ivi contenute;<br />
onde così conclude e dispone: “… considerato l’art. 11, comma 2, del Codice secondo cui i dati trattati in violazione<br />
della disciplina rilevante in materia di trattamento di dati personali non possono essere utilizzati, l’Autorità<br />
dispone, ai sensi dell’art. 150, comma 2, del Codice, quale misura a tutela dei diritti dell’interessato, il divieto per<br />
la società resistente di trattare ulteriormente, in qualsiasi forma, le informazioni raccolte nei modi contestati con<br />
il ricorso”.<br />
In merito a tale provvedimento ed alla sua incidenza nell’ambito del presente giudizio il Tribunale osserva quanto<br />
segue. Il ricorrente, al pari di tutti i dipendenti della convenuta aventi in dotazione un computer aziendale, era<br />
pacificamente tenuto ad ottemperare alle prescrizioni contenute nella normativa aziendale e cioè nelle Linee<br />
guida per l’utilizzo delle postazioni di lavoro, prodotte del resto d entrambe le parti in causa, nelle quali si legge<br />
che: “…la postazione di lavoro (di seguito “PdL”) è oggi dotata di strumenti, come il personal computer (fisso,<br />
portatile o palmare), che sono utilizzati a supporto della normale attività lavorativa… Tali strumenti, ma anche<br />
le informazioni contenute nei sistemi ed i servizi utilizzati, sono un bene aziendale … Le norme di seguito<br />
specificate sono […]:<br />
- la PdL e i programmi installati sono beni aziendali affidati ai dipendenti come strumenti di lavoro;<br />
- la PdL deve essere sempre utilizzata solo per fini professionali (in relazione alle mansioni assegnate); devono<br />
essere evitati sia l’uso per scopi personali che per finalità illecite o non consentite dall’azienda (quali ad esempio<br />
memorizzazione di dati personali, esecuzione di programmi di intrattenimento, giochi o multimedialità) …<br />
L’impegno dei modem è consentito solamente su pc portatili secondo le regole… sopra indicate …”<br />
7
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Approfondimenti<br />
Tale tassativa prescrizione aziendale, specificamente richiamata sia nella lettera di contestazione d’addebito che<br />
in quella di recesso, è stata pacificamente violata dal ricorrente, come del resto si ricava dalle sue stesse difese in<br />
punto, avendo sul pc portatile datogli in dotazione creato una cartella personale contenente files musicali, di testo<br />
e fotografici.<br />
Nell’accesso da parte del datore di lavoro a tale cartella - avvenuto alla presenza dello stesso lavoratore e con<br />
modalità che non paiono né vessatorie né contrastare con il divieto generale di correttezza ex art. 1175 c.c. - non<br />
è pertanto astrattamente configurabile un trattamento di dati personali del dipendente, ai sensi dell’art. 4 del Codice<br />
della privacy: siamo, infatti, in presenza, per un verso, di dati personali che il medesimo ha illegittimamente<br />
inserito sul computer aziendale e, per altro verso, di un’attività di “controllo difensivo” effettuata dal proprietario<br />
del bene, dei programmi e di tutte le elaborazioni informatiche presunti sul suo hard disk, nessuna esclusa, del tutto<br />
legittima ed ineccepibile, anche per le modalità che l’hanno accompagnata.<br />
Inserendo tali dati personali in un luogo non proprio, ma altrui, in cui non avrebbero potuto né dovuto trovarsi,<br />
contravvenendo inoltre ad un esplicito divieto aziendale a lui ben noto, il dipendente ha infatti rinunciato ad<br />
avvalersi di un diritto alla privacy, la quale suppone l’esistenza di una sfera personale e privata - legittimamente<br />
creata - inaccessibile ai terzi e tutelata dalla legge contro possibili intromissioni altrui. Ragionare diversamente,<br />
nella vicenda qui in discussione, comporterebbe del resto un risultato paradossale, di fornir cioè tutela a situazioni<br />
immeritevoli di essa, così da sfociare in quella summa iniuria (per usare le sagge parole di Cicerone, De officiis, I,<br />
33) dalla quale il processo deve viceversa rifuggire.<br />
La privacy è infatti bene troppo prezioso, anche per le sue implicazioni di ordine costituzionale, per immaginare<br />
che la sua garanzia possa innestarsi su condotte che contravvengono ai doveri professionali ed essere quindi terreno<br />
per coprire attività abusive e mezzo per evitare strumentalmente di doverne rispondere.<br />
Ciò premesso, non condivisibile deve pertanto ritenersi il provvedimento adottato dal Garante della privacy,<br />
verosimilmente frutto di incompleta informazione sul caso in esame. Tale provvedimento, avente natura amministrativa,<br />
come si ricava dall’art. 152, comma 12, del Codice della privacy, va conseguentemente ritenuto illegittimo<br />
e disapplicato, ai sensi dell’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E).<br />
In tale contesto risulta pertanto infondata l’eccezione sollevata dal ricorrente di inutilizzabilità dei dati emersi a<br />
seguito dell’accesso alla cartella personale creata sul computer portatile datogli in dotazione.<br />
7. Quanto esposto al paragrafo che precede è di per sé sufficiente a definire la questione prospettata dal ricorrente,<br />
correlata all’eccezione di inutilizzabilità delle prove invocate o prodotte dalla convenuta e discendente dalla<br />
pretesa illegittimità del provvedimento del Tribunale di acquisizione in giudizio dei tabulati telefonici relativi al<br />
telefonino in dotazione del lavoratore e al periodo richiamato nella contestazione d’addebito nonché dalla pretesa<br />
illegittimità dell’accesso del datore alla cartella indebitamente creata dal lavoratore sul pc portatile aziendale quale<br />
“cartella personale”.<br />
Dal momento che, per le ragioni sopra esposte, i profili di illegittimità denunciati dal ricorrente sono risultati<br />
infondati, ne discende che insussistente è anche la conclusione che questi ne trae, di inutilizzabilità sul piano<br />
probatorio di tali tabulati e di quanto contenuto nella citata cartella del pc aziendale.<br />
Il Tribunale ritiene pertanto doveroso - indipendentemente dall’iter argomentativo seguito in antecedenza e per<br />
completezza di motivazione - affrontare comunque anche il profilo giuridico concernente la pretesa inutilizzabilità<br />
di dati afferenti la privacy del lavoratore, nell’ambito di controversia avente ad oggetto il recesso disciplinare.<br />
Come è noto, la categoria legale dell’inutilizzabilità delle prova in sede giudiziale, quale sanzione conseguente alla<br />
violazione di legge commessa all’atto della sua acquisizione, è stata individuata per la prima volta nell’ordinamento<br />
processuale italiano, che sino a quel momento conosceva unicamente la nullità, esposta se del caso alla sanatoria,<br />
con l’art. 191 del vigente c.p.p. del 1988, che così stabilisce: “1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti<br />
dalla legge non possono essere utilizzate. 2. L’inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del<br />
procedimento”. Al suo apparire tale enunciato normativo è parso, in uno dei primi commenti, recepire la “fruit<br />
8
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Approfondimenti<br />
of the poisonous tree doctrine” utilizzata dalla giurisprudenza della Corte Suprema USA, a partire dal 1939, per<br />
fondare il divieto di utilizzo sul piano probatorio (exclusionary rule) del sequestro del corpus delicti (ad es. droga)<br />
disposto dalla polizia nel corso e a seguito di perquisizione ritenuta illegittima, per violazione del IV emendamento<br />
della Costituzione americana, il quale stabilisce: “The right of the people to be secure in their persons, houses,<br />
papers, and effects, against unreasonable searches and seizures, shall not be violated, and no Warrants shall issue,<br />
but upon probabile cause, supported by Oath or affirmation, and particularly describing the place to be searched,<br />
and the persons or things to be seized ”.<br />
Secondo tale teoria - che non ha avuto fortuna in altri paesi di common law ed è ritenuta da uno dei nostri migliori<br />
studiosi di diritto processuale penale ispirata da “intransigenza puritana”, il cui effetto pratico è di fornire un “arnese<br />
provvidenziale” ad imputati acclaratamente colpevoli, essendo sempre “escogitabile qualche lesione dei diritti fondamentali”<br />
nelle prove fornite dalla pubblica accusa - non può entrare nel processo, anche se ne costituisce solo il<br />
risultato indiretto e mediato, ogni elemento di prova ottenuto a seguito di violazione di un diritto costituzionale del<br />
cittadino, in quanto «macchiato» e «contagiato» dall’illegalità del primo atto e cioè «frutto dell’albero velenoso».<br />
La lettura dell’art. 191 c.p.p. nel quadro della “poisonous tree doctrine” è però stata decisamente respinta sia dalle<br />
Sezioni Unite della Corte di Cassazione che dalla Corte Costituzionale.<br />
In un caso avente ad oggetto la sequenza perquisizione illegittima-sequestro il Supremo Collegio ha, infatti, stabilito<br />
che: “... allorquando quella ricerca [della prova del commesso reato], comunque effettuata, si sia conclusa con il<br />
rinvenimento del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, è lo stesso ordinamento processuale a considerarlo<br />
del tutto irrilevante il modo con il quale a quel sequestro si sia pervenuti: in questa specifica ipotesi, e ancorché nel<br />
contesto di una situazione non legittimamente creata, il sequestro rappresenta un “atto dovuto”, la cui omissione<br />
esporrebbe gli autori a specifiche responsabilità penali, quali che siano state, in concreto, le modalità propedeutiche<br />
e funzionali che hanno consentito l’esito positivo della ricerca compiuta”.<br />
Il giudice delle leggi ha inoltre rilevato, sempre con riferimento ad un caso similare, caratterizzato dalla stessa<br />
sequenza (perquisizione illegittima-sequestro), che non è consentito all’interprete “trasferire nella disciplina della<br />
inutilizzabilità (art. 191 c.p.p.) un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al<br />
tema della nullità (art. 185, comma 1, c.p.p.)”.<br />
Per parte sua la dottrina processual-penalistica - salvo qualche limitata e marginale eccezione, che non a caso si<br />
richiama alla “poisonous tree doctrine” - ha nella sua stragrande maggioranza precisato quanto segue:<br />
- l’enunciato normativo contenuto nell’art. 191 c.p.p. non ha portata a sé stante, ma mero carattere sanzionatorio,<br />
onde deve essere correlato ad altre norme processuali penali, contenenti le singole ipotesi di inutilizzabilità (artt.<br />
62, 63, 103, 188, 195, 197, 203, 234, 254, 270, 271, 2<strong>00</strong> c.p.p.),<br />
- tale enunciato fa inoltre riferimento a divieti probatori stabiliti dalla legge processuale e non già, genericamente,<br />
a ipotesi di illiceità, onde non è sufficiente a realizzarne il presupposto della violazione, al momento di acquisizione<br />
della prova, di norme appartenenti ad altra sfera (penale, civile, tributaria, ecc.) dell’ordinamento,<br />
- la sanzione di inutilizzabilità discende pertanto dalla violazione di uno specifico divieto probatorio stabilito dalla<br />
legge processuale, a fronte della quale il legislatore si fa carico di intervenire in modo più penetrante rispetto alla<br />
nullità, esposta se del caso alla sanatoria, così da incidere direttamente sull’idoneità giuridica dell’atto a svolgere<br />
funzione di prova, da espungerlo dall’ordinamento processuale, cui è reso pertanto totalmente estraneo, e da azzerare<br />
i conseguenti risultati cognitivi eventualmente realizzati.<br />
È in tale quadro normativo di riferimento che a questo punto deve essere affrontata la questione afferente l’ammissibilità<br />
nel processo penale delineato dal c.p.p. del 1988 delle prove precostituite illecitamente apprese, intendendosi<br />
per tali prove che vengono ad esistenza fuori dal processo, ottenute però a seguito di violazione di norma penale.<br />
Sotto la vigenza del c.p.p. del 1930 la questione era stata risolta, in un autorevole studio, nel senso di ritenere tali<br />
prove ammissibili, ove ne fosse comunque consentita l’apprensione coattiva da parte del giudice, fatta ovviamente<br />
salva l’applicazione delle previste sanzioni a carico del trasgressore e a tutela del cittadino leso.<br />
9
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Approfondimenti<br />
Questa conclusione deve ritenersi tuttora valida e anzi normativamente imposta, dal momento che il nuovo c.p.p.,<br />
come si è detto, circoscrive e limita i divieti probatori a quelli esplicitati dalla sola legge processuale penale, impedendo<br />
così all’interprete di crearne o individuarne altri: e tale sarebbe il caso del divieto probatorio relativo alla<br />
prove precostituite illecitamente apprese.<br />
Una soluzione similare viene altresì delineata, con riferimento alle prove civili precostituite, in un importante contributo<br />
dottrinale della seconda metà degli anni ’80, ancor oggi apprezzato e citato. In esso si evidenzia la totale irrilevanza, sul<br />
piano del processo, del fatto materiale che ha consentito alla parte di entrare in possesso della prova precostituita - la<br />
cui illiceità, asserita da una parte del giudizio, potrebbe del resto essere contestata dall’altra o comunque presentarsi,<br />
di fronte al giudice, del tutto dubbia e obiettivamente controversa -, salvo ben inteso il diverso ed eventuale profilo<br />
di responsabilità da fatto illecito a carico dell’autore dell’acquisizione, peraltro esterno ed estraneo al giudizio in cui<br />
la prova è prodotta. A tale orientamento si è di recente richiamata una pronuncia di merito in materia matrimoniale.<br />
Applicando al caso qui in esame tale principio, ne discende che - ove i dati contenuti nella “cartella personale” creata<br />
dal ricorrente indebitamente (e cioè in violazione delle prescrizioni contenute nelle Linee guida per l’utilizzo delle<br />
postazioni di lavoro) sul pc portatile di proprietà aziendale fossero da qualificare, nonostante tale violazione, come “dati<br />
personali”, ai sensi dell’art. 1 del Codice della privacy, onde l’apprensione datoriale di tali dati verrebbe a costituire a<br />
sua volta violazione della privacy del lavoratore - non per questo essi diverrebbero processualmente inutilizzabili.<br />
A tal fine sarebbe infatti necessaria la presenza, nell’ordinamento processuale civile, di una specifica regola di<br />
esclusione probatoria, quale quella ad es. enunciata nell’art. 222 c.p.c. (inutilizzabilità di documento, ove, proposta<br />
la querela di falso, la parte dichiari di non volersene avvalere) o che si ricava dall’art. 216 c.p.c. (inutilizzabilità<br />
di scrittura privata disconosciuta, non seguita da richiesta di verificazione), che però, allo stato, non esiste, sussistendo<br />
in punto mera proposta de iure condendo, la cui formulazione risulta peraltro inidonea a definire nel senso<br />
dell’inutilizzabilità tutte le svariate ipotesi di prove illecite.<br />
(Omissis)<br />
9. Quanto esposto al paragrafo che precede ci consente di chiarire che è esclusivamente nell’ordinamento processuale<br />
civile che vanno rintracciate le regole di esclusione probatoria, destinate ad espungere dal processo civile prove<br />
precostituite apprese in violazione dei diritti inviolabili della persona e, nel contempo, che non è consentito al<br />
giudice rintracciarle aliunde, fuori cioè da tale ordinamento, e in particolare inferirle dalle garanzie costituzionali<br />
relative a tali diritti. Questa conclusione oggi può ritenersi confermata da alcuni enunciati normativi del Codice<br />
in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196) e, in particolare, da quelli contenuti<br />
nel 2° comma dell’art. 11 (Modalità del trattamento e requisiti dei dati), nel 6° comma dell’art. 160 (Particolari<br />
accertamenti) e nell’art. 47 (Trattamenti per ragioni di giustizia).<br />
(Omissis)<br />
Orbene, dal complesso di tali enunciati si ricavano i seguenti principi.<br />
Primo. La giurisdizione, per le finalità istituzionali che persegue e per la rilevanza costituzionale che le attribuisce<br />
la Carta Costituzionale, si colloca in un ambito tale da rendere ad essa inapplicabili i vincoli e limiti previsti da<br />
numerose e qualificanti disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali, le quali non hanno né<br />
possono avere come destinatario il giudice, sotto pena di veder vanificato l’accertamento processuale e frustrate<br />
le esigenze di giustizia cui esso mira.<br />
Secondo. L’inutilizzabilità del trattamento dei dati personali reperiti in violazione della disciplina vigente in materia<br />
è riferibile unicamente ai destinatari delle prescrizioni del Codice della privacy, onde non si converte automaticamente<br />
in divieto probatorio per il giudice, ancorché nel processo risultino prodotti atti, documenti o provvedimenti<br />
basati su trattamento di dati personali non conformi a disposizioni di legge o di regolamento.<br />
Terzo. L’inutilizzabilità sul piano probatorio operante nell’ambito del giudizio civile e penale va fatta discendere<br />
- unicamente - dalle eventuali previsioni esistenti rispettivamente, nell’ordinamento processuale civile e in quello<br />
penale e cioè dalle specifiche regole di esclusione rinvenibili in ciascuno di tali ordinamenti.<br />
10
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(Omissis)<br />
Approfondimenti<br />
10. Chiarito in base a quanto precede, che l’eccezione processuale prospettata dal ricorrente - di inutilizzabilità<br />
delle prove offerte dalla convenuta al fine di assolvere all’onere che le compete per legge, in relazione all’intimato<br />
licenziamento del lavoratore - deve ritenersi totalmente destituita di fondamento, per collocarsi tali prove o nell’ambito<br />
di situazioni che prescindono dal consenso dell’interessato ovvero nell’ambito dei c.d. “controlli difensivi”<br />
datoriali, ammessi e ritenuti legittimi dalla giurisprudenza, o comunque per non essere la privacy del prestatore, ove<br />
invocabile (in via di ipotesi) nella fattispecie, di ostacolo all’accertamento giudiziale, sulla scorta della disciplina<br />
processuale vigente, cui il Codice della privacy rinvia, passiamo ora ad esaminare il merito della causa.<br />
(Omissis)<br />
11. Passiamo ora ad analizzare il secondo addebito contestato al lavoratore. Esso concerne la creazione nel pc<br />
portatile datogli in dotazione, in contrasto con il divieto contenuto nelle Linee guida per l’utilizzo delle postazioni<br />
di lavoro prodotte da entrambe le parti del giudizio, di una “cartella personale” contenente “sotto cartelle con<br />
228 files con estensione JPG (quindi di tipo immagine), con contenuto principalmente di tipo pornografico e 47<br />
files di tipo Word con contenuti prevalentemente di tipo pornografico, che risultano esser stati realizzati durante<br />
l’orario di lavoro”.<br />
(Omissis)<br />
Come si ricava dalla documentazione degli atti di causa, il ricorrente ha infatti preteso e provocato, attraverso<br />
l’ostinata difesa della propria privacy (invocata peraltro senza fondamento, come si è detto e dimostrato sopra),<br />
la distruzione di una parte delle prove detenute dalla convenuta e cioè della cartella c.d. “personale” presente<br />
sull’hard disk del computer portatile aziendale a suo tempo detenuto dal medesimo: e questo non può certamente<br />
ritenersi legittimo, concretando un grave “abuso del diritto di difesa” fattispecie oggi pacificamente riconosciuta<br />
dalla giurisprudenza.<br />
A fronte di tale distruzione sollecitata e pretesa, il ricorrente sostiene ora, in sede di discussione finale della vertenza,<br />
che, in assenza di tale prova, non sarebbe possibile ricostruire e stabilire i fatti di causa; con la conseguenza<br />
che, competendo alla convenuta fornire la dimostrazione del fatto addebitato al lavoratore sul piano disciplinare<br />
e della sua gravità, egli dovrebbe essere assolto dall’addebito e reintegrato nel posto di lavoro. Il Tribunale non<br />
ritiene però che tale conclusione possa essere condivisa ed accolta. Nelle difese scritte proposte dal lavoratore<br />
nel corso del procedimento disciplinare a suo carico si legge quanto segue: “non sono in grado di ricordare se e<br />
quali di essi [files] furono registrati durante l’orario di lavoro e, in caso positivo, quale possa essere stato il tempo<br />
necessario alla loro registrazione. Certamente, però, posso escludere che si trattò di un tempo quantitativamente<br />
rilevante o comunque tale da arrecare alcun tipo di pregiudizio alla mia prestazione lavorativa”. Ma se così è, il<br />
ricorrente avrebbe allora dovuto consentire l’accertamento giudiziale sulla cartella in questione, anziché provocarne<br />
la distruzione, con atti che costituiscono indiscutibilmente offesa grave all’altrui diritto costituzionale di difesa;<br />
indagine che avrebbe anche permesso di chiarire se e quanti accessi vi furono ai files in questione, durante l’orario<br />
di lavoro, e per quanto tempo.<br />
Non averlo fatto è sicuro indice che tale verifica avrebbe non solo confermato quanto allegato dalla convenuta,<br />
ma anzi evidenziato un abuso ancor più grave di quello ipotizzato. Va d’altra parte osservato che, secondo la regola<br />
sulla ripartizione dell’onere della prova per legge prevista (art. 2697 c.c.), nella vicenda disciplinare qui in esame<br />
spetta al datore fornire la prova dell’utilizzo, per ragioni personali ed extra-professionali, del pc portatile assegnato<br />
al lavoratore; e tale prova è stata fornita.<br />
È viceversa onere del lavoratore, e non dell’impresa, dare la dimostrazione della tenuità della propria condotta,<br />
facente seguito a comportamento costituente violazione degli obblighi aziendali sulla disciplina delle postazioni di<br />
lavoro, quali definiti dalla normativa interna (le citate Linee guida). Orbene, nel caso in esame il ricorrente non<br />
solo non ha fornito la prova a suo carico, ma ha anzi tenuto una condotta diretta ad ostacolare l’accertamento giudiziale,<br />
portata allo stadio estremo, quello della (provocata) cancellazione dei dati e dell’offesa all’altrui diritto.<br />
11
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Approfondimenti<br />
L’avvenuta eliminazione della possibilità di accertamento, per fatto del ricorrente, induce a ritenere che ciò sia<br />
avvenuto per occultare non solo che la registrazione avvenne in orario di lavoro e per tempi consistenti, ma anche<br />
che vi furono numerosi accessi durante l’orario di lavoro, con conseguente depauperamento del credito lavorativo<br />
del datore.<br />
Se, d’altra parte, la registrazione di quei files in orario di lavoro fosse stata trascurabile e se gli accessi fossero stati minimali,<br />
sarebbe sicuramente stato interesse del ricorrente farlo emergere, consentendo l’accertamento giudiziale.<br />
La contraria condotta viceversa tenuta da lavoratore lascia ragionevolmente presumere l’esatto contrario, ai sensi e<br />
per gli effetti di cui all’art. 2729 c.c. Anche tale addebito va pertanto ritenuto provato; ad esso va inoltre attribuito<br />
un connotato di notevole gravità, oltre che per le mansioni espletate dal lavoratore e per il suo inquadramento,<br />
anche per la condotta tenuta e di cui si è detto, da valutare nel quadro della previsione di cui al 2° comma dell’art.<br />
116 c.p.c.<br />
12. Alla luce di quanto in antecedenza esposto, il ricorso va pertanto respinto, con conseguente conferma del<br />
recesso datoriale. Le spese di lite vengono compensate, atteso che nella vicenda è intervenuto un provvedimento<br />
del Garante della privacy a favore del ricorrente, peraltro disapplicato dal Tribunale, in quanto ritenuto frutto di<br />
informazione parziale sui fatti di causa.<br />
Il commento<br />
La sentenza annotata, di cui si condivide la soluzione,<br />
offre lo spunto per affrontare una serie di<br />
questioni giuridiche dibattute, con riflessi processuali<br />
e sostanziali di assoluta rilevanza.<br />
Una prima questione concerne la legittimità<br />
dell’acquisizione ex art. 421 c.p.c. dei tabulati<br />
telefonici relativi all’utenza del telefonino aziendale<br />
assegnato al lavoratore con riferimento<br />
all’intervenuta decadenza del datore dall’assolvimento<br />
dell’onere della prova ex art. 5 della legge<br />
n. 604/66 ed alla contrarietà del provvedimento<br />
al Codice (ed alle direttive europee) in materia<br />
di protezione dei dati personali. Come ben evidenziato<br />
in sentenza il datore di lavoro aveva<br />
correttamente adempiuto all’onere di allegazione<br />
(e prova) nella prima difesa utile a lui incombente.<br />
In secondo luogo, se anche il datore non lo avesse<br />
fatto, la questione sarebbe vanificata dall’uso dei<br />
poteri istruttori e per certi versi “integrativi” del<br />
giudice ex art. 421 c.p.c. 1 , qui legittimo in quanto<br />
“destinato a consentire un migliore apprezzamento<br />
della situazione”. Si deve trattare, quindi, di un<br />
(Omissis)<br />
esercizio non meramente discrezionale, bensì<br />
di un potere-dovere del giudice adeguatamente<br />
motivato 2 .<br />
Quanto alla asserita (dal ricorrente) contrarietà<br />
dell’acquisizione dei tabulati telefonici del telefonino<br />
aziendale al D.Lgs. 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n.<br />
196 ed alle direttive UE n. 2<strong>00</strong>2/58 e n. 2<strong>00</strong>6/24,<br />
si rende necessaria una breve premessa. La valutazione<br />
della legittimità o meno dell’utilizzo<br />
di dati, avvenuto senza il consenso del titolare,<br />
necessita di un’analisi sul “comportamento”<br />
assunto dal datore di lavoro e stabilire se questo<br />
integri un’ipotesi di trattamento di dati riconducibile<br />
all’ambito di applicazione della disciplina<br />
in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs.<br />
n. 196/2<strong>00</strong>3). Per quanto concerne la nozione<br />
di «trattamento», contenuta nell’art. 4, primo<br />
comma, lett. a), D.Lgs. n. 196/2<strong>00</strong>3, il legislatore<br />
ha in essa ricompreso qualsiasi operazione<br />
o complesso di operazioni concernenti, tra le<br />
altre, sia la raccolta di informazioni, sia l’utilizzo<br />
di queste: assumono pertanto rilievo, ai fini dell’applicazione<br />
del Codice, anche gli atti aventi ad<br />
oggetto informazioni sulla persona del lavoratore,<br />
(1) L. DE ANGELIS, Giustizia del lavoro, Padova, 1992, pag. 29 e segg.; L. MONTESANO, Le prove officiose nel processo del lavoro coordinate<br />
all’oralità, alle preclusioni e alla paritaria difesa, Pret. Milano, 16 gennaio 1976, in Mass. Giur. Lav., 1976, pag. 437 e segg.<br />
(2) Sul corretto esercizio dei poteri istruttori del giudice, cfr Cass. Sez. Un., 17 giugno 2<strong>00</strong>4, n. 11353, in Giust. civ. mass., 2<strong>00</strong>4, pag. 6 e Orient.<br />
giur. lav., 2<strong>00</strong>4, I, pag. 755.<br />
12
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
posti in essere dal datore nello svolgimento delle<br />
indagini preliminari al procedimento disciplinare.<br />
Il “dato personale”, ai fini della disciplina positiva,<br />
consiste in qualsiasi informazione relativa,<br />
anche indirettamente, a persona fisica, oltre che<br />
a persona giuridica, ente od associazione 3 . Se<br />
controversa è spesso risultata la qualificazione<br />
dell’espressione «qualunque informazione», vero<br />
è che su tale questione definitoria il Garante si<br />
è pronunciato affermando che con la norma in<br />
parola il legislatore, nell’attribuire alla nozione di<br />
«dato personale» la massima ampiezza, ha voluto<br />
comprendere anche “… ogni notizia, informazione<br />
o elemento che abbia un’efficacia informativa<br />
tale da fornire un contributo aggiuntivo di conoscenza<br />
rispetto ad un soggetto identificato o<br />
identificabile …” (provvedimento 19 dicembre<br />
2<strong>00</strong>1, doc. n. 41854 in www. garanteprivacy. it).<br />
La costruzione delle categorie di “dato personale”<br />
e di “trattamento”, inusitate prima nel nostro ordinamento,<br />
disciplinano pressoché qualsiasi informazione,<br />
a prescindere quindi dal loro oggetto<br />
e dal contesto dei diversi comportamenti. Ciò<br />
sembra francamente iniquo, in quanto il taglio<br />
generale ed astratto della disciplina normativa,<br />
seppur per una scelta espressa del legislatore, non<br />
mette sempre in rilievo i variegati e contrastanti<br />
interessi sottostanti 4 . Si pone poi la questione di<br />
come conciliare la disciplina contenuta nell’art.<br />
7 dello Statuto dei lavoratori che regolamenta,<br />
pur entro una serie di limiti, il potere disciplinare<br />
del datore di lavoro e la normativa volta a<br />
realizzare un sistema di tutela della riservatezza<br />
del lavoratore nei confronti di qualsiasi forma<br />
di trattamento di dati inerenti la persona. Ad<br />
avviso della giurisprudenza antecedente l’entrata<br />
in vigore della L. n. 675/1996 (poi recepita nel<br />
D.Lgs. n. 196/2<strong>00</strong>3), in materia di sanzioni disciplinari,<br />
erano da ritenersi legittime le indagini<br />
preliminari al procedimento disciplinare disposte<br />
dal datore di lavoro purché finalizzate all’acqui-<br />
Approfondimenti<br />
sizione di elementi necessari per la verifica della<br />
configurabilità o dell’esclusione dell’illecito da<br />
sanzionare 5 ; nuovi interrogativi oggi si pongono<br />
a fronte del sistema di garanzie introdotto a<br />
tutela della riservatezza delle informazioni sulla<br />
persona 6 .<br />
L’indagine non può non concentrarsi sul consenso<br />
del titolare dei dati trattati; infatti, se il<br />
consenso espresso dell’interessato costituisce il<br />
requisito per la legittimità 7 di qualsiasi forma di<br />
trattamento di dati personali (art. 23, D.Lgs. n.<br />
196/2<strong>00</strong>3), è vero altresì che lo stesso legislatore<br />
contempla una serie di casi di esclusione del consenso<br />
(art. 24, D.Lgs. n. 196/2<strong>00</strong>3). Il conflitto<br />
tra consenso finalizzato al trattamento dei dati<br />
e l’esercizio del potere disciplinare datoriale è<br />
in certa misura paradossale, poiché può condurre<br />
al risultato di un comportamento lecito,<br />
che tuttavia lascia una traccia, la cui raccolta<br />
deve considerarsi illecita, a fronte del mancato<br />
rispetto delle norme del «Codice sulla privacy»,<br />
ovvero di un dato trattato in conformità alle<br />
disposizioni di quest’ultima fonte normativa,<br />
ma raccolto in forma illecita. Di tale difficoltà,<br />
peraltro, pare essere ben consapevole l’estensore<br />
della decisione annotata. Con riguardo alla causa<br />
di esclusione del consenso del titolare dei dati,<br />
si deve mettere in rilievo come, nel caso specifico,<br />
la richiesta di acquisizione dei tabulati sia<br />
duplice: la prima avanzata dal datore di lavoro<br />
in una fase preliminare al giudizio, ove le ultime<br />
tre cifre dei numeri chiamati risultavano criptate<br />
in conformità a quanto previsto dall’art. 124,<br />
comma 4, del D.Lgs. 196/2<strong>00</strong>3; e la seconda, durante<br />
la fase istruttoria del giudizio, ordinata dal<br />
giudice ai sensi dell’art. 421 c.p.c. (quest’ultima<br />
con numerazione completa).<br />
Per quanto concerne il primo caso, la richiesta,<br />
come osserva il Tribunale, è legittima in quanto<br />
il datore di lavoro è titolare dell’utenza e la mo-<br />
(3) M. POLACCHINI, Tutela della privacy in azienda: misure di sicurezza per il trattamento dei dati personali, Milano, 2<strong>00</strong>5, pag. 54 e segg.<br />
(4) Per una lucida ed esaustiva trattazione sul tema cfr E. GRAGNOLI, Tutela della riservatezza, obbligo di protezione e consenso del lavoratore,<br />
in ADL., 2<strong>00</strong>6, 1, pag. 235.<br />
(5) Trib. Roma, 14 giugno 1997, in NGL, 1997, pag. 767; Cass. 10 gennaio 1990, n. 23, in NGL, 1990, pag. 398; Trib. Roma, 24 settembre 1988,<br />
in Riv. It. Dir. Lav., 1989, II, pag. 141, con nota di V.A. POSO.<br />
(6) In tema di tutela dei dati personali nel rapporto di lavoro cfr. A. BELLAVISTA, La protezione dei dati personali nel rapporto di lavoro dopo il<br />
codice della privacy, in <strong>Studi</strong> in onore di Giorgio Ghezzi, vol. I, Padova, 2<strong>00</strong>5, pag. 319.<br />
(7) Sull’assoluta rilevanza del consenso cfr V. SCALISI, Il diritto alla riservatezza, Milano, 2<strong>00</strong>2, pagg. 240 e ss.<br />
13
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
dalità di acquisizione dei dati (con numerazione<br />
criptata) è rispettosa del diritto alla riservatezza<br />
del chiamante diverso dall’abbonato. L’acquisizione<br />
è, inoltre, determinata dalla necessità di<br />
adempiere l’onere, derivante dal contratto di<br />
lavoro, di contestare al lavoratore per iscritto<br />
gli addebiti prima di adottare qualsiasi sanzione<br />
disciplinare. Il flusso di informazioni risulta,<br />
inoltre, pertinente e non eccedente rispetto alle<br />
finalità per le quali i dati sono stati raccolti e<br />
successivamente utilizzati: non solo il “controllo”<br />
è circoscritto ad un periodo limitato (equivalente<br />
al tempo della contestazione), ma l’utilizzazione<br />
delle informazioni acquisite è risultata tesa in<br />
via esclusiva alla contestazione dell’addebito. A<br />
ciò si aggiunga, fatto non irrilevante, che i dati<br />
oggetto di acquisizione riguardano esclusivamente<br />
il facere lavorativo (le chiamate personali,<br />
autorizzate dalla resistente, dovevano essere<br />
precedute dal prefisso 46 e gli sms preventivamente<br />
segnalati). Tra l’altro, se la contestazione<br />
dell’addebito deve soddisfare il requisito della<br />
specificità, come pacificamente riconosciuto in<br />
dottrina e in giurisprudenza, appare evidente<br />
come l’acquisizione di informazioni si riveli<br />
necessaria, pertinente e non eccedente anche<br />
rispetto all’obbligo, prescritto ex lege a carico<br />
del datore di lavoro, di instaurare il procedimento<br />
disciplinare con un atto che contenga<br />
l’esposizione puntuale delle circostanze essenziali<br />
dei fatti costitutivi dell’infrazione disciplinare<br />
ascritta al lavoratore, ovvero i dati e gli aspetti<br />
essenziali del fatto materiale posto alla base del<br />
provvedimento sanzionatorio 8 . Ciò è ancor più<br />
vero, in rapporto al carattere di immutabilità<br />
Approfondimenti<br />
ascritto alla contestazione dell’addebito, per<br />
cui al datore di lavoro è precluso di far valere<br />
in giudizio, a sostegno del suo provvedimento<br />
disciplinare, circostanze e fatti nuovi o ulteriori<br />
rispetto a quelli ritualmente contestati 9 . Seppur<br />
è anche vero, che è ammesso allegare altre circostanze<br />
non contestate solo ai fini confermativi<br />
od integrativi della gravità dell’addebito e della<br />
sua attendibilità 10 .<br />
La decisione annotata, seppur per meri cenni,<br />
non trascura il bilanciamento di interessi tra diritto<br />
alla riservatezza del lavoratore e diritto alla<br />
difesa (ex art. 24 Cost.) del datore di lavoro. Il<br />
ragionamento è a contrario: riconoscere il diritto<br />
alla privacy significherebbe “…impedire alla<br />
convenuta di poter assolvere all’onere della prova<br />
che le incombe e quindi di difendersi…”. L’osservazione<br />
è condivisibile, ed è rafforzata dalla considerazione<br />
nell’ottica opposta, che parta cioè dalla<br />
posizione del lavoratore. L’acquisizione di precise<br />
e circostanziate informazioni è anche necessaria,<br />
pertinente e non eccedente rispetto alla garanzia<br />
del diritto di difesa del lavoratore, consentendo<br />
a quest’ultimo di individuare facilmente e in maniera<br />
univoca l’infrazione, ovvero di difendersi in<br />
maniera analitica e circostanziata 11 .<br />
La decisione argomenta come il diritto alla riservatezza<br />
del ricorrente non sussista relativamente<br />
alle comunicazioni afferenti alla prestazione di<br />
lavoro; alla stessa conclusione si sarebbe pervenuti<br />
qualora sussistessero chiamate personali (ipotesi<br />
negata dalle risultanze probatorie), per il divieto<br />
- riconosciuto dall’ordinamento giuridico - di<br />
venire contra factum proprium, che esclude la<br />
(8) Cfr. in giurisprudenza: Cass. 27 ottobre 2<strong>00</strong>0, n. 14225, in Riv. It. Dir. Lav., 2<strong>00</strong>1, II, pag. 538, con nota di S. BORELLI, Specificità della<br />
contestazione e obbligo di documentazione; Cass. 7 settembre 1993, n. 94<strong>00</strong>, in NGL, 1993, pag. 828; Cass. 27 gennaio 1993, n. 1<strong>00</strong>0, in NGL,<br />
1993, pag. 219; Cass. 21 giugno 1988, n. 4240, in NGL, 1988, pag. 843; Cass. 9 novembre 1985, n. 5484, in Foro it, 1986, I, pag. 1378; in dottrina:<br />
L. MONTUSCHI, voce Sanzioni disciplinari, in Digesto disc. priv., Sez. comm., vol. XIII, Torino, Utet, 1996, pag. 153; M. PAPALEONI, Il procedimento<br />
disciplinare nei confronti del lavoratore, Napoli, 1996, pag. 301.<br />
(9) C. PANDURI, Ancora sull’immutabilità dei fatti contestati posti a fondamento di un licenziamento disciplinare, in D.L. Riv. Crit. Dir. lav., 1997,<br />
pag. 179; A. PIZZOFERRATO, Oneri procedurali e licenziamento disciplinare: un’ulteriore conferma da parte della Cassazione - Nota a Cass., Sez. Lav.,<br />
21 dicembre 1991 n. 13829, in Giust. civ., 1992, I, pag. 3088; in giurisprudenza per tutte Cass. 7 febbraio 1997, n. 1152, in NGL, 1997, pag. 656.<br />
(10) Sul punto cfr Cass. 26 febbraio 2<strong>00</strong>2, n. 2853, in Giust. civ. mass., 2<strong>00</strong>2, pag. 326; Cass. 25 febbraio 1993, n. 2287, in Mass. Foro it., 1993,<br />
pag. 1391; Cass. 9 febbraio 1989, n. 823, in NGL, 1989, pag. 167.<br />
(11) Cfr. Cass. 13 giugno 2<strong>00</strong>5, n. 12644, in NGL, 2<strong>00</strong>6, pag. 44; Cass. 7 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 9167, in Foro it., 2<strong>00</strong>3, pag. 2637; Cass. 3 febbraio<br />
2<strong>00</strong>3, n. 1562, in Foro it., 2<strong>00</strong>3, I, pag. 1453, con nota di D. DOMENICO; Cass. 27 febbraio 1995, n. 2238, in Riv. it. dir. lav., 1996, II, pag. 119, con<br />
nota di A. PIZZOFERRATO, Ancora sul requisito di specificità della contestazione dell’addebito nel procedimento disciplinare; Cass. 8 ottobre 1992, n.<br />
10955, in NGL, 1992, pag. 627. Sulla specificità e immutabilità dell’addebito in funzione di garanzia del diritto di difesa del lavoratore, A. ALESSE,<br />
sub art. 7 St. lav., in M. GRANDI- M. PERA, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 2<strong>00</strong>5, pagg. 674-675. Sul carattere pertinente e non<br />
eccedente dei dati raccolti dal datore di lavoro ai fini dell’esercizio del potere disciplinare, Garante, provv. 23 dicembre 2<strong>00</strong>4, doc. web n. 1121411<br />
e provv. 27 giugno 2<strong>00</strong>1, doc. web. n. 40213, in sito web cit.<br />
14
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
tutela giuridica quando essa sia correlata ad un<br />
comportamento antidoveroso in antecedenza<br />
tenuto da colui che la richiede 12 .<br />
In relazione all’acquisizione dei tabulati in giudizio<br />
ex art. 421 c.p.c., la sentenza in commento precisa<br />
che la norma di cui all’art. 132 del “Codice della<br />
privacy” ha come destinatari i gestori telefonici<br />
e non i giudici, con la funzione di proteggere il<br />
trattamento dei dati non più giustificato dalla gestione<br />
del servizio (salvo i casi in cui il trattamento<br />
sia finalizzato all’accertamento e repressione dei<br />
reati), e non quella di escludere che l’accertamento<br />
giudiziario civile possa avvalersi dei dati per<br />
finalità di giustizia. Conferma di ciò si riscontra<br />
negli artt. 47 (Trattamenti per ragioni di giustizia)<br />
e 160 (Particolari accertamenti), comma 6, del<br />
D.Lgs. n. 196/2<strong>00</strong>3.<br />
La decisione offre uno spunto di riflessione anche<br />
in merito all’incidenza del provvedimento del<br />
Garante sul processo civile. Il Tribunale torinese<br />
sul presupposto della natura amministrativa della<br />
decisione di tale organo (che qui aveva disposto il<br />
divieto per la società resistente di trattare ulteriormente<br />
ed in qualsiasi forma i dati del ricorrente),<br />
dopo averla considerata illegittima, la disapplica<br />
ai sensi dell’art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248,<br />
allegato E). Ora, l’attività del Garante ha di sicuro<br />
natura di vigilanza amministrativa, di conseguenza<br />
riconoscerle natura giurisdizionale risulterebbe in<br />
palese violazione del precetto costituzionale che<br />
fa divieto al legislatore ordinario di creare giudici<br />
speciali (art. 102, comma 2, Cost.). Ciò detto, al<br />
Garante non spetta tanto il controllo sul «comportamento»<br />
del datore (regolamentato dalla<br />
disciplina dello Statuto dei Lavoratori), quanto<br />
quello sul trattamento dei dati. In tal senso, occorre<br />
ribadire che la disciplina della privacy appare<br />
diretta alla tutela dei dati e non a modificare il<br />
regime probatorio, che rimane fondato sulla necessità<br />
di poter accertare lo svolgimento dei fatti,<br />
Approfondimenti<br />
anche quando questi riguardino la sfera più intima<br />
del soggetto interessato. Del resto, se così non<br />
fosse, per assurdo, nei procedimenti penali l’imputato<br />
sarebbe legittimato a rivolgersi all’Autorità<br />
Garante ogni qual volta sorgesse una questione<br />
circa la liceità dei sistemi di investigazione. Infine,<br />
per il principio della separatezza delle giurisdizioni,<br />
le decisioni di natura amministrativa non<br />
possono invadere la sfera della giurisdizione vera<br />
a propria. Della sussistenza di un simile limite, la<br />
decisione del Garante sembra consapevole tanto<br />
che vieta il trattamento ulteriore dei dati, senza<br />
nulla esplicitamente disporre per quello pregresso.<br />
L’incidenza della decisione amministrativa<br />
sul procedimento civile, quindi, si ridimensiona<br />
con “spiazzante” evidenza a causa essenzialmente<br />
della diversità funzionale e dei differenti effetti<br />
giuridici dei due procedimenti. Tutto ciò ha una<br />
profonda ed intima coerenza; l’esame sistematico<br />
della vicenda non può nascondere l’impressione<br />
che ritenere sussistente un interesse del ricorrente<br />
(almeno al blocco dei dati), in ipotesi come quella<br />
della decisione in esame, significherebbe garantire<br />
una pretesa ultronea, rispetto al vero oggetto della<br />
questione, che è costituito, con tutta evidenza,<br />
dalla liceità del comportamento del datore e del<br />
licenziamento intimato.<br />
La sentenza in commento tratta, inoltre, il tema<br />
dell’inutilizzabilità delle prove illecitamente<br />
acquisite. Ciò si relaziona apparentemente alla<br />
tematica dell’atipicità delle prove nel giudizio<br />
civile, che - secondo un’impostazione di massima<br />
- può investire un duplice aspetto: da un lato può<br />
riguardare la vera e propria fonte probatoria del<br />
convincimento del giudice, che non sia prevista<br />
e disciplinata normativamente (si usano addurre<br />
come esempi in proposito lo scritto proveniente<br />
da terzi, di per sé avulso dai paradigmi tipici contemplati<br />
dagli art. 2699-2702 c.c. e dall’art. 213<br />
c.p.c.; la perizia stragiudiziale; la prova assunta od<br />
acquisita in altro giudizio, ecc.); dall’altro la con-<br />
(12) Sull’applicabilità del principio alla tematica del licenziamento disciplinare L. MONTUSCHI, Ancora sulla rilevanza della buona fede nel<br />
rapporto di lavoro, in ADL, n. 3, 1999, pagg. 723 e segg.; A. PIZZOFERRATO, Brevi considerazioni sull’uso delle clausole generali di buona fede e<br />
correttezza, in Riv. it. dir. lav., 1997, II, pagg. 563 e segg.<br />
(13) Per un panorama esaustivo delle problematiche connesse alle prove atipiche L. ARIOLA, Le prove atipiche nel processo civile, Torino, 2<strong>00</strong>8,<br />
pagg. 1<strong>00</strong> e segg., B. CAVALLONE, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991, pagg. 335 e segg., M. TARUFFO, Prove atipiche e convincimento<br />
del giudice, in Riv. dir. proc., 1973, pag. 389 e segg., nonché in La prova dei fatti giuridici, op. cit., Milano, 1992, pag. 377 e segg., G. RICCI,<br />
Le prove illecite nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, pag. 34 e segg.<br />
(14) In dottrina sull’esistenza della regola M. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, Milano, 1992, pag. 334 e segg.<br />
15
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
notazione atipica può inerire al modo, al metodo<br />
ed alla forma dell’assunzione o dell’acquisizione di<br />
una prova, i quali si distinguono ontologicamente<br />
dai “procedimenti tipici”, regolati dall’ordinamento<br />
positivo, ovvero vi si conformano soltanto apparentemente,<br />
non riproducendone gli essenziali<br />
requisiti di legittimità. Tuttavia - con riguardo a<br />
quest’ultimo aspetto - il caso di specie si colloca<br />
in una dimensione parzialmente diversa. La prova<br />
atipica si identifica con una prova che non trova<br />
riscontro nella previsione normativa, mentre la<br />
prova tipica viziata non si trasforma in atipica,<br />
ma rimane comunque una prova tipizzata non<br />
formatasi in modo valido 13 . I tabulati telefonici di<br />
cui si discute, seppur in ipotesi (non riscontrata<br />
in istruttoria) illegalmente acquisiti, configurano<br />
prove tipiche in ipotesi viziate perché formatesi<br />
in modo illegittimo, in una fase pre-processuale,<br />
del tutto estranea al giudizio.<br />
Il ragionamento del giudice torinese ripercorre,<br />
in modo puntuale, il dibattito sulla categoria<br />
dell’inutilizzabilità delle prove nel processo penale<br />
(che discende dalla violazione di uno specifico<br />
divieto stabilito dalla legge processuale), sulla<br />
scorta della giurisprudenza statunitense che è<br />
giunta ad espungere dal processo penale “per<br />
ragioni di contagio genetico” prove teoricamente<br />
disponibili ed utili. L’impostazione è condivisibile,<br />
giungendo ad essere pacifica in giurisprudenza<br />
(non constano orientamenti contrari), laddove<br />
si riconosce l’esistenza di una regola (comune, tra<br />
l’altro, agli ordinamenti di common e civil law) secondo<br />
la quale ogni prova utile per l’accertamento<br />
giudiziale deve ritenersi ammissibile 14 . Altresì, in<br />
un’ottica diametralmente opposta, è corretto far<br />
discendere dalla valutazione negativa circa tale<br />
utilità, rispetto all’accertamento richiesto, l’inammissibilità<br />
della prova stessa. Tale concezione<br />
mette in luce, secondo una corretta gerarchia di<br />
“valori”, la strumentalità delle acquisizioni pro-<br />
Approfondimenti<br />
batorie rispetto all’accertamento della c.d. “verità<br />
materiale”, a cui tende il giudizio - in particolare,<br />
in ambito giuslavoristico - caratterizzato da una<br />
pregnante accelerazione dell’iter cognitivo attraverso<br />
una serie di caratteristiche che investono<br />
l’intero svolgimento del processo. Un ulteriore e<br />
convincente argomento risiede nell’ammissibilità<br />
nel nostro ordinamento processuale delle prove<br />
atipiche (esplicita per il processo penale ex art.<br />
189 c.p.p. ed implicita, in dipendenza dell’assenza<br />
di una norma inderogabile che configuri come<br />
numerus clausus l’ambito delle prove espressamente<br />
disciplinate, per il processo civile). Non<br />
si comprenderebbe un diverso “trattamento” da<br />
riservarsi alla questione dell’ammissibilità delle<br />
prove precostituite illecite. Ed ancora, è opportuno<br />
precisare, secondo una chiave di lettura “sistemica”,<br />
che nell’ordinamento processuale civile (a<br />
differenza di quello penale) non esistono divieti<br />
probatori che consentano al giudice di espellere<br />
dal giudizio le prove precostituite illecite. Anzi,<br />
quando il legislatore abbia voluto introdurre specifiche<br />
regole di inutilizzabilità probatoria, lo ha<br />
esplicitamente enunciato (ad es. nel caso degli<br />
artt. 222 e 216 c.p.c.), in un ordinamento quale<br />
il nostro in cui vige il principio di “libertà della<br />
prova”. Il dato non può considerarsi irrilevante,<br />
bensì, al contrario, deve qualificarsi come una<br />
precisa opzione legislativa finalizzata a massimizzare<br />
il risultato dell’accertamento giudiziario,<br />
onde evitare che il processo s’allontani dal suo<br />
ontologico obiettivo.<br />
Il rango costituzionale dei valori in gioco, il diritto<br />
alla riservatezza da un lato ed il diritto alla tutela<br />
giurisdizionale (ed alla difesa) dall’altro, non può<br />
essere che una conferma della necessità di un<br />
intervento normativo, che introduca un preciso<br />
criterio di prevalenza. In assenza, ogni iniziativa<br />
giudiziaria sarebbe ultronea rispetto al potere ad<br />
essa conferito.<br />
16
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Il licenziamento motivato da finalità<br />
di riduzione dei costi<br />
Con la sentenza n. 17962 del 31 gennaio 2<strong>00</strong>8 la<br />
Sezione <strong>Lavoro</strong> della Corte di Cassazione è ritornata<br />
sul tema del licenziamento per giustificato<br />
motivo oggettivo determinato da riorganizzazione<br />
interna con smembramento delle mansioni del<br />
licenziato tra gli altri lavoratori, per affermarne<br />
la legittimità. L’intervento offre quindi lo spunto<br />
per ripercorrere gli orientamenti giurisprudenziali<br />
sul tema, talvolta contrastanti, soffermandosi in<br />
particolare sui casi di licenziamenti determinati<br />
da ragioni di riduzione dei costi aziendali.<br />
È nota, infatti, come controversa, la questione<br />
se costituisca giustificato motivo oggettivo la<br />
minore onerosità della nuova scelta organizzativa<br />
datoriale. È stato infatti osservato 1 al proposito<br />
che “l’orientamento negativo è minoritario, ma<br />
vanta una rilevante presa di posizione della Corte<br />
di Cassazione, la quale si è pronunciata a Sezioni<br />
Unite” (nel 1994).<br />
L’argomento merita quindi particolare attenzione<br />
e si procederà perciò illustrando dapprima la sentenza<br />
in commento e poi procedendo con ordine<br />
nell’esame delle questioni dibattute.<br />
La sentenza de qua riguarda il caso di due autisti<br />
che erano stati licenziati nel 2<strong>00</strong>2 per giustificato<br />
motivo oggettivo, i quali si erano opposti ai licenziamenti,<br />
sostenendo, tra gli altri argomenti, che<br />
si sarebbe violato il disposto dell’art. 3 della Legge<br />
PIETRO SCUDELLER<br />
Approfondimenti<br />
15 luglio 1966 n. 604 in quanto “il licenziamento<br />
non può essere giustificato dalla finalità dell’incremento<br />
dei profitti; né è sufficiente giustificazione<br />
il ridimensionamento dell’attività: è da provare<br />
(piuttosto) la necessità della soppressione dei<br />
posti di lavoro ai quali erano addetti i singoli<br />
ricorrenti”. La Corte, nel rigettare il ricorso, ha<br />
richiamato i seguenti suoi precedenti arresti:<br />
“nella nozione di giustificato motivo oggettivo<br />
di licenziamento è riconducibile anche l’ipotesi<br />
del riassetto organizzativo dell’azienda attuato al<br />
fine d’una più economica gestione della stessa, e<br />
deciso dall’imprenditore non semplicemente per<br />
un incremento del profitto, bensì per far fronte a<br />
sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti,<br />
influenti in modo determinante sulla normale<br />
attività produttiva, imponendo la riduzione dei<br />
costi; questo motivo oggettivo è rimesso alla<br />
valutazione del datore; e la scelta dei criteri di<br />
gestione dell’impresa, essendo espressione della<br />
libertà d’iniziativa economica tutelata dall’art.<br />
41 Cost., non è sindacabile dal giudice, che ha<br />
il compito di accertare solo la reale sussistenza<br />
del motivo addotto dall’imprenditore” (Cass. 2<br />
ottobre 2<strong>00</strong>6 n. 21282); “ai fini della configurabilità<br />
del giustificato motivo oggettivo non è<br />
necessario che siano soppresse tutte le mansioni<br />
in precedenza attribuite al lavoratore licenziato,<br />
ben potendo le stesse essere solo diversamente<br />
(1) Da LUNARDON e SANTINI, in Diritto del lavoro - Commentario diretto da Franco Carinci, III, Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del<br />
reddito, estinzione e tutela dei diritti, UTET, 2<strong>00</strong>7, cap. IV, p. 262.<br />
17
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
ripartite ed attribuite” (Cass. 2 ottobre 2<strong>00</strong>6 n.<br />
21282; Cass. n. 21121 del 2<strong>00</strong>4; Cass. 15 novembre<br />
1993 n. 11241; Cass. n. 13021 del 2<strong>00</strong>1; Cass.<br />
n. 4670 del 2<strong>00</strong>1).<br />
Con affermazione innovativa, la Corte, anche<br />
“considerando il diritto datorile di assegnare al<br />
dipendente (nei limiti dell’art. 2103 cod. civ.)<br />
mansioni equivalenti” ha poi aggiunto che “il<br />
rapporto di causalità (che nell’art. 3 della Legge<br />
15 luglio 1966 n. 604 è espresso con la parola<br />
‘determinato’) fra licenziamento ed attività produttiva<br />
(od organizzazione del lavoro) coinvolge<br />
l’intera struttura aziendale con le sue finalità e le<br />
sue conseguenti esigenze. Può pertanto delinearsi<br />
anche in relazione a settori diversi da quello cui<br />
il lavoratore era assegnato”.<br />
Conclude quindi la Corte affermando altresì, da<br />
un lato, che “nell’ambito della riorganizzazione<br />
aziendale determinata da oggettiva situazione di<br />
crisi, la scelta datorile legittima, nel quadro della<br />
redistribuzione delle mansioni, anche la conservazione<br />
delle mansioni svolte dal lavoratore licenziato,<br />
attraverso l’accorpamento con altre mansioni<br />
complessivamente assegnate ad altro lavoratore<br />
dell’azienda”; dall’altro lato, che “la necessità dell’azienda<br />
di assicurare, ed in elevato grado, qualità<br />
e sicurezza del servizio, anche al fine di presentarsi<br />
competitiva sul mercato ed evitare perdite, ha<br />
fondamento nella stessa esistenza e sopravvivenza<br />
dell’impresa. La scelta aziendale fondata su questa<br />
necessità rientra pertanto nello spazio della tutela<br />
costituzionale (art. 41 Cost.)”.<br />
Accertato quindi che nel caso di specie vi era stato<br />
un effettivo calo di fatturato per calo di commesse,<br />
ancorché esso non avesse determinato la soppressione<br />
dei posti di lavoro specifici dei due autisti,<br />
la sentenza ha riconosciuto la legittimità dei loro<br />
licenziamenti, a seguito di assegnazione delle loro<br />
mansioni a personale dell’officina aziendale.<br />
La sentenza, come preannunciato, si inserisce<br />
dunque in uno stato del dibattito giurisprudenziale<br />
tutt’altro che univoco.<br />
Approfondimenti<br />
L’art. 3 della Legge n. 604 del 1966 contiene la<br />
nozione di giustificato motivo: “il licenziamento<br />
per giustificato motivo con preavviso é determinato<br />
da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali<br />
del prestatore di lavoro ovvero da ragioni<br />
inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione<br />
del lavoro ed al regolare funzionamento di essa”.<br />
Nella giurisprudenza, a tale proposito, va rilevato<br />
innanzitutto che non si trova una chiara definizione<br />
e distinzione delle tre previsioni finali della<br />
norma, integranti il motivo oggettivo, ricorrendo<br />
invece sovente il richiamo a generiche “esigenze<br />
aziendali”.<br />
Tradizionalmente si ritiene che in ipotesi di cessazione<br />
della esigenza di un determinato posto<br />
di lavoro, il relativo dipendente che fino a quel<br />
momento era ivi occupato, può essere legittimamente<br />
licenziato: così si ritiene legittimo sia il<br />
licenziamento che consegua ad una soppressione<br />
del posto di lavoro determinata da calo di commesse,<br />
sia se determinata da autonoma scelta<br />
imprenditoriale che, ad esempio, comporti la<br />
commissione all’esterno di un servizio fino a prima<br />
gestito internamente 2 .<br />
Il contrasto giurisprudenziale si é manifestato invece<br />
in relazione al caso in cui le mansioni di un<br />
dipendente licenziato vengano redistribuite tra gli<br />
altri dipendenti rimasti: si possono, per tale fattispecie,<br />
individuare tre filoni giurisprudenziali.<br />
Secondo il primo di essi il licenziamento, in<br />
quanto volto soltanto ad un maggior profitto imprenditoriale,<br />
risulterebbe illegittimo: così è per<br />
Cass. SS. UU. 11.04.1994, n. 3353 (in FI 1994, I,<br />
1352), pronunciatasi nel caso di un insegnante di<br />
una scuola gestita con fini di lucro da una congregazione<br />
religiosa, che aveva affidato, nell’intento<br />
di realizzare economie di gestione, lo stesso posto<br />
di lavoro ad un religioso che, in quanto membro<br />
dell’organizzazione, prestava la propria attività<br />
senza retribuzione.<br />
Così è pure per Pret. Vicenza, 17.2.1995, RGL VE,<br />
1996, 71, secondo la quale “se la modifica è dovuta<br />
(2) Vedi, per tutti tali casi, la giurisprudenza citata da A. VALLEBONA, in Istituzioni di diritto del lavoro, II, Il rapporto di lavoro, Cedam, 2<strong>00</strong>5,<br />
pag. 406/407 (e nota 84). Merita solo richiamare la specificazione dell’Autore circa il fatto che la soppressione del posto di lavoro “non significa<br />
necessariamente soppressione delle mansioni già svolte da quest’ultimo, …essendo sufficiente che siano eliminate quelle prevalenti e caratterizzanti<br />
la posizione lavorativa cui era addetto il dipendente licenziato: Cass. 17 dicembre 1997 n. 12764, MGL, 1998, suppl., 21”.<br />
18
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
a mere esigenze economiche consistenti nella<br />
riduzione del costo del lavoro, dimostrata dalla<br />
prosecuzione dell’attività nella nuova attività<br />
produttiva con le stesse modalità della precedente<br />
soppressa, non vi è giustificato motivo oggettivo”.<br />
Nello stesso senso anche: Cass. 30.07.2<strong>00</strong>1 n.<br />
10371 in un caso di licenziamento intimato per<br />
liberare il posto al figlio del datore di lavoro, per<br />
prepararlo alla successione; Cass. 24/6/1995, n.<br />
7199, nel caso di un licenziamento dell’unica<br />
addetta alle pulizie, affidate ad altri lavoratori;<br />
nonché Pret. Brescia 7/3/1980 e Pretura Milano<br />
15/2/1980.<br />
Negativa anche Cass. 29.07.1990, n. 7540 (in<br />
RGL, 1991, II, 305) in un caso di riduzione del<br />
numero di dipendenti per mantenere la natura di<br />
impresa artigiana e le conseguenti agevolazioni<br />
contributive e fiscali.<br />
Parimenti é stato considerato illegittimo il licenziamento<br />
di una cassiera da parte di una S.r.l.,<br />
deciso per una riduzione dei costi, da realizzare<br />
con il personale impegno dei soci a rotazione nel<br />
servizio di cassa, nonché con l’ausilio occasionale<br />
del lavoro di altri dipendenti preesistenti e grazie<br />
alla semplificazione dell’impegno per l’introduzione<br />
di un elaboratore elettronico (Cass. n. 4164<br />
del 18/04/1991, DPL, 1991, 1619).<br />
Per un secondo filone, invece, che appare peraltro<br />
prevalente, “nella nozione di giustificato motivo<br />
oggettivo rientrano anche i riassetti attuati per<br />
la più economica gestione dell’impresa”, purché,<br />
tuttavia, essi non siano “pretestuosi e meramente<br />
strumentali ad incrementi dei profitti, bensì<br />
funzionali a fronteggiare situazioni sfavorevoli<br />
non contingenti”: rientrano in questo filone, ad<br />
esempio: Cass. 7.7.2<strong>00</strong>4, n. 12514, DRI, 2<strong>00</strong>5,<br />
456; Cass. 17.03.2<strong>00</strong>1, n. 3899, LPO, 10, 2<strong>00</strong>1,<br />
1415; Cass. 13.11.1999, n. 12603, OGL, 2<strong>00</strong>0, I,<br />
186; Cass. 23.6.1998, n. 6222; Cass. 28.3.1996,<br />
n. 2796; Cass. 20.12.1995, n. 12999, LG, 1996,<br />
506; Cass. 24.6.1994, n. 6067, NGL, 1995, 87;<br />
Cass. 3.11.1992, n. 11909, NGL, 1993, 90;<br />
Cass. 5.4.1990, n. 2824, RGL, 1991, II, 306;<br />
Trib. Milano, 23.7.1999, LG, 1999, 1164; Pret.<br />
Parma, 16.2.1996, LG, 1996, 658; Pret. Roma,<br />
(3) Citate anche alla nota 1.<br />
Approfondimenti<br />
23.3.1995, RCDL, 1995, 1054 3 ; e ancora Cass.<br />
17 maggio 2<strong>00</strong>3, n. 7750; Cass. 17 agosto 1998,<br />
n. 8057; Cass. 18.11.1998, n. 11646; Cass. 27.11.<br />
1996, n. 10527; Cass. 15/11/1993 n. 11241; Cass.<br />
26/1/1989, n. 462; Cass. SS.UU. 9/12/1986, n.<br />
7295; Pret. Roma 22/3/1994.<br />
Secondo questo filone “non è necessario che<br />
vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza<br />
attribuite al lavoratore licenziato, atteso che le<br />
stesse ben possono essere soltanto diversamente<br />
ripartite e attribuite nell’ambito del personale già<br />
esistente” (Cass., 14 giugno 2<strong>00</strong>0, n. 8135).<br />
Infine vi è un terzo filone giurisprudenziale, ancor<br />
più minoritario del primo, secondo il quale anche<br />
modifiche organizzative finalizzate esclusivamente ad<br />
un incremento dei profitti consentono licenziamenti<br />
legittimi: Cass. 11.4.2<strong>00</strong>3, n. 5777, OGL, 2<strong>00</strong>3, I,<br />
604 e Trib. Sulmona 21.9.2<strong>00</strong>4, LG, 2<strong>00</strong>5, 89.<br />
Dunque pare di capire dal primo orientamento citato,<br />
contrario al mero perseguimento del profitto,<br />
come pure dal secondo orientamento suddetto,<br />
predominante, che legittima il perseguimento del<br />
maggior profitto purché esso si accompagni ad una<br />
necessità di far fronte ad un qualche evento sfavorevole,<br />
che occorra sempre un qualche fattore<br />
esterno che giustifichi e sia causa della decisione<br />
di riduzione dei costi tramite il licenziamento;<br />
mentre non sarebbe sufficiente a giustificare il<br />
medesimo la mera decisione del datore di lavoro<br />
di voler contenere i costi ed aumentare i profitti,<br />
di per sé (salvo, appunto, che per le scarsissime<br />
sentenze del terzo filone giurisprudenziale).<br />
Ma ci si deve chiedere allora: vi è una differenza<br />
ontologica reale tra la situazione del datore di lavoro<br />
che decide, d’amblais, di licenziare un dipendente,<br />
ripartendo internamente le sue mansioni,<br />
al fine di ottimizzare la gestione imprenditoriale<br />
della sua azienda e massimizzare o migliorare i<br />
profitti, e la situazione di una decisione del tutto<br />
analoga che venga presa tuttavia solo a fronte di<br />
una crisi aziendale ovverossia di una situazione di<br />
difficoltà non contingente?<br />
La riposta, a mio modesto parere, deve essere<br />
negativa. Nel primo caso, infatti, l’imprenditore<br />
19
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
(o datore di lavoro in genere), riorganizza meglio<br />
la sua azienda per ottenere un maggior profitto<br />
(senza necessità di fattori esterni scatenanti); nel<br />
secondo caso fa la stessa cosa, allo scopo però di<br />
limitare una perdita o di compensare minori entrate<br />
con minori costi, puntando comunque ad un<br />
maggior profitto. In entrambi i casi c’è una somma<br />
algebrica di fattori positivi e di fattori negativi,<br />
di più e di meno (di ricavi e di costi) che, nel<br />
risultato algebrico dato dal bilancio finale, sarà<br />
comunque più favorevole per il datore di lavoro.<br />
Non si comprende quindi perché il risultato finale<br />
più economicamente favorevole (maggior utile<br />
o minor perdita) perseguito dal datore di lavoro<br />
con il licenziamento, e cioè con un taglio di costi<br />
ritenuti superflui, debba essere dalla giurisprudenza<br />
considerato legittimo o illegittimo a seconda che<br />
esso sia accompagnato o meno da un quid pluris, individuato<br />
volta per volta nella crisi aziendale, nella<br />
necessità di far fronte ad una situazione sfavorevole<br />
di mercato, in un calo di commesse o di fatturato,<br />
ecc., cioè in quelle che vengono definite “situazioni<br />
sfavorevoli sopravvenute e non contingenti”.<br />
Cosicché il licenziamento perderebbe, invece,<br />
la sua legittimità, se la scelta è indipendente da<br />
questi fattori ulteriori.<br />
Invero, se si ammette, come riconosciuto dalla<br />
sentenza in commento, che “la necessità dell’azienda<br />
di assicurare, ed in elevato grado, qualità<br />
e sicurezza del servizio, anche al fine di presentarsi<br />
competitiva sul mercato ed evitare perdite, ha<br />
fondamento nella stessa esistenza e sopravvivenza<br />
dell’impresa. La scelta aziendale fondata su questa<br />
necessità rientra pertanto nello spazio della tutela<br />
costituzionale (art. 41 Cost.)”, allora si dovrebbe<br />
trarre la conseguenza che ogni licenziamento,<br />
che non sia - ovviamente - seguito da assunzioni<br />
sostitutive di pari o maggior costo, comporta un<br />
taglio di costi aziendali e quindi attua di per sé<br />
un riassetto organizzativo che rientra tra le libere<br />
ed insindacabili prerogative del datore di lavoro,<br />
tutelate dalla libertà di iniziativa economica<br />
costituzionalmente garantita (senza necessità di<br />
alcun quid pluris esterno).<br />
Approfondimenti<br />
Conforme a queste conclusioni, peraltro, pare<br />
essere anche la sentenza 21 settembre 2<strong>00</strong>7 del<br />
Tribunale di Treviso n. 281 4 , nella quale, ancorché<br />
riguardante una dirigente 5 , che s’era trovata licenziata<br />
al termine della sua assenza per gravidanza,<br />
il giudice ha confermato la liceità del licenziamento,<br />
il quale era stato espresso con la seguente<br />
motivazione: “Le comunichiamo che la nostra<br />
società si è determinata a riorganizzare l’attività<br />
di Merchandising con la finalità di garantire la<br />
massima efficacia delle attività merchandising e<br />
contestualmente ottimizzare i processi decisionali<br />
interni e snellire le procedure, con l’obiettivo di<br />
migliorare il rapporto costi-benefici. A tal fine si<br />
è deciso di sopprimere la “Direzione Merchandising”<br />
ed accorpare la responsabilità della stessa<br />
nella posizione superiore e cioè nella “Direzione<br />
Marketing” che, a seguito di ciò, ha assunto il<br />
nome di “Direzione Marketing e Merchandising”.<br />
Ne consegue pertanto la soppressione della sua<br />
posizione lavorativa, appunto nella veste di responsabile<br />
della soppressa “Direzione Merchandising”.”<br />
Un licenziamento espressamente motivato,<br />
dunque, dall’obiettivo di migliorare il rapporto<br />
costi-benefici, viene ritenuto non pretestuoso e<br />
degno di tutela.<br />
Va ripetuto che, forse, la decisione del giudice<br />
avrebbe potuto cambiare se anziché d’un dirigente<br />
si fosse trattato di un impiegato o operaio,<br />
dovendosi quindi far applicazione della nozione di<br />
giustificato motivo oggettivo anziché di quella di<br />
giustificatezza del licenziamento. Tuttavia il caso<br />
permette di proseguire nel nostro ragionamento,<br />
in quanto consente di osservare che la soluzione<br />
non avrebbe dovuto variare se il giudice avesse<br />
potuto far applicazione del canone, appena richiamato,<br />
della Cassazione, secondo cui, anche<br />
in tema di giustificato motivo oggettivo, “la<br />
necessità dell’azienda di assicurare, ed in elevato<br />
grado, qualità e sicurezza del servizio, anche al fine<br />
di presentarsi competitiva sul mercato ed evitare<br />
perdite” vale quale giustificato motivo oggettivo<br />
di licenziamento.<br />
(4) Dott.ssa CLOTILDE PARISE, pubblicata in Diritti (Unindustria Treviso) n. 8/2<strong>00</strong>8, p. 126, con commento di VANIA BRINO.<br />
(5) Venendo quindi in esame la nozione di “giustificatezza” del licenziamento, diversa e distinta, invero, dalla nozione di giustificato motivo<br />
oggettivo.<br />
20
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
D’altra parte richiedere quel quid pluris, di cui si<br />
diceva poco sopra, appare come un limitare le scelte<br />
organizzative del datore di lavoro almeno in senso<br />
temporale: equivale cioè a ritenere che se il datore di<br />
lavoro ha assunto una persona, la sua scelta diventi<br />
irrevocabile ed immodificabile se non in presenza di<br />
quel quid pluris; se infatti la sua scelta di licenziare<br />
la stessa persona, assegnando le stesse mansioni al<br />
restante personale, avviene in assenza di ogni quid<br />
pluris e per un semplice ripensamento organizzativo<br />
da parte del datore di lavoro, ritenere che in tal<br />
caso la scelta di licenziare sia illegittima equivale a<br />
proibire i ripensamenti, a distanza di un certo tempo<br />
dalla precedente scelta, dell’imprenditore: il che appare<br />
senz’altro in contrasto con la giusta e tralaticia<br />
affermazione giurisprudenziale della insindacabilità<br />
delle scelte organizzative datoriali.<br />
Pur avvertendo del prevalente diverso orientamento<br />
giurisprudenziale, di cui fa parte anche la<br />
sentenza in commento, pare a chi scrive, quindi<br />
ed in definitiva, che nelle “ragioni inerenti l’organizzazione<br />
del lavoro e il regolare funzionamento<br />
di essa” di cui all’art. 3 della L. 604/1966 debbano<br />
poter rientrare tutte le decisioni del datore di<br />
lavoro di licenziamenti per soppressione di posti<br />
di lavoro, volte ad una riduzione dei costi, anche<br />
con redistribuzione delle mansioni (indipendentemente<br />
dalla sopravvenienza di situazioni sfavorevoli).<br />
Fermo restando che il limite della non<br />
pretestuosità del licenziamento andrà ricercato,<br />
non tanto nelle situazioni sfavorevoli aziendali,<br />
cioè il quid pluris detto sopra (che, non essendo<br />
richiesto, consentirà anche, a maggior ragione,<br />
licenziamenti relativi a reparti non direttamente<br />
incisi dalla crisi o dalle altre situazioni sfavorevoli),<br />
quanto soltanto nella serietà e correttezza<br />
della scelta datorile, il cui indice principale sarà<br />
dato da una sufficiente stabilità temporanea di essa<br />
Approfondimenti<br />
(id est dall’assenza di sostituzioni, per un congruo<br />
periodo, dei licenziati, significativa di una effettiva<br />
superfluità, sulla base di determinate scelte<br />
organizzative, del lavoratore licenziato).<br />
In altre parole, si va qui sostenendo che il numero<br />
dei dipendenti di un’azienda è sempre un aspetto<br />
dell’organizzazione di essa che compete, in modo<br />
insindacabile, al datore di lavoro. Perciò sempre<br />
insindacabili dovrebbero essere altresì le scelte di<br />
adeguamento, in aumento o in diminuzione, del<br />
personale alle effettive esigenze aziendali.<br />
Dov’è quindi che trova tutela la contrapposta<br />
esigenza del lavoratore alla tendenziale durata<br />
indeterminata del suo rapporto e quindi a non<br />
essere licenziato per motivi futili o pretestuosi?<br />
Nel fatto, a parere di chi scrive, che la riduzione<br />
del o dei posti di lavoro, sia accompagnata da una<br />
riorganizzazione aziendale, che ben può consistere<br />
anche nella redistribuzione al personale rimasto<br />
(come nell’affidamento all’esterno) delle mansioni<br />
del licenziato, e dal fatto che tale riorganizzazione<br />
sia tendenzialmente stabile, cioè non venga<br />
variata nuovamente se non in presenza di ulteriori,<br />
sopraggiunte esigenze aziendali; al fine, appunto,<br />
di evitare un abuso del potere organizzativo<br />
del datore di lavoro da parte dello stesso (come<br />
accadrebbe, all’evidenza, in caso di variazioni<br />
continue, o di quasi immediata sostituzione del<br />
lavoratore con altro successivo, ecc.).<br />
Il mero perseguimento del (maggior) profitto,<br />
quindi, non deve essere visto con disvalore,<br />
servendo invece a rendere più competitive le<br />
organizzazioni del lavoro (con beneficio, almeno<br />
teorico o tendenziale, per i consumatori) ed essendo<br />
connaturato alle finalità d’impresa; mentre<br />
possono e ben devono essere puniti i comportamenti<br />
datorili scorretti o abusivi.<br />
21
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
L’impugnazione della cartella<br />
di pagamento per i contributi Inps<br />
1. Le informazioni sulla cartella di pagamento<br />
La cartella di pagamento è notificata dall’agente<br />
della riscossione per conto della sede dell’INPS<br />
che ha formato il ruolo.<br />
Pertanto, l’agente della riscossione è il tramite tra<br />
l’ente previdenziale e il debitore; l’agente della riscossione<br />
può fornire soltanto notizie sulla situazione<br />
dei pagamenti, ma per avere informazioni sugli<br />
addebiti è necessario rivolgersi alla sede dell’INPS<br />
indicata nella sezione “dettaglio degli addebiti”.<br />
2. Il pagamento<br />
Il pagamento deve essere effettuato, in rata unica,<br />
entro 60 giorni dalla data in cui la notifica è<br />
stata effettuata, onde evitare l’addebito di somme<br />
aggiuntive e degli interessi di mora.<br />
Nel caso di mancato pagamento entro la scadenza,<br />
l’agente della riscossione procede all’esecuzione<br />
forzata nonché al fermo amministrativo di beni<br />
mobili registrati (ad esempio, le autovetture), all’ipoteca<br />
sugli immobili di proprietà del debitore<br />
e ad acquisire presso i suoi debitori notizie utili sui<br />
crediti che l’interessato ha nei loro confronti.<br />
3. Il ricorso<br />
Dopo aver verificato il contenuto della cartella di<br />
pagamento ed aver constatato i dati in suo possesso,<br />
il debitore che si intende leso nelle sue ragioni, ai<br />
sensi dell’art. 24, comma 5, del D.Lgs. 26/2/1999,<br />
n. 46, può proporre opposizione contro l’iscrizione<br />
SERGIO MOGOROVICH<br />
Approfondimenti<br />
a ruolo entro il termine di 40 giorni (e non di 60<br />
giorni!) dalla data di notifica dell’atto.<br />
La procedura di opposizione è disciplinata dagli artt.<br />
442 e seguenti del codice di procedura civile.<br />
L’opposizione contro l’iscrizione a ruolo per motivi<br />
di merito va proposta contro l’INPS, che è l’ente impositore,<br />
e la “Società di cartolarizzazione dei crediti<br />
INPS-S.C.C.I. S.p.A., che è la cessionaria dei crediti<br />
contributivi, quale litisconsorte necessaria ai sensi<br />
dell’art. 13, comma 8, della L. 23/12/1998, n. 488 (la<br />
cui sede legale è Largo Chigi n. 5-<strong>00</strong>1<strong>00</strong> Roma).<br />
La proposizione del ricorso non sospende la riscossione.<br />
Pertanto, la procedura può essere richiesta<br />
in sede contenziosa: nel corso del giudizio di<br />
primo grado il Giudice del lavoro può sospendere<br />
l’esecuzione del ruolo per gravi motivi; in tal caso,<br />
il ricorrente deve notificare il provvedimento di<br />
sospensione all’agente della riscossione che ha<br />
emesso la cartella, secondo quanto è stabilito<br />
dall’art. 24, commi 6 e 7, del citato D.Lgs.<br />
3.1 La sospensione in via amministrativa<br />
Il debitore può presentare alla sede dell’INPS che ha<br />
emesso il ruolo una richiesta di adozione di provvedimenti<br />
amministrativi di sospensione e di sgravio.<br />
L’istanza, da redigere in carta semplice, deve contenere<br />
le seguenti indicazioni:<br />
le generalità e il codice fiscale del debitore;<br />
il rappresentante legale, se chi propone il ricorso<br />
è una società o un ente;<br />
22
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
la residenza o la sede legale o il domicilio eventualmente<br />
eletto;<br />
le motivazioni della richiesta.<br />
3.2 Il pagamento rateale<br />
In base alle modifiche recate con l’art. 36 del<br />
D.L. 31/12/2<strong>00</strong>7, n. 248, ai sensi dell’art. 19 del<br />
D.P.R. 29/9/1973, n. 602, il debitore può chiedere<br />
al concessionario, purché sussista la condizione di<br />
temporanea ed obiettiva difficoltà, di beneficiare<br />
del pagamento frazionato in un massimo di 72<br />
rate, secondo le procedure indicate nella direttiva<br />
Equitalia 27/3/2<strong>00</strong>8, n. 2070.<br />
Va tenuto presente che l’art. 83, comma 23, del<br />
D.L. 25/6/2<strong>00</strong>8, n. 112, ha soppresso l’obbligo della<br />
garanzia di una polizza fideiussoria o di una fideiussione<br />
bancaria o di una garanzia di ipotecaria.<br />
La richiesta di rateazione può essere avanzata anche<br />
per crediti sottoposti a procedura esecutiva.<br />
Questa regola si applica anche alle entrate iscritte<br />
a ruolo dagli enti previdenziali in quanto la norma<br />
vuole la presenza di un unico interlocutore e regole<br />
uniche anche nell’eventualità della presenza di<br />
una pluralità di debiti (cioè fiscali, previdenziali<br />
e di altra natura).<br />
Tuttavia, la norma non ha esplicitamente abrogato<br />
la facoltà dell’INPS di concedere la rateazione<br />
del pagamento dei soli contributi previdenziali.<br />
Pertanto, l’istituto della rateazione presenta una<br />
duplice procedura in quanto, alternativamente, la<br />
pratica può essere istituita dall’INPS o dall’agente<br />
della riscossione.<br />
Anteriormente all’invio della procedura esecutiva<br />
il debitore può presentare una domanda di<br />
rateazione delle somme iscritte a ruolo utilizzando<br />
l’apposita modulistica predisposta dall’INPS cui<br />
va allegata la fotocopia della cartella.<br />
In pratica, la disciplina del pagamento frazionato<br />
è strutturata come risulta dalla seguente tabella.<br />
3.3 La rateazione dei contributi previdenziali<br />
A) Crediti non iscritti a ruolo<br />
rateazione fino ad un massimo di 24 mensilità<br />
ovvero di un prolungamento fino a 36 rate<br />
Approfondimenti<br />
dietro parere del Ministero del lavoro e delle<br />
politiche sociali (art. 2, comma 11, della L.<br />
7/12/1989, n. 389);<br />
rateazione fino a 60 mensilità, per particolari<br />
specifici casi, previa autorizzazione del Ministero<br />
del lavoro e delle politiche socili (art. 116,<br />
comma 17, della L. 23/12/2<strong>00</strong>0, n. 388).<br />
B) Crediti iscritti a ruolo<br />
competenza dell’INPS: rateazione fino a 60<br />
mensilità, con provvedimento motivato dell’Ente<br />
(art. 3, comma 3-bis, della L. 8/8/2<strong>00</strong>2,<br />
n. 178);<br />
competenza dell’agente della riscossione: rateazione<br />
fino a 72 mensilità nei confronti di debitori<br />
in temporanea condizione di obiettiva difficoltà<br />
(art. 19 del D.P.R. 29/9/1973, n. 602).<br />
La domanda rivolta all’agente della riscossione è<br />
esente dall’imposta di bollo e deve avere per oggetto<br />
la totalità degli importi iscritti a ruolo residui<br />
per i quali è già scaduto il termine per effettuare<br />
il pagamento (cioè dopo il decorso del termine di<br />
60 giorni dalla data di notifica della cartella) al<br />
netto degli importi già versati.<br />
Il debitore iscritto a ruolo sia dall’INPS che da altri<br />
enti (ad esempio, l’Agenzia delle Entrate) può beneficiare<br />
del pagamento rateale per questo ultimo<br />
debito soltanto se documenta di aver già chiesto<br />
la rateazione contributiva all’ente previdenziale;<br />
tuttavia, questa procedura può essere evitata<br />
qualora richieda all’agente della riscossione la<br />
concessione della rateazione sia contributiva sia<br />
di altra natura.<br />
La prima rata comprende l’intero ammontare delle<br />
seguenti poste:<br />
le sanzioni civili di cui all’art. 27, comma 1, del<br />
D.Lgs. 26/2/1999, n. 46, in luogo degli interessi di<br />
mora di cui all’art. 30 del D.P.R. 29/9/1973, n. 602;<br />
gli aggi di riscossione di cui all’art. 17, commi<br />
da 1 a 3-bis, del D.Lgs. 13/4/1999, n. 112, sulle<br />
somme iscritte a ruolo residue, per la parte a<br />
carico del debitore;<br />
le spese per le procedure di riscossione coattiva<br />
di cui all’art. 17, comma 6, del D.Lgs.<br />
13/4/1999, n. 112, calcolate tenendo conto,<br />
ai sensi dei punti n. 18 e n. 19 della Tabella A<br />
23
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
allegata al D.D. 21/11/2<strong>00</strong>0, anche delle spese<br />
di cancellazione dell’ipoteca iscritta anteriormente<br />
alla concessione della rateazione;<br />
i diritti di notifica della cartella di pagamento.<br />
3.4 Le modalità di calcolo<br />
A) La L. 23/12/1996, n. 662<br />
Le ulteriori somme aggiuntive per ritardato pagamento,<br />
che sostituiscono gli interessi di mora,<br />
vanno conteggiate come segue:<br />
va determinato il numero dei giorni che intercorre<br />
tra la data della notifica e la data del<br />
pagamento;<br />
tale numero va moltiplicato per il tasso vigente<br />
e per l’importo di ciascun contributo da versare<br />
e il risultato va diviso per 365<strong>00</strong>;<br />
va verificato che tale importo sia inferiore o<br />
uguale a quello indicato come “ulteriore somma<br />
aggiuntiva”, esposto nella sezione “Dettaglio<br />
degli addebiti” della cartella di pagamento,<br />
per ogni contributo interessato e va effettuato<br />
il versamento.<br />
B) L’art. 116, comma 8, lettera a), L. 23/12/2<strong>00</strong>0, n. 388<br />
Se è presente l’importo “ulteriore somma aggiuntiva”,<br />
gli oneri accessori (somme aggiuntive e/o<br />
interessi di mora) per ritardato pagamento, relativamente<br />
ad ogni contributo interessato, vanno<br />
conteggiati come segue:<br />
va determinato il numero dei giorni che intercorrono<br />
tra la data della notifica e la data del<br />
pagamento;<br />
tale numero va moltiplicato per il tasso vigente<br />
e per l’importo di ciascun contributo da versare<br />
e il risultato va diviso per 365<strong>00</strong>;<br />
va verificato che tale importo sia inferiore o<br />
uguale a quello indicato come “ulteriore somma<br />
aggiuntiva”, esposto nella sezione “Dettaglio<br />
degli addebiti” della cartella di pagamento,<br />
per ogni contributo interessato e va effettuato<br />
il versamento.<br />
Mediante tale conteggio, dopo che è stato raggiunto<br />
l’importo indicato come “ulteriore somma<br />
aggiuntiva”, è necessario effettuare un ulteriore<br />
calcolo, in ragione degli ulteriori giorni di ritardo<br />
Approfondimenti<br />
nel pagamento, applicando il tasso stabilito per<br />
gli interessi di mora soltanto sull’importo dovuto<br />
titolo di contributi e, quindi, va effettuato il<br />
versamento.<br />
Qualora non sia presente l’importo “ulteriore<br />
somma aggiuntiva”, in quanto il tetto massimo è<br />
stato già raggiunto, va effettuato il conteggio degli<br />
interessi di mora secondo le modalità indicate<br />
alla successiva lettera D). La stessa procedura di<br />
computo va seguita qualora sia presente la sola<br />
voce “interessi di mora”.<br />
C) L’art. 116, comma 8, lettera b), della L.<br />
23/12/2<strong>00</strong>0, n. 388<br />
Se è indicato l’importo “ulteriore somma aggiuntiva”,<br />
gli oneri accessori (somme aggiuntive e/o<br />
interessi di mora) per ritardato pagamento, relativamente<br />
ad ogni contributo interessato, vanno<br />
conteggiati come segue:<br />
va determinato il numero dei giorni che intercorrono<br />
tra la data della notifica e la data del<br />
pagamento;<br />
tale numero va moltiplicato per il tasso vigente<br />
e per l’importo di ciascun contributo da versare<br />
e il risultato va diviso per 365<strong>00</strong>;<br />
va verificato che tale importo sia inferiore o<br />
uguale a quello indicato come “ulteriore somma<br />
aggiuntiva”, esposto nella sezione “Dettaglio<br />
degli addebiti” della cartella di pagamento,<br />
per ogni contributo interessato e va effettuato<br />
il versamento.<br />
Mediante tale conteggio, dopo che è stato raggiunto<br />
l’importo indicato come “ulteriore somma aggiuntiva”,<br />
è necessario effettuare un ulteriore calcolo, in ragione<br />
degli ulteriori giorni di ritardo nel pagamento,<br />
applicando il tasso stabilito per gli interessi di mora<br />
soltanto sull’importo dovuto a titolo di contributi.<br />
Qualora non sia presente l’importo “ulteriore<br />
somma aggiuntiva”, in quanto il tetto massimo è<br />
stato già raggiunto, va effettuato il conteggio degli<br />
interessi di mora secondo le modalità indicate<br />
alla successiva lettera D). La stessa procedura di<br />
computo va seguita qualora sia presente la sola<br />
voce “interessi di mora”.<br />
D) L’art. 116, comma 9, L. 23/12/2<strong>00</strong>0, n. 388<br />
Qualora per ogni contributo sia già stato raggiunto<br />
il tetto massimo previsto per le somme aggiunti-<br />
24
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
ve, gli interessi di mora vanno conteggiati come<br />
segue:<br />
va determinato il numero dei giorni che intercorrono<br />
tra la data della notifica e la data del<br />
pagamento;<br />
tale numero va moltiplicato per il tasso stabilito<br />
per gli interessi di mora in ragione d’anno, per<br />
l’importo del solo contributo e va diviso per<br />
365<strong>00</strong>;<br />
l’importo così calcolato va sommato agli importi<br />
che sono stati indicati nella cartella e,<br />
quindi, va effettuato il pagamento.<br />
Per effettuare il calcolo delle somme aggiuntive<br />
va fatto riferimento all’apposito provvedimento<br />
della Banca d’Italia con il quale è determinato il<br />
Tasso ufficiale di Riferimento (T.U.R.).<br />
Invece, per conoscere il tasso vigente per il calcolo<br />
degli interessi di mora va fatto riferimento<br />
all’apposito D.M.<br />
3.5 I compensi per l’agente della riscossione<br />
La normativa di riferimento è rappresentata dall’art.<br />
17, comma 3, del D.Lgs. 13/4/1999, n. 112,<br />
dal D.M. 17/11/2<strong>00</strong>6 e dal D.M. 4/8/2<strong>00</strong>0, nonché<br />
dal decreto 22/12/2<strong>00</strong>0 dall’Assessorato Bilancio<br />
e Finanze e della regione Sicilia.<br />
A carico del contribuente è previsto un aggio nella<br />
misura del 4,65% da conteggiarsi sulla cartella<br />
pagata entro il 60° giorno successivo alla data di<br />
notifica. Inoltre, nel caso di ritardato pagamento<br />
nella misura del 4,65% alla quale va aggiunta la<br />
percentuale a carico dell’ente impositore.<br />
Approfondimenti<br />
In base all’attuale normativa, la percentuale dei<br />
compensi a carico dell’INPS è diversificata in<br />
relazione alle diverse tipologie di ruoli emessi.<br />
Nel “Dettaglio degli addebiti”, all’interno del<br />
riquadro creato per ogni singola partita, accanto<br />
all’importo dovuto per contributi e/o sanzioni, è<br />
già calcolato il compenso che deve essere pagato<br />
all’agente della riscossione.<br />
Nel riquadro sottostante, invece, è riportata la<br />
stessa partita con lo stesso importo del debito ma<br />
non con a fianco il calcolo dell’aggio che deve essere<br />
corrisposto nell’ipotesi di pagamento tardivo,<br />
cioè oltre il 60° giorno dalla notifica.<br />
3.6 I compensi spettanti all’agente della riscossione<br />
A) Ruoli rateizzati:<br />
nel caso di pagamento tempestivo, l’aggio a<br />
carico del debitore si applica nella misura del<br />
4,65% mentre la percentuale residua è a carico<br />
dell’INPS;<br />
nel caso di pagamento tardivo delle rate, l’aggio<br />
è totalmente a carico del debitore nella misura<br />
del 7,15%.<br />
B) Ruoli coattivi:<br />
nel caso di pagamento tempestivo, l’aggio è a<br />
carico del debitore nella misura del 4,65% mentre<br />
la percentuale residua è a carico dell’INPS;<br />
nel caso di pagamento tardivo, l’aggio previsto<br />
in ragione del 4,65% va integrato con la percentuale<br />
a carico dell’INPS, che varia da provincia<br />
a provincia di cui al D.M. 4/8/2<strong>00</strong>0 (e al decreto<br />
22/12/2<strong>00</strong>0 della Regione Sicilia).<br />
25
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Il confine fra trasferta<br />
“strutturale” e “occasionale”<br />
In campo previdenziale vi sono alcuni argomenti<br />
che, con una locuzione certamente non all’altezza<br />
della serietà della materia, ma molto pertinente,<br />
possono essere classificati come “tormentoni” che<br />
periodicamente si ripresentano. Possiamo ricordare,<br />
ad esempio le dispute sulla distinzione tra<br />
subordinazione ed autonomia, la controversia su<br />
duplice/unica assicurazione del lavoratore autonomo<br />
contemporaneamente amministratore, il lavoratore<br />
se collaboratore a progetto o subordinato, le<br />
caratteristiche della trasferta del lavoratore.<br />
A proposito di quest’ultima questione, è intervenuto<br />
ultimamente (20 giugno 2<strong>00</strong>8) il Ministero<br />
del lavoro, con la risposta ad un quesito avanzato<br />
da una Direzione provinciale del lavoro. L’organo<br />
periferico chiedeva chiarimenti in merito<br />
alla classificazione come “occasionale” ovvero<br />
“strutturale” di trattamenti di trasferta erogati ad<br />
operai edili o metalmeccanici per lavori eseguiti<br />
al di fuori della sede legale della azienda datrice<br />
di lavoro.<br />
La distinzione, apparentemente nominalistica,<br />
appare rilevante sul piano fiscale (di conseguenza<br />
previdenziale), atteso che l’attuale formulazione<br />
dell’art. 51 del TUIR - nella modifica apportata<br />
con il decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314,<br />
art. 3, commi 5 e 6 - prevede differenti discipline<br />
fiscali e contributive a seconda della classificazione<br />
dei compensi in questione.<br />
Molto brevemente, la norma opera la distinzione<br />
tra “indennità percepite per le trasferte o<br />
le missioni fuori del territorio comunale… che<br />
Osservazioni a Min. Lav. 20 giugno 2<strong>00</strong>8<br />
PAOLO CUZZELLI<br />
Approfondimenti<br />
…concorrono a formare il reddito per la parte<br />
eccedente...” e “le indennità e le maggiorazioni<br />
di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per<br />
contratto all’espletamento delle attività lavorative<br />
in luoghi sempre variabili e diversi, anche<br />
se corrisposte con carattere di continuità... che<br />
…concorrono a formare il reddito nella misura del<br />
50 per cento del loro ammontare ...”. A proposito<br />
di queste ultime somme, la norma precisa che con<br />
appositi decreti interministeriali “...possono essere<br />
individuate categorie di lavoratori e condizioni di<br />
applicabilità della disposizione”. La norma è del<br />
1997, siamo nel 2<strong>00</strong>8 ed attendiamo i decreti.<br />
Come si vede, la classificazione comporta un differente<br />
trattamento fiscale (e di conseguenza contributivo)<br />
a seconda della fattispecie, prevedendo<br />
nel primo caso (trasferte occasionali) una fascia<br />
di esenzione attualmente pari a 46,48 euro (le<br />
originarie 90.<strong>00</strong>0 lire), mentre nel secondo caso<br />
(trasferte strutturali) abbiamo un imponibile costituito<br />
dall’abbattimento al 50 per cento dell’importo<br />
erogato. Da ciò deriva che nel primo caso i<br />
compensi sfuggono (sia pure entro indeterminato<br />
ammontare) al fisco ed ai contributi, mentre nel<br />
secondo caso, anche se con una riduzione alla<br />
metà, si realizza comunque un imponibile fiscale<br />
e contributivo.<br />
A questo punto è di tutta evidenza che gli interessi<br />
del datore di lavoro (in vari casi anche del<br />
lavoratore) e delle entità percettrici di tasse e<br />
contributi sono contrapposti: i primi tenderanno<br />
alla fattispecie dell’occasionalità (costi trasparenti<br />
e scaricabili senza ricarichi aggiuntivi da costo del<br />
26
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
lavoro), i secondi ad individuare le caratteristiche<br />
strutturali, per poi pretendere l’imponibilità del<br />
50 per cento.<br />
Passando ad approfondire gli argomenti contenuti<br />
nella risposta ministeriale, richiamiamo alcuni<br />
punti essenziali per analizzare correttamente la<br />
questione.<br />
La nota ministeriale ribadisce che la natura dell’indennità<br />
di trasferta non è rimessa alla volontà<br />
dei soggetti coinvolti nel rapporto di lavoro e che<br />
non risultano vincolanti le definizioni contenute<br />
nei contratti collettivi di lavoro. Richiama poi<br />
il fatto che, relativamente al duplice contenuto<br />
- retributivo e risarcitorio - individuabile nelle<br />
indennità economiche di cui stiamo trattando,<br />
ultimamente la giurisprudenza privilegia la natura<br />
retributiva dei compensi, mentre le funzioni<br />
risarcitorie parrebbero riservate alle sole somme<br />
erogate a titolo di rimborso spese.<br />
Viene ribadito quanto a suo tempo già evidenziato<br />
nella circolare del Ministero delle finanze n.<br />
326/E del 23 dicembre 1997 (emanata appunto a<br />
seguito delle innovazioni contenute nel decreto<br />
legislativo n. 314/1997) circa il fatto che per i<br />
dipendenti che “abitualmente” lavorano al di<br />
fuori della sede aziendale (trasfertisti ex comma<br />
6 dell’art. 51 del TUIR) le relative indennità e<br />
maggiorazioni da contratto non appaiono precisamente<br />
ed obbligatoriamente legate alla effettiva<br />
prestazione esterna né, tanto meno, vincolate dal<br />
luogo della medesima, essendo previste per tutte<br />
le giornate comunque retribuite.<br />
Viene successivamente confermato che, per<br />
ricadere nell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art.<br />
51 del TUIR, i compensi debbono riferirsi ad<br />
attività occasionali e temporanee, mentre per<br />
parte sua il contratto individuale di lavoro (in<br />
pratica la lettera di assunzione) deve contenere<br />
un espresso riferimento ad una sede di lavoro<br />
predeterminata.<br />
La nota di risposta conclude riaffermando che<br />
“…si ritiene che per le trasferte di tipo occasionale<br />
- quali quelle del settore edile e metalmeccanico,<br />
alle condizioni sopra indicate - possa<br />
applicarsi la disposizione di cui all’art. 51, comma<br />
5 del TUIR”. La locuzione “…si ritiene…” è un<br />
classico in materia.<br />
Approfondimenti<br />
A noi piace, ed è sempre piaciuto, esaminare i<br />
fatti e le questioni da punti di vista eminentemente<br />
pratici. Di conseguenza, non possiamo<br />
non cogliere alcune ambiguità nei ragionamenti<br />
svolti dal Ministero o, per lo meno, ravvisare<br />
che sarebbe stato opportuno emanare istruzione<br />
ed analisi maggiormente calate nel concreto. Ad<br />
esempio, considerato che il richiedente parla di “...<br />
lavoro svolto al di fuori della sede legale da parte<br />
di operai edili...”, e la risposta classifica genericamente<br />
come “occasionali ” le trasferte del settore<br />
edile, non riusciamo, con tutta la buona volontà,<br />
a figurarci un operaio edile che come normale<br />
attività operi presso la sede legale della azienda<br />
e solo occasionalmente lavori al di fuori di tale<br />
ambito. A meno che non venga considerato come<br />
sede legale pro tempore della azienda il singolo<br />
cantiere di lavoro.<br />
Per il settore metalmeccanico è più comprensibile<br />
la possibilità della “occasionalità” delle trasferte.<br />
Pensiamo all’operaio che normalmente lavori alla<br />
costruzione di macchinari e solo occasionalmente<br />
si rechi presso gli acquirenti per operazioni di<br />
riparazione o manutenzione. Se però l’impresa<br />
utilizza specifici operai con il compito esclusivo<br />
di procedere alla posa in opera dei prodotti presso<br />
gli acquirenti, ritorniamo alla fattispecie del<br />
“trasfertista”.<br />
In definitiva, la distinzione tra i due tipi di trasferta<br />
dovrebbe sempre ed esclusivamente essere<br />
operata in relazione alle concrete modalità di<br />
svolgimento del lavoro, a prescindere anche dalle<br />
locuzioni apposte sul contratto individuale o<br />
lettera di assunzione che dir si voglia.<br />
Quindi, il criterio di valutazione dovrebbe essere<br />
la determinazione di quale dei due aspetti,<br />
retributivo/indennitario, ricorra nella fattispecie<br />
che si esamina. L’attuale quadro legislativo per le<br />
trasferte occasionali ha deciso di determinare la<br />
natura risarcitoria dei compensi in questione entro<br />
un determinato limite giornaliero. Tutto ciò che<br />
oltrepassa tale limite assume in modo automatico<br />
la natura di retribuzione. La funzione risarcitoria<br />
viene altresì confermata dal fatto che la norma<br />
prevede la riduzione di un terzo o di due terzi del limite<br />
di esenzione in concomitanza con il rimborso<br />
a piè di lista, o la fruizione gratuita rispettivamente<br />
del vitto o del vitto più alloggio.<br />
27
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Al contrario, nel caso delle maggiorazioni corrisposte<br />
ai trasfertisti “strutturali” il legislatore ha<br />
deciso che attualmente tali maggiorazioni o indennità<br />
hanno per metà natura risarcitoria e per metà<br />
assumono natura retributiva. Tale meccanismo<br />
non è nuovo, in quanto si rifà al dettato dell’art.<br />
12 della legge n. 153/1969, nel testo originario,<br />
precedente, cioè, la riscrittura operata con l’art. 6<br />
del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314,<br />
che prevedeva in generale “l’esclusione dalla<br />
retribuzione imponibile delle somme corrisposte<br />
al lavoratore a titolo di diaria o d’indennità di<br />
trasferta in cifra fissa, limitatamente al 50 per<br />
cento del loro ammontare”.<br />
In altre parole, l’indennità di trasferta assume<br />
sempre una funzione di risarcimento, anche se<br />
di regola ha anche una funzione retributiva.<br />
Di conseguenza le norme fiscali e quelle che<br />
regolano i contributi obbligatori, ciascuna per<br />
le sue finalità, hanno sempre definito i criteri<br />
per la determinazione dei due distinti valori.<br />
Da ultimo, il decreto legislativo n. 314/1997<br />
ha introdotto due fondamentali innovazioni:<br />
l’armonizzazione delle basi imponibili fiscale<br />
e previdenziale (nel caso in questione l’imponibile<br />
previdenziale segue pedissequamente<br />
quello fiscale) e la distinzione tra le trasferte<br />
occasionali e quelle strutturali.<br />
Ciò non ha modificato il fatto che le due funzioni,<br />
retributiva/indennitaria, pur se in linea di massima<br />
coesistenti (l’indennità di trasferta potrebbe<br />
anche non avere alcuna valenza retributiva, se<br />
andasse a ristorare solamente le spese sostenute e<br />
Approfondimenti<br />
documentate), assumono un valore ben diverso<br />
per i trasfertisti abituali e per quelli che invece<br />
vengono inviati in trasferta solamente in via occasionale.<br />
Per i trasfertisti di professione il disagio<br />
derivante dal fatto di operare fuori sede è collegato<br />
strutturalmente alla prestazione professionale<br />
che sono tenuti a dare, predeterminato all’atto<br />
della costituzione del rapporto di lavoro, e come<br />
tale viene retribuito con una voce specifica, che<br />
diventa parte della retribuzione ordinaria.<br />
Per il trasfertista occasionale, al contrario, il<br />
fatto di essere inviato saltuariamente ad operare<br />
fuori sede con il disagio che questo spostamento<br />
comporta, è estraneo alla normale prestazione.<br />
Di conseguenza, la voce compensativa a parte è<br />
anch’essa estranea alla retribuzione ordinaria, assumendo<br />
per dettato legislativo natura risarcitoria<br />
entro un limite massimo giornaliero e, ricordiamolo,<br />
limitatamente agli spostamenti effettuati al<br />
di fuori del territorio del comune.<br />
La distinzione appare poi coerente se valutata in<br />
relazione a quelle che sono le finalità dei contributi<br />
previdenziali richiesti: la pensione. Posto<br />
che la pensione può essere considerata come un<br />
“salario differito”, calcolato sulla base dei contributi<br />
versati, appare logico che la trasferta “strutturale”<br />
concorra, sia pure in parte, a determinare<br />
l’importo del trattamento pensionistico, mentre<br />
la trasferta “occasionale” è giusto non abbia rilevanza<br />
per determinare la misura della prestazione,<br />
salvo che per la parte (caso più che altro teorico)<br />
che, eccedendo la quota esente, acquista appunto<br />
natura retributiva.<br />
28
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Osservatorio Giurisprudenziale<br />
Osservatorio Giurisprudenziale<br />
La sentenza: App. Ancona, rel. Miconi, 15 maggio 2<strong>00</strong>7,<br />
n. 146<br />
La questione: l’esercizio dell’opzione relativa all’indennità<br />
sostitutiva della reintegrazione rende definitiva la<br />
cessazione del rapporto di lavoro?<br />
La soluzione: la Corte d’Appello risponde affermativamente.<br />
Tizio, dipendente presso un’Amministrazione,<br />
nel giugno 2<strong>00</strong>3 veniva licenziato<br />
con effetto immediato per avere iniziato<br />
nel luglio 2<strong>00</strong>1 l’attività di promotore finanziario<br />
nonostante la datrice di lavoro gli avesse negato<br />
l’autorizzazione a svolgere tale seconda attività.<br />
Tizio conveniva dunque in giudizio l’Amministrazione<br />
per sentir dichiarare illegittimo il licenziamento<br />
comminatogli senza preavviso ed ottenere<br />
la reintegrazione nel posto di lavoro.<br />
Il Tribunale, in accoglimento del ricorso, dichiarava<br />
illegittimo il licenziamento per violazione del<br />
principio dell’immediatezza, ordinava il ripristino<br />
del rapporto di lavoro, condannava l’Amministrazione<br />
al pagamento delle retribuzioni dalla data<br />
del licenziamento all’effettiva reintegrazione.<br />
A CURA DI ROMINA DALZINI<br />
Nel giudizio di secondo grado, Tizio proponeva<br />
appello incidentale denunciando l’illegittimità<br />
dell’ordine di riprendere servizio impartitogli<br />
dall’Amministrazione in esecuzione della sentenza<br />
del Tribunale e dichiarava di aver optato<br />
“momentaneamente”, per evitare decadenze, per<br />
le quindici mensilità sostitutive a’ sensi dell’art.<br />
18, L. n. 3<strong>00</strong>/1970.<br />
La Corte territoriale rigettava l’appello proposto<br />
dall’Amministrazione, confermando l’illegittimità<br />
del licenziamento.<br />
Quanto all’appello incidentale, con motivazione<br />
peraltro alquanto succinta, la Corte dava atto<br />
della avvenuta e definitiva cessazione del rapporto<br />
di impiego a seguito della opzione per le quindici<br />
mensilità, non essendo ammissibile una “momentanea<br />
opzione” per l’indennità sostitutiva della<br />
reintegrazione, poiché l’esercizio della facoltà<br />
alternativa del creditore-lavoratore esaurisce definitivamente<br />
e fa venir meno la facoltà stessa.<br />
La sentenza in esame mostra di aderire all’orientamento<br />
minoritario secondo il quale la manifestazione<br />
di volontà del lavoratore di esercitare<br />
l’opzione estingue l’obbligo del datore di lavoro<br />
alla reintegrazione, con conseguente cessazione<br />
anche dell’obbligo di corrispondere l’indennità<br />
29
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
risarcitoria per essere questa strettamente legata<br />
con nesso di causalità alla perdurante mancata<br />
reintegra (Trib. Genova, 13 gennaio 2<strong>00</strong>6, Lav.<br />
Giur., 2<strong>00</strong>6, 6, 591; Trib. Roma, 10 gennaio 2<strong>00</strong>6,<br />
Lav. Giur., 2<strong>00</strong>6, 9, 905; Trib. Napoli, 22 luglio<br />
2<strong>00</strong>2, Mass. Giur. Lav., 2<strong>00</strong>4, 77; Pret. Vicenza, 18<br />
aprile 1996, Riv. It. Dir. Lav., 1997, II, 183).<br />
La giurisprudenza di legittimità e di merito prevalente,<br />
sulla base di quanto affermato da C. Cost.,<br />
4 marzo 1992, n. 81, afferma invece che l’obbligo<br />
di reintegrazione nel posto di lavoro, facente carico<br />
al datore di lavoro a norma dell’art. 18, L. n.<br />
3<strong>00</strong>/1980, si estingue soltanto con il pagamento<br />
dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, prescelta<br />
dal lavoratore illegittimamente licenziato, e<br />
non già con la semplice dichiarazione, proveniente<br />
da quest’ultimo, di scegliere tale indennità in luogo<br />
della reintegrazione; pertanto, anche nel caso in cui<br />
già con la domanda giudiziale il lavoratore abbia<br />
chiesto il pagamento dell’indennità sostitutiva, il<br />
risarcimento del danno, il cui diritto è dalla legge<br />
fatto salvo anche nel caso di opzione per l’indennità<br />
sostitutiva della reintegrazione, va commisurato<br />
alle retribuzioni che sarebbero maturate fino al giorno<br />
del pagamento dell’indennità sostitutiva (Trib.<br />
Milano, 6 dicembre 2<strong>00</strong>5, Lav. Giur., 2<strong>00</strong>6, 9, 920;<br />
Trib. Torino, 7 marzo 2<strong>00</strong>5, Giur. piemontese, 2<strong>00</strong>6,<br />
1, 101; Cass. Sez. Lav., 26 agosto 2<strong>00</strong>3, n. 12514,<br />
Mass. Giur. Lav., 2<strong>00</strong>3, 943; 28 luglio 2<strong>00</strong>3, n.<br />
11609, Mass. Giur. Lav., 2<strong>00</strong>3, 861; 6 marzo 2<strong>00</strong>3,<br />
n. 3380, Lav. Giur., 2<strong>00</strong>3, 679; 5 agosto 2<strong>00</strong>0, n.<br />
10326, Mass. Giur. It., 2<strong>00</strong>0).<br />
La sentenza: Trib. Ascoli Piceno, est. Boeri, 11 gennaio<br />
2<strong>00</strong>8, n. 5<br />
La questione: è legittima l’iscrizione a ruolo di contributi<br />
da parte dell’Inps in pendenza di una controversia innanzi<br />
all’autorità giudiziaria ordinaria per contestare gli effetti<br />
dell’accertamento?<br />
La soluzione: il Tribunale risponde negativamente.<br />
Con ricorso al Giudice del lavoro, Tizio<br />
proponeva opposizione avverso l’iscrizione<br />
a ruolo di contributi relativi alla<br />
gestione lavoratori agricoli nel periodo 1998-<br />
2<strong>00</strong>4, sanzioni civili e diritti di notifica.<br />
Osservatorio Giurisprudenziale<br />
Il Tribunale rilevava in primo luogo che la natura<br />
del giudizio previsto dall’art. 24, D.Lgs. n.<br />
46/1999 è, nei limiti delle istanze delle parti, di<br />
accertamento della legittimità del procedimento<br />
di iscrizione e ruolo e/o della fondatezza della<br />
pretesa contributiva.<br />
Il precedente storico di tale giudizio è l’opposizione<br />
avverso la cartella esattoriale di pagamento<br />
emessa a’ sensi dell’art. 2, D.l. 9 ottobre 1989,<br />
n. 338, convertito, con modificazioni, nella L. 7<br />
dicembre 1989, n. 389.<br />
In merito a tale procedimento, Cass. Sez. Lav.<br />
n. 5762/2<strong>00</strong>2 ha affermato che esso “dà luogo<br />
ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti<br />
ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale<br />
obbligatorio e, segnatamente, al rapporto<br />
contributivo, con la conseguenza che l’ente<br />
previdenziale convenuto può chiedere, oltre che<br />
il rigetto dell’opposizione, anche la condanna<br />
dell’opponente all’adempimento dell’obbligo<br />
contributivo, portato dalla cartella, senza che<br />
ne risulti mutata la domanda”.<br />
L’art. 24, comma 6, D.Lgs. n. 46/1999 ha conservato<br />
ed accentuato tale natura. Esso prevede<br />
espressamente che l’opposizione può avere ad<br />
oggetto il merito della pretesa contributiva; e<br />
l’attribuzione della controversia al giudice del<br />
lavoro con il rito di cui agli artt. 442 e seguenti<br />
c.p.c., anziché al giudice dell’esecuzione nelle<br />
forme di cui agli articoli 615 e seguenti c.p.c., ha<br />
un senso solo laddove si consideri che per tramite<br />
dell’opposizione alla iscrizione a ruolo il procedimento<br />
possa avere ad oggetto, se una delle parti lo<br />
richiede, una decisione sulla esistenza e quantità<br />
del credito previdenziale.<br />
Secondo il Giudicante, si tratta non tanto<br />
di impugnazione di un atto amministrativo,<br />
quanto di opposizione a un titolo esecutivo<br />
stragiudiziale che sfocia in un procedimento<br />
cognitivo nel quale il creditore opposto, quale<br />
attore in senso sostanziale, deve dimostrare<br />
i fatti costitutivi della pretesa contributiva<br />
iscritta a ruolo.<br />
Ne deriva che l’accoglimento dell’opposizione per<br />
l’esistenza di un vizio della iscrizione a ruolo può<br />
condurre automaticamente alla definizione del<br />
giudizio solo se una delle parti non richieda una<br />
30
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
decisione di accertamento o di condanna sulla<br />
contribuzione.<br />
L’unica eccezione a tale regola è data dall’art.<br />
24, comma 3, in base al quale “se l’accertamento<br />
effettuato dall’ufficio è impugnato davanti<br />
all’autorità giudiziaria l’iscrizione a ruolo è eseguita<br />
in presenza di provvedimento esecutivo<br />
del giudice”.<br />
In sostanza, se il credito previdenziale risulta fondato<br />
su di un accertamento d’ufficio l’iscrizione<br />
a ruolo è impedita dalla pendenza di una controversia<br />
promossa dal presunto debitore dinnanzi<br />
all’autorità giudiziaria ordinaria per contestare gli<br />
effetti dell’accertamento medesimo. È il caso del<br />
giudizio di accertamento negativo della pretesa<br />
contributiva.<br />
Alla luce di quanto sopra, il Tribunale affermava<br />
che la violazione del divieto di legge non può essere<br />
limitata alla dichiarazione di illegittimità della<br />
iscrizione a ruolo, ma deve giocoforza estendersi<br />
anche alla preclusione di ogni domanda di merito<br />
eventualmente proposta.<br />
Il caso in cui scatta il divieto di iscrizione a ruolo<br />
si caratterizza per la preesistenza di un giudizio di<br />
merito sul credito iscritto, onde viene meno ogni<br />
ragione di consentirne un secondo, contestuale,<br />
della stessa natura fra le medesime parti, perlomeno<br />
fin quando non intervenga un provvedimento<br />
esecutivo del giudice cui è demandata la<br />
controversia.<br />
Non è possibile nemmeno provvedere alla<br />
riunione o alla sospensione dei giudizi proprio<br />
perché il secondo di essi è sorto a seguito di una<br />
procedura che non doveva essere promossa, e<br />
per accertarlo non è necessario attendere l’esito<br />
del primo giudizio, mentre l’accertamento del<br />
merito della pretesa contributiva è demandata<br />
ad altra sede.<br />
Nella fattispecie in esame, l’Inps aveva iscritto a<br />
ruolo un credito fondato su accertamenti le cui<br />
risultanze erano già state contestate da Tizio con<br />
ricorso giudiziale depositato nell’ottobre 2<strong>00</strong>4<br />
avente ad oggetto l’accertamento negativo dell’altrui<br />
pretesa contributiva.<br />
Infine, priva di rilievo era la circostanza secondo<br />
cui l’iscrizione a ruolo era stata preceduta anche<br />
Osservatorio Giurisprudenziale<br />
da gravame amministrativo respinto, atteso che<br />
dal coordinamento tra i commi 3 e 4 dell’art. 24<br />
emerge la regola secondo cui in caso di gravame<br />
amministrativo l’iscrizione a ruolo è eseguita dopo<br />
la decisione del competente organo amministrativo<br />
e comunque entro i termini di decadenza<br />
previsti dall’art. 25 purché nel frattempo non sia<br />
intervenuta impugnazione dinnanzi all’autorità<br />
giudiziaria.<br />
La sentenza: Cass. Sez. Lav., 14 aprile 2<strong>00</strong>8, n. 9816<br />
La questione: il godimento delle ferie è lasciato alla libera<br />
scelta del dipendente?<br />
La soluzione: la Cassazione risponde negativamente.<br />
La Alfa s.r.l. contestava al dipendente<br />
Caio dapprima l’abbandono del posto<br />
di lavoro, per essersi recato il giorno<br />
3 aprile 2<strong>00</strong>0 in infermeria e dai superiori gerarchici<br />
senza autorizzazione; successivamente,<br />
in maggio, una nuova infrazione in relazione<br />
ad assenze ingiustificate nei giorni 4, 5, 6 e 7<br />
aprile 2<strong>00</strong>0.<br />
Nonostante le giustificazioni fornite da Caio, che<br />
in quei giorni avrebbe fruito di ferie concessegli<br />
verbamente, la Alfa gli intimava il licenziamento<br />
senza preavviso.<br />
Nel giudizio innanzi al Giudice del lavoro, la<br />
Società si costituiva formulando domanda riconvenzionale<br />
per la conversione del titolo del recesso<br />
in giustificato motivo oggettivo.<br />
Il Tribunale adito rigettava il ricorso di Caio e<br />
dichiarava inammissibile la riconvenzionale; la<br />
decisione veniva confermata in secondo grado.<br />
I giudici di merito, in particolare, ritenevano<br />
corretto il frazionamento operato dalla Alfa delle<br />
condotte tenute nei giorni 3, 4, 5, 6 e 7 aprile<br />
2<strong>00</strong>0, atteso che la condotta tenuta dal lavoratore<br />
il giorno 3 (abbandono temporaneo ed ingiustificato<br />
del posto di lavoro, ritardo dell’inizio del<br />
lavoro, sospensione o anticipo della cessazione,<br />
insubordinazione grave verso i superiori) era del<br />
tutto diversa da quella tenuta nei giorni successivi<br />
(assenza ingiustificata dal lavoro) ed integrava<br />
una autonoma infrazione secondo il contratto<br />
collettivo di categoria.<br />
31
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
La Suprema Corte, investita della questione,<br />
riteneva anzitutto corretta la pronuncia di<br />
inammissibilità della prova in ordine alla concessione<br />
informale delle ferie da parte della<br />
datrice di lavoro, atteso che tale prova non era<br />
stata dedotta dal dipendente durante il giudizio<br />
di primo grado, ma articolata per la prima volta<br />
in appello.<br />
In mancanza di tale prova, doveva configurarsi<br />
un’ipotesi di autoassegnazione delle ferie.<br />
Senonchè, la Cassazione ha osservato al riguardo<br />
che il godimento delle ferie non è lasciato alla<br />
libera scelta del dipendente, trattandosi di evento<br />
dell’attività aziendale, che va coordinato con<br />
l’attività produttiva e, come tale, è subordinato<br />
alla valutazione del datore di lavoro.<br />
Doveva pertanto ritenersi corretta l’affermazione<br />
del giudice di appello, secondo il quale nel caso<br />
di specie lo stesso Caio aveva negato di essere in<br />
malattia e in ogni caso la facoltà del lavoratore<br />
di imputare a ferie le assenze per malattia doveva<br />
essere contemperata con le esigenze organizzative<br />
del datore di lavoro, costituendo, come già<br />
detto, la concessione delle ferie una prerogativa<br />
riconducibile al potere organizzativo dello stesso<br />
datore di lavoro.<br />
Costituisce principio pacifico in giurisprudenza<br />
quello secondo il quale spetta all’imprenditore,<br />
nel contemperamento delle esigenze dell’impresa<br />
e degli interessi del lavoratore, la scelta<br />
del tempo in cui le ferie debbono essere fruite,<br />
purché tale potere non sia esercitato in modo<br />
da vanificare il principio della effettività del<br />
riposo in questione e la finalità cui è preordinato<br />
l’istituto, attesa la sua funzione reintegratrice<br />
delle energie lavorative e partecipativa alle<br />
vicende della società civile (Cass. Sez. Lav., 12<br />
giugno 2<strong>00</strong>1, n. 7951; 21 febbraio 2<strong>00</strong>1, n. 2569;<br />
19 novembre 1998, n. 11691; 6 giugno 1991,<br />
n. 6431; 18 giugno 1988, n. 4198; C. Cost., 19<br />
dicembre 1990, n. 543).<br />
La sentenza: C. Cost., 9 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 218, ordinanza<br />
La questione: è fondata la questione di legittimità<br />
costituzionale dell’art. 26, comma1, lettera b), D.Lgs.<br />
Osservatorio Giurisprudenziale<br />
n. 80/2<strong>00</strong>5, che rende appellabile la sentenza resa nel<br />
giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione?<br />
La soluzione: la Corte Costituzionale risponde negativamente.<br />
Il giudizio di opposizione ad ordinanzaingiunzione<br />
innanzi al Giudice di pace<br />
si concludeva con l’irrogazione di una<br />
sanzione amministrativa pecuniaria.<br />
In appello, il Tribunale sollevava, in riferimento<br />
agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., ed in relazione<br />
all’art. 1, commi 2 e 3, L. 14 maggio 2<strong>00</strong>5, n.<br />
80 (recante conversione in legge, con modifiche,<br />
del D.l. 14 marzo 2<strong>00</strong>5, n. 35) questione di legittimità<br />
costituzionale dell’art. 26 (rectius, art. 26,<br />
comma 1, lettera b), del D.Lgs. 2 febbraio 2<strong>00</strong>6,<br />
n. 40, che aveva abrogato l’ultimo comma dell’art.<br />
23, L. 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al<br />
sistema penale).<br />
Secondo il Giudicante, infatti, la norma censurata,<br />
applicabile nel giudizio principale ratione<br />
temporis, abrogando l’ultimo comma dell’art.<br />
23, L. n. 689/1981, aveva reso impugnabile con<br />
appello la sentenza che aveva deciso l’opposizione<br />
all’ordinanza-ingiunzione, prima soltanto ricorribile<br />
per cassazione.<br />
L’art. 26, comma 1, lettera b), tuttavia, violerebbe<br />
gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in<br />
relazione all’art. 1, commi 2 e 3, della legge n.<br />
80 del 2<strong>00</strong>5, in quanto la delega oggetto di quest’ultima<br />
disposizione concerneva l’introduzione<br />
di modificazioni al codice di procedura civile ed<br />
al processo di cassazione, non all’art. 23, L. n.<br />
689/1981.<br />
Inoltre, il citato art. 1, comma 3, lettera a), aveva<br />
conferito al Governo il potere di modificare<br />
il processo di legittimità e di prevedere “la non<br />
ricorribilità immediata delle sentenze che decidono<br />
di questioni insorte senza definire il giudizio”,<br />
ipotesi differente da quella disciplinata dalla<br />
norma censurata.<br />
La Corte Costituzionale ha preliminarmente<br />
rilevato che una questione identica, sollevata in<br />
riferimento ai medesimi parametri costituzionali<br />
e sotto gli stessi profili, era stata già dichiarata<br />
non fondata dalla Corte con sentenza 11 aprile<br />
32
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
2<strong>00</strong>8, n. 98, nella quale è stato precisato che la<br />
corretta interpretazione dell’art. 1, L. n. 80/2<strong>00</strong>5,<br />
in considerazione dello scopo di disciplinare il<br />
processo di cassazione in funzione nomofilattica<br />
(comma 3, lettera a), ed alla luce del significato<br />
assunto da tale espressione, di rafforzamento di<br />
detta funzione, rende chiara la facoltà del legislatore<br />
delegato di ridurre i casi di immediata<br />
ricorribilità per cassazione delle sentenze, anche<br />
Osservatorio Giurisprudenziale<br />
mediante la modifica di disposizioni non collocate<br />
nel codice di rito civile, con conseguente<br />
infondatezza del denunciato vizio di eccesso di<br />
delega.<br />
Nel giudizio in esame, non risultando addotti<br />
profili o argomenti diversi o ulteriori rispetto a<br />
quelli già valutati nella citata sentenza, la Consulta<br />
ha dichiarato la questione manifestamente<br />
infondata.<br />
33
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Amministratori<br />
Ultime dalla Cassazione<br />
Cass. Sez. Lav., 19 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 12630<br />
Rapporto di lavoro con la società – Configurabilità<br />
– Condizioni<br />
La qualifica di amministratore di una società<br />
commerciale non è di per sé incompatibile con<br />
la condizione di lavoratore subordinato alle<br />
dipendenze della stessa società ma, perchè sia<br />
configurabile tale rapporto di lavoro subordinato,<br />
è necessario che colui che intenda farlo valere<br />
non sia amministratore unico della società e<br />
provi in modo certo il requisito della subordinazione,<br />
elemento tipico qualificante del rapporto,<br />
che deve consistere nel suo effettivo assoggettamento,<br />
nonostante egli rivesta la carica di<br />
amministratore, al potere direttivo di controllo<br />
e disciplinare dell’organo di amministrazione<br />
della società nel suo complesso.<br />
C.i.g.<br />
Cass. Sez. Lav., 23 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 13377<br />
Criteri di scelta – Mutamento – Illegittimità<br />
La cassa integrazione straordinaria - prevista in<br />
presenza di ristrutturazioni, riorganizzazioni e<br />
conversioni aziendali ovvero di crisi aziendali<br />
riguardanti situazioni occupazionali in ambito<br />
territoriale o situazioni produttive di settore<br />
- viene autorizzata dal Ministero del <strong>Lavoro</strong> a<br />
A CURA DI ROMINA DALZINI<br />
Ultime dalla Cassazione<br />
seguito dell’approvazione di un programma ed a<br />
seguito della valutazione delle ragioni dell’impresa<br />
importanti l’esclusione di meccanismi di rotazione,<br />
al fine di rendere l’attuazione del suddetto<br />
programma funzionale all’efficienza produttiva<br />
dell’impresa stessa. Ne consegue che nel corso<br />
della sua durata non è consentito - seppure con la<br />
copertura negoziale tramite sopravvenuti accordi<br />
collettivi sul punto - pena l’invalidità della intera<br />
procedura di messa in cassa integrazione con le<br />
consequenziali ricadute in termini risarcitori,<br />
determinare un mutamento dei criteri di scelta<br />
del personale da sospendere con l’abbandono<br />
di quelli iniziali previsti nel programma e la<br />
contestuale adozione, invece, di criteri di scelta<br />
diversi e privi di razionalità e congruità rispetto<br />
alla causa integrabile, potendosi un mutamento<br />
delle regole selettive operare solo a seguito di<br />
un decreto di proroga volto ad accertare la compatibilità<br />
di tale cambiamento con la regolare<br />
esecuzione del programma stesso ovvero a seguito<br />
di una distinta domanda di integrazione salariale<br />
e di un successivo decreto autorizzativo sulla base<br />
di un nuovo e distinto programma.<br />
Contratti collettivi<br />
Cass. Sez. Lav., 9 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11602<br />
Ultrattività – Inoperatività<br />
Alla scadenza prevista del contratto collettivo<br />
regolarmente disdetto secondo quanto previsto<br />
dalle parti stipulanti, non è applicabile la disci-<br />
34
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
plina di cui all’art. 2074 c.c., o comunque una<br />
regola di ultrattività del contratto medesimo e<br />
il rapporto di lavoro da questo in precedenza regolato<br />
resta disciplinato dalle norme di legge (in<br />
particolare, quanto alla retribuzione, dall’art. 36<br />
Cost.) e da quelle convenzionali eventualmente<br />
esistenti, le quali ultime possono manifestarsi anche<br />
per facta concludentia, con la prosecuzione<br />
dell’applicazione delle norme precedenti.<br />
Cooperative – Soci lavoratori<br />
Cass. Sez. Lav., 8 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11371<br />
Obbligo assicurativo – Sussistenza – Subordinazione<br />
– Irrilevanza<br />
In tema di obblighi contributivi delle società<br />
cooperative nei confronti dei soci lavoratori, il<br />
R.D. n. 1422 del 1924, art. 2 (da ritenersi tuttora<br />
vigente in forza del D.L. n. 1827 del 1935, art.<br />
140, nonostante l’abrogazione, ad opera del dello<br />
stesso R.D.L., art. 141, della legge delegata R.D.<br />
n. 3184 del 1923) è norma regolamentare (per<br />
l’esecuzione del R.D. n. 3184 del 1923) che,<br />
con una “fictio”, ha equiparato ai fini assicurativi<br />
la posizione dei soci lavoratori di società<br />
cooperative a quella dei lavoratori subordinati,<br />
con conseguente sussistenza dell’obbligazione<br />
contributiva a carico di tali società a prescindere<br />
dalla sussistenza degli estremi della subordinazione<br />
in rapporto alla posizione dei soci lavoratori<br />
e dal fatto che la cooperativa svolga attività per<br />
conto proprio o per conto terzi, non rilevando<br />
in senso contrario il disposto del D.P.R. n. 602<br />
del 1970, che si è limitato ad indicare alcune<br />
categorie di lavoratori soci di società ed enti<br />
cooperativi (specificamente indicati in allegato<br />
elenco) assoggettandole, sia pure a determinate<br />
condizioni, agli oneri contributivi previdenziali,<br />
senza peraltro incidere sulla disciplina dettata in<br />
via generale dal citato R.D. n. 1422 del 1924,<br />
art. 2.<br />
Detto principio della equiparazione ai fini contributivi<br />
della posizione del socio lavoratore di<br />
società cooperativa al lavoratore subordinato<br />
assume una valenza generale che ne consente<br />
l’estensione alle assicurazioni cosiddette minori.<br />
Dirigenti<br />
Ultime dalla Cassazione<br />
Cass. Sez. Lav., 27 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 13812<br />
Indennità supplementare e sostitutiva del preavviso<br />
– Diritto – Condizioni<br />
A differenza dell’esonero del datore di lavoro<br />
dal pagamento dell’indennità supplementare,<br />
generalmente prevista per i dirigenti di azienda<br />
dalla contrattazione collettiva, che presuppone la<br />
giustificatezza del licenziamento, l’esonero dall’obbligo<br />
del preavviso o da quello alternativo del pagamento<br />
dell’indennità sostitutiva presuppone la<br />
giusta causa, nozione non del tutto sovrapponibile<br />
a quella di giustificatezza: mentre la giusta causa<br />
consiste in un fatto che, in concreto valutato (e<br />
cioè, sia in relazione alle sua oggettività sia con<br />
riferimento alle sue connotazioni soggettive),<br />
determina una grave lesione della fiducia del datore<br />
di lavoro nel proprio dipendente, tale da non<br />
consentire la prosecuzione, neppure temporanea,<br />
del rapporto, tenuto conto altresì della natura di<br />
quest’ultimo e del grado di fiducia che esso postula,<br />
la ricorrenza della giustificatezza dell’atto<br />
risolutivo - ancor più strettamente vincolata al<br />
carattere fiduciario del rapporto di lavoro dirigenziale<br />
- è da correlare alla presenza di valide<br />
ragioni di cessazione del rapporto lavorativo, come<br />
tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza<br />
e della buona fede, sicché non giustificato è il<br />
licenziamento per ragioni meramente pretestuose,<br />
al limite della discriminazione, ovvero anche<br />
del tutto irrispettoso delle regole procedimentali<br />
che assicurano la correttezza dell’esercizio del<br />
diritto. Conseguentemente, possono ricorrere<br />
le condizioni per non corrispondere l’indennità<br />
supplementare, in presenza della giustificatezza del<br />
licenziamento, e non sussistere quelle per negare<br />
l’indennità sostitutiva di preavviso in assenza della<br />
giusta causa.<br />
Contestazione – Immutabilità<br />
L’immutabilità della contestazione preclude al<br />
datore di lavoro di far valere, a sostegno delle<br />
sue determinazioni disciplinari (nella specie:<br />
licenziamento), circostanze nuove rispetto a<br />
quelle contestate, tali da implicare una diversa<br />
valutazione dell’infrazione disciplinare anche<br />
diversamente tipizzata dal codice disciplina-<br />
35
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
re apprestato dalla contrattazione collettiva,<br />
dovendosi garantire l’effettivo diritto di difesa<br />
che la normativa sul procedimento disciplinare<br />
di cui all’art. 7 della L. n. 3<strong>00</strong>/1970 assicura al<br />
lavoratore incolpato.<br />
Impresa familiare<br />
Cass. Sez. Lav., 23 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 17057<br />
Utili – Momento di maturazione<br />
La maturazione del diritto agli utili dell’impresa<br />
familiare - dalla quale decorrono altresì rivalutazione<br />
e interessi ai sensi dell’art. 429 c.p.c,<br />
applicabile in ragione della riconducibilità della<br />
relativa controversia tra quelle di cui all’art. 409,<br />
n. 3) c.p.c. - coincide, di regola, con la cessazione<br />
dell’impresa medesima o della collaborazione del<br />
singolo partecipante, salvo diverso patto tra i<br />
partecipanti relativo alla distribuzione periodica<br />
degli utili, l’onere della prova del quale grava sul<br />
partecipante che ne afferma l’esistenza.<br />
<strong>Lavoro</strong> subordinato<br />
Cass. Sez. Lav., 21 aprile 2<strong>00</strong>8, n. 10312<br />
E autonomo – Criteri distintivi<br />
L’elemento decisivo che contraddistingue il rapporto<br />
di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è<br />
l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo,<br />
disciplinare e di controllo del datore di lavoro<br />
ed il conseguente inserimento del lavoratore in<br />
modo stabile ed esclusivo nell’organizzazione<br />
aziendale. Costituiscono poi indici sintomatici<br />
della subordinazione, valutabili dal giudice del<br />
merito sia singolarmente che complessivamente,<br />
l’assenza del rischio di impresa, la continuità della<br />
prestazione, l’obbligo di osservare un orario di<br />
lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione,<br />
l’utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento<br />
della prestazione in ambienti messi a<br />
disposizione dal datore di lavoro. (Nella fattispecie,<br />
il giudice del gravame, la cui sentenza è stata<br />
confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto<br />
che il rapporto di lavoro intercorso tra la società e<br />
sei lavoratrici avesse natura subordinata per le seguenti<br />
ragioni: a) il lavoro consisteva nell’assem-<br />
Ultime dalla Cassazione<br />
blaggio di parti elettriche, era di natura semplice<br />
e ripetitiva e non comportava alcuna autonomia<br />
nell’esecuzione; b) il lavoro veniva svolto all’interno<br />
di un capannone messo a disposizione dal<br />
legale rappresentante e le lavoratrici seguivano<br />
le disposizioni date da quest’ultimo; c) le operaie<br />
osservavano un orario di lavoro e percepivano<br />
un compenso commisurato al tempo di lavoro e<br />
non al risultato conseguito; d) le lavoratrici non<br />
erano esposte ad alcun rischio di impresa in relazione<br />
all’attività svolta; d) le dichiarazioni rese<br />
dalle lavoratrici all’ispettore del lavoro nel corso<br />
dell’ispezione, e quindi senza alcuna possibilità di<br />
condizionamento da parte del datore di lavoro,<br />
dovevano ritenersi più attendibili di quelle, parzialmente<br />
diverse, rese successivamente al giudice<br />
del lavoro, dopo che le donne avevano costituito<br />
una società per svolgere lo stesso lavoro commissionato<br />
dal legale rappresentante della società e<br />
quindi in una situazione di dipendenza economica<br />
da quest’ultimo).<br />
Cass. Sez. Lav., 21 aprile 2<strong>00</strong>8, n. 10313<br />
E autonomo – Criteri distintivi – Volontà delle parti<br />
– Rilevanza – Limiti<br />
L’elemento decisivo che contraddistingue il rapporto<br />
di lavoro subordinato dal lavoro autonomo<br />
è l’assoggettamento del lavoratore al potere<br />
direttivo, disciplinare e di controllo del datore<br />
di lavoro ed il conseguente inserimento del<br />
lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell’organizzazione<br />
aziendale. Costituiscono poi indici<br />
sintomatici della subordinazione, valutabili dal<br />
Giudice del merito sia singolarmente che complessivamente,<br />
l’assenza del rischio di impresa, la<br />
continuità della prestazione, l’obbligo di osservare<br />
un orario di lavoro, la cadenza e la forma della<br />
retribuzione, l’utilizzazione di strumenti di lavoro<br />
e lo svolgimento della prestazione in ambienti<br />
messi a disposizione dal datore di lavoro.<br />
Ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e<br />
lavoro autonomo non si può comunque prescindere<br />
dalla volontà delle parti contraenti e sotto<br />
questo profilo va tenuto presente il nomen iuris<br />
utilizzato, il quale però non ha mai un rilievo<br />
assorbente, poiché deve tenersi conto, sul piano<br />
della interpretazione della volontà delle parti, del<br />
36
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
comportamento complessivo delle stesse, anche<br />
posteriore alla conclusione del contratto, con<br />
la conseguenza che in caso di contrasto tra dati<br />
formali e dati fattuali relativi alle modalità della<br />
prestazione occorre dare prevalenza ai secondi.<br />
In presenza di una espressa volontà negoziale delle<br />
parti, della cui spontaneità e non dissimulazione<br />
non vi è ragione di dubitare, è possibile affermare<br />
la sussistenza di un diverso schema negoziale soltanto<br />
sulla base di un inequivoco comportamento<br />
delle parti che dimostri la successiva formazione<br />
di una diversa volontà negoziale.<br />
Spetta dunque al giudice di merito accertare in<br />
maniera rigorosa se tutto quanto dichiarato nel<br />
documento contrattuale si sia poi tradotto nella<br />
realtà fattuale attraverso un coerente comportamento<br />
delle parti, ovvero se quest’ultimo possa<br />
ragionevolmente indurre a ravvisare la formazione<br />
di una diversa volontà negoziale.<br />
Cass. Sez. Lav., 1 agosto 2<strong>00</strong>8, n. 21031<br />
E autonomo – Criteri distintivi<br />
Ogni attività umana economicamente rilevante<br />
può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato<br />
sia di rapporto di lavoro autonomo,<br />
a seconda delle modalità del suo svolgimento;<br />
l’elemento tipico che contraddistingue il primo<br />
dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla<br />
subordinazione, intesa quale disponibilità del<br />
prestatore nei confronti del datore di lavoro<br />
con assoggettamento alle direttive da questo<br />
impartite circa le modalità di esecuzione dell’attività<br />
lavorativa, mentre altri elementi, come<br />
l’osservanza di un orario, l’assenza di rischio<br />
economico, la forma di retribuzione e la stessa<br />
collaborazione, possono avere, invece, valore<br />
indicativo, ma mai determinante; l’esistenza del<br />
suddetto vincolo va concretamente apprezzata<br />
dal giudice di merito con riguardo alla specificità<br />
dell’incarico conferito al lavoratore e al<br />
modo della sua attuazione, fermo restando che,<br />
in sede di legittimità, è censurabile soltanto la<br />
determinazione dei criteri generali ed astratti da<br />
applicare al caso concreto, mentre costituisce<br />
accertamento di fatto, come tale incensurabile<br />
in tale sede se sorretto da motivazione adeguata<br />
e immune da vizi logici e giuridici, la valutazione<br />
Ultime dalla Cassazione<br />
delle risultanze processuali che hanno indotto<br />
il giudice di merito ad includere il rapporto<br />
controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale.<br />
(Nella fattispecie, la Corte territoriale<br />
aveva puntualmente osservato i criteri dettati<br />
per l’individuazione della natura del rapporto,<br />
riscontrando la sussistenza del vincolo della<br />
subordinazione sulla base delle descritte modalità<br />
dell’attività lavorativa, contraddistinta<br />
dalla messa a disposizione da parte dei lavoratori<br />
delle proprie energie lavorative, dall’obbligo di<br />
sottostare alle disposizioni impartite loro dal<br />
superiore gerarchico e, quindi, dal loro inserimento<br />
nell’organizzazione aziendale. Aveva<br />
altresì congruamente motivato in ordine alla inidoneità<br />
del carattere saltuario delle prestazioni<br />
a consentire di per sé la loro qualificazione nel<br />
senso dell’autonomia e, del pari congruamente,<br />
in ordine all’inidoneità dell’effettuazione della<br />
ritenuta d’acconto sui compensi a far ritenere che<br />
la volontà delle parti si fosse formata nel senso<br />
della autonomia del rapporto).<br />
Cass. Sez. Lav., 7 agosto 2<strong>00</strong>8, n. 21380<br />
E autonomo – Criteri distintivi<br />
Per escludere la subordinazione del rapporto di<br />
lavoro prestato con continuità e coordinamento<br />
con altro soggetto, è necessario che il giudice<br />
di merito accerti il rischio economico a carico<br />
del lavoratore e così ad esempio che resti a suo<br />
carico l’acquisto o l’uso dei materiali necessari a<br />
lavorare o che il rapporto con i terzi utenti venga<br />
da lui instaurato e gestito. Quanto all’assenza<br />
dell’obbligo di giustificare assenze, quale indice<br />
della mancanza di subordinazione, è necessario<br />
l’accertamento negativo in concreto delle conseguenze<br />
disciplinari.<br />
Licenziamenti individuali<br />
Cass. Sez. Lav., 23 aprile 2<strong>00</strong>8, n. 10526<br />
Illegittimità – Indennità sostitutiva della reintegrazione<br />
– Opzione – Termine<br />
Il termine per l’esercizio della facoltà di opzione<br />
in favore della indennità sostitutiva della reintegrazione<br />
nel posto di lavoro decorre alternati-<br />
37
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
vamente dal ricevimento dell’invito del datore<br />
di lavoro a riprendere servizio o dalla comunicazione<br />
del deposito della sentenza contenente<br />
l’ordine di reintegrazione, a seconda che il primo<br />
preceda o segua la seconda.<br />
Nel caso in cui sia inutilmente decorso il termine<br />
di trenta giorni dalla comunicazione del deposito<br />
della sentenza ma non anche quello decorrente<br />
dall’invito a riprendere servizio, viene conservato<br />
al dipendente il diritto alla reintegra fino all’esaurimento<br />
del termine per riprendere servizio.<br />
Cass. Sez. Lav., 23 aprile 2<strong>00</strong>8, n. 10541<br />
Giusta causa – Dipendente di istituto di credito<br />
– Accertamento del giudice di merito<br />
In tema di licenziamento per giusta causa, spetta<br />
al giudice del merito - e non è sindacabile in<br />
sede di legittimità se sorretto da motivazione<br />
congrua ed immune da vizi - l’accertamento che<br />
i fatti addebitati siano di gravità tale da integrare<br />
gli estremi della fattispecie di cui all’art. 2119<br />
cod. civ., fermo restando che nell’ipotesi di dipendente<br />
di un istituto di credito l’idoneità del<br />
comportamento contestato a ledere il rapporto<br />
fiduciario deve essere valutata con particolare<br />
rigore ed a prescindere dalla sussistenza di un<br />
danno effettivo per il datore di lavoro, rilevando<br />
la lesione dell’affidamento che, non solo il datore<br />
di lavoro, ma anche il pubblico, ripongono nella<br />
lealtà e correttezza dei funzionari.<br />
Cass. Sez. Lav., 12 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11668<br />
Facoltà di opzione – Garanzia di stabilità – Collocamento<br />
a riposo per limiti di età – Illegittimità<br />
A seguito dell’esercizio della facoltà di opzione,<br />
il rapporto di lavoro rimane assoggettato, quanto<br />
alle garanzie di stabilità, alla medesima disciplina<br />
ad esso applicabile, ma al datore di lavoro non è<br />
più consentito di collocare a riposo il dipendente<br />
per raggiunti limiti di età; invero, il rifiuto del<br />
datore di lavoro di consentire la prosecuzione<br />
del rapporto malgrado l’esercizio della facoltà<br />
in questione configura un atto radicalmente<br />
nullo per contrarietà ad una norma imperativa,<br />
con conseguente obbligo di riassunzione del<br />
lavoratore.<br />
Ultime dalla Cassazione<br />
Cass. Sez. Lav., 12 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11811<br />
Contestazione – Immediatezza – Necessita – Limiti<br />
Nel licenziamento disciplinare, nel valutare<br />
l’immediatezza della contestazione occorre tener<br />
conto dei contrapposti interessi del datore di<br />
lavoro a non avviare procedimenti senza aver<br />
acquisito i dati essenziali della vicenda e del<br />
lavoratore a vedersi contestati i fatti in un ragionevole<br />
lasso di tempo dalla loro commissione.<br />
Il principio della immediatezza della contestazione<br />
dell’addebito e della tempestività del recesso<br />
datoriale, che si configura quale elemento costitutivo<br />
del diritto al recesso del datore di lavoro,<br />
deve essere inteso in senso relativo, potendo in<br />
concreto essere compatibile con un intervallo di<br />
tempo più o meno lungo, quando l’accertamento<br />
e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale<br />
maggiore, ovvero quando la complessità<br />
della struttura organizzativa dell’impresa possa<br />
far ritardare il provvedimento di recesso.<br />
In ogni caso, la valutazione relativa alla tempestività<br />
costituisce giudizio di merito, e non è<br />
sindacabile in Cassazione ove adeguatamente<br />
motivato.<br />
Processo del lavoro<br />
Cass. Sez. Lav., 5 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 14914<br />
Procedura di selezione concorsuale – Legittimità –<br />
Contestazioni – Litisconsorzio necessario – Condizioni<br />
Sia con riguardo al lavoro subordinato privato,<br />
sia con riguardo al lavoro contrattuale alle dipendenze<br />
di amministrazioni pubbliche (D.Lgs. n.<br />
165/2<strong>00</strong>1), in presenza di selezioni concorsuali e<br />
di contestazioni sulla legittimità del procedimento<br />
da parte di un soggetto che domandi l’accertamento<br />
giudiziale del suo diritto ad essere inserito<br />
nel novero dei prescelti per il conseguimento<br />
di una determinata utilità (promozioni, livelli<br />
retributivi, trasferimenti, assegnazioni di sede<br />
ecc.), il giudizio deve svolgersi in contraddittorio<br />
degli altri partecipanti al concorso coinvolti dai<br />
necessari raffronti e, pertanto, il giudice, ove<br />
riscontri la non integrità del contraddittorio,<br />
deve ordinarne l’integrazione nei confronti di<br />
38
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
tutti i controinteressati; tale integrazione non è<br />
necessaria, invece, quando l’attore non chieda<br />
la dichiarazione di inefficacia della selezione e<br />
la riformulazione della graduatoria, ma si limiti<br />
a domandare il risarcimento del danno, o comunque<br />
faccia valere pretese compatibili con<br />
i risultati della selezione, dei quali non deve<br />
attuarsi la rimozione.<br />
Né tale principio risulta minimamente contraddetto<br />
dall’esclusione, in controversia avente ad<br />
oggetto la contestazione di un bando di concorso,<br />
del litisconsorzio necessario con i soggetti che<br />
hanno presentato domanda di partecipazione ovvero<br />
sono in possesso dei requisiti per parteciparvi,<br />
atteso che, in detta ipotesi, non sono individuabili<br />
i titolari di diritti suscettibili di essere pregiudicati<br />
in via immediata e diretta dall’esito del giudizio.<br />
Cass. Sez. Lav., 5 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 14914<br />
Litisconsorzio necessario – Violazione – Conseguenze<br />
Allorquando si sia verificata violazione delle norme<br />
sul litisconsorzio necessario, non rilevata né<br />
dal giudice di primo grado, che non ha disposto<br />
l’integrazione del contraddittorio, né da quello<br />
d’appello che non ha provveduto a rimettere<br />
la causa al primo giudice a’ sensi dell’art. 354,<br />
comma primo, c.p.c., resta viziato l’intero procedimento<br />
e si impone, in sede di giudizio per<br />
cassazione, l’annullamento, anche di ufficio,<br />
delle pronunce emesse e il rinvio della causa<br />
al giudice di primo grado a norma dell’art. 383,<br />
comma ultimo, c.p.c.<br />
Cass. Sez. Lav., 6 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 15073<br />
Verbali ispettivi – Valore probatorio<br />
I verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali<br />
e assistenziali o dell’ispettorato del lavoro<br />
fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi<br />
attestino avvenuti in loro presenza, mentre per le<br />
altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino<br />
di avere accertato, il materiale probatorio è<br />
liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice,<br />
il quale può anche considerarlo prova sufficiente<br />
delle circostanze riferite al pubblico ufficiale,<br />
qualora il loro specifico contenuto probatorio o il<br />
concorso d’altri elementi renda superfluo l’espletamento<br />
di ulteriori mezzi istruttori.<br />
Ultime dalla Cassazione<br />
Cass. Sez. Lav., 16 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 16203<br />
Pretesa contribuzione – Instaurazione causa di<br />
accertamento negativo – Opposizione a successiva<br />
iscrizione a ruolo – Non necessita<br />
Una volta che sia stata già introdotta, e sia<br />
in corso, una causa di merito sulla fondatezza<br />
della pretesa contributiva, non occorre che il<br />
contribuente previdenziale instauri un secondo<br />
separato giudizio di merito (in cui il secondo<br />
giudice dovrebbe inevitabilmente dichiarare<br />
la litispendenza o, quanto meno, la continenza<br />
dei giudizi, e che potrebbe generare - se questo<br />
non viene fatto - una serie di complicazioni<br />
di carattere procedurale) relativo anch’esso al<br />
merito sostanziale della pretesa dell’ente previdenziale.<br />
Le decadenze che si siano verificate in precedenza<br />
rendono inammissibile, o comunque infondata,<br />
una impugnazione successiva proposta per<br />
ragioni di merito, e perciò anche una opposizione<br />
al ruolo per ragioni di merito che avrebbero<br />
potuto, e dovuto, essere proposte prima, ma,<br />
allo stesso modo, le decadenze processuali che<br />
si possano verificare in un momento successivo<br />
non possono incidere sul contenzioso di merito<br />
già in atto che sia già stato ritualmente proposto,<br />
né incidere sugli effetti delle pronunzie emanate<br />
nel corso di esso.<br />
Non rileva perciò che il contribuente previdenziale<br />
non abbia proposto un nuovo contenzioso<br />
con una opposizione di merito contro l’iscrizione<br />
a ruolo.<br />
Cass. Sez. Lav., 1 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 17978<br />
Giudizio di opposizione – Impedimento alla definitività<br />
del titolo – Condizioni<br />
L’efficacia dell’opposizione quale atto idoneo<br />
ad impedire la definitività del titolo e l’incontestabilità<br />
della pretesa contributiva viene<br />
meno non soltanto nel caso di sua tardiva proposizione,<br />
ma anche qualora, per sopravvenute<br />
situazioni processuali, risulti definitivamente<br />
precluso il risultato a cui l’opposizione è finalizzata,<br />
ossia l’emanazione nell’ambito del giudizio<br />
promosso, di una pronuncia sulla fondatezza<br />
39
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
della pretesa contributiva portata dalla cartella<br />
esattoriale opposta. Il che si verifica in ipotesi<br />
di estinzione del giudizio di opposizione; con<br />
la conseguenza che gli effetti che si generano<br />
sono gli stessi descritti nel caso di mancata o<br />
tardiva proposizione dell’opposizione ex art.<br />
24, D.Lgs. n. 46/1999 (ossia, definitività del<br />
titolo e incontestabilità del diritto alla pretesa<br />
contributiva).<br />
Le sopradescritte conseguenze dell’estinzione<br />
del giudizio di opposizione alla cartella esattoriale,<br />
discendenti dalla disciplina speciale che<br />
regola la materia all’esame e sostanzialmente<br />
analoghe agli effetti prodotti dal giudicato,<br />
precludono il riesame del merito della pretesa<br />
contributiva in un diverso giudizio, sia instaurando,<br />
sia già in corso, rendendo quindi inapplicabile<br />
la regola generale di cui all’art. 310,<br />
comma 1, c.p.c.<br />
Cass. Sez. Un., 30 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 20604<br />
Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo – Ricorso<br />
– Mancata notifica – Improcedibilità<br />
Nel rito del lavoro l’appello pur tempestivamente<br />
proposto nel termine previsto dalla<br />
legge, è improcedibile ove la notificazione del<br />
ricorso depositato e del decreto di fissazione<br />
dell’udienza non sia avvenuta non essendo<br />
consentito - alla stregua di una interpretazione<br />
costituzionalmente orientata (art. 111 Cost.,<br />
comma 2) - al giudice di assegnare ex art. 421<br />
c.p.c. all’appellante, previa fissazione di una<br />
altra udienza di discussione, un termine perentorio<br />
per provvedere ad una nuova notifica a<br />
norma dell’art. 291 c.p.c.<br />
Principio questo che deve ritenersi applicabile<br />
al procedimento per opposizione a decreto<br />
ingiuntivo - per identità di ratio rispetto alle<br />
sopraindicate disposizioni di legge ed ancorché<br />
detto procedimento debba considerarsi<br />
un ordinario processo di cognizione anziché<br />
un mezzo di impugnazione - sicché anche in<br />
tale procedimento la mancata notifica del ricorso<br />
in opposizione e del decreto di fissazione<br />
dell’udienza determina l’improcedibilità della<br />
opposizione e con essa la esecutività del decreto<br />
ingiuntivo opposto.<br />
Reati<br />
Ultime dalla Cassazione<br />
Cass. pen., Sez. III, 7 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 18371<br />
Omissioni contributive costituenti reato – Soggetto<br />
responsabile<br />
In caso di omissioni contributive, dei reati di cui<br />
agli artt. 37, L. 24 novembre 1981, n. 689 e 2, L.<br />
11 novembre 1983, n. 638, risponde il datore di<br />
lavoro e, cioè, il titolare del rapporto di lavoro<br />
con i lavoratori e, dunque, nelle persone giuridiche,<br />
il rappresentante legale, salvo che fornisca la<br />
prova di aver delegato la gestione amministrativa<br />
nelle forme e con i requisiti prescritti.<br />
Risarcimento del danno<br />
Cass. Sez. Lav., 22 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 20188<br />
Danno morale – Onere della prova – Anche in via<br />
presuntiva<br />
In tema di danno morale dovuto ai parenti della<br />
vittima non è necessaria la prova specifica della<br />
sua sussistenza, siccome la prova può essere<br />
desunta anche solo in base allo stretto vincolo<br />
familiare; ai fini della valutazione del danno<br />
morale conseguente alla morte di un prossimo<br />
congiunto, quindi, l’intensità del vincolo familiare<br />
può già di per sé costituire un utile elemento<br />
presuntivo su cui basare la prova dell’esistenza<br />
del menzionato danno morale, in assenza di<br />
elementi contrari, mentre l’accertata mancanza<br />
di convivenza dei soggetti danneggiati con il<br />
congiunto deceduto può rappresentare soltanto<br />
un idoneo elemento indiziario da cui desumere<br />
un più ridotto danno morale.<br />
Sicurezza del lavoro<br />
Cass. Sez. Lav., 13 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11928<br />
Responsabilità ex art. 2087 c.c. – Onere della prova<br />
La responsabilità conseguente alla violazione dell’art.<br />
2087 c.c. ha natura contrattuale e, pertanto,<br />
applicandosi l’art. 1218 c.c., una volta provato<br />
l’inadempimento consistente nell’inesatta esecuzione<br />
della prestazione nonché la correlazione<br />
40
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
fra tale inadempimento ed il danno, la prova che<br />
tutto era stato approntato ai fini dell’osservanza<br />
del precetto del suddetto art. 2087 c.c. e che<br />
gli esiti dannosi erano stati determinati da un<br />
evento imprevisto e imprevedibile deve essere<br />
fornita dal datore di lavoro.<br />
Cass. Sez. Lav., 2 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 18107<br />
Responsabilità del datore di lavoro – Fattispecie<br />
In tema di danno alla salute subito dal prestatore<br />
di lavoro, ove il danno stesso derivi da macchinario<br />
malfunzionante cui il lavoratore è stato<br />
assegnato ed il malfunzionamento dipenda da<br />
causa esterna al macchinario ed al suo intrinseco<br />
meccanismo, poiché per accedere od in qualche<br />
modo manovrare il macchinario il lavoratore<br />
affronta un rischio estraneo alle sue mansioni<br />
(indipendentemente dall’eventuale contributo<br />
causale del lavoratore stesso), la responsabilità<br />
del datore non può essere esclusa.<br />
Cass. pen., Sez. IV, 9 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 27959<br />
Responsabilità del datore di lavoro – Esclusione<br />
– Condizioni<br />
Nel campo della sicurezza del lavoro, deve<br />
essere esclusa l’esistenza del rapporto di causalità<br />
nei casi in cui sia provata l’abnormità del<br />
comportamento del lavoratore infortunato e<br />
sia provato che proprio questa abnormità abbia<br />
dato causa all’evento; questa caratteristica della<br />
condotta del lavoratore infortunato è idonea ad<br />
interrompere il nesso di condizionamento tra la<br />
condotta e l’evento quale causa sopravvenuta da<br />
sola sufficiente a determinare l’evento in base<br />
all’art. 41 comma 2 cod. pen.<br />
Nel settore della prevenzione degli infortuni<br />
sul lavoro deve dunque considerarsi abnorme<br />
il comportamento che, per la sua stranezza e<br />
imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni<br />
possibilità di controllo da parte delle persone<br />
preposte all’applicazione delle misure di prevenzione<br />
contro gli infortuni sul lavoro ed è<br />
stato più volte affermato, dalla giurisprudenza di<br />
questa medesima sezione, che l’eventuale colpa<br />
Ultime dalla Cassazione<br />
concorrente del lavoratore non può spiegare<br />
alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi<br />
l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi<br />
responsabili della violazione di prescrizioni in<br />
materia antinfortunistica.<br />
Trasferimento del lavoratore<br />
Cass. Sez. Lav., 10 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 15327<br />
Illegittimità – Riduzione dell’orario di lavoro –<br />
Risarcimento del danno – Accertamento<br />
Per l’accertamento della dipendenza della riduzione<br />
di orario dal trasferimento deve ritenersi<br />
sufficiente il grave disagio personale e familiare<br />
nonché il pericolo di aggravamento delle condizioni<br />
di salute derivante dall’iniziativa datoriale,<br />
in quanto ritenuti, con valutazione ex ante di<br />
mera probabilità scientifica, elementi idonei a<br />
determinare, secondo le regole della causalità<br />
giuridica, la decisione del lavoratore di chiedere<br />
un nuovo meno gravoso contratto di lavoro<br />
parziale e non invece necessariamente la “impossibilità<br />
di poter osservare la quota lavorativa<br />
precedente”.<br />
T.f.r.<br />
Cass. Sez. Lav., 5 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11<strong>00</strong>9<br />
Fondo di garanzia – Accessori – Determinazione<br />
– Decorrenza<br />
Il trattamento di fine rapporto, che il Fondo<br />
di Garanzia di cui alla L. n. 297 del 1982,<br />
art. 2, gestito dall’Inps, è tenuto a versare in<br />
sostituzione del datore di lavoro in caso di<br />
insolvenza di quest’ultimo, comprende, oltre<br />
al capitale, gli accessori - con decorrenza dal<br />
giorno della maturazione del diritto e fino al<br />
giorno dell’effettivo pagamento - dovuti dal<br />
datore di lavoro insolvente in base alla previsioni<br />
contenute nel CCNL dal medesimo applicato<br />
e che restano determinati nei termini<br />
previsti in sede di ammissione del credito al<br />
passivo fallimentare.<br />
41
il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Guida alla consultazione<br />
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Redazionali<br />
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studio, la questione affrontata dalla medesima e la soluzione data; segue un commento evidenziato da<br />
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Ultime dalla Cassazione<br />
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novembre 2<strong>00</strong>3.<br />
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“il Giurista del <strong>Lavoro</strong>” n. 9/2<strong>00</strong>8 - Settembre 2<strong>00</strong>8<br />
Si compone di 42 pagine.