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Shiver

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Grace e Sam non si sono mai parlati, ma da sempre si<br />

prendono cura l'una dell'altro. Non si conoscono, eppure<br />

lei rischierebbe la vita per lui, e lui per lei. Perché Grace,<br />

fin da piccola, sorveglia i lupi che vivono nel bosco dietro<br />

casa sua, e in particolare uno dotato di magnetici occhi<br />

gialli, che negli anni è diventato il suo lupo. E perché Sam<br />

da quando era un bambino vive una doppia vita: lupo<br />

d'inverno, umano d'estate. Il caldo gli regala pochi<br />

preziosissimi mesi da essere umano prima che il freddo lo<br />

trasformi di nuovo.<br />

Grace e Sam ancora non si conoscono, ma tutto è<br />

destinato a cambiare: un ragazzo è stato ucciso, proprio<br />

dai lupi, e nella piccola città in cui vive Grace monta il<br />

panico, e si scatena la caccia al branco. Grace corre nel<br />

bosco per salvare il suo lupo e trova un ragazzo solo,<br />

ferito, smarrito, con due magnetici occhi gialli. Non ha<br />

dubbi su chi sia, né su ciò che deve fare. Perché Grace e<br />

Sam da sempre si prendono cura l'una dell'altro, e adesso<br />

hanno una sola, breve stagione per stare insieme prima<br />

che il gelo torni e si porti via Sam un'altra volta. Forse per<br />

sempre.


Maggie Stiefvater ha ventotto anni e vive in<br />

Virginia in una grande casa insieme al marito, ai due figli, a<br />

due cani nevrotici, a un gatto folle e a Loki, una Camaro<br />

del 1973. Venduto in trentadue Paesi, <strong>Shiver</strong> ha<br />

conquistato legioni di fan su internet in tutto il mondo.<br />

Per saperne di più visitate il sito dell'autrice<br />

www.maggiestiefvater.com e il sito ufficiale del libro<br />

www.shiverilromanzo.it


Maggie Stiefvater<br />

<strong>Shiver</strong><br />

traduzione di Mari Accardi


Proprietà letteraria riservata<br />

Titolo originale: <strong>Shiver</strong><br />

Tutti i diritti riservati.<br />

Pubblicato in accordo con Scholastic Inc., 557 Broadway, New<br />

York, NY 10012, USA<br />

© 2009 Maggie Stiefvater<br />

© 2009 RCS Libri S.p.A., Milano<br />

ISBN 978-88-17-04270-3<br />

Prima edizione BUR 24/7 settembre 2010


VOLUME 056


A Kate,<br />

perché ha pianto.


Capitolo uno • Grace<br />

-9 °C<br />

Ricordo che ero distesa nella neve, una macchiolina rossa calda che si<br />

stava raffreddando, ed ero circondata dai lupi. Mi leccavano, mi<br />

mordevano, si avventavano sul mio corpo spingendolo ancora più a<br />

fondo. Così accalcati bloccavano quel poco di calore che il sole offriva. Il<br />

ghiaccio scintillava sulle loro gorgiere e i loro fiati formavano figure<br />

opache sospese nell'aria. L'odore di muschio dei loro manti mi faceva<br />

pensare a un cane bagnato o alle foglie che bruciano, un odore piacevole<br />

e spaventoso insieme. Le loro lingue mi scioglievano la pelle, le zanne<br />

impietose mi strappavano le maniche e si impigliavano tra i miei capelli,<br />

premevano sulla clavicola, alla giugulare.<br />

Avrei potuto gridare, ma non lo feci. Avrei potuto reagire, ma non lo<br />

feci. Ero lì distesa e li lasciavo fare, guardando il cielo bianco dell'inverno<br />

diventare grigio.<br />

Un lupo spinse il naso nella mia mano e contro la mia guancia,<br />

coprendomi il viso con la sua ombra. I suoi occhi gialli guardavano<br />

diritto nei miei, mentre gli altri lupi mi strattonavano da ogni parte.<br />

Rimasi a fissare quegli occhi il più a lungo possibile. Gialli. E a guardarli<br />

meglio, con pagliuzze brillanti di tutte le gradazioni dell'oro e del<br />

nocciola. Non volevo che distogliesse lo sguardo, e non lo fece. Volevo<br />

protendermi ad afferrare la sua gorgiera, ma le mie mani rimasero serrate<br />

sul petto, e le braccia aderenti al corpo per il gelo.<br />

Non riuscivo a ricordare cosa si prova a stare al caldo.<br />

Poi il lupo se ne andò e, senza di lui, gli altri lupi si avvicinarono.<br />

Sempre più vicini, soffocanti. Mi sembrava di aver qualcosa nel petto,<br />

che si agitava.<br />

Non c'era sole; non c'era luce. Stavo morendo. Non riuscivo a<br />

ricordare com'era fatto il cielo.<br />

Ma non morii. Ero persa in un mare di ghiaccio, e poi rinacqui in un<br />

mondo caldo.


Ricordo questo: i suoi occhi gialli.<br />

Credevo che non li avrei più rivisti.


Capitolo due • Sam<br />

-9 °C<br />

Strapparono con forza la ragazza dall'altalena fatta con il copertone,<br />

nel cortile, e la trascinarono nel bosco; il suo corpo tracciò una scia poco<br />

profonda sulla neve, che andava dal suo mondo al mio. Vidi quello che<br />

stava succedendo. Non li fermai.<br />

Era stato l'inverno più lungo e più freddo della mia vita. Giorno dopo<br />

giorno, sempre sotto un sole pallido e impotente. E la fame: fame<br />

bruciante e corrosiva, una padrona insaziabile. In quel mese tutto era<br />

rimasto immutato, il paesaggio congelato in un diorama incolore, privo<br />

di vita. Avevano sparato a uno di noi mentre cercava di rubare i rifiuti<br />

sulla soglia di una casa, così i sopravvissuti del branco restavano nel<br />

bosco a morire lentamente di fame, in attesa del caldo e dei loro vecchi<br />

corpi. Finché non trovarono la ragazza. Finché non attaccarono.<br />

Si acquattarono attorno a lei, ringhiando e azzannando per<br />

contendersi il diritto a sferrare per primi il colpo mortale.<br />

Vidi quello che stava succedendo. Vidi i loro fianchi tremare di<br />

avidità. Li vidi strattonare il corpo della ragazza, cancellando la neve<br />

sotto di lei. Vidi i musi imbrattati di rosso. E ancora una volta, non li<br />

fermai.<br />

Avevo un ruolo preminente nel branco, erano stati Beck e Paul a<br />

conferirmelo, e quindi avrei potuto farmi avanti subito, e invece<br />

indugiai, tremando dal freddo, sprofondato nella neve. La ragazza<br />

mandava odore di caldo, di vita, di umano soprattutto. Che cosa c'era<br />

che non andava in lei? Se era viva, perché non reagiva?<br />

Sentivo l'odore del suo sangue, un profumo caldo e vivido in quel<br />

mondo morto e freddo. Vidi Salem sussultare e tremare mentre le<br />

strappava i vestiti. Mi si attorcigliò lo stomaco per il dolore: era passato<br />

così tanto tempo dall'ultima volta che avevo mangiato. Avrei voluto<br />

farmi largo tra i lupi per trovarmi al fianco di Salem e fingere di non<br />

sentire l'umanità della ragazza o i suoi deboli gemiti. Era così piccola,


sopraffatta dalla nostra massa feroce, il branco accalcato su di lei,<br />

bramoso di scambiare la sua vita con la nostra.<br />

Con un ringhio e un bagliore di denti mi feci avanti. Salem ringhiò a<br />

sua volta contro di me, ma ero più agile di lui, nonostante la fame e la<br />

giovane età. Paul emise brontolii minacciosi per sostenermi.<br />

Ero accanto a lei, e lei guardava il cielo infinito con occhi distanti.<br />

Forse morti. Spinsi il naso nella sua mano; il profumo del suo palmo,<br />

tutto zucchero e burro e sale, mi riportò a un'altra vita.<br />

Poi vidi i suoi occhi.<br />

Svegli. Vivi.<br />

La ragazza mi fissava, sosteneva il mio sguardo con un'onestà estrema.<br />

Indietreggiai con un balzo e ricominciai a tremare; ma stavolta non<br />

era la collera che mi tormentava.<br />

I suoi occhi nei miei occhi. Il suo sangue sul mio muso.<br />

Stavo andando in pezzi, dentro e fuori.<br />

La sua vita.<br />

La mia vita.<br />

Il branco indietreggiò, diffidente. Mi ringhiarono contro, non ero più<br />

uno di loro, e grugnirono contro la preda. Pensai che fosse la ragazza più<br />

bella che avessi mai visto, un minuscolo angelo insanguinato nella neve,<br />

e loro stavano per farla a pezzi.<br />

Vidi quello che stava succedendo. Vidi lei come non avevo mai visto<br />

nulla prima di allora. E li fermai.


Capitolo tre • Grace<br />

3 °C<br />

Dopo quell'episodio lo rividi ancora, sempre al freddo. Era nel nostro<br />

cortile, al limitare del bosco, e teneva quei suoi occhi gialli fissi su di me,<br />

che riempivo la mangiatoia per gli uccelli e portavo fuori la spazzatura,<br />

ma non si avvicinava mai. Al tramonto, un tempo che durava un'eternità<br />

nel lungo inverno del Minnesota, rimanevo appesa all'altalena gelida<br />

finché non mi sentivo addosso il suo sguardo. O, più avanti negli anni,<br />

quando ero troppo grande per infilarmi nel copertone dell'altalena,<br />

uscivo dalla veranda sul retro e andavo piano piano verso di lui, con la<br />

mano tesa, il palmo verso l'alto, gli occhi bassi. Senza minaccia. Cercavo<br />

di parlare il suo linguaggio.<br />

Ma per quanto aspettassi, per quanto cercassi disperatamente di<br />

toccarlo, lui spariva sempre tra gli arbusti prima che potessi annullare la<br />

distanza tra di noi.<br />

Non ebbi mai paura di lui. Era grosso abbastanza da strapparmi via<br />

dall'altalena, forte abbastanza da gettarmi a terra e trascinarmi nel bosco.<br />

Ma la ferocia del suo corpo non era dentro i suoi occhi. Mi ricordavo il<br />

suo sguardo, ogni gradazione di giallo, e non potevo aver paura. Sapevo<br />

che non mi avrebbe fatto del male.<br />

Volevo che sapesse che nemmeno io gli avrei fatto del male.<br />

Aspettavo. E aspettavo.<br />

E anche lui aspettava, ma non sapevo che cosa. Sembrava che fossi<br />

l'unica tra noi due a cercare un contatto.<br />

Però era sempre lì. A guardare me che guardavo lui. Mai, mai si faceva<br />

più vicino, né, tuttavia, più lontano.<br />

E così per sei anni si ripeté lo stesso schema: la presenza ossessiva dei<br />

lupi d'inverno e la loro assenza perfino più ossessiva in estate. A dire il<br />

vero non attribuivo nessun significato a quello schema. Pensavo che<br />

fossero lupi. Semplici lupi.


Capitolo quattro • Sam<br />

32 °C<br />

Il giorno in cui fui lì lì per parlare con Grace fu il più caldo della mia<br />

vita. Perfino in libreria, con l'aria condizionata, il calore strisciava sotto la<br />

porta ed entrava a ondate attraverso le vetrate. Io me ne stavo seduto<br />

scomposto sullo sgabello, dietro la cassa, al sole, e risucchiavo l'estate<br />

come se avessi potuto trattenerne ogni goccia, Mentre le ore passavano<br />

lente, la luce del pomeriggio trasformava i libri sugli scaffali nella<br />

versione pallida e dorata di loro stessi e scaldava la carta e l'inchiostro al<br />

loro interno, così che l'odore delle parole non lette era sospeso nell'aria.<br />

Questo era ciò che amavo, da umano.<br />

Stavo leggendo quando la porta si aprì con un leggero ding,<br />

portandosi dietro un flusso soffocante di aria calda e alcune ragazze.<br />

Ridevano in maniera troppo sguaiata per avere bisogno del mio aiuto,<br />

così continuai a leggere e lasciai che si spintonassero e parlassero di tutto<br />

tranne che di libri.<br />

Non credo che le avrei degnate di un altro sguardo se con la coda<br />

dell'occhio non avessi visto una di loro raccogliere i capelli biondo scuro<br />

e legarli in una coda di cavallo. Il gesto in sé era insignificante, ma il<br />

movimento spanse nell'aria una scia di profumo. Riconobbi quell'odore.<br />

Lo riconobbi subito.<br />

Era lei. Non poteva che essere lei.<br />

Cercai di coprirmi il viso con il libro e azzardai un'occhiata verso di<br />

loro. Le altre due ragazze continuavano a parlare e a gesticolare,<br />

indicando un uccello di carta che avevo appeso al soffitto sopra la<br />

sezione dei libri per bambini. Lei però non parlava; era rimasta indietro,<br />

e teneva gli occhi fissi sui libri che la circondavano. Poi vidi il suo volto e<br />

nella sua espressione riconobbi qualcosa di me stesso. I suoi occhi<br />

danzavano tra uno scaffale e l'altro, in cerca di una via di fuga.<br />

Mi ero immaginato mille versioni diverse di quella scena, ma ora che<br />

il momento era arrivato non sapevo cosa fare.


Lei era così vera. In un modo diverso da quando era in cortile a<br />

leggere un libro o a scribacchiare i compiti sul quaderno. In quei<br />

momenti la distanza tra di noi era un vuoto impossibile da colmare;<br />

sentivo tutte le ragioni per stare alla larga. Ma nella libreria, dove mi<br />

trovavo anch'io, sembrava vicina come non lo era mai stata, tanto da<br />

togliermi il respiro. Non c'era nulla che mi impedisse di rivolgerle la<br />

parola.<br />

Guardò verso di me e io distolsi subito lo sguardo, abbassandolo<br />

verso il libro. Non avrebbe riconosciuto il mio viso, ma i miei occhi sì.<br />

Avevo bisogno di credere che avrebbe riconosciuto i miei occhi.<br />

Pregai che se ne andasse, così avrei ripreso a respirare.<br />

Pregai che comprasse un libro, così sarei stato costretto a parlare con<br />

lei.<br />

Una delle ragazze gridò: «Grace, vieni a dare un'occhiata a questo.<br />

Guida al successo: come essere ammesso al college dei tuoi sogni. Sembra<br />

interessante, no?»<br />

Trassi un respiro lento e osservai la sua lunga schiena illuminata dalla<br />

luce del sole, mentre si accovacciava accanto alle altre ragazze e<br />

guardava i libri di preparazione per i test di ammissione al college.<br />

Teneva le spalle inclinate in un modo che lasciava intuire un interesse di<br />

sola cortesia; annuiva quando le amiche indicavano dei libri, ma aveva<br />

l'aria distratta. Guardavo la luce del sole che filtrava attraverso le finestre,<br />

colpendo i capelli sfuggiti alla coda di cavallo e trasformando ognuno di<br />

loro in un filo d'oro brillante. Muoveva la testa quasi impercettibilmente,<br />

avanti e indietro, al ritmo della musica di sottofondo. «Ehi.»<br />

Scattai indietro quando vidi sbucarmi un viso davanti. Non quello di<br />

Grace. Era una delle altre ragazze, abbronzata, con i capelli scuri. Aveva<br />

una grossa macchina fotografica appesa alla spalla e mi guardava diritto<br />

negli occhi. Stava zitta, ma sapevo a cosa stava pensando. Le reazioni<br />

suscitate dal colore giallo delle mie iridi andavano dalle occhiate furtive<br />

allo sguardo paralizzato; almeno lei non fingeva.<br />

«Ti spiace se ti scatto una foto?» mi chiese.


Cercai una scusa. «Alcuni nativi pensano che se scatti una foto rubi<br />

loro l'anima. E per me è un'argomentazione molto logica, quindi mi<br />

dispiace, niente foto.» Alzai le spalle come a scusarmi. «Se vuoi puoi fare<br />

delle foto al negozio.»<br />

La terza ragazza strattonò quella con la macchina fotografica: aveva<br />

folti capelli castano chiaro, era piena di lentiggini e irradiava così tanta<br />

energia da sfinirmi. «Stai flirtando, Olivia? Non abbiamo tempo. Ehi, tu,<br />

compriamo questo.»<br />

Le presi dalle mani Guida al successo, scoccando ogni tanto<br />

un'occhiata veloce in giro per cercare Grace.<br />

«Diciannove dollari e novantanove centesimi» dissi.<br />

Il cuore mi batteva forte.<br />

«Per un tascabile?» replicò la ragazza lentigginosa, ma mi porse<br />

comunque una banconota da venti. «Tieni il resto.» Non avevo un<br />

barattolo per le monetine, così posai il penny sul bancone, accanto alla<br />

cassa. Misi lentamente il libro e lo scontrino in un sacchetto, pensando<br />

che forse Grace sarebbe venuta a vedere perché ci stavamo mettendo<br />

così tanto.<br />

Invece rimase nella sezione dedicata alle biografie, con la testa<br />

inclinata di lato, intenta a leggere i titoli. La ragazza lentigginosa afferrò<br />

il sacchetto e rivolse un gran sorriso a me e a Olivia. Poi raggiunsero<br />

Grace e insieme andarono alla porta, come un gregge.<br />

Voltati, Grace. Guardami. Sono proprio qui. Se si fosse girata in<br />

quell'istante preciso, avrebbe visto i miei occhi e mi avrebbe per forza<br />

riconosciuto.<br />

Lentiggini aprì la porta - ding - e rivolse uno sbuffo d'impazienza al<br />

resto del gregge: era ora di muoversi. Olivia si volse un attimo, e i suoi<br />

occhi incontrarono i miei. Mi rendevo conto benissimo che le stavo<br />

fissando - che fissavo Grace - ma non riuscivo a smettere.<br />

Olivia si accigliò e a testa bassa uscì dal negozio. Lentiggini disse:<br />

«Grace, sbrigati, dai.»<br />

Mi faceva male il petto, il mio corpo parlava un linguaggio che la mia


mente a stento riusciva a decifrare.<br />

Attesi.<br />

Ma Grace, l'unica persona al mondo che volevo mi riconoscesse, fece<br />

scorrere un dito sulla copertina di uno dei nuovi rilegati e uscì dal<br />

negozio senza neppure accorgersi che io ero lì, e che le sarebbe bastato<br />

tendere la mano per toccarmi.


Capitolo cinque • Grace<br />

7 °C<br />

Non capii che i lupi del bosco erano tutti lupi mannari finché Jack<br />

Culpeper non fu ucciso.<br />

Quando accadde - era settembre, e io ero in quarta superiore - in città<br />

non si parlava d'altro che di Jack. Da vivo non era stato un ragazzo<br />

straordinario, a parte il fatto che aveva la macchina più costosa di tutta la<br />

scuola, preside compreso. A dire il vero era uno stronzo. Però quando fu<br />

ucciso diventò improvvisamente un santo. E la sua morte, per le<br />

circostanze in cui era avvenuta, si lasciò dietro un retrogusto sensazionale<br />

e macabro. Durante i cinque giorni che seguirono, nei corridoi della<br />

scuola sentii mille versioni differenti di quanto era successo.<br />

E il risultato fu che tutti erano terrorizzati dai lupi.<br />

Dato che la mamma di solito non guardava i notiziari e il papà a casa<br />

non c'era mai, nella mia famiglia l'ansia iniziò a insinuarsi molto<br />

lentamente, e impiegò alcuni giorni prima di decollare. Negli ultimi sei<br />

anni mia madre aveva cancellato dalla mente il mio incidente coi lupi,<br />

sfumandolo tra i vapori dell'acquaragia e i colori complementari, ma<br />

quello che successe a Jack le diede una bella rinfrescata alla memoria.<br />

Non era tipico della mamma riversare la sua ansia crescente in<br />

qualcosa di logico, come decidersi a passare più tempo con la sua unica<br />

figlia, la prima persona ad essere stata aggredita dai lupi. Al contrario,<br />

diventò ancora più distratta del solito.<br />

«Mamma, hai bisogno d'aiuto?»<br />

Lei mi guardò con aria colpevole, spostando la sua attenzione dalla<br />

televisione ai funghi che stava torturando sul tagliere.<br />

«É così vicino a casa nostra, il posto dove hanno trovato il corpo»<br />

disse, indicando il televisore col coltello. Il giornalista sembrava<br />

falsamente sincero mentre sullo schermo, in alto a destra, appariva una<br />

mappa della nostra contea, vicino alla foto sfocata di un lupo. La caccia<br />

alla verità, diceva, prosegue. Dopo una settimana in cui non si faceva che


ipetere sempre la stessa storia in continuazione, ci si sarebbe aspettati<br />

che cominciassero a dare le notizie in modo semplice e diretto. Il lupo<br />

della foto non era nemmeno della stessa specie del mio, che aveva il<br />

manto grigio tempesta e magnifici occhi giallo-arancio.<br />

«Non riesco ancora a crederci» continuò mia madre. «Proprio<br />

dall'altro lato di Boundary Wood. É lì che è stato ucciso.»<br />

«O che è morto.»<br />

Mamma mi lanciò un'occhiataccia: era un po' sciupata, ma bellissima<br />

come sempre. «Cosa?»<br />

Alzai lo sguardo dai compiti, file ordinate e confortanti di numeri e<br />

simboli. «Potrebbe essere svenuto sul ciglio della strada ed essere stato<br />

trascinato via dai lupi mentre era ancora incosciente. Non è la stessa<br />

cosa. Non si può diffondere il panico come se nulla fosse.»<br />

La mamma era di nuovo tutta concentrata sullo schermo, e ormai<br />

aveva tagliato i funghi in pezzi abbastanza piccoli da poterli dare in pasto<br />

alle amebe, «Lo hanno attaccato, Grace.»<br />

Guardai il bosco fuori dalla finestra: le linee pallide degli alberi<br />

somigliavano a spettri nell'oscurità. Se il mio lupo era lì fuori non riuscivo<br />

a vederlo. «Mamma, eri tu quella che continuava a ripetere fino allo<br />

sfinimento che i lupi di solito sono pacifici.»<br />

I lupi sono creature pacifiche. Questo era stato per anni il ritornello<br />

della mamma. Credo che per lei l'unico modo per continuare a vivere in<br />

questa casa fosse convincere se stessa che i lupi sono relativamente<br />

innocui e insistere sul fatto che ero stata protagonista di un caso isolato.<br />

Non so se fosse davvero convinta che i lupi siano pacifici. Io sì.<br />

Guardando i boschi, anno dopo anno, avevo osservato i lupi e ormai<br />

conoscevo a memoria i loro musi e le loro personalità. C'era il lupo<br />

magro pezzato, dall'aspetto malaticcio, che rimaneva ben nascosto nel<br />

bosco e si mostrava solo nei mesi più freddi. Tutto in lui - il manto opaco<br />

e ispido, l'orecchio sbrindellato, il disgustoso occhio che spurgava -<br />

gridava di un corpo malato, e le orbite roteanti dei suoi occhi feroci<br />

sussurravano di una mente malata. Ricordavo i suoi denti che mi<br />

graffiavano la pelle. Riuscivo benissimo a immaginarlo attaccare di


nuovo un essere umano.<br />

E c'era la lupa bianca. Avevo letto che i lupi si accoppiano per la vita,<br />

e l'avevo vista con il capobranco, un lupo robusto, nero quanto lei era<br />

bianca. L'avevo visto annusarle il muso e guidarla attraverso gli alberi<br />

scheletrici, con il pelo che brillava come un pesce nell'acqua. Aveva una<br />

sorta di bellezza selvaggia e inquieta. Anche lei, riuscivo benissimo a<br />

immaginarmela assalire un essere umano. Ma gli altri? Erano bellissimi<br />

fantasmi silenziosi nel bosco. Non mi facevano paura.<br />

«Proprio così, pacifici.» La mamma menava gran fendenti sul tagliere.<br />

«Forse dovrebbero catturarli e scaricarli in Canada.»<br />

Accigliata, abbassai lo sguardo sui compiti. Le estati senza i lupi erano<br />

già abbastanza insopportabili. Da piccola, quei mesi mi erano sembrati<br />

infinitamente lunghi, tempo sprecato ad aspettarli e basta. E la situazione<br />

non aveva fatto che peggiorare da quando mi ero accorta del mio lupo<br />

dagli occhi gialli. Durante quei lunghi mesi, immaginavo grandi<br />

avventure in cui di notte mi trasformavo in lupa e fuggivo con lui in un<br />

bosco dorato, dove non nevicava mai. Ormai sapevo che i boschi dorati<br />

non esistono, però il branco - e il lupo dagli occhi gialli - sì.<br />

Sospirando, spinsi via il libro di matematica e raggiunsi mia madre.<br />

«Faccio io. Stai combinando un disastro.»<br />

Lei non protestò, ma io non mi aspettavo che lo facesse. Anzi, mi<br />

ringraziò con un sorriso e se la filò come se non avesse aspettato altro che<br />

io notassi il suo lavoro pietoso. «Se finisci di preparare la cena, ti sarò per<br />

sempre grata» disse.<br />

Feci una smorfia e le presi il coltello dalle mani. La mamma era<br />

costantemente macchiata di colore e costantemente distratta. Non<br />

sarebbe mai stata come le madri delle mie amiche: grembiule, fornelli,<br />

aspirapolvere, ricette. In realtà non volevo che fosse come loro. Però<br />

dovevo assolutamente finire i miei compiti.<br />

«Grazie, tesoro, vado nello studio.» Se la mamma fosse stata una di<br />

quelle bambole che quando premi la pancia dicono cinque o sei cose<br />

diverse, quella sarebbe stata una delle frasi registrate.


«Non svenire per i vapori» le dissi, ma lei stava già correndo su per le<br />

scale. Mentre ficcavo i funghi tagliuzzati in una ciotola, guardai<br />

l'orologio appeso alla parete giallo acceso. Mancava ancora un'ora<br />

prima che mio padre tornasse a casa dal lavoro. Avevo un sacco di<br />

tempo per preparare la cena e forse, dopo, sarei riuscita a dare una<br />

sbirciata al mio lupo. C'erano dei pezzetti di carne in frigo che forse<br />

erano destinati a unirsi ai funghi affettati. Li presi e li sbattei sul tagliere.<br />

In sottofondo, al notiziario un "esperto" chiedeva se fosse il caso di<br />

ridurre o trasferire altrove la popolazione dei lupi del Minnesota. L'intera<br />

faccenda mi aveva messo di malumore.<br />

Il telefono squillò. «Pronto?»<br />

«Ciao. Che fai?»<br />

Rachel. Ero felice di sentirla; era l'esatto opposto di mia madre:<br />

organizzatissima e abilissima nel portare a termine le cose. Mi faceva<br />

sentire meno un'aliena. Infilai il telefono tra l'orecchio e la spalla e<br />

mentre parlavo tagliai la carne. Misi da parte una fetta grande quanto un<br />

pugno per dopo. «Preparo la cena e intanto guardo quello stupido<br />

notiziario.»<br />

Capì subito a che cosa mi riferivo. «Lo so, sono assurdi, vero? Non ne<br />

hanno ancora abbastanza. É disgustoso, davvero. Insomma, perché non<br />

stanno zitti e ci lasciano dimenticare? Già è abbastanza difficile andare a<br />

scuola e sentirne parlare tutto il tempo. E poi per te, con la tua storia e<br />

tutto, dev'essere uno strazio. E di sicuro i genitori di Jack vogliono solo<br />

che i giornalisti chiudano la bocca.» Rachel blaterava cosi in fretta che la<br />

capivo a stento, e mi persi un bel pezzo di discorso. Poi mi chiese: «Ti ha<br />

chiamato Olivia?»<br />

Olivia era il terzo elemento del nostro trio, l'unica in grado di intuire<br />

perché ero tanto affascinata dai lupi. Erano davvero poche le sere che<br />

non sentivo al telefono lei o<br />

Rachel. «Forse è in giro a scattare foto. Non è stanotte la pioggia di<br />

meteoriti?» dissi. Olivia vedeva il mondo attraverso la macchina<br />

fotografica; a volte avevo l'impressione che tutti i miei ricordi di scuola<br />

fossero in bianco e nero, su carta lucida, formato 10x12.


Rachel disse: «Hai ragione. Olivia vorrà di sicuro immortalare l'eroica<br />

impresa dell'asteroide. Hai tempo per fare due chiacchiere?»<br />

Guardai l'orologio. «Più o meno. É che quando finisco con la cena<br />

devo pensare ai compiti.»<br />

«Okay. Allora ci metto un secondo. Due parole, tesoro, dimmi che<br />

cosa ne pensi: fu. ga.»<br />

Misi la carne a rosolare. «É una parola, Rach.»<br />

Lei rimase in silenzio per un attimo. «Già. Dire due mi sembrava che<br />

suonasse meglio. Comunque, il punto è questo: i miei genitori hanno<br />

detto che se quest'anno voglio andare da qualche parte per le vacanze di<br />

Natale mi pagano loro il viaggio. E quindi voglio andare da qualche<br />

parte. Dovunque, tranne Mercy Falls. Dio, da qualsiasi parte tranne<br />

Mercy Falls! Domani dopo la scuola tu e Olivia mi date una mano a<br />

scegliere una destinazione?»<br />

«Sì, certo.»<br />

«Se è un posto fico, magari tu e Olivia potete venire con me» disse<br />

Rachel.<br />

Lì per lì non risposi. La parola Natale mi faceva venire in mente<br />

l'odore dell'albero addobbato, il buio infinito del cielo stellato di<br />

dicembre sopra il cortile, e gli occhi gialli del mio lupo che mi<br />

guardavano da dietro gli alberi coperti di neve.<br />

Rachel emise un gemito. «Ti prego, Grace, lo sguardo pensieroso<br />

perso nel vuoto no! Sono sicura che hai quell'espressione! Anche tu vuoi<br />

andartene via di qui.»<br />

Ma non era vero. In un certo senso appartenevo a quel posto. «Non<br />

ho detto di no» protestai.<br />

«Ma neanche ommioddio sì. Che era quello che avresti dovuto dire»<br />

sospirò Rachel. «Però passi da casa mia, vero?»<br />

«Lo sai che passo» dissi, allungando il collo per dare una sbirciata fuori<br />

dalla finestra sul retro. «Ora devo proprio andare.»<br />

«Sì sì sì» disse Rachel. «Porta i biscotti al cioccolato, non


dimenticartelo. Ti voglio bene. Ciao.» Rise e riattaccò.<br />

Misi subito lo stufato sul fuoco basso, così non avrebbe avuto bisogno<br />

di me. Afferrai il cappotto da un gancio appeso al muro e aprii la porta<br />

scorrevole che dava sulla veranda.<br />

L'aria fredda mi morse le guance e mi pizzicò le orecchie,<br />

ricordandomi che l'estate era ufficialmente finita. Avevo il berretto di<br />

lana ficcato nella tasca del cappotto, ma sapevo che il mio lupo non<br />

sempre mi riconosceva quando lo indossavo, così lo lasciai dov'era.<br />

Guardai verso il limitare del cortile, strizzando gli occhi, e scesi dalla<br />

veranda con fare disinvolto. Il pezzo di carne nella mia mano era freddo<br />

e scivoloso.<br />

Camminai sull'erba secca e incolore che mi scricchiolava sotto i piedi,<br />

e arrivata a metà cortile mi fermai, incantata dal rosa violento del<br />

tramonto che filtrava tra le foglie nere danzanti degli alberi. Quel<br />

paesaggio austero era a mondi di distanza dalla cucina piccola e calda,<br />

coi suoi odori confortanti di facile sopravvivenza. Era a quel luogo che io<br />

in teoria appartenevo. Era quel luogo che avrei dovuto desiderare. Ma<br />

gli alberi mi chiamavano. Mi incitavano ad abbandonare il mondo che<br />

conoscevo e a scomparire nella notte incombente. Era un desiderio che<br />

in quei giorni mi strattonava a sé con una frequenza sconcertante.<br />

Il buio al limitare del bosco tremolò, e accanto a un albero scorsi il<br />

mio lupo; fiutava la carne che avevo in mano. Il sollievo che avevo<br />

sentito vedendolo però si spense in fretta, perché non appena mosse la<br />

testa, il quadrato di luce proveniente dalla porta scorrevole gli illuminò il<br />

muso. Aveva il mento incrostato di sangue secco. Vecchio di giorni.<br />

Le sue narici vibrarono; riusciva a sentire l'odore della carne che avevo<br />

in mano. La carne, insieme alla mia presenza familiare, lo persuasero a<br />

farsi avanti, uscendo di qualche passo dal bosco. Poi di qualche altro<br />

passo ancora. Più vicino di quanto fosse mai stato prima.<br />

Eravamo uno di fronte all'altra, così vicini che avrei potuto tendere la<br />

mano e toccare la sua pelliccia abbagliante. O sfiorargli la macchia rosso<br />

scuro sul muso.<br />

Desiderai disperatamente che quel sangue fosse suo. Un vecchio


taglio, un graffio che si era fatto azzuffandosi.<br />

Ma a guardarlo non sembrava così. Sembrava che il sangue<br />

appartenesse a qualcun altro.<br />

«L'hai ucciso tu?» sussurrai.<br />

Mi ero aspettata che al suono della mia voce fuggisse, ma non lo fece.<br />

Rimase immobile come una statua, e i suoi occhi guardavano me, non il<br />

pezzo di carne che tenevo in mano.<br />

«Al notiziario non si parla d'altro» dissi, come se mi potesse capire.<br />

«L'hanno definito un atto disumano. Hanno detto che sono stati degli<br />

animali selvatici. Sei stato tu?»<br />

Mi fissò per un altro minuto, senza muoversi, senza battere le<br />

palpebre. E poi, per la prima volta dopo sei anni, chiuse gli occhi.<br />

Andava contro ogni istinto naturale che un lupo avrebbe dovuto<br />

possedere. Una vita di sguardi intensi e fermi, ed eccolo imprigionato in<br />

un dolore quasi umano, gli splendidi occhi chiusi, testa e coda basse.<br />

Era la cosa più triste che avessi mai visto.<br />

Lentamente, muovendomi appena, mi avvicinai, preoccupata solo di<br />

non spaventarlo e non del muso macchiato di rosso scuro o delle zanne<br />

che celava. Lui avvertì la mia presenza, perché le sue orecchie<br />

guizzarono, ma non si mosse. Mi accovacciai, lasciando cadere la carne<br />

sulla neve accanto a me. Quando toccò terra, lui sussultò. Ero abbastanza<br />

vicina da sentire l'odore selvatico del suo manto e il calore del suo<br />

respiro.<br />

Poi feci quello che avevo sempre desiderato fare: posai una mano<br />

sulla sua folta gorgiera. E siccome non si ritrasse, affondai entrambe le<br />

mani nella pelliccia. La parte più esterna del suo manto non era morbida<br />

come sembrava, ma sotto i ruvidi peli di protezione c'era uno strato più<br />

soffice. Con un basso gemito premette la testa contro di me, gli occhi<br />

ancora chiusi. Lo accarezzavo come se fosse un cane domestico, niente di<br />

più, sebbene il suo odore pungente e selvatico mi impedisse di scordare<br />

la sua vera identità.<br />

Per un attimo dimenticai dov'ero, chi ero. Per un attimo niente di


tutto ciò ebbe importanza.<br />

Poi captai un movimento: in lontananza, al limitare del bosco, visibile<br />

a stento nella luce che andava svanendo, la lupa bianca ci guardava con<br />

occhi ardenti.<br />

Sentii un brontolio vicinissimo e capii che il mio lupo stava ringhiando<br />

contro di lei. La lupa si avvicinò, insolitamente audace, e lui si volse tra le<br />

mie braccia per fronteggiarla. Sussultai allo schiocco dei suoi denti che<br />

mimavano l'atto di azzannarla.<br />

Lei non ringhiò mai, e in un certo senso era peggio così. Un lupo<br />

avrebbe dovuto ringhiare. Invece si limitava a spostare lo sguardo da lui<br />

a me. Ogni dettaglio del linguaggio del suo corpo emanava odio.<br />

Sempre borbottando in modo quasi impercettibile, il mio lupo mi si<br />

strinse addosso con più forza, costringendomi a fare un passo indietro,<br />

poi un altro, e mi guidò verso la veranda. Urtai i gradini con i talloni e<br />

indietreggiai fino alla porta scorrevole. Lui rimase ai piedi delle scale<br />

finché non ebbi aperto la porta e mi fui chiusa a chiave in casa.<br />

Non appena fui dentro, la lupa bianca balzò in avanti e addentò il<br />

pezzo di carne che avevo lasciato cadere a terra. Anche se il mio lupo era<br />

vicinissimo e costituiva la minaccia più ovvia per il cibo, era me che i suoi<br />

occhi puntavano, al di là della porta a vetri. Sostenne il mio sguardo a<br />

lungo prima di scivolare tra gli alberi come uno spirito.<br />

Il mio lupo indugiò al limitare del bosco. La luce soffusa della veranda<br />

riverberava sui suoi occhi. Continuò a scrutare la mia sagoma attraverso<br />

la porta.<br />

Premetti il palmo della mano contro il vetro gelato.<br />

La distanza tra noi non mi era mai parsa così immensa.


Capitolo sei • Grace<br />

6 °C<br />

Quando mio padre tornò a casa, ero ancora smarrita nel mondo<br />

silenzioso dei lupi, e cercavo, ancora e ancora, di riprovare la sensazione<br />

della pelliccia ispida del mio lupo contro le mani. Sebbene me le fossi<br />

lavate controvoglia per finire di preparare la cena, l'odore di muschio<br />

continuava a impregnarmi i vestiti, mantenendo vivo nella mia memoria<br />

il nostro incontro. C'erano voluti sei anni perché si lasciasse toccare da<br />

me. Perché si lasciasse abbracciare. E ora mi proteggeva, proprio come<br />

mi aveva sempre protetto. Avevo un bisogno disperato di dirlo a<br />

qualcuno, ma sapevo che papà non avrebbe condiviso la mia<br />

eccitazione, soprattutto con il notiziario in sottofondo, che ripeteva le<br />

solite cose sull'attacco a Jack. Così tenni tutto per me.<br />

Papà entrò a passi pesanti dall'ingresso principale. Non aveva ancora<br />

visto che ero in cucina, però disse: «La cena ha un profumo invitante,<br />

Grace.»<br />

Mi raggiunse e mi accarezzò la testa. Aveva gli occhi stanchi dietro gli<br />

occhiali, però sorrise. «Dov'è tua madre? A dipingere?» Gettò il cappotto<br />

su una sedia.<br />

«Perché, smette mai?» Scoccai un'occhiata minacciosa al cappotto.<br />

«Non vorrai lasciarlo lì. So che non lo farai.»<br />

Papà lo prese con un sorriso affettuoso e gridò verso le scale:<br />

«Straccetto, è ora di cena!» Il fatto che si fosse rivolto a mia madre usando<br />

quel nomignolo confermava il suo buonumore.<br />

Mia madre comparve nella cucina gialla in due secondi esatti. Era<br />

senza fiato per aver sceso le scale di corsa - non era una cosa che faceva<br />

spesso - e sullo zigomo aveva un baffo di vernice verde.<br />

Papà la baciò, evitando la macchia. «Hai fatto la brava, cucciolotta?»<br />

Lei batté le ciglia. Aveva l'espressione di chi sa cosa aspettarsi. «Sono<br />

stata bravissima.»


«E tu, Gracie?»<br />

«Ancora più brava della mamma.»<br />

Papà si schiarì la gola. «Signore e signori, il mio aumento diventa<br />

effettivo a partire da venerdì, quindi...»<br />

La mamma batté le mani e fece un giro su se stessa, guardandosi allo<br />

specchio dell'ingresso. «Prenderò in affitto quel posto in centro!»<br />

Papà sorrise e annuì. «Quanto a te, piccola Gracie, appena ho un po'<br />

di tempo per portarti alla concessionaria, daremo dentro quel tuo<br />

catorcio. Sono stufo di portarlo sempre a riparare.»<br />

La mamma rideva, e continuava a girare su se stessa e a battere le<br />

mani. Danzò fino in cucina, canticchiando un motivetto che doveva<br />

essersi inventata lei. Se avesse preso in affitto uno studio in città,<br />

probabilmente non avrei più visto nessuno dei miei genitori. Be', tranne<br />

che all'ora di cena. Di solito si facevano vivi per mangiare.<br />

Ma non aveva importanza, rispetto alla promessa di un mezzo di<br />

trasporto affidabile. «Davvero? Una macchina tutta mia? Insomma, una<br />

che funziona?»<br />

«Una macchina un po' meno scassata» mi promise papà. «Niente di<br />

che.»<br />

Lo abbracciai. Una macchina così voleva dire libertà.<br />

Quella notte ero distesa nel letto, con gli occhi stretti stretti per<br />

cercare di prendere sonno. Il mondo là fuori sembrava messo a tacere,<br />

come se avesse nevicato. Era troppo presto per nevicare, ma ogni suono<br />

era soffocato. C'era troppo silenzio,<br />

Trattenni il respiro e mi concentrai sulla notte, alla caccia di<br />

movimenti nel buio immobile.<br />

A poco a poco mi resi conto che dei deboli ticchettii avevano infranto<br />

il silenzio di fuori e mi pizzicavano le orecchie. Sembravano unghielli<br />

intenti a grattare la veranda fuori dalla mia finestra. C'era un lupo nella<br />

veranda? Forse era un procione. Poi sentii raspare in modo più debole, e<br />

dopo ancora un ringhio: no, non poteva proprio essere un procione. Mi


si accapponò la pelle.<br />

Mi avvolsi nel piumone come se fosse una mantella, scivolai fuori dal<br />

letto e camminai con passo felpato sul pavimento di legno illuminato<br />

dalla mezza luna. Esitai, chiedendomi se non mi fossi sognata tutto, ma<br />

dalla finestra arrivarono altri tack tack tack. Riavvolsi le veneziane e<br />

guardai fuori, sulla veranda. Il cortile, perpendicolare alla mia stanza, era<br />

vuoto. I tronchi neri degli alberi, tetri, spuntavano come una palizzata<br />

che correva tra me e la fitta foresta.<br />

Tutt'a un tratto mi trovai un muso davanti; colta di sorpresa, sussultai.<br />

La lupa bianca era dall'altra parte del vetro, con le zampe sul davanzale<br />

esterno. Era così vicina che vedevo l'umidità intrappolata tra i peli<br />

arruffati della sua pelliccia. Mi fissò con i suoi occhi blu acceso,<br />

sfidandomi a sostenere lo sguardo. Un ringhio basso risuonò attraverso<br />

la finestra e il suo significato mi parve chiarissimo, come se fosse scritto<br />

sul vetro. Lui non deve proteggerti.<br />

La fissai a mia volta. Poi, senza pensarci, arricciai le labbra in un<br />

ringhio. Il suono che ne uscì stupì tanto me quanto lei, al punto che la<br />

indusse a balzare giù dalla finestra. Mi lanciò uno sguardo torbido, si<br />

voltò e prima di tornare a grandi falcate nel bosco, fece pipì sull'angolo<br />

della veranda.<br />

Mi morsi il labbro per cancellare la forma strana di quel ringhio,<br />

raccolsi la felpa da terra e tornai lentamente a letto. Spostai il cuscino e al<br />

suo posto usai la felpa appallottolata.<br />

Mi addormentai avvolta nell'odore del mio lupo. Aghi di pino,<br />

pioggia fredda, profumo di terra, pelliccia ispida sul mio volto.<br />

Era quasi come se fosse lì con me.


Capitolo sette • Sam<br />

6 °C<br />

Sentivo ancora il suo odore sulla mia pelliccia. Mi era rimasto addosso<br />

come il ricordo di un altro mondo.<br />

Ero ubriaco, ubriaco del suo odore. Mi ero avvicinato troppo. Il mio<br />

istinto mi diceva di non farlo. Soprattutto ricordando quello che era<br />

appena successo al ragazzo.<br />

L'odore dell'estate sulla sua pelle, la cadenza della sua voce come una<br />

memoria imprecisa, la sensazione delle sue dita sulla mia pelliccia. Ogni<br />

parte di me gioiva al ricordo dei momenti in cui l'avevo così vicina.<br />

Troppo vicina.<br />

Non potevo starle lontano.


Capitolo otto • Grace<br />

18 °C<br />

Per tutta la settimana seguente, a scuola fui distratta; vagavo da una<br />

lezione all'altra senza quasi prendere appunti. Pensavo soltanto al pelo<br />

del lupo sotto le mie dita e all'immagine della lupa bianca che ringhiava<br />

fuori dalla finestra. Tornai attentissima, però, quando Mrs. Ruminski<br />

durante la lezione di educazione civica portò in cattedra un poliziotto.<br />

Lo lasciò da solo al centro della stanza: un gesto che considerai<br />

crudele, dato che era la settima ora e tutti fremevamo dalla voglia di<br />

tornare a casa. Forse pensava che un membro delle forze dell'ordine<br />

sarebbe stato in grado di tenere a bada degli studenti delle superiori. Ma<br />

ai criminali si può sparare, a una classe di ragazzi rumorosi no.<br />

«Ciao» disse l'Agente. Al di là della cintura che pullulava di fondine,<br />

spray al pepe e altre armi assortite, era davvero giovane. Scoccò<br />

un'occhiata a Mrs. Ruminski, che se ne stava per i fatti suoi davanti alla<br />

porta aperta, e indicò col dito un cartellino lucido sulla camicia su cui<br />

c'era scritto: WILLIAM KOENIG. Mrs. Ruminski ci aveva detto che si era<br />

diplomato nella nostra stessa ottima scuola, ma né il suo nome né il suo<br />

volto mi erano in qualche modo familiari. «Sono l'Agente Koenig. La<br />

vostra insegnante Mrs. Ruminski mi ha chiesto di intervenire durante la<br />

sua lezione di educazione civica.»<br />

Lanciai uno sguardo a Olivia, che era seduta accanto a me, per vedere<br />

che cosa ne pensava. Come al solito, tutto in Olivia era pulito e ordinato:<br />

una pagella di pieni voti fatta persona. I capelli neri erano pettinati in<br />

una perfetta treccia alla francese e il colletto della camicia era stirato in<br />

maniera impeccabile. Per capire a che cosa stava pensando non<br />

bisognava mai affidarsi alla sua bocca. Erano gli occhi che dovevi<br />

guardare.<br />

«É carino» mi sussurrò Olivia. «Adoro quei capelli rasati. Secondo te<br />

sua madre lo chiama Will?»<br />

Ancora non sapevo come reagire di fronte al suo interesse recente e


spiccato per i ragazzi, così mi limitai a sgranare gli occhi. Era carino, ma<br />

non era il mio tipo. Forse non sapevo ancora qual era il mio tipo.<br />

«Sono diventato un difensore della legge subito dopo il diploma» disse<br />

l'Agente Will. Aveva un'aria molto seria mentre lo diceva, con la fronte<br />

aggrottata di chi è totalmente dedito al servizio della giustizia. «É una<br />

professione che ho sempre voluto intraprendere e che prendo con la<br />

massima serietà.»<br />

«Si vede» sussurrai ad Olivia. Secondo me sua madre non lo chiamava<br />

Will. L'Agente William Koenig ci scoccò un'occhiata e posò una mano<br />

sulla pistola. Forse era un gesto meccanico, ma lì per lì mi parve che<br />

avesse considerato l'ipotesi di spararci perché avevamo bisbigliato.<br />

Olivia sprofondò nella sedia e alcune ragazze scoppiarono a ridere,<br />

«É una carriera straordinaria ed è una delle poche che si possono<br />

intraprendere senza aver frequentato il college» insisté lui. «C'è - ehm -<br />

qualcuno di voi che sta pensando di entrare nelle forze dell'ordine?»<br />

Fu l'ehm a rovinare tutto. Se l'Agente Koenig non avesse esitato, forse<br />

la classe si sarebbe comportata bene.<br />

Una mano scattò in alto. Elizabeth, che faceva parte di quello sciame<br />

di studenti della Mercy Falls High che dalla morte di Jack continuava a<br />

vestirsi di nero, chiese: «É vero che il corpo di Jack Culpeper è stato<br />

portato via dall'obitorio?»<br />

La sua audacia scatenò un mormorio generale; a giudicare dalla sua<br />

espressione, sembrava che l'Agente Koenig ora avesse davvero un serio<br />

motivo per spararle. Invece si limitò a dire: «Non sono autorizzato a<br />

diffondere i dettagli delle indagini in corso.»<br />

«Quindi state facendo delle indagini?» gridò una voce maschile dai<br />

primi banchi.<br />

Elizabeth lo interruppe. «Mia madre l'ha sentito alla radio. É vero?<br />

Perché qualcuno dovrebbe rubare un cadavere?»<br />

Le teorie si susseguirono velocissime.<br />

«Dev'essere una copertura. Per nascondere un suicidio.»


«Contrabbando di droghe.»<br />

«Esperimenti medici!»<br />

Un ragazzo disse: «Ho sentito dire che il padre di Jack ha in casa un<br />

orso polare imbalsamato. Forse i Culpeper hanno imbalsamato anche<br />

Jack.» Qualcuno rifilò una gomitata al tizio che aveva fatto il commento:<br />

era ancora un tabù fare battute su Jack o la sua famiglia.<br />

L'Agente Koenig guardò sbigottito Mrs. Ruminski in piedi sulla soglia.<br />

Lei lo guardò con aria solenne e poi, rivolta alla classe: «Silenzio!»<br />

Ci zittimmo.<br />

Si voltò di nuovo verso l'Agente Koenig. «Quindi hanno rubato il<br />

cadavere?» chiese.<br />

Lui ripeté: «Non sono autorizzato a diffondere i dettagli di nessuna<br />

indagine in corso.» Stavolta però sembrava smarrito, come se alla fine<br />

della frase potesse esserci un punto interrogativo.<br />

«Agente Koenig» disse Mrs. Ruminski, «Jack era molto amato in questa<br />

comunità.»<br />

Il che era una bugia bella e buona. Morire però aveva fatto miracoli<br />

per la sua reputazione. Forse tutti gli altri si erano dimenticati i suoi<br />

accessi d'ira nei corridoi della scuola e anche nel bel mezzo delle lezioni.<br />

O quanto fossero violenti quei suoi accessi d'ira. Ma io no. Mercy Falls<br />

era tutta dicerie, e la voce che correva su Jack era che avesse ereditato<br />

l'irascibilità da suo padre. Io non ne ero convinta. Secondo me ognuno è<br />

libero di scegliere il tipo di persona che vuole essere, indipendentemente<br />

dai genitori.<br />

«Siamo ancora in lutto» aggiunse Mrs. Ruminski, indicando la marea di<br />

abiti neri in classe. «Le indagini non c'entrano. Qui si tratta di far sentire<br />

ancora più unita una comunità già di per sé unita.»<br />

Olivia mi disse, muovendo appena le labbra: «Oh. Mio. Dio.» Scossi la<br />

testa. Da non crederci.<br />

L'Agente Koenig incrociò le braccia, cosa che gli diede l'aria petulante<br />

di un bambino costretto a fare qualcosa. «É vero. Stiamo cercando di


approfondire. Capisco che perdere qualcuno così giovane» - detto da<br />

uno che poteva avere vent'anni - «abbia un impatto enorme sulla<br />

comunità, ma chiedo a ciascuno di voi di rispettare la privacy della<br />

famiglia e la riservatezza del processo investigativo.»<br />

Era tornato assertivo.<br />

Elizabeth sventolò di nuovo la mano. «Siete convinti che i lupi siano<br />

pericolosi? Avete avuto molte segnalazioni? Mia madre dice che vi sono<br />

arrivate molte segnalazioni.»<br />

L'Agente Koenig guardò Mrs. Ruminski, ma doveva già aver capito<br />

che anche lei era curiosa quanto Elisabeth. «Non credo che i lupi<br />

rappresentino una minaccia per la popolazione, no. io - e il resto del<br />

dipartimento - riteniamo che si sia trattato di un incidente isolato.»<br />

Elizabeth disse: «Anche lei però è stata aggredita.»<br />

Oh, fantastico. Non riuscivo a vedere il dito di Elizabeth, ma sapevo<br />

che stava indicando me perché le facce di tutti gli altri si girarono nella<br />

mia direzione. Mi morsi l'interno del labbro. A darmi noia non era il<br />

trovarmi al centro dell'attenzione, quanto il fatto che ogni volta che<br />

qualcuno si ricordava che ero stata portata via dall'altalena, si ricordava<br />

anche che la stessa cosa sarebbe potuta succedere a chiunque. E io mi<br />

chiedevo quanti chiunque ci volessero prima di aprire la caccia ai lupi.<br />

La caccia al mio lupo.<br />

Sapevo che era quella la vera ragione per cui non riuscivo a perdonare<br />

a Jack di essere morto. Se poi aggiungiamo i suoi sbalzi di umore a<br />

scuola, mi sembrava ipocrita ostentare il lutto come tutti gli altri. Nello<br />

stesso tempo, però, non mi sembrava neppure giusto far finta di niente;<br />

mi sarebbe piaciuto sapere qual era il modo giusto di comportarsi.<br />

«É successo tanto tempo fa» dissi all'Agente Koenig, e lui alla mia<br />

precisazione parve sollevato. «Anni e anni fa. E potrebbero essere stati<br />

dei cani.»<br />

Be', mentivo. Ma chi avrebbe potuto contraddirmi?<br />

«Esatto» disse l'Agente Koenig con enfasi. «Esatto. Non ha senso<br />

diffamare degli animali selvatici per un incidente fortuito. E non ha senso


diffondere il panico quando non si hanno prove certe. Il panico porta<br />

alla negligenza, e la negligenza procura danni.»<br />

Come la pensavo io, né più né meno. Sentii una vaga affinità con<br />

l'Agente Ironia Zero Koenig quando lui riportò il discorso alla carriera<br />

nelle forze dell'ordine. Appena la lezione finì, gli altri ricominciarono a<br />

parlare di Jack; invece io e Olivia fuggimmo verso gli armadietti.<br />

Qualcuno mi tirò i capelli. Mi voltai: era Rachel, che ci guardava con<br />

aria tetra. «Tesorini, questo pomeriggio salta il nostro appuntamento per<br />

organizzare la vacanza. Quella strega della mia matrigna ha imposto una<br />

gita a Duluth, sapete, per rafforzare i legami. Se vuole il mio affetto<br />

dovrà comprarmi delle scarpe nuove. Che ne dite se rimandiamo a<br />

domani o a un altro giorno?»<br />

Non ebbi neppure il tempo di annuire che Rachel scoccò a entrambe<br />

un gran sorriso e si volatilizzò in corridoio.<br />

«Perché non vieni a casa mia?» chiesi a Olivia. Sembrava sempre così<br />

strano doverlo chiedere. Alle medie io, lei e Rachel ci vedevamo ogni<br />

giorno, come in un tacito patto. Che in qualche modo si infranse dopo<br />

che Rachel aveva cominciato a uscire col suo primo ragazzo, lasciando<br />

indietro me e Olivia - io troppo noiosa e lei indifferente - e incrinando<br />

così la nostra serena amicizia.<br />

«Certo» disse Olivia raccogliendo le sue cose, per poi seguirmi in<br />

corridoio. Mi diede un pizzicotto sul gomito. «Guarda.» Indicò Isabel, la<br />

sorella minore di Jack, nostra compagna di classe, che oltre ad avere il<br />

tipico bell'aspetto dei Culpeper possedeva un'angelica chioma di riccioli<br />

biondi. Guidava un SUV bianco e aveva uno di quei chihuahua da<br />

borsetta a cui metteva dei cappottini intonati ai suoi vestiti. Ogni volta<br />

mi chiedevo se si sarebbe mai resa conto che eravamo a Mercy Falls,<br />

Minnesota, dove nessuno faceva quel genere di cose.<br />

Isabel stava fissando l'interno del suo armadietto come se contenesse<br />

altri mondi. Olivia disse: «Non è vestita di nero.»<br />

Isabel si risvegliò dalla trance e ci scoccò un'occhiataccia, come se<br />

avesse capito che stavamo parlando di lei. Distolsi subito lo sguardo, ma<br />

continuai a sentirmi i suoi occhi addosso.


«Forse ha smesso il lutto» dissi, quando fummo abbastanza lontane<br />

perché non potesse sentirci.<br />

Olivia mi aprì la porta. «Forse era l'unica persona che lo portava<br />

davvero.»<br />

Una volta a casa, preparai del caffè con i muffin al mirtillo e ci<br />

sedemmo al tavolo della cucina a guardare le ultime foto di Olivia sotto<br />

la luce gialla. Per Olivia la fotografia era una religione; venerava la sua<br />

macchina fotografica e studiava le tecniche come se fossero<br />

comandamenti di vita. Guardando le sue foto, anch'io ero quasi<br />

propensa a diventare una credente. Olivia ti faceva sentire dentro<br />

l'immagine.<br />

«Era proprio carino. Non puoi dirmi di no» disse.<br />

«Ti riferisci sempre all'Agente Ironia Zero? Che ti succede?» Scossi la<br />

testa e passai alla foto successiva. «Non ti ho mai vista presa da una<br />

persona in carne e ossa.»<br />

Olivia mi fece una boccaccia e si protese verso di me al di sopra della<br />

tazza fumante. Diede un morso al muffin e iniziò a parlare con la bocca<br />

piena, coprendosela per non schizzarmi di briciole. «Mi sa che sto<br />

cominciando a subire il fascino della divisa. Dai, non era carino, secondo<br />

te? Sento... sento la necessità assoluta di avere un ragazzo.<br />

Una sera di queste dovremmo ordinare una pizza. Rachel mi ha detto<br />

che il tipo che le consegna è molto carino.»<br />

Sgranai gli occhi un'altra volta. «Così di botto vuoi un ragazzo?»<br />

Olivia non alzò lo sguardo dalle foto, ma ebbi l'impressione che fosse<br />

molto interessata alla mia risposta. «Tu no?»<br />

Mormorai: «Non so, forse se arriva quello giusto...»<br />

«Come fai a saperlo se non ti guardi attorno?»<br />

«Detto da una che non ha mai avuto il coraggio di parlare con un<br />

ragazzo che non fosse il poster di James Dean...» La mia risposta aveva un<br />

tono più combattivo di quanto intendessi, così, per attenuare l'effetto,


chiusi la frase con una risata. Olivia aggrottò le sopracciglia, ma non disse<br />

niente. Restammo a lungo in silenzio, a guardare le foto.<br />

Mi soffermai su un primo piano di me, Olivia e Rachel; sua madre<br />

l'aveva scattato fuori da scuola, prima che iniziassero le lezioni. Rachel,<br />

con il viso lentigginoso deformato da un sorriso enorme, aveva un<br />

braccio attorno alle spalle di Olivia e l'altro attorno alle mie; sembrava<br />

che ci stesse facendo entrare a forza nell'inquadratura. Come sempre, era<br />

lei la colla che teneva insieme il nostro trio: quella espansiva che faceva<br />

in modo che le due tranquille rimanessero unite nel corso degli anni.<br />

Nella foto, Olivia, con la sua pelle olivastra abbronzata e gli occhi<br />

verde intenso, sembrava appartenere all'estate. Aveva un sorriso<br />

perfetto: i denti che formavano uno spicchio di luna, le fossette e tutto il<br />

resto. Accanto a loro due, io ero la personificazione dell'inverno: capelli<br />

biondo scuro e seri occhi castani; una ragazza dell'estate sbiadita dal<br />

freddo. Una volta pensavo che io e Olivia fossimo molto simili, dato che<br />

eravamo entrambe introverse e quasi sempre sprofondate nei libri. Di<br />

recente però mi ero resa conto che quella reclusione io me l'ero<br />

autoinflitta, mentre Olivia era solo tremendamente timida. Ormai più<br />

tempo passavamo insieme, più sembrava difficile continuare a restare<br />

amiche.<br />

«In quella foto ho la faccia da scema» disse Olivia. «Rachel è una pazza.<br />

E tu sembri furiosa.»<br />

Avevo l'aria di chi non accetta un no come risposta: petulante, quasi.<br />

Mi piaceva. «Non sembri una scema. Sembri una principessa, e io un<br />

orco.»<br />

«Non sembri un orco.»<br />

«Lo dicevo come un vanto» ribattei.<br />

«E Rachel?»<br />

«No, in quello ci hai azzeccato. Sembra proprio una pazza. O almeno<br />

imbottita di caffeina, come al solito.» Diedi un'altra occhiata alla foto.<br />

Rachel era davvero un sole, radioso, sprizzante energia, che reggeva noi<br />

due lune nell'orbita parallela con la sola forza di volontà.


«L'hai vista questa?» Olivia interruppe i miei pensieri per indicare<br />

un'altra foto. Era il mio lupo, immerso nel bosco, seminascosto dietro un<br />

albero. Olivia era riuscita a mettere perfettamente a fuoco una parte del<br />

muso, e i suoi occhi gialli mi guardavano diritto. «Puoi tenerla. Anzi,<br />

tienile tutte. La prossima volta magari mettiamo le migliori in un album.»<br />

«Grazie» risposi, e quel grazie non riusciva a esprimere tutto quello che<br />

sentivo. Indicai la foto. «L'hai fatta la settimana scorsa?»<br />

Olivia annuì. Guardai intensamente la foto del mio lupo; bello da<br />

mozzare il fiato, ma inanimato e banale in confronto a com'era dal vivo.<br />

Passai delicatamente il pollice sulla foto, come se così potessi accarezzare<br />

la sua pelliccia. Sentii una morsa al petto, amara e triste. Sapevo che<br />

Olivia mi stava guardando, e questo servì solo a farmi sentire peggio, più<br />

sola. Un tempo gliene avrei parlato, ma ormai era una faccenda troppo<br />

personale. Era cambiato qualcosa, e quel qualcosa ero io.<br />

Olivia mi porse alcune stampe che aveva tenuto separate dalle altre.<br />

«Questi sono i miei capolavori.»<br />

Le sfogliai lentamente, distratta. Erano notevoli. Una foglia caduta da<br />

un albero che galleggiava su una pozzanghera. Studenti riflessi nei<br />

finestrini di uno scuolabus. Un ritratto in bianco e nero di Olivia sfumato<br />

ad arte. Feci ooh e aah e poi rimisi la foto del lupo in cima al plico, per<br />

guardarla un'altra volta.<br />

Olivia emise una specie di borbottio irritato.<br />

Tornai subito alla foto della foglia che galleggiava sulla pozzanghera.<br />

Mi sforzai di immaginare quello che avrebbe detto mia madre per<br />

commentare un'opera d'arte. Me la cavai con: «Questa mi piace. I colori<br />

sono... fantastici.»<br />

Olivia mi strappò le foto dalle mani e mi scagliò addosso quella del<br />

lupo, con una forza tale che mi rimbalzò sul petto e cadde per terra. «A<br />

volte, Grace, non so perché continuo...»<br />

Non finì la frase, e si limitò a scuotere la testa. Io non capivo. Voleva<br />

che fingessi di apprezzare le altre foto più di quella del mio lupo?<br />

«Ciao! C'è qualcuno in casa?» Era John, il fratello maggiore di Olivia,


che mi stava risparmiando le conseguenze di qualsiasi cosa avessi fatto<br />

per irritare Olivia. Mentre chiudeva la porta d'ingresso mi rivolse un gran<br />

sorriso. «Ehi, bellezza.»<br />

Olivia alzò lo sguardo dal tavolo, e gli scoccò un'occhiata glaciale.<br />

«Spero che tu ti riferisca a me.»<br />

«Certo» disse John, guardandomi. Era di una bellezza convenzionale;<br />

alto, capelli neri come quelli di sua sorella ma, al contrario di lei, aveva il<br />

viso sorridente e amichevole. «Sarebbe di cattivissimo gusto provarci con<br />

la migliore amica della propria sorella, quindi non temere. Ehi, sono già<br />

le quattro. Come vola il tempo quando...» Fece una pausa, e guardò<br />

prima Olivia, china sul tavolo con un plico di foto in mano, e poi me, che<br />

stavo di fronte a lei, con un altro plico. «... non si fa niente. Per non fare<br />

niente non potete stare da sole?»<br />

Olivia sistemò in silenzio il suo plico di foto e poi spiegò: «Siamo<br />

persone introverse. Ci piace non fare niente insieme. Solo chiacchiere.<br />

Niente azione.»<br />

«Sembra interessante. Olive, è meglio andare se non vuoi saltare la<br />

lezione.» Mi diede un pugno leggero sul braccio. «Ehi, perché non vieni<br />

con noi, Grace? I tuoi genitori sono a casa?»<br />

Sbuffai. «Stai scherzando? Mi sto tirando su da sola. In quanto<br />

capofamiglia, il governo dovrebbe darmi un sussidio.» John rise, forse<br />

più di quanto la mia battuta meritasse, e Olivia mi scoccò uno sguardo<br />

impregnato di veleno sufficiente a uccidere un animale di piccola taglia.<br />

Rimasi in silenzio.<br />

«Forza, Olivia» disse John, ignorando le saette che sprizzavano dagli<br />

occhi di sua sorella. «La lezione si paga comunque, che tu ci vada o no.<br />

Vieni con noi, Grace?»<br />

Guardai fuori dalla finestra e per la prima volta da mesi immaginai di<br />

sparire tra gli alberi e correre finché non avessi trovato il mio lupo in un<br />

bosco d'estate. Scossi la testa. «Stavolta passo. Facciamo la prossima?»<br />

John mi rivolse un sorriso incerto. «Certo. Su, Olive. Ciao, bellezza.<br />

Sai chi chiamare quando oltre alle chiacchiere cerchi un po' d'azione.»


Olivia gli scagliò addosso lo zaino, che lo colpì con un sonoro toc. Ma<br />

fu a me che lanciò lo sguardo assassino, come se avessi fatto qualcosa per<br />

incoraggiare John. «Andiamo. Muoviti. Ciao, Grace.»<br />

Li accompagnai alla porta e poi tornai pigramente in cucina. Ad<br />

accompagnarmi c'era una gradevole voce neutra: un annunciatore della<br />

Radio Pubblica descriveva il pezzo di musica classica che avevo appena<br />

ascoltato e ne presentava un altro. Papà aveva lasciato la radio accesa nel<br />

suo studio, che si trovava accanto alla cucina. In un certo senso, i suoni<br />

che in qualche modo indicavano la presenza dei miei genitori non<br />

facevano che rimarcare la loro assenza. Se non avessi preparato qualcosa<br />

per cena, avremmo mangiato fagioli in scatola, così rovistai in frigo e<br />

riscaldai un po' di zuppa avanzata a fuoco lento, in attesa dei miei<br />

genitori.<br />

E lì in piedi in cucina, illuminata dalla luce obliqua del pomeriggio che<br />

filtrava dalla porta della veranda, mi sentii triste, più per la foto di Olivia<br />

che per la casa vuota. Non vedevo il mio lupo in carne e ossa dal giorno<br />

in cui l'avevo toccato, quasi una settimana prima, e pur sapendo che era<br />

assurdo, la sua assenza continuava a provocarmi delle fitte di dolore. Era<br />

stupido che avessi bisogno del suo spettro in fondo al cortile per sentirmi<br />

completa. Era stupido, ma non riuscivo a evitare di pensarlo.<br />

Andai verso la porta sul retro e la aprii, per sentire l'odore del bosco.<br />

Uscii a passi felpati sulla veranda, senza scarpe, e mi appoggiai alla<br />

ringhiera.<br />

Se non fossi uscita, forse non avrei sentito l'urlo.


Capitolo nove • Grace<br />

14 °C<br />

E poi, in lontananza, oltre gli alberi, altre urla. Per un attimo pensai<br />

che fosse un ululato, ma poi prese forma di parole: «Aiuto! Aiuto!»<br />

Avrei giurato che fosse la voce di Jack Culpeper.<br />

Ma era impossibile. Me la stavo solo immaginando, da come me la<br />

ricordavo in mensa, quando fischiava alle ragazze che passavano in<br />

corridoio, riuscendo sempre a trascinarsi dietro una piccola folla di<br />

imitatori.<br />

Eppure seguii il suono della sua voce attraversando di corsa il cortile e<br />

addentrandomi tra gli alberi. Sotto le calze il terreno era umido, e<br />

pungeva; mi sentivo goffa senza le scarpe. Il fragore dei miei passi sulle<br />

foglie cadute e i cespugli aggrovigliati soffocava qualsiasi altro suono. Mi<br />

fermai, in ascolto. La voce non c'era più: era stata rimpiazzata da un<br />

uggiolare chiaramente animale; poi silenzio.<br />

Ormai mi ero allontanata parecchio dalla relativa sicurezza del cortile.<br />

Rimasi ferma per un pezzo, in cerca di un indizio che potesse suggerirmi<br />

il punto da cui era provenuto quel primo urlo. Ero sicura di non<br />

essermelo immaginato.<br />

Ma a parte il silenzio non c'era altro. E in quel silenzio, l'odore del<br />

bosco s'insinuò sottopelle e mi fece pensare a lui. Aghi di pino calpestati<br />

e terra umida e legno bruciato.<br />

Non m'importava se era una cosa idiota. A quel punto, dato che mi<br />

ero spinta così in là nel bosco, addentrarmici ancora un po' non avrebbe<br />

fatto alcuna differenza. Tornai in casa giusto il tempo di mettermi le<br />

scarpe, e poi mi rituffai nella fresca giornata autunnale. La brezza<br />

pungente portava con sé la promessa dell'inverno; il sole però splendeva<br />

alto, e sotto il tetto degli alberi l'aria era tiepida del ricordo dei giorni<br />

caldi ancora così vicini.<br />

Attorno a me, le foglie morivano nei clamori del rosso e<br />

dell'arancione; i corvi conversavano gracchiando, una colonna sonora


spiacevole e troppo forte. Non mi ero mai addentrata così tanto nel<br />

bosco da quando a undici anni mi ero svegliata circondata dai lupi, ma<br />

stranamente non avevo paura.<br />

Avanzavo cauta, evitando i piccoli ruscelli che serpeggiavano nel<br />

sottobosco. Avrebbe dovuto sembrarmi un territorio estraneo, e invece<br />

mi sentivo al sicuro, protetta. Guidata in silenzio come da un bizzarro<br />

sesto senso, seguivo i sentieri battuti più e più volte dai lupi.<br />

Ovviamente sapevo che non si trattava di sesto senso. Ero solo io,<br />

consapevole però delle potenzialità dei miei sensi. E mi abbandonai ad<br />

essi, che si fecero efficaci, acuti. Quando la brezza mi raggiunse,<br />

sembrava che trasportasse tutte le informazioni contenute in una pila di<br />

mappe, dicendomi quali animali erano passati dove e quando. Le mie<br />

orecchie intercettarono suoni che prima erano passati inosservati: il<br />

fruscio di un ramo che un uccello stava usando per costruire il nido, i<br />

passi soffici di un cervo a decine di metri di distanza.<br />

Mi sentivo a casa.<br />

Nel bosco risuonò un grido strano, fuori luogo in quel mondo.<br />

Rallentai, in ascolto. Di nuovo quell'uggiolare, stavolta più forte.<br />

Girai attorno a un albero di pino e arrivai alla fonte di tutti quei<br />

rumori: tre lupi. Erano la lupa bianca e il capobranco nero; appena vidi<br />

la lupa, per l'irritazione mi si attorcigliò lo stomaco. I due si erano lanciati<br />

sopra un terzo lupo, un giovane maschio con il pelo ispido grigio<br />

tendente al blu e una brutta ferita alla spalla, che si stava cicatrizzando.<br />

Gli altri due lupi lo tenevano inchiodato al terreno coperto di foglie, in<br />

segno di dominio; quando mi videro si bloccarono tutti e tre. Il maschio<br />

che stava sotto volse la testa per guardarmi, con occhi supplichevoli. Ebbi<br />

un tuffo al cuore. Conoscevo quegli occhi. Me li ricordavo da scuola. Me<br />

li ricordavo dal notiziario locale.<br />

«Jack?» sussurrai.<br />

Il lupo inchiodato a terra soffiava penosamente dalle narici. Io mi<br />

limitai a fissare quegli occhi. Nocciola. I lupi possono avere gli occhi<br />

nocciola? Forse si. Allora perché avevo la sensazione che qualcosa non<br />

tornasse? Mentre li fissavo c'era una parola che continuava a risuonarmi


in testa: umano, umano, umano.<br />

La lupa ringhiò verso di me e permise all'altro di alzarsi. Balzò subito<br />

al suo fianco, però, e lo spinse lontano da me. Per tutto il tempo tenne<br />

gli occhi fissi nei miei, sfidandomi a fermarla, e qualcosa dentro mi diceva<br />

che forse avrei dovuto provarci. Ma quando i miei pensieri smisero di<br />

vorticare e mi ricordai del coltellino nella tasca dei jeans, i lupi erano già<br />

tre scure macchie lontane.<br />

Ora che non avevo più davanti a me gli occhi del lupo, mi chiesi se la<br />

somiglianza con Jack non fosse solo frutto della mia immaginazione.<br />

Dopotutto erano passate due settimane dall'ultima volta che lo avevo<br />

visto di persona, e non gli avevo mai prestato troppa attenzione. Forse<br />

non mi ricordavo bene il suo sguardo. E poi che cosa mi era saltato in<br />

mente? Che si fosse trasformato in lupo?<br />

Feci un respiro profondo. In realtà era proprio quello che mi stava<br />

passando per la testa. Ero sicura di non aver dimenticato gli occhi di Jack.<br />

E neppure la sua voce. E non mi ero immaginata l'urlo umano né il<br />

lamento disperato. Sapevo che quello era Jack così come avevo trovato<br />

la strada attraverso il bosco.<br />

Avevo un nodo allo stomaco. Tensione. Presentimento. Ero sicura che<br />

Jack non fosse l'unico segreto nascosto nella foresta.<br />

Quella notte ero sdraiata nel letto a fissare la finestra; avevo lasciato le<br />

veneziane sollevate in modo da vedere il cielo notturno. Le migliaia di<br />

stelle luminose mi perforavano i sensi, ed ero tormentata dal desiderio.<br />

Avrei potuto rimanere a fissare le stelle per ore; sembravano infinite, e il<br />

modo intenso con cui brillavano sollecitava quella parte di me che<br />

durante il giorno ignoravo.<br />

Fuori, nel profondo del bosco, sentii un gemito forte e lungo, seguito<br />

poi da un altro, quando i lupi iniziarono a ululare. Si aggiunsero altre<br />

voci, alcune basse e cantilenanti, alcune alte e brevi, un coro bellissimo e<br />

sinistro. Riconobbi l'ululato del mio lupo: il suo tono corposo si ergeva<br />

sopra gli altri, come se mi implorasse di ascoltarlo.


Il cuore mi faceva male, perché da un lato voleva che la smettessero e<br />

dall'altro che continuassero per sempre. Mi immaginavo insieme a loro<br />

nel bosco dorato, a guardarli reclinare la testa e ululare sotto un cielo di<br />

stelle infinite. Scacciai una lacrima, sentendomi stupida e infelice, ma non<br />

mi addormentai prima che ogni singolo lupo non smise di ululare.


Capitolo dieci • Grace<br />

15 °C<br />

«Secondo te è meglio se ci portiamo il libro a casa? Dico Scoprire il<br />

proprio coraggio, o quello che è» chiesi a Olivia. «O posso lasciarlo qui?»<br />

Lei chiuse l'armadietto con forza, le braccia piene di libri. Portava gli<br />

occhiali da vista, con una catenella fissata alle stanghette in modo da<br />

tenerli appesi al collo. Le davano quell'aria affascinante da topo di<br />

biblioteca. «Sono un mucchio di pagine. Io lo prendo.»<br />

Tornai al mio armadietto e presi il libro di testo. C'era un gran chiasso<br />

in corridoio, con tutti quegli studenti che si preparavano a tornare a casa.<br />

Era dal mattino che cercavo il coraggio per parlare con Olivia della<br />

faccenda dei lupi. Di solito non ci sarebbe stato bisogno di rifletterci<br />

tanto, ma dopo il mezzo litigio del giorno prima non riuscivo a trovare il<br />

momento giusto. E ormai non c'era quasi più tempo. Trassi un respiro<br />

profondo. «Ieri ho visto i lupi.»<br />

Olivia sfogliò il libro in cima alla sua pila, senza rendersi conto di<br />

quanto fosse importante la mia confessione. «Quali?»<br />

«La femmina cattiva, il lupo nero e uno nuovo.» Continuavo a<br />

chiedermi se fosse il caso di dirglielo. All'argomento era di gran lunga più<br />

interessata lei che Rachel, e non sapevo con chi altri parlarne. Anche<br />

dentro la mia testa quelle parole suonavano assurde. Ma dalla sera prima<br />

il segreto mi si era stretto attorno al petto e alla gola. Lasciai che le parole<br />

si rovesciassero fuori, la voce ridotta a un mormorio. «Olivia, so che<br />

sembrerà stupido. Il lupo nuovo... credo che sia successo qualcosa<br />

quando i lupi hanno attaccato Jack.»<br />

Lei si limitò a fissarmi.<br />

«Jack Culpeper» dissi.<br />

«So di chi parli.» Olivia guardò accigliata verso il suo armadietto. Le<br />

sue sopracciglia aggrottate mi fecero pentire di aver avviato quella<br />

conversazione. Sospirai. «Credo di averlo visto nel bosco. Jack. In forma<br />

di...» esitai.


«Lupo?» Olivia batté i talloni - non conoscevo nessun altro che lo<br />

facesse, fuori dal Mago di Oz - e fece un mezzo giro per scrutarmi con un<br />

sopracciglio alzato. «Tu sei pazza.» Con tutta quella calca di studenti in<br />

corridoio quasi non riuscivo a sentirla. «Voglio dire, è una bella<br />

fantasticheria e capisco perché tu voglia crederci, ma sei pazza. Mi<br />

spiace.»<br />

Mi feci più vicina, sebbene in corridoio ci fosse così tanto fracasso che<br />

io stessa non riuscivo a capire bene cosa stavamo dicendo. «Olive, sono<br />

sicura di quello che ho visto. Erano gli occhi di Jack. Era la sua voce.»<br />

Ovviamente i dubbi di Olivia facevano dubitare anche me, ma non<br />

avevo intenzione di ammetterlo. «Credo che i lupi l'abbiano trasformato<br />

in uno di loro. Aspetta... cosa intendi quando dici che voglio crederci?»<br />

Olivia mi lanciò un lungo sguardo prima di incamminarsi verso l'aula.<br />

«Grace, sul serio, credi che non sappia di cosa si tratta?»<br />

«E di cosa si tratta, allora?»<br />

Mi rispose con un'altra domanda. «Quindi sono tutti licantropi?»<br />

«Cosa? L'intero branco? Non lo so. Non ci avevo pensato.» Non<br />

l'avevo preso in considerazione. Avrei dovuto, ma non l'avevo fatto.<br />

Quelle lunghe assenze si spiegavano col fatto che il mio lupo riprendeva<br />

sembianze umane? Quell'idea divenne subito insopportabile, ma solo<br />

perché volevo che fosse vera così disperatamente da starne male.<br />

«Certo, non ci avevi pensato... Non credi che quest'ossessione stia<br />

diventando un tantino morbosa, Grace?»<br />

«Non sono ossessionata» risposi, più sulla difensiva di quanto<br />

intendessi.<br />

Gli altri ci lanciarono sguardi infastiditi quando Olivia si bloccò in<br />

mezzo al corridoio e si portò un dito al mento. «Mmm, è l'unica cosa a<br />

cui pensi, è l'unica cosa di cui parli e l'unica cosa di cui vuoi che gli altri<br />

parlino. Come si potrebbe chiamare? Trovato: ossessione!»<br />

«Il mio è solo interesse» sbottai. «E pensavo che anche tu fossi<br />

interessata.»<br />

«Io sono interessata a loro. Ma non sono divorata, coinvolta, eccetera


eccetera da questo interesse. Non sogno di essere una di loro.» Dietro gli<br />

occhiali da vista i suoi occhi erano ridotti a due fessure. «Non abbiamo<br />

più tredici anni, ma sembra che tu ancora non te ne sia resa conto.»<br />

Non dissi niente. Pensavo che fosse molto ingiusta, ma non mi andava<br />

di dirglielo. Non volevo dirle niente. Volevo andare via e mollarla lì, in<br />

mezzo al corridoio. Ma non lo feci. Anzi, mantenni un tono di voce<br />

incredibilmente neutro e inalterato. «Mi dispiace di averti annoiata per<br />

tutto questo tempo. Ti sarà costato molto, fingere interesse.»<br />

Olivia fece una smorfia. «Parlo sul serio, Grace. Non voglio fare la<br />

stronza, ma tu stai diventando impossibile.»<br />

«No, mi stai solo dicendo che ho un'ossessione morbosa per qualcosa<br />

che considero importante. É molto...» - la parola che cercavo ci mise<br />

troppo tempo ad affacciarsi nella mia mente e rovinò l'effetto - «...<br />

filantropico da parte tua. Grazie dell'aiuto.»<br />

«Oh, smettila» sbottò Olivia, e si allontanò.<br />

Il corridoio parve troppo silenzioso dopo che se ne fu andata; avevo<br />

le guance in fiamme. Invece di tornare diritto a casa mi trascinai verso<br />

l'aula vuota e mi accasciai su una sedia, con la testa tra le mani. Non<br />

sapevo quand'era stata l'ultima volta che avevo litigato con Olivia.<br />

Avevo guardato ogni singola foto che aveva scattato, mi ero sorbita gli<br />

sfoghi infiniti contro la sua famiglia che la voleva veder primeggiare a<br />

tutti i costi. Doveva almeno ascoltare tutto quello che avevo da dire. Era<br />

il minimo.<br />

I miei pensieri vennero messi a tacere dal cic ciac di un paio di zeppe<br />

che avanzavano nella stanza. La fragranza di un profumo costoso mi<br />

raggiunse un secondo prima che alzassi gli occhi e vedessi Isabel Culpeper<br />

sporgersi sul mio banco.<br />

«Ho sentito che ieri con quel poliziotto avete parlato di lupi.» La voce<br />

di Isabel era affabile, ma l'espressione dei suoi occhi ne tradiva il tono<br />

inquisitorio. Tutta la compassione che avevo provato nel vederla svanì<br />

di colpo alle sue parole. «Ti voglio concedere il beneficio del dubbio,<br />

dando per buono che tu sia semplicemente male informata e non una<br />

deficiente totale. Ho sentito che vai in giro a dire che i lupi non sono un


problema. Forse non hai sentito le ultime notizie: quegli animali hanno<br />

ucciso mio fratello.»<br />

«Mi dispiace molto per Jack» dissi, prendendo automaticamente le<br />

difese del mio lupo. Per un attimo pensai agli occhi di Jack e a che cosa<br />

avrebbe significato per Isabel una rivelazione del genere, ma accantonai<br />

l'idea quasi subito. Se già Olivia mi riteneva pazza perché credevo ai lupi<br />

mannari, Isabel con molta probabilità avrebbe telefonato al manicomio<br />

più vicino senza neppure lasciarmi il tempo di terminare la frase.<br />

«Chiudi. La. Bocca.» Isabel interruppe i miei pensieri. «So che mi dirai<br />

che i lupi non sono pericolosi. Invece è ovvio che lo sono. Ed è ovvio che<br />

qualcuno dovrà prendere dei provvedimenti.»<br />

Ripensai ai discorsi che avevamo fatto in classe: Tom Culpeper e i suoi<br />

animali imbalsamati. Immaginai il mio lupo imbalsamato, con gli occhi di<br />

vetro. «Non è detto che siano stati i lupi. Potrebbe...» mi fermai. Sapevo<br />

che erano stati i lupi. «Ascolta, quello che è successo è tremendo. Ma<br />

potrebbe essere stato un lupo soltanto. É probabile che il resto del<br />

branco non abbia niente a che fare con...»<br />

«Com'è bella l'obiettività» sbottò Isabel. Si limitò a fissarmi per un<br />

lungo istante. Abbastanza lungo perché mi chiedessi a che cosa stava<br />

pensando. E poi disse: «Ti conviene farla finita alla svelta col tuo amore<br />

per i lupi stile Greenpeace, perché fra poco non se ne vedranno più in<br />

giro, che ti piaccia o no.»<br />

La mia voce era tesa. «Perché mi stai dicendo questo?»<br />

«Sono stufa di sentirti dire che sono innocui. Lo hanno ucciso. Ma sai<br />

una cosa? Ormai è finita. Oggi.» Isabel picchiettò un dito sul banco.<br />

«Addio.»<br />

Prima che potesse andarsene le afferrai il polso; riuscii solo ad<br />

appendermi a una manciata di grossi braccialetti. «Cosa intendi dire?»<br />

Isabel fissò la mia mano sul suo polso, ma non si ritrasse. Voleva che<br />

glielo chiedessi. «Quello che è successo a Jack non succederà mai più.<br />

Uccideranno i lupi. Oggi. Adesso.»<br />

Si sottrasse alla mia presa, che ormai si era allentata, e uscì in silenzio


dall'aula.<br />

Rimasi per un istante seduta al banco, con le guance che scottavano, a<br />

smontare e rimontare le sue parole.<br />

E poi balzai dalla sedia, e i miei appunti svolazzarono sul pavimento<br />

come uccelli indolenti. Li lasciai lì e corsi verso la macchina.<br />

Quando scivolai dietro il volante ero senza fiato, e le parole di Isabel<br />

continuavano a risuonarmi in testa. Non avevo mai pensato ai lupi come<br />

a esseri vulnerabili, ma una volta cominciato a immaginare di che cosa<br />

fosse capace un avvocato di provincia dall'ego smisurato come Tom<br />

Culpeper - alimentato da rabbia e dolore repressi, per non parlare della<br />

ricchezza e del potere - i lupi d'improvviso mi sembrarono terribilmente<br />

fragili.<br />

Infilai la chiave nel blocchetto dell'accensione e l'auto si ridestò con<br />

riluttanza. Avevo davanti agli occhi la linea gialla degli scuolabus fermi<br />

sul cordolo del marciapiede e i crocchi di studenti chiassosi ancora<br />

ammassati sul marciapiede, ma con la mente vedevo già le linee bianco<br />

gesso delle betulle dietro casa mia. Una squadra di cacciatori stava<br />

inseguendo i miei lupi? In quel preciso istante?<br />

Dovevo tornare a casa.<br />

La macchina si bloccò: il mio piede era incerto sulla frizione<br />

inaffidabile.<br />

«Dio» dissi, guardandomi in giro per capire quante persone avessero<br />

visto la mia macchina rantolare fino a fermarsi. Ultimamente non era<br />

così raro che si spegnesse, dato che il sensore del calore stava andando in<br />

panne, ma di solito riuscivo a giocare di frizione e a partire senza sentirmi<br />

troppo umiliata. Mi morsi il labbro, mi feci forza e riuscii a rimetterla in<br />

moto.<br />

Per tornare a casa potevo scegliere tra due strade. Una era più corta<br />

ma prevedeva semafori e segnali di stop: impossibile, ero troppo<br />

distratta per coccolare la mia macchina. Non c'era tempo per tutte quelle<br />

fermate. L'altra strada era un po' più lunga ma con due soli stop. E poi


correva lungo il limitare di Boundary Wood, dove vivevano i miei lupi.<br />

Mentre guidavo, spingendo la macchina al limite, ero un tale fascio di<br />

nervi che mi si contorceva lo stomaco. Il motore vibrò in maniera<br />

preoccupante. Diedi un'occhiata al quadrante di controllo; iniziava a<br />

surriscaldarsi. Stupida macchina. Se soltanto mio padre mi avesse portato<br />

dalla concessionaria, come mi aveva promesso.<br />

Intanto all'orizzonte il sole cominciava a bruciare di un rosso acceso,<br />

trasformando le nuvole sottili sopra gli alberi in strisce di sangue. Nelle<br />

orecchie mi rimbombavano i battiti del cuore e la pelle mi pizzicava,<br />

elettrizzata. Ogni particella del mio corpo gridava che qualcosa non<br />

andava. Non sapevo se a infastidirmi di più fossero i nervi che mi<br />

facevano tremare le mani o il bisogno di stringere le labbra e combattere.<br />

Più in là, avvistai una fila di pick-up parcheggiati sul ciglio della strada.<br />

I quattro fanalini brillavano nella luce calante e illuminavano a macchie<br />

gli alberi vicini. Una sagoma si sporse dall'ultimo pick-up della fila; aveva<br />

qualcosa in mano. Da quella distanza non riuscivo a capire cos'era. Sentii<br />

un'altra stretta allo stomaco, e appena mollai un filo l'acceleratore la<br />

macchina boccheggiò e si spense, facendomi procedere a motore spento<br />

in un silenzio inquietante.<br />

Girai la chiave ma un po' per il fatto che mi tremavano le mani, e un<br />

po' per via della spia rossa che brillava sul quadrante della ventola, il<br />

motore si limitò a vibrare sotto il cofano, senza avviarsi. Perché non ero<br />

andata da sola alla concessionaria? Avevo il libretto degli assegni di mio<br />

padre.<br />

Brontolando sottovoce, frenai e lasciai che la macchina avanzasse per<br />

inerzia fino a fermarsi dietro i pick-up. Chiamai col cellulare lo studio<br />

della mamma, ma il telefono squillò a vuoto: forse era già uscita per<br />

andare all'inaugurazione della mostra. Non ero preoccupata di come<br />

avrei fatto a tornare casa; era abbastanza vicina da poterla raggiungere a<br />

piedi. Quello che mi preoccupava erano i pick-up. Perché voleva dire che<br />

Isabel aveva detto la verità.<br />

Smontai a bordo strada e riconobbi il ragazzo accanto al pick-up in<br />

testa alla fila. Era l'Agente Koenig, in borghese, e tamburellava con le dita


sul cofano. Quando mi avvicinai, con lo stomaco che ancora ribolliva, lui<br />

alzò lo sguardo e smise di tamburellare. Aveva un berretto arancio vivo<br />

e un fucile da caccia nell'incavo del braccio.<br />

«Problemi con la macchina?» chiese.<br />

Mi voltai bruscamente non appena sentii sbattere una portiera. Si era<br />

fermato un altro pick-up, ora, e due cacciatori con un berretto arancione<br />

si avviarono lungo la strada. Guardai davanti a loro per capire dov'erano<br />

diretti, e il respiro mi si spezzò in gola. Decine di cacciatori erano<br />

ammassati sul ciglio della strada, tutti armati, visibilmente agitati, e<br />

parlavano con voci smorzate. Poco oltre, in una macchia di alberi<br />

indistinti oltre una fossa poco profonda, altri berretti arancione<br />

punteggiavano il bosco. Lo avevano infestato.<br />

La caccia era già cominciata.<br />

Mi volsi verso Koenig e indicai il fucile. «È per i lupi?»<br />

Koenig lo guardò come se nel frattempo si fosse dimenticato di lui.<br />

«É...»<br />

Sentimmo una forte esplosione alle sue spalle; entrambi sussultammo.<br />

Dal gruppo in fondo alla strada partirono degli applausi.<br />

«Cos'è stato?» chiesi. Ma lo sapevo già. Uno sparo. A Boundary<br />

Wood. La mia voce era ferma, con mia enorme sorpresa. «Stanno dando<br />

la caccia ai lupi, vero?»<br />

«Con tutto il dovuto rispetto» disse Koenig, «penso che dovresti<br />

aspettare in macchina. Posso darti un passaggio a casa ma devi aspettare<br />

un pochino.»<br />

In lontananza si sentirono delle urla e, ancora più lontano, un altro<br />

sparo. Dio. I lupi. Il mio lupo. Afferrai il braccio di Koenig. «Deve dire<br />

loro di fermarsi! Non possono sparare in quella zona.»<br />

Koenig indietreggiò, liberando il braccio dalla mia presa. «Ehi...»<br />

E poi un altro pop, lontano, piccolo e insignificante. Nella mente mi si<br />

formò un'immagine nitida di un lupo che rotolava, rotolava, con un<br />

grosso buco nel fianco, gli occhi spenti. Non riflettei. Le parole uscirono


da sole. «Prenda il telefono. Deve chiamarli e dire di fermarsi. C'è una<br />

mia amica lì! Questo pomeriggio andava a scattare delle foto. Nel bosco.<br />

Vi prego, dovete chiamarli.»<br />

«Cosa?» Koenig raggelò. «C'è qualcuno laggiù? Sei sicura?»<br />

«Sì» dissi, perché ne ero sicura. «Per favore, li chiami!»<br />

Dio benedica l'Agente Koenig e la sua mancanza di umorismo perché<br />

non mi chiese altri dettagli. Sfilò il cellulare di tasca, digitò un numero<br />

diretto e si portò il telefono all'orecchio. Le sue sopracciglia formarono<br />

una linea diritta e marcata e dopo un secondo allontanò il cellulare e<br />

fissò il display. «Non c'è campo» mormorò, e provò un'altra volta. Io<br />

rimasi accanto al pick-up, con le braccia incrociate sul petto e il freddo<br />

che mi penetrava nelle ossa, a guardare il grigio crepuscolo invadere la<br />

strada mentre il sole scompariva dietro gli alberi. Avrebbero dovuto<br />

fermarsi, una volta buio. Per come la vedevo io, il fatto che avessero un<br />

poliziotto di guardia non voleva per forza dire che quello che stavano<br />

facendo era legale.<br />

Koenig fissò un'altra volta il telefono e scosse la testa. «Non funziona.<br />

Aspetta. Stai tranquilla, andrà tutto bene... stanno attenti... sono sicuro<br />

che non sparerebbero a una persona. Ma andrò ad avvertirli. Lascia che<br />

metta via il fucile. Ci vorrà un attimo.»<br />

Quando si voltò per riporre il fucile nel pick-up, dal bosco sentimmo<br />

provenire un altro sparo, e qualcosa dentro di me si accartocciò. Non<br />

potevo più aspettare. Saltai il fosso e mi inerpicai su per il bosco,<br />

lasciando indietro Koenig. Lo sentii chiamarmi, ma ormai ero già<br />

lontana. Dovevo fermarli, avvertire il mio lupo, fare qualcosa.<br />

Ma mentre correvo, scivolando di albero in albero e saltando sopra i<br />

rami caduti, l'unica cosa che pensavo era: É troppo tardi.


Capitolo undici • Sam<br />

10 °C<br />

Correvamo. Silenziosi, come gocce d'acqua nere, ci precipitavamo sui<br />

rovi e passavamo dietro gli alberi, mentre gli uomini che ci davano la<br />

caccia, inseguendoci, ci costringevano ad andare dove volevano loro.<br />

Il bosco che conoscevo, il bosco che mi proteggeva, adesso era<br />

perforato dal loro odore pungente e dalle loro grida. Mi muovevo<br />

confusamente in mezzo agli altri lupi, ora in testa al gruppo ora in coda,<br />

per fare in modo che restassimo uniti. Gli alberi caduti e la boscaglia mi<br />

sembravano estranei sotto le zampe; per non inciampare mi libravo in<br />

volo, con balzi lunghi e interminabili, senza quasi toccare terra.<br />

Era terrificante non sapere dove mi trovassi.<br />

Tra di noi ci scambiavamo semplici immagini nel nostro futile<br />

linguaggio privo di parole: sagome scure alle nostre spalle, sagome<br />

sormontate da segnali luminosi di pericolo; lupi freddi, immobili; odore<br />

di morte nelle narici.<br />

Fui assordato da una detonazione, che mi scosse al punto da farmi<br />

perdere l'equilibrio. Sentii uggiolare accanto a me. Sapevo di quale lupo<br />

si trattava prima ancora di voltarmi. Non c'era tempo per fermarsi; ma<br />

anche se ce ne fosse stato, ormai non c'era comunque più niente da fare.<br />

Un nuovo odore mi arrivò alle narici: terra in putrefazione e acqua<br />

stagnante. Il lago. Ci stavano spingendo al lago. Nella mia mente si<br />

formò un'immagine ben precisa, nello stesso istante in cui si formò nella<br />

mente di Paul, il capobranco. Il bordo frastagliato con l'acqua calma,<br />

abeti sottili che crescevano radi sul suolo sterile, il lago che si estendeva<br />

all'infinito in entrambe le direzioni.<br />

Un branco di lupi, accalcati sulla sponda. Nessuna via di fuga.<br />

Eravamo noi le prede, stavolta. Sfilammo davanti a loro, fantasmi nel<br />

bosco, destinati a cadere, che lottassimo o no.<br />

Gli altri continuarono a correre, verso il lago.


Io invece mi fermai.


Capitolo dodici • Grace<br />

9 °C<br />

Non era il bosco che avevo attraversato soltanto pochi giorni prima,<br />

dipinto di tutti i colori vividi dell'autunno. Questo era un bosco fitto,<br />

composto da migliaia di tronchi scuri anneriti dal crepuscolo. Il sesto<br />

senso che avevo creduto mi facesse da guida era svanito; i sentieri noti<br />

erano stati distrutti dall'incedere pesante dei cacciatori col berretto<br />

arancione. Ero disorientata; dovevo fermarmi di continuo ad ascoltare le<br />

grida e i passi lontani sulle foglie secche.<br />

Quando vidi il primo berretto arancione brillare in lontananza sotto<br />

la luce crepuscolare, ormai sentivo i polmoni in fiamme. Gridai, ma il<br />

berretto non si voltò neppure; era troppo lontano per potermi sentire. E<br />

poi vidi gli altri: puntini arancioni sparsi per il bosco che si muovevano<br />

lenti, inesorabili, nella stessa direzione. Facendo un rumore assordante. E<br />

costringendo i lupi ad andare avanti.<br />

«Fermi!» gridai. Dal punto in cui ero, riuscivo a vedere la sagoma del<br />

cacciatore più vicino, col fucile in mano. Cercai di avvicinarmi ancora,<br />

anche se le mie gambe protestavano, e per la stanchezza incespicai un<br />

po'.<br />

Lui smise di camminare e si voltò, sorpreso, per poi aspettare che lo<br />

raggiungessi. Dovetti avvicinarmi molto per vederlo in faccia; in quella<br />

foresta era già quasi notte.<br />

Il suo viso, più anziano e rugoso, mi sembrava vagamente familiare,<br />

anche se non riuscivo a ricordare dove l'avessi visto. Il cacciatore mi<br />

lanciò un'occhiata stranamente corrucciata; pensai che avesse l'aria<br />

colpevole, ma forse era una mia impressione. «E tu che ci fai qui?»<br />

Iniziai a parlare prima di accorgermi che, non avendo più fiato, le<br />

parole stentavano a uscire. Passarono alcuni secondi mentre lottavo per<br />

ritrovare la voce. «Dovete... fermarvi. C'è una mia amica nel bosco.<br />

Doveva venire a scattare delle foto.»<br />

Il cacciatore mi guardò con sospetto, e poi scoccò uno sguardo al


osco che stava diventando buio. «Adesso?»<br />

«Sì, adesso!» dissi, cercando di non essere brusca. Poi vidi che aveva<br />

una scatola nera appesa alla cintura, un walkie-talkie. «Deve chiamare gli<br />

altri e dire loro di fermarsi. É quasi buio. Come faranno a vederla?»<br />

Il cacciatore mi fissò per un lungo, straziante momento prima di<br />

annuire. Allungò la mano verso il walkie-talkie, lo staccò dalla cintura, lo<br />

sollevò e lo portò alla bocca. Sembrava che ogni suo movimento fosse<br />

rallentato.<br />

«Si sbrighi!» L'ansia mi attraversò il corpo, provocandomi una fitta di<br />

dolore fisico.<br />

Il cacciatore pigiò il bottone del walkie-talkie per parlare.<br />

E d'un tratto, non troppo lontano da noi, esplose una raffica di spari.<br />

Non erano dei piccoli schiocchi come quelli che avevo sentito sul ciglio<br />

della strada, ma fuochi d'artificio crepitanti, inequivocabili colpi di fucile.<br />

Mi rimbombarono nelle orecchie.<br />

Mi sembrava di essere in qualche strano modo totalmente distaccata,<br />

come se fossi scivolata fuori dal mio corpo. E così mi sentivo le ginocchia<br />

deboli e tremanti senza capire perché, e il cuore che batteva<br />

all'impazzata, e vidi gocce rosse davanti agli occhi, come un sogno tinto<br />

di porpora. Come un incubo ferocemente vivido di morte.<br />

In bocca avevo un sapore metallico così intenso che mi toccai le<br />

labbra, sicura che vi avrei trovato del sangue. Ma non c'era niente.<br />

Nessun dolore. Pura e semplice assenza di emozioni.<br />

«Nel bosco c'è qualcuno» disse il cacciatore nel walkie-talkie, come se<br />

non riuscisse a vedere che una parte di me stava morendo.<br />

Il mio lupo. Il mio lupo. Non pensavo che ai suoi occhi.<br />

«Ehi!» Era una voce più giovane di quella del cacciatore, e la mano che<br />

mi afferrò la spalla era salda. Koenig disse: «Cosa credevi di fare,<br />

scappando via in quel modo? Qui c'è gente armata.»<br />

Prima che potessi replicare, Koenig si voltò verso il cacciatore. «Ho<br />

sentito quegli spari. E sono abbastanza sicuro che li abbiano sentiti anche


tutti gli abitanti di Mercy Falls. Farlo è una cosa» - indicò il fucile che il<br />

cacciatore aveva in mano - «ma pavoneggiarsi è un'altra.» Feci per<br />

sottrarmi alla presa di Koenig, che di riflesso strinse più forte, e poi,<br />

quando si accorse di quello che stava facendo, mi lasciò andare. «Ti ho<br />

visto a scuola. Come ti chiami?»<br />

«Grace Brisbane.»<br />

Negli occhi del cacciatore si accese una luce. «La figlia di Lewis<br />

Brisbane?»<br />

Koenig lo guardò.<br />

«La casa dei Brisbane è laggiù. Ai confini del bosco.» Il cacciatore<br />

indicò verso casa mia, invisibile dietro un viluppo nero di alberi.<br />

Koenig non si lasciò sfuggire il senso dell'informazione. «Ti scorto a<br />

casa e poi torno a vedere se hanno trovato<br />

la tua amica. Ralph, usa quest'aggeggio per dire agli altri che la<br />

smettano di sparare a casaccio.»<br />

«Non ho bisogno della scorta» dissi, ma Koenig mi seguì comunque,<br />

lasciando Ralph, il cacciatore, a parlare nel walkie-talkie. L'aria frizzante<br />

iniziava a pizzicarmi le guance, perché non appena il sole spariva, calava<br />

subito il freddo della sera. Ero gelata dentro quanto fuori. Vedevo<br />

ancora la tenda rossa calarmi sugli occhi e sentivo il crepitio degli spari.<br />

Il mio lupo era laggiù, ne ero certissima.<br />

Poco prima di uscire dal bosco mi fermai a guardare il vetro nero della<br />

porta che dava sulla veranda. La casa intera sembrava immersa<br />

nell'ombra, disabitata, e Koenig aveva una voce titubante quando disse:<br />

«Vuoi che...»<br />

«Da qui posso farcela da sola. Grazie.»<br />

Aspettò finché non entrai nel cortile, e poi lo sentii ripercorrere a passi<br />

pesanti il sentiero da dove eravamo venuti. Per un lungo istante rimasi<br />

nel crepuscolo silenzioso ad ascoltare le voci lontane del bosco e il vento<br />

che agitava le foglie secche degli alberi.<br />

E mentre ero ferma lì, in quello che credevo fosse silenzio, iniziai a


cogliere suoni che prima non avevo sentito. Il fruscio degli animali nel<br />

bosco, che rivoltavano le foglie croccanti con le loro zampe. Il rombo<br />

distante dei camion sull'autostrada.<br />

Il suono di un respiro veloce, irregolare.<br />

Mi bloccai. Trattenni il respiro.<br />

Quei respiri non erano i miei.<br />

Seguii il suono, salendo cauta sulla veranda, dolorosamente<br />

consapevole del suono di ogni gradino che gemeva sotto il mio peso.<br />

Prima ancora di vederlo riconobbi il suo odore; i miei battiti<br />

accelerarono subito. Il mio lupo. Poi la luce automatica si accese e<br />

inondò la veranda di giallo. Ed eccolo lì, mezzo seduto, mezzo disteso<br />

contro la porta a vetri.<br />

Il respiro mi si bloccò in gola, doloroso come una spina, mentre mi<br />

avvicinavo titubante. La sua bellissima gorgiera era sparita e lui era nudo,<br />

ma sapevo che era il mio lupo ancora prima che aprisse gli occhi. I suoi<br />

pallidi occhi gialli, così familiari, si aprirono di scatto al rumore dei miei<br />

passi, ma lui non si mosse. Era imbrattato di rosso dalle orecchie alle<br />

spalle desolatamente umane: una mortale pittura di guerra.<br />

Non so spiegare come facevo a sapere che era lui, ma non ebbi il<br />

minimo dubbio.<br />

I lupi mannari non esistono.<br />

Anche se avevo detto a Olivia di aver visto Jack, non ci avevo creduto<br />

sul serio. Non così.<br />

La brezza mi portò di nuovo il suo odore, che mi atterrì. Sangue.<br />

Stavo perdendo tempo.<br />

Presi le chiavi e mi protesi sopra di lui per aprire la porta. Troppo tardi<br />

lo vidi che allungava una mano, come se volesse afferrare l'aria, e cadere<br />

di schianto dentro la porta aperta, lasciando una striatura rossa sul vetro.<br />

«Scusa!» dissi. Non ero sicura che mi avesse sentito. Lo scavalcai, corsi<br />

in cucina e accesi tutte le luci. Presi una manciata di strofinacci da un<br />

cassetto; nel frattempo notai che le chiavi della macchina di mio padre


erano gettate con negligenza sul bancone, accanto a una pila di<br />

documenti. Quindi se fosse stato necessario avrei potuto prendere la sua<br />

macchina.<br />

Corsi di nuovo alla porta. Avevo paura che dandogli le spalle il<br />

ragazzo potesse scomparire, come se fosse soltanto frutto della mia<br />

immaginazione. Invece non si era mosso. Era per metà dentro casa e per<br />

metà fuori, e tremava forte.<br />

Senza riflettere lo afferrai da sotto le ascelle e lo trascinai dentro<br />

abbastanza da poter chiudere la porta. Sotto la luce del bancone, col<br />

sangue che aveva tracciato una scia sul pavimento, sembrava<br />

tremendamente reale.<br />

Mi accovacciai rapida. La mia voce era appena un sussurro. «Cos'è<br />

successo?» Conoscevo la risposta, ma volevo sentire la sua voce.<br />

Teneva la mano premuta così forte sul collo che aveva le nocche<br />

bianche; il sangue gli scivolava tra le dita. «Colpito.»<br />

Mi si strinse lo stomaco, e non per quello che aveva detto, ma per la<br />

sua voce. Era lui. Parole umane, non un ululato, ma il timbro era lo<br />

stesso. Era lui. «Fammi vedere.»<br />

Dovetti staccargli a forza le dita dal collo. C'era troppo sangue per<br />

vedere la ferita, così premetti uno degli strofinacci sul lago rosso che si<br />

estendeva dal mento fino alla clavicola. Era ben al di là delle mie capacità<br />

di pronto soccorso. «Reggi questo.» I suoi occhi guizzavano su di me,<br />

familiari ma anche impalpabilmente diversi. Il suo stato selvatico era<br />

temperato da una capacità d'intendere che prima non c'era.<br />

«Non voglio tornare indietro.» Il dolore che traspariva dalle sue<br />

parole mi fece riemergere all'istante un ricordo: quello di un lupo<br />

davanti a me, in doloroso silenzio. Il corpo del ragazzo sussultò, un<br />

movimento strano e innaturale che faceva male a pensarci. «Aiu...<br />

aiutami a non trasformarmi.»<br />

Stesi sul suo corpo un secondo strofinaccio, più grande, per coprirgli al<br />

meglio la pelle d'oca. In un'altra circostanza la sua nudità mi avrebbe<br />

messo in imbarazzo, ma in quel momento, con la pelle imbrattata di


sangue e sporcizia, non faceva altro che rendere più penosa la sua<br />

condizione. Cercai di parlare dolcemente, temendo che potesse fare un<br />

balzo e scappare. «Come ti chiami?»<br />

Emise un debole gemito; con mano tremante, si premette lo<br />

strofinaccio sul collo, e una sottile scia rossa scivolò lungo la mascella e<br />

colò fino al pavimento. Lui si abbassò piano piano fino a terra e posò la<br />

guancia contro il legno, appannandone la superficie lucida con il fiato.<br />

«Sam.»<br />

Chiuse gli occhi.<br />

«Sam» ripetei. «Io mi chiamo Grace. Adesso prendo la macchina di mio<br />

padre. Devo portarti all'ospedale.»<br />

Lui riprese a tremare. Dovetti abbassarmi parecchio per sentire la sua<br />

voce. «Grace... Grace, io...»<br />

Gli diedi un secondo perché finisse la frase. Non lo fece, così scattai in<br />

piedi e afferrai le chiavi sul bancone. Stentavo a credere che non fosse<br />

tutto frutto della mia immaginazione: anni di preghiere avevano<br />

trasformato quel sogno in realtà. Ma qualunque cosa fosse, ormai era<br />

qui, e non avevo alcuna intenzione di perderlo.


Capitolo tredici • Sam<br />

7 °C<br />

Non ero un lupo, eppure non ero ancora Sam.<br />

Ero un grembo gocciolante rigonfio della promessa di pensieri<br />

coscienti: il bosco freddo che mi ero lasciato alle spalle, la ragazza<br />

sull'altalena fatta con un copertone, il suono delle dita su corde di<br />

metallo. Il futuro e il passato, mischiati, neve e poi estate e poi di nuovo<br />

neve.<br />

La tela multicolore di un ragno distrutta, infranta nel ghiaccio,<br />

immensamente triste.<br />

«Sam» disse la ragazza. «Sam.»<br />

Era passato presente futuro. Volevo rispondere, ma ero in mille pezzi.


Capitolo quattordici • Grace<br />

7 °C<br />

Non è educato fissare la gente, ma il vantaggio di fissare una persona<br />

che ha ingoiato dei sedativi è che non sa che la stai fissando. E la verità<br />

era questa: non riuscivo a smettere di fissare Sam. Se avesse frequentato<br />

la mia scuola sarebbe stato etichettato come un emo, o forse come un<br />

membro dei Beatles smarrito da tempo. Aveva i capelli neri a caschetto,<br />

con una sorta di frangia pesante, e un naso dalla forma interessante, che<br />

su una ragazza sarebbe stato un inferno. Non aveva niente del lupo,<br />

eppure era simile in tutto e per tutto al mio lupo. Tuttora, nonostante<br />

quegli occhi familiari fossero chiusi, una piccola parte di me continuava a<br />

saltare, pervasa da una gioia irrazionale che continuava a ripetere: è lui.<br />

«Oh, tesoro, sei ancora qui? Pensavo che fossi andata via.»<br />

Mi voltai mentre le tende verdi si aprivano per far entrare<br />

un'infermiera dalle spalle larghe. Sul cartellino del nome c'era scritto<br />

Sunny.<br />

«Rimango finché non si sveglia.» Mi aggrappai al letto dell'ospedale<br />

come a dimostrare che spostarmi da lì sarebbe stato molto difficile.<br />

Sunny mi sorrise compassionevole. «É imbottito di sedativi, tesoro.<br />

Non si sveglierà fino a domattina.»<br />

Ricambiai il sorriso e dissi con voce ferma: «Be', allora resto fino a<br />

domattina.» Avevo già aspettato per ore mentre estraevano il proiettile e<br />

ricucivano la ferita; ormai doveva essere passata la mezzanotte.<br />

Continuavo ad aspettare che mi venisse sonno, ma ero troppo tesa. Ogni<br />

volta che lo guardavo era una specie di shock. Mi venne in mente, in<br />

ritardo, che i miei genitori non si erano preoccupati di chiamarmi al<br />

cellulare quando erano tornati dall'inaugurazione della mostra. Forse<br />

non si erano neppure accorti dell'asciugamano insanguinato che avevo<br />

usato in fretta e furia per pulire il pavimento, o del fatto che mancasse la<br />

macchina di papà. O forse, semplicemente, non erano ancora tornati a<br />

casa. Per loro mezzanotte era presto.


Il sorriso di Sunny rimase immutato. «Va bene» disse. «É stata una<br />

fortuna incredibile che il proiettile l'abbia colpito solo di striscio.» I suoi<br />

occhi scintillavano. «Sai perché l'ha fatto?»<br />

Aggrottai le sopracciglia, i nervi a fior di pelle. «Non la seguo. Intende<br />

dire perché era nel bosco?»<br />

«Tesoro, sappiamo tutte e due che non si trovava nel bosco.»<br />

Inarcai un sopracciglio, aspettando che dicesse qualcos'altro, ma non<br />

lo fece. Dissi: «Eh, sì. Era lì. Un cacciatore gli ha sparato per sbaglio.» Non<br />

era una bugia, a parte il "per sbaglio". Ero piuttosto sicura che non si fosse<br />

trattato di uno sbaglio.<br />

Sunny fece una risatina. «Senti... Grace, vero? Grace, sei la sua<br />

ragazza?»<br />

Borbottai qualcosa che poteva essere interpretato come un sì o come<br />

un no, a discrezione di chi ascoltava.<br />

Sunny lo prese per un sì. «Capisco quanto tu sia coinvolta, ma ha<br />

bisogno di aiuto.»<br />

D'un tratto capii. Quasi scoppiai a ridere. «Crede che si sia sparato?<br />

Senta... Sunny, giusto? Sunny, si sbaglia.»<br />

L'infermiera mi scoccò un'occhiataccia. «Ci prendi per degli stupidi? Eri<br />

convinta che non ce ne saremmo accorti?» Dall'altro lato del letto, Sunny<br />

prese le braccia abbandonate di Sam e le girò in modo che i palmi fossero<br />

rivolti verso il soffitto, in una supplica silenziosa. Indicò le cicatrici sui<br />

polsi, ricordi di ferite profonde, autoinflitte, che avrebbero potuto essere<br />

letali.<br />

Le fissai, ma erano come parole in una lingua straniera. Per me non<br />

avevano alcun significato. Scrollai le spalle. «Quelle risalgono a prima che<br />

ci conoscessimo. Le ripeto che stasera non ha cercato di spararsi. É stato<br />

un cacciatore folle.»<br />

«Certo, tesoro. D'accordo. Fammi sapere se hai bisogno di qualcosa.»<br />

Prima di sparire al di là delle tende e lasciarmi sola con Sam, Sunny mi<br />

fulminò con lo sguardo.


Mi sentii avvampare. Scossi la testa e fissai la mia mano, stretta<br />

fortissima al letto. Tra tutte le piccole seccature di ogni giorno, gli adulti<br />

accondiscendenti erano forse in cima alla lista.<br />

Un attimo dopo che Sunny se ne fu andata, Sam aprì gli occhi di colpo<br />

e io sussultai; il cuore mi batteva fin dentro le orecchie. Dovetti fissarlo a<br />

lungo prima che il mio battito riprendesse un ritmo normale. La logica mi<br />

diceva che i suoi occhi non potevano che essere nocciola, ma non c'era<br />

nulla da fare: io li vedevo gialli, ed erano puntati su di me.<br />

La voce mi uscì più bassa di quanto intendessi. «Dovresti essere nel<br />

mondo dei sogni.»<br />

«Chi sei?» Aveva lo stesso tono indefinibile e doloroso che ricordavo<br />

dal suo ululato. Strizzò gli occhi. «La tua voce mi sembra così familiare.»<br />

Provai una fitta di dolore. Non avevo considerato la possibilità che<br />

non si ricordasse nulla di quando era lupo. Non sapevo come<br />

funzionasse la cosa. Sam tese la mano verso la mia e io automaticamente<br />

intrecciai le dita alle sue. Con un sorriso un po' colpevole, avvicinò la mia<br />

mano al naso e la annusò, una volta, due volte. Il suo sorriso andava<br />

allargandosi, pur restando timido. Era un sorriso davvero adorabile, e il<br />

respiro mi si bloccò da qualche parte in gola. «Conosco quest'odore. Non<br />

ti avevo riconosciuto; sei diversa. Mi dispiace. Mi sento uno stupido a<br />

non ricordare. Ci vogliono un paio d'ore perché io - perché il mio<br />

cervello - torni indietro.»<br />

Non lasciò andare le mie dita e io non le sfilai, anche se era difficile<br />

concentrarsi così, pelle contro pelle. «Tornare indietro da cosa?»<br />

«Tornare indietro da quando» mi corresse. «Tornare indietro da<br />

quando ero...»<br />

Sam esitò. Voleva che fossi io a dirlo. Anche se non avrebbe dovuto<br />

essere così, ammetterlo ad alta voce era più difficile di quanto pensassi.<br />

«Quando eri un lupo» sussurrai. «Perché sei qui?»<br />

«Perché mi hanno sparato» disse in tono tranquillo.<br />

«Intendo in questo modo.» Indicai il suo corpo, così esplicitamente<br />

umano sotto il camice d'ospedale.


Batté le palpebre. «Oh. Perché è primavera. Perché fa caldo. Il caldo<br />

mi fa diventare me stesso. Mi fa diventare Sam.»<br />

Finalmente ritrassi la mano e chiusi gli occhi, cercando di racimolare<br />

per un attimo quel poco di raziocinio che mi era rimasto. Quando aprii<br />

gli occhi e parlai, dissi la cosa più banale possibile: «Non è primavera.<br />

Siamo a settembre.»<br />

Non sono bravissima a leggere le persone, ma per un attimo mi parve<br />

di scorgere nei suoi occhi un velo d'ansia. «Non è una bella notizia»<br />

commentò. «Posso chiederti un favore?»<br />

Al suono della sua voce dovetti chiudere gli occhi, perché non sarebbe<br />

dovuta essere familiare, ma lo era, e mi parlava a un livello profondo,<br />

proprio come avevano sempre fatto i suoi occhi quando era un lupo.<br />

Accettarlo si stava rivelando più difficile di quanto avessi pensato. Aprii<br />

gli occhi, ma lui era ancora lì. Provai di nuovo a chiuderli e a riaprirli. Ma<br />

lui era ancora lì.<br />

Si mise a ridere. «Hai una crisi epilettica? Forse dovresti stare in questo<br />

letto anche tu.»<br />

Gli lanciai un'occhiata furiosa e lui diventò rosso quando si rese conto<br />

che le sue parole potevano avere anche un altro significato. Gli risparmiai<br />

la mortificazione rispondendo alla sua domanda. «Quale favore?»<br />

«Io, ehm, ho bisogno di vestiti. Devo andarmene di qui prima che<br />

capiscano che sono un fenomeno da baraccone.»<br />

«Che intendi dire? Non ho visto nessuna coda.»<br />

Sam cominciò ad allentarsi le bende dal collo.<br />

«Sei pazzo?» Mi sporsi in avanti e gli afferrai la mano, troppo tardi. Si<br />

tolse la garza, rivelando quattro punti freschi di sutura che formavano<br />

una piccola linea sopra una vecchia cicatrice. Niente ferite ancora<br />

sanguinanti, nessuna prova dello sparo tranne la cicatrice rosa, lucida.<br />

Rimasi a bocca aperta.<br />

Sam sorrise, chiaramente compiaciuto dalla mia reazione. «Vedi?<br />

Credi che non s'insospettirebbero?»


«Ma c'era tantissimo sangue...»<br />

«Lo so. La pelle non riusciva a cicatrizzarsi, dato che perdevo così<br />

tanto sangue. Ma dopo che mi hanno ricucito...» Alzò le spalle e fece un<br />

piccolo gesto con le mani, come se stesse aprendo un libriccino.<br />

«Abracadabra. Ci sono dei vantaggi nell'essere me.» Parlava in modo<br />

leggero, ma aveva un'espressione ansiosa, e mi scrutava per vedere come<br />

la stessi prendendo. Come stessi prendendo il fatto che lui esisteva<br />

davvero.<br />

«Okay, voglio solo controllare una cosa» gli dissi. «Voglio solo...» Feci<br />

un passo avanti e con la punta delle dita gli sfiorai la cicatrice sul collo. In<br />

qualche modo, toccare quella pelle liscia, uniforme, mi convinse più<br />

delle sue parole. Sam fece correre lo sguardo sul mio viso ma subito lo<br />

distolse, come se non sapesse bene dove guardare mentre io accarezzavo<br />

la vecchia cicatrice sotto i punti di sutura, con il loro filo nero che<br />

pungeva un po'. Mi soffermai sul suo collo un po' più a lungo di quanto<br />

fosse necessario, non sulla cicatrice, ma sulla pelle liscia che aveva odore<br />

di lupo. «Okay. Devi andartene assolutamente prima che vengano a<br />

visitarti. Ma se firmi l'uscita contro il parere dei medici oppure te ne vai e<br />

basta, cercheranno di rintracciarti.»<br />

Fece una smorfia. «No che non lo faranno. Penseranno che sono un<br />

poveraccio senza l'assicurazione. Che è vero. Almeno la cosa<br />

dell'assicurazione.»<br />

Davvero astuto. «No, penseranno che sei scappato per evitare<br />

l'assistenza psicologica. Pensano che tu ti sia sparato perché...»<br />

Sam era perplesso.<br />

Indicai i suoi polsi.<br />

«Oh, quello. Non sono stato io.»<br />

Lo guardai accigliata. Non volevo dire qualcosa tipo: "Va bene, hai le<br />

tue ragioni" oppure: "Puoi dirmelo, non ti giudico", perché comunque<br />

sarebbe stato brutto presupporre, come aveva fatto Sunny, che avesse<br />

cercato di uccidersi. Però non potevo bermi che si fosse fatto quelle<br />

cicatrici cadendo dalle scale.


Passò un pollice su uno dei polsi, pensieroso. «É stata mia madre a<br />

farmi questa. L'altra mio padre. Ricordo che fecero il conto alla rovescia<br />

in modo da farlo nello stesso momento. Ancora non sopporto la vista di<br />

una vasca da bagno.»<br />

Ci misi un po' a elaborare il significato delle sue parole. Non so se fu<br />

per il modo piatto e inespressivo con cui l'aveva detto o per quella scena<br />

che mi galleggiava in testa, o semplicemente per lo shock di quella sera,<br />

ma d'improvviso fui presa dalle vertigini. Mi girava la testa, i battiti del<br />

cuore mi si schiantavano nelle orecchie, e caddi di peso sul pavimento di<br />

linoleum appiccicoso.<br />

Non so per quanti secondi rimasi priva di conoscenza, ma vidi la<br />

tenda aprirsi nello stesso momento in cui Sam ripiombò sul letto,<br />

rimettendosi la benda sul collo. Poi un infermiere si inginocchiò accanto<br />

a me e mi aiutò a rialzarmi.<br />

«Stai bene?»<br />

Ero svenuta. Non ero mai svenuta in vita mia. Aprii e chiusi gli occhi<br />

fino a quando l'infermiere ebbe una sola testa e non tre che fluttuavano<br />

una di fianco all'altra. Poi iniziai a mentire. «Ho ripensato a tutto quel<br />

sangue quando l'hanno trovato... ohhhh...» Mi sentivo ancora stordita,<br />

ma quell'ohhhh fu molto convincente.<br />

«Non ci pensare» mi suggerì l'infermiere, sorridendo in modo molto<br />

amichevole. Pensai che la sua mano fosse un tantino troppo vicina al mio<br />

seno per trattarsi di una coincidenza, e quel fatto rafforzò la mia<br />

decisione di attuare il piano umiliante che mi era appena balenato in<br />

mente.<br />

«Mi sa che... devo chiederle una cosa imbarazzante» mormorai,<br />

sentendo le guance avvampare. Fu terribile, quasi come se stessi dicendo<br />

la verità. «Pensa che potrei prendere in prestito un camice? Io... uh... le<br />

mutande...»<br />

«Oh» esclamò il povero infermiere. Forse non sarebbe stato così in<br />

imbarazzo per me adesso se un attimo fa non mi avesse rivolto quel<br />

sorriso tanto malizioso. «Sì. Certo che sì. Arrivo subito.»


Fu di parola: ritornò dopo pochi minuti con un camice ripiegato color<br />

verde vomito, completo di pantaloni. «Forse è un po' grande, ma ci sono<br />

dei lacci che puoi... sai.»<br />

«Grazie» mormorai. «Ehm. Le dispiace se mi cambio qui? Tanto lui è<br />

completamente andato.» Feci un cenno verso Sam, che stava recitando<br />

brillantemente la parte del sedato.<br />

L'infermiere svanì dietro le tende. Sam aprì gli occhi di colpo,<br />

chiaramente divertito.<br />

Sussurrò: «Hai detto a quell'uomo che ti sei fatta la pipì addosso?»<br />

«Per favore. Stai. Zitto» gli sibilai furiosa, gettandogli il camice in testa.<br />

«Sbrigati, prima che si accorgano che non me la sono fatta addosso. Sei in<br />

debito con me.»<br />

Sam sogghignò e fece scivolare il camice sotto le lenzuola sottili<br />

dell'ospedale, contorcendosi per infilare i pantaloni; poi si staccò la<br />

benda dal collo e lo sfigmomanometro dal braccio. Quando l'aggeggio<br />

cadde sul letto, Sam si strappò il camicione e lo rimpiazzò con il pezzo di<br />

sopra del camice dell'ospedale. Il monitor squittì in segno di protesta, poi<br />

le linee del grafico si fecero piatte e annunciarono la sua morte a tutto il<br />

personale.<br />

«É ora di andare» disse, e fece per uscire. Si fermò a dare un'occhiata<br />

veloce alla stanza, e in quel momento sentii le infermiere entrare tra<br />

mille fruscii nell'area cinta dalle tende.<br />

«Era imbottito di sedativi.» Era Sunny: la sua voce superava le altre.<br />

Sam mi prese per mano, la cosa più naturale del mondo, e mi trasse<br />

verso la luce del corridoio. Adesso che era vestito - con una divisa da<br />

medico - e non era coperto di sangue, nessuno batté ciglio mentre<br />

passava davanti al bancone degli infermieri, diretto all'uscita. Per tutto il<br />

tempo percepii la sua mente da lupo che analizzava la situazione.<br />

L'inclinazione della testa mi suggeriva che era in ascolto, e il mento<br />

rivolto verso l'alto era segno che stava annusando gli odori. Nonostante<br />

la corporatura dinoccolata si mosse abile nella confusione finché non<br />

raggiungemmo l'ingresso principale.


Gli altoparlanti trasmettevano una sciropposa canzone country,<br />

mentre le mie scarpe sfregavano sulla bruttissima moquette scozzese blu<br />

scuro; i piedi nudi di Sam non facevano alcun rumore. A quell'ora della<br />

notte l'ingresso era vuoto, non c'era neppure una segretaria dietro il<br />

banco dell'accoglienza. Mi sentivo così carica di adrenalina che avrei<br />

potuto volare fino alla macchina di papà. La parte perennemente pratica<br />

del mio cervello mi ricordava che dovevo chiamare un carro attrezzi per<br />

spostare la mia macchina dal ciglio della strada. Ma in realtà quell'idea<br />

non mi turbava, perché tutto ciò a cui pensavo era Sam. Il mio lupo era<br />

un ragazzo molto carino che mi teneva per mano. Potevo morire felice.<br />

Poi sentii Sam esitare. Si ritrasse, lo sguardo fisso nel buio che premeva<br />

contro la porta a vetri. «Quanto freddo fa fuori?»<br />

«Probabilmente non più di quando ti ho portato qui. Perché?»<br />

Sam si rabbuiò. «Siamo al limite. Odio questo periodo dell'anno.<br />

Potrei essere l'una o l'altra cosa.»<br />

Nella sua voce avvertii dolore. «Fa male trasformarsi?»<br />

Distolse lo sguardo. «Adesso voglio restare umano.»<br />

Anch'io volevo che restasse umano. «Accendo la macchina e il<br />

riscaldamento» dissi. «Così al freddo ci starai pochissimo.»<br />

Mi guardò, un po' indifeso. «Ma non so dove andare.»<br />

«Di solito dove stai?» Avevo paura che dicesse qualcosa di patetico,<br />

tipo il rifugio dei senzatetto in centro. Davo per scontato che non vivesse<br />

con i genitori che gli avevano tagliato i polsi.<br />

«Da Beck - uno dei lupi - quando si trasforma. Molti di noi stanno a<br />

casa sua, ma se non si è trasformato, il riscaldamento potrebbe essere<br />

spento. Potrei...»<br />

Scossi la testa e gli lasciai la mano. «No, prendo la macchina e vieni a<br />

casa mia.»<br />

Spalancò gli occhi. «E i tuoi genitori...?»<br />

«Quello che non sanno non li ucciderà» dissi, aprendo la porta. La<br />

raffica d'aria fredda fece trasalire Sam, che si allontanò dalla porta e si


strinse le braccia attorno al corpo. Anche se stava tremando, si morse il<br />

labbro e mi rivolse un sorriso titubante.<br />

Mi incamminai verso il parcheggio buio, sentendomi più viva e più<br />

felice e più impaurita di quanto non fossi mai stata.


Capitolo quindici • Grace<br />

6 °C<br />

«Stai dormendo?» La voce di Sam era appena un sussurro, ma nella<br />

stanza buia a cui non apparteneva parve un urlo.<br />

Senza alzarmi dal letto, mi voltai verso di lui, che era disteso sul<br />

pavimento: un fagotto scuro raggomitolato dentro un nido di coperte e<br />

cuscini. La sua presenza, così strana e meravigliosa, sembrava riempire la<br />

stanza e premere contro di me. Credevo che non sarei più riuscita a<br />

dormire. «No.»<br />

«Posso farti una domanda?»<br />

«Me la stai già facendo.»<br />

Fece una pausa per riflettere. «Posso farti due domande?» chiese.<br />

«Me le stai già facendo.»<br />

Sam gemette e scagliò uno dei piccoli cuscini del divano verso di me.<br />

Il cuscino attraversò la stanza illuminata dalla luna - un missile oscurato -<br />

e mi colpì in testa, senza farmi male. «E così sei una spiritosona.»<br />

Feci un ghigno nel buio. «Okay. Ci sto. Cosa vuoi sapere?»<br />

«Ti hanno morso?» Ma non era una domanda. La sua voce era carica<br />

di interesse, e io riuscivo a percepirlo; sentivo la tensione nel suo corpo e<br />

per tutta la stanza.<br />

Scivolai sotto le coperte, ritraendomi da quello che aveva detto.<br />

«Non lo so.»<br />

La voce di Sam adesso era più di un sussurro. «Come fai a non<br />

saperlo?»<br />

Scrollai le spalle, anche se lui non poteva vedermi. «Ero piccola.»<br />

«Anch'io ero piccolo, ma sapevo quello che stava succedendo.» Non<br />

risposi, e allora lui mi chiese: «É per questo che sei rimasta immobile?<br />

Non sapevi che ti avrebbero uccisa?»<br />

Fissai il quadrato di notte attraverso la finestra, persa nel ricordo di


Sam in forma di lupo. Il branco girava attorno a me, lingue e zanne,<br />

ringhi e scatti. Un lupo era rimasto indietro, la gorgiera coperta di<br />

ghiaccio, e mentre guardava me nella neve tremava. Distesa nel gelo,<br />

sotto un cielo bianco che diventava nero, tenevo gli occhi fissi su di lui.<br />

Era bellissimo: selvaggio e tenebroso, gli occhi gialli colmi di una<br />

complessità che non potevo nemmeno lontanamente immaginare. Ed<br />

emanava lo stesso odore degli altri lupi: un odore corposo, selvatico, di<br />

muschio. Ancora adesso, lì nella mia stanza, potevo sentirgli addosso<br />

l'odore di lupo, anche se indossava un camice da medico e una nuova<br />

pelle.<br />

Sentii un ululato basso, acuto, provenire da fuori, e poi un altro. Era<br />

partito il coro della notte, anche se mancava la voce malinconica ma<br />

stupenda di Sam. Il battito del mio cuore accelerò, pervaso da un<br />

desiderio astratto, e sul pavimento sentii Sam emettere un debole<br />

uggiolio. Quel suono triste, a metà tra uomo e lupo, mi distrasse.<br />

«Ti mancano?» sussurrai.<br />

Sam si alzò dal letto improvvisato e rimase in piedi accanto alla<br />

finestra, una sagoma insolita contro la notte, le braccia strette attorno al<br />

corpo alto e dinoccolato. «No. Sì. Non lo so. Mi fa venire... la nausea.<br />

Come se non appartenessi a questo posto.»<br />

So cosa intendi. Pensai a qualcosa da dirgli per confortarlo, ma non mi<br />

veniva in mente niente che suonasse sincero.<br />

«Eppure questo sono io» insistette lui, abbassando il mento per<br />

indicare il suo corpo. Non capivo se voleva convincere me o se stesso.<br />

Rimase accanto alla finestra mentre gli ululati si fondevano in un<br />

crescendo. Mi vennero le lacrime agli occhi.<br />

«Vieni qui, parliamo» dissi, per distrarre lui e me insieme. Sam si volse<br />

per metà, ma non riuscii a distinguere la sua espressione. «Sul pavimento<br />

fa freddo, ti verrà un crampo al collo. Vieni qui.»<br />

«E i tuoi genitori?» disse, la stessa domanda che mi aveva fatto in<br />

ospedale. Stavo per chiedergli perché gli importava tanto di loro, ma poi<br />

mi ricordai di quello che era successo con i suoi e delle cicatrici vivide e<br />

raggrinzite sui polsi.


«Tu non conosci i miei genitori.»<br />

«Dove sono?» mi chiese Sam.<br />

«All'inaugurazione di una mostra. Credo. Mia madre è un'artista.»<br />

Con voce venata di dubbio, disse: «Sono le tre del mattino.»<br />

Parlai più forte di quanto non volessi. «Vieni qui. Sono sicura che ti<br />

comporterai bene. E non ti prenderai tutte le coperte.» Dato che ancora<br />

esitava, dissi: «Sbrigati, prima che finisca la notte.»<br />

Ubbidiente, recuperò uno dei cuscini da terra, ma indugiò sul lato<br />

opposto del letto. Nella luce fioca potevo solo intravvedere la sua<br />

espressione afflitta mentre guardava il territorio proibito del letto. Non<br />

sapevo se essere lusingata dalla sua riluttanza a condividere il letto con<br />

una ragazza oppure offesa dal fatto che evidentemente non ero<br />

abbastanza sensuale da indurlo a caricare il materasso come un toro.<br />

Alla fine salì sul letto - che sotto il suo peso scricchiolò - trasalì e poi si<br />

sistemò sul bordo, fuori dalle coperte. Adesso sentivo ancora più intenso<br />

l'odore di lupo, e sospirai, pervasa da uno strano senso di soddisfazione.<br />

Anche lui sospirò.<br />

«Grazie» disse. Molto educato, considerato che stava dormendo nel<br />

mio letto.<br />

«Prego.»<br />

Fu allora che mi travolse la consapevolezza di quello che stava<br />

succedendo. Ero a letto con un ragazzo mutaforma. E non un mutaforma<br />

qualsiasi, ma il mio lupo. Continuavo a rivivere il ricordo di quando si<br />

era accesa la luce della veranda e l'avevo visto per la prima volta. Dentro<br />

di me fremeva uno strano miscuglio di eccitazione e nervosismo.<br />

Sam volse la testa per guardarmi, come se i miei nervi avessero<br />

sprizzato scintille. I suoi occhi brillavano nella luce fioca a qualche<br />

centimetro da me. «Ti hanno morso. Anche tu avresti dovuto<br />

trasformarti, lo sai.»<br />

Nella mia testa i lupi circondavano un corpo nella neve, le fauci<br />

insanguinate, i denti scoperti, e ringhiavano contro la preda. Un lupo,


Sam, trascinò via il corpo dal cerchio di lupi. Lo trasportò attraverso il<br />

bosco, ergendosi su due gambe che lasciavano impronte umane sulla<br />

neve. Sapevo che mi stavo addormentando, così cercai di scuotermi per<br />

rimanere sveglia; non ricordavo di avere risposto alla domanda di Sam.<br />

«A volte avrei voluto che succedesse» dissi. Lui chiuse gli occhi, a miglia<br />

di distanza, dall'altra par te del letto. «A volte anch'io.»


Capitolo sedici • Sam<br />

5 °C<br />

Mi svegliai di soprassalto. Per un attimo rimasi immobile, e battendo<br />

le palpebre cercai di capire che cosa mi aveva svegliato. Gli eventi della<br />

sera prima mi ripiombarono addosso non appena mi resi conto che non<br />

era stato un rumore a svegliarmi, ma una sensazione: una mano sul mio<br />

braccio. Grace si era girata nel sonno, e non potei fare a meno di fissare<br />

le sue dita sulla mia pelle.<br />

Lì, disteso di fianco alla ragazza che mi aveva salvato, vivevo la mia<br />

semplice umanità come un trionfo.<br />

Mi rigirai sul fianco e per un po' rimasi a contemplarla mentre<br />

dormiva; i lunghi respiri regolari le muovevano le ciocche che le<br />

ricadevano sul viso. Sembrava che nel sonno si sentisse del tutto al sicuro,<br />

del tutto inconsapevole della mia presenza. Anche quella era una fugace<br />

vittoria.<br />

Quando sentii suo padre alzarsi, rimasi perfettamente immobile, col<br />

cuore che batteva veloce e silenzioso, pronto a balzare dal bordo del<br />

materasso nel caso che fosse venuto a svegliarla perché non facesse tardi<br />

a scuola. Invece andò al lavoro in una nuvola di dopobarba al ginepro<br />

che filtrò da sotto la porta verso di me, gonfiandosi a ondate. Sua madre<br />

uscì subito dopo, facendo cadere rumorosamente qualcosa in cucina e<br />

imprecando con voce allegra mentre chiudeva la porta. Non riuscivo a<br />

credere che non avessero nemmeno dato un'occhiata alla stanza di<br />

Grace, anche solo per accertarsi che fosse viva, dato che erano tornati nel<br />

cuore della notte e ancora non l'avevano vista. Ma la porta rimase<br />

chiusa.<br />

Comunque mi sentivo un idiota con quel camice addosso, e non mi<br />

serviva a niente in quell'orrida mezza stagione, quindi scivolai fuori dal<br />

letto mentre Grace dormiva; lei non si mosse di un millimetro. Mi fermai<br />

sulla veranda a guardare i fili d'erba ricoperti di ghiaccio. Anche se avevo<br />

preso in prestito un paio di stivali di suo padre, l'aria mattutina<br />

continuava a mordermi la pelle nuda sotto la gomma. Riuscivo quasi a


sentire la nausea che precedeva la trasformazione rivoltarsi nello<br />

stomaco.<br />

Sam, mi dissi, provando a convincere il mio corpo. Tu sei Sam. Avevo<br />

bisogno di tenermi più al caldo; rientrai, in cerca di un cappotto.<br />

Maledetto tempo. Che cos'era successo all'estate? In un armadio<br />

straripante di roba che mandava odore di ricordi stantii e naftalina,<br />

trovai una giacca imbottita blu acceso che mi faceva assomigliare a un<br />

dirigibile, e mi avventurai sulla veranda con un po' più di sicurezza<br />

addosso. Il padre di Grace aveva piedi grandi quanto quelli di uno yeti,<br />

così avanzai nel bosco con tutta la grazia di un orso polare in una casa di<br />

bambole.<br />

Nonostante l'aria gelida che faceva spettri del mio respiro, il bosco era<br />

magnifico in quel periodo dell'anno, tutto vividi colori primari: foglie<br />

arricciate in rosso e giallo, cielo di un ceruleo splendente. Dettagli che da<br />

lupo non avevo mai notato. Ma mentre mi incamminavo verso la mia<br />

riserva di vestiti, sentii la mancanza di tutte le cose che invece da umano<br />

non potevo notare. Sebbene avessi ancora i sensi molto sviluppati, non<br />

riuscivo ad annusare le migliaia di piccole tracce di animali nel<br />

sottobosco o l'umida promessa che la temperatura si sarebbe alzata nel<br />

corso della giornata. Di solito riuscivo a sentire la sinfonia industriale<br />

delle macchine e dei camion sull'autostrada e a dedurre la dimensione e<br />

la velocità di ogni veicolo. Adesso invece non riuscivo ad annusare altro<br />

che la fumosità dell'autunno, con le sue foglie bruciate e gli alberi mezzi<br />

morti, e non riuscivo a sentire altro che il brusio basso, quasi<br />

impercettibile del traffico in lontananza.<br />

Da lupo, avrei percepito Shelby avvicinarsi prima ancora di vederla.<br />

Ma non adesso. Mi era già quasi addosso quando avvertii una presenza<br />

accanto a me. Mi si accapponò la pelle, ed ebbi la brutta sensazione di<br />

condividere il mio respiro con qualcun altro. Mi voltai e la vidi, enorme<br />

per essere una femmina, il manto bianco che nella piena luce del giorno<br />

aveva assunto sfumature ordinarie, giallognole. Sembrava che fosse<br />

scampata alla caccia senza un graffio. Aveva le orecchie appena rivolte<br />

all'indietro e osservava il mio ridicolo abbigliamento con la testa piegata<br />

di lato.


«Sst» dissi, e le tesi la mano, col palmo all'insù, in modo che le arrivasse<br />

quel poco che era rimasto del mio odore. «Sono io.»<br />

Arricciò il muso in segno di disgusto e si ritrasse lenta; supposi che<br />

oltre al mio odore avesse riconosciuto anche quello di Grace. Era un<br />

odore che sentivo bene io per primo; il profumo semplice del sapone era<br />

rimasto aggrappato ai miei capelli nel punto in cui avevo posato la testa<br />

sul letto e alla mia mano dove lei l'aveva stretta.<br />

Lessi diffidenza negli occhi di Shelby, che riflettevano la sua<br />

espressione umana. Era così che andava tra me e lei: non riuscivo a<br />

ricordare una volta che non fossimo stati in conflitto. Io mi aggrappavo<br />

alla mia parte umana - e alla mia ossessione per Grace - come un uomo<br />

che sta annegando, e invece Shelby accettava volentieri l'amnesia che<br />

sopraggiungeva con la pelle lupina. Senza dubbio aveva mille ragioni per<br />

dimenticare.<br />

Ed eccoci qui, in questo bosco di settembre, a guardarci. Lei puntava le<br />

orecchie verso di me e poi da un'altra parte, raccogliendo decine di suoni<br />

che sfuggivano ai miei sensi umani, e le sue narici vibravano, cercando di<br />

scoprire dov'ero stato. Mi tornò in mente un ricordo di quand'ero lupo:<br />

la sensazione delle foglie secche sotto le zampe e l'odore corposo, acuto,<br />

torpido di questo bosco autunnale.<br />

Shelby mi fissava diritto negli occhi: un atteggiamento molto umano,<br />

considerato che la mia posizione nel branco era troppo alta perché altri<br />

lupi all'infuori di Paul o Beck potessero sfidarmi in quel modo. Immaginai<br />

la sua voce umana dirmi, come aveva già fatto molte volte: Non ti<br />

manca?<br />

Chiusi gli occhi, per tenere lontano lo sguardo intenso di Shelby e il<br />

ricordo del mio corpo da lupo, e invece pensai a Grace, a quand'ero a<br />

casa sua. Non c'era niente nella mia esperienza di lupo che potesse essere<br />

paragonabile alla sensazione della mano di Grace nella mia. Nella mia<br />

testa questi pensieri si trasformarono subito in una canzone. Tu sei la mia<br />

seconda pelle / mia estate autunno inverno / e per seguirti esplodo / e<br />

perdersi è bellissimo. Nell'attimo in cui composi il testo e immaginai il riff<br />

di chitarra che l'avrebbe accompagnato, Shelby svanì nel bosco, morbida


come un sussurro.<br />

Il fatto che lei potesse scomparire con lo stesso passo silenzioso e<br />

furtivo con cui era apparsa mi ricordò la mia vulnerabilità, e mi<br />

incamminai in fretta verso la baracca dove avevo nascosto i miei vestiti.<br />

Anni prima io e Beck l'avevamo trascinata, pezzo per pezzo, dal suo<br />

cortile fino a una piccola radura immersa nel bosco.<br />

Dentro c'erano una stufa, una batteria da barca e alcuni contenitori di<br />

plastica con i nostri nomi scritti sui lati. Aprii il contenitore con il mio<br />

nome e sfilai lo zaino gonfio che c'era dentro. Gli altri contenitori erano<br />

pieni di cibo, coperte e batterie di ricambio - l'attrezzatura necessaria per<br />

rintanarsi qui in attesa che gli altri membri del branco si trasformassero a<br />

loro volta - mentre il mio conteneva provviste per la fuga. Tutto ciò che<br />

conservavo lì dentro era pensato per poter tornare alla condizione<br />

umana il più presto possibile; Shelby non riusciva a perdonarmelo.<br />

Indossai in fretta strati su strati di magliette a maniche lunghe e un<br />

paio di jeans, e scambiai gli stivali enormi del padre di Grace con un paio<br />

di calzini di lana e delle scarpe di cuoio consumate, poi presi il<br />

portafoglio con i soldi che avevo messo da parte grazie al lavoro estivo e<br />

ficcai tutto il resto nello zaino. Mentre chiudevo la porta della baracca,<br />

con la coda dell'occhio captai un movimento furtivo.<br />

«Paul» dissi, ma il lupo nero, il nostro capobranco, se n'era andato.<br />

Dubitavo che potesse riconoscermi; per lui ero un uomo come un altro<br />

che passeggiava nel bosco, nonostante avessi un odore vagamente<br />

familiare. Questa consapevolezza fece sì che uno strano senso di<br />

rammarico mi pizzicasse la gola. L'anno prima Paul si era trasformato<br />

soltanto alla fine di agosto. Forse quest'anno non si sarebbe trasformato<br />

affatto.<br />

Sapevo che anche le mie mute ormai erano contate. L'anno passato mi<br />

ero trasformato a giugno, uno sbalzo preoccupante, considerato che<br />

l'anno prima mi ero trasformato in primavera, quando ancora c'era la<br />

neve a terra. E quest'anno? Se Tom Culpeper non mi avesse sparato,<br />

quanto avrei dovuto aspettare per riavere il mio corpo? Non riuscivo<br />

nemmeno a capire come un colpo di arma da fuoco avesse potuto


idarmi le sembianze umane adesso che il clima si era fatto più fresco.<br />

Ripensai al freddo che avevo provato quando Grace, in ginocchio, mi<br />

premeva uno strofinaccio sul collo. L'estate era finita da un bel pezzo.<br />

I colori brillanti delle foglie secche che circondavano la baracca si<br />

prendevano gioco di me, prova evidente che era trascorso un anno<br />

senza che io me ne fossi accorto. D'improvviso rimasi paralizzato<br />

dall'assoluta certezza che questo sarebbe stato il mio ultimo anno.<br />

Aver incontrato Grace soltanto adesso era un crudelissimo scherzo del<br />

destino.<br />

Non volevo pensarci. Per questo motivo tornai da lei; prima però mi<br />

assicurai che le macchine dei suoi genitori non fossero tornate ai loro<br />

posti. Quando entrai, indugiai per un attimo fuori dalla sua stanza, poi<br />

gironzolai per un sacco di tempo in cucina, a frugare dentro gli<br />

armadietti, anche se non avevo molta fame.<br />

Ammettilo. Sei troppo nervoso per tornare là dentro. Volevo<br />

rivederla, volevo rivedere il fantasma ostinato che aveva infestato i miei<br />

anni nel bosco. Tuttavia temevo che ritrovarsi faccia a faccia nella<br />

dannata luce del giorno avrebbe potuto cambiare le cose. O peggio,<br />

avrebbe potuto non cambiarle. La notte prima ero moribondo sulla sua<br />

veranda. Chiunque avrebbe potuto salvarmi. Oggi volevo qualcosa di<br />

più che essere salvato. E se per lei non ero altro che un fenomeno da<br />

baraccone?<br />

Sei un abominio della natura. Sei maledetto. Sei il Diavolo. Dov'è mio<br />

figlio? Che ne hai fatto di lui? Chiusi gli occhi, chiedendomi perché tra<br />

tutte le cose che avevo perso non poteva esserci anche il ricordo dei miei<br />

genitori.<br />

«Sam?»<br />

Quando sentii il mio nome sobbalzai. Grace mi chiamò di nuovo dalla<br />

stanza da letto, la voce poco più che un sussurro, e si chiedeva dove fossi.<br />

Non sembrava spaventata.<br />

Aprii la porta e osservai la stanza. Nella luce netta della mattina<br />

inoltrata, mi accorsi che quella era la stanza di una persona adulta.


Niente residui di frivolezze rosa o animali di peluche per Grace, sempre<br />

che li avesse mai avuti. Sulle pareti, foto di alberi incorniciate da<br />

identiche, essenziali cornici nere. Anche i mobili erano neri, tutti<br />

dall'aspetto squadrato e funzionale. Gli asciugamani erano piegati in<br />

ordine sopra il guardaroba, vicino a un orologio bianco e nero, tutto<br />

linee levigate, e poi c'era una pila di libri presi in prestito dalla biblioteca,<br />

soprattutto saggistica e romanzi gialli, a giudicare dai titoli.<br />

Probabilmente in ordine alfabetico o disposti in base alla lunghezza.<br />

D'improvviso mi resi conto di quanto eravamo diversi. Se fossimo<br />

stati oggetti, Grace sarebbe stata un orologio digitale di altissima<br />

precisione, sincronizzato con il World Clock di Londra, e io una sfera da<br />

capovolgere per far scendere la neve: ricordi agitati in una palla di vetro.<br />

Pensai a qualcosa da dire che non somigliasse al saluto di un<br />

molestatore inter-specie. Me la cavai con un «Buongiorno.»<br />

Grace si mise a sedere: aveva i capelli arricciati da un lato della testa e<br />

piatti dall'altro e gli occhi scuri traboccanti di aperta gioia. «Sei ancora<br />

qui! Oh. Hai dei vestiti. Insomma, al posto del camice.»<br />

«Sono andato a prenderli mentre dormivi.»<br />

«Che ore sono? Ohhh... sono in ritardissimo per la scuola, vero?»<br />

«Sono le undici.»<br />

Grace emise un gemito e poi si strinse nelle spalle. «La sai una cosa? Da<br />

quando ho iniziato le superiori non ho mai saltato una lezione. L'anno<br />

scorso mi hanno dato addirittura un premio. E una pizza gratis.» Scese dal<br />

letto; alla luce del giorno vidi che la parte alta della sua camicia da notte<br />

era molto aderente e insostenibilmente sensuale. Mi voltai dall'altra<br />

parte.<br />

«Non devi essere così pudico. Mica sono nuda.» Si fermò davanti<br />

all'armadio e mi guardò con aria astuta. «Non mi hai mai visto nuda,<br />

vero?»<br />

«No!» La risposta mi uscì frettolosa.<br />

La mia bugia la fece ridacchiare; prese un paio di jeans dall'armadio.<br />

«Be', a meno che tu non voglia vedermi nuda adesso, faresti meglio a


girarti.»<br />

Mi sdraiai sul letto, con il viso sprofondato nei cuscini freschi che<br />

odoravano di lei. Sentii il fruscio che fecero i suoi vestiti mentre lei li<br />

indossava e il mio cuore prese a battere a un milione di miglia all'ora.<br />

«Non volevo.»<br />

Il materasso scricchiolò quando lei vi saltò sopra, il viso vicino al mio.<br />

«Sei uno che si scusa sempre?»<br />

La mia voce uscì smorzata dal cuscino. «Sto cercando di convincerti<br />

che sono una persona rispettabile. Se ti dicessi che ti ho vista nuda mentre<br />

appartenevo a un'altra specie non mi sarebbe d'aiuto.»<br />

Rise. «Ti concedo indulgenza, dato che avrei dovuto chiudere le<br />

tende.» Poi un lungo silenzio, denso di mille taciti messaggi. Riuscivo a<br />

sentire il nervosismo che la sua pelle irradiava e il pulsare rapido del suo<br />

cuore che attraverso il materasso si trasmetteva fino alle mie orecchie.<br />

Sarebbe stato così facile attraversare con le labbra i centimetri che<br />

separavano le nostre bocche. Nei battiti del suo cuore mi sembrava di<br />

sentire pulsare la speranza: baciami baciami baciami. Di solito ero abile<br />

nell'avvertire i sentimenti degli altri, ma con Grace tutto ciò che credevo<br />

di sapere veniva annebbiato da quello che volevo.<br />

Lei diede in una risatina silenziosa; era una risata terribilmente<br />

maliziosa che stonava con l'idea che mi ero fatto di lei. «Sto morendo di<br />

fame» disse alla fine. «Vediamo di trovare qualcosa per colazione. Anche<br />

se ormai è quasi ora di pranzo.»<br />

Rotolai giù dal letto, e lei mi seguì. Sentii chiarissime le sue mani<br />

premermi sulla schiena, mentre mi spingeva fuori dalla porta. Insieme<br />

andammo con passo felpato in cucina. La luce del sole, fortissima, che<br />

splendeva attraverso la porta a vetri, si rifletteva sul bancone e sulle<br />

piastrelle bianche della cucina e ci avvolgeva entrambi di bianco. Dato<br />

che prima ero andato in avanscoperta, sapevo dove trovare le cose,<br />

quindi iniziai a mettere insieme l'occorrente.<br />

Mentre mi muovevo per la cucina, Grace mi seguiva come un'ombra,<br />

cercando i miei gomiti con le dita e sfiorandomi la schiena con i palmi<br />

delle mani; ogni scusa era buona per toccarmi. Con la coda dell'occhio,


vedevo che mi fissava in modo sfacciato, convinta che io non me ne<br />

accorgessi. Era come se non mi fossi mai trasformato; come se continuassi<br />

a scrutarla dal bosco e lei continuasse a dondolarsi sull'altalena e mi<br />

guardasse con ammirazione. Muta la pelle / non mutano i miei occhi / Mi<br />

vedi nella mente / Sai ancora che sei mia.<br />

«A che cosa pensi?» chiesi, rompendo un uovo dentro una padella e<br />

versandole un bicchiere di succo d'arancia con dita umane che<br />

d'improvviso mi parvero preziose.<br />

Grace rise. «Che mi stai preparando la colazione.»<br />

Era una risposta troppo semplice. Non sapevo se crederci. Soprattutto<br />

quando nella mia testa c'erano mille pensieri che lottavano l'uno contro<br />

l'altro per trovare spazio. «A cos'altro pensi?»<br />

«Che è molto dolce da parte tua. E che spero tu sappia come si<br />

cucinano le uova.» Ma il suo sguardo si spostò per un secondo dalla<br />

padella alla mia bocca, e capii che non stava pensando soltanto alle<br />

uova. Si allontanò rapida e abbassò le veneziane, che subito<br />

modificarono l'atmosfera della cucina. «E che qui dentro c'è troppa luce.»<br />

I raggi filtravano attraverso la tenda gettando strisce orizzontali sui suoi<br />

grandi occhi bruni e sulla linea diritta delle labbra.<br />

Tornai alle uova strapazzate e le rovesciai in un piatto proprio mentre<br />

le fette di pane saltavano fuori dal tostapane. Mi voltai per prenderle<br />

nello stesso istante in cui anche Grace lo faceva, e mi ritrovai in uno di<br />

quei momenti perfetti da film, quando le mani si toccano e sai che i<br />

protagonisti stanno per baciarsi. Solo che questa volta non si trattava di<br />

mani, ma delle mie braccia, che la avvolsero per puro caso, spingendola<br />

contro il bancone mentre prendevo il pane e poi contro il frigo mentre<br />

mi chinavo in avanti. Ero così imbarazzato dalla mia goffaggine che non<br />

mi resi neppure conto che quello era il momento perfetto finché non vidi<br />

Grace con gli occhi chiusi e il volto sollevato verso di me.<br />

La baciai. Un semplice sfioramento di labbra, niente di animale. Ma<br />

perfino in quel momento analizzai il bacio: come avrebbe reagito, come<br />

l'avrebbe interpretato, quel brivido che mi tendeva la pelle, gli attimi<br />

racchiusi tra il momento in cui le toccai le labbra e quello in cui lei aprì gli


occhi.<br />

Grace mi sorrise. Ciò che disse era sarcastico, ma la voce dolce. «Tutto<br />

qui?» Posai di nuovo le mie labbra sulle sue, e stavolta fu un bacio molto<br />

diverso. Fu un bacio che valeva sei anni di attesa; le sue labbra presero<br />

vita sotto le mie, un sapore di arancia e desiderio. Lei mi passò le dita<br />

sulle basette e sui capelli, per poi intrecciarmele attorno al collo, vivide e<br />

fresche sulla mia pelle calda. Ero sfrenato e mansueto, mi facevo a<br />

brandelli e tornavo tutto d'un pezzo. Per la prima volta nella mia vita<br />

umana, la mia mente non vagò a comporre il testo di una canzone e non<br />

si preoccupò di tenere in serbo quel momento per riflessioni future.<br />

Per la prima volta nella mia vita,<br />

ero qui<br />

e da nessun'altra parte.<br />

E poi aprii gli occhi, ed eravamo solo io e Grace - nient'altro che io e<br />

Grace - e lei si premeva le labbra come se cercasse di trattenere dentro di<br />

sé il bacio, e io tenevo quel momento fragile come un uccellino dentro le<br />

mie mani.


Capitolo diciassette • Sam<br />

15 °C<br />

Alcuni giorni sembrano comporsi come le vetrate colorate, dove<br />

centinaia di pezzi di colori e forme diverse, combinati insieme, creano un<br />

disegno completo. Le ultime ventiquattr'ore erano state così. La notte in<br />

ospedale era un pezzo verde vomito, tremolante. Le ore buie del primo<br />

mattino nel letto di Grace erano il secondo, annebbiato e viola. Poi, la<br />

mattina, il ricordo blu cupo della mia altra vita, e alla fine il pezzo<br />

brillante, nitido, che era stato il nostro bacio.<br />

Nel tassello in corso, eravamo sul sedile consunto di una vecchia<br />

Bronco in fondo a una concessionaria di macchine usate, invasa dalla<br />

vegetazione, alla periferia della città. Sembrava che stesse iniziando a<br />

mettersi a fuoco il disegno completo: il ritratto scintillante di qualcosa<br />

che credevo di non poter avere.<br />

Grace fece correre le dita sul volante della Bronco con un gesto<br />

pensieroso e tenero, e poi si voltò verso di me. «Giochiamo alle venti<br />

domande.»<br />

Ero abbandonato sul lato del passeggero, a occhi chiusi, e mi lasciavo<br />

cuocere dal sole pomeridiano che filtrava attraverso il parabrezza. Una<br />

bella sensazione. «Non dovresti guardare anche le altre macchine? Sai,<br />

scegliere comporta... una scelta.»<br />

«Non sono brava a scegliere» disse Grace. «Vedo di cosa ho bisogno e<br />

lo prendo.»<br />

A quella frase scoppiai a ridere. Incominciavo a capire quanto fosse da<br />

Grace un'affermazione del genere.<br />

Lei strinse gli occhi come a fingere di essere arrabbiata e incrociò le<br />

braccia sul petto. «Partiamo con le domande. Si deve rispondere per<br />

forza.»<br />

Mi guardai attorno per controllare che il proprietario non avesse<br />

finito col rimorchio: a Mercy Falls la ditta che si occupava del servizio di<br />

carro attrezzi e della rivendita di macchine usate era la stessa. «Okay,


asta che non siano imbarazzanti.»<br />

Grace si avvicinò un po' di più e si mise in una posizione<br />

perfettamente speculare alla mia. Era come se quella fosse già la prima<br />

domanda: la sua gamba contro la mia gamba, la sua spalla contro la mia<br />

spalla, la sua scarpa coi lacci stretti sopra la mia scarpa consunta. Il battito<br />

del mio polso accelerò: era una risposta che non aveva bisogno di altre<br />

parole.<br />

Grace riprese a parlare in tono pratico, come se non sapesse l'effetto<br />

che aveva su di me. «Voglio sapere cos'è che ti fa trasformare in lupo.»<br />

Facile. «Quando la temperatura si abbassa, divento un lupo. Quando<br />

di notte fa freddo e di giorno fa caldo, sento che ci sono quasi, e poi, alla<br />

fine, fa così freddo che mi trasformo in lupo, per restarlo fino all'arrivo<br />

della primavera.»<br />

«Anche gli altri?»<br />

Feci sì con la testa. «Più a lungo sei stato un lupo, più caldo deve fare<br />

per trasformarti in essere umano.» Mi fermai un attimo, chiedendomi se<br />

non fosse arrivato il momento di dirglielo. «Nessuno sa per quanti anni<br />

passerà da una forma all'altra. Varia da lupo a lupo.»<br />

Grace si limitò a fissarmi, ed era lo stesso lungo sguardo che mi aveva<br />

rivolto da piccola, distesa nella neve. Non riuscii a interpretare la sua<br />

espressione, così come non c'ero riuscito allora. Mentre aspettavo la sua<br />

replica mi si strinse la gola, ma lei per fortuna cambiò argomento.<br />

«Quanti siete?»<br />

Non ne ero del tutto sicuro, perché molti di noi ormai non si<br />

trasformavano più. «Una ventina.»<br />

«Cosa mangiate?»<br />

«Coniglietti.» Socchiuse gli occhi, così le rivolsi un largo sorriso e dissi:<br />

«Anche conigli adulti. Sono un mangia-conigli a favore delle pari<br />

opportunità.»<br />

Non batté ciglio. «Cosa avevi sul muso la notte che mi hai permesso di<br />

accarezzarti?» La sua voce era rimasta inalterata, ma i suoi occhi si<br />

velarono di una strana ombra, come se non fosse sicura di voler sentire la


isposta.<br />

Non fu facile ricordarmi di quella notte: le sue dita nella mia gorgiera,<br />

il respiro che scostava i peli sottili sul lato del mio muso, il piacere<br />

colpevole di essere così vicino a lei. Il ragazzo. Quello che era stato<br />

morso. Ecco che cosa mi stava chiedendo. «Ti riferisci al sangue?»<br />

Grace fece sì con la testa.<br />

Una parte di me era dispiaciuta che Grace avesse fatto quella<br />

domanda, ma aveva tutte le ragioni per non fidarsi di me. «Non era<br />

suo... del ragazzo.»<br />

«Jack» disse.<br />

«Jack» ripetei. «Sapevo che lo stavano attaccando, ma io non c'ero.»<br />

Dovetti scavare a fondo nella memoria per ricordare da dove proveniva<br />

quel sangue. Il mio cervello umano forniva risposte logiche - coniglio,<br />

cervo, carcasse - che sul momento erano più forti dei miei ricordi da<br />

lupo. Alla fine riuscii a scovare la vera risposta, anche se non ne andavo<br />

fiero. «Era un gatto. Il sangue. Avevo mangiato un gatto.»<br />

Grace trasse un sospiro di sollievo.<br />

«Non ti disturba che fosse un gatto?» chiesi.<br />

«Devi mangiare. L'importante è che non si trattasse di Jack, e poi<br />

poteva anche essere un canguro» disse. Ma era chiaro che stava ancora<br />

pensando a Jack. Cercai di ricordare quel poco che sapevo dell'attacco,<br />

perché non sopportavo che pensasse male del branco.<br />

«É stato lui a provocarli, lo sai?» dissi.<br />

«Lui cosa? Hai detto che non eri lì, no?»<br />

Scossi la testa e cercai di spiegarle. «Noi non possiamo. .. i lupi...<br />

quando comunichiamo, lo facciamo per immagini. Niente di complicato.<br />

E non a grandi distanze. Ma se siamo abbastanza vicini, possiamo<br />

condividere un'immagine con un altro lupo. Così è stato per i lupi che<br />

hanno attaccato Jack: mi hanno mostrato delle immagini.»<br />

«Potete leggervi nella mente?» chiese Grace, incredula.<br />

Scossi la testa con forza. «No. Io... è difficile da spiegare da essere


urna... da Sam. É solo un modo di comunicare, ma quando siamo lupi i<br />

nostri cervelli funzionano diversamente. Non esistono concetti astratti.<br />

Cose come il tempo, i nomi e le emozioni complesse sono fuori<br />

discussione. Comunichiamo soltanto per questioni di caccia o per<br />

avvertirci l'un l'altro del pericolo.»<br />

«E cosa hai visto di Jack?»<br />

Abbassai lo sguardo. Era strano, riportare alla mente umana un<br />

ricordo di quand'ero lupo. Passai in rassegna le immagini confuse che<br />

avevo in testa, e mi resi conto soltanto in quel momento che le chiazze<br />

rosse sul manto dei lupi erano ferite di pallottole, e le macchie sulle loro<br />

fauci erano sangue di Jack. «Alcuni lupi mi hanno mostrato delle scene in<br />

cui lui cercava di colpirli. Aveva un... fucile? Probabilmente era una<br />

carabina ad aria compressa. Lui indossava una camicia rossa.» I lupi non<br />

distinguevano bene i colori, tranne il rosso.<br />

«Perché lo avrebbe fatto?»<br />

Scossi la testa. «Non lo so. Non è il genere di cose che ci diciamo.»<br />

Grace rimase in silenzio, forse ancora intenta a pensare a Jack.<br />

Rimanemmo così, in quel silenzio intimo, finché non iniziai a chiedermi<br />

che cosa la turbasse. Poi disse: «Quindi non puoi aprire i regali di<br />

Natale...»<br />

La guardai; non sapevo come rispondere. Natale era qualcosa che<br />

accadeva in un'altra vita, quella prima dei lupi.<br />

Grace abbassò lo sguardo sul volante. «D'estate non ti facevi mai<br />

vedere, e ho sempre amato il Natale perché sapevo che ci saresti stato.<br />

Nel bosco. Come lupo. A causa del freddo, giusto? Questo però significa<br />

che non puoi aprire i regali.»<br />

Scossi la testa. Ormai mi trasformavo troppo presto perfino per<br />

vedere le decorazioni di Natale nei negozi.<br />

Grace guardava incupita il volante. «Mi pensi quando sei un lupo?»<br />

Quando ero lupo ero il ricordo di un ragazzo che lottava per<br />

rimanere aggrappato a parole senza senso. Non volevo dirle la verità:<br />

che non riuscivo a ricordare il suo nome.


«Penso al tuo odore» dissi, sincero. Mi sporsi e mi portai al naso<br />

qualche ciocca dei suoi capelli. L'odore di shampoo mi ricordava l'odore<br />

della sua pelle. Deglutii e le lasciai ricadere i capelli sulla spalla.<br />

Gli occhi di Grace seguirono la mia mano scendere dalla sua spalla alle<br />

mie ginocchia, e mi accorsi che anche lei deglutì. La domanda scontata -<br />

quando mi sarei trasformato di nuovo - era sospesa nell'aria, ma nessuno<br />

dei due la tradusse in parole. Non ero ancora pronto per dirglielo. Mi<br />

faceva male il petto al pensiero di dover abbandonare tutto questo.<br />

«Allora» disse lei, e posò una mano sul volante, «sai guidare?»<br />

Sfilai il portafoglio dalla tasca dei jeans e glielo diedi. «Lo Stato del<br />

Minnesota la pensa così.»<br />

Estrasse la mia patente, la posò sul volante e lesse a voce alta: «Samuel<br />

K. Roth.» Aggiunse, con una certa sorpresa: «É una patente vera. Quindi<br />

tu esisti.»<br />

Risi. «Continui ad avere dei dubbi?»<br />

Invece di rispondere, Grace mi restituì il portafoglio e chiese: «É il tuo<br />

vero nome? Non ti hanno dato per morto, come Jack?»<br />

Non mi andava di parlarne, ma risposi comunque: «Sono due casi<br />

diversi. Io non sono stato morso così brutalmente e dei forestieri mi<br />

hanno soccorso prima che i lupi mi trascinassero via. Nessuno mi ha<br />

dichiarato morto, come invece è avvenuto a Jack. Quindi sì, è il mio vero<br />

nome.»<br />

Grace era pensierosa, e mi chiedevo su cosa stesse riflettendo. Poi,<br />

d'un tratto, mi guardò con espressione cupa. «Quindi i tuoi genitori<br />

sanno cosa sei... Ecco perché...»<br />

Fece una pausa e socchiuse gli occhi. La vidi deglutire un'altra volta.<br />

«Stai male per settimane, dopo» dissi, evitandole di finire la frase.<br />

«Credo che dipenda dalla tossina del lupo che è entrata in circolo.<br />

Passavo continuamente da una forma all'altra, indipendentemente dal<br />

caldo o dal freddo.» Mi fermai. I ricordi mi scorrevano in testa come foto<br />

che non ero stato io a scattare. «Pensavano che fossi posseduto. Poi è<br />

arrivata la stagione calda e io mi sono ripreso... voglio dire, stabilizzato,


e probabilmente pensarono che fossi guarito. Che fossi salvo. Fino a<br />

quando non arrivò l'inverno. Per un po' di tempo insistettero con la<br />

chiesa perché mi aiutasse in qualche modo. Alla fine decisero di pensarci<br />

da soli. Stanno scontando l'ergastolo tutti e due. Non sapevano che<br />

siamo molto più difficili da uccidere delle persone normali.»<br />

Il viso di Grace stava assumendo una tonalità verdognola e le nocche<br />

della mano che stringeva il volante erano bianche. «Cambiamo<br />

argomento.»<br />

«Mi dispiace» dissi, ed ero sincero. «Parliamo di macchine. É questa la<br />

tua promessa sposa? Cioè, dando per scontato che funzioni bene? Non ci<br />

capisco niente di macchine, ma almeno posso fingere il contrario.<br />

"Funziona bene" è una frase che potrebbe usare qualcuno che sa di cosa<br />

parla, giusto?»<br />

Grace andò dritta al punto, accarezzando il volante. «Mi piace.»<br />

«É molto brutta» dissi, magnanimo. «Però penso che si farebbe beffe<br />

della neve. E se investissi un cervo, farebbe un saltino e continuerebbe<br />

per la sua strada.»<br />

Grace aggiunse: «In più, il sedile unito è comodo. Perché così posso...»<br />

Si sporse verso di me, posando la mano leggera sulla mia gamba. Era a<br />

pochi centimetri, così vicina che sentivo il tepore del suo fiato sulle mie<br />

labbra. Così vicina che sentivo i suoi pensieri: aspettava che anch'io mi<br />

sporgessi verso di lei.<br />

Nella mente mi apparve come un lampo l'immagine di Grace nel suo<br />

cortile, la mano tesa ad implorarmi di andare da lei. Ma io allora non<br />

potevo. Ero in un altro mondo, un mondo che mi richiedeva di<br />

mantenere le distanze. Ora non potevo fare a meno di chiedermi se<br />

facevo ancora parte di quel mondo, se ero ancora vincolato da quelle<br />

regole. Mi stavo facendo ingannare dalla mia pelle umana, che mi<br />

stuzzicava con ricchezze che sarebbero svanite alla prima ondata di gelo.<br />

Mi allontanai un po' e prima di leggerle negli occhi la delusione<br />

distolsi lo sguardo. Il silenzio che ci avvolgeva era denso. «Raccontami di<br />

quando sei stata morsa. Cos'è successo dopo?» chiesi, tanto per dire<br />

qualcosa. «Sei stata male?»


Grace si abbandonò sul sedile e sospirò. Mi chiesi quante volte l'avessi<br />

già delusa in passato. «Non lo so. Mi sembra che sia successo tantissimo<br />

tempo fa. Posso provarci. Ricordo che subito dopo mi è venuta la<br />

febbre.»<br />

Dopo che ero stato morso, anche a me venne una specie di febbre.<br />

Spossatezza, brividi di caldo e di freddo, nausea che mi bruciava la gola,<br />

un dolore atroce alle ossa che cambiavano forma.<br />

Grace si strinse nelle spalle. «É stato anche l'anno in cui sono rimasta<br />

chiusa in macchina. É successo uno o due mesi dopo l'attacco. Era<br />

primavera, ma faceva molto caldo. Mio padre mi portò con sé per fare<br />

delle commissioni... ero troppo piccola per lasciarmi a casa da sola,<br />

suppongo.» Mi scoccò un'occhiata per vedere se la stessi ascoltando. Ma<br />

certo che la stavo ascoltando.<br />

«Comunque, avevo la febbre, credo, ed ero intontita dal sonno. Così,<br />

mentre stavamo tornando, mi addormentai sul sedile di dietro... dopo<br />

mi ricordo solo che mi svegliai in ospedale. Volendo ricostruire la scena,<br />

immagino che mio padre fosse tornato a casa, portando dentro la spesa,<br />

e si fosse dimenticato di me. Mi aveva lasciato chiusa in macchina.<br />

Dissero che avevo cercato di uscire, ma non ricordo proprio nulla. Gli<br />

unici ricordi che ho sono in ospedale, quando l'infermiera disse che<br />

quello per Mercy Falls era stato in assoluto il giorno più caldo di maggio.<br />

Il dottore disse a mio padre che il calore della macchina avrebbe dovuto<br />

uccidermi e che quindi ero una miracolata. Un esempio perfetto di<br />

genitori responsabili, non trovi?»<br />

Scossi la testa, incredulo. Nel brevissimo attimo di silenzio che ne seguì<br />

ebbi modo di notare la sua costernazione e di ricordarmi quanto<br />

amaramente rimpiangevo di non averla baciata prima. Pensai di dirle:<br />

Spiegami che cosa intendevi poco fa, quando hai detto che ti piaceva<br />

questo sedile. Ma non riuscivo a immaginare la mia bocca formare quelle<br />

parole, così le presi la mano e feci scorrere le mie dita sul suo palmo e poi<br />

tra le sue dita; le tracciai delle linee sulla mano e lasciai che la mia pelle<br />

mandasse a memoria le sue impronte digitali.<br />

Grace si lasciò sfuggire un borbottio di piacere e chiuse gli occhi


mentre le mie dita le sussurravano cerchi sulla pelle. In un certo senso era<br />

meglio di un bacio.<br />

Tutti e due sussultammo quando qualcuno picchiettò sul vetro del<br />

mio finestrino. L'autista del carro attrezzi, nonché proprietario della<br />

concessionaria, era lì che sbirciava dentro la macchina. La sua voce era<br />

smorzata dal vetro. «Trovato quello che cercavi?»<br />

Grace si sporse dalla mia parte e abbassò il finestrino. Si stava<br />

rivolgendo a lui ma guardava me, intensamente, quando disse: «Ma<br />

sicuro.»


Capitolo diciotto • Grace<br />

3 °C<br />

Quella notte Sam dormì ancora nel mio letto, sempre castamente in<br />

bilico sul bordo del materasso; però, non si sa come, nel corso della notte<br />

i nostri corpi si avvicinarono. Mi svegliai per pochi attimi, parecchie ore<br />

prima dell'alba: la stanza era rischiarata dalla luce pallida della luna, e mi<br />

ritrovai premuta contro la schiena di Sam, con le braccia incrociate sul<br />

petto come una mummia. Vedevo appena la curva della sua spalla, ma<br />

c'era qualcosa nella forma di quella curva, nel gesto che suggeriva, che mi<br />

inondò di una sorta di violento, terribile affetto. Il suo corpo era caldo e<br />

mandava un odore così buono - di lupo, di alberi, di casa - che affondai<br />

il viso nella sua spalla e richiusi gli occhi. Sam si lasciò sfuggire un suono<br />

debole e si girò verso di me, premendo ancora di più le spalle contro il<br />

mio corpo.<br />

Prima di ripiombare nel sonno, mentre rallentavo il respiro per<br />

adattarlo al suo, mi sopravvenne un pensiero bruciante: Non posso<br />

vivere senza questo.<br />

Doveva esserci un rimedio.


Capitolo diciannove • Grace<br />

22 °C<br />

L'indomani faceva un caldo fuori stagione. La giornata era troppo<br />

bella per andare a scuola, ma non potevo saltare le lezioni per due volte<br />

di fila senza una scusa davvero convincente. Non c'era pericolo che<br />

rimanessi indietro, ma avevo l'impressione che quando per tanto tempo<br />

non si fa neppure un'assenza, se poi succede la gente tende a fartelo<br />

pesare. Rachel aveva già chiamato due volte lasciando un messaggio<br />

minaccioso in segreteria: diceva che avevo scelto il giorno sbagliato per<br />

fare buca a scuola, Grace Brisbane! Olivia non mi chiamava dalla lite in<br />

corridoio, quindi significava che continuavamo a non parlarci.<br />

Sam mi accompagnò a scuola in macchina mentre cercavo di mettermi<br />

in pari con i compiti di inglese che il giorno prima non avevo fatto.<br />

Parcheggiò e io aprii la portiera per lasciar entrare una folata di quell'aria<br />

calda così anomala. Sam voltò il viso verso la portiera spalancata, gli<br />

occhi semichiusi.<br />

«Adoro quando c'è questo tempo. Mi sento così me stesso.»<br />

Mentre lo guardavo crogiolarsi al sole, mi sembrava che l'inverno<br />

fosse lontano anni luce, e non riuscivo a immaginare che lui mi<br />

abbandonasse. Volevo tenere a mente la curva del suo naso per i<br />

prossimi sogni a occhi aperti.<br />

Per un istante fui assalita da un senso di colpa irrazionale, perché<br />

temevo che i sentimenti che provavo per Sam stessero rimpiazzando<br />

quelli che avevo provato per il mio lupo. Poi però mi ricordai che lui era<br />

il mio lupo. Mi sembrò ancora una volta che il terreno mi scivolasse sotto<br />

i piedi solo perché Sam esisteva, ma ne fui subito sollevata. La mia<br />

ossessione era più semplice, adesso. L'unica cosa che dovevo spiegare alle<br />

mie amiche era da dove saltava fuori il mio ragazzo.<br />

«Devo proprio andare» dissi. «Ma non ne ho voglia.»<br />

Sam aprì completamente gli occhi e mi guardò. «Quando esci io sarò<br />

qui, promesso.» Poi aggiunse, molto formale: «Posso usare la tua


macchina? Vorrei vedere se Beck è ancora umano, e in caso contrario, se<br />

a casa sua c'è corrente.»<br />

Annuii, ma una parte di me sperava che a casa di Beck non ci fosse<br />

corrente. Volevo che Sam dormisse ancora nel mio letto, dove potevo<br />

trattenerlo dallo sparire come il sogno che era. Scivolai giù dalla Bronco<br />

con lo zaino. «Niente multe, autista spericolato.»<br />

Mentre passavo davanti alla macchina, Sam abbassò il finestrino.<br />

«Ehi!»<br />

«Cosa?»<br />

Timidamente disse: «Vieni qui, Grace.» Sorrisi per il modo in cui aveva<br />

pronunciato il mio nome e tornai verso il finestrino. Quando capii che<br />

cosa voleva, sorrisi ancora di più. Non mi lasciai ingannare dal suo bacio<br />

prudente; non appena ebbi dischiuso lentamente le labbra, lui sospirò e<br />

si ritrasse. «Ti farò fare tardi a scuola.»<br />

Sorrisi. Mi sentivo in cima al mondo. «Ci vediamo alle tre?»<br />

«Ci sarò.»<br />

Lo guardai uscire dal parcheggio, sentendo già il peso della lunga<br />

giornata di scuola che mi aspettava.<br />

Un quaderno mi si abbatté sul braccio. «Chi era quello?»<br />

Mi voltai: era Rachel. Cercai di trovare una risposta più credibile della<br />

verità. «Il mio autista?»<br />

Rachel non indagò oltre, soprattutto perché la sua mente si era già<br />

concentrata su qualcos'altro. Mi afferrò per il gomito e cominciò a<br />

trascinarmi verso la scuola. Ero sicura, sicura che mi spettasse di diritto<br />

una ricompensa nell'aldilà per aver scelto la scuola nonostante la<br />

magnifica giornata e Sam nella mia macchina. Rachel mi scosse il braccio<br />

per attirare la mia attenzione. «Grace. Concentrati. Ieri fuori dalla scuola<br />

c'era un lupo. Nel parcheggio. L'hanno visto tutti quando sono usciti.»<br />

«Cosa?» Mi volsi e da sopra la mia spalla diedi un'occhiata al<br />

parcheggio, cercando di immaginare un lupo in mezzo alle macchine. I<br />

pini radi che costeggiavano l'area non erano collegati con Boundary


Wood; per arrivare al parcheggio il lupo avrebbe dovuto attraversare<br />

parecchie strade e parecchi prati. «Com'era fatto?»<br />

Rachel mi lanciò un'occhiata bizzarra. «Il lupo?»<br />

Annuii.<br />

«Come un lupo. Grigio.» Rachel non si lasciò sfuggire il mio sguardo<br />

fulminante, e si strinse nelle spalle. «Non lo so, Grace. Grigio-blu. Con dei<br />

graffi enormi tutti sporchi di terra sulla spalla. Sembrava malridotto.»<br />

Quindi era Jack. Doveva essere lui. «Immagino il caos» dissi.<br />

«Sì, dovevi esserci, ragazza-lupo. Sul serio. Grazie a Dio non si è fatto<br />

male nessuno, ma Olivia per lo spavento è uscita di testa. Tutta la scuola<br />

è uscita di testa. Isabel era isterica e ha fatto una scenata tremenda.»<br />

Rachel mi strinse il braccio. «E comunque perché non hai risposto al<br />

telefono?»<br />

Entrammo a scuola; avevano lasciato le porte aperte per far entrare<br />

l'aria mite. «Batteria scarica.»<br />

Rachel fece una smorfia e alzò la voce in modo che la sentissi anche in<br />

mezzo al trambusto degli studenti nei corridoi. «Dimmi un po', stai male?<br />

Non avrei mai pensato in vita mia di vederti saltare un giorno di scuola.<br />

Tra te che eri assente e gli animali selvatici che vagavano nel parcheggio,<br />

ho pensato che fosse arrivata la fine del mondo. Mancava solo la pioggia<br />

di sangue.»<br />

«Credo di essermi presa uno di quei virus che si curano nel giro di<br />

ventiquattr'ore» risposi.<br />

«Mmm, forse non dovrei toccarti.» Ma invece di spostarsi, Rachel urtò<br />

la spalla contro la mia, con un gran sorriso. Mi misi a ridere e la spinsi via,<br />

e nel farlo vidi Isabel Culpeper. Il mio sorriso svanì. Era appoggiata alla<br />

parete accanto a una delle fontanelle d'acqua potabile, con le spalle<br />

incurvate. All'inizio pensai che stesse guardando il cellulare, ma poi mi<br />

accorsi che non aveva niente in mano e stava fissando il pavimento. Se<br />

non fosse stata così principessa di ghiaccio, avrei detto che stesse<br />

piangendo. Non sapevo se era il caso di andare a parlarle.<br />

Come se mi avesse letto nel pensiero, Isabel alzò lo sguardo e i suoi


occhi, così simili a quelli di Jack, incontrarono i miei. Vi lessi un<br />

messaggio di sfida. Che cos'hai da guardare, eh?<br />

Distolsi in fretta lo sguardo e continuai a camminare accanto a Rachel,<br />

ma avevo la spiacevole sensazione di aver lasciato delle cose non dette.


Capitolo venti • Sam<br />

4 °C<br />

Quella notte ero disteso sul letto di Grace ma non riuscivo a prendere<br />

sonno. La notizia che Jack era stato visto a scuola mi aveva agitato, e me<br />

ne stavo lì, a fissare il buio interrotto soltanto dall'aureola tenue dei<br />

capelli di Grace sul cuscino. E pensavo ai lupi che non si comportano<br />

come lupi. E pensavo a Christa Bohlmann.<br />

Per anni e anni mi ero quasi dimenticato di lei, ma dopo che Grace mi<br />

aveva raccontato la storia di Jack che si era appostato dove non avrebbe<br />

dovuto, mi era tornata in mente.<br />

Ripensai all'ultimo giorno che l'avevo vista, mentre lei e Beck<br />

litigavano in cucina, in salotto, all'ingresso, di nuovo in cucina,<br />

ringhiando e urlandosi addosso come lupi che si muovono in cerchi. A<br />

quei tempi ero un bambino - avevo più o meno otto anni - e Beck mi<br />

sembrava un gigante, una sorta di dio furioso che conteneva a stento la<br />

sua rabbia. Non facevano che girare in tondo per casa, lui e Christa, una<br />

giovane donna greve col viso macchiato dalla rabbia.<br />

"Hai ucciso due persone, Christa. Quando hai intenzione di<br />

rendertene conto?"<br />

"Ucciso, dici? Ucciso?" Alle mie orecchie la sua voce era stridula come<br />

artigli sul vetro. "E io, allora? Guardami. La mia vita è finita."<br />

"Non è finita" era scattato Beck. "Se non sbaglio, respiri ancora. Il tuo<br />

cuore continua a battere. Non si può dire lo stesso delle tue vittime."<br />

Ricordo che la voce di Christa mi aveva spinto a rannicchiarmi: un<br />

urlo gutturale, quasi incomprensibile. "Questa non è vita!"<br />

Beck aveva inveito contro di lei parlando di egoismo e responsabilità,<br />

e lei aveva risposto con una sfilza di bestemmie che mi aveva scioccato:<br />

non avevo mai sentito quelle parole prima.<br />

"E quel ragazzo in cantina?" era sbottato Beck. Dalla mia posizione<br />

strategica in corridoio vedevo solo la schiena di Beck. "L'hai morso,


Christa. Hai rovinato la sua, di vita. E hai ucciso due persone. Solo perché<br />

sono stati sgarbati con te. Eppure non mi sembra che tu provi alcun<br />

rimorso. Maledizione, devi promettermi che non succederà più."<br />

"Perché dovrei prometterti qualcosa? Tu cosa mi hai dato finora?"<br />

aveva ringhiato Christa. Continuava a incurvare le spalle, a contrarle. "E<br />

vi definite un branco? Siete una congrega di streghe. Siete un abominio.<br />

Una setta. Io faccio quello che voglio. Vivrò questa vita a modo mio."<br />

La voce di Beck era inespressiva in un modo spaventoso. Ricordo che<br />

tutt'a un tratto mi ero sentito dispiaciuto per Christa, perché Beck<br />

perdeva il tono arrabbiato solo quando era al peggio di sé. "Promettimi<br />

che non succederà più."<br />

Allora lei mi aveva guardato: no, non mi aveva guardato. Mi aveva<br />

attraversato con lo sguardo. La sua mente era lontana, cercava di sfuggire<br />

alla realtà del suo corpo mutevole. Le si era gonfiata una vena al centro<br />

della fronte, e avevo notato che le sue unghie erano diventate artigli.<br />

"Non ti devo niente. Va' al diavolo."<br />

Beck aveva detto, a voce molto bassa: "Esci da casa mia."<br />

Lei era uscita. Aveva sbattuto la porta a vetri così forte da far vibrare<br />

le stoviglie nei pensili della cucina. Qualche minuto dopo, la porta si era<br />

riaperta e subito richiusa, molto più piano: era uscito anche Beck.<br />

Fuori faceva davvero freddo e avevo paura che Beck si trasformasse<br />

per l'inverno e mi lasciasse solo. Ero così terrorizzato che sgattaiolai in<br />

salotto, e in quel momento sentii un forte crac.<br />

Beck era rientrato a casa in silenzio, tremando per il freddo e il rischio<br />

di mutarsi da un momento all'altro, e aveva posato una pistola sul<br />

bancone, ma piano, come se fosse di vetro. Poi si era accorto di me in<br />

piedi in salotto, le braccia incrociate sul petto e le dita strette attorno ai<br />

bicipiti.<br />

Ricordavo ancora il suono della sua voce quando aveva detto: "Non<br />

toccarla, Sam." Vuoto. Rabbia. Era andato nel suo studio ed era rimasto<br />

con la testa appoggiata alle braccia per il resto del giorno. Quando si era<br />

fatta sera, lui e Ulrik erano usciti. Parlavano a voce bassa, in sussurri; dalla


finestra avevo visto Ulrik prendere una pala nel garage.<br />

E adesso eccomi sul letto di Grace, e da qualche parte là fuori c'era<br />

Jack. Le persone arrabbiate non diventano bravi licantropi.<br />

Mentre Grace era a scuola, ero andato a casa di Beck. Il vialetto era<br />

vuoto e le finestre buie; non avevo avuto il coraggio di entrare e scoprire<br />

da quanto tempo era disabitata. Se non c'era Beck a proteggere il branco,<br />

chi altri avrebbe dovuto tenere Jack sotto controllo?<br />

Uno sgradito senso di responsabilità iniziò a pizzicarmi la gola. Beck<br />

aveva un cellulare di cui non sarei riuscito a ricordare il numero neppure<br />

se avessi scavato per ore nella memoria. Premetti la faccia contro il<br />

cuscino e pregai che Jack non mordesse nessuno, perché se diventava un<br />

problema, non credevo di essere abbastanza forte da fare ciò che<br />

bisognava fare.


Capitolo ventuno • Sam<br />

14 °C<br />

Il mattino dopo, quando alle 6.45 suonò la sveglia di Grace,<br />

urlandomi all'orecchio oscenità elettroniche, di colpo balzai su, col cuore<br />

che batteva, proprio com'era successo il giorno prima. La mia testa<br />

brulicava di sogni: lupi e uomini e musi imbrattati di sangue.<br />

«Ummmm» mormorò Grace, tranquilla, e si tirò su le lenzuola fino al<br />

collo. «Ti dispiace spegnerla? Ora mi alzo, giuro. Fra un... secondo mi<br />

alzo.» Si girò su un fianco, con la testa bionda che spuntava appena dalla<br />

coperta, e sprofondò nel letto come se fosse tutt'uno con il materasso.<br />

Era così: lei dormiva e io no.<br />

Mi appoggiai alla testata del letto, e la lasciai dormire per qualche<br />

altro minuto distesa al mio fianco, calda e sognante. Le accarezzai<br />

dolcemente i capelli, tracciando una linea che partiva dalla fronte, girava<br />

attorno all'orecchio e finiva alla base del lungo collo, dove i capelli non<br />

erano più veri e propri capelli ma piccoli batuffoli disordinati. Erano<br />

affascinanti, quelle piume soffici che sarebbero diventate capelli. Ero<br />

davvero tentato di chinarmi e morderli piano, di svegliarla e baciarla e<br />

farle fare tardi a scuola, ma non riuscivo a smettere di pensare a Jack e a<br />

Christa e a quelli che erano diventati dei cattivi licantropi. Se fossi andato<br />

a scuola, sarei riuscito a seguire le tracce di Jack col mio fiuto indebolito?<br />

«Grace» sussurrai. «Svegliati.»<br />

Lei borbottò qualcosa di incomprensibile, che nel linguaggio del<br />

sonno doveva significare più o meno lasciami in pace.<br />

«É ora di svegliarsi» dissi, infilandole un dito nell'orecchio.<br />

Grace squittì e mi colpì. Era sveglia.<br />

Le nostre mattine insieme stavano iniziando a prendere la piega<br />

confortante della routine. Mentre Grace, ancora insonnolita, incespicava<br />

verso la doccia, misi un bagel per ciascuno nel tostapane e convinsi la<br />

macchina del caffè a fare qualcosa che assomigliasse a un caffè. Poi tornai


in camera, e mentre mi infilavo i jeans e cercavo nei cassetti un paio di<br />

calzini che non sembrassero troppo femminili, ascoltai Grace che cantava<br />

stonata sotto la doccia.<br />

E tutto d'un tratto, prima ancora che me ne accorgessi, mi si era<br />

mozzato il respiro. Annidate tra i calzini ordinatamente ripiegati c'erano<br />

delle fotografie. Immagini dei lupi. Di noi. Presi le foto dal cassetto con la<br />

massima cautela e mi sedetti sul letto. Le sfogliai molto lentamente,<br />

dando la schiena alla porta, come se stessi facendo qualcosa di illegale. In<br />

un certo senso mi affascinava guardare quelle immagini con occhi umani.<br />

Ad alcuni di quei lupi potevo associare dei nomi; almeno a quelli più<br />

vecchi che si erano sempre trasformati prima di me. Beck, grande,<br />

corpulento, grigio-blu. Paul, nero e pulito. Ulrik, grigio-marrone. Salem,<br />

con l'orecchio sbrindellato e l'occhio purulento. Sospirai senza sapere<br />

perché.<br />

La porta si aprì, lasciando entrare una scia di vapore che aveva lo<br />

stesso odore del sapone di Grace. Lei mi si avvicinò da dietro e appoggiò<br />

la testa sulla mia spalla. Inalai il suo profumo.<br />

«Ti guardi?» mi chiese.<br />

Le mie dita, infilate tra le foto, si bloccarono. «Ci sono anch'io?»<br />

Grace fece il giro del letto e si sedette di fronte a me. «Certo. Quasi<br />

tutte queste foto ritraggono te... non ti riconosci? Oh. Certo che no.<br />

Dimmi chi sono gli altri.»<br />

Lentamente sfogliai daccapo le immagini, mentre lei si faceva più<br />

vicina e il letto a ogni suo movimento cigolava. «Questo è Beck. Si è<br />

sempre preso cura dei lupi nuovi.» Anche se dopo di me i nuovi erano<br />

stati soltanto due: Christa e il lupo creato da lei, Derek. In realtà non ero<br />

abituato a nuovi arrivati più giovani. Il nostro branco di solito cresceva<br />

di numero grazie a lupi più anziani che ci trovavano e si univano a noi;<br />

non capitava mai che se ne aggiungessero di nuovi creati in modo<br />

violento, come Jack. «Beck è come un padre.» Faceva uno strano effetto<br />

dirlo, anche se era la verità. Non avevo mai dovuto spiegarlo a nessuno<br />

prima di allora. Era stato l'unico a prendermi sotto la sua protezione<br />

dopo che ero scappato di casa, l'unico che era riuscito a rimettere insieme


i cocci della mia salute mentale.<br />

«Si capisce che cosa provi per lui» disse Grace, sorpresa dal suo stesso<br />

intuito. «Hai una voce diversa quando parli di lui.»<br />

«Davvero?» Ora toccava a me essere sorpreso. «Diversa in che senso?»<br />

Si strinse nelle spalle, un po' intimidita. «Non lo so. Orgogliosa, forse.<br />

Credo che sia una cosa dolce. E questo chi è?»<br />

«Shelby» dissi, e stavolta nella mia voce non c'era nessun orgoglio. «Ti<br />

ho già parlato di lei.»<br />

Grace osservò la mia espressione.<br />

Il ricordo dell'ultima volta che io e Shelby ci eravamo visti mi fece<br />

rivoltare lo stomaco. «Io e lei non vediamo le cose allo stesso modo. Lei<br />

pensa che essere un lupo sia un dono.»<br />

Accanto a me, Grace annuì, e le fui grato di non dover aggiungere<br />

altro.<br />

Passai alle foto successive, altre immagini di Beck e Shelby, e poi<br />

indugiai sulla sagoma nera di Paul. «Questo è Paul. Quando siamo lupi è<br />

il nostro capobranco. Quello vicino a lui è Ulrik.» Indicai il lupo<br />

grigio-marrone accanto a Paul. «Ulrik è una specie di zio pazzo. Tedesco.<br />

Dice un sacco di parolacce.»<br />

«Mi piace già.»<br />

«É molto simpatico.» In realtà, avrei dovuto dire era molto simpatico.<br />

Non sapevo se quello fosse stato il suo ultimo anno da uomo o se gli<br />

rimanesse ancora un'altra estate. Mi tornò in mente la sua risata, uno<br />

stormo di corvi in volo, e il suo modo di enfatizzare l'accento tedesco,<br />

come se senza di esso avesse paura di non essere più Ulrik.<br />

«Va tutto bene?» mi chiese Grace, corrucciata.<br />

Scossi il capo e continuai a fissare le fotografie dei lupi, che visti<br />

attraverso i miei occhi umani erano animali in tutto e per tutto. La mia<br />

famiglia. Io. Il mio futuro. In un certo senso, le foto avevano reso più<br />

sfocata una linea di confine che non ero ancora pronto ad attraversare.<br />

Mi accorsi che Grace aveva un braccio attorno alla mia spalla, la


guancia appoggiata contro di me e cercava di confortarmi anche se<br />

probabilmente non riusciva a capire che cosa mi turbasse.<br />

«Mi sarebbe piaciuto che tu li conoscessi» dissi, «quando erano tutti<br />

umani.» Era difficile spiegarle quanto fossero parte di me, le loro voci e i<br />

loro volti da umani, e il loro odore e la loro forma da lupi. E quanto mi<br />

sentivo perduto adesso che ero l'unico a essersi trasformato.<br />

«Parlami di loro» disse Grace, la voce soffocata dalla mia maglietta.<br />

Lasciai che la mia mente si perdesse nei ricordi. «Beck mi ha insegnato<br />

a cacciare quando avevo otto anni. Era una cosa che odiavo.» Mi ricordai<br />

di quando, nel salotto di Beck, fissavo fuori dalla finestra i primi rami<br />

coperti di ghiaccio, che brillavano nel sole mattutino. Il cortile sembrava<br />

un pianeta pericoloso e alieno.<br />

«Perché?» mi chiese Grace.<br />

«Non sopportavo la vista del sangue. Non mi piaceva fare del male.<br />

Avevo otto anni.» Nei miei ricordi ero piccolo, tutt'ossa, innocente.<br />

Avevo passato l'intera estate cercando di convincermi che quell'inverno<br />

con Beck sarebbe stato diverso, che non mi sarei trasformato e avrei<br />

continuato a mangiare le uova che lui mi preparava, per sempre. Ma<br />

dato che le notti erano sempre più fredde e le seppur brevi puntate fuori<br />

casa mi facevano tremare i muscoli, avevo capito che stava arrivando il<br />

momento in cui non avrei più potuto evitare la trasformazione, e avevo<br />

capito che neppure a Beck restava molto tempo per cucinarmi le uova.<br />

Ma questo non significava che andassi a caccia volentieri.<br />

«E allora perché cacciare?» chiese Grace, sempre razionale. «Perché<br />

non preparare delle scorte di cibo?»<br />

«Ah. Feci a Beck la stessa domanda e Ulrik disse: "Ja, mettiamo da<br />

parte anche i procioni e gli opossum?"»<br />

Grace scoppiò a ridere, forse un po' troppo forte considerata la mia<br />

pessima imitazione dell'accento di Ulrik.<br />

Sentii una vampata di calore alle guance; era bello parlare del branco<br />

con lei. Amavo il luccichio nei suoi occhi, la curiosità nella linea della sua<br />

bocca: sapeva che cos'ero e voleva saperne di più. Ma questo non


significava che facessi bene a parlargliene, dato che non era una del<br />

branco. Beck aveva sempre detto: Le sole persone che ci possano<br />

proteggere siamo noi. Ma Beck non conosceva Grace. E Grace non era<br />

soltanto umana. Anche se non si era trasformata, era stata comunque<br />

morsa. Dentro era un lupo. Non poteva essere altrimenti.<br />

«Come continua la storia?» mi chiese Grace. «Cosa cacciavi?»<br />

«Conigli, ovviamente» risposi. «Beck mi portava fuori mentre Paul<br />

aspettava in un furgone nel caso fossi diventato abbastanza instabile da<br />

mutarmi di nuovo.» Non avrei mai dimenticato il modo in cui Beck mi<br />

aveva bloccato davanti alla porta prima che uscissimo, curvandosi per<br />

potermi guardare negli occhi. Ero immobile e cercavo di non pensare ai<br />

corpi in trasformazione e al collo dei conigli che avrei dovuto spezzare<br />

con i denti. Al fatto di dovermi congedare da Beck per tutto l'inverno. Mi<br />

aveva posato la mano sulla spalla magra e mi aveva detto: "Sam, mi<br />

dispiace. Non aver paura."<br />

Non avevo detto niente, perché pensavo che faceva freddo e che<br />

Beck non si sarebbe ritrasformato dopo la caccia, e che poi nessun altro<br />

avrebbe saputo cucinarmi cosi bene le uova. Beck faceva delle uova<br />

perfette. E soprattutto, Beck mi faceva rimanere Sam. A quei tempi, con<br />

le cicatrici ancora fresche sui polsi, ero stato pericolosamente sul punto di<br />

trasformarmi in qualcosa che non era né uomo né lupo.<br />

«A che cosa pensi?» chiese Grace. «Non parli più.»<br />

Alzai lo sguardo; non mi ero reso conto di averlo distolto da lei. «Alla<br />

trasformazione.»<br />

Senza smettere di guardarmi, Grace premette il mento sulla mia spalla.<br />

Aveva la voce titubante quando mi rivolse una domanda che mi aveva<br />

già rivolto: «Fa male?»<br />

Pensai al processo lento e doloroso della trasformazione, i muscoli<br />

che si tendono, la pelle che si gonfia, le ossa che si schiacciano. Gli adulti<br />

avevano sempre cercato di non lasciare che li vedessi mentre<br />

cambiavano forma, per proteggermi. Ma non era la loro trasformazione<br />

che mi terrorizzava: quello spettacolo mi faceva solo provare una gran<br />

compassione per loro, dato che perfino Beck gemeva dal dolore. Era la


mia trasformazione che mi terrorizzava, anche adesso. E il fatto che avrei<br />

dimenticato Sam.<br />

Ero un pessimo bugiardo, così non ci provai neppure. «Sì.»<br />

«Mi rattrista pensare a te bambino costretto a subire tutto questo»<br />

disse Grace. Era cupa e mi guardava battendo le palpebre sugli occhi<br />

troppo lucidi. «Mi fa stare davvero molto male, povero piccolo Sam.» Mi<br />

sfiorò il mento con un dito; mi abbandonai alla sua mano.<br />

Mi ricordai che quella volta ero stato molto fiero di non aver pianto<br />

mentre mi trasformavo, al contrario di quando ero più piccolo e avevo<br />

gli occhi dei miei genitori puntati addosso, occhi sgranati dall'orrore. Mi<br />

ricordai del lupo Beck, che a grandi balzi mi aveva condotto nel bosco, e<br />

mi ricordai la sensazione calda e amara di quando avevo sentito in bocca<br />

la mia prima preda. Mi ero ritrasformato dopo che Paul, avvolto in<br />

cappotto e cappello, era venuto a prendermi. Fu nel furgone, sulla via di<br />

casa, che la solitudine mi assalì. Ero solo; quell'anno Beck non sarebbe<br />

più tornato umano.<br />

Adesso era come se fossi ritornato a otto anni, ancora una volta da<br />

solo, con nuove cicatrici. Mi faceva male il petto, il respiro usciva a forza.<br />

«Mostrami come sono» dissi a Grace, porgendole le foto. «Per favore.»<br />

Mi sfilò il plico dalla mano e vidi il suo volto illuminarsi mentre<br />

sfogliava le foto per cercarne una in particolare. «Questa è la mia<br />

preferita.»<br />

Guardai la foto che mi aveva dato. Un lupo ricambiava il mio<br />

sguardo, un lupo che aveva i miei stessi occhi, un lupo immobile che mi<br />

guardava dal bosco, con la luce del sole che gli sfiorava la pelliccia.<br />

Guardavo e guardavo, aspettando che mi facesse qualche effetto.<br />

Aspettando di riconoscermi in lui. Sembrava ingiusto che, a guardarli<br />

nelle foto, le identità degli altri lupi mi fossero così chiare e non riuscissi<br />

invece a riconoscere la mia. Che cosa c'era in questa foto, in quel lupo,<br />

che accendeva gli occhi di Grace?<br />

E se non ero io? E se era innamorata di un altro lupo, ed era convinta<br />

che fossi io? Come avrei fatto a saperlo?


Grace, ignara dei miei dubbi, scambiò il mio silenzio per incanto.<br />

Distese le gambe, si alzò di fronte a me e mi passò una mano tra i capelli.<br />

Poi se la portò al naso e inspirò a fondo. «Sai, hai ancora l'odore di<br />

quando eri lupo.»<br />

E così, aveva detto forse l'unica cosa in grado di farmi star meglio.<br />

Le restituii la foto.<br />

Grace si fermò sulla soglia, stagliandosi contro la luce fioca del primo<br />

mattino, e mi guardò, gli occhi, la bocca, le mani, in un modo che<br />

aggrovigliò e sciolse qualcosa dentro di me, al limite della<br />

sopportazione.<br />

Non credevo di appartenere al suo mondo: ero un ragazzo<br />

imprigionato tra due vite, che trascinava con sé il pericolo rappresentato<br />

dai lupi. Ma quando pronunciò il mio nome, e rimase lì ad aspettare che<br />

io la seguissi, sapevo che avrei fatto qualunque cosa pur di restare con lei.


Capitolo ventidue • Sam<br />

17 °C<br />

Dopo aver lasciato Grace a scuola, rimasi per non so quanto tempo a<br />

girare in tondo nel parcheggio, frustrato per Jack, frustrato per la<br />

pioggia, frustrato per i limiti del mio corpo umano. Fiutavo che un lupo<br />

era stato lì - solo una scia debole di muschio - ma non riuscivo a<br />

individuare da che parte fosse andato e nemmeno a dire con sicurezza<br />

che si trattasse di Jack. Era come essere ciechi.<br />

Alla fine mi arresi e, dopo essere rimasto seduto in macchina per<br />

alcuni minuti, decisi di andare a casa di Beck. L'unico posto che mi veniva<br />

in mente per iniziare la mia ricerca era il bosco dietro quella casa, dove<br />

era più logico trovare dei lupi. Quindi puntai verso la mia vecchia casa<br />

estiva.<br />

Non sapevo se Beck si fosse trasformato in essere umano quest'anno;<br />

non riuscivo neppure a ricordare con chiarezza come avevo trascorso la<br />

mia estate. I ricordi si confondevano fino a diventare un miscuglio di<br />

stagioni e profumi di provenienza oscura.<br />

Dato che Beck si era trasformato per molti più anni di me, era<br />

improbabile che quest'anno lui si fosse trasformato in umano e io invece<br />

no. Ma era altrettanto probabile che io avessi ancora molti più anni di<br />

mutazioni a venire. Non ero un mutante da tanto tempo. Dove erano<br />

andate a finire le mie estati?<br />

Volevo Beck. Volevo i suoi consigli. Volevo sapere perché quel colpo<br />

di fucile mi aveva fatto tornare umano. Volevo sapere quanto tempo<br />

avevo a disposizione per stare con Grace. Volevo sapere se quella era la<br />

fine.<br />

"Tu sei il migliore di tutti loro" mi aveva detto Beck una volta, e mi<br />

ricordavo ancora bene la sua espressione mentre lo diceva. Diretto,<br />

affidabile, serio. Un'ancora in un mare in tempesta. Sapevo che cosa<br />

intendeva quando diceva il migliore: il più umano del branco. Era<br />

successo dopo che avevano rapito Grace dall'altalena.


Ma quando arrivai, la casa di Beck era ancora vuota e buia, e le mie<br />

speranze svanirono. Gli altri lupi dovevano essersi già trasformati per<br />

l'inverno; non dovevano essere rimasti molti lupi giovani. Tranne Jack,<br />

adesso. La cassetta della posta era stipata di buste e cartoncini che<br />

avvisavano Beck che c'era altra posta all'ufficio centrale. Presi tutto e lo<br />

misi in macchina. Avevo la chiave della sua casella di posta, ma me ne<br />

sarei occupato dopo.<br />

Mi rifiutavo di pensare che non avrei più rivisto Beck.<br />

Però restava il fatto che senza di lui Jack non aveva potuto ricevere<br />

delle direttive. E invece bisognava tenerlo lontano dalla scuola e dalla<br />

civiltà, almeno finché non fosse passata la fase iniziale, quella in cui si<br />

cambiava forma in maniera imprevedibile. La sua morte aveva già<br />

danneggiato abbastanza il branco. Non potevo consentire che ci<br />

esponesse, trasformandosi in pubblico o mordendo qualcun altro.<br />

Dato che Jack era già passato da scuola, supposi che avesse anche<br />

cercato di andare a casa, e quindi mi incamminai verso la residenza dei<br />

Culpeper. Non era affatto un segreto dove abitavano; tutti in città<br />

conoscevano la gigantesca villa Tudor che si scorgeva perfino<br />

dall'autostrada. L'unica villa di Mercy Falls. Non credevo che ci fosse<br />

qualcuno in casa a quell'ora, ma per precauzione parcheggiai la Bronco<br />

di Grace a quasi un chilometro di distanza, e attraversai a piedi il bosco di<br />

pini.<br />

Ero quasi sicuro che la casa fosse vuota: torreggiava su di me come una<br />

dimora uscita da una vecchia fiaba. Mi bastò avvicinarmi all'ingresso per<br />

sentire subito l'odore inconfondibile di lupo.<br />

Non riuscivo a stabilire se era già entrato o se, come me, era venuto<br />

mentre tutti erano via ed era già tornato nei boschi. Ricordandomi<br />

quanto fossi vulnerabile da essere umano, mi voltai di scatto e annusai<br />

l'aria, esaminando i pini nei dintorni in cerca di segni di vita. Niente. O<br />

almeno niente di così vicino da poter essere individuato dai miei sensi<br />

umani.<br />

Dato che volevo fare le cose per bene, mi intrufolai in casa per<br />

accertarmi che Jack non fosse già dentro, rinchiuso in una stanza blindata


iservata ai mostri. Però non feci un lavoro pulito; ruppi una finestra sul<br />

retro con un mattone e infilai la mano nel buco con i suoi spuntoni<br />

taglienti per abbassare la maniglia.<br />

Dentro, annusai di nuovo l'aria. Mi sembrava di sentire odore di lupo,<br />

ma era tenue e stantio. Non capivo come mai Jack potesse emettere<br />

quell'odore, ma lasciai che mi guidasse attraverso la casa. La pista mi<br />

condusse a una serie di massicce porte di quercia: ero sicuro che la scia di<br />

odore continuasse anche al di là.<br />

Con cautela spinsi le porte, poi inspirai a fondo.<br />

Mi trovai davanti a un imponente atrio pieno di animali. Imbalsamati.<br />

E certo non avevano l'aria da peluche. La stanza buia dai soffitti alti<br />

sembrava la sala di un museo - la mostra si intitolava Animali del Nord<br />

America - o una sorta di reliquiario di morte. Cercai di creare il testo di<br />

una canzone, ma ne uscì solo un verso: Ostentiamo il ghigno della morte<br />

che sorride.<br />

Rabbrividii.<br />

Anche alla mezza luce che filtrava attraverso le alte finestre circolari<br />

sembrava che ci fossero animali sufficienti a popolare l'Arca di Noè. C'era<br />

una volpe, che stringeva in bocca una quaglia imbalsamata. Lì un orso<br />

bruno, che si levava sopra di me con gli artigli sguainati. Una lince, che<br />

strisciava per l'eternità lungo un ramo. E un orso polare con un pesce<br />

imbalsamato tra le zampe. Si può imbalsamare un pesce? Non ci avevo<br />

mai pensato.<br />

E poi, in una mandria di cervi di tutte le forme e misure, vidi la fonte<br />

dell'odore che avevo fiutato prima: c'era un lupo che mi fissava, di spalle,<br />

con la testa voltata verso di me, i denti digrignati e gli occhi di vetro<br />

minacciosi. Avanzai verso di lui e tesi la mano, sfiorandogli la pelliccia<br />

secca. Al mio tocco l'odore stantio riprese vita, liberando segreti nelle<br />

mie narici, e riconobbi il profumo unico del mio bosco. Serrai il pugno e<br />

mi allontanai dal lupo, con la pelle accapponata. Uno di noi. Forse no.<br />

Forse era un lupo e basta. Ma nel mio bosco non avevo mai incontrato<br />

un lupo che fosse un lupo e basta.<br />

«Chi eri?» sussurrai. Ma l'unico tratto che accomunava le due forme di


un lupo mannaro, gli occhi, era stato strappato via da tempo, e nelle<br />

orbite c'erano due sfere di vetro. Mi chiesi se Derek, crivellato dalle<br />

pallottole la notte in cui avevano sparato a me, gli avrebbe fatto<br />

compagnia in questo macabro serraglio. Il pensiero mi fece rivoltare lo<br />

stomaco.<br />

Diedi ancora un'altra occhiata nell'atrio e poi tornai verso la porta<br />

d'ingresso. La parte animale che era rimasta in me gridava di fuggire<br />

all'istante da quel tetro odore di morte. Jack non era lì. Non avevo<br />

nessun motivo per restare.


Capitolo ventitré • Grace<br />

11 °C<br />

«Buongiorno.» Papà mi rivolse uno sguardo mentre versava del caffè<br />

in un thermos. Era troppo elegante, considerato che era sabato; di sicuro<br />

stava cercando di vendere una villa a qualche ricco investitore. «Ho<br />

appuntamento con Ralph in ufficio alle otto e mezzo. Per parlare del<br />

Wyndhaven Resort.»<br />

Battei le palpebre diverse volte; avevo la vista annebbiata. Sentivo il<br />

corpo pesante e intorpidito dal sonno. «É inutile che mi parli. Sto ancora<br />

dormendo.» Attraverso la nebbia cominciai ad avvertire un leggero senso<br />

di colpa per non essere stata più gentile; non lo vedevo da giorni, ed era<br />

passato ancora più tempo dall'ultima volta che avevamo avuto una<br />

conversazione che meritasse di essere definita tale. Io e Sam, per tutta la<br />

notte, non avevamo fatto altro che pensare a quell'assurda stanza con gli<br />

animali imbalsamati a casa dei Culpeper e ci eravamo chiesti, provando<br />

l'irritazione continua di chi si è infilato un maglione ruvido, quale luogo<br />

avrebbe scelto Jack per la sua prossima apparizione. Il normalissimo<br />

scambio di battute mattutino con mio padre era un brusco ritorno alla<br />

vita prima di Sam.<br />

Papà indicò con un cenno la caffettiera che ancora reggeva. «Ne<br />

vuoi?»<br />

Misi le mani a coppa e le allungai verso di lui. «Versalo qui, me lo<br />

spruzzo in faccia. Dov'è la mamma?» Non l'avevo sentita fare fracasso al<br />

piano di sopra. Di solito, quando si preparava per uscire, dalla sua stanza<br />

si sentivano rumori indistinti di cose che sbattevano e scarpe che<br />

cigolavano sul pavimento.<br />

«In una galleria a Minneapolis.»<br />

«Perché è uscita così presto? É praticamente ieri.» Papà non rispose;<br />

guardava la tivù sopra la mia testa, che trasmetteva a tutto volume un<br />

talk-show del mattino. L'ospite del programma, in pantaloni e sahariana,<br />

era circondato da ogni sorta di cuccioli, in gabbia e in scatole di cartone.


Mi ricordò all'istante la stanza con gli animali imbalsamati che mi aveva<br />

descritto Sam. Papà aggrottò la fronte quando uno dei due ospiti si mise<br />

ad accarezzare guardingo un piccolo di opossum, che sibilò. Mi schiarii la<br />

voce. «Papà. Concentrati. Riempimi una tazza di caffè o muoio. E se<br />

muoio, non potrò ripulire la cucina dai resti del mio corpo.»<br />

Papà, senza smettere di guardare la tivù, iniziò a rovistare nel pensile<br />

in cerca di una tazza. Le sue dita trovarono la mia preferita - una tazza<br />

color uovo di pettirosso che aveva fatto un'amica della mamma - e la<br />

spinse sul bancone insieme alla caffettiera. Mentre mi versavo il caffè, il<br />

vapore mi arrivò in faccia.<br />

«Allora, Grace, come va a scuola?» chiesi a me stessa.<br />

Papà annuì, lo sguardo fisso sul piccolo di koala che si dimenava nelle<br />

braccia dell'ospite del programma.<br />

«Oh, bene» continuai, e papà fece un mormorio di approvazione.<br />

Aggiunsi: «Niente di speciale, a parte la quantità spropositata di panda<br />

che hanno introdotto, e i professori che ci hanno lasciato soli con una<br />

tribù di selvaggi che praticano il cannibalismo...» Tacqui, per vedere se<br />

ero riuscita ad attirare la sua attenzione, poi rincarai la dose. «L'intero<br />

edificio è andato a fuoco, poi ho preso insufficiente in teatro, e poi sesso<br />

sesso sesso sesso.»<br />

Tutto d'un tratto, papà distolse lo sguardo dalla tivù, si volse verso di<br />

me e aggrottò le sopracciglia. «Cos'hai detto che ti stanno insegnando a<br />

scuola?»<br />

Be', almeno qualcosa aveva sentito, più di quanto mi aspettassi.<br />

«Niente di interessante. Stiamo scrivendo dei racconti per il corso di<br />

inglese. Sono penosi. Non sono brava a inventare storie.»<br />

«Storie inventate sul sesso?» chiese, dubbioso.<br />

Scossi la testa. «Va' al lavoro, papà. Farai tardi.»<br />

Papà si grattò il mento; si era dimenticato di farsi la barba. «Mi è<br />

venuta in mente una cosa. Devo restituire lo sgrassatore a Tom. L'hai<br />

visto?»<br />

«Devi restituire lo sgrassatore a chi?»


«Lo sgrassatore per fucili. Credevo di averlo messo sul bancone. O<br />

forse sotto...» Si accovacciò e prese a frugare nel mobile sotto il lavello.<br />

Lo guardai perplessa. «Perché hai uno sgrassatore per fucili?»<br />

Papà indicò il suo studio con un cenno. «Per il fucile.»<br />

Piccoli campanelli d'allarme risuonarono nella mia testa. Sapevo che<br />

mio padre aveva un fucile; era appeso alla parete del suo studio. Ma non<br />

mi ricordavo di averglielo mai visto pulire. Le armi si puliscono dopo<br />

averle usate, giusto? «Perché ti sei fatto prestare lo sgrassatore?»<br />

«Tom me l'ha prestato per pulire il fucile dopo che siamo usciti. Lo so<br />

che dovrei pulirlo più spesso, ma quando non lo uso non ci penso.»<br />

«Tom Culpeper?» dissi.<br />

Papà sfilò la testa dal mobiletto; aveva una bottiglia in mano. «Sì.»<br />

«Sei andato a sparare con Tom Culpeper? Eri tu l'altro giorno?» Mi<br />

avvamparono le guance. Pregai che mi dicesse di no.<br />

Papà mi scoccò uno sguardo. Quel genere di sguardo che era sempre<br />

seguito da una frase tipo: Grace, di solito sei così ragionevole. «Bisognava<br />

pur fare qualcosa, Grace.»<br />

«Eri anche tu nella squadra? Quella che ha dato la caccia ai lupi?»<br />

chiesi. «Non posso credere che tu...» L'immagine di papà che s'infilava tra<br />

gli alberi, col fucile in braccio e i lupi davanti che scappavano, divenne<br />

all'improvviso troppo nitida, e dovetti tacere.<br />

«Grace, l'ho fatto anche per te» disse.<br />

La mia voce uscì molto bassa. «Hai sparato a qualcuno di loro?»<br />

Papà parve comprendere quanto fosse importante per me quella<br />

domanda. «Spari d'avvertimento.»<br />

Non sapevo se era vero o no, ma non volevo più parlare con lui.<br />

Scossi la testa e mi voltai.<br />

«Non mettermi il broncio» disse papà. Mi diede un bacio sulla guancia<br />

- io rimasi immobile - e poi prese il thermos e la valigetta. «Fai la brava. A<br />

dopo.»


In cucina, con le mani strette sulla tazza, rimasi ad ascoltare il rombo<br />

della Taurus di papà che pian piano si affievoliva. Dopo che se ne fu<br />

andato, in casa tornò quel silenzio così familiare, confortante e allo<br />

stesso tempo deprimente. Poteva essere un mattino qualsiasi, di silenzio<br />

e caffè tra le mani, ma non era così. La voce di papà - "spari<br />

d'avvertimento" - aleggiava ancora nell'aria.<br />

Sapeva quello che provavo per i lupi, eppure mi aveva voltato le<br />

spalle e aveva tramato con Tom Culpeper.<br />

Il tradimento faceva male.<br />

Un debole rumore dalla porta attirò la mia attenzione. Sam era in<br />

corridoio, con i capelli umidi e spettinati dopo la doccia, lo sguardo su di<br />

me. Aveva una domanda scritta in faccia, ma io non dissi niente. Mi<br />

chiedevo che cosa avrebbe fatto mio padre se avesse saputo di Sam.


Capitolo ventiquattro • Grace<br />

11 °C<br />

Passai buona parte della mattina e del pomeriggio china sui compiti di<br />

inglese, mentre Sam era disteso sul divano a leggere un romanzo. Era una<br />

specie di tortura, trovarsi nella stessa stanza ma essere separati in modo<br />

così efficace da un libro di inglese. Dopo parecchie ore, intervallate<br />

soltanto da una breve pausa per il pranzo, non resistetti più.<br />

«Mi sembra di sprecare il tempo che abbiamo a disposizione»<br />

confessai.<br />

Sam non rispose, e mi accorsi che non mi aveva sentito. Ripetei la<br />

frase. Lui batté le palpebre e quando ritornò dal mondo parallelo in cui<br />

era stato, puntò piano gli occhi su di me. Disse: «A me basta che siamo<br />

insieme nella stessa stanza. Sono felice così.»<br />

Studiai il suo viso a lungo, cercando di decidere se era sincero o no.<br />

Dopo aver annotato il numero della pagina, Sam chiuse con cura il<br />

romanzo e disse: «Vuoi andare da qualche parte? Se sei a buon punto con<br />

i compiti, possiamo fare un giro a casa di Beck e vedere se Jack è tornato<br />

lì.»<br />

L'idea mi piaceva. Da quando Jack era apparso a scuola, non sapere<br />

dove e in che forma potesse ripresentarsi mi agitava. «Pensi che sia là?»<br />

«Non lo so. I nuovi lupi di solito trovano rifugio lì, e il branco tende a<br />

stare in quel tratto di Boundary Wood dietro la casa» disse Sam. «Sarebbe<br />

bello pensare che alla fine abbia deciso di unirsi a loro.» Poi assunse<br />

un'espressione preoccupata e non ne spiegò la ragione. Io sapevo perché<br />

Jack avrebbe fatto meglio a unirsi al branco: non volevo che nessuno<br />

svelasse la vera natura dei lupi. Sam però sembrava assillato da<br />

qualcos'altro, qualcosa di più importante e più ineffabile.<br />

Nella luce dorata del pomeriggio, guidai fino a casa di Beck, con Sam<br />

che mi faceva da navigatore. Percorremmo la strada tutta a curve<br />

attorno a Boundary Wood e arrivammo dopo trentacinque minuti<br />

buoni. Non mi ero mai resa conto prima di quanto fosse esteso il bosco.


E aveva un senso: se non ci fossero state quelle centinaia di acri disabitati,<br />

come avrebbe potuto nascondersi un branco di lupi? Parcheggiai la<br />

Bronco nel vialetto d'accesso al garage e guardai dal basso la facciata di<br />

mattoni. Le finestre scure sembravano occhi chiusi; la casa era vuota in<br />

modo opprimente. Quando Sam aprì la portiera, il profumo dolce dei<br />

pini di guardia attorno al cortile mi riempì le narici.<br />

«Bella casa.» Studiai le alte finestre che scintillavano nel sole<br />

pomeridiano. Una casa di mattoni di tali dimensioni poteva rischiare di<br />

sembrare austera, ma c'era qualcosa nell'atmosfera lì intorno che<br />

annullava quell'impressione: forse le siepi tagliate in modo irregolare<br />

davanti all'ingresso o la mangiatoia per gli uccelli sbiadita dalle<br />

intemperie che sembrava tutt'uno col prato. Era un posto per certi versi<br />

confortevole. Il genere di posto dove avrebbe potuto crescere un<br />

ragazzo come Sam. Chiesi: «Come ha fatto Beck ad averla?»<br />

Aggrottò le sopracciglia. «La casa? Lavorava come avvocato per vecchi<br />

ricchi, quindi è pieno di soldi. L'ha comprata per il branco.»<br />

«Molto generoso da parte sua» dissi. Chiusi la portiera della macchina.<br />

«Merda.»<br />

Sam si sporse verso di me sul cofano della Bronco. «Che è successo?»<br />

«Ho lasciato le chiavi dentro. Il mio cervello aveva inserito il pilota<br />

automatico.»<br />

Si strinse nelle spalle, come se non fosse poi così grave. «Beck ha un<br />

grimaldello in casa. Possiamo prenderlo quando torniamo dal bosco.»<br />

«Un grimaldello? Intrigante» dissi, facendogli un largo sorriso. «Adoro<br />

gli uomini dalle risorse nascoste.»<br />

«Be', ne hai uno davanti a te» ribatté Sam. Fece un cenno verso gli<br />

alberi del cortile. «Sei pronta?»<br />

L'idea era allettante e allo stesso tempo mi terrorizzava. Non andavo<br />

nel bosco dalla notte della caccia, e prima an cora, dalla sera in cui avevo<br />

visto Jack braccato dagli altri lupi. Sembrava che i miei unici ricordi di<br />

quel bosco fossero di violenza.<br />

Mi accorsi che Sam mi tendeva la mano. «Hai paura?»


Mi chiesi se c'era un modo per prendergli la mano senza ammettere<br />

che sì, avevo paura. Che poi, a pensarci bene, non era vera e propria<br />

paura. Era più un turbamento che mi strisciava sottopelle e mi faceva<br />

rizzare i peli sulle braccia. Faceva fresco, non il freddo mortale<br />

dell'inverno. I lupi avevano a disposizione così tanto cibo che non<br />

avevano bisogno di attaccarci. I lupi sono creature timide.<br />

Sam mi diede la mano; la sua stretta era decisa e la sua pelle calda<br />

nell'aria fresca dell'autunno. I suoi occhi mi scrutavano, grandi e<br />

luminescenti, nel bagliore del pomeriggio, e per un attimo rimasi<br />

intrappolata nel suo sguardo e ripensai a quegli stessi occhi che mi<br />

scrutavano dal muso di un lupo. «Non dobbiamo per forza cercarlo<br />

adesso» disse.<br />

«Voglio andare.» Era vero. Parte di me voleva vedere dove viveva<br />

Sam nei mesi freddi, quando non indugiava al limitare del nostro cortile.<br />

E parte di me, la parte che soffriva per la perdita quando di notte sentiva<br />

i lupi ululare, mi stava implorando di seguire l'odore appena percettibile<br />

del branco. Alla fine, fu questo a prevalere su ogni piccola particella di<br />

me che era preoccupata. Per provargli che ero pronta, mi avviai verso il<br />

giardino sul retro e mi avvicinai al ciglio del bosco, sempre senza lasciare<br />

la sua mano.<br />

«Staranno alla larga» disse Sam, come se ci fosse ancora bisogno di<br />

convincermi. «Jack è l'unico che potrebbe avvicinarsi.»<br />

Lo guardai con le sopracciglia aggrottate. «Fantastico. Non è che ci<br />

salterà addosso tutto sbavante di rabbia come in un film dell'orrore,<br />

vero?»<br />

«Quando ti trasformi non diventi un mostro. Sei solo privo di<br />

inibizioni» disse Sam. «Era un tipo irascibile quando veniva a scuola?»<br />

A tutti a scuola era arrivata voce che Jack avesse mandato un<br />

ragazzino all'ospedale dopo una festa. Ma dopo aver visto con i miei<br />

occhi quel ragazzino camminare per i corridoi con mezza faccia ancora<br />

gonfia avevo abbandonato l'ipotesi che si trattasse di un semplice<br />

pettegolezzo. Jack non aveva bisogno di trasformarsi per essere un<br />

mostro.


Feci una smorfia. «Era abbastanza irascibile, sì.»<br />

«Se ti fa stare meglio» disse Sam, «non credo che sia qui. Anche se spero<br />

sempre di sbagliarmi.»<br />

Così entrammo nel bosco. Era una foresta diversa rispetto a quella che<br />

costeggiava il cortile di casa mia. Gli alberi erano molto stretti gli uni agli<br />

altri, gli arbusti si addensavano nello spazio libero tra i tronchi come per<br />

tenerli diritti. I rovi mi si impigliavano nei jeans, e Sam doveva fermarsi<br />

continuamente per strappare le lappole dalle nostre caviglie. Nel nostro<br />

lento procedere non trovammo tracce di Jack né di nessun altro lupo. A<br />

essere sinceri, secondo me Sam non era tanto meticoloso nella sua<br />

perlustrazione. Io invece fingevo di darmi un gran daffare, per non fargli<br />

capire che mi ero accorta che mi guardava di continuo.<br />

E d'un tratto mi ritrovai una manciata di lappole che annodandosi mi<br />

tirarono i capelli facendomi un gran male.<br />

Sam mi costrinse a fermarmi per staccarle. «Poi andrà meglio» mi<br />

promise. Era carino da parte sua pensare che fossi già stufa e avessi voglia<br />

di tornare alla macchina. Come se ci fosse qualcosa di meglio che farsi<br />

strappare delicatamente da lui le punte uncinate delle lappole.<br />

«Non sono preoccupata» gli assicurai. «Sto solo pensando che non<br />

potremo mai sapere con certezza se qualcun altro è stato qui. Il bosco<br />

continua all'infinito.»<br />

Sam mi passò le dita tra i capelli per controllare che non ci fossero<br />

altre lappole, anche se sapevo che non ce n'erano più, e forse lo sapeva<br />

anche lui. Si fermò, mi sorrise, e poi inspirò a fondo. «Dall'odore pare che<br />

siamo in compagnia.»<br />

Sapevo che stava aspettando che controllassi a mia volta, per<br />

dimostrare che se solo avessi provato a fiutare la vita segreta del branco<br />

tutto intorno a noi, ci sarei riuscita. Invece gli presi di nuovo la mano.<br />

«Fai strada tu, segugio.»<br />

Sam si fece un po' pensieroso, ma mi condusse attraverso la boscaglia,<br />

per poi salire su una collina dal dolce declivio. Come mi aveva garantito,<br />

il terreno migliorò. Le spine si diradarono e gli alberi divennero più alti e


più diritti; i primi rami spuntavano almeno mezzo metro sopra le nostre<br />

teste. La corteccia bianca e spellata delle betulle sembrava di burro nella<br />

luce stirata e obliqua del pomeriggio, e le foglie erano di un delicato<br />

color oro. Mi voltai verso Sam: i suoi occhi riflettevano su di me lo stesso<br />

giallo brillante.<br />

Mi fermai d'improvviso. Era il mio bosco. Il bosco dorato dove avevo<br />

sempre immaginato di fuggire. Sam, che mi stava osservando, mi lasciò la<br />

mano, e fece un passo indietro per guardarmi meglio.<br />

«Casa» disse. Credo che si aspettasse che dicessi qualcosa. O forse non<br />

se lo aspettava, perché me lo vedeva scritto in faccia. Non avevo niente<br />

da dire: mi limitai a guardare quella luce brillante e le foglie appese ai<br />

rami come piume.<br />

«Ehi.» Sam mi afferrò il braccio, guardandomi bene in viso, come in<br />

cerca di lacrime. «Sembri triste.»<br />

Feci un giro lento su me stessa; l'aria era screziata e vibrante. Dissi: «Da<br />

piccola immaginavo sempre di venire qui. Non riesco proprio a capire<br />

come facevo a sapere di questo posto.» Forse quello che stavo dicendo<br />

non aveva alcun senso, ma continuai a parlare, per capire ciò che<br />

provavo. «Il bosco dietro casa mia non è come questo. Niente betulle.<br />

Niente foglie gialle. Non so come ho fatto a riconoscerlo.»<br />

«Forse te ne ha parlato qualcuno.»<br />

«Penso che me lo ricorderei, se qualcuno mi avesse descritto nei<br />

minimi dettagli questa parte del bosco, compreso il colore dell'aria<br />

scintillante. Non riesco nemmeno a immaginare come qualcuno avrebbe<br />

potuto raccontarmi tutto questo.»<br />

Sam disse: «Sono stato io. I lupi hanno modi buffi per comunicare. Se<br />

sono abbastanza vicini, si mostrano delle immagini.»<br />

Mi volsi verso il punto in cui si trovava lui, una macchia scura contro<br />

la luce, e gli scoccai un'occhiata. «Non hai intenzione di smettere, vero?»<br />

Sam si limitò a fissarmi, con quello sguardo silenzioso da lupo che<br />

conoscevo tanto bene, triste e penetrante.<br />

«Perché ritorni sempre su questo argomento?»


«Sei stata morsa.» Mi girò attorno, lentamente, sollevando le foglie<br />

con il piede, guardandomi da sotto le sopracciglia scure.<br />

«Cosa vuoi dimostrare?»<br />

«Voglio dimostrare chi sei. Tu sei una di noi. Se non fossi un lupo,<br />

Grace, non avresti riconosciuto questo posto. Solo uno di noi sarebbe<br />

stato in grado di vedere quello che ti ho mostrato.» La sua voce era così<br />

seria, i suoi occhi così intensi. «Io non potrei... in questo momento non<br />

potrei neppure parlare con te se non fossi una di noi. Non dovremmo<br />

parlare di quello che siamo con le persone normali. Non abbiamo<br />

montagne di regole da rispettare, questa è l'unica che Beck non vuole che<br />

infrangiamo.»<br />

Non aveva senso. «Perché no?»<br />

Sam non disse niente, ma si toccò il collo con le dita, nel punto in cui<br />

gli avevano sparato; mentre lo faceva, vidi le cicatrici pallide e lucide sui<br />

polsi. Era ingiusto che una persona garbata come Sam dovesse portare<br />

per sempre il segno della violenza umana. Il pomeriggio diventava<br />

sempre più freddo e io iniziai a tremare. Sam parlò con dolcezza. «Beck<br />

mi ha raccontato un sacco di storie. Ci uccidono nei modi più terribili.<br />

Veniamo usati come cavie oppure ci sparano o ci avvelenano. Il fatto che<br />

ci trasformiamo potrebbe avere una spiegazione scientifica, Grace, ma la<br />

gente la considera stregoneria. Io mi fido di Beck. Non possiamo parlare<br />

di noi con chi non è come noi.»<br />

Dissi: «Io non mi trasformo, Sam. Non sono affatto come te.» La<br />

delusione mi lasciò un groppo in gola che non riuscivo a inghiottire.<br />

Lui non rispose. Rimanemmo così, immobili, per un lungo istante; poi<br />

lui sospirò e riprese.<br />

«Quando ti hanno morsa, sapevo che cosa sarebbe successo dopo.<br />

Ogni notte aspettavo che ti trasformassi, così avrei potuto portarti con<br />

me e proteggerti.» Una folata di vento freddo gli sollevò i capelli e gli<br />

fece vorticare intorno una raffica di splendenti foglie dorate. Spalancò le<br />

braccia, in modo che le foglie gli cadessero nelle mani. Era un angelo<br />

nero in un eterno bosco d'autunno. «Lo sapevi che per ognuna che afferri<br />

guadagni un giorno di felicità?»


Non sapevo di che cosa parlasse, neppure quando aprì il pugno per<br />

mostrarmi le foglie accartocciate.<br />

«Un giorno felice per ogni foglia cadente che afferri.» Lo disse a bassa<br />

voce.<br />

Osservai i bordi delle foglie che si aprivano lentamente, fluttuando<br />

nella brezza. «Quanto tempo hai aspettato?»<br />

Sarebbe stato terribilmente romantico se avesse avuto il coraggio di<br />

dirmelo guardandomi in faccia, invece chinò il capo e strisciò un piede<br />

tra le foglie: infinite possibilità di giorni felici. «Non ho mai smesso.»<br />

E adesso toccava a me dire qualcosa di romantico, ma neppure io ne<br />

ebbi il coraggio. Rimasi a osservare il suo modo timido di mordersi il<br />

labbro e osservare le foglie, e dissi: «Dev'essere stato molto noioso.»<br />

Sam rise, una risata buffa, autodenigratoria. «Leggevi un sacco. E<br />

passavi troppo tempo dietro la finestra della cucina, dove non riuscivo a<br />

vederti.»<br />

«E non abbastanza tempo mezza nuda alla finestra della mia stanza...»<br />

lo stuzzicai.<br />

Sam diventò rosso acceso. «Non è di questo che stiamo parlando»<br />

disse.<br />

Sorrisi dolcemente al suo imbarazzo e ricominciai a camminare,<br />

calciando le foglie dorate. Sentivo Sam dietro di me, che sollevava le<br />

foglie con i piedi. «E di cosa stiamo parlando, allora?»<br />

«Lascia perdere» disse. «Questo posto ti piace o no?»<br />

Mi fermai di colpo e mi voltai a guardarlo. «Ehi» gli dissi, puntandogli<br />

il dito addosso; lui alzò le sopracciglia e si fermò di colpo a sua volta. «Tu<br />

non hai mai pensato che Jack potesse essere qui, vero?»<br />

Le sue folte sopracciglia nere si inarcarono ancora di più.<br />

«Avevi davvero intenzione di cercarlo?»<br />

Alzò le mani in segno di resa. «Cosa vuoi che ti dica?»<br />

«Volevi vedere se avrei riconosciuto il bosco, non è così?» Feci un altro<br />

passo, riducendo la distanza che mi separava da lui. Riuscivo a sentire il


calore del suo corpo, anche senza toccarlo, nel freddo che aumentava<br />

sempre di più. «Sei stato tu che me ne hai parlato, in qualche modo.<br />

Come hai fatto a mostrarmelo?»<br />

«É da un po' che cerco di dirtelo, ma tu non ascolti, sei cocciuta. É il<br />

nostro modo di comunicare, sono le uniche parole che abbiamo.<br />

Soltanto immagini. Soltanto piccole semplici immagini. Tu ti sei<br />

trasformata, Grace. Anche se non hai cambiato pelle. Devi credermi.»<br />

Teneva ancora le inani alzate, ma nella luce che andava affievolendosi<br />

intravvidi un sorriso.<br />

«Quindi mi hai portata qui solo per questo?» Feci un altro passo<br />

avanti, e lui indietro.<br />

«Ti piace?»<br />

«Con un pretesto.» Un altro passo avanti, un altro indietro. Il suo<br />

sorriso si allargò.<br />

«Quindi ti piace?»<br />

«Sapendo che qui non ci sarebbe stato nessun altro.»<br />

Adesso sorrideva tanto da mostrare i denti. «Ti piace?»<br />

Gli diedi un pugno leggero sul petto. «Lo sai che mi piace da morire.<br />

Lo sapevi che mi sarebbe piaciuto da morire.» Feci per colpirlo un'altra<br />

volta, ma lui mi afferrò il polso. Per un attimo restammo così, lui che<br />

guardava in giù verso di me con quel suo sorriso, e io che guardavo in<br />

alto verso di lui: Natura morta con ragazzo e ragazza. Sarebbe stato il<br />

momento perfetto per baciarmi, ma non lo fece. Si limitò a guardarmi e<br />

guardarmi, e quando decisi che dopotutto l'iniziativa avrei potuto<br />

prenderla anch'io, mi accorsi che il suo sorriso stava svanendo.<br />

Sam mi abbassò lentamente i polsi e li lasciò andare. «Mi fa piacere»<br />

disse, a voce molto bassa.<br />

Avevo le braccia abbandonate lungo i fianchi, proprio dove le aveva<br />

lasciate lui. Lo guardai, ostile. «Dovevi baciarmi.»<br />

«Ci ho pensato.»<br />

Continuavo a guardare la forma triste e delicata delle sue labbra, che


corrispondeva perfettamente alla sua voce. E forse lo stavo fissando in<br />

modo sfacciato, ma non riuscivo a smettere di pensare a quanto volevo<br />

che mi baciasse, e quanto era stupido desiderarlo così tanto. «Perché non<br />

l'hai fatto?»<br />

Si chinò su di me e mi diede il più lieve dei baci. Le sue labbra erano<br />

fredde e asciutte, sempre delicate da farmi perdere la testa. «Fra poco<br />

devo tornare dentro» sussurrò. «Incomincia a far freddo.»<br />

Per la prima volta prestai attenzione al vento gelido che mi<br />

attraversava le maniche lunghe. Una delle folate glaciali scagliò di nuovo<br />

nell'aria migliaia di foglie cadute, e per un solo istante credetti di sentire<br />

odore di lupo.<br />

Sam rabbrividì.<br />

Nonostante la luce scarsa, d'improvviso mi accorsi che i suoi occhi<br />

erano colmi di paura.


Capitolo venticinque • Sam<br />

3 °C<br />

Non tornammo di corsa verso la casa di Beck. Correre avrebbe<br />

significato ammettere qualcosa che non ero pronto ad affrontare davanti<br />

a lei, e quel qualcosa ero io. Invece camminammo a grandi falcate, con le<br />

foglie secche e i rami che scricchiolavano sotto i piedi. I nostri respiri<br />

annegavano gli altri rumori della sera. Il freddo mi si insinuava sotto il<br />

colletto, facendomi venire la pelle d'oca.<br />

Se non le lasciavo la mano, sarebbe andato tutto bene.<br />

Sarebbe bastato sbagliare a svoltare una sola volta per allontanarci<br />

dalla casa, ma non riuscivo a concentrarmi sugli alberi attorno a me. Mi<br />

balenavano davanti agli occhi ricordi convulsi di uomini che si<br />

trasformavano in lupi, centinaia di trasformazioni a cui avevo assistito in<br />

tutti gli anni passati col branco. Avevo scolpito in testa, vivido, il ricordo<br />

della prima volta che avevo visto Beck trasformarsi, più vero dello<br />

stridente tramonto rosso tra gli alberi davanti a me e Grace. Ricordavo la<br />

fredda luce bianca che si riversava dalle finestre del salotto, e ricordavo<br />

la linea tremante delle sue spalle mentre si aggrappava al retro del<br />

divano.<br />

Ero accanto a lui, e lo guardavo, senza parole.<br />

"Portatelo via!" gridava Beck, col viso rivolto verso il corridoio, gli<br />

occhi semichiusi. "Ulrik, porta Sam via di qui!"<br />

Le dita di Ulrik attorno al mio braccio erano strette come adesso lo<br />

erano quelle di Grace attorno alla mia mano, mentre mi trascinava per il<br />

bosco, a ritroso lungo il sentiero che ci aveva portato lì. La notte era<br />

acquattata tra gli alberi e aspettava di coglierci di sorpresa, fredda e nera.<br />

Grace però andava diritta incontro al sole che continuava a brillare.<br />

Quell'aureola di luce mi aveva quasi accecato, riducendo gli alberi a<br />

semplici sagome, e d'un tratto ebbi di nuovo sette anni. Nella mia mente<br />

rividi il motivo stellato del mio vecchio copriletto tanto nitidamente che<br />

inciampai. Mi aggrappai alla stoffa, appallottolandola e poi


strappandola.<br />

"Mamma!" La mia voce si spezzò sulla seconda sillaba. "Mamma, mi<br />

viene da vomitare!"<br />

Ero per terra, aggrovigliato nelle coperte, nel rumore e nel vomito, e<br />

tremavo e graffiavo il pavimento, cercando di aggrapparmi a qualcosa,<br />

quando mia madre apparve davanti alla porta della mia stanza, con la<br />

sua sagoma familiare. La guardai, la guancia premuta a terra, e feci per<br />

dire il suo nome, ma non uscì nessun suono.<br />

Lei cadde in ginocchio e assistette alla mia prima trasformazione.<br />

«Finalmente» disse Grace, riportando la mia mente agli alberi che ci<br />

circondavano. Era senza fiato, come se avessimo corso. «Eccoci qui.»<br />

Non potevo permettere che Grace mi vedesse mentre mi<br />

trasformavo. Non potevo trasformarmi in quel momento.<br />

Seguii lo sguardo di Grace volare verso il retro della casa di Beck, un<br />

lampo di rosso-marrone caldo in quella gelida sera blu.<br />

E mi misi a correre.<br />

A due passi dalla macchina, tutte le speranze di riscaldarmi si<br />

infransero nell'attimo in cui Grace cercò inutilmente di abbassare la<br />

maniglia bloccata della portiera. L'unico risultato fu che le chiavi infilate<br />

nel motorino di accensione presero a dondolare. Grace fece una smorfia,<br />

frustrata.<br />

«Dobbiamo entrare in casa» disse.<br />

Non fu necessario entrare come ladri. Beck lasciava sempre una chiave<br />

di riserva nel telo di plastica che schermava la porta sul retro. Cercai di<br />

non pensare alle chiavi della macchina che pendevano nel cruscotto della<br />

Bronco; se avessimo avuto quelle, sarei già stato al caldo. Quando presi<br />

la chiave di riserva e cercai di infilarla nella serratura, mi tremavano le<br />

mani. Mi faceva già male dappertutto. Sbrigati, idiota. Sbrigati.<br />

Ma non riuscivo a smettere di tremare.<br />

Grace mi prese la chiave con delicatezza: certo sapeva che cosa stava<br />

succedendo ma non mostrava un briciolo di paura. Chiuse una delle sue


mani calde sulle mie, fredde e tremanti, e con l'altra infilò la chiave nella<br />

serratura e la aprì.<br />

Dio, ti prego, fa' che ci sia la corrente. Fa che il riscaldamento sia<br />

acceso.<br />

Mi guidò nella cucina buia spingendomi per il gomito. Non riuscivo a<br />

liberarmi dal freddo; si aggrappava a ogni millimetro del mio corpo. I<br />

muscoli iniziarono a scoppiare e mi coprii il volto con le dita, le spalle<br />

curve.<br />

«No» disse Grace, la voce piatta e decisa, come se stesse rispondendo a<br />

una facile domanda. «No, coraggio.»<br />

Mi allontanò dalla porta e la richiuse alle mie spalle. Fece scivolare la<br />

mano lungo la parete in cerca degli interruttori, e per miracolo, i neon<br />

sopra le nostre teste incominciarono a tremolare, gettando nella stanza<br />

una brutta luce fluorescente. Grace riprese a spingermi, allontanandomi<br />

ancora di più dalla porta, ma io non volevo muovermi. Volevo solo<br />

rannicchiami su me stesso e arrendermi. «Non ce la faccio, Grace. Non ce<br />

la faccio.»<br />

Non ero sicuro di averlo detto a voce abbastanza alta, ma comunque<br />

lei non mi stava ascoltando. Perché mi fece sedere per terra, proprio<br />

sopra una griglia di ventilazione, e si tolse la giacca, e me l'avvolse<br />

attorno alle spalle e sulla testa. Poi si accovacciò davanti a me e premette<br />

le mie mani fredde contro il suo corpo.<br />

Tremavo e stringevo i denti per evitare che battessero, e cercavo di<br />

concentrarmi su di lei, sulla sua forma umana, sul fatto che mi stavo<br />

scaldando. Grace disse qualcosa, che io però non capii. Parlava troppo<br />

forte. Tutto era troppo forte. L'odore. A quella distanza, il suo profumo<br />

mi esplodeva nelle narici. Mi faceva male. Tutto mi faceva male.<br />

Gemetti, molto piano.<br />

Lei balzò in piedi e si mise a correre lungo il corridoio, premendo al<br />

passaggio tutti gli interruttori della luce. Poi scomparve. Gemetti e posai<br />

la testa sulle ginocchia. No, no, no, no. Non sapevo neanche più contro<br />

che cosa lottavo. Il dolore? I brividi?


Tornò. Aveva le mani umide. Mi afferrò i polsi e mosse le labbra: la<br />

sua voce rimbombava, indecifrabile. Quei suoni potevano avere un<br />

senso solo alle orecchie di qualcun altro. La fissai.<br />

Riprese a scrollarmi; era più forte di quanto pensassi. Mi alzai; la mia<br />

altezza in qualche modo mi sorprese. Tremavo così violentemente che la<br />

giacca mi scivolò dalle spalle. L'aria fredda che mi batteva sul collo mi<br />

scosse con un altro brivido e quasi caddi sulle ginocchia.<br />

La ragazza mi afferrò per le braccia in modo più deciso e mi spinse<br />

avanti, senza mai smettere di parlare, suoni bassi, lenitivi, con un<br />

sottofondo metallico. Mi spinse oltre una soglia; da dentro filtrava del<br />

calore.<br />

Dio, no. No. No. Lottai e cercai di divincolarmi, con lo sguardo fisso<br />

alla parete opposta della piccola stanza foderata di piastrelle. Davanti a<br />

me c'era una vasca da bagno simile a una tomba. Dall'acqua saliva del<br />

vapore, il calore era invitante e meraviglioso, ma ogni parte del mio<br />

corpo cercava di resistere.<br />

«Sam, non lottare! Perdonami. Perdonami, non so che altro fare.»<br />

Senza smettere di fissare la vasca, mi aggrappai con le dita alla cornice<br />

della porta. «Ti prego» sussurrai.<br />

Nella mia testa, le mani mi tenevano dentro la vasca, mani che<br />

sapevano d'infanzia e cose familiari, di abbracci, lenzuola pulite e tutto<br />

quello che avevo sempre conosciuto. Mi spingevano nell'acqua. Era<br />

calda, la temperatura del mio corpo. Le voci contavano insieme. Non<br />

pronunciarono il mio nome. Taglia. Taglia. Taglia. Taglia. Mi fecero dei<br />

buchi nella pelle, per far uscire quello che c'era dentro. L'acqua diventò<br />

rossa a piccoli sbuffi. Ansimavo, mi dibattevo, piangevo. Loro non<br />

dicevano niente. La donna piangeva mentre mi tratteneva. Sono Sam,<br />

dicevo loro, cercando di alzare la testa sopra la superficie dell'acqua<br />

rossa. Sono Sam. Sono Sam. Sono<br />

«Sam!» La ragazza mi strappò dalla porta e mi spinse contro la parete;<br />

incespicai e caddi verso la vasca. Lottai per non perdere l'equilibrio, ma<br />

lei mi strattonò di nuovo, facendomi sbattere la testa contro il muro, per<br />

poi spingermi dentro l'acqua fumante.


Rimasi perfettamente immobile, immerso nell'acqua che si chiudeva<br />

sul mio viso e mi scottava la pelle, facendomi bollire il corpo, affogando<br />

i miei brividi. Grace mi sollevò dolcemente la testa fuori dall'acqua e la<br />

cullò tra le braccia, con un piede dietro di me, nella vasca. Era inzuppata<br />

e tremava.<br />

«Sam» disse. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Mi dispiace. Mi dispiace.<br />

Non sapevo cos'altro fare. Per favore perdonami. Mi dispiace.»<br />

Non riuscivo a smettere di tremare, le dita agganciate al bordo della<br />

vasca. Volevo uscire. Volevo che lei mi stringesse a sé, per sentirmi al<br />

sicuro. Volevo dimenticare il sangue che scorreva dalle cicatrici sui polsi.<br />

«Fammi uscire» sussurrai. «Per favore, fammi uscire.»<br />

«Ti sei scaldato abbastanza?»<br />

Non riuscii a rispondere. Sanguinavo a morte. Strinsi i pugni e li<br />

avvicinai al petto. Ogni carezza dell'acqua sui miei polsi mi faceva<br />

correre una nuova ondata di brividi lungo il corpo. Il suo viso traboccava<br />

di dolore.<br />

«Vado a cercare il termostato per alzare la temperatura. Sam, devi<br />

restare qui finché non torno con gli asciugamani. Mi dispiace tanto.»<br />

Chiusi gli occhi.<br />

Passai un'eternità con la testa appena sopra la superficie dell'acqua,<br />

incapace di muovermi, e poi Grace tornò, con un fascio di asciugamani di<br />

diverse misure. Si inginocchiò accanto alla vasca e si sporse su di me;<br />

sentii un gorgoglio appena sotto la testa. Mi parve di scivolare nel tubo<br />

di scarico insieme all'acqua che turbinava in cerchi rossi.<br />

«Non posso farti uscire se non mi aiuti. Ti prego,<br />

Sam.» Mi fissava come se si aspettasse una mia reazione. L'acqua<br />

scorreva via dai miei polsi, dalla mia schiena, finché non mi ritrovai nella<br />

vasca vuota. Grace mi adagiò un asciugamano addosso; era molto caldo,<br />

come se l'avesse scaldato in qualche modo. Poi prese tra le mani uno dei<br />

miei polsi feriti e mi guardò. «Adesso puoi uscire.»<br />

La guardai anch'io, senza battere ciglio, le gambe ripiegate verso il<br />

muro di piastrelle come un insetto gigante.


Lei si chinò e mi passò un dito sulle sopracciglia. «Hai proprio dei<br />

bellissimi occhi.»<br />

«Riusciamo a tenerceli.»<br />

Grace trasalì al suono della mia voce. «Cosa?»<br />

«È l'unica cosa che manteniamo. I nostri occhi rimangono gli stessi.»<br />

Aprii i pugni. «Sono nato con questi occhi. Sono nato per questa vita.»<br />

Come se non avesse notato il tono d'amarezza, Grace ribatté: «Be',<br />

sono bellissimi. Bellissimi e tristi.» Mi prese le dita, senza distogliere lo<br />

sguardo dal mio. «Riesci ad alzarti adesso?»<br />

E io sì, ci riuscii. Uscii dalla vasca guardando i suoi occhi castani e<br />

nient'altro, e lei mi accompagnò fuori dal bagno, di nuovo dentro la vita.


Capitolo ventisei • Grace<br />

2 °C<br />

Non riuscivo a riordinare i pensieri. Ero in cucina, a fissare gli<br />

armadietti, a cui erano attaccate foto su foto di persone sorridenti: i<br />

membri del branco in forma umana. In condizioni normali le avrei<br />

passate in rassegna per trovare il volto di Sam, invece continuavo a<br />

vedermi davanti la sagoma spezzata del suo corpo dentro la vasca da<br />

bagno e a sentire il terrore nella sua voce. E a vedere l'immagine di lui che<br />

tremava nel bosco, appena prima che capissi che cosa stava succedendo.<br />

Tegame. Zuppa in lattina. Pane congelato. Cucchiai. La cucina di Beck<br />

era stata rifornita da qualcuno che conosceva benissimo lo stile di vita<br />

peculiare di un lupo mannaro; era piena di cibo a lunga scadenza, in<br />

lattina o in scatola. Allineai sul bancone tutti gli ingredienti per preparare<br />

una cena di fortuna, sforzandomi di pensare al compito che mi<br />

aspettava.<br />

Sam era sul divano dell'altra stanza, sotto una coperta. I suoi vestiti<br />

erano in lavatrice. I miei jeans erano ancora bagnati fradici, ma<br />

avrebbero aspettato.<br />

Accesi uno dei fornelli per scaldare la zuppa e cercai di concentrami<br />

sulle manopole lisce e nere, sulla superficie splendente di alluminio. Ma<br />

mi tornò in mente l'immagine di Sam, in preda alle convulsioni, gli occhi<br />

vuoti, e ripensai all'uggiolio animalesco di quando si era reso conto che<br />

stava perdendo se stesso.<br />

Mi tremavano le mani mentre versavo la lattina di zuppa nel tegame.<br />

Non riuscivo a riordinare i pensieri.<br />

Ma ce l'avrei fatta.<br />

Vedevo l'espressione del suo viso mentre lo spingevo a forza dentro la<br />

vasca, proprio come dovevano aver fatto i suoi genito...<br />

Non riuscivo a pensarci. Quando aprii il frigorifero, fui sorpresa di<br />

vedere un litro di latte, il primo cibo deperibile in tutta la casa. Era così


fuori posto che il mio cervello si mise in moto. Controllai la data di<br />

scadenza: era scaduto solo da tre settimane. Versai il latte maleodorante<br />

nello scarico e frugai dentro il frigo in cerca di altri segni di vita recente.<br />

Sam era ancora raggomitolato sul divano quando uscii dalla cucina<br />

per portargli una ciotola di zuppa e del pane tostato. Accettò il tutto con<br />

uno sguardo più afflitto del solito. «Penserai che sono proprio uno<br />

scherzo della natura.»<br />

Mi rannicchiai su una sedia foderata di stoffa scozzese di fronte a lui, la<br />

ciotola posata sul petto per tenermi calda. Sopra il soffitto del salotto<br />

c'era subito il tetto della casa e la stanza era anche piena di spifferi. «Non<br />

sai quanto mi dispiace.»<br />

Sam scosse la testa. «Era l'unica cosa che potevi fare. Io... non avrei<br />

dovuto perdere il controllo in quel modo.»<br />

Trasalii al ricordo della sua testa che batteva contro il muro, delle dita<br />

aperte che si protendevano in aria mentre scivolava nella vasca.<br />

«Sei stata molto brava» disse Sam, lanciandomi un'occhiata mentre<br />

sbocconcellava il pane tostato; sembrava che stesse soppesando le parole<br />

da dire, e poi ripeté: «Sei stata molto brava. Sei...» Tacque e guardò dove<br />

mi ero seduta, a pochi metri da lui. Bastò quello sguardo a farmi sentire<br />

tutto il peso del posto rimasto vuoto sul divano.<br />

«Non ho paura di te» dissi. «É questo che credi? Ho pensato che magari<br />

ti serviva più spazio per mangiare.»<br />

In realtà, in qualsiasi altro momento sarei stata felice di strisciare sotto<br />

le coperte insieme a lui, così caldo e sensuale con quella vecchia tuta che<br />

aveva trovato nella sua stanza. Ma quello che volevo, quello di cui<br />

avevo bisogno adesso era riordinare i pensieri, e se mi fossi seduta al suo<br />

fianco di sicuro non ci sarei riuscita.<br />

Sam sorrise, sollevato. «Buona, la zuppa.»<br />

«Grazie.» In realtà non era granché: aveva il sapore insipido del cibo in<br />

scatola, ma avevo così tanta fame che non importava. E il gesto<br />

meccanico di nutrirmi mi aiutava a smorzare le immagini di Sam nella<br />

vasca da bagno.


«Spiegami qualcosa in più del linguaggio mentale» dissi, perché volevo<br />

che continuasse a parlare, per sentire la sua voce umana.<br />

Sam deglutì. «Il che?»<br />

«Hai detto che quando eri lupo mi hai mostrato il bosco. E che questo<br />

è il modo in cui i lupi parlano tra di loro. Dimmi di più. Voglio sapere<br />

come funziona.»<br />

Sam si sporse in avanti per posare la ciotola sul pavimento, e quando<br />

tornò diritto e mi guardò, sembrava stanco. «Non è così.»<br />

«Così come» dissi, «se non ho detto niente?»<br />

«Non è come avere i superpoteri» disse. «É un premio di<br />

consolazione.» Dato che mi limitai a guardarlo, aggiunse: «É l'unico<br />

modo che abbiamo per comunicare. Non possiamo ricordarci le parole.<br />

Non potremmo pronunciarle neppure se vi avvolgessimo attorno i nostri<br />

cervelli da lupi. Quindi tutto quello che abbiamo a disposizione sono<br />

piccole immagini che possiamo inviarci l'un l'altro. Immagini semplici.<br />

Cartoline dall'altra sponda.»<br />

«Puoi mandarmene una adesso?»<br />

Sam si abbandonò sul divano, stringendosi nella coperta. «Non<br />

ricordo neppure come si fa. Ora che sono io. Lo faccio solo quando sono<br />

un lupo. Perché dovrei averne bisogno, adesso? Ho le parole. Posso dirti<br />

qualsiasi cosa.»<br />

Avrei voluto dirgli Ma le parole non bastano, eppure il solo pensarci<br />

mi provocò una fitta di dolore del tutto inaspettata. Così dissi: «Io però<br />

non ero un lupo quando mi hai mostrato il bosco. Quindi i lupi possono<br />

parlare con altri membri del branco anche se sono in forma umana?»<br />

Lo sguardo di Sam, greve di stanchezza, guizzò verso di me. «Non lo<br />

so. Non credo di averci mai provato con qualcun altro. Solo con i lupi.»<br />

Disse di nuovo: «Perché dovrei averne bisogno?»<br />

C'era un che di amaro e stanco nella sua voce. Posai la ciotola sul<br />

tavolino e lo raggiunsi sul divano. Sam sollevò la coperta in modo che<br />

potessi stringermi al suo fianco, e poi appoggiò la fronte sulla mia e<br />

chiuse gli occhi. Per un lungo istante rimase così, immobile, poi li riaprì.


«Quello che più mi premeva era mostrarti come tornare a casa» disse,<br />

a voce bassa. Il suo fiato mi scaldava le labbra. «Volevo essere sicuro che<br />

quando ti fossi trasformata avresti saputo come trovarmi.»<br />

Passai le dita sul triangolo di petto nudo sopra il colletto allentato<br />

della felpa. Con voce un po' incerta dissi: «Be', ti ho trovato.»<br />

Dal corridoio si sentiva il ronzio dell'asciugatrice, l'unico rumore che<br />

testimoniasse una qualche attività in quella casa vuota. Sam batté le<br />

palpebre e si abbandonò sullo schienale. «Devo prendere i vestiti.» Aprì<br />

la bocca come se fosse sul punto di dire qualcos'altro, e invece arrossì.<br />

«I vestiti non andranno da nessuna parte» dissi.<br />

«Neanche noi, se non entriamo nella Bronco e recuperiamo le chiavi»<br />

precisò Sam. «Questa cosa va fatta al più presto possibile. Soprattutto<br />

considerato che sarai tu a farla. Io non posso stare fuori troppo a lungo.»<br />

Riluttante, mi feci indietro perché si potesse alzare, con la coperta<br />

attorno alle spalle come una sorta di selvaggio condottiero. Lasciai<br />

scivolare il mio sguardo lungo i contorni delle sue spalle squadrate e<br />

ripensai alla sua pelle sotto le mie dita. Sam si accorse che lo stavo<br />

osservando e mi guardò a sua volta per mezzo secondo, prima di<br />

scomparire nel corridoio.<br />

Qualcosa mi rodeva dentro, qualcosa di avido e vorace.<br />

Dopo che se ne fu andato, rimasi sul divano a chiedermi se era il caso<br />

di seguirlo nella lavanderia, finché la ragione non ebbe la meglio. Portai<br />

i piatti in cucina, poi tornai in salotto a frugare tra le cianfrusaglie sulla<br />

mensola del camino. Volevo farmi un'idea del lupo mannaro di nome<br />

Beck, il proprietario della casa. Colui che aveva cresciuto Sam.<br />

Il salotto, come l'esterno della casa, era comodo e piacevolmente<br />

vissuto. Tutto tessuti scozzesi e rossi carichi e intarsi di legno scuro. Una<br />

parete era occupata quasi interamente da alte finestre, e la notte buia<br />

dell'inverno sembrava intrufolarsi nella stanza senza permesso. Diedi le<br />

spalle alle finestre e guardai una foto sulla mensola del camino: un<br />

gruppo di persone che posavano sorridenti e disinvolte davanti<br />

all'obbiettivo. Prima di concentrarmi sulle persone della foto, ripensai


all'immagine di me, Rachel e Olivia e provai un senso di perdita. Tra le<br />

sei persone ritratte nella foto riconobbi subito Sam. Era un po' più<br />

giovane e in versione estiva, con la pelle abbronzata. L'unica ragazza del<br />

gruppo era accanto a lui, aveva più o meno la sua stessa età e capelli<br />

biondo platino che le arrivavano fin sotto le spalle. Invece di sorridere<br />

come tutti gli altri, guardava Sam in un modo così intenso che mi fece<br />

ribollire lo stomaco.<br />

Quando mi sentii sfiorare il collo, mi voltai, un po' sulla difensiva, e<br />

Sam indietreggiò ridendo, le mani in alto. «Tranquilla!»<br />

Soffocai un grido smorzato in gola, sentendomi una sciocca, e mi<br />

accarezzai la pelle ancora formicolante del collo, dove lui mi aveva<br />

baciata. «Dovresti fare un po' di rumore.» Indicai la foto, sentendomi<br />

ancora poco generosa nei riguardi della ragazza senza nome. «Chi è?»<br />

Sam abbassò le mani e mi scivolò alle spalle, cingendomi la vita con le<br />

braccia. I suoi vestiti profumavano di pulito e di sapone; la sua pelle, per<br />

la mancata metamorfosi di poco prima, sapeva di lupo. «Shelby.»<br />

Appoggiò la testa sulla mia spalla, guancia contro guancia.<br />

Mantenni la voce calma. «É carina.»<br />

Sam ringhiò in un modo delicato e selvatico che mi strinse lo stomaco<br />

dal desiderio. Mi premette le labbra sul collo, senza darmi un bacio vero<br />

e proprio. «L'hai incontrata, sai?»<br />

Non ci voleva un genio per capire. «La lupa bianca?» E poi chiesi, tanto<br />

per curiosità: «Perché ti guarda in quel modo?»<br />

«Oh, Grace» disse, allontanando le labbra dal mio col-rata di me,<br />

vuole essere innamorata di me.»<br />

«Perché?» chiesi.<br />

Fece una risatina, per niente divertita. «Perché mi fai una domanda<br />

così difficile? Non lo so. Credo che abbia avuto una vita dura prima di<br />

unirsi al branco. Le piace essere un lupo. Le piace la mutua devozione.<br />

Vede in che rapporti siamo io e Beck e pensa che stando con me potrà<br />

appartenere ancora di più al branco.»<br />

«Una può innamorarsi di te per quello che sei» puntualizzai.


Sentii il corpo di Sam dietro di me irrigidirsi. «No, non è per quello che<br />

sono. La sua è... un'ossessione.»<br />

«Io sono ossessionata da te» dissi.<br />

Sam trasse un lungo sospiro e si allontanò.<br />

Sospirai anch'io. «Ehi. Non dovevi spostarti.»<br />

«Mi sto sforzando di comportarmi da gentiluomo.»<br />

Mi abbandonai contro di lui, sorridendo al suo sguardo preoccupato.<br />

«Non devi sforzarti tanto.»<br />

Inspirò, attese per un lungo istante, e poi dolcemente mi baciò sul<br />

collo, proprio sotto la mascella. Mi voltai tra le sue braccia per baciarlo<br />

sulle labbra, ancora deliziosamente esitanti.<br />

«Pensavo al frigorifero» sussurrai.<br />

Sam indietreggiò appena, senza staccarsi da me. «Pensavi al<br />

frigorifero?»<br />

«Sì. Non sapevi se c'era la corrente accesa per l'inverno. Be', c'era.»<br />

Aggrottò la fronte, e io lisciai la piega che gli si era formata tra le<br />

sopracciglia.<br />

«Allora chi paga la bolletta dell'elettricità? Beck?» Quando lui annuì,<br />

continuai: «C'era del latte in frigo,<br />

qui. Di recente.»<br />

Le braccia di Sam si allentarono e gli occhi divennero ancora più tristi.<br />

La sua espressione era indecifrabile, il suo viso un libro scritto in una<br />

lingua che non capivo.<br />

«Sam» dissi, cercando di attirarlo di nuovo a me.<br />

Ma si era irrigidito. «Dovrei riportarti a casa. I tuoi genitori saranno<br />

preoccupati.»<br />

Risi, una risata breve e priva di allegria. «Sì, come no? Cosa c'è che non<br />

va?»<br />

«Niente.» Sam scosse la testa, ma era chiaramente distratto. «Cioè,<br />

niente no. É stata una giornata infernale, tutto qui. Sono solo... sono solo


stanco, credo.»<br />

Sembrava davvero stanco, ma c'era qualcosa di misterioso e triste<br />

nella sua espressione. Mi chiesi se era per via della quasi-metamorfosi o<br />

se avrei fatto meglio a tacere riguardo a Shelby e Beck. «Allora vieni a<br />

casa con me.»<br />

Fece un cenno col mento per indicare la casa attorno a sé.<br />

«Dai» dissi. «Ho ancora paura che tu sparisca.»<br />

«Non sparirò.»<br />

Senza volerlo, ripensai a quand'era raggomitolato per terra nel<br />

corridoio, e gemeva, nello sforzo di rimanere umano. Cercai subito di<br />

scacciare quel pensiero. «Non puoi prometterlo. Non voglio andare a<br />

casa. Non senza di te.»<br />

Sam si lasciò sfuggire un lamento lieve. Con le mani mi sfiorò la pelle<br />

nuda sotto il bordo della maglietta, i suoi pollici tracciarono linee di<br />

desiderio sui miei fianchi. «Non mi tentare.»<br />

Non dissi niente; rimasi lì tra le sue braccia, a guardarlo.<br />

Mi premette il viso sulla spalla e gemette di nuovo. «È così difficile fare<br />

il bravo con te attorno.» Si staccò da me.<br />

«Non so se è giusto continuare a stare insieme. Hai solo... quanti? Hai<br />

solo diciassette anni.»<br />

«E tu invece sei molto più grande, vero?» dissi, subito sulla difensiva.<br />

«Diciotto» rispose, come se fosse qualcosa per cui essere tristi. «Almeno<br />

sono maggiorenne.»<br />

Risi di gusto, anche se non c'era niente da ridere. Mi sentii avvampare<br />

le guance e il cuore prese a battere più veloce. «Stai scherzando?»<br />

«Grace» disse, e il suono del mio nome mi fece rallentare il battito. Mi<br />

prese il braccio. «Voglio fare le cose per bene, okay? Ho soltanto<br />

quest'opportunità per fare le cose per bene con te.»<br />

Lo guardai. La stanza era silenziosa, a parte il crepitare delle foglie che<br />

il vento faceva sbattere contro le finestre. Mi chiesi che espressione<br />

avevo mentre lo guardavo. Era lo stesso sguardo intenso di Shelby nella


foto? Ossessivo?<br />

La notte gelida premeva contro la finestra, una minaccia che di colpo<br />

si era trasformata in realtà. Il mio non era desiderio. Era paura.<br />

«Ti prego, torna a casa con me» dissi. Non avrei saputo che fare se mi<br />

avesse detto di no. Non avrei sopportato di tornare lì il giorno dopo e<br />

ritrovarlo lupo.<br />

Sam dovette leggermelo negli occhi, perché annuì e prese il<br />

grimaldello.


Capitolo ventisette • Sam<br />

5 °C<br />

I genitori di Grace erano in casa.<br />

«Non ci sono mai» disse Grace, e dalla sua voce si capiva chiaramente<br />

che la cosa la infastidiva. Però i suoi genitori erano lì, o almeno le loro<br />

macchine: la Taurus di suo padre, che al chiaro di luna sembrava<br />

argentata o blu, e di fronte la piccola Volkswagen Rabbit di sua madre.<br />

«Non t'azzardare a dirmi "te l'avevo detto"» disse Grace. «Ora entro a<br />

vedere dove sono e poi ti chiamo a rapporto.»<br />

«Veramente sei tu che devi fare rapporto a me» la corressi, tendendo i<br />

muscoli per non tremare. Non sapevo dire se avevo i brividi per il<br />

nervosismo o per via del ricordo del freddo.<br />

«Esatto» disse Grace, spegnendo i fari. «Proprio come dici tu. Torno<br />

subito.»<br />

La guardai correre in casa e scivolai sul sedile. Quasi non riuscivo a<br />

credere di essere lì a nascondermi dentro una macchina nel bel mezzo di<br />

una notte gelida, aspettando che una ragazza mi desse il via libera per<br />

dormire nella sua stanza. E non una ragazza qualsiasi. La ragazza. Grace.<br />

Apparve sulla porta d'ingresso e fece un gesto complicato. Mi ci volle<br />

un po' per capire che dovevo spegnere la Bronco ed entrare in casa. Così<br />

sgattaiolai fuori dalla macchina il più veloce possibile e corsi in silenzio<br />

verso l'ingresso; il freddo mi pizzicava e mordeva la pelle nuda. Grace<br />

non mi diede neppure il tempo di fermarmi: mi spinse lungo il corridoio,<br />

chiuse la porta e andò verso la cucina.<br />

«Ho dimenticato lo zaino» disse a voce alta dall'altra stanza, rivolta ai<br />

suoi genitori.<br />

Approfittai di quella conversazione per intrufolarmi nella stanza di<br />

Grace e chiusi la porta senza fare rumore. In casa c'erano almeno trenta<br />

gradi, un particolare di cui ero molto grato. Mi sembrava che i miei<br />

muscoli stessero ancora vibrando, come quando ero fuori; quella


sensazione di stare a metà-e-metà che odiavo.<br />

Il freddo mi aveva spossato e non sapevo per quanto tempo Grace<br />

sarebbe rimasta con i suoi genitori, così mi infilai nel letto senza<br />

accendere la luce. Seduto lì, al debole chiaro di luna, appoggiato ai<br />

cuscini, mi stropicciavo le dita dei piedi congelate per scaldarle e<br />

ascoltavo la voce lontana di Grace che echeggiava nel corridoio.<br />

Chiacchierava amabilmente con sua madre di una commedia romantica<br />

che avevano appena dato in tivù. Avevo già notato come Grace e i suoi<br />

genitori parlassero senza problemi di cose futili. Sembrava che non si<br />

stancassero mai di ridere insieme per delle sciocchezze, e invece non li<br />

avevo mai sentiti parlare di qualcosa che fosse significativo.<br />

Era così strano per me, che venivo dal branco. Da quando Beck mi<br />

aveva preso sotto la sua ala, mi ero sentito circondato da una famiglia, a<br />

volte anche in modo soffocante, e Beck non aveva mai negato la sua<br />

attenzione quando gliel'avevo chiesta. L'avevo data per scontata, ma ora<br />

mi sentivo viziato.<br />

Ero ancora seduto nel letto quando la maniglia della porta girò piano.<br />

Mi bloccai, e rimasi perfettamente immobile; poi, quando riconobbi il<br />

respiro di Grace, espirai. Richiuse la porta alle sue spalle e si voltò verso<br />

la finestra.<br />

Vidi i suoi denti brillare nella luce fioca. «Sei qui?» sussurrò.<br />

«Dove sono i tuoi? Stanno venendo a spararmi?»<br />

Grace ammutolì. All'ombra, senza il suono della sua voce, lei per me<br />

era invisibile.<br />

Stavo per dire qualcosa per rompere quel momento stranamente<br />

imbarazzante quando disse: «No, sono di sopra. La mamma ha costretto<br />

papà a mettersi in posa per fargli un ritratto. Quindi, se fai in fretta, hai<br />

campo libero per andarti a lavare i denti eccetera. Una sola<br />

raccomandazione: canta in falsetto, così penseranno che sono io.» La<br />

voce le si era fatta un po' più dura quando aveva detto papà, anche se<br />

non ne capivo il motivo.<br />

«Più che cantare in falsetto devo stonare» la corressi.


Grace mi passò di fianco mentre andava verso il guardaroba, e mi<br />

diede una pacca sul sedere. «Zitto e vai.»<br />

Lasciai le scarpe nella sua stanza e attraversai furtivo il corridoio fino al<br />

bagno del piano di sotto. C'era solo la doccia, cosa di cui ero<br />

immensamente grato, e Grace si era assicurata che le tende fossero ben<br />

tirate per evitare che ci guardassi dentro.<br />

Mi lavai i denti col suo spazzolino. Poi rimasi a fissarmi: un<br />

adolescente alto e dinoccolato con un'enorme maglietta verde che Grace<br />

aveva rubato a suo padre, che si guardava allo specchio i capelli flosci e<br />

gli occhi gialli. Che stai facendo, Sam?<br />

Chiusi gli occhi, così simili a quelli di un lupo pur in forma umana,<br />

come se nascondendo le pupille potessi mutare la mia condizione. La<br />

ventola del riscaldamento centrale iniziò a ronzare, e io sentii delle lievi<br />

vibrazioni attraverso i piedi nudi, come a ricordarmi che quella era<br />

l'unica cosa che mi permetteva di restare umano. Queste ultime notti di<br />

ottobre erano state già abbastanza fredde da lacerarmi la pelle, e a<br />

partire dal prossimo mese le giornate lo sarebbero state altrettanto. Che<br />

cosa avevo intenzione di fare? Nascondermi per tutto l'inverno in casa di<br />

Grace, terrorizzato da ogni singolo spiffero strisciante?<br />

Riaprii gli occhi e rimasi a fissarli nello specchio finché la loro forma e<br />

il loro colore non persero qualsiasi significato. Mi chiesi che cosa vedeva<br />

Grace in me, perché la affascinavo. Che cos'ero io senza la pelle da lupo?<br />

Un ragazzo così imbottito di parole che si rovesciavano fuori.<br />

In quel momento ogni frase, ogni verso che avevo in testa terminava<br />

con la stessa parola: amore.<br />

Dovevo dire a Grace che era il mio ultimo anno.<br />

Mi affacciai nel corridoio per controllare che i suoi genitori non<br />

fossero nei dintorni e mi intrufolai di nuovo nella stanza, dove Grace si<br />

era già infilata nel letto, un rigonfiamento lungo e morbido sotto le<br />

coperte. Per un attimo provai a immaginare com'era vestita. Avevo un<br />

ricordo annebbiato, da lupo, di quando una mattina di primavera era<br />

scesa dal letto indossando soltanto una maglietta larga, e ripensai alle sue<br />

lunghe gambe nude che scivolavano da sotto le coperte. Così sexy da far


male.<br />

Di colpo mi vergognai per quelle fantasticherie. Per alcuni minuti feci<br />

avanti e indietro ai piedi del letto, pensando alle docce fredde e agli<br />

accordi e ad altre cose che non fossero Grace.<br />

«Ehi» sussurrò lei, la voce impastata come se già dormisse. «Che cosa<br />

stai facendo?»<br />

«Ssst» dissi, con le guance infiammate. «Scusa se ti ho svegliata. Stavo<br />

solo pensando.»<br />

Il suo commento fu spezzato da uno sbadiglio. «E allora smettila di<br />

pensare.»<br />

Mi distesi sul letto, restando sul bordo del materasso. Quella sera era<br />

successo qualcosa che mi aveva cambiato, qualcosa riconducibile al fatto<br />

che Grace mi aveva visto dare il peggio, immobile nella vasca da bagno,<br />

pronto ad arrendermi. Quella notte il letto sembrava troppo piccolo per<br />

sfuggire al suo profumo, al suono intorpidito della sua voce, al calore del<br />

suo corpo. Con fare discreto, ammucchiai un po' di coperte tra noi e<br />

posai la testa sul cuscino, sperando che i miei dubbi volassero via e mi<br />

lasciassero dormire.<br />

Grace si protese verso di me e iniziò ad accarezzarmi i capelli. Chiusi<br />

gli occhi e lasciai che mi facesse impazzire. Lei disegna forme strane sul<br />

mio viso / Forme che non possono cambiare / la versione di me che<br />

tengo dentro / quando sono accanto a te, accanto a te, accanto a te. «Mi<br />

piacciono i tuoi capelli» disse.<br />

io non dissi niente. Pensavo a una melodia che si accordasse con quei<br />

versi.<br />

«Mi spiace per stasera» sussurrò. «Non volevo spingerti al limite.»<br />

Sospirai mentre le sue dita tracciavano la linea delle mie orecchie e del<br />

collo. «Va tutto così in fretta. Vorrei che tu» - mi fermai prima di dire mi<br />

amassi, perché non volevo sembrare arrogante - «vorrei che tu stessi con<br />

me. L'ho sempre voluto. Solo, non ho mai pensato che potesse<br />

succedere.» Suonava troppo serio, così aggiunsi: «In fondo sono una<br />

creatura mitologica. Tecnicamente non dovrei esistere.»


Grace rise, a bassa voce, solo per me. «Stupido. Io ti trovo molto<br />

reale.»<br />

«Anch'io» sussurrai.<br />

Ci fu una lunga pausa al buio.<br />

«Vorrei essermi trasformata» disse alla fine, quasi impercettibile. Aprii<br />

gli occhi, perché avevo bisogno di vedere la sua espressione. Era più<br />

esplicita di qualsiasi altra espressione che le avevo visto fino ad allora;<br />

infinitamente triste, con le labbra socchiuse dal desiderio.<br />

Mi protesi verso di lei, le presi il viso tra le mani. «Oh, no, non devi,<br />

Grace. Non devi.»<br />

Scosse la testa contro il cuscino. «Sono così infelice quando sento gli<br />

ululati. Stavo così male quando d'estate non ti vedevo.»<br />

«Oh, angelo, se potessi ti porterei con me» dissi, e mentre lo dicevo<br />

ero sorpreso che dalla mia bocca fosse uscita la parola angelo e che fosse<br />

quella più appropriata. Le passai una mano tra i capelli, catturando le<br />

ciocche tra le dita. «Non puoi volerlo. Ogni anno perdo qualcosa di me<br />

stesso.»<br />

Grace aveva una voce strana. «Dimmi che cosa succede, alla fine.»<br />

Mi ci volle un po' per capire che cosa intendeva. «Oh, la fine.» C'erano<br />

mille modi per dirglielo, mille modi per indorare la cosa. Grace non<br />

avrebbe abboccato alla versione tutta rose e fiori che mi aveva rifilato<br />

Beck all'inizio, così fui esplicito. «Divento me stesso - divento umano -<br />

ogni anno a primavera sempre più inoltrata. E arriverà un anno in cui<br />

probabilmente non mi trasformerò più. É capitato ai lupi più anziani. Un<br />

anno non ridiventano umani, e rimangono... lupi. E vivono un po' più a<br />

lungo rispetto ai lupi normali. Per quindici anni, forse.»<br />

«Come puoi parlare in questo modo della tua morte?»<br />

La guardai; gli occhi le brillavano nella luce fioca. «C'è un altro modo<br />

per parlarne?»<br />

«Con un po' più di rammarico.»<br />

«Me ne rammarico ogni singolo giorno.»


Grace rimase in silenzio, ma avvertivo che stava rimuginando su<br />

quello che avevo detto, stava facendo ordine nella mente. «Eri un lupo<br />

quando ti hanno sparato.»<br />

Volevo premerle le dita sulle labbra, ricacciarle dentro le parole che la<br />

sua bocca stava formando. Era troppo presto. Non volevo ancora che lo<br />

dicesse.<br />

Ma Grace continuò, a voce bassa. «Quest'anno hai saltato i mesi più<br />

caldi. Non faceva così freddo quando ti hanno sparato. Faceva freddo,<br />

ma non il freddo dell'inverno. Eppure eri un lupo. Quando ti sei<br />

trasformato in essere umano, quest'anno?»<br />

Sussurrai: «Non me lo ricordo.»<br />

«E se non ti avessero sparato? Quando saresti ritornato te stesso?»<br />

Chiusi gli occhi. «Non lo so, Grace.» Era il momento perfetto per<br />

dirglielo. Questo è il mio ultimo anno. Ma non ci riuscii. Non ancora.<br />

Volevo un altro minuto, un'altra ora, un'altra notte per fingere che quella<br />

non fosse la fine.<br />

Grace trasse un respiro lento e tremante, e ci fu qualcosa in esso che mi<br />

fece capire che in qualche modo, forse anche inconsciamente, già sapeva.<br />

L'aveva sempre saputo.<br />

Non piangeva, io però ero pronto a farlo.<br />

Grace mi infilò di nuovo le dita tra i capelli; le mie dita erano immerse<br />

nei suoi. Le nostre braccia nude erano premute le une contro le altre in<br />

un fresco groviglio di pelle. Mi bastava sfiorarle il braccio per sprigionare<br />

una scintilla del suo profumo, un misto allettante di sapone ai fiori, lieve<br />

sudore, e desiderio di me.<br />

Mi chiedevo se si rendesse conto di quanto il suo odore la metteva a<br />

nudo; di quanto mi svelava i suoi sentimenti anche se lei li teneva per sé.<br />

Certo, l'avevo vista annusare l'aria con la stessa frequenza con cui lo<br />

facevo io. Doveva sapere che proprio in quel momento mi stava facendo<br />

impazzire, che ogni volta che la sua pelle toccava la mia sentivo un<br />

formicolio, una scossa elettrica.


Ogni contatto ritardava l'inizio dell'inverno.<br />

Per farmi capire che avevo ragione, Grace si avvicinò a me, scalciò le<br />

coperte tra me e lei e premette la bocca contro la mia. Lasciai che<br />

dischiudesse le mie labbra e sospirai, assaggiando il suo respiro. Ascoltai<br />

ogni suo tenue gemito mentre le avvolgevo le braccia attorno al corpo.<br />

Ognuno dei miei cinque sensi continuava a sussurrarmi di andarle più<br />

vicino, il più vicino possibile. Lei attorcigliò le gambe alle mie e ci<br />

baciammo finché non ci mancò il fiato, e ci avvicinammo finché gli<br />

ululati lontani non mi fecero tornare in me.<br />

Grace si lasciò sfuggire un piccolo lamento di delusione mentre<br />

districavo le mie gambe dalle sue. Anch'io soffrivo perché volevo di più.<br />

Mi spostai al suo fianco, le dita ancora tra i suoi capelli. Sentimmo i lupi<br />

ululare fuori dalla finestra, quelli che non si erano trasformati. O che non<br />

si sarebbero trasformati mai più. E affondammo il capo ciascuno nel<br />

petto dell'altra, in modo da sentire soltanto i nostri cuori, che battevano<br />

forte.


Capitolo ventotto • Grace<br />

9 °C<br />

Lunedì la scuola sembrava un pianeta alieno. Ma dopo un po' che me<br />

stavo dietro al volante della Bronco a guardare gli studenti muoversi in<br />

massa sui marciapiedi e le macchine circolare per il parcheggio e gli<br />

autobus incolonnarsi in modo ordinato, mi resi conto che non era la<br />

scuola a essere cambiata. Ero io.<br />

«Devi andare a scuola» disse Sam, e se non l'avessi conosciuto bene,<br />

non avrei notato il tono speranzoso e interrogativo che gli venava la<br />

voce. Chissà dove sarebbe andato mentre io ero in classe.<br />

«Lo so» risposi, guardando incupita le felpe e le sciarpe multicolori che<br />

strisciavano dentro la scuola, prova che l'inverno stava arrivando.<br />

«Sembra così...» Quello che sembrava era irrilevante, scollegato dalla mia<br />

vita. Era difficile ricordarsi perché era importante stare seduti in una<br />

classe a prendere degli appunti che entro un anno sarebbero stati inutili.<br />

Sam sussultò dalla sorpresa quando la portiera dal lato del guidatore si<br />

aprì. Rachel salì sulla Bronco con lo zaino, spingendomi di lato sul lungo<br />

sedile davanti per farsi spazio.<br />

Sbatté la portiera e trasse un lungo sospiro. Con lei dentro, la<br />

macchina sembrava molto piena. «Bella carretta.» Si sporse in avanti e<br />

lanciò un'occhiata a Sam. «Ooh, un ragazzo. Ciao, Ragazzo! Grace, sono<br />

così su di giri. Caffè! Sei arrabbiata con me?»<br />

Colta alla sprovvista, mi addossai allo schienale battendo le palpebre.<br />

«No.»<br />

«Bene! Perché, visto che non mi hai chiamata maipìù, ho pensato che<br />

fossi morta o arrabbiata con me. E dato che ovviamente non sei morta,<br />

ho pensato che si trattasse dell'altra ipotesi.» Tamburellò con le dita sul<br />

volante. «Però ce l'hai con Olivia, vero?»<br />

«Sì» dissi, anche se non ero sicura di avercela ancora con lei: ricordavo<br />

che avevamo litigato ma non riuscivo proprio a ricordarmi quale fosse il<br />

motivo. «No, ormai no. Era una stupidaggine.»


«Già, lo immaginavo» disse Rachel. Si sporse in avanti e posò il mento<br />

sul volante in modo da poter guardare Sam. «Dunque, Ragazzo, perché<br />

sei nella macchina di Grace?»<br />

Sorrisi senza volerlo. Sapevo quale Sam doveva restare un segreto, ma<br />

Sam in quanto tale non ne aveva bisogno, no? D'improvviso sentii la<br />

necessità di avere l'approvazione di Rachel. «Già, Ragazzo» dissi,<br />

piegando il collo per guardare Sam, che mi stava vicinissimo. Aveva<br />

un'espressione a metà tra il divertito e il dubbioso. «Cosa ci fai nella mia<br />

macchina?»<br />

«Sono qui per un interesse visivo» disse Sam.<br />

«Wow» replicò Rachel. «A lungo termine o a breve termine?»<br />

«Dipende da quanto dura il mio interesse.» Per un attimo volse la testa<br />

contro la mia spalla in un gesto di muto affetto. Cercai di non sorridere<br />

come un'idiota.<br />

«Oh, allora è così... Be', io sono Rachel, e sono su di giri, e sono la<br />

migliore amica di Grace» disse, e gli porse la mano. Indossava dei guanti<br />

senza dita color arcobaleno che le arrivavano fino ai gomiti. Sam le<br />

strinse la mano.<br />

«Sam.»<br />

«Piacere di conoscerti, Sam. Vieni in questa scuola?» Quando lui fece<br />

no con la testa, lei mi prese per mano e disse: «Già, lo immaginavo. Be',<br />

allora ti ruberò questa graziosa fanciulla per portarla in classe perché<br />

altrimenti faremo tardi e ho un sacco di cose da dirle e dato che non<br />

parla con l'altra sua migliore amica si è persa un sacco di roba<br />

fenomenale sui lupi. Quindi, come puoi ben capire, dobbiamo andare.<br />

Mi piacerebbe dirti che di solito non sono cosi su di giri, ma mentirei.<br />

Andiamo, Grace!»<br />

Io e Sam ci scambiammo uno sguardo; nei suoi occhi scorsi un velo di<br />

preoccupazione. Poi Rachel aprì la portiera e mi trascinò fuori. Sam<br />

scivolò dietro il volante. Per un attimo sperai che mi volesse salutare con<br />

un bacio e invece lanciò un'occhiata a Rachel e poi posò velocissimo le<br />

dita sulla mia mano. Aveva le guance rosa.


Rachel non disse niente, ma fece un mezzo sorriso prima di<br />

trascinarmi verso la scuola. Mi storse il braccio. «Ora si spiega perché non<br />

hai chiamato, eh? Il Ragazzo è stracanno. Cos'è, uno che studia a casa?»<br />

Mentre aprivamo la porta della scuola, guardai la Bronco da sopra la<br />

mia spalla. Vidi Sam alzare la mano per salutarmi prima di uscire in<br />

retromarcia dall'area di parcheggio.<br />

«Sì. La risposta è sì a entrambe le domande» dissi. «Ma ne parliamo più<br />

tardi. Cos'è questa faccenda dei lupi?»<br />

Rachel mi agganciò le braccia attorno alle spalle in un gesto teatrale.<br />

«Olivia ne ha visto uno sulla veranda di casa sua e c'erano segni di<br />

unghiate, Grace. Sulla porta. Da. Pelle. D'oca.»<br />

Mi fermai di colpo in mezzo al corridoio; gli studenti dietro di noi,<br />

seccati, ci sorpassarono. Dissi: «Aspetta un attimo... a casa di Olivia?»<br />

«No, a casa di tua madre.» Rachel scosse la testa e si sfilò i guanti<br />

arcobaleno. «Sì, a casa di Olivia. Se la piantate con questo litigio te lo dirà<br />

lei stessa. E comunque per che cosa avete litigato? Mi fa star male vedere<br />

i miei due zuccherini che si strapazzano.»<br />

«Te l'ho detto, è una stupidaggine» dissi. Volevo che la smettesse di<br />

parlare, così potevo concentrarmi sul lupo a casa di Olivia. Era di nuovo<br />

Jack? E perché sarebbe dovuto andare proprio da Olivia?<br />

«Be', dovete assolutamente ricominciare ad andare d'accordo perché<br />

vi voglio tutte e due con me per le vacanze di Natale. E non manca<br />

molto. Voglio dire, considerando i preparativi e tutto. Avanti, Grace,<br />

dimmi di sì!» squittì Rachel.<br />

«Forse.» In realtà non era il lupo a casa di Olivia che mi preoccupava.<br />

Erano i segni delle unghiate. Avevo bisogno di parlare con Olivia per<br />

capire quanto c'era di vero in quella faccenda e quanto invece era viziato<br />

dalla passione di Rachel per le belle storie.<br />

«É per il Ragazzo? Può venire anche lui! Non importa!» disse Rachel.<br />

Piano piano il corridoio iniziò a svuotarsi; suonò la campanella. «Ne<br />

parliamo dopo!» dissi, e corsi in classe con Rachel per la prima lezione.


Mi sedetti al mio solito posto e riordinai i compiti.<br />

«Dobbiamo parlare.»<br />

Al suono di quella voce totalmente diversa mi irrigidii all'istante: era<br />

Isabel Culpeper. La sorella di Jack strascicò le zeppe giganti fino all'altro<br />

banco e si sporse verso di me, con i capelli spruzzati di colpi di sole che le<br />

contornavano il viso in boccoli perfetti.<br />

«Adesso se non te ne sei accorta siamo a lezione, Isabel» dissi,<br />

indicando gli annunci registrati della mattina che scorrevano sul video.<br />

L'insegnante era già china sulla cattedra. Non faceva caso a noi, ma non<br />

ero elettrizzata all'idea di avere una conversazione con Isabel. Nel<br />

migliore dei casi aveva bisogno di aiuto per i compiti o qualcosa del<br />

genere; avevo la fama di essere brava in matematica, quindi non era da<br />

escludere.<br />

Nel peggiore dei casi voleva parlare di Jack.<br />

Sam aveva detto che l'unica regola che il branco doveva rispettare era<br />

non parlare con gli estranei dei lupi mannari. Io non avrei infranto quella<br />

regola.<br />

Isabel aveva ancora un po' il broncio, ma nei suoi occhi scorsi<br />

tempeste capaci di distruggere piccoli villaggi. Lanciò un'occhiata verso la<br />

cattedra e si fece più vicina. Sentii una scia di profumo: rose ed estate nel<br />

freddo del Minnesota. «Ci vorrà solo un secondo.»<br />

Scoccai un'occhiata a Rachel, che guardava Isabel torva. Non volevo<br />

parlarci affatto, con Isabel. Non sapevo molto di lei, ma sapevo che i<br />

suoi pettegolezzi erano mine vaganti e che in un attimo sarei potuta<br />

diventare l'argomento di conversazione preferito alla mensa. Non ero<br />

una a cui interessava essere popolare, ma ricordavo che cos'era successo<br />

all'ultima ragazza che era risultata sgradita a Isabel. Stava ancora<br />

cercando di tirarsi fuori da una contorta diceria sul suo conto che<br />

comprendeva lap-dance e squadra di football. «Perché?»<br />

«In privato» sibilò Isabel. «In corridoio.»<br />

Roteai gli occhi, ma mi alzai dal banco e in punta di piedi sgattaiolai in<br />

fondo all'aula. Rachel mi lanciò uno sguardo breve e desolato. Il mio non


fu da meno. «Due secondi, non di più» dissi a Isabel mentre mi trascinava<br />

per il corridoio fino a un'aula vuota. La bacheca di sughero sulla parete di<br />

fronte era coperta da disegni del corpo umano; qualcuno aveva<br />

attaccato un tanga sopra una delle sagome.<br />

«Sì. Non importa.» Chiuse la porta alle nostre spalle e mi guardò come<br />

se da un momento all'altro potessi mettermi a cantare. Non sapevo che<br />

cosa aspettava.<br />

Incrociai le braccia. «Okay. Cosa vuoi?»<br />

Credevo di essere preparata, ma quando disse: «Mio fratello Jack» il<br />

mio cuore rischiò di esplodere.<br />

Non dissi niente.<br />

«L'ho incontrato stamattina mentre correvo.»<br />

Deglutii. «Tuo fratello.»<br />

Isabel mi puntò contro un'unghia perfetta, più lucente del cofano<br />

della Bronco. I suoi boccoli andavano su e giù. «Oh, piantala con questa<br />

farsa. Gli ho parlato. Non è morto.»<br />

Mi scontrai per un secondo con l'immagine di Isabel che faceva<br />

jogging. Non riuscivo a immaginarmela. Forse quando diceva "correre"<br />

intendeva scappare dal chihuahua. «Mmm.»<br />

Isabel insisté. «Aveva qualcosa di strano. E non dire: "Certo, è morto".<br />

Non è morto.»<br />

C'erano alcuni aspetti della personalità affascinante di Isabel - forse<br />

anche per il fatto che già sapevo di Jack - che mi rendevano davvero<br />

difficile solidarizzare con lei. Dissi: «Isabel, questa conversazione è inutile.<br />

Stai già facendo un bel lavoro da sola.»<br />

«Zitta» disse Isabel, confermando così la mia teoria. Stavo per<br />

dirglielo, ma quello che aggiunse subito dopo mi gelò. «Quando ho visto<br />

Jack, mi ha detto che non era davvero morto. Poi ha iniziato... a<br />

contrarsi... e ha detto che doveva andarsene immediatamente. Quando<br />

ho provato a chiedergli che cos'aveva, mi ha detto che tu lo sai.»<br />

La voce mi uscì un po' soffocata. «Io?» Però ricordavo i suoi occhi


imploranti mentre giaceva a terra, immobilizzato dalla lupa. Aiutami. Mi<br />

aveva riconosciuta.<br />

«Be', non mi sembri sorpresa, o sbaglio? Tutti sanno che tu e Olivia<br />

Marx siete fanatiche di questi lupi, ed è chiaro che in questa faccenda<br />

c'entrano qualcosa. Allora, che sta succedendo, Grace?»<br />

Non mi piacque il modo in cui mi fece la domanda, come se già<br />

conoscesse la risposta. Sentii il sangue pulsarmi nelle orecchie. La<br />

situazione mi sfuggiva di nuovo. «Senti, sei sconvolta, e questo lo<br />

capisco. Ma dico sul serio, fatti aiutare. Lascia me e Olivia fuori da questa<br />

storia. Non so cos'hai visto, ma non era Jack.»<br />

La bugia mi lasciò un cattivo sapore in bocca. Capivo i motivi per cui<br />

il branco doveva essere tenuto segreto, ma Isabel era la sorella di Jack.<br />

Non aveva il diritto di sapere?<br />

«Non ero in preda a un'allucinazione» sbottò Isabel quando aprii la<br />

porta. «Lo ritroverò. E scoprirò che ruolo hai in tutto questo.»<br />

«Non ho nessun ruolo» dissi. «Mi piacciono i lupi, tutto qui. Adesso<br />

devo tornare in aula.»<br />

Isabel rimase sulla porta a guardarmi mentre andavo via. Chissà che<br />

cosa si era aspettata intavolando quella conversazione.<br />

Sembrava quasi disperata, o forse era tutta scena.<br />

Comunque dissi: «Isabel, fatti aiutare.»<br />

Lei incrociò le braccia. «Era quello che credevo di aver fatto.»


Capitolo ventinove • Sam<br />

12 °C<br />

Mentre Grace era a scuola, rimasi un sacco di tempo nel parcheggio a<br />

ripensare all'incontro con la sfrenata Rachel e a chiedermi che cos'era la<br />

storia dei lupi. Mi chiesi se era il caso di andare a caccia di Jack; ma prima<br />

di buttarmi in un'impresa assurda, volevo avere qualche notizia da<br />

Grace.<br />

Senza di lei e senza il branco quasi non sapevo come occupare il<br />

tempo. Mi sentivo come uno che ha da aspettare un'ora prima che il suo<br />

autobus arrivi: e un'ora non basta a fare qualcosa di importante, ma è<br />

troppa per starsene seduti in macchina con le mani in mano.<br />

La sottile morsa del freddo nascosta nella brezza mi diceva che non<br />

potevo rimandare per sempre il momento di prendere l'autobus.<br />

Alla fine guidai fino all'ufficio postale. Avevo la chiave della casella di<br />

posta di Beck, anche se il vero motivo per cui ci stavo andando era<br />

evocare i ricordi e indurre me stesso a credere che ci saremmo incontrati<br />

lì.<br />

Mi ricordai di quando Beck mi aveva portato a prendere i libri di<br />

scuola: anche se era passato tanto tempo ricordavo perfettamente che<br />

era un martedì, perché da allora il martedì era diventato il mio giorno<br />

preferito. Non sapevo perché; forse per le lettere che formano la parola<br />

martedì e che, una vicina all'altra, suonano molto amichevoli. Mi<br />

piaceva un sacco andare all'ufficio postale con Beck; era una grotta del<br />

tesoro, con file su file di piccole scatole chiuse che contenevano segreti e<br />

sorprese accessibili soltanto a chi possedeva la chiave giusta.<br />

Mi ricordavo i nostri discorsi per filo e per segno, perfino l'espressione<br />

di Beck. "Sam, vieni qui, ragazzo."<br />

"E quella cos'è?"<br />

Beck reggeva una scatola pesantissima e cercava inutilmente di<br />

spingere la porta a vetri con la schiena. "Il tuo cervello."


"Ce l'ho già un cervello."<br />

"Se ce l'avessi, mi avresti già aperto la porta."<br />

Gli scoccai un'occhiataccia e lasciai che si affannasse contro la porta<br />

ancora per un po' prima di passare sotto le sue braccia e aprirla io.<br />

"Dimmi cos'è."<br />

"Libri scolastici. Ti daremo un'istruzione vera e propria, così non cresci<br />

idiota."<br />

Mi allettava l'idea della scuola-in-scatola-aggiungi-solo-acqua-e-Sam.<br />

E a quanto pareva anche al resto del branco. Ero l'unico a essere stato<br />

morso prima di finire la scuola, quindi dovermi fare da insegnanti era<br />

una novità che li entusiasmava. Per diverse estati fecero a turno,<br />

alternando le faticose lezioni pratiche con gli adorabili libri di testo<br />

freschi di stampa, che emanavano odore di inchiostro. Mi imbottivano il<br />

cervello ventiquattro ore al giorno: Ulrik era il mio insegnante di<br />

matematica; Beck quello di storia; Paul si occupò del mio vocabolario e<br />

in un secondo momento di scienze. Mentre eravamo a tavola mi<br />

gridavano le domande dei test. Inventarono canzoncine per farmi<br />

imparare la cronologia dei presidenti morti, e usavano come lavagna una<br />

delle pareti bianche della sala da pranzo, dove scrivevano le parole del<br />

giorno e le barzellette sporche che nessuno capiva.<br />

Quando ebbi finito con il primo pacco di libri, Beck lo imballò e lo<br />

rimpiazzò con un'altra scatola. Se non studiavo nella mia<br />

"scuola-in-scatola", navigavo su internet per avere un altro tipo di<br />

istruzione. Navigavo per cercare fenomeni da circo o sinonimi di<br />

rapporto sessuale o per trovare una risposta al perché quando di sera<br />

guardavo le stelle la nostalgia mi faceva andare il cuore in mille pezzi.<br />

Con la terza scatola di libri arrivò un nuovo membro del branco:<br />

Shelby, una ragazza snella, abbronzata, coperta di lividi, con un<br />

fortissimo accento del Sud. Ricordavo Beck che diceva a Paul: "Non<br />

potevo lasciarla lì. Santo cielo! Paul, non hai visto da dove veniva. Non<br />

hai visto cosa le stavano facendo."<br />

Mi dispiaceva per Shelby, perché si era resa inaccessibile agli altri. Ero


l'unico che era riuscito a mandare una scialuppa di salvataggio in<br />

quell'isola che Shelby era diventata, strappandole qualche parola e, a<br />

volte, un sorriso. Era strana, un animale fragile che avrebbe fatto<br />

qualsiasi cosa per riprendere il controllo della sua vita. Rubava le cose di<br />

Beck perché lui le chiedesse dove fossero; giocherellava col termostato<br />

solo per guardare Paul alzarsi e andarlo a sistemare, nascondeva i miei<br />

libri perché invece di leggere parlassi con lei. Ma c'è da dire che in quella<br />

casa eravamo tutti un po' guasti. Non dimentichiamo che io ero il<br />

ragazzino che non riusciva a guardare dentro la vasca da bagno.<br />

Beck aveva ritirato dall'ufficio postale un'altra scatola di libri da dare a<br />

Shelby, ma per lei non avevano la stessa importanza. Li lasciava in un<br />

angolo a prendere polvere e preferiva fare ricerche online sul<br />

comportamento dei lupi.<br />

Mi fermai davanti alla casella postale di Beck, la numero 730.<br />

Accarezzai i numeri scheggiati; il tre si era quasi staccato del tutto, e a<br />

quanto ricordavo era sempre stato così. Infilai la chiave nella cassetta, ma<br />

non la girai. Era così sbagliato desiderare qualcosa tanto disperatamente?<br />

Una vita normale con Grace, dove gli anni si susseguivano regolari; un<br />

paio di decenni da trascorrere girando le chiavi nelle caselle di posta,<br />

stando distesi a letto e facendo l'albero di Natale d'inverno?<br />

Subito ripresi a pensare a Shelby, e il suo ricordo, vicino al ricordo di<br />

Grace, era pungente come il freddo. Shelby aveva sempre pensato che il<br />

mio attaccamento alla vita umana fosse ridicolo. E proprio da questo era<br />

nata la nostra lite peggiore. Non fu la prima né l'ultima, ma di sicuro la<br />

più crudele. Ero a letto e leggevo una raccolta di Yeats che mi aveva<br />

comprato Ulrik, e Shelby era saltata sul materasso e aveva calpestato il<br />

libro, spiegazzando le pagine.<br />

"Vieni a sentire gli ululati che ho trovato online" aveva detto.<br />

"Sto leggendo."<br />

"Gli ululati sono più importanti" aveva detto Shelby, torreggiando su<br />

di me, arricciando e spiegazzando ancora di più le pagine con le dita dei<br />

piedi. "Perché perdi tempo a leggere quella roba?" Indicò la pila di testi<br />

scolastici sulla scrivania accanto al letto. "Non è quello che diventerai


quando sarai grande. Non sarai un uomo. Sarai un lupo, perciò dovresti<br />

imparare le cose che riguardano i lupi."<br />

"Zitta" dissi.<br />

"Be', è vero. Non sarai Sam. É uno spreco leggere tutti quei libri. Sarai<br />

il maschio alfa. L'ho letto. E io sarò la tua compagna. La femmina alfa."<br />

Aveva un'espressione eccitata, febbrile. Shelby non voleva altro che<br />

lasciarsi il passato alle spalle.<br />

Le avevo strappato Yeats da sotto i piedi e avevo lisciato le pagine. "Io<br />

sarò Sam. Non smetterò mai di essere Sam."<br />

"E invece no! " Shelby alzò la voce. Saltò giù dal letto e fece cadere la<br />

mia pila di libri; migliaia di parole schiantate per terra. "É una farsa! Noi<br />

non avremo nomi, saremo soltanto dei lupi."<br />

Avevo gridato: "Zitta! Posso rimanere sempre e comunque Sam anche<br />

quando sono un lupo! "<br />

Beck era piombato in camera e aveva guardato la scena col suo solito<br />

fare silenzioso; i miei libri, la mia vita, i miei sogni sparsi sotto i piedi di<br />

Shelby, e io sul letto che stringevo Yeats così forte da avere le nocche<br />

bianche.<br />

"Che cosa succede qui?" aveva detto Beck.<br />

Shelby mi aveva puntato un dito contro. "Diglielo! Diglielo che non<br />

sarà più Sam, una volta diventato lupo. Non può esserlo. Non saprà<br />

neppure il suo nome. E io non sarò Shelby." Tremava, era furiosa dalla<br />

rabbia.<br />

A voce così bassa che feci fatica a sentirlo, Beck aveva detto: "Sam sarà<br />

sempre Sam." Prese Shelby per l'avambraccio e la spinse fuori dalla<br />

stanza. Scivolò sui miei libri. Era spaventata: Beck aveva sempre evitato<br />

di metterle le mani addosso. Era la prima volta che lo vedevo così<br />

arrabbiato. "Guai a te se gli dici il contrario, Shelby. Ti riporto da dove sei<br />

venuta. Ti riporto indietro."<br />

In corridoio, Shelby iniziò a urlare, e smise soltanto quando Beck la<br />

chiuse in camera, sbattendo la porta.


Poi passò davanti alla mia stanza e si fermò sulla soglia. Stavo<br />

impilando con cura i libri sulla scrivania. Le parole mi tremavano nelle<br />

mani.<br />

Mi aspettavo che dicesse qualcosa, invece si limitò a raccogliere un<br />

libro da terra e ad aggiungerlo alla pila, poi se ne andò.<br />

Più tardi sentii Ulrik e Beck discutere; forse non si erano resi conto che<br />

all'interno di una casa non ci sono molti posti in cui potersi mettere senza<br />

che un lupo mannaro riesca a sentirti. "Sei stato troppo duro con Shelby"<br />

diceva Ulrik. "Lei ha ragione. Cosa pensi che se ne farà Sam di tutta<br />

questa magnifica cultura? Non credere che sarà mai in grado di fare<br />

quello che fai tu."<br />

Dopo una lunga pausa Ulrik aggiunse: "Non puoi esserne sorpreso.<br />

Non ci voleva un genio per capire le tue intenzioni. Ma dimmi un po',<br />

come potrebbe fare Sam ad andare al college?"<br />

Un'altra pausa. Beck: "Scuola estiva. E crediti online."<br />

"D'accordo. Mettiamo il caso che Sam prenda il diploma. Cosa se ne<br />

farà? E la facoltà di legge la frequenterebbe online? E poi che genere di<br />

avvocato sarebbe? I tuoi clienti ormai tollerano la tua bizzarra dipartita<br />

invernale perché quando sei stato morso eri già un avvocato affermato.<br />

Sam invece dovrà trovarsi dei lavori in cui può permettersi di scomparire<br />

ogni anno senza preavviso. Malgrado tutta la cultura con cui gli stai<br />

foderando il cervello, dovrà cercare lavoro ai distributori di benzina,<br />

come tutti noi. Sempre che riesca a superare i vent'anni."<br />

"Vuoi dirgli di mollare? Fallo tu, allora. Io non glielo dirò mai."<br />

"Non gli dirò di mollare. É a te che dico di mollare."<br />

"Sam fa solo quello che ha voglia di fare. Vuole imparare. É<br />

intelligente."<br />

"Beck, lo renderai infelice. Non puoi dargli tutti gli strumenti per avere<br />

successo e poi fargli scoprire che - puf - non può usarne nessuno. Shelby<br />

ha ragione. Alla fine,<br />

non saremo che lupi. Io posso leggergli tutta la poesia tedesca di<br />

questo mondo e Paul può insegnargli i participi passati e tu puoi


suonargli Mozart, ma alla fine quello che ci attende è una notte fredda e<br />

lunga, e questi boschi."<br />

C'era stata un'altra lunga pausa prima che Beck rispondesse, stanco e<br />

diverso da come era di solito.<br />

"Lasciami in pace, Ulrik, okay? Lasciami in pace."<br />

Il giorno dopo Beck mi disse che non ero costretto a fare i compiti se<br />

non volevo, e andò a fare un giro in macchina da solo. Aspettai che se ne<br />

andasse e poi feci i compiti.<br />

E ora quello che volevo più di ogni altra cosa era che Beck fosse lì con<br />

me. Girai la chiave nel lucchetto, sapendo che cosa avrei trovato: una<br />

cassetta piena di buste con il timbro postale che risaliva a chissà quanti<br />

mesi prima e forse degli avvisi per ritirarne altre agli sportelli.<br />

Ma quando aprii la cassetta, c'erano due lettere solitarie e dei<br />

volantini.<br />

Qualcuno era passato di lì. Di recente.


Capitolo trenta • Sam<br />

5 ° C<br />

«Ti dispiace se passo da Olivia?» mi chiese Grace mentre saliva in<br />

macchina. Io ero seduto dal lato del passeggero e quando arrivò la<br />

ventata d'aria fredda balzai indietro. Lei chiuse subito la portiera.<br />

«Scusami. Fa molto freddo, vero? Comunque, non voglio entrare in casa,<br />

voglio solo passarci davanti in macchina. Rachel ha detto che c'è un lupo<br />

che gironzola da quelle parti. Andando lì potremmo forse trovare delle<br />

tracce, una pista.»<br />

«D'accordo» dissi. Le presi la mano, che era sul volante, e prima di<br />

lasciarla le baciai la punta delle dita. Mi abbandonai sul sedile e tornai<br />

alla traduzione di Rilke che mi ero portato da leggere mentre l'aspettavo.<br />

Quando le avevo accarezzato la mano Grace aveva quasi sorriso, ma<br />

nell'uscire dal parcheggio non disse niente. Le guardai il viso, indurito<br />

dalla concentrazione - la bocca una linea sottile - e aspettai che fosse<br />

pronta per dire quello che aveva in mente. Dato che non lo era, presi il<br />

libro e mi lasciai scivolare sul sedile.<br />

«Cosa stai leggendo?» chiese Grace, dopo un lungo intervallo di<br />

silenzio.<br />

Ero quasi sicuro che la pragmatica Grace non avesse mai sentito<br />

parlare di Rilke. «Poesia.»<br />

Grace sospirò e prese a fissare il cielo bianco immacolato che<br />

sembrava schiacciare la strada davanti a noi. «Non la capisco, la poesia.»<br />

Forse si rese conto che quell'affermazione avrebbe potuto risultare<br />

offensiva, e aggiunse subito: «Forse leggo le cose sbagliate.»<br />

«Forse le leggi in modo sbagliato» dissi. Avevo visto la pila di libri di<br />

Grace: saggistica, libri sulle cose, non su come le cose vengono descritte.<br />

«Devi ascoltare il ritmo delle parole, e non fermarti al puro significato.<br />

Come in una canzone.» Quando aggrottò la fronte, sfogliai le pagine e<br />

mi avvicinai a lei sul sedile, così vicino che le nostre anche si toccavano.<br />

Grace diede una sbirciata alla pagina. «Non è neppure in inglese!»


«Alcune poesie sì» dissi. Sospirai, col sopraggiungere dei ricordi. «Ulrik<br />

usava Rilke per insegnarmi il tedesco, e adesso io lo userò per insegnarti<br />

la poesia.»<br />

«Che è in tutto e per tutto una lingua straniera» disse Grace.<br />

«In tutto e per tutto» concordai. «Ascolta questo:<br />

«Was soli ich mit meinem Munde? Mit meiner Nacht? Mit meinem<br />

Tag? Ich hahe keine Geliebte, kein tìaus, keine Stelle ciuf der ich lehe.»<br />

Grace era perplessa. Era deliziosa mentre si mordicchiava il labbro per<br />

la frustrazione. «E allora? Che cosa significa?»<br />

«Non è questo il punto. Il punto è il suono che fa. Non semplicemente<br />

il significato.» Cercavo di trovare le parole giuste. La mia intenzione era<br />

ricordarle come si era innamorata di me da lupo. Senza bisogno di<br />

parole. Riuscendo a vedere al di là della mia pelle ferina, quello che era<br />

nascosto all'interno. Ciò che, qualunque cosa fosse, mi rendeva Sam,<br />

sempre e comunque.<br />

«Rileggi» disse Grace.<br />

Rilessi.<br />

Tamburellò con le dita sul volante. «Ha un suono triste» disse. «Stai<br />

sorridendo: devo averci azzeccato.»<br />

Passai alla traduzione inglese. «"Cosa potrei farne poi delle mie labbra?<br />

Della mia notte? Del mio giorno? Non ho..." Bah. Non mi piace questa<br />

traduzione. Domani ne prendo un'altra che ho a casa. Comunque sì, è<br />

triste.»<br />

«Vinco un premio?»<br />

«Forse» dissi, e feci scivolare la mano sotto una delle sue. Senza<br />

distogliere lo sguardo dalla strada, si portò le nostre dita intrecciate alla<br />

bocca. Baciò il mio dito indice e poi lo strinse tra i denti,<br />

mordicchiandolo.<br />

Mi lanciò un'occhiata; i suoi occhi mi sfidavano.<br />

Mi aveva completamente rapito. Volevo dirle di accostare subito<br />

perché avevo bisogno di baciarla.


Ma poi vidi un lupo.<br />

«Grace. Ferma... ferma la macchina!»<br />

Lei volse la testa a destra e a sinistra, cercando di vedere quello che<br />

vedevo io, ma il lupo aveva già saltato il fosso che correva a bordo<br />

strada e si era lanciato verso il bosco rado.<br />

«Grace, fermati» dissi. «Jack.»<br />

Inchiodò; la Bronco oscillò avanti e indietro mentre lei accostava.<br />

Non aspettai che ci fermassimo del tutto. Aprii la portiera e uscii con<br />

passo malfermo; le mie caviglie urlarono quando urtai contro il terreno<br />

ghiacciato. Scrutai il bosco davanti a me. Nuvole di fumo dall'odore acre<br />

scivolavano tra gli alberi, mischiandosi con le pesanti nuvole bianche che<br />

premevano dall'alto; qualcuno stava bruciando delle foglie dall'altro lato<br />

del bosco. Attraverso il fumo, vidi il lupo grigio-blu fermarsi tra gli alberi<br />

davanti a me, per controllare se qualcuno lo stava inseguendo. L'aria<br />

fredda mi artigliò la pelle, e il lupo mi guardò da sopra la spalla. Occhi<br />

nocciola. Jack. Non poteva che essere lui.<br />

E poi scomparve, in un baleno, tuffandosi nel fumo. Balzai al suo<br />

inseguimento, saltando oltre il fosso e correndo sopra le stoppie fredde e<br />

dure del morente bosco invernale.<br />

Mentre entravo nella foresta, sentii Jack che correva veloce, più<br />

interessato a fuggire che a nascondersi. Avvertii l'odore della paura<br />

mentre se la dava a gambe. Il fumo della legna in quel punto era più<br />

denso, ed era difficile stabilire dove finisse il fumo e cominciasse il cielo,<br />

intrappolato nei rami spogli. Jack era quasi invisibile, più veloce e più<br />

agile di me sulle sue quattro zampe, e impermeabile al freddo.<br />

Non mi sentivo quasi più le dita, trafitte dal dolore, e il freddo mi<br />

pizzicava la pelle del collo e mi torceva lo stomaco. Stavo perdendo di<br />

vista il lupo che mi stava davanti; quello che invece avevo dentro parve<br />

d'improvviso avvicinarsi.<br />

«Sam!» gridò Grace. Mi afferrò per la maglietta, la tirò per bloccarmi e<br />

mi gettò addosso il suo cappotto. Tossii, cercavo di riprendere fiato e di<br />

inghiottire il lupo che stava riaffiorando dentro di me. Siccome tremavo,


mi circondò con le braccia e disse: «Cosa ti è venuto in mente? Cosa<br />

stavi...»<br />

Lasciò la frase a metà. Mi trascinò attraverso il bosco; incespicavamo<br />

tutti e due, mi cedevano le ginocchia. Rallentai, soprattutto quando<br />

arrivammo al fossato, ma Grace non ebbe nessuna esitazione e mi afferrò<br />

il gomito per sospingermi sulla Bronco.<br />

Dentro, affondai il viso infreddolito nella pelle calda del suo collo e<br />

mi abbandonai tra le sue braccia, senza riuscire a smettere di tremare.<br />

Sentivo di nuovo la punta delle dita adesso, ogni piccola punzecchiatura<br />

che pulsava di dolore.<br />

«Cosa ti è saltato in mente?» domandò Grace, stringendomi così forte<br />

da farmi uscire il fiato. «Sam, non puoi fare così ! Lì si gela ! Cosa pensavi<br />

di fare?»<br />

«Non lo so» dissi, le labbra sul suo collo, le mani strette a pugno tra i<br />

nostri due corpi per riscaldarla. Non lo sapevo. Sapevo solo che non<br />

conoscevo affatto Jack, e che non avevo idea di che genere di persona<br />

fosse, che genere di lupo fosse. «Non lo so» dissi ancora.<br />

«Sam, non ne vale la pena» disse Grace, e premette forte il viso contro<br />

la mia testa. «Che cosa sarebbe successo se ti fossi trasformato?» Mi<br />

afferrò le maniche della maglietta, e la sua voce si fece affannata. «A cosa<br />

pensavi?»<br />

«Non pensavo» dissi, sincero. Mi abbandonai contro lo schienale,<br />

finalmente abbastanza al caldo da smettere di tremare. Premetti le mani<br />

contro le griglie di ventilazione. «Mi dispiace.»<br />

Per un lungo momento, l'unico suono nell'auto fu il rombo del<br />

motore che girava a vuoto. Poi Grace disse: «Oggi ho avuto una<br />

discussione con Isabel. É la sorella di Jack.» Fece una pausa. «Ha detto che<br />

aveva parlato con lui.»<br />

Non dissi niente e premetti più forte le dita sulle prese d'aria, come se<br />

potessi afferrare fisicamente il calore.<br />

«Ma tu non puoi metterti a inseguirlo. Fa sempre più freddo e non<br />

vale la pena di correre questo rischio. Mi prometti che non farai mai più


una cosa del genere?»<br />

Abbassai lo sguardo. Non riuscivo a guardarla quando parlava in quel<br />

modo. Dissi: «E Isabel? Dimmi cosa ti ha detto.»<br />

Grace sospirò. «Non lo so. Sa che Jack è vivo. Pensa che i lupi c'entrino<br />

in qualche modo. Pensa che io sappia qualcosa. Cosa dovremmo fare?»<br />

Posai la fronte sui palmi. «Non lo so. Vorrei che Beck fosse qui.»<br />

Ripensai alle due buste solitarie nella casella della posta e al lupo nel<br />

bosco e alla punta delle dita che mi pizzicava ancora. Forse Beck era qui.<br />

Davvero.<br />

La speranza faceva più male del freddo.<br />

Forse non era Jack che dovevo cercare.


Capitolo trentuno • Sam<br />

72 °C<br />

Ora che mi ero concesso di ipotizzare che Beck potesse essere ancora<br />

umano, il pensiero non mi lasciò più. Dormii male, passai in rassegna<br />

tutti i modi in cui avrei potuto rintracciarlo. E allo stesso tempo ero<br />

assalito dai dubbi - poteva essere stato qualsiasi membro del branco a<br />

prendere la posta e a comprare il latte - eppure era più forte di me. La<br />

speranza vinceva su tutto. Il mattino dopo, a colazione, io e Grace<br />

parlammo dei suoi compiti di matematica - che per me erano del tutto<br />

incomprensibili -, della sua amica Rachel, divertente e sempre piena di<br />

energia, e dei denti delle tartarughe; ma in realtà pensavo solo a Beck.<br />

L'impulso era quello di andare diritto a casa sua, ma dopo aver<br />

lasciato Grace a scuoia, per un brevissimo istante tentai di camuffarlo.<br />

Non era lì. Lo sapevo già.<br />

Un'altra occhiata però non avrebbe fatto male a nessuno.<br />

Per la strada, continuavo a pensare a quello che aveva detto Grace a<br />

proposito della corrente e del latte nel frigo. Forse, solo forse, Beck<br />

sarebbe stato lì, a sollevarmi dalla responsabilità di Jack e ad alleviarmi<br />

dal peso insopportabile di essere l'ultimo della mia specie. Anche se<br />

avessi trovato la casa vuota, avrei sempre potuto prendere dei vestiti di<br />

ricambio e l'altra copia di Rilke e avrei potuto camminare per le stanze,<br />

annusando i ricordi della nostra famiglia.<br />

Mi ricordai di quando fino a tre anni fa molti di noi erano all'inizio del<br />

processo di trasformazione e potevamo tornare alle nostre forme umane<br />

e reali al primo accenno di caldo primaverile. A quel tempo la casa era<br />

affollata: Paul, Shelby, Ulrik, Beck, Derek, e perfino quel pazzo di Salem<br />

erano in forma umana nello stesso periodo. Precipitare nella follia<br />

insieme la faceva sembrare meno folle.<br />

Quando arrivai nella strada dove abitava Beck, rallentai. Il mio cuore<br />

esplose nel vedere un veicolo che entrava nel suo vialetto e sprofondò<br />

quando mi accorsi che si trattava di una Tahoe che non avevo mai visto.


Le luci dei freni brillavano fioche nella giornata grigia; abbassai il<br />

finestrino per annusare l'aria. Prima che potessi fiutare qualcosa, sentii la<br />

portiera del SUV aprirsi dal lato del guidatore, che era dall'altra parte<br />

rispetto al punto in cui stavo io, e un attimo dopo chiudersi. Poi la brezza<br />

soffiò verso di me l'odore del guidatore: odore di pulito e vagamente di<br />

fumo.<br />

Beck. Parcheggiai la Bronco sul ciglio della strada e saltai giù, e mi<br />

spuntò un larghissimo sorriso quando lo vidi fare il giro dell'auto.<br />

All'inizio Beck sgranò gli occhi, poi sorrise anche lui, un'espressione che<br />

non era raro vedere sul suo viso tondo.<br />

«Sam!» La voce di Beck era venata di qualcosa di strano: sorpresa,<br />

credo. Il suo sorriso si allargò. «Sam, grazie a Dio. Vieni qui!»<br />

Mi abbracciò e mi diede delle pacche sulla schiena in quel suo modo<br />

così aperto che riusciva sempre a padroneggiare senza sembrare viscido.<br />

Era una cosa che doveva aver imparato facendo l'avvocato. Non potei<br />

fare a meno di notare che il suo torso era più ampio; non si trattava di<br />

grasso. Non sapevo quante camicie ci volessero per stare abbastanza al<br />

caldo da rimanere umani, ma vidi i colletti sovrapposti di almeno due<br />

camicie. «Dove sei stato?»<br />

«Io...» Stavo per riassumergli in poche parole tutta la mia storia - di<br />

quando mi avevano sparato, e come poi avevo incontrato Grace, e visto<br />

Jack - ma non lo feci. Non so perché. Certo non era colpa di Beck, che mi<br />

guardava con quei suoi occhi sinceri, di un azzurro intenso. C'era<br />

qualcosa, uno strano odore, debole ma familiare, che mi faceva<br />

contrarre i muscoli e mi teneva la lingua incollata sul palato. Non<br />

avrebbe dovuto essere così. Non era così che avrei dovuto sentirmi. La<br />

mia risposta fu più misurata di quanto intendessi. «Sono stato in giro.<br />

Non qui. Anche tu a quanto pare sei stato via.»<br />

«Sì» ammise Beck. Fece il giro della Tahoe. Notai che l'auto era sudicia,<br />

coperta da uno spesso strato di sporcizia. Sporcizia che mandava un<br />

odore di altrove, intasava i copertoni ed era sparsa sui parafanghi. «Io e<br />

Salem siamo andati in Canada.»<br />

Ecco perché negli ultimi tempi non avevo visto Salem da nessuna


parte. Salem era sempre stato problematico; da uomo non era molto<br />

corretto, quindi non era molto corretto neppure da lupo. Ero quasi<br />

sicuro che fosse stato Salem a portare via Grace dall'altalena. Non capivo<br />

come avesse fatto Beck ad affrontare un viaggio in macchina insieme a<br />

lui. E ancora di più non capivo perché avesse fatto quel viaggio in<br />

macchina.<br />

«Sai di ospedale» mi disse Beck guardandomi con sospetto. «E hai un<br />

aspetto terribile.»<br />

«Grazie» dissi. Non c'era stato bisogno che parlassi, Non credevo di<br />

aver ancora addosso, dopo una settimana, l'odore dell'ospedale, ma il<br />

naso arricciato di Beck diceva il contrario. «Mi hanno sparato.»<br />

Beck si portò le dita alle labbra, e senza spostare la mano disse: «Santo<br />

cielo. Dove ti hanno sparato? Non in un posto che mi farebbe arrossire,<br />

spero.»<br />

Indicai il collo. «In questa zona del corpo non c'è niente di<br />

interessante.»<br />

«Va tutto bene?»<br />

Voleva dire: possiamo stare tranquilli? Lo sa nessuno? C'è una ragazza.<br />

É fantastica. Sa tutto, ma è a posto. Provai a ripetermi quelle frasi, ma<br />

non c'era verso di farle suonare rassicuranti. Continuavo a sentire Beck<br />

che diceva di non fidarsi di nessuno al di fuori del branco. Così mi limitai<br />

ad alzare le spalle. «Come al solito.»<br />

E poi mi si strinse lo stomaco. Dentro casa avrebbe sentito l'odore di<br />

Grace.<br />

«Santo cielo, Sam» disse Beck. «Perché non mi hai chiamato sul<br />

cellulare quando ti hanno sparato?»<br />

«Non ho il tuo numero. Del telefono di quest'anno.» Ogni anno<br />

compravamo dei telefoni nuovi, dato che per tutto l'inverno non li<br />

usavamo.<br />

Un altro sguardo che non mi piaceva. Compassione. Anzi no, pietà.<br />

Finsi di non vederla.


Beck frugò in tasca e recuperò un cellulare. «Ecco, prendi questo. É di<br />

Salem. Tanto non gli servirà più.»<br />

«Abbaia una volta se è sì, due se è no?»<br />

Beck sorrise. «Esatto. Comunque il mio numero è già memorizzato.<br />

Quindi usalo. Forse dovrai comprare un caricabatterie.»<br />

Temetti che stesse per chiedermi dove abitavo, e non volevo<br />

rispondere. Quindi col mento indicai la Tahoe. «Perché tutta quella<br />

terra? Perché il viaggio?» Battei un pugno sul lato della macchina, e con<br />

mia sorpresa, qualcosa all'interno rispose al mio colpo. Un tonfo. Tipo<br />

un calcio. Inarcai un sopracciglio. «C'è Salem qui dentro?»<br />

«É nel bosco. Si è trasformato in Canada, il bastardo. Ho dovuto<br />

riportarlo indietro così com'era, e lui si trasforma come se fosse solo una<br />

questione di moda. Sai, credo che sia pazzo.»<br />

Io e Beck ridemmo insieme: come se ci fosse stato bisogno di dirlo.<br />

Tornai con lo sguardo al punto in cui avevo avvertito il colpo. «Cos'è<br />

che batte?»<br />

Beck alzò le sopracciglia. «Il futuro. Vuoi vedere?»<br />

Feci spallucce e indietreggiai in modo che Beck potesse aprire le<br />

portiere posteriori. Se mai avessi pensato di essere pronto per quello che<br />

c'era dentro, mi sarei sbagliato in almeno quaranta modi diversi.<br />

I sedili di dietro della Tahoe erano abbassati per fare più spazio, e<br />

dentro il bagagliaio allargato c'erano tre corpi. Umani. Uno era sorretto<br />

malamente dallo schienale dei sedili, uno era raggomitolato in posizione<br />

fetale e l'altro era disteso di traverso lungo la portiera. Avevano le mani<br />

legate.<br />

Mi bloccai a fissarli, e il ragazzo contro i sedili mi fissò di rimando, gli<br />

occhi iniettati di sangue. Eravamo coetanei, forse lui era un po' più<br />

giovane. Aveva le braccia striate di rosso, e, me ne accorsi solo in quel<br />

momento, anche la macchina ne era imbrattata. Allora li annusai; il<br />

puzzo metallico del sangue, il sudore della paura, l'odore di terra, uguale<br />

a quello del fango che imbrattava l'esterno della Tahoe. E di lupo, lupo,<br />

ovunque: Beck, Salem e lupi che non conoscevo.


La ragazza rannicchiata tremava e quando guardai di sottecchi il<br />

ragazzo, che nel buio mi spiava a sua volta, mi accorsi che anche lui<br />

tremava, e stringeva e rilasciava le dita in un nodo aggrovigliato di<br />

paura.<br />

«Aiuto» disse.<br />

Indietreggiai lungo il vialetto di parecchi passi, le ginocchia che mi<br />

tremavano. Mi coprii la bocca, poi mi avvicinai di nuovo per guardarli<br />

meglio. Il ragazzo mi implorava con gli occhi.<br />

Pur sapendo che Beck era lì accanto e assisteva alla scena, non potevo<br />

fare a meno di guardare quei ragazzi. La mia voce non sembrava la mia.<br />

«No. No. Questi ragazzi sono stati morsi. Beck, sono stati morsi.»<br />

Mi voltai, allacciai le mani dietro la testa, mi rigirai per guardare quei<br />

tre. Il ragazzo tremava forte, ma i suoi occhi rimanevano fissi sui miei.<br />

Aiuto. «Oh, maledizione, Beck. Cos'hai fatto? Cosa diavolo hai fatto?»<br />

«Hai finito?» mi chiese Beck, calmo.<br />

Mi rigirai, strizzando gli occhi e poi riaprendoli. «Finito? Come posso<br />

aver finito? Beck, questi ragazzi stanno per trasformarsi.»<br />

«Non parlerò con te finché non la pianti.»<br />

«Beck, ma lo vedi?» Mi appoggiai alla Tahoe e guardai la ragazza, che<br />

aveva le dita conficcate nel tappetino macchiato di sangue. Aveva più o<br />

meno diciottenni e indossava una camicia aderente di tessuto stinto. Mi<br />

allontanai, indietreggiando, come se quello bastasse a farli sparire. «Che<br />

cosa sta succedendo?»<br />

Sul retro della macchina, il ragazzo iniziò a gemere, e premette il viso<br />

contro i polsi legati. La sua pelle era scura quando iniziò a trasformarsi<br />

per davvero.<br />

Gli diedi le spalle. Non potevo guardare. Mi ero scordato com'era i<br />

primi giorni. Continuai a tenere le mani intrecciate dietro la nuca e gli<br />

avambracci premuti sulle orecchie come una pinza, dicendo: Oh<br />

diamine, oh diamine, oh diamine, a ripetizione, finché mi convinsi di<br />

non sentire i suoi gemiti. Non erano neppure richieste d'aiuto: forse<br />

aveva già intuito che la casa di Beck era troppo isolata perché qualcuno


lo sentisse. O forse si era arreso.<br />

«Mi aiuti a portarli dentro?» mi chiese Beck.<br />

Mi voltai a fronteggiarlo, e vidi un lupo liberarsi dai legacci troppo<br />

larghi e dalla camicia, ringhiando e indietreggiando mentre la ragazza<br />

con la maglia di tessuto stinto gemeva ai suoi piedi. In un attimo Beck era<br />

balzato sul retro del SUV, flessuoso e animalesco, e aveva rivoltato il<br />

lupo di schiena. Con una mano gli strinse le mascelle e fissò i suoi occhi da<br />

lupo. «Non ti azzardare a combattere» gli ringhiò. «Non sei tu che hai il<br />

comando, qui.»<br />

Beck lasciò andare il muso del lupo, che ricadde sul tappetino con un<br />

tonfo debole, di resa. Il lupo stava ricominciando a tremare, già pronto<br />

per un'altra trasformazione.<br />

Santo cielo. Non riuscivo a guardarlo. Era terribile; come se fossi io<br />

stesso a rivivere quel momento, quando non ero mai sicuro di quale<br />

pelle avevo addosso. Distolsi lo sguardo, e mi voltai verso Beck. «L'hai<br />

fatto apposta, vero?»<br />

Beck era appoggiato al portellone, come se dietro di lui non ci fossero<br />

un lupo in preda agli spasmi e una ragazza in lacrime. E il terzo ragazzo<br />

continuava a restare immobile. Morto? «Sam. Forse questo è il mio<br />

ultimo anno. Non credo che il prossimo anno mi trasformerò. Mi ci è<br />

voluta molta astuzia per rimanere umano, dato che la prossima volta che<br />

diventerò un lupo sarà per sempre.» Notò che tenevo gli occhi fissi sui<br />

suoi colletti di colori diversi e annuì. «Questa casa ci serve. Serve al<br />

branco. E il branco ha bisogno di protettori che siano ancora in grado di<br />

cambiare forma. Lo sai. Non possiamo contare sugli esseri umani. Siamo<br />

gli unici a poterci proteggere.»<br />

Non dissi niente.<br />

Trasse un lungo sospiro. «Questo è anche il tuo ultimo anno, vero,<br />

Sam? Anzi, credevo che non ti saresti trasformato affatto. Quando sono<br />

diventato umano tu eri ancora un lupo, e avrebbe dovuto essere il<br />

contrario. Non so perché hai avuto così pochi anni. Forse per quello che<br />

ti hanno fatto i tuoi genitori. É un maledetto peccato. Sei il migliore.»


Non dissi niente, perché non avevo fiato. Tutto quello su cui riuscivo<br />

a concentrarmi erano le piccole tracce di sangue tra i suoi capelli. Prima<br />

non le avevo notate perché Beck era castano scuro, ma il sangue si era<br />

seccato su un ricciolo facendolo diventare un rigido ciuffo ribelle.<br />

«Sam, chi avrebbe dovuto vigilare sul branco? Eh? Shelby? Ci<br />

servivano altri lupi. Altri lupi all'inizio dei loro anni, così non dovremo<br />

più preoccuparci per almeno otto o dieci anni.»<br />

Fissai il sangue sui suoi capelli. Avevo la voce smorzata. «E Jack?»<br />

«Il ragazzo con la carabina?» Beck fece una smorfia. «Per questo<br />

dobbiamo ringraziare Salem e Shelby. Non posso andare a cercarlo. Fa<br />

troppo freddo. É lui che deve trovarci. Spero tanto che prima di allora<br />

non faccia qualcosa di stupido. E che usi il cervello che Dio gli ha dato per<br />

stare alla larga dalla gente almeno finché non si stabilizza.»<br />

Accanto a lui, la ragazza lanciò un urlo, un lamento alto e sottile che<br />

mancava di forza, e tra un brivido e l'altro, la sua pelle diventò del blu<br />

vellutato tipico dei lupi neri. I tendini delle spalle guizzarono, le braccia si<br />

spinsero verso l'alto, le zampe spuntarono dove fino a un attimo prima<br />

aveva le mani. Il dolore era così vivido che era come se mi stessi<br />

trasformando io: era il dolore della perdita. Sentivo la sofferenza del<br />

momento preciso in cui perdevo me stesso. Perdevo ciò che mi rendeva<br />

Sam. La parte di me che poteva ricordarsi il nome di Grace.<br />

Mi asciugai una lacrima mentre guardavo la ragazza contorcersi. Una<br />

parte di me voleva scagliarsi contro Beck per quello che aveva fatto. E<br />

un'altra pensava solo: Grazie a Dio, Grace non ha mai dovuto vivere<br />

tutto questo. «Beck» dissi, battendo le palpebre prima di guardarlo.<br />

«Andrai all'inferno.»<br />

Non aspettai di vedere la sua reazione. Me ne andai e basta. Avrei<br />

preferito non essere mai stato lì.<br />

Quella notte, come ogni altra notte da quando l'avevo incontrata,<br />

strinsi Grace tra le mie braccia, ascoltando i movimenti soffocati dei suoi<br />

genitori in salotto. Erano come uccellini indaffarati senza cervello, che


entravano e uscivano dal nido a tutte le ore del giorno e della notte, così<br />

presi dal piacere di costruirsi quel nido che non si erano accorti che era<br />

vuoto da anni.<br />

Oltretutto facevano un sacco di rumore, ridevano, parlavano ad alta<br />

voce, sbattevano i piatti in cucina sebbene non avessi mai avuto prove<br />

evidenti che qualcuno dei due cucinasse. Erano come due studenti del<br />

college che hanno trovato un bambino in un cestino di vimini e non<br />

sanno che farne. Come sarebbe stata diversa Grace se avesse avuto la mia<br />

famiglia, il branco? Se avesse avuto Beck?<br />

Nella mia mente continuavo a sentire Beck che confermava quello che<br />

avevo temuto. Era vero: quello era il mio ultimo anno.<br />

Sussurrai: «La fine.» Non ad alta voce. Era solo per provare la forma di<br />

quelle parole nella mia bocca.<br />

Nella cauta roccaforte delle mie braccia, Grace sospirò e premette il<br />

viso sul mio petto. Stava già dormendo. Al contrario di me, che dovevo<br />

catturare il sonno con frecce avvelenate, Grace riusciva ad<br />

addormentarsi in un attimo. La invidiavo.<br />

Beck e quei ragazzi non facevano che danzarmi davanti agli occhi,<br />

mille versioni differenti della stessa scena.<br />

Volevo parlarne con Grace. Non volevo parlarne con lei.<br />

Mi vergognavo di Beck, ero diviso tra la lealtà nei suoi confronti e la<br />

lealtà nei confronti di me stesso, e non avevo mai compreso che<br />

potevano essere due cose diverse. Non volevo che Grace pensasse male<br />

di lui, ma volevo un confessionale, un posto qualsiasi dove deporre il<br />

peso insopportabile che avevo nel petto.<br />

«Dormi» mormorò con un filo di voce, agganciando le dita alla mia<br />

maglietta in un modo che mi fece passare ogni voglia di dormire. Le<br />

baciai gli occhi chiusi e sospirai. Lei si lasciò sfuggire un borbottio di<br />

apprezzamento e sussurrò, con gli occhi ancora chiusi: «Ssst, Sam.<br />

Qualsiasi cosa sia, resisterà fino a domani. E se non resiste, si vede che<br />

non ne valeva la pena. Dormi.»<br />

Poiché me lo disse lei, riuscii ad addormentarmi.


Capitolo trentadue • Grace<br />

7 °C<br />

La prima cosa che mi disse Sam quando ci svegliammo fu: «É venuto il<br />

momento di portarti fuori sul serio.» In realtà, la primissima cosa che<br />

disse fu: «Di mattina hai i capelli pazzi.» Ma quella dell'appuntamento fu<br />

comunque la prima cosa lucida che disse (mi rifiutavo di credere che i<br />

miei capelli fossero pazzi di prima mattina). Gli insegnanti erano in<br />

riunione tutto il giorno, quindi noi alunni avevamo l'intera giornata a<br />

disposizione: un gran bel regalo. Quando Sam pronunciò quella frase,<br />

stava mescolando la farina d'avena e si voltò a guardare la porta. I miei<br />

genitori erano usciti molto presto per una specie di gita di lavoro di mio<br />

padre, eppure Sam sembrava preoccupato che potessero spuntare da un<br />

momento all'altro e inseguirlo armati di forconi.<br />

Lo raggiunsi e mi appoggiai al bancone, sbirciando nel tegame. La<br />

pappa d'avena non mi faceva impazzire. Avevo provato a prepararla<br />

tempo prima, e aveva un sapore... sano. «Dunque, dicevi del nostro<br />

appuntamento. Dove mi porti? In qualche posto eccitante, tipo nel cuore<br />

del bosco?»<br />

Mi premette un dito sulle labbra, proprio al centro. Non sorrideva.<br />

«Sarà un appuntamento normale. Cibo e risate risate risate.»<br />

Mi voltai, e così anche la sua mano si spostò sui miei capelli. «Sì,<br />

sembra proprio divertente» dissi, sarcastica, dato che continuava a non<br />

sorridere. «Non credevo che facessi cose normali.»<br />

«Mi passi due ciotole, per favore?» disse Sam. Le misi sul bancone e<br />

Sam vi versò la pappa d'avena, che emanava un buon profumo. «Voglio<br />

solo che sia un vero e proprio appuntamento, così avrai qualcosa di vero<br />

da ricor...»<br />

Si fermò e guardò le ciotole, le braccia puntate contro il bancone, il<br />

collo tanto incassato che le spalle erano salite all'altezza delle orecchie.<br />

Alla fine si voltò e disse: «Voglio fare le cose per bene. Possiamo provare<br />

a essere normali?»


Con un cenno della testa, accettai una delle ciotole e assaggiai una<br />

cucchiaiata: zucchero di canna, acero e qualcosa di speziato. Puntai un<br />

cucchiaio pieno di pappa d'avena verso Sam. «Non mi viene difficile<br />

essere normale. Questa roba è appiccicosa.»<br />

«Ingrata» disse Sam. Guardò addolorato la sua ciotola. «Non ti piace.»<br />

«Non è male, dopotutto.»<br />

Sam disse: «Beck me la preparava sempre dopo che mi era passata la<br />

fissazione per le uova.»<br />

«Avevi una fissazione per le uova?»<br />

«Ero un bambino particolare» disse Sam. Indicò la mia ciotola. «Non<br />

sei costretta a mangiarla se non ti piace. Quando finisci, andiamo.»<br />

«Andiamo dove?»<br />

«Sorpresa.»<br />

Era quello che avevo bisogno di sentire. In un attimo la pappa era<br />

finita e in mano avevo già berretto, cappotto e zaino.<br />

Per la prima volta quella mattina, Sam rise, e io ne fui felice in un<br />

modo ridicolo. «Sembri un cucciolo. Che appena sente il tintinnio delle<br />

chiavi si precipita davanti alla porta, pronto per la passeggiata.»<br />

«Bau.»<br />

Mentre uscivamo mi accarezzò la testa e insieme ci avventurammo nel<br />

freddo mattino color pastello. Una volta saliti in macchina e partiti,<br />

riprovai a insistere: «Non vuoi dirmi dove stiamo andando, vero?»<br />

«No. L'unica cosa che posso dirti è di far finta che il nostro primo<br />

giorno insieme sia questo, e non quello in cui mi hanno sparato.»<br />

«Non ho così tanta immaginazione.»<br />

«Io sì. Lo immaginerò per te, tanto che sarai costretta a crederci.»<br />

Sorrise per dimostrare il suo potere immaginativo, un sorriso così triste<br />

che il respiro mi si mozzò in gola. «Ti corteggerò in piena regola, così la<br />

mia ossessione per te ti sembrerà meno morbosa.»<br />

«Temo che sia la mia ad essere morbosa.» Mentre uscivamo dal


vialetto guardai fuori dal finestrino. Il cielo liberava lentamente un fiocco<br />

di neve dopo l'altro. «Ho quella, sai, come si chiama? Quella sindrome<br />

per cui ti identifichi con le persone che ti salvano?»<br />

Sam scosse la testa e svoltò nella direzione opposta rispetto alla<br />

scuola. «Ti riferisci alla sindrome di Munchausen, in cui la persona si<br />

identifica con il rapitore.»<br />

Scossi la testa. «Non è la stessa cosa. La sindrome di Munchausen non<br />

è quando ti inventi le malattie per attirare l'attenzione?»<br />

«Davvero? É solo che mi piace dire Munchausen. Quando lo dico mi<br />

sembra di saper parlare tedesco.»<br />

Risi.<br />

«Ulrik è nato in Germania» disse Sam, «conosce un sacco di storie<br />

interessanti sui lupi mannari.» Prese la strada principale che portava in<br />

città e iniziò a cercare un parcheggio. «Diceva che nei tempi antichi la<br />

gente si faceva mordere di proposito.»<br />

Guardai Mercy Falls dal finestrino. I negozi, in tutte le sfumature del<br />

marrone e del grigio, sotto il cielo di piombo sembravano addirittura più<br />

marroni e più grigi, e per essere ottobre l'inverno pareva vicino in un<br />

modo minaccioso. Non erano rimaste foglie verdi sugli alberi che<br />

fiancheggiavano la strada, e alcuni erano del tutto spogli, aggiungendo<br />

un tocco desolato allo squallore della città. Il cemento si stendeva a<br />

perdita d'occhio. «Perché si facevano mordere di proposito?»<br />

«Nei racconti popolari, quando il cibo era scarso le persone si<br />

trasformavano in lupi per rubare le pecore e gli altri animali. E alcuni si<br />

trasformavano solo per divertimento.»<br />

Studiai la sua espressione, cercando di interpretare il suo tono di voce.<br />

«Dovrebbe far ridere?»<br />

Sam distolse lo sguardo e io pensai che si vergognasse della risposta,<br />

finché non capii che stava solo guardando indietro per parcheggiare di<br />

fronte a una fila di negozi. «Ad alcuni di noi piace, addirittura lo<br />

preferiscono alla forma umana. A Shelby piace moltissimo, ma come ho<br />

detto, credo che la sua vita da umana fosse piuttosto brutta. Non lo so.


Sono stato lupo per metà della mia vita, per cui ai miei occhi è una parte<br />

di me così importante che è difficile immaginare come sarebbe senza.»<br />

«In senso positivo o in senso negativo?»<br />

Sam mi guardò; i suoi occhi gialli si impossessarono di me e mi<br />

trattennero. «Mi manca essere Sam, mi manchi tu. Tutto il tempo.»<br />

Mi guardai le mani. «Adesso no.»<br />

Sam si protese sul sedile e mi sfiorò i capelli, facendo correre le dita su<br />

di essi fino ad arrivare alle punte. Studiò le ciocche biondo cenere come<br />

se contenessero i miei segreti. Gli avvamparono un po' le guance;<br />

arrossiva ancora quando mi diceva qualcosa di tenero. «No» ammise, «in<br />

questo momento non riesco neppure a ricordare quanto sia triste.»<br />

Quella frase mi fece affiorare le lacrime agli occhi. Battei le palpebre,<br />

felice che il suo sguardo fosse ancora sui miei capelli. Ci fu una lunga<br />

pausa.<br />

Disse: «Non ti ricordi di quando sei stata aggredita.»<br />

«Cosa?»<br />

«Non ti ricordi affatto di quando sei stata aggredita, vero?»<br />

Mi incupii e abbracciai lo zaino, sbigottita da questo cambio<br />

d'argomento in apparenza casuale. «Non lo so. Forse. Se non sbaglio<br />

c'erano un sacco di lupi, molti più di quanti ne potrei immaginare. E mi<br />

ricordo di te, mi ricordo che stavi in disparte, e poi mi hai toccato la<br />

mano» - Sam mi toccò la mano - «e la guancia» - e mi toccò la guancia -<br />

«mentre gli altri erano violenti. Volevano sbranarmi, vero?»<br />

Parlò a voce bassa. «Non ti ricordi cos'è successo dopo? Come hai<br />

fatto a sopravvivere?»<br />

Cercai di ricordare. Era tutto un lampeggiare di neve, di rosso, e fiato<br />

sul viso. Poi la mamma che urlava. Ma in mezzo doveva esserci stato<br />

qualcos'altro. In qualche modo dovevo essere riuscita a tornare a casa.<br />

Cercai di immaginare me stessa che camminavo, incespicando sulla neve.<br />

«Ho camminato?»<br />

Mi guardò, aspettando che mi rispondessi da sola.


«Sono sicura di no. Non riesco a ricordare. Perché non riesco a<br />

ricordare?» Incominciavo a sentirmi frustrata per lo scarso spirito di<br />

collaborazione del mio cervello. Mi sembrava una richiesta così<br />

semplice. L'unica cosa che ricordavo era l'odore di Sam, Sam<br />

dappertutto, e poi il suono estraneo di mia madre in preda al panico che<br />

si affannava a raggiungere il telefono.<br />

«Non preoccuparti» disse Sam. «Non importa.» Io invece credevo che<br />

importasse.<br />

Chiusi gli occhi, e mi ricordai l'odore del bosco di quel giorno e la<br />

sensazione di me che sobbalzavo sulla strada verso casa, e di braccia che<br />

mi stringevano. Aprii di nuovo gli occhi. «Sei stato tu a riportarmi<br />

indietro.»<br />

Sam si voltò di scatto a guardarmi.<br />

Mi stava tornando tutto in mente, come quando si ricordano i sogni<br />

fatti durante un'influenza. «Ma tu eri umano» dissi. «Ricordo di averti<br />

visto da lupo. Ma per trasportarmi dovevi per forza essere umano.<br />

Come hai fatto?»<br />

Si strinse nelle spalle, indifeso. «Non so come ho fatto a trasformarmi.<br />

É successa la stessa cosa quando mi hanno sparato: in quel momento ero<br />

lupo, e quando mi hai trovato ero uomo.»<br />

Sentii qualcosa che mi si agitava nel petto, simile alla speranza. «Puoi<br />

trasformarti a tuo piacimento?»<br />

«Non è così. É successo solo due volte. E non sono riuscito a rifarlo<br />

mai più, per quanto lo desiderassi. E credimi, l'ho desiderato da morire.»<br />

Sam spense l'auto con l'aria di voler chiudere la conversazione, e io presi<br />

lo zaino per sfilarne il berretto. Mentre lui chiudeva la macchina, rimasi<br />

sul marciapiede ad aspettare.<br />

Sam fece il giro della macchina, passando da dietro, e quando mi vide<br />

si fermò di colpo. «Oh, mio Dio, cos'è questo?»<br />

Con il pollice e il medio diedi un colpetto al ponpon sulla punta.<br />

«Nella mia lingua lo chiamiamo cappello. Mi tiene le orecchie calde.»<br />

«Oh, mio Dio» ripeté Sam, e mi venne vicino. Mi prese il viso tra le


mani e mi studiò. «É terribilmente carino.» Mi baciò, guardò il cappello,<br />

mi baciò di nuovo.<br />

Feci voto di non perdere mai il cappello col ponpon. Sam continuava<br />

a tenere le mani sul mio viso; ero sicura che tutta la città ci stesse<br />

guardando. Ma non volevo separarmi da lui, e lasciai che mi baciasse<br />

ancora, questa volta soffice come la neve, sfiorandomi appena, e poi<br />

smise di baciarmi e mi prese la mano.<br />

Mi ci volle un po' per ritrovare la voce, e anche a quel punto non<br />

riuscii a smettere di sorridere. «Okay. Dove stiamo andando?»<br />

Considerato il freddo, doveva essere un posto vicino; non potevamo<br />

stare fuori ancora a lungo.<br />

Le dita di Sam erano intrecciate alle mie. «Prima di tutto in un negozio<br />

alla Grace. É quello che farebbe un vero gentiluomo.»<br />

Feci una risatina sciocca che non era alla Grace, e Sam rise perché se<br />

n'era accorto anche lui. Ero ubriaca di Sam. Mi lasciai guidare lungo il<br />

quartiere desolato di cemento fino a The Crooked Shelf, una piccola<br />

libreria indipendente; non ci andavo da un anno. Sembrava stupido che<br />

non ci fossi andata, data la quantità di libri che leggevo, ma ero soltanto<br />

una misera studentessa di scuola superiore con una paghetta esigua.<br />

Prendevo i libri in prestito in biblioteca.<br />

«Questo è un negozio alla Grace, giusto?» Sam aprì la porta senza<br />

aspettare la mia risposta. Come un'onda, si precipitò su di noi l'odore di<br />

libri nuovi, che mi fecero pensare al Natale. I miei genitori mi regalavano<br />

sempre dei libri per Natale. La porta si chiuse alle nostre spalle con un<br />

melodico ding. Sam mi lasciò la mano. «Dove si va? Ti compro un libro.<br />

So che ne vuoi uno.»<br />

Sorrisi guardando tutti quegli scaffali di libri e mi lasciai inebriare dal<br />

loro odore. Centinaia di migliaia di pagine che non erano mai state<br />

voltate, lì ad aspettarmi. Sugli scaffali di legno chiaro erano allineati libri<br />

di tutti i colori. Le scelte del personale erano sistemate sui tavoli, le<br />

copertine lucide riflettevano la luce. Dietro la nicchia dove era seduto il<br />

cassiere, che non ci degnò nemmeno di un'occhiata, c'erano delle scale<br />

coperte da un tappeto bordeaux che portavano a un mondo


sconosciuto. «Potrei vivere qui» dissi.<br />

Sam osservò la mia espressione con ovvio compiacimento. «Mi<br />

ricordo che ti guardavo leggere sull'altalena fatta col copertone. Anche<br />

col brutto tempo. Perché non andavi a leggere dentro casa quando<br />

faceva così freddo?»<br />

Lasciai scivolare lo sguardo lungo le file interminabili di libri. «I libri<br />

sono più veri quando li leggi all'aria aperta.» Mi morsi il labbro; i miei<br />

occhi saltellavano da scaffale a scaffale. «Non so da dove cominciare.»<br />

«Ti faccio vedere una cosa» disse Sam. Il modo in cui lo disse mi fece<br />

pensare che non si trattasse di un semplice qualcosa, ma di qualcosa di<br />

straordinario che aspettava di farmi vedere da tutto il giorno. Mi prese di<br />

nuovo per mano e mi condusse attraverso il negozio; superammo il<br />

cassiere distratto e salimmo i gradini silenziosi che inghiottivano i suoni<br />

dei nostri passi e li conservavano.<br />

Il piano di sopra era una piccola mansarda, grande meno della metà<br />

rispetto al piano di sotto, con una ringhiera che impediva di ruzzolare<br />

giù.<br />

«Per un'estate ho lavorato qui. Siediti. Aspetta.» Sam mi guidò verso<br />

un malandato divanetto a esse bordeaux che occupava gran parte della<br />

stanza. Mi tolsi il berretto e mi sedetti, incantata dai suoi ordini, e mentre<br />

cercava chissà cosa sugli scaffali, gli guardai il sedere. Senza sapere<br />

dov'erano puntati i miei occhi, Sam si accovacciò, facendo scorrere le<br />

dita sui dorsi dei libri come se fossero vecchi amici. Mentre era chino a<br />

terra, studiai la curva delle sue spalle, l'inclinazione della testa, il modo in<br />

cui tendeva una mano sul pavimento, con le dita distese, simili a zampe<br />

di granchio. Alla fine trovò quello che stava cercando e venne verso il<br />

divanetto.<br />

«Chiudi gli occhi» disse. E senza aspettare, me li chiuse lui,<br />

premendomi una mano sulle palpebre. Quando scivolò accanto a me,<br />

sentii il divanetto spostarsi, sentii il rumore, inesplicabilmente forte, della<br />

copertina che si apriva, delle pagine che nel voltarsi sfregavano l'una<br />

contro l'altra.<br />

Poi sentii il suo fiato nel mio orecchio quando disse, con voce quasi


impercettibile: «"Sono solo al mondo, eppure non abbastanza solo da<br />

rendere sacra ogni ora. Sono umile in questo mondo, eppure non<br />

abbastanza umile da essere per te soltanto un oggetto, penetrante,<br />

misterioso. Voglio la mia volontà, e voglio assecondarla, mentre si<br />

traduce in azione."» Fece una lunga pausa - l'unico suono era il suo<br />

respiro, un po' irregolare - prima di andare avanti. «"E voglio, in questi<br />

tempi silenziosi e a tratti incerti, stare con qualcuno che sappia, altrimenti<br />

da solo. Voglio riflettere su di te ogni cosa, e non voglio mai essere o<br />

troppo cieco o troppo vecchio per conservare al mio interno la tua<br />

profonda immagine vacillante. Voglio aprirmi. Non voglio ripiegarmi da<br />

qualche parte. Perché lì, dove mi chiudo, sono una bugia di me stesso. "»<br />

Mi voltai verso la sua voce, gli occhi ancora ben chiusi, e lui posò la<br />

sua bocca sulla mia. Ritrasse appena le labbra, solo per un istante, e sentii<br />

il fruscio del libro che veniva delicatamente deposto a terra, prima che<br />

mi avvolgesse tra le braccia.<br />

Le sue labbra avevano un gusto fresco e pungente, sapevano di<br />

menta, d'inverno, ma le sue mani, soffici sulla mia nuca, promettevano<br />

giornate lunghe, estate, eternità. Mi sentivo stordita, come se non avessi<br />

abbastanza aria, come se qualcuno fosse pronto a portarmi via il respiro<br />

non appena prendevo fiato. Sam era reclinato sullo schienale del divano<br />

- quanto bastava - e mi attirò dentro il cerchio formato dal suo corpo, e<br />

mi baciava e mi baciava con immensa delicatezza, come se le mie labbra<br />

fossero un fiore che se toccato in modo troppo rude rischiava di<br />

ammaccarsi.<br />

Non so per quanto tempo restammo avvinghiati, a baciarci in<br />

silenzio, prima che Sam si accorgesse che stavo piangendo. Quando sentì<br />

il sale si fermò, e poi capì cosa significava quel sapore.<br />

«Grace. Stai... piangendo?»<br />

Non dissi niente, perché non avrebbe fatto altro che rafforzare le<br />

ragioni per cui piangevo. Sam mi asciugò le lacrime col pollice, poi si tirò<br />

giù la manica fin sul pugno per asciugare le tracce rimaste.<br />

«Grace, che cos'hai? Ho fatto qualcosa di sbagliato?» Mentre scuotevo<br />

la testa, gli occhi gialli di Sam mi scrutavano il viso, in cerca di indizi. Al


piano di sotto sentii entrare un altro cliente. Sembrava molto lontano.<br />

«No» dissi alla fine. Asciugai una lacrima prima che cadesse. «No, hai<br />

fatto tutto per bene. É solo che...» Non riuscivo a dirlo. Non potevo.<br />

Sam rimase imperturbabile. «... che questo è il mio ultimo anno.»<br />

Mi morsi il labbro, forte, e mi asciugai un'altra lacrima. «Non sono<br />

pronta. Non sarò mai pronta.»<br />

Non disse niente. Forse non c'era niente da dire. Invece mi strinse di<br />

nuovo a sé, solo che stavolta mi fece posare la guancia sul suo petto e mi<br />

accarezzò la nuca, in modo goffo ma confortante. Chiusi gli occhi e<br />

ascoltai il suo cuore battere finché il ritmo del mio non si accordò al suo.<br />

Alla fine, Sam posò la guancia sulla mia testa e sussurrò: «Non abbiamo<br />

tempo di essere tristi.»<br />

Quando uscimmo dalla libreria il sole ormai era alto, e rimasi colpita<br />

nello scoprire che dovevamo essere rimasti dentro per ore. Con un<br />

tempismo perfetto, cominciai a sentire i morsi della fame.<br />

«Pranzo» dissi. «Subito o appassirò fino a scomparire. E poi sarai<br />

torturato dai sensi di colpa.»<br />

«Non ne dubito.» Sam mi sfilò dalle mani il sacchetto con i libri appena<br />

comprati e fece per portarli nella Bronco, ma nell'andare verso l'auto si<br />

bloccò d'improvviso, e rimase a fissare qualcosa alle mie spalle. «Merda.<br />

Qualcuno in arrivo.»<br />

Si voltò, aprì la macchina e ficcò i libri sul sedile del passeggero, per<br />

cercare di non dare nell'occhio. Mi girai e vidi Olivia, spettinata e stanca.<br />

Poi dietro di lei spuntò John, che mi rivolse un gran sorriso. Non lo<br />

vedevo da prima di conoscere Sam, e se li mettevo a confronto non<br />

riuscivo a capire come avevo fatto a giudicarlo un bel ragazzo. Era<br />

insignificante e banale rispetto ai capelli neri e lisci di Sam e ai suoi occhi<br />

dorati.<br />

«Ehi, bellezza» disse John.<br />

Il saluto fece voltare subito Sam. Non mi venne più vicino, ma non ce<br />

ne fu bisogno: gli occhi gialli bloccarono John all'istante. O forse fu solo<br />

il modo in cui Sam mi stava accanto, con le spalle rigide. Nell'arco di un


secondo, mi balenò l'idea che Sam potesse essere pericoloso: che forse<br />

teneva a bada il lupo che aveva dentro più di quanto non desse a vedere.<br />

John aveva un'espressione strana e indecifrabile che mi fece venire il<br />

dubbio che il finto corteggiamento di tutti quei mesi fosse più vero di<br />

quanto pensassi.<br />

«Ciao» disse Olivia. Rivolse un'occhiata a Sam, intento a fissare la<br />

macchina fotografica che le pendeva dalla spalla. Lui abbassò lo sguardo<br />

e finse di strofinarsi gli occhi come se dentro ci fosse finito qualcosa.<br />

Il disagio di Sam era palpabile e il mio sorriso aveva un che di falso.<br />

«Ciao. Strano incontrarvi qui.»<br />

«Stavamo facendo delle spese per la mamma.» John scoccò<br />

un'occhiata veloce a Sam e sorrise in modo un po' troppo affabile. Mi<br />

avvamparono le guance davanti a quella silenziosa guerra di<br />

testosterone; per certi versi mi sentivo lusingata, anche se era tutto un po'<br />

strano. «E Olivia ha voluto approfittarne per passare in libreria. Fa un<br />

freddo boia qui. Io entro.»<br />

«Ammettono anche gli analfabeti?» lo punzecchiai, come ai vecchi<br />

tempi.<br />

A quel punto John mi fece un largo sorriso che cancellò tutta la<br />

tensione di prima, e rivolse quel sorriso anche a Sam, come a volergli dire<br />

Buona fortuna con lei, amico, prima di incamminarsi verso il negozio.<br />

Sam in qualche modo ricambiò il sorriso, gli occhi ancora socchiusi.<br />

Olivia rimase sul marciapiede appena fuori dalla porta, abbracciandosi le<br />

spalle.<br />

«Non avrei mai pensato di vederti in giro così presto in un giorno di<br />

"non scuola"» mi disse. Parlava con me ma guardava Sam. «Pensavo che<br />

nei giorni liberi ti ibernassi.»<br />

«No, non oggi» dissi. Dopo tutto quel tempo in cui non ci eravamo<br />

parlate, mi sembrava di non sapere più come si facesse. «Mi sono<br />

svegliata presto per vedere l'effetto che fa.»<br />

«Sbalorditivo» disse Olivia. Continuava a guardare Sam, e una<br />

domanda naturale era sospesa nell'aria. Non volevo fare le


presentazioni, dato che Sam era così a disagio davanti a Olivia e alla sua<br />

macchina fotografica, ma sentivo il peso del modo in cui lei ci stava<br />

studiando: osservava lo spazio tra me e lui, e la maniera in cui esso<br />

mutava seguendo i nostri spostamenti, come se io e Sam fossimo uniti da<br />

fili invisibili. Studiava i nostri corpi, che finivano sempre per toccarsi,<br />

anche involontariamente. Lo sguardo di Olivia indugiò sulla mano che<br />

Sam lasciò scivolare lungo il mio braccio, sfiorandomi leggermente la<br />

manica, e poi passò all'altra sua mano, ancora sulla maniglia della<br />

portiera; disinvolto, come uno che l'aveva già aperta molte volte. Come<br />

uno che faceva parte della Bronco e della mia vita. Alla fine Olivia disse:<br />

«Chi è?»<br />

Guardai Sam, per chiedergli il permesso. Aveva le palpebre ancora<br />

abbassate, cosicché gli occhi restavano in ombra.<br />

«Sam» disse lui a bassa voce.<br />

C'era qualcosa che non andava nel suo tono di voce. Non guardava la<br />

macchina fotografica, ma percepivo che la sua attenzione era<br />

concentrata lì. La mia voce senza volerlo rifletté la sua ansia quando dissi:<br />

«Questa è Olivia. Oli, io e Sam usciamo insieme, cioè, ci stiamo<br />

frequentando.»<br />

Mi aspettavo un commento, invece lei disse: «Ti ho già visto.» Sam si<br />

irrigidì finché lei non aggiunse: «In libreria, vero?»<br />

Sam levò lo sguardo verso di lei, e lei annuì, in modo quasi<br />

impercettibile. «Sì, in libreria.»<br />

Olivia, le braccia ancora incrociate, si toccò il bordo della felpa ma<br />

non distolse lo sguardo da Sam. Sembrava che si sforzasse di trovare le<br />

parole. «Io... porti le lenti a contatto? Scusa la franchezza. Questa<br />

domanda te l'avranno fatta un sacco di volte.»<br />

«Sì» disse Sam, «me l'hanno fatta un sacco di volte. E sì, porto le lenti a<br />

contatto.»<br />

Qualcosa di simile alla delusione lampeggiò nel viso di Olivia. «Be',<br />

sono proprio belle. É stato un piacere conoscerti.» Si voltò verso di me e<br />

disse: «Scusami, è stato da stupide litigare.»


Qualsiasi cosa stessi pensando di dire, svanì nell'istante in cui lei disse<br />

scusami.<br />

«Scusami anche tu» ribattei, poco convinta, perché non sapevo bene di<br />

cosa mi stessi scusando.<br />

Olivia guardò Sam e poi di nuovo me. «Già, volevo solo... Mi chiami?<br />

Più tardi?»<br />

Battei le palpebre dallo stupore. «Sì, certo. Quando?»<br />

«Be'... ti dispiace se ti chiamo io? Non so quando potrebbe essere il<br />

momento migliore. Va bene? Posso chiamarti al cellulare?»<br />

«Quando vuoi. Se vuoi possiamo parlare anche adesso. Ce ne<br />

andiamo da qualche parte...»<br />

«Uhm, no, adesso no. Non posso... sai, per via di John.» Scosse la testa<br />

e guardò di nuovo Sam. «Vuole andare un po' in giro. Però ci sentiamo<br />

dopo. Ti chiamo di sicuro. Grazie, Grace. Dico davvero: mi dispiace per<br />

quella stupida litigata.»<br />

Strinsi le labbra. Perché mi stava ringraziando?<br />

John si affacciò dalla porta della libreria. «Olive, entri o no?»<br />

Olivia ci salutò con la mano e scomparve dentro la libreria,<br />

accompagnata dal piccolo ding del campanello della porta.<br />

Sam incrociò le mani dietro la nuca e trasse un lungo, tremante<br />

sospiro. Poi camminò in cerchio sul marciapiede, senza abbassare le<br />

mani.<br />

Lo superai e aprii la portiera della mia auto dal lato del passeggero.<br />

«Mi vuoi dire che cosa succede? É solo la macchina fotografica a<br />

intimidirti, o c'è qualcos'altro?»<br />

Sam fece il giro della Bronco ed entrò dal lato del guidatore,<br />

sbattendo la portiera, come a voler chiudere fuori Olivia e tutta<br />

quell'assurda conversazione. «Mi spiace. Ecco, io... ho visto uno dei lupi<br />

l'altro giorno, e questa cosa di Jack mi ha innervosito. E Olivia, lei scatta<br />

foto a tutti noi. Da lupi. E i miei occhi... avevo paura che Olivia sapesse<br />

molto di più di quanto dava a vedere, e... ho perso il controllo, tutto qui.


Lo so, mi sono comportato in modo strambo, vero?»<br />

«Sì. Per fortuna lei sembrava più stramba di te. Spero che mi chiami<br />

più tardi.» Cominciai a sentirmi inquieta.<br />

Sam mi sfiorò il braccio. «Vuoi andare a mangiare da qualche parte o<br />

andiamo diritti a casa?»<br />

Emisi un gemito e chinai il capo, passandomi una mano sulla fronte.<br />

«Andiamo a casa. Cavolo. Mi sento così strana a non capire di che cosa<br />

parlava.»<br />

Sam non disse niente, ma era meglio così. Continuavo a ripetermi<br />

quello che aveva detto Olivia, cercando di capire perché quella<br />

conversazione mi sembrasse così assurda. Cercando di capire cos'era che<br />

non ci eravamo dette.<br />

Avrei dovuto aggiungere qualcos'altro dopo che mi aveva chiesto<br />

scusa. Ma che altro c'era da aggiungere?<br />

Tornammo a casa in silenzio, finché non mi resi conto di quanto ero<br />

stata egoista.<br />

«Mi spiace. Sto rovinando il nostro appuntamento.» Mi sporsi di lato,<br />

per stringere la mano libera di Sam, che allacciò le mie dita alle sue.<br />

«Prima ho pianto - cosa che non faccio mai, per la cronaca - e adesso<br />

sono distratta da Olivia.»<br />

«Zitta» disse Sam con fare gentile. «Abbiamo tutto il giorno davanti a<br />

noi. Ed è bello vederti... emozionata... una volta tanto. Invece che<br />

sempre così maledettamente stoica.»<br />

Sorrisi al pensiero. «Stoica? Mi piace.»<br />

«Ne ero sicuro. Ma è stato bello non essere io quello fragile, per una<br />

volta.»<br />

Scoppiai a ridere. «Non è la parola che userei io per descriverti.»<br />

«Non mi consideri un fiore delicato, paragonato a te?» Quando risi di<br />

nuovo, lui insisté: «Okay, allora quale parola useresti?»<br />

Mi abbandonai contro il sedile, mentre Sam mi guardava sospettoso.<br />

Aveva ragione a essere sospettoso. Il mio cervello non era bravo con le


parole, almeno non in questo senso astratto e descrittivo. «Sensibile»<br />

provai.<br />

Sam tradusse: «Sentimentale.»<br />

«Creativo.»<br />

«Pericolosamente emo.»<br />

«Riflessivo.»<br />

«Feng shui.»<br />

Risi così forte che ne uscì un grugnito. «Come fai ad associare feng shui<br />

a "riflessivo"?»<br />

«Perché nel feng shui rifletti molto prima di sistemare i mobili, le<br />

piante e altri accessori.» Sam si strinse nelle spalle. «Serve a rilassarsi.<br />

Come lo zen. Credo. Non sono sicuro al cento per cento di come<br />

funziona, a parte l'aspetto riflessivo della cosa.»<br />

Per scherzo gli diedi un pugno sul braccio e guardai fuori dal<br />

finestrino: la casa dei miei non era lontana. Stavamo attraversando un<br />

bosco di querce; foglie arancio- marrone chiaro, secche e morte, appese<br />

ai rami e agitate dal vento, che aspettavano la folata che le avrebbe<br />

strappate via. Ecco com'era Sam: caduco. Una foglia estiva appesa con<br />

tutta la sua forza a un ramo ghiacciato.<br />

«Sei bello e triste» dissi alla fine, senza guardarlo. «Proprio come i tuoi<br />

occhi. Sei come una canzone che ascolti da piccolo e finché non la<br />

riascolti credi di averla dimenticata.»<br />

Per un lungo momento ci fu soltanto il rombo delle ruote sulla strada,<br />

e poi Sam disse sottovoce: «Grazie.»<br />

Andammo a casa e dormimmo tutto il pomeriggio, con le gambe<br />

intrecciate avvolte nei jeans, il mio viso sepolto nel suo collo e in<br />

sottofondo il mormorio della radio. Verso l'ora di cena, vagammo in<br />

cucina in cerca di cibo. Mentre Sam preparava con cura i sandwich, io<br />

provai a chiamare Olivia.<br />

Rispose John. «Mi dispiace, Grace, è uscita. Vuoi lasciarle un


messaggio o ti faccio richiamare?»<br />

«Dille che mi richiami» risposi, già in qualche modo in colpa per aver<br />

deluso Olivia. Riagganciai e feci scorrere con aria assente un dito sul<br />

bancone. Continuavo a pensare a quello che aveva detto: É stato da<br />

stupide litigare. «Hai notato» chiesi a Sam «che quando siamo entrati,<br />

da-vanti all'ingresso c'era uno strano odore? Accanto al gradino.»<br />

Sam mi porse un sandwich. «Sì.»<br />

«Di pipì» dissi. «Pipì di lupo.»<br />

La voce di Sam era triste. «Sì.»<br />

«Chi pensi che sia stato?»<br />

«Non lo penso» disse Sam. «Lo so. É Shelby. Sento il suo odore. Ha<br />

fatto di nuovo pipì anche sulla veranda. L'ho sentito ieri quando sono<br />

uscito.»<br />

Mi ricordai dei suoi occhi che mi guardavano attraverso la finestra<br />

della mia stanza. «Perché lo fa?»<br />

Sam scosse la testa, ed era titubante quando disse: «Spero solo che<br />

riguardi me e non te. Spero di essere io quello che sta seguendo.» Il suo<br />

sguardo scivolò verso la porta d'ingresso; lontano, sentii una macchina<br />

che si avvicinava. «Deve essere tua madre. Sparisco.» Lo guardai incupita<br />

mentre si ritirava nella mia stanza con il sandwich, e la porta si chiudeva<br />

dolcemente alle sue spalle, lasciando lì con me tutte le domande e i dubbi<br />

su Shelby.<br />

Fuori, sentii le ruote della macchina scricchiolare sul vialetto. Presi lo<br />

zaino e mi sistemai in modo che quando fosse entrata mia madre mi<br />

trovasse seduta al tavolo della cucina a risolvere un problema di<br />

matematica.<br />

La mamma entrò volteggiando e gettò sul bancone una pila di<br />

documenti, trascinandosi dietro una ventata d'aria fredda. Sussultai,<br />

sperando che la porta della mia stanza tenesse Sam al riparo. Le chiavi<br />

caddero a terra e tintinnarono. Lei le raccolse con un'imprecazione e le<br />

gettò di nuovo in mezzo ai documenti. «Hai già mangiato? Io ho un<br />

languorino. Durante la gita abbiamo simulato una battaglia con i


proiettili di vernice! Ovviamente, ha pagato l'azienda di tuo padre.»<br />

Le lanciai un'occhiataccia. Metà del mio cervello stava pensando<br />

ancora a Shelby che si aggirava intorno alla casa, tenendo d'occhio me o<br />

Sam. O tutti e due. «Per unire il gruppo, immagino.»<br />

La mamma non rispose. Aprì il frigo e chiese: «C'è qualcosa che posso<br />

mangiucchiare guardando la tivù? Santo cielo. E questo cos'è?»<br />

«É un lombo di maiale, mamma. É per la grigliata di domani.»<br />

Raccapricciata, chiuse il frigo. «Sembra una gigantesca lumaca<br />

congelata. Ci guardiamo un film?»<br />

Scoccai uno sguardo oltre le sue spalle, verso il corridoio, per vedere<br />

se c'era papà, ma il corridoio era vuoto. «Dov'è papà?»<br />

«É uscito a mangiare ali di pollo con i nuovi colleghi. Ti comporti<br />

come se te l'avessi chiesto solo perché lui non c'è.» La mamma si aggirò<br />

rumorosamente per la cucina, si versò del muesli e poi andò verso il<br />

divano lasciando la scatola aperta sul bancone.<br />

Un tempo avrei fatto salti di gioia per la rara opportunità che mi<br />

veniva offerta di accoccolarmi con mia madre sul divano. Adesso però<br />

era come se fosse troppo poco, troppo tardi. C'era qualcun altro che mi<br />

aspettava.<br />

«Mi sento un po' sfinita» dissi alla mamma. «Credo che andrò a<br />

dormire presto.»<br />

Non credevo che ci sarei rimasta così male quando in lei non scorsi<br />

alcun segno di delusione. Si sistemò sul divano e afferrò il telecomando.<br />

Quando feci per andare via, disse: «Comunque, non lasciare i sacchetti<br />

della spazzatura nella veranda, okay? Ci vanno gli animali.»<br />

«Va bene» dissi. Avevo la sensazione di sapere quale animale in<br />

particolare si aggirasse nella nostra veranda. La lasciai sul divano a<br />

guardare il film, raccolsi i compiti e li portai nella mia stanza. Quando<br />

aprii la porta, trovai Sam raggomitolato a letto, a leggere un romanzo<br />

sotto la luce della piccola lampada, come se fosse a casa sua. Sapevo che<br />

mi aveva sentito entrare, ma non alzò lo sguardo nemmeno per un<br />

momento, perché stava finendo il capitolo. Adoravo la forma che


assumeva il suo corpo mentre leggeva, dall'inclinazione del collo chino<br />

sulle pagine alla sagoma lunga dei piedi dentro i calzini.<br />

Alla fine Sam infilò un dito nel libro e lo chiuse, sorridendomi, le<br />

sopracciglia unite in quel modo perennemente triste. Tese un braccio per<br />

invitarmi ad avvicinarmi e io abbandonai i compiti in fondo al letto e lo<br />

raggiunsi. Con una mano teneva il libro e con l'altra mi accarezzava i<br />

capelli, e insieme leggemmo gli ultimi tre capitoli. Era un libro strano:<br />

tutti erano stati portati via dalla Terra, tranne il protagonista e la sua<br />

fidanzata, e dovevano decidere se la loro ultima missione sarebbe stata<br />

trovare quelli che erano stati portati via o tenersi la Terra tutta per sé e<br />

ripopolarla a loro piacimento. Una volta finito il romanzo, Sam si sdraiò<br />

sulla schiena e rimase a fissare il soffitto. Disegnai lentamente con le dita<br />

dei cerchi sulla sua pancia piatta.<br />

«Tu cosa sceglieresti?» chiese.<br />

Nel libro i protagonisti avevano deciso di cercare gli altri, e come<br />

risultato si erano separati ed erano rimasti soli. Per qualche ragione, la<br />

domanda di Sam mi fece battere il cuore un po' più forte, e mi aggrappai<br />

a un lembo della sua maglietta.<br />

«Ma dai» dissi.<br />

Sam arricciò le labbra.<br />

Solo più tardi mi resi conto che Olivia non mi aveva richiamato.<br />

Quando chiamai casa sua, sua madre mi disse che era ancora fuori.<br />

Una vocina dentro la mia testa disse: Fuori dove? Dove si può stare<br />

fuori a Mercy Falls?<br />

Quella notte, quando mi addormentai, sognai il muso di Shelby alla<br />

mia finestra e gli occhi di Jack nel bosco.


Capitolo trentatré • Sam<br />

5 °C<br />

Quella notte, per la prima volta dopo tanto tempo, sognai i cani di<br />

Mr. Dario.<br />

Mi svegliai, sudato e in preda ai brividi, col sapore del sangue in<br />

bocca. Mi allontanai da Grace, per paura che il rumore del mio cuore che<br />

martellava potesse svegliarla, e mi leccai il sangue dalle labbra. Mi ero<br />

morso la lingua.<br />

Era così facile dimenticare la violenza primordiale del mio mondo<br />

quando ero in forma umana, al sicuro nel letto di Grace. Era facile<br />

vederci come probabilmente ci vedeva lei: fantasmi nel bosco, silenziosi,<br />

magici. E se fossimo stati dei semplici lupi forse non sarebbe stato così<br />

sbagliato vederci così. I lupi veri non erano una minaccia. Ma quelli non<br />

erano lupi veri.<br />

Il sogno mi sussurrava che stavo ignorando dei segnali. Quelli che<br />

dicevano che stavo portando da Grace la violenza del mio mondo. Lupi<br />

a scuola, a casa della sua amica, e adesso a casa sua. Lupi che sotto la<br />

pelliccia nascondevano cuori umani.<br />

Disteso lì al buio sul letto di Grace, tesi le orecchie, in ascolto. Mi<br />

parve di sentire un rumore di unghielli sulla veranda, e di riuscire a fiutare<br />

l'odore di Shelby perfino attraverso la finestra. Sapevo che voleva me:<br />

voleva ciò che rappresentavo. Ero il preferito di Beck, il capobranco<br />

umano, e anche di Paul, il capobranco lupo, e il logico successore di<br />

entrambi. Nel nostro piccolo mondo, avevo molto potere.<br />

E Shelby voleva il potere.<br />

I cani di Dario ne erano la prova. Quando avevo tredici anni e vivevo<br />

a casa di Beck, il nostro vicino più prossimo (che viveva a settantacinque<br />

acri di distanza) traslocò e vendette la sua casa gigantesca a un ricco<br />

eccentrico di nome Mr. Dario. Personalmente non trovavo Mr. Dario in<br />

sé così degno di nota. Aveva un odore particolare, come di uno che è<br />

morto e poi è stato messo in conserva. Ogni volta che andavamo da lui


passava un secolo a spiegarci il complicato sistema d'allarme che aveva<br />

installato per proteggere i suoi pezzi d'antiquariato ("É il suo modo per<br />

dire droga" mi spiegò poi Beck) e a lasciarsi prendere dal sentimentalismo<br />

per i suoi cani da guardia che quando andava via lasciava in giardino.<br />

Poi ce li mostrò. Erano gargoyle viventi, maschere ringhiami ricoperte<br />

di bava e grinze, pallidi. Una razza sudamericana selezionata per fare da<br />

guardia al bestiame, disse Mr. Dario. Sembrava compiaciuto quando ci<br />

spiegava che avrebbero potuto strappare la faccia di un uomo e<br />

mangiarsela. Beck, perplesso, disse che sperava che Mr. Dario non li<br />

facesse uscire dalla sua proprietà. Indicando i collari con le punte<br />

metalliche all'interno ("Li nutre a scosse elettriche" disse Beck dopo, e fece<br />

vibrare la mano per mimare il voltaggio), Mr. Dario ci assicurò che<br />

avrebbero strappato il viso solo ai malviventi che si fossero intrufolati<br />

nella sua proprietà di notte per rubargli i pezzi d'antiquariato. Ci mostrò<br />

l'aggeggio che regolava i collari a scossa dei cani e li tratteneva vicino a<br />

casa; era ricoperto da una vernice polverosa nera che lasciava macchie<br />

sulle mani.<br />

Nessun altro sembrava preoccuparsi di quei cani; io però ne ero<br />

ossessionato. Avevo il costante timore che si liberassero e facessero a<br />

pezzi Beck o Paul, strappassero la faccia a uno di loro due e se la<br />

mangiassero. Per settimane non feci che pensare ai cani, e in una calda<br />

giornata d'estate trovai Beck in cucina, in pantaloncini e maglietta, che<br />

ungeva le costolette per il barbecue.<br />

"Beck."<br />

Non alzò lo sguardo dal suo accurato lavoro di spennellatura. "Che<br />

c'è, Sam?"<br />

"Mi potresti insegnare a uccidere i cani di Mr. Dario?" Beck si voltò e<br />

mi guardò negli occhi, e io aggiunsi: "Se ce ne fosse bisogno."<br />

"Non ce ne sarà bisogno."<br />

Odiavo le suppliche, ma lo supplicai lo stesso. "Per favore. "<br />

Beck trasalì. "Non hai il fegato per un lavoro del genere." Era vero: da<br />

umano ero penosamente sensibile alla vista del sangue.


"Per favore."<br />

Beck fece una smorfia e mi disse di no, ma il giorno dopo portò a casa<br />

una mezza dozzina di polli vivi e mi insegnò a trovare i punti più fragili<br />

delle articolazioni e a spezzarle. Dato che non svenni alla vista dei polli<br />

che venivano uccisi, mi portò della carne rossa che colava sangue, e a<br />

quella vista fui assalito dalla nausea. Gli ossi erano duri, freddi,<br />

implacabili sotto le mie mani, impossibili da spezzare senza far leva sulle<br />

articolazioni.<br />

"Già stanco?" mi chiese Beck dopo qualche giorno. Scossi la testa; i cani<br />

infestavano i miei sogni e si infiltravano nelle canzoni che scrivevo. Così<br />

andammo avanti. Beck trovò dei video sui combattimenti di cani;<br />

insieme guardammo i cani sbranarsi a vicenda. Tenni tutto il tempo la<br />

mano premuta sulla bocca, con lo stomaco che si rivoltava alla vista del<br />

sangue rappreso, e mi accorsi che alcuni cani puntavano alla giugulare,<br />

altri invece alle zampe davanti, spezzandole e lasciando gli avversari alla<br />

loro mercé. Beck richiamò la mia attenzione su un combattimento<br />

particolarmente impari, tra un gigantesco pit bull e un piccolo terrier di<br />

sangue misto. "Guarda il piccolino. Quello sei tu. Quando sei umano, sei<br />

più forte della maggior parte delle persone, tuttavia non sarai mai forte<br />

come uno dei cani di Mr. Dario. Guarda come combatte il piccolo.<br />

Sfianca il grosso. Poi lo soffoca."<br />

Guardai il piccolo terrier uccidere il cane più grosso. E poi io e Beck<br />

uscimmo e combattemmo: cane grosso, cane piccolo.<br />

L'estate finì. Iniziammo a trasformarci, uno alla volta; i primi furono i<br />

più anziani e i più negligenti. Presto rimase un esiguo gruppetto di<br />

umani: Beck per testardaggine, Ulrik per pura astuzia, Shelby per stare<br />

vicina a me e a Beck, io perché ero giovane e non ancora fragile.<br />

Non dimenticherò mai i rumori di un combattimento tra cani. Chi<br />

non ha mai assistito a una cosa simile non può immaginare la ferocia<br />

primitiva di due cani impegnati a distruggersi a vicenda. Perfino da lupo<br />

non mi era mai capitato di imbattermi in un combattimento di quel<br />

genere: i membri del branco lottavano per il dominio, non per uccidere.<br />

Ero nel bosco; Beck mi aveva detto di non uscire di casa, e invece


ovviamente ero uscito a fare una passeggiata serale. Avevo una mezza<br />

idea di scrivere una canzone nel momento esatto in cui il giorno<br />

scivolava nella notte, e avevo appena buttato giù qualche verso quando<br />

sentii il combattimento tra cani. Il rumore era vicino, proveniva dal<br />

bosco, non dalla casa di Mr. Dario, ma sapevo che non potevano essere<br />

lupi. Riconobbi subito quel ringhio gorgogliante.<br />

E poi li vidi. Due bianchi, giganteschi cani fantasma nella luce fioca<br />

della sera: i mostri di Dario. Con loro un lupo nero, che si dibatteva,<br />

sanguinava, si rotolava nel sottobosco. Il lupo, Paul, si stava<br />

comportando esattamente secondo le norme del branco: orecchie<br />

indietro, coda tra le gambe, testa girata per metà. Erano tutti gesti che<br />

gridavano la sua sottomissione. Ma i cani non conoscevano i<br />

comportamenti del branco; tutto ciò che conoscevano era l'aggressione.<br />

E così iniziarono a fare a brandelli Paul.<br />

"Ehi" gridai, ma la mia voce non era forte come mi ero aspettato. Feci<br />

un altro tentativo e stavolta mi uscì un mezzo ringhio. "Ehi."<br />

Uno dei cani si staccò dalla mischia e si precipitò verso di me; mi voltai<br />

e iniziai a correre, senza smettere di fissare nemmeno per un attimo<br />

l'altro demone bianco, che aveva i denti serrati sulla gola del lupo nero.<br />

Paul respirava a fatica, e un lato del suo muso era scarlatto. Mi lanciai sul<br />

cane che lo stava immobilizzando, e tutti e tre cademmo a terra. Il<br />

mostro era pesante, rigato di sangue, tutto muscoli. Cercai di afferrargli<br />

la gola con una mano debole e pietosamente umana, ma non ci riuscii.<br />

Un peso morto mi colpì la schiena e sentii della bava calda sul collo.<br />

Mi spostai giusto in tempo per evitare il morso fatale di un cane; in<br />

compenso avevo i denti dell'altro affondati nella spalla. Sentii lo<br />

scricchiolio di ossa contro ossa, la sensazione disgustosa e bruciante della<br />

zanna del cane che scivolava contro la mia clavicola.<br />

"Beck!" urlai. Era incredibilmente difficile pensare attraverso il dolore,<br />

e con Paul in fin di vita davanti a me. Però mi ricordai del terrier: veloce,<br />

letale, brutale. Feci scattare una mano in avanti, verso il cane che<br />

stringeva il collo di Paul in una presa mortale. Afferrai la zampa davanti,<br />

trovai la giuntura e non pensai al sangue. Non pensai al rumore che


avrebbe fatto. Non pensai a nient'altro che all'azione meccanica dello<br />

snap.<br />

Il cane roteò gli occhi. Soffiò col naso ma non mollò la presa.<br />

Il mio istinto di sopravvivenza mi gridava di liberarmi dell'animale<br />

sopra di me, che tremava e mi frantumava la spalla con le mascelle, dure<br />

come l'acciaio e bollenti come il fuoco. Mi sembrava di sentire le ossa che<br />

si staccavano dai tessuti. Di sentire il mio braccio che veniva strappato<br />

dalla spalla. Ma Paul non poteva aspettare.<br />

Non avevo molta sensibilità al braccio destro, ma col sinistro afferrai<br />

un pezzo di pelle della gola del cane e la torsi, la strinsi forte,<br />

mozzandogli il respiro, finché non sentii il mostro ansimare. Ero quel<br />

piccolo terrier. Il cane non mollava il collo di Paul, ma nemmeno io<br />

mollavo il suo. Mi protesi sotto il cane che mi stava stritolando la spalla,<br />

feci penzolare la mano destra senza vita sul naso dell'altro cane e gli<br />

tappai le narici. Non pensai a niente: la mia mente era lontana, a casa, in<br />

qualche posto caldo, ad ascoltare musica, leggere una poesia, da qualsiasi<br />

altra parte tranne che lì, a uccidere.<br />

Per un minuto terribile, non successe niente. Davanti ai miei occhi<br />

volavano scintille. Poi il cane crollò a terra, e Paul si liberò dalla presa.<br />

C'era sangue ovunque: il mio, quello di Paul, quello del cane.<br />

"Non mollare!" Era la voce di Beck, e adesso sentivo il rumore di passi<br />

nel bosco. "Non mollare: non è ancora morto."<br />

Non riuscivo più a sentire le mani - non riuscivo più a sentire niente -<br />

ma mi sembrava che stessi ancora stringendo il collo del cane, quello che<br />

aveva morso Paul. E poi sentii i denti nella mia spalla sussultare mentre la<br />

stretta del cane sul mio collo si allentava. Un lupo, Ulrik, stava<br />

ringhiando, puntava al suo collo, lo trascinava via da me. Sentii un<br />

colpo; capii che era uno sparo. Un altro colpo, più vicino, e una<br />

contrazione sotto le mie dita. Ulrik indietreggiò, respirando forte, e poi<br />

ci fu cosi tanto silenzio che le orecchie iniziarono a ronzarmi.<br />

Beck staccò con garbo le mie dita dalla gola del cane morto e le<br />

premette sulla mia spalla. Il sangue rallentò; subito iniziai a sentirmi


meglio mentre il mio incredibile corpo ferito si sanava da solo.<br />

Beck mi si inginocchiò davanti. Tremava dal freddo, la pelle grigia, la<br />

curva delle spalle sbagliata. "Bravo. L'hai salvato. Quei poveri polli non<br />

sono andati sprecati."<br />

Dietro di lui, Shelby se ne stava in silenzio, braccia incrociate, a<br />

guardare Paul ansimare tra le foglie morte. A guardare me e Beck con le<br />

teste unite. Le mani di Shelby erano pugni, e una di loro aveva una<br />

macchia nera polverosa.<br />

Nel buio soffuso della stanza di Grace mi voltai sulla schiena e<br />

premetti il viso contro la sua spalla. Strano che i miei momenti più<br />

violenti fossero stati da umano e non da lupo.<br />

Fuori, sentii il rumore inconfondibile di unghielli che graffiavano sulla<br />

veranda. Chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi sul battito del cuore di<br />

Grace.<br />

Il sapore del sangue in bocca mi ricordò quell'inverno. Sapevo che era<br />

stata Shelby a liberare i cani. Voleva che io fossi al comando, con lei al<br />

mio fianco, e Paul mi era d'intralcio. E adesso era Grace a essere<br />

d'intralcio a lei.


Capitolo trentaquattro • Grace<br />

9 °C<br />

I giorni si confusero in un collage di immagini banali: fredde<br />

camminate nel parcheggio della scuola, il posto di Olivia in classe sempre<br />

vuoto, il respiro di Sam nel mio orecchio, impronte di zampe sulle foglie<br />

d'erba gelate nel nostro cortile.<br />

Quando arrivò il fine settimana, ormai ero senza fiato per l'attesa,<br />

anche se non sapevo bene che cosa aspettavo. La notte prima Sam si era<br />

agitato durante il sonno, perseguitato da un incubo, e il sabato mattina<br />

aveva un aspetto così orribile che invece di fare progetti per uscire lo<br />

parcheggiai sul divano, dopo che i miei genitori se ne furono andati a un<br />

brunch a casa di amici.<br />

Ero rannicchiata nella curva del braccio di Sam che faceva zapping tra<br />

diversi brutti film che davano in tivù. Alla fine la spuntò un thriller di<br />

fantascienza che probabilmente era costato ancora meno della Bronco. I<br />

tentacoli di gomma erano ovunque quando Sam si decise ad aprire<br />

bocca.<br />

«Ti dà fastidio? Che i tuoi genitori siano come sono?»<br />

Affondai il viso nella sua ascella. Lì dentro sapeva molto di Sam. «Non<br />

ne parliamo.»<br />

«Parliamone invece.»<br />

«Oh, perché? Cosa c'è da dire? Va tutto bene. Loro vanno bene così.<br />

Sono come sono.»<br />

Le dita delicate di Sam trovarono il mio mento e mi sollevarono il<br />

viso. «Grace, non va bene. Sono qui da... quante settimane sono adesso?<br />

Nemmeno lo so. Ma so come, e non va bene.»<br />

«Sono quelli che sono. Finché non ho cominciato ad andare a scuola<br />

non pensavo che i genitori degli altri potessero essere diversi. E anche<br />

finché non ho cominciato a leggere. Ma credimi, Sam, va tutto bene.»<br />

Sentivo caldo. Scostai il mento dalla sua mano e mi voltai verso la


tivù, dove un'utilitaria stava sprofondando nella melma.<br />

«Grace» disse Sam a bassa voce. Era immobile, come se, per una volta,<br />

fossi io l'animale selvatico che avrebbe potuto sparire se lui avesse mosso<br />

un muscolo. «Non devi fingere davanti a me.»<br />

Guardai la macchina sbriciolarsi in mille pezzi insieme all'autista e al<br />

passeggero. Era difficile capire che cosa stava succedendo col volume<br />

basso, ma sembrava che i pezzi si stessero trasformando in tentacoli.<br />

Sullo sfondo c'era un ragazzo che portava un cane a passeggio, e pareva<br />

che non si accorgesse di niente. Come faceva a non accorgersene?<br />

Anche senza voltarmi verso di lui, sapevo che Sam stava guardando<br />

me, non la televisione.<br />

Non sapevo che risposta si aspettasse. Non avevo niente da dire. Non<br />

era un problema. Era un modo di vivere.<br />

I tentacoli sullo schermo iniziarono a trascinarsi per terra, in cerca del<br />

mostro tentacolato originale, in modo da potersi riattaccare a lui. Ma<br />

sarebbe stato impossibile: l'alieno originale stava andando a fuoco a<br />

Washinghton D.C, liquefacendosi attorno a un modellino del<br />

monumento a Washinghton. I nuovi tentacoli avrebbero dovuto<br />

torturare il mondo da soli.<br />

«Perché non riesco a farmi amare di più?»<br />

L'avevo detto davvero? Non sembrava la mia voce. Le dita di Sam mi<br />

sfiorarono le guance, ma non c'erano lacrime. Ero lontana anni luce dalle<br />

lacrime.<br />

«Grace, loro ti amano. Tu non c'entri. É un problema loro.»<br />

«Ho fatto di tutto. Non mi metto mai nei guai. Faccio sempre i<br />

compiti. Preparo i loro pasti di merda, quando sono a casa, vale a dire<br />

mai.» Non poteva essere la mia voce. Io non dicevo parolacce. «E stavo<br />

per morire, due volte, e non è cambiato nulla. Non voglio che mi stiano<br />

addosso tutto il tempo. Vorrei solo, un giorno, vorrei...» Non riuscii a<br />

finire la frase, perché non sapevo come finiva.<br />

Sam mi attirò tra le sue braccia. «Oh, Grace, mi dispiace. Non avevo<br />

intenzione di farti piangere.»


«Non sto piangendo.»<br />

Mi asciugò le guance con il pollice, con cura, e mi mostrò la lacrima<br />

intrappolata sulla punta del dito. Mi sentii una sciocca, e lui mi fece<br />

raggomitolare sul suo grembo, la testa incastrata sotto il suo mento. Al<br />

sicuro tra le sue braccia, mi tornò la voce di prima. «Forse sono troppo<br />

buona. Se combinassi dei guai a scuola o appiccassi il fuoco in qualche<br />

garage, si accorgerebbero di me.»<br />

«Non sei così. Sai che non lo sei» disse. «Sono soltanto delle persone<br />

sciocche ed egoiste, tutto qui. Mi dispiace di avertelo chiesto, okay?<br />

Guardiamoci questo film idiota.»<br />

Gli appoggiai la guancia sul petto e rimasi ad ascoltare il thump thump<br />

del suo cuore. Sembrava così normale, un cuore umano dai battiti<br />

regolari. Era umano da parecchio tempo ormai, e quasi non riuscivo a<br />

ritrovare quell'odore di bosco o a ricordare la sensazione che provavo<br />

quando affondavo le dita nella sua pelliccia. Sam alzò il volume del film<br />

sugli alieni e restammo così, una creatura in due corpi, per molto tempo,<br />

finché non dimenticai il motivo che mi aveva turbata e tornai in me.<br />

«Vorrei avere quello che hai tu» dissi.<br />

«E cos'è che avrei, io?»<br />

«Il tuo branco. Beck. Ulrik. Quando parli di loro, riesco sempre a<br />

sentire quanto loro siano importanti per te» dissi. «Loro ti hanno reso ciò<br />

che sei.» Gli premetti un dito sul petto. «Loro sono fantastici e quindi tu<br />

sei fantastico.»<br />

Sam chiuse gli occhi. «Non lo so.» Li riaprì. «Comunque, anche i tuoi<br />

genitori ti hanno resa ciò che sei. Pensi che saresti così indipendente se<br />

loro fossero più presenti? Almeno quando loro non ci sono tu sei<br />

qualcuno. Io mi sento come se non fossi più quello di prima. Perché gran<br />

parte del mio io è essere insieme a Beck, Ulrik e gli altri.»<br />

Sentii una macchina infilarsi nel vialetto e parcheggiare. Sapevo che<br />

anche Sam l'aveva sentita. «É ora di sparire» disse.<br />

Invece lo trattenni per il braccio. «Sono stanca di fare le cose di<br />

nascosto. Credo che sia arrivato il momento che vi conosciate.»


Non protestò, ma scoccò un'occhiata preoccupata verso la porta<br />

d'ingresso.<br />

«Ed ecco che arriva la fine» disse.<br />

«Non essere melodrammatico. Non ti uccideranno.»<br />

Mi guardò.<br />

Mi avvamparono le guance. «Sam, non intendevo come... Santo cielo,<br />

scusa.» Avrei voluto distogliere lo sguardo, ma non ci riuscii: era come<br />

guardare un incidente d'auto. Continuavo ad aspettare il momento della<br />

collisione, ma la sua espressione non mutò mai. Era come se ci fosse un<br />

piccolo scollamento tra il ricordo che Sam aveva dei suoi genitori e<br />

quello che provava; un lieve scarto che, ringraziando Dio, lo faceva<br />

restare tutto intero.<br />

Sam mi venne in soccorso cambiando argomento, il che fu<br />

incredibilmente generoso da parte sua. «Devo comportarmi come se fossi<br />

il tuo ragazzo o solo un amico?»<br />

«Il mio ragazzo. Non voglio fingere.»<br />

Sam si spostò di qualche centimetro e tolse il braccio da dietro la mia<br />

testa per posarlo sul retro del divano. Al muro disse: «Salve, genitori di<br />

Grace. Sono il ragazzo di Grace. Vi prego di notare la casta distanza che<br />

c'è tra di noi. Sono molto responsabile e la mia lingua non è mai stata<br />

dentro la bocca di vostra figlia.»<br />

La porta si aprì con uno scricchiolio ed entrambi sussultammo<br />

all'unisono in uno scroscio di risatine nervose.<br />

«Sei tu, Grace?» chiese mia mamma con voce leggera dall'ingresso. «O<br />

sei un ladro?»<br />

«Ladro» gridai in risposta.<br />

«Sto per farmela addosso» mi sussurrò Sam all'orecchio.<br />

«Sicura che sei tu, Grace?» La mamma era sospettosa; non era abituata<br />

a sentirmi ridere. «C'è Rachel con te?»<br />

Il primo a spuntare sulla porta del salotto fu papà, che non appena<br />

individuò Sam si fermò.


Con un movimento quasi impercettibile, Sam volse la testa in modo<br />

che la luce non battesse sui suoi occhi gialli, un gesto automatico che mi<br />

fece riflettere sul fatto che anche prima di diventare un lupo, Sam era un<br />

tipo particolare.<br />

Gli occhi di papà erano su Sam, lo guardavano e basta. Sam<br />

ricambiava lo sguardo, teso, ma non terrorizzato. Sarebbe stato<br />

altrettanto calmo se avesse saputo che papà aveva fatto parte del gruppo<br />

di caccia? All'improvviso mi vergognai di mio padre, che non era altro<br />

che un semplice umano in più di cui i lupi dovevano avere paura; fui<br />

felice di non aver detto niente a Sam.<br />

La mia voce era tesa. «Papà, questo è Sam. Sam, questo è papà.»<br />

Papà guardò Sam per un'altra frazione di secondo e poi gli rivolse un<br />

largo sorriso. «Ti prego, dimmi che sei un fidanzato.»<br />

Gli occhi di Sam si aprirono del tutto e io trassi un respiro di sollievo.<br />

«Sì, è un fidanzato, papà.»<br />

«Be', è una bella notizia. Iniziavo a pensare che non facessi quel genere<br />

di cose.»<br />

«Papà.»<br />

«Che cosa succede qui?» La voce della mamma era distante. Era già in<br />

cucina a rovistare nel frigo. Il cibo al brunch doveva essere stato pessimo.<br />

«Chi è Sam?»<br />

«Il mio ragazzo.»<br />

Con l'arrivo della mamma arrivò anche la nuvola onnipresente di<br />

vapori di acquaragia; aveva macchie di vernice sugli avambracci.<br />

Conoscendo la mamma, immaginai che fosse uscita così di proposito.<br />

Guardò me e Sam e poi di nuovo me, perplessa.<br />

«Mamma, questo è Sam. Sam, la mamma.»<br />

Fiutavo le emozioni che scaturivano da entrambi, anche se non<br />

sapevo dire con esattezza di che emozioni si trattasse. La mamma fissava<br />

gli occhi di Sam, li fissava e li fissava, e Sam sembrava impalato. Gli diedi<br />

un pugno sul braccio.


«Piacere di conoscervi» disse lui, in tono meccanico.<br />

«Mamma» sibilai. «Mamma. Terra chiama Mamma.»<br />

A sua discolpa, c'è da dire che sembrava un po' imbarazzata quando<br />

tornò in sé. Disse a Sam, in tono di scusa: «Il tuo viso ha un che di<br />

familiare.» Come no. Anche un neonato si sarebbe accorto che era una<br />

scusa per giustificare il fatto che stava fissando i suoi occhi.<br />

«Ho lavorato nella libreria in centro.» La voce di Sam era speranzosa.<br />

Mamma agitò un dito verso di lui. «Scommetto che è per questo.» Poi<br />

sorrise radiosa a Sam, usando il suo sorriso a cento watt, che cancellò<br />

qualsiasi atrocità sociale avesse appena commesso. «Be', piacere di<br />

conoscerti. Vado un po' di sopra a lavorare.» Esibì le braccia macchiate,<br />

per mostrarci che cosa intendeva per lavoro, e io provai una punta<br />

d'irritazione nei suoi confronti. Sapevo che flirtava per abitudine, una<br />

reazione meccanica a qualsiasi ragazzo estraneo che avesse raggiunto la<br />

pubertà, ma insomma. Quando si decideva a crescere?<br />

Sam mi sorprese dicendo: «Mi piacerebbe vedere il suo studio, se non<br />

le dispiace. Grace mi ha parlato del suo lavoro e sono molto curioso.» In<br />

parte era vero. Gli avevo parlato di una mostra particolarmente<br />

nauseante a cui ero andata, dove tutti i quadri avevano i nomi di tipi<br />

diversi di nuvole, ma in realtà erano ritratti di donne in costume da<br />

bagno. Se quella era arte espressiva, non la capivo. Non volevo capirla.<br />

La mamma sorrise in modo piuttosto plastico. Forse credeva che la<br />

capacità di comprendere l'arte espressiva di Sam fosse simile alla mia.<br />

Guardai Sam dubbiosa. Quella specie di corteggiamento non era da<br />

lui. Dopo che la mamma fu sparita al piano di sopra e papà in salotto,<br />

chiesi a Sam: «Fai il ruffiano per punizione?»<br />

Sam ripristinò l'audio della tivù nel momento in cui una donna veniva<br />

mangiata da qualcosa con i tentacoli. Tutto ciò che rimase dopo l'attacco<br />

era un braccio mozzo, molto finto, sul marciapiede. «Credo che sia<br />

necessario conquistarmi la sua simpatia.»<br />

«L'unica persona in questa casa a cui devi piacere sono io. Non<br />

preoccuparti di loro.»


Sam prese un cuscino dal divano e lo abbracciò, poi vi premette il viso<br />

contro. Aveva la voce soffocata. «Forse dovrà sopportarmi per molto<br />

tempo, capisci?»<br />

«Quanto?»<br />

Il suo sorriso era incredibilmente dolce. «Il più a lungo possibile.»<br />

«Per sempre?»<br />

Sam sorrideva, ma sopra quel sorriso i suoi occhi gialli diventarono<br />

tristi, come se sapesse che era una bugia. «Ancora più a lungo.»<br />

Annullai la distanza che ci separava e mi rannicchiai nell'incavo del suo<br />

braccio, poi tornammo a guardare l'alieno tentacolato che strisciava<br />

lentamente nelle fognature di una città ignara. Gli occhi di Sam<br />

guizzavano sullo schermo, come se stesse davvero guardando la futile<br />

battaglia intergalattica, mentre io mi sforzavo di capire perché Sam si<br />

doveva trasformare e io no.


Capitolo trentacinque • Sam<br />

9 °C<br />

Dopo il film di fantascienza (il mondo era salvo, ma le vittime tra il<br />

genere umano non si contavano) mi sedetti con Grace al tavolino vicino<br />

alla porta che dava sulla veranda e per un po' la guardai mentre faceva i<br />

compiti. Ero stanco senza spiegarmi perché, il freddo mi tormentava<br />

quasi come un dolore fisico, anche se non aveva una potenza tale da<br />

farmi trasformare, e avrei voluto riuscire ad addormentarmi sul letto di<br />

Grace o sul divano. Ma il lato ferino che c'era in me mi faceva sentire<br />

irrequieto e non riuscivo a dormire con estranei nelle vicinanze. Quindi,<br />

per tenermi sveglio, lasciai Grace al piano di sotto a fare i compiti nella<br />

luce morente che entrava dalle finestre e andai al piano di sopra a vedere<br />

lo studio.<br />

Fu facile da trovare: nel corridoio c'erano solo due porte e da una<br />

filtrava un odore aranciato, chimico. La porta era solo accostata. La aprii<br />

del tutto e fui costretto a socchiudere gli occhi. L'intera stanza era<br />

illuminata da lampade che riproducevano la luce naturale, e l'effetto era<br />

un incrocio tra un deserto a mezzogiorno e un negozio Wal-Mart.<br />

Le pareti erano nascoste da tele imponenti appoggiate contro ogni<br />

superficie disponibile. Bellissime orge di colori, figure reali in pose irreali,<br />

forme normali in colori anomali, l'inaspettato in posti ordinari. Guardare<br />

quei quadri era come sprofondare in un sogno, dove tutto ciò che<br />

conosci si presenta in un modo sconosciuto. Ogni cosa è possibile in<br />

questa rigogliosa tana di coniglio / è uno specchio o un ritratto quello che<br />

mi hai donato? / Mille mutazioni di sogni perlustrano / l'amata distesa di<br />

colore che vedo.<br />

Mi fermai davanti a due quadri enormi, giganteschi, appoggiati a una<br />

delle pareti. In entrambi si vedeva un uomo che baciava il collo di una<br />

donna, in pose identiche ma colori completamente diversi. Uno era<br />

intriso di rossi e viola. Acceso, brutto, commerciale. L'altro era scuro, blu,<br />

lavanda, di difficile interpretazione. Sobrio e bello. Mi fece ripensare al<br />

bacio che avevo dato a Grace in libreria, alla sensazione di averla tra le


accia, calda e vera.<br />

«Quale ti piace?»<br />

La voce di sua madre era allegra e affabile. Immaginai che fosse la<br />

voce "da galleria". Quella che usava per adescare i visitatori e svuotare<br />

loro i portafogli.<br />

Feci un cenno verso il quadro in blu. «Non c'è gara.»<br />

«Davvero?» Era sinceramente sorpresa. «Nessuno me l'aveva mai detto<br />

prima. L'altro riscuote più successo.» Si avvicinò e vidi che indicava il<br />

quadro rosso. «Ne ho vendute centinaia di stampe.»<br />

«É molto carino» dissi, gentile, e lei rise.<br />

«É orrendo. Sai come si intitolano?» Indicò prima quello blu, poi il<br />

rosso. «Amore e Lussuria.»<br />

Le sorrisi. «Deduco che non ho superato il test del testosterone, vero?»<br />

«Perché hai scelto Amore? Io non credo, ma è solo la mia opinione.<br />

Grace mi ha detto che sono stata stupida a dipingere la stessa cosa due<br />

volte. Ha detto che ha gli occhi troppo vicini in tutti e due i quadri.»<br />

Feci un sorriso. «È una frase alla Grace. Ma lei non è un'artista.»<br />

La sua bocca si curvò in un'espressione dispiaciuta. «No. Lei è una<br />

persona molto concreta. Non so da chi abbia preso.»<br />

Mi avvicinai a passi lenti alla successiva serie di quadri: animali<br />

selvatici in marcia tra rastrelliere di vestiti, cervi appollaiati su alte<br />

finestre, un pesce affacciato a un canale di scolo. «E questo la delude,<br />

vero?»<br />

«Oh, no. No. Grace è Grace e basta, e bisogna prenderla per quello<br />

che è.» Rimase indietro in modo che potessi guardare in tranquillità: si<br />

vedeva che aveva alle spalle anni di preparazione per vendere bene la<br />

sua merce agendo sull'inconscio. «E sono sicura che avrà una vita più<br />

facile della mia, perché avrà un bel lavoro normale, e farà la brava, e<br />

avrà stabilità.»<br />

Non la guardai quando risposi: «Secondo me la mamma si sta<br />

sbilanciando troppo.»


La sentii sospirare. «Penso che tutti vogliano veder i propri figli<br />

diventare come loro. A Grace interessano solo i numeri e i libri e il modo<br />

in cui funzionano le cose. Mi è difficile capirla.»<br />

«Lo stesso vale per Grace.»<br />

«Lo so. Ma tu sei un artista, vero? Si vede.»<br />

Mi strinsi nelle spalle. Avevo notato la custodia di una chitarra vicino<br />

alla porta dello studio, e morivo dalla voglia di trovare degli accordi per<br />

le melodie che avevo in testa. «Non nel campo della pittura. Suono un<br />

po' la chitarra.»<br />

Ci fu una lunga pausa mentre mi guardava studiare il quadro di una<br />

volpe che faceva capolino da sotto una macchina parcheggiata, e poi<br />

disse: «Porti le lenti a contatto?»<br />

Mi avevano fatto quella domanda così tante volte che ormai non mi<br />

stupivo più di quanto coraggio ci volesse per farmela. «No.»<br />

«Proprio in questo periodo ho un terribile blocco del pittore. Mi<br />

piacerebbe moltissimo farti un ritratto veloce.» Rise. Era una risata<br />

imbarazzata. «Era per questo che quando eravamo giù ti fissavo. Sarebbe<br />

un fantastico studio sul colore, con quei capelli neri e quegli occhi. Mi fai<br />

pensare ai lupi del bosco. Grace te ne ha mai parlato?»<br />

Mi irrigidii. Era come se stesse cercando di carpire il mio segreto,<br />

soprattutto dopo quel battibecco con Olivia. Il mio primo istinto ferino<br />

fu quello di fuggire. Scendere le scale a precipizio, sfondare la porta e<br />

dileguarmi al sicuro tra gli alberi. Mi ci volle un lungo momento per<br />

combattere il desiderio di fuggire e convincermi che lei non poteva<br />

sapere, e che stavo dando un peso eccessivo alle sue parole. E un altro<br />

lungo momento per accorgermi che ero rimasto troppo tempo in<br />

silenzio.<br />

«Oh... non voglio farti sentire in imbarazzo.» Le sue parole si<br />

affastellavano l'una sull'altra. «Non devi metterti in posa per me. So che<br />

alcuni si sentono molto a disagio. E tu probabilmente vuoi tornare di<br />

sotto da Grace.»<br />

Mi sentii costretto a rimediare alla mia scortesia. «No... no. Va bene.


Ecco, a dire il vero un po' a disagio mi sento. Non posso fare qualcosa<br />

mentre dipinge? Così, tanto per non stare seduto a guardare il vuoto?»<br />

Lei si precipitò sul cavalletto. «Sì! Certo che sì. Perché non suoni la<br />

chitarra? Oh, sarà fantastico. Grazie. Puoi sederti lì, sotto quelle luci.»<br />

Mentre prendevo la custodia, lei fece diverse volte avanti e indietro per<br />

lo studio per prendermi una sedia, aggiustare i faretti, e appendere nel<br />

punto giusto un foglio giallo che riflettesse la luce dorata su un lato del<br />

mio viso.<br />

«Devo cercare di rimanere immobile?»<br />

Sventolò verso di me un pennello, come se quella fosse la risposta alla<br />

mia domanda, poi appoggiò una tela nuova sul cavalletto e spremette<br />

qualche goccia di pittura nera su una tavolozza. «No, no, suona.»<br />

E così accordai la chitarra, e rimasi seduto nella luce dorata a suonare<br />

e a canticchiare a bocca chiusa, ripensando a tutte le volte che ero stato<br />

seduto sul divano di Beck a suonare canzoni per il branco, con Paul che<br />

suonava la chitarra insieme a me e noi che cantavamo in coro. In<br />

sottofondo sentivo lo scrap scrap della spatola e il whuff del pennello<br />

sulla tela, e mi chiedevo che cosa stesse facendo a mia insaputa con la mia<br />

faccia.<br />

«Ti sento canticchiare» disse. «Canti?»<br />

Borbottai un sì, continuando ad arpeggiare per inerzia.<br />

Il suo pennello non cessava di muoversi. «Sono canzoni tue?»<br />

«Sì.»<br />

«Ne hai scritta una per Grace?»<br />

Ne avevo scritte migliaia per Grace. «Sì.»<br />

«Mi piacerebbe sentirla.»<br />

Non smisi di suonare, ma salii di una tonalità. Per la prima volta<br />

quell'anno, cantai ad alta voce. Era la melodia più allegra che avessi mai<br />

scritto, e la più semplice.<br />

Di te mi sono innamorato in estate, dolce ragazza d'estate.


Sei fatta con l'estate, dolce ragazza d'estate<br />

Quanto vorrei passare un inverno con te, dolce ragazza d'estate<br />

Ma non ho mai caldo abbastanza per la mia dolce ragazza d'estate<br />

È estate quando sorridi, io rido come un bambino<br />

É estate nella nostra vita; e la teniamo stretta per un istante Raccogli il<br />

calore, la brezza dell'estate nella conchiglia della tua mano Gioirei di<br />

quest'estate se fosse tutto quel che abbiamo,<br />

Mi guardò. «Non so che dire.» Mi fece vedere il braccio, «Ho la pelle<br />

d'oca.»<br />

Posai la chitarra sul pavimento, molto cauto, in modo che le corde<br />

non facessero rumore. D'improvviso avvertii tutta l'urgenza di passare<br />

quei momenti, così preziosi e contati, con Grace.<br />

E nel momento stesso in cui prendevo quella decisione, sentimmo un<br />

fracasso provenire dal piano di sotto. Fu così forte e sbagliato che per un<br />

attimo io e sua madre ci guardammo straniti, come se non credessimo<br />

alle nostre orecchie. Poi l'urlo.<br />

Subito dopo sentii un ringhio, e prima che potessi sentirne un altro ero<br />

già fuori dalla stanza.


Capitolo trentasei • Sam<br />

9 °C<br />

Ripensai al volto di Shelby quando mi aveva chiesto: "Vuoi vedere le<br />

mie cicatrici?"<br />

"Quando te le sei fatte?" replicai.<br />

"Quando sono stata attaccata. Dai lupi."<br />

"No."<br />

Me le mostrò comunque. La pancia era increspata da uno sfregio che<br />

spariva sotto il reggiseno. "Dopo che mi hanno morsa sembrava un<br />

hamburger."<br />

Non volli sapere.<br />

Shelby non si riabbassò la camicia. "Farsi uccidere da noi dev'essere<br />

l'inferno. Dobbiamo essere il modo peggiore per morire. "


Capitolo trentasette • Sam<br />

5 °C<br />

Quando arrivai in salotto fui assalito da una ridda di sensazioni<br />

contrastanti. Il freddo violento mi punse gli occhi e mi fece attorcigliare<br />

lo stomaco. Trovai in fretta con lo sguardo il buco irregolare nella porta<br />

che dava sulla veranda; il vetro, in parte incrinato, era appeso in modo<br />

precario alla cornice e frammenti sottili, macchiati di rosa, erano sparsi<br />

per tutto il pavimento e mi riflettevano addosso la luce.<br />

La sedia del tavolo della colazione era ribaltata. Sembrava che<br />

qualcuno avesse schizzato della vernice rossa per terra; infinite forme<br />

irregolari gocciolavano dalla porta e imbrattavano la cucina. Poi sentii<br />

l'odore di Shelby. Per un attimo rimasi lì, bloccato dall'assenza di Grace,<br />

dall'aria gelida, dal puzzo di sangue e di pelo bagnato.<br />

«Sam!»<br />

Doveva essere Grace, anche se la sua voce era strana e<br />

irriconoscibile... qualcuno che si spacciava per Grace. Mi precipitai da lei,<br />

ma scivolai sulle macchie di sangue e mi aggrappai allo stipite della porta.<br />

Nella luce gradevole della cucina la scena pareva surreale. Impronte di<br />

zampe insanguinate mi portarono nel punto in cui Shelby si dibatteva e si<br />

contorceva addosso a Grace, inchiodata agli armadietti. Grace lottava,<br />

scalciava, ma Shelby era massiccia e trasudava adrenalina. Vidi un lampo<br />

di dolore negli occhi di Grace, sinceri e spalancati, prima che Shelby si<br />

allontanasse con uno scatto. Avevo già visto quell'immagine.<br />

Il freddo non lo sentivo più. Vidi una padella d'acciaio sul fornello e la<br />

afferrai; per il peso mi fece male il braccio. Non volevo colpire Grace; la<br />

schiantai sul fianco di Shelby.<br />

Shelby mi ringhiò contro, i denti serrati. Non era necessario parlare lo<br />

stesso linguaggio per sapere che cosa mi stava dicendo. Stai alla larga.<br />

Un'immagine riempì il mio campo visivo, chiara, perfetta, avvincente:<br />

Grace distesa sul pavimento della cucina, che si dimenava, che moriva,<br />

mentre Shelby rimaneva a guardarla. Ero paralizzato da quell'immagine


nitida che era apparsa nei miei pensieri: Grace doveva aver provato la<br />

stessa cosa quando le avevo mostrato l'immagine del bosco dorato. Era<br />

un ricordo affilato, un ricordo di Grace che non riusciva a respirare.<br />

Lasciai la padella e mi scagliai contro Shelby.<br />

Puntai al muso che era stretto sul braccio di Grace e andai diritto alla<br />

mascella. Spinsi le dita nella pelle tenera, premetti verso l'alto, nella<br />

trachea, finché Shelby non guaì. La sua presa si allentò abbastanza da<br />

permettermi di spingermi lontano dagli armadietti con i piedi e strappare<br />

via Shelby da Grace. Ci rotolammo a terra; le sue unghie schioccavano<br />

sul pavimento e lo graffiavano, e le mie scarpe scricchiolavano e<br />

scivolavano nel sangue che lei perdeva.<br />

Ringhiava sotto di me, furiosa; fece per azzannarmi e poi, sul punto di<br />

mordermi, si bloccò. L'immagine di Grace senza vita sul pavimento<br />

continuava ad attraversarmi la mente.<br />

Mi ricordai di come spezzavo le ossa dei polli.<br />

Nella mente vedevo perfettamente come sarebbe stato uccidere<br />

Shelby.<br />

Si allontanò da me, via dalle mie mani, come se mi avesse letto nel<br />

pensiero.<br />

«Papà, no, stai attento» gridò Grace.<br />

Esplose un colpo di fucile, vicino.<br />

Per un breve istante, il tempo si fermò. Non per davvero. Come se<br />

danzasse e scintillasse sul posto, con le luci che guizzavano e si<br />

affievolivano per poi tornare normali. Se fosse stato possibile paragonare<br />

quel momento a qualcosa di concreto, l'avrei detto simile a una farfalla<br />

che svolazza verso il sole sbattendo le ali.<br />

Shelby mi scivolò dalla presa, un peso morto, e io caddi contro gli<br />

armadietti alle mie spalle.<br />

Era morta. O almeno ci mancava poco, perché era scossa da spasmi.<br />

Ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare era lo stato in cui avevo ridotto il<br />

pavimento della cucina. Mi limitai a fissare i quadrati bianchi di linoleum;


gli occhi seguirono le linee striate lasciate dalle mie scarpe e trovarono<br />

l'unica impronta rossa che in qualche modo era rimasta perfettamente<br />

intatta.<br />

Non riuscivo a capire perché l'odore del sangue era così forte.<br />

Abbassai lo sguardo sulle mie braccia tremanti e vidi striature rosse che<br />

dalle mani salivano fino ai polsi. Mi cacciai in testa a forza che era il<br />

sangue di Shelby. Era morta. Quello era il suo sangue. Non il mio. Il suo.<br />

I miei genitori facevano il conto alla rovescia, lentamente, e il sangue<br />

zampillava dalle mie vene.<br />

Stavo per vomitare.<br />

Ero ghiaccio.<br />

Ero<br />

«Dobbiamo spostarlo!» La voce della ragazza fu come un grido acuto<br />

nel silenzio. «Portiamolo in un posto caldo. Io sto bene. Sto benissimo. Vi<br />

chiedo solo... di aiutami a spostarlo!»<br />

Le loro voci mi lacerarono la mente, troppo forti, troppo numerose.<br />

Percepivo dei movimenti attorno a me; i loro corpi e la mia pelle<br />

giravano e roteavano; ma dentro di me, nel profondo, c'era una parte<br />

perfettamente immobile.<br />

Grace. Mi aggrappai a quel nome. Se l'avessi tenuto a mente, sarebbe<br />

andato tutto bene.<br />

Grace.<br />

Tremavo, tremavo; la mia pelle si sbucciava.<br />

Grace.<br />

Le mie ossa si comprimevano, si contraevano, premevano sui muscoli.<br />

Grace.<br />

Non distolse lo sguardo da me neppure quando smisi di sentire le sue<br />

dita stringermi le braccia.<br />

«Sam» disse. «Non andare.»


Capitolo trentotto • Grace<br />

3 °C<br />

«Chi potrebbe fare una cosa del genere a un bambino?» La mamma<br />

fece una smorfia. Non capivo se la smorfia si riferiva a quello che le<br />

avevo appena detto o all'odore di pipì e di antisettico dell'ospedale.<br />

Scrollai le spalle e mi agitai, inquieta, nel letto. Non era necessario che<br />

rimanessi lì. Non c'era neppure stato bisogno di mettere dei cerotti sul<br />

taglio che avevo sul braccio. Volevo solo vedere Sam.<br />

«Quindi è proprio incasinato.» La mamma guardò accigliata la<br />

televisione sopra il letto, anche se era spenta. Non aspettò una risposta.<br />

«Be', è ovvio che è incasinato. Per forza. Da queste cose non puoi uscire<br />

indenne. Povero ragazzo. Sembrava che soffrisse moltissimo.»<br />

Speravo che la mamma smettesse di blaterare su questo argomento<br />

prima che Sam finisse di parlare con l'infermiera. Non volevo ripensare<br />

alla curva delle spalle di Sam, alla forma innaturale che aveva assunto il<br />

suo corpo in risposta al freddo. E speravo che avrebbe capito perché<br />

avevo raccontato alla mamma dei suoi genitori: di sicuro era meglio che<br />

sapesse dei suoi genitori che non dei lupi. «Te l'ho detto, mamma. Il<br />

ricordo lo turba molto. É normale che poi sia andato fuori di testa<br />

quando ha visto il sangue sulle braccia. É un classico comportamento<br />

condizionato, o comunque si chiami. Cercalo su Google.»<br />

La mamma si strinse nelle braccia. «Però se non ci fosse stato lui...»<br />

«Lo so, sarei morta, bla bla bla. Ma lui c'era. Perché siete tutti più<br />

sconvolti di me?» I segni dei morsi di Shelby erano già diventati brutti<br />

lividi, anche se le mie ferite non si erano sanate così velocemente come<br />

quelle di Sam quando gli avevano sparato.<br />

«Perché non hai nessun istinto di sopravvivenza, Grace. Sei come un<br />

carrarmato, procedi senza fretta, pensando che niente ti possa fermare,<br />

finché non ti imbatti in un carrarmato più grosso. Sei davvero sicura di<br />

voler uscire con uno che ha vissuto quel genere di esperienza?» La<br />

mamma si stava scaldando. «Potrebbe avere un crollo psicologico. Ho


letto che viene a ventotto anni. Potrebbe comportarsi come una persona<br />

normale e poi all'improvviso diventare una specie di Jack lo Squartatore.<br />

Lo sai, prima d'ora non ti ho mai detto cosa fare e cosa non fare nella tua<br />

vita. Ma se... se ti chiedessi di non vederlo più?»<br />

Non me lo sarei mai aspettato. Risposi secca: «Direi che in virtù del<br />

fatto che fino a questo momento non ti sei comportata come un<br />

genitore, adesso hai perduto il diritto di esercitare qualsiasi potere su di<br />

me. Io e Sam stiamo insieme. Lo devi accettare e basta.»<br />

La mamma alzò le braccia di scatto, come se cercasse di fermare il<br />

carrarmato Grace prima che la schiacciasse. «D'accordo. Va bene. Fai solo<br />

attenzione, okay? Vado a prendere qualcosa da bere.»<br />

E come se niente fosse, aveva esaurito tutte le sue energie di genitrice.<br />

Aveva fatto il suo dovere di mamma portandoci in ospedale, guardando<br />

l'infermiera che mi curava le ferite, e mettendomi in guardia dal mio<br />

ragazzo psicotico, e adesso il suo compito era finito. Era ovvio che me la<br />

sarei cavata, ma così si era sottratta a ogni responsabilità.<br />

Qualche minuto dopo, la porta si aprì con uno scatto, e Sam si<br />

avvicinò al mio letto, pallido e stanco sotto la luce verdognola. Stanco<br />

ma umano.<br />

«Cosa ti hanno fatto?» chiesi.<br />

La sua bocca si curvò in un sorriso privo di allegria. «Mi hanno messo<br />

una benda per una ferita che si è subito rimarginata. Cosa le hai detto?» Si<br />

guardò intorno in cerca di mia madre.<br />

«Le ho raccontato dei tuoi genitori e le ho detto che era per questo che<br />

eri stato male. Mi ha creduto. Tutto a posto. Tu stai bene? Sei...» Non<br />

sapevo quale fosse la domanda. Alla fine dissi: «Papà ha detto che è<br />

morta. Shelby. Immagino che non sia riuscita a guarire come hai fatto tu.<br />

É stato tutto troppo veloce.»<br />

Sam mi posò le mani sul collo e mi baciò. Appoggiò la fronte sulla mia<br />

in modo che potessimo guardarci negli occhi, e sembrava che ne avesse<br />

uno solo. «Andrò all'inferno.»<br />

«Perché?»


Batté la palpebra dell'unico occhio. «Perché dovrei stare male al<br />

pensiero che è morta.»<br />

Mi ritrassi per vedere la sua espressione: era stranamente vuota. Non<br />

sapevo che cosa ribattere, ma Sam mi trasse d'impaccio prendendomi le<br />

mani e stringendomele forte. «Lo so, in questo momento dovrei essere<br />

sconvolto. Ma mi sento come se avessi schivato un missile enorme. Non<br />

mi sono trasformato, tu stai bene, e per ora lei è soltanto una<br />

preoccupazione in meno. Mi sento... mi sento ubriaco.»<br />

«La mamma pensa che tu sia merce avariata» gli dissi.<br />

Sam mi baciò ancora, chiuse gli occhi per un attimo, e poi mi baciò<br />

una terza volta, un bacio leggero. «Ha ragione. Vuoi scappare?»<br />

Non sapevo se intendeva dire dall'ospedale o da lui.<br />

«Mr. Roth?» Un'infermiera comparve davanti alla porta. «Può restare<br />

qui, ma deve sedersi.»<br />

Come me, Sam dovette sottoporsi a una serie di iniezioni antirabbia:<br />

una procedura standard per chi viene morso da animali selvatici. Non<br />

potevamo certo dire che Sam conosceva quell'animale personalmente e<br />

che il suddetto animale aveva tendenze omicide, non rabbiose. Mi<br />

spostai per fare spazio a Sam, che si sedette accanto a me guardando<br />

inquieto la siringa che l'infermiera teneva in mano.<br />

«Non guardare l'ago» gli consigliò l'infermiera alzandogli la manica<br />

tutta sporca di sangue con le mani protette dai guanti di gomma. Sam<br />

distolse lo sguardo e fissò me, ma i suoi occhi erano distanti e assenti, la<br />

sua mente era altrove mentre l'infermiera gli infilava l'ago nella pelle.<br />

Mentre la guardavo abbassare lo stantuffo della siringa, fantasticavo che<br />

fosse una cura per Sam: estate liquida iniettata direttamente nelle vene.<br />

Qualcuno bussò alla porta e un'altra infermiera si affacciò. «Brenda,<br />

hai finito?» chiese. «Credo che abbiano bisogno di te nella 302. C'è una<br />

ragazza che sta impazzendo.»<br />

«Oh, fantastico» disse Brenda, molto sarcastica. «Voi due siete a<br />

posto.» A me disse: «Quando finisco do i referti a tua madre.»<br />

«Grazie» disse Sam, e mi prese per mano. Insieme c'incamminammo


lungo il corridoio, e per uno strano momento parve di essere tornati alla<br />

prima notte, quella in cui c'eravamo conosciuti, come se il tempo non<br />

fosse mai trascorso.<br />

«Aspetta» dissi, mentre passavamo dalla sala d'aspetto del pronto<br />

soccorso, e Sam si fermò. Diedi un'occhiata alla stanza affollata, ma la<br />

donna che pensavo di aver visto non c'era più.<br />

«Chi stai cercando?»<br />

«Ero sicura di aver visto la madre di Olivia.» Mi guardai di nuovo<br />

attorno: c'erano solo facce sconosciute.<br />

Le narici di Sam si dilatarono e le sopracciglia si avvicinarono un po' di<br />

più agli occhi, ma nell'andare verso le porte a vetri dell'ospedale non<br />

disse niente. Fuori, la mamma aveva già accostato la macchina al bordo<br />

del marciapiede, senza sapere che grosso favore stava facendo a Sam.<br />

Dietro la macchina turbinavano i fiocchi di neve, delicate<br />

materializzazioni di freddo. Sam fissava gli alberi dall'altro lato del<br />

parcheggio, che le luci della strada illuminavano appena. Mi chiesi se<br />

stava pensando al freddo mortale che filtrava attraverso le crepe della<br />

portiera, o al corpo devastato di Shelby che non sarebbe più stato<br />

umano, o se, come me, stava ancora pensando alla siringa immaginaria<br />

piena di estate liquida.


Capitolo trentanove • Sam<br />

5 °C<br />

I tasselli del puzzle della mia vita: domenica tranquilla, alito al caffè di<br />

Grace, il disegno poco familiare della nuova cicatrice gonfia sul braccio,<br />

l'odore minaccioso della neve nell'aria. Due universi distinti che si<br />

giravano attorno e si avvicinavano sempre di più, intersecandosi in modi<br />

che non avrei mai immaginato.<br />

Su di me continuava ad aleggiare il ricordo di ciò che era successo il<br />

giorno prima, quando stavo per trasformarmi, il ricordo tetro dell'odore<br />

di lupo impigliato nei capelli e sulla punta delle dita. Sarebbe stato così<br />

facile arrendersi. Anche adesso, a distanza di ventiquattr'ore, avevo la<br />

sensazione che il mio corpo facesse ancora resistenza.<br />

Ero così stanco.<br />

Cercai di immergermi in un romanzo, rannicchiato in una poltrona di<br />

pelle morbida, mezzo sonnacchioso. Da quando, negli ultimi giorni, la<br />

temperatura serale aveva iniziato a calare vertiginosamente, passavamo<br />

il tempo libero nello studio ormai quasi in disuso del padre di Grace. A<br />

parte la camera da letto, era la stanza più calda della casa e quella dove<br />

entravano meno spifferi. Mi piaceva. Le pareti erano cariche di<br />

enciclopedie dalle copertine nere, troppo vecchie per essere utili, e<br />

tappezzate di targhe di legno scuro, premi vinti alle maratone, troppo<br />

vecchi per avere ancora qualche importanza. Lo studio in sé era molto<br />

piccolo e marrone, una tana di coniglio fatta di pelle scura, legno fumoso<br />

e raccoglitori. Era un posto dove stavi al sicuro e dove potevi essere<br />

produttivo.<br />

Grace era seduta alla scrivania a fare i compiti, i capelli illuminati<br />

come un vecchio dipinto da due lampade da tavolo d'oro pallido. Il<br />

modo in cui sedeva, lo sguardo basso in ostinata concentrazione,<br />

catturava il mio interesse più del libro.<br />

Mi accorsi che la penna di Grace non si muoveva da parecchio. Chiesi:<br />

«A cosa stai pensando?»


Girò sulla sedia da ufficio per guardarmi in faccia e si picchiettò la<br />

penna sul labbro: un gesto incantevole che mi fece venire voglia di<br />

baciarla. «Lavatrice e asciugatrice. Stavo pensando che quando me ne<br />

andrò dovrò usare una lavanderia automatica o comprarmi una lavatrice<br />

con asciugabiancheria.»<br />

Mi limitai a guardarla, ipnotizzato e allo stesso tempo stupito da<br />

quegli strani meccanismi della sua mente. «Era questo che ti ha distratto<br />

dai compiti?»<br />

«Non ero distratta» disse Grace, decisa, «facevo una pausa da questo<br />

stupido racconto che devo leggere per il corso di inglese.» Girò di nuovo<br />

sulla sedia e si chinò sulla scrivania.<br />

Per alcuni lunghi istanti ci fu silenzio; Grace si ostinava a non posare la<br />

penna sul foglio. Alla fine, senza alzare la testa, disse: «Credi che esista<br />

una cura?»<br />

Chiusi gli occhi e sospirai. «Oh, Grace.»<br />

Grace insistette. «Allora dimmi. É una questione scientifica? O magica?<br />

Cosa sei, tu?»<br />

«Fa qualche differenza?»<br />

«Certo» disse, irritata. «La magia sarebbe inafferrabile.<br />

La scienza ha dei rimedi. Non ti sei mai chiesto da che cosa è scaturito<br />

tutto?»<br />

Non aprii gli occhi. «Un giorno un lupo morse un uomo e l'uomo fu<br />

contagiato. Magia o scienza, fa lo stesso. L'unica cosa di magico al<br />

riguardo è che non sappiamo spiegarlo.»<br />

Grace non disse più niente, ma sentivo la sua irrequietezza. Rimasi lì in<br />

silenzio, nascosto dietro il libro, ben sapendo che lei aveva bisogno di<br />

sentirmi dire delle parole, parole che io non ero disposto a offrirle. Non<br />

riuscivo a stabilire chi dei due fosse più egoista: lei, perché desiderava<br />

qualcosa che nessuno le poteva promettere, o io, perché non le<br />

promettevo qualcosa di impossibile, che era troppo doloroso desiderare.<br />

Prima che uno dei due spezzasse quel silenzio imbarazzante, la porta


dello studio si aprì ed entrò suo padre, gli occhiali appannati per la<br />

differenza di temperatura. Diede una scorsa alla stanza, individuando<br />

tutti i cambiamenti. La chitarra abbandonata nello studio di sua moglie<br />

era appoggiata sulla sedia. La mia pila di tascabili consunti sul tavolino.<br />

La serie ordinata di matite temperate sulla scrivania. I suoi occhi si<br />

soffermarono sulla caffettiera che aveva portato Grace per soddisfare il<br />

suo desiderio ardente di caffeina; sembrava affascinato dalla cosa<br />

proprio come me. Una caffettiera grande quanto un neonato. Per<br />

poppanti che hanno bisogno di uno stimolante veloce. «Siamo tornati.<br />

Avete preso possesso della mia stanza?»<br />

«Nessuno la usava» disse Grace senza alzare lo sguardo dai compiti.<br />

«Era troppo comoda per sprecarla. E adesso non puoi più riaverla.»<br />

«Ovviamente» osservò. Mi vide sprofondato nella sua poltrona. «Cosa<br />

leggi?»<br />

Risposi: «Bel Canto,»<br />

«Mai sentito. Di che parla?»<br />

Guardò di sottecchi la copertina; alzai il libro in modo che potesse<br />

vederlo meglio. «Cantanti lirici, cipolle tritate. E pistole.»<br />

Con mia sorpresa, l'espressione di suo padre si rasserenò e si riempì di<br />

comprensione. «Sembra una cosa che piacerebbe alla madre di Grace.»<br />

Grace si voltò nella sedia. «Papà, che ne hai fatto del corpo?»<br />

Lui batté le palpebre. «Cosa?»<br />

«Dopo che hai sparato, cosa ne hai fatto del corpo?»<br />

«Oh, l'ho messo sulla veranda.»<br />

«E poi?»<br />

«E poi cosa?»<br />

Grace si allontanò dalla scrivania, esasperata. «E poi che cosa ne hai<br />

fatto? So che non l'hai lasciato a marcire sulla veranda.»<br />

Una sensazione strisciante di nausea prese ad annodarsi in fondo al<br />

mio stomaco.


«Grace, perché è così importante? Sono sicuro che ci ha pensato tua<br />

madre.»<br />

Grace si premette le dita sulla fronte. «Papà, come puoi pensare che<br />

l'abbia spostato la mamma, se era con noi all'ospedale?»<br />

«Non ci avevo pensato, in realtà. Stavo per chiamare quelli della<br />

Protezione Animali perché lo venissero a prendere, ma il giorno dopo<br />

non c'era più, quindi ho immaginato che li avesse chiamati una di voi<br />

due.»<br />

Grace si lasciò sfuggire un piccolo verso strozzato. «Papà! La mamma<br />

non telefona neppure per ordinare la pizza! Figurati se ha telefonato alla<br />

Protezione Animali!»<br />

Suo padre si strinse nelle spalle. «Sono successe delle cose strane. Non<br />

vale comunque la pena di agitarsi tanto. Se non siete stati voi, allora è<br />

stato trascinato via da un ani male selvatico. Non credo che altri animali<br />

possano prendere la rabbia da un animale morto.»<br />

Grace incrociò le braccia e lo gelò con lo sguardo, come se il suo<br />

commento fosse troppo stupido per meritarsi una risposta.<br />

«Non fare il muso» disse suo padre, e aprì la porta spingendola con la<br />

spalla. «Non ti si addice.»<br />

La voce di Grace era glaciale quando disse: «Devo pensare a tutto io.»<br />

Lui le sorrise affettuoso, e questo in qualche modo servì a ridurre la<br />

portata della sua rabbia. «Infatti senza di te saremmo perduti. Non<br />

rimanere alzata fino a tardi.»<br />

La porta si richiuse piano alle sue spalle, e Grace prese a fissare gli<br />

scaffali della libreria, la scrivania, la porta chiusa. Tutto tranne me.<br />

Chiusi il romanzo senza preoccuparmi di tenere il segno. «Non è<br />

morta.»<br />

«La mamma potrebbe aver chiamato la Protezione Animali» disse<br />

Grace rivolta alla scrivania.<br />

«Tua madre non ha chiamato la Protezione Animali. Shelby è viva.»<br />

«Sam. Zitto. Ti prego. Non lo sappiamo. Uno degli altri lupi potrebbe


aver trascinato il suo corpo fuori dalla veranda. Non saltare alle<br />

conclusioni.» Finalmente mi guardò, e io mi resi conto che nonostante la<br />

sua totale incapacità di leggere la mente delle persone, aveva capito che<br />

cos'era Shelby per me. Il passato che cercava di afferrarmi con gli artigli,<br />

di rapirmi prima ancora dell'inverno.<br />

Era come se le cose mi stessero sfuggendo di mano. Avevo trovato il<br />

paradiso e mi ci ero aggrappato con tutte le mie forze, ma quello si<br />

disfaceva, un filo inconsistente che mi scivolava tra le dita, troppo sottile<br />

per trattenerlo.


Capitolo quaranta • Sam<br />

14 °C<br />

E così cominciai a cercarli.<br />

Li cercavo tutti i giorni mentre Grace era a scuola: i due lupi di cui non<br />

mi fidavo, quelli che in teoria avrebbero dovuto essere morti. Mercy<br />

Falls era piccola. Boundary Wood non era così piccolo ma lo conoscevo<br />

meglio, e forse mi avrebbe rivelato i suoi segreti più volentieri.<br />

Avrei trovato Shelby e Jack e li avrei affrontati a modo mio.<br />

Shelby però non aveva lasciato nessuna traccia sulla veranda, quindi<br />

forse se n'era andata per davvero. E anche Jack era introvabile: una pista<br />

fredda, morta. Un fantasma che non si era lasciato dietro alcun cadavere.<br />

Mi sembrava di aver perlustrato l'intera contea in cerca delle sue tracce.<br />

Pensavo - vagamente speravo - che anche lui fosse morto, e avesse<br />

smesso così di essere un problema. Che fosse stato investito da un veicolo<br />

del Dipartimento dei Trasporti e gettato da qualche parte,<br />

nell'immondizia. Ma non c'erano tracce che suggerissero piste, niente<br />

alberi segnati, nessun odore di lupo fresco che ancora indugiasse nel<br />

parcheggio. Era svanito come la neve d'estate.<br />

Avrei dovuto esserne felice. Se era scomparso significava che era<br />

prudente. Se era scomparso significava che non era più un mio problema.<br />

Ma non riuscivo ad accettarlo. Noi lupi facciamo un sacco di cose: ci<br />

trasformiamo, ci nascondiamo, cantiamo sotto la luna pallida e<br />

solitaria... ma non scompariamo mai del tutto. Sono gli esseri umani a<br />

sparire. Sono gli esseri umani a trasformarci in mostri.


Capitolo quarantuno • Grace<br />

12 °C<br />

Io e Sam eravamo come i cavalli della giostra. Non facevamo che<br />

seguire lo stesso percorso, ancora e ancora - casa, scuola, casa, scuola,<br />

libreria, casa, scuola, casa, eccetera - ma in realtà giravamo attorno alla<br />

questione principale senza mai avvicinarci davvero. E il nocciolo della<br />

questione era: Inverno. Freddo. Addio.<br />

Anche se non parlavamo di quella possibilità imminente, sentivo<br />

sempre su di noi la sua ombra gelida. In una raccolta davvero spaventosa<br />

di miti greci, una volta avevo letto la storia di un uomo che si chiamava<br />

Damocle, sul cui trono pendeva una spada che era appesa solo a un<br />

capello. Noi eravamo così: l'umanità di Sam stava appesa a un filo teso.<br />

Lunedì, rispettando il percorso della giostra, di nuovo a scuola. Erano<br />

passati soltanto due giorni da quando Shelby mi aveva attaccato, eppure<br />

erano scomparsi perfino i lividi. Dopotutto sembrava che avessi in me<br />

una certa dose della capacità di guarigione dei lupi mannari.<br />

Mi sorprese il fatto che Olivia fosse assente. L'anno passato non aveva<br />

perso una sola lezione.<br />

Prima di pranzo mi ero aspettata di vederla entrare in aula da un<br />

momento all'altro per una delle due lezioni che avevamo in comune, ma<br />

non venne. Continuavo a guardare il suo banco vuoto. Forse era solo<br />

ammalata, eppure una parte di me che cercavo di ignorare diceva che si<br />

trattava di qualcosa di più grosso. Alla quarta ora scivolai al mio solito<br />

posto, dietro Rachel. «Rachel, hai visto Olivia?»<br />

Rachel si voltò a guardarmi. «Eh?»<br />

«Olivia. Non è nella tua stessa classe di scienze?»<br />

Si strinse nelle spalle. «Non la sento da venerdì. Ho provato a<br />

chiamarla e sua madre mi ha detto che ha la febbre. Ma che mi dici di te,<br />

passerottino? Dove sei stata questo fìne settimana? Non chiami mai, non<br />

scrivi mai.»


«Sono stata morsa da un procione» dissi, «ho dovuto farmi dei vaccini<br />

antirabbia e ho passato tutta la domenica a dormirci su. Per essere sicura<br />

di non iniziare a schiumare dalla bocca e ad aggredire la gente.»<br />

«Disgustoso. Dove ti ha morso?»<br />

Feci un cenno verso i jeans. «Alla caviglia. Non è niente di che. Però<br />

sono preoccupata per Olive. Non sono riuscita a parlare con lei al<br />

telefono.»<br />

Rachel aggrottò le sopracciglia e incrociò le gambe; come al solito<br />

indossava almeno un indumento a righe, e questa volta erano le calze.<br />

Disse: «Nemmeno io. Credi che ci stia evitando? Ce l'ha ancora con te?»<br />

Scossi la testa. «Non credo.»<br />

Rachel fece una smorfia. «Noi siamo a posto, però, giusto? Voglio<br />

dire, non è che ne abbiamo parlato. Di tutto questo pasticcio, intendo.<br />

Sono successe delle cose. Ma noi non ne abbiamo parlato. E non siamo<br />

nemmeno andate l'una a casa dell'altra.»<br />

«Noi siamo a posto» dissi, decisa.<br />

Si grattò le calze arcobaleno e si morse il labbro prima di dire: «Credi<br />

che dovremmo andare a casa sua e vedere se riusciamo a beccarla?»<br />

Lì per lì non risposi e lei non insistette. Era un territorio sconosciuto a<br />

entrambe. Non avevamo mai dovuto sforzarci di tenere unito il nostro<br />

trio. Non sapevo se rintracciare Olivia era la cosa giusta. Era una<br />

forzatura, però era passato un sacco di tempo dall'ultima volta che<br />

l'avevamo vista o avevamo parlato con lei. Piano dissi: «Che ne dici se<br />

aspettiamo il fine settimana? Se nemmeno allora avremo avuto sue<br />

notizie...»<br />

Rachel annuì, sollevata. «Siamo intesi.»<br />

Si voltò di nuovo in avanti, mentre Mr. Rink, in piedi in fondo<br />

all'aula, si schiariva la voce per attirare la nostra attenzione. Mr. Rink<br />

disse: «Sono sicuro che oggi i vostri insegnanti ve l'avranno ripetuto un<br />

sacco di volte, ma non andate in giro a bere l'acqua delle fontanelle o a<br />

baciare perfetti sconosciuti, d'accordo? Perché il Dipartimento della<br />

Salute ha riferito di un paio di casi di meningite in questa parte dello


stato. E potete prenderla da chiunque. Moccio! Muco! Baci e leccatine!<br />

Evitate!»<br />

Urla di approvazione dagli ultimi banchi.<br />

«Dato che non potete fare niente di tutto ciò, ci dedicheremo a<br />

qualcosa di quasi altrettanto bello. Studi sociali! Andate a pagina 112.»<br />

Gettai un altro sguardo alla porta, per la millesima volta, sperando di<br />

veder entrare Olivia, e aprii il libro.<br />

Durante la pausa pranzo, sgattaiolai in corridoio e chiamai a casa di<br />

Olivia. Il telefono squillò dodici volte e poi scattò la segreteria telefonica.<br />

Non lasciai nessun messaggio; se la sua assenza non era dovuta a motivi<br />

di salute non volevo che sua madre si preoccupasse. Stavo per chiudere<br />

l'armadietto quando mi accorsi che avevo la cerniera della tasca più<br />

piccola dello zaino mezza aperta. C'era un pezzo di carta che sporgeva,<br />

con scritto il mio nome. Lo aprii e mi avvamparono inaspettatamente le<br />

guance quando riconobbi la grafia confusa e contorta di Sam.<br />

"Ancora e ancora, sebbene conosciamo il linguaggio dell'amore e il<br />

suo piccolo sagrato, con i nomi afflitti e l'abisso spaventosamente<br />

silenzioso nel quale gli altri trovano fine; ancora e ancora noi due<br />

camminiamo insieme sotto gli alberi antichi, ci sdraiamo ancora e ancora<br />

in mezzo ai fiori, faccia a faccia col cielo. " Questo è Rilke. Vorrei averlo<br />

scritto io per te.<br />

Non ne colsi il senso fino in fondo, ma pensando a Sam lo lessi a voce<br />

alta, sussurrando le parole a me stessa. Nella mia bocca, le forme delle<br />

parole diventarono bellissime. Mi accorsi di sorridere, anche se attorno<br />

non c'era nessuno a vederlo. Le preoccupazioni non mi avevano<br />

abbandonata, ma per un attimo le misi da parte, riscaldata dal ricordo di<br />

Sam.<br />

Non volevo disperdere i miei sentimenti sereni e ottimisti nel fragore<br />

della mensa, quindi mi ritirai nella classe vuota della lezione successiva e<br />

presi posto. Lasciai cadere sul banco il libro di inglese e spianai il


igliettino sul banco per rileggerlo.<br />

Stare lì seduta in quella classe vuota, col brusio lontano degli studenti<br />

chiassosi, mi fece ripensare a quando mi ero sentita male in classe e mi<br />

avevano mandato in infermeria. Quella piccola stanzetta aveva lo stesso<br />

senso attutito di lontananza, come un satellite che girasse attorno a quel<br />

pianeta rumoroso che era la scuola. Avevo passato un sacco di tempo in<br />

infermeria dopo che i lupi mi avevano attaccato, soffrendo di<br />

quell'influenza che probabilmente non era davvero influenza.<br />

Per uno smisurato lasso di tempo fissai il cellulare acceso, riflettendo<br />

sul fatto di venire morsi. Sul fatto di stare male in seguito. E poi di stare<br />

meglio. Perché ero l'unica che poi era stata meglio?<br />

«Hai cambiato idea?»<br />

Al suono di quella voce alzai di scatto la testa, e mi trovai a tu per tu<br />

con Isabel, seduta nel banco accanto al mio. Restai sorpresa quando mi<br />

accorsi che non era perfetta come al solito; il trucco non riusciva a<br />

coprirle le occhiaie, e non c'era nulla che potesse mascherare gli occhi<br />

arrossati. «Come, scusa?»<br />

«Su Jack. Se sai qualcosa di lui.»<br />

La guardai, diffidente. Una volta avevo sentito dire che gli avvocati<br />

non fanno mai una domanda di cui non conoscano già la risposta, e la<br />

voce di Isabel era sorprendentemente sicura.<br />

Infilò un braccio snello e artificialmente abbronzato nella borsa ed<br />

estrasse un mazzo di fogli. Li buttò sopra il mio libro di poesia. «La tua<br />

amica ha fatto cadere queste.»<br />

Ci misi un po' a capire che era un plico di foto stampate su carta lucida<br />

e che dovevano essere di Olivia. Il mio stomaco fece una capriola. Le<br />

prime foto ritraevano il bosco, niente di notevole. Poi ecco i lupi. Il lupo<br />

pazzo chiazzato, seminascosto dagli alberi. E quel lupo nero, non<br />

ricordavo se Sam mi aveva detto come si chiamava. Esitai, le dita sul<br />

bordo della foto, pronte a passare a quella dopo. Isabel si era<br />

vistosamente irrigidita, perché si stava preparando alla reazione che<br />

avrei avuto davanti all'immagine seguente. Sapevo che qualsiasi cosa


Olivia avesse immortalato sulla pellicola sarebbe stato difficile da<br />

spiegare.<br />

Alla fine, con impazienza, Isabel si sporse sullo stretto corridoio tra un<br />

banco e l'altro e sfilò le foto in cima alla pila. «Vai avanti.»<br />

Era una foto di Jack. Jack da lupo. Un primo piano dei suoi occhi nel<br />

muso di un lupo.<br />

E l'altra era di Jack in sé e per sé. Come persona. Nudo.<br />

Lo scatto aveva una sorta di rude potenza artistica; sembrava quasi<br />

che Jack si fosse messo in posa per il modo in cui stringeva le braccia<br />

attorno al corpo, il capo voltato sopra la spalla, rivolto all'obbiettivo, e<br />

i graffi evidenti sulla curva lunga e pallida della schiena.<br />

Mi morsi il labbro e guardai il suo volto in entrambe le foto. Non era<br />

stato ritratto mentre si trasformava, ma la somiglianza degli occhi era<br />

impressionante. Quel primo piano del muso da lupo era lo scatto-chiave.<br />

E poi d'improvviso capii il vero significato di quelle immagini, perché<br />

erano così importanti. Non per il fatto che Isabel sapeva. Ma per il fatto<br />

che Olivia sapeva. Olivia aveva fatto quelle foto, quindi doveva sapere<br />

di certo. Ma da quanto tempo lo sapeva, e perché non me l'aveva detto?<br />

«Di' qualcosa.»<br />

Alla fine alzai lo sguardo verso Isabel. «Cosa vuoi che dica?»<br />

Isabel si lasciò sfuggire uno sbuffo d'irritazione. «Le vedi anche tu,<br />

queste foto. É vivo. É proprio lì.»<br />

Guardai di nuovo la foto di Jack, che fissava i boschi. Sembrava che<br />

avesse freddo nella sua nuova pelle. «Non so che cosa vuoi che dica.<br />

Cosa vuoi da me?»<br />

Parve lottare con se stessa. Per un attimo ebbi paura che volesse<br />

saltarmi addosso; invece chiuse gli occhi. Li aprì e guardò altrove, verso<br />

la lavagna elettronica. «Tu non hai un fratello, vero? Niente fratelli o<br />

sorelle, se non sbaglio.»<br />

«No, sono figlia unica.»<br />

Isabel scrollò le spalle. «Allora non so come fare a spiegartelo. Lui è


mio fratello. Pensavo che fosse morto. Ma non è così. É vivo. Ed è<br />

proprio lì, ma non so dove sia quel posto. Non so neppure che cosa sia<br />

lui. Ma credo che tu lo sappia. Solo che non vuoi aiutarmi.» Mi guardò e<br />

i suoi occhi lampeggiarono, feroci. «Cosa ti ho fatto?»<br />

Inciampai su quelle parole. Era vero, Jack era suo fratello. E lei aveva<br />

tutto il diritto di sapere. Se solo non fosse stata Isabel a chiederlo. Dissi:<br />

«Isabel... è bene che tu sappia perché ho paura di parlare con te. Lo so<br />

che non mi hai fatto nulla personalmente. Ma conosco gente che tu<br />

invece hai distrutto. Quindi spiegami perché dovrei fidarmi.»<br />

Isabel mi sfilò le foto dalle mani e le ficcò nella borsa. «Per quello che<br />

hai detto. Perché non ti ho mai fatto nulla. O forse perché credo che<br />

qualsiasi cosa stia succedendo a Jack sta succedendo anche al tuo<br />

ragazzo.»<br />

Rimasi paralizzata oltre ogni misura al pensiero delle foto che non<br />

avevo visto. C'era Sam? Forse Olivia sapeva dei lupi da molto più tempo<br />

di me. Cercai di ripassare per filo e per segno quello che mi aveva detto<br />

durante la nostra lite, tentando di ricordare ogni possibile doppio senso.<br />

Isabel mi fissava, aspettando che dicessi qualcosa, e io non sapevo che<br />

cosa dire. Alla fine, sbottai: «Okay, smettila di fissarmi. Lasciami<br />

riflettere.» La porta della classe sbatté: gli studenti iniziavano a entrare.<br />

Strappai una pagina di quaderno e scrissi il mio numero di telefono.<br />

«Questo è il mio cellulare. Chiamami quando vuoi dopo la scuola e<br />

troveremo un posto per incontrarci.»<br />

Isabel prese il numero. Mi aspettavo di vederle un'espressione<br />

soddisfatta, ma con mia sorpresa sembrava star male quanto me. I lupi<br />

erano un segreto che nessuno voleva condividere.<br />

«Abbiamo un problema.»<br />

Sam, dietro il volante, si voltò a guardarmi. «Non dovresti essere<br />

ancora a lezione?»<br />

«Sono uscita prima.» L'ultima lezione era arte. E in ogni caso nessuno<br />

avrebbe sentito la mia mancanza né tantomeno la mancanza delle mie


abominevoli sculture di argilla e filo spinato. «Isabel lo sa.»<br />

Sam batté le palpebre, lentamente. «Chi è Isabel?»<br />

«La sorella di Jack, ricordi?» Abbassai il riscaldamento - Sam l'aveva<br />

impostato a una temperatura infernale - e cacciai lo zaino tra i miei piedi.<br />

Gli raccontai della nostra discussione, tralasciando quanto fosse<br />

raccapricciante la foto di Jack-uomo. «Non ho idea di cosa ritraessero le<br />

altre foto.»<br />

Sam evitò la domanda su Isabel. «Erano di Olivia, quelle foto?»<br />

«Sì.»<br />

Aveva la preoccupazione stampata in volto. «Chissà se c'entra col<br />

comportamento di Olivia in libreria. Nei miei confronti.» Dato che non<br />

risposi, rimase a fissare il volante o qualcosa più in là. «Tutte quelle<br />

osservazioni sui miei occhi avrebbero una spiegazione logica. Stava<br />

cercando di farci confessare.»<br />

Dissi: «Sì, è così. Avrebbe molto senso.»<br />

Trasse un lungo sospiro. «Mi è tornato in mente quello che ha detto<br />

Rachel. Sul lupo a casa di Olivia.»<br />

Chiusi gli occhi e li riaprii: avevo ancora davanti l'immagine di Jack<br />

che si stringeva le braccia al corpo. «Uh. Non voglio pensarci. E che cosa<br />

si fa con Isabel? Non posso evitarla. E non posso continuare a mentire;<br />

farei solo la figura dell'idiota.»<br />

Sam mi fece un mezzo sorriso. «Be', io vorrei chiederti che tipo di<br />

persona è, e cosa pensi che dovremmo fare...»<br />

«... ma io faccio schifo a leggere la mente delle persone» completai la<br />

frase per lui.<br />

«L'hai detto tu, non io, ricordatelo.»<br />

«Okay, quindi che si fa? Perché mi sento l'unica qui ad essere nel<br />

panico? Tu sei così... calmo.»<br />

Sam scrollò le spalle. «Forse perché sono del tutto impreparato a una<br />

cosa del genere. Non me la sento di fare un piano se prima non la<br />

incontro. Se avessi parlato con lei quando aveva le foto, forse sarei


preoccupato, ma in questo momento non riesco a pensare a cosa fare.<br />

Non lo so. Isabel mi sembra un nome affabile.»<br />

Risi. «Sei fuori strada.»<br />

Fece un'espressione melodrammatica, e la sua smorfia di dolore era<br />

così esagerata che mi sentii meglio. «É una persona orribile?»<br />

«Ho sempre pensato di sì. Vuoi sapere qual è la mia opinione adesso?»<br />

Scrollai le spalle. «Sospendo il giudizio. Che si fa?»<br />

«Penso che dobbiamo incontrarla.»<br />

«Insieme? Dove?»<br />

«Sì, insieme. Non è solo un problema tuo. Non lo so. In un posto<br />

tranquillo. Un posto dove posso farmi un'idea di lei prima di decidere<br />

cosa dirle.» Aggrottò le sopracciglia. «Non sarebbe il primo componente<br />

di una famiglia a scoprire la verità.»<br />

Dal suo sguardo accigliato sapevo che non si riferiva ai suoi genitori:<br />

se fosse stato così, la sua espressione non sarebbe cambiata.<br />

«No?»<br />

«La moglie di Beck lo sapeva.»<br />

«Perché usi il passato?»<br />

«Cancro al seno. É successo molto tempo prima che arrivassi io. Non<br />

l'ho mai conosciuta. É stato Paul a parlarmi di lei. Beck non voleva che lo<br />

sapessi. Dato che la gente in genere non si comporta bene con noi, forse<br />

non voleva lasciarmi credere di poter andare in giro come se niente fosse<br />

a cercarmi una mogliettina o roba simile.»<br />

Mi sembrava ingiusto che su una coppia dovessero abbattersi due<br />

tragedie del genere. Mi resi conto, troppo tardi per dirlo, che nella sua<br />

voce c'era un tono d'amarezza che non avevo mai sentito prima. Pensai<br />

di dire qualcosa, chiedergli di Beck, ma il momento era sfumato, perso<br />

nel rumore non appena Sam aveva acceso la radio e pigiato<br />

l'acceleratore.<br />

Usci dal parcheggio, la fronte corrugata dai pensieri. «Al diavolo le<br />

regole» disse. «Voglio conoscerla.»


Capitolo quarantadue • Sam<br />

12 °C<br />

Le prime parole in assoluto che sentii pronunciare a Isabel furono:<br />

«Posso sapere perché diavolo andiamo a fare una torta salata invece di<br />

parlare di mio fratello?» Era appena scesa da un imponente SUV bianco<br />

che in pratica occupava tutto il vialetto dei Brisbane. La prima cosa che<br />

pensai di lei fu: alta, forse per i tacchi di dodici centimetri degli stivali a<br />

punta che indossava. La seconda cosa fu: boccoli, perché ne aveva più lei<br />

di una bambola di porcellana.<br />

«No» disse Grace, e la adorai per il modo in cui lo disse, perché non<br />

lasciava spazio a trattative.<br />

Isabel emise un verso che, se convertito in un missile, avrebbe avuto<br />

abbastanza vetriolo da radere al suolo una cittadina. «Allora posso<br />

chiedere chi è lui?»<br />

Le lanciai un'occhiata, in tempo per sorprenderla a guardarmi il<br />

sedere. Distolse subito lo sguardo quando io ripetei: «No.»<br />

Grace ci portò in casa. Si voltò verso Isabel, nell'ingresso, e disse: «Non<br />

fare domande su Jack. Mia mamma è a casa.»<br />

«Sei tu, Grace?» gridò la madre di Grace dal piano di sopra.<br />

«Sì! Facciamo una torta salata!» Grace appese il cappotto e ci fece<br />

cenno di imitarla.<br />

«Ho portato un po' di roba dallo studio, spostatela pure» le gridò sua<br />

madre.<br />

Isabel arricciò il naso e tenne addosso la giacca foderata di pelliccia.<br />

Mentre Grace spostava le scatole contro la parete per liberare un<br />

passaggio in quel disordine, Isabel rimase indietro con le mani in tasca.<br />

Sembrava del tutto fuori luogo in quella cucina confortevole e affollata.<br />

Non riuscivo a decidere se erano i suoi perfetti boccoli artificiali a<br />

rendere il pavimento di linoleum non troppo bianco più patetico o se<br />

era il vecchio pavimento crepato a rendere i suoi capelli più perfetti e più


finti. Fino ad allora non avevo mai considerato sciatta quella cucina.<br />

Isabel si ritrasse quando Grace si rimboccò le maniche e si lavò le mani<br />

nel lavello.<br />

«Sam, accendi la radio e cerca qualcosa di bello, ok?»<br />

Trovai un piccolo stereo portatile sul bancone, in mezzo ai barattoli<br />

del sale e dello zucchero, e lo accesi.<br />

«Oh, mio Dio, facciamo davvero la torta salata» si lamentò Isabel.<br />

«Credevo che fosse una parola in codice per qualcos'altro.» Le feci un<br />

largo sorriso e lei mi fissò con espressione adirata. Ma era eccessivamente<br />

adirata: la sua rabbia non mi convinceva fino in fondo. Qualcosa nei suoi<br />

occhi mi fece pensare che quella situazione in qualche modo la<br />

incuriosisse. E la situazione era la seguente: non mi sarei fidato di Isabel<br />

finché non mi fossi accertato, al cento per cento, di che genere di persona<br />

fosse.<br />

A quel punto entrò la madre di Grace, portandosi dietro un odore di<br />

acquaragia all'arancia. «Ciao, Sam. Anche tu fai la torta salata?»<br />

«Ci provo» dissi, sincero.<br />

Lei rise. «Divertente. E lei chi è?»<br />

«Isabel» disse Grace. «Mamma, sai dov'è il libro di cucina verde? È<br />

sempre stato qui. C'è la ricetta della torta salata.»<br />

Sua madre scrollò le spalle, indifferente, e si inginocchiò accanto a una<br />

delle scatole sul pavimento. «Deve essersene andato a spasso. Che musica<br />

è, santo cielo? Sam, puoi trovare qualcosa di meglio.»<br />

Mentre Grace frugava tra i libri di cucina disposti in fila in un angolo<br />

del bancone, io cliccai sulle diverse stazioni radio finché, quando arrivai a<br />

una che trasmetteva musica pop-funky, la madre di Grace disse: «Fermo<br />

lì!» Era in piedi, con una scatola in mano. «Mi sa che qui ho finito.<br />

Divertitevi, ragazzi. Tornerò... prima o poi.»<br />

Grace parve accorgersi a malapena che sua madre era uscita. Mi fece<br />

un cenno. «Isabel, uova, formaggio e latte sono in frigo. Sam, dobbiamo<br />

stendere la pasta sfoglia. Potresti riscaldare il forno a 250 ° e prendere dei


contenitori?»<br />

Isabel scrutò dentro il frigo. «Ci sono all'incirca ottomila varietà di<br />

formaggi qui. Per me uno vale l'altro.»<br />

«Occupati del forno, ai formaggi e al resto ci pensa Sam. Lui sa<br />

riconoscere il cibo» disse Grace. Si mise in punta di piedi per prendere la<br />

farina da un armadietto in alto; allungava il corpo in maniera così<br />

sublime che avevo un desiderio disperato di toccarle la pelle nuda sulla<br />

parte bassa della schiena. Poi afferrò la farina e io persi l'opportunità, così<br />

mi scambiai di posto con Isabel, presi del formaggio saporito, le uova e il<br />

latte e li posai sul bancone.<br />

Quando ebbi finito di rompere le uova e unirvi un po' di maionese,<br />

Grace aveva già tagliato e mescolato gli ingredienti e li stava versando<br />

nella ciotola. D'improvviso la cucina fu in pieno fermento, come se<br />

fossimo un drappello militare.<br />

«Cosa diavolo è questo?» domandò Isabel, fissando un pacchetto che<br />

le aveva dato Grace.<br />

Grace fece una risata sbuffante. «Funghi.»<br />

«Sembrano usciti dal culo di una mucca.»<br />

«Terrei volentieri una mucca così» disse Grace, sporgendosi oltre Isabel<br />

per mettere del burro in un tegame. «Il suo sedere varrebbe un miliardo.<br />

Soffriggili per alcuni minuti finché non ti sembrano squisiti.»<br />

«Per quanto?»<br />

«Finché non ti sembrano deliziosi» ripetei io.<br />

«Ascolta il ragazzo» disse Grace. Allungò la mano. «Tegame!»<br />

«Aiutala» dissi a Isabel. «Ci penserò io a controllare quando sono<br />

deliziosi dato che tu non sei in grado.»<br />

«Io sono già deliziosa» mormorò Isabel. Porse due tegami a Grace e<br />

Grace rapidamente stese la pasta sfoglia - che magia! - sul fondo di<br />

ciascuno. Poi mostrò a Isabel come arricciare i bordi. L'intero processo<br />

sembrava ben rodato; ero sicuro che Grace avrebbe fatto molto più in<br />

fretta senza me e Isabel.


Isabel mi sorprese mentre sorridevo guardandole arricciare la crosta.<br />

«Cosa sorridi? Pensa ai tuoi funghi!»<br />

Salvai i funghi in tempo e aggiunsi gli spinaci che Grace mi aveva<br />

messo tra le mani.<br />

«Il mio mascara» sbottò Isabel levando la voce sopra il baccano<br />

crescente; mi voltai e vidi lei e Grace che ridevano e gridavano tritando<br />

le cipolle. Poi l'odore forte dei pezzi di cipolla mi arrivò al naso e salì fino<br />

agli occhi.<br />

Diedi loro la mia padella per il soffritto. «Buttatele qui. Farà perdere<br />

loro un po' di odore.»<br />

Isabel versò i funghi in una teglia e Grace mi diede una pacca sul<br />

sedere con una mano sporca di farina. Mentre io tendevo il collo per<br />

vedere se mi avesse lasciato l'impronta, Grace strofinò la mano nella<br />

farina rimasta in modo da sporcarla per bene e ci provò di nuovo.<br />

«La mia canzone preferita!» disse Grace tutt'a un tratto. «Alza il<br />

volume! Alza!»<br />

Era Mariah Carey, al suo peggio, ma era perfetta per l'occasione. Alzai<br />

il volume finché i piccoli amplificatori non fecero tremare i barattoli<br />

vicini. Afferrai la mano di Grace e la trassi a me e cominciammo a ballare<br />

come se fosse la cosa più naturale del mondo, terribilmente goffi e<br />

perdutamente sensuali: lei che si schiacciava contro di me, le mani in alto,<br />

io con le braccia attorno alla sua vita, troppo in basso per essere una<br />

stretta casta.<br />

Pensai tra me e me: Una vita si misura da momenti come questo.<br />

Grace gettò la testa all'indietro, il collo sottile e pallido contro la mia<br />

spalla, e si protese a ricevere un bacio, e poco prima che glielo dessi vidi<br />

gli occhi malinconici di Isabel fissare la mia bocca che sfiorava quella di<br />

Grace.<br />

«Dimmi a quanto devo mettere il timer» disse Isabel, incrociando il<br />

mio sguardo e poi distogliendolo. «E poi vi va se parliamo...?»<br />

Grace era ancora aggrappata a me, al sicuro tra le mie braccia,<br />

cosparsa di farina e cosi stuzzicante, dalla testa ai piedi, che morivo dalla


voglia di restare da solo con lei, lì e in quel preciso istante. Fece un cenno<br />

pigro verso il libro di cucina aperto sul bancone, ubriaca della mia<br />

presenza. Isabel consultò la ricetta e puntò il timer.<br />

Ci fu un attimo di silenzio quando ci rendemmo conto che avevamo<br />

finito, e poi trassi un respiro e affrontai Isabel: «Okay, ti dirò cosa sta<br />

succedendo a Jack.»<br />

Sia Isabel che Grace mi guardarono allarmate.<br />

«Sediamoci» suggerì Grace, liberandosi dalle mie braccia. «Da quella<br />

parte c'è il salotto. Faccio il caffè.»<br />

Cosi io e Isabel andammo verso il salotto. Anche lì, come in cucina,<br />

c'era un disordine che non avevo notato prima che venisse Isabel. Per<br />

potersi sedere sul divano dovette spostare una pila di biancheria da<br />

piegare. Non volevo sedermi accanto a lei, così presi posto di fronte, su<br />

una sedia a dondolo.<br />

Guardandomi con la coda dell'occhio, Isabel chiese: «Perché non sei<br />

come Jack? Perché non passi da una forma all'altra?»<br />

Non mi feci cogliere alla sprovvista; forse sarei rimasto spiazzato se<br />

Grace non mi avesse già avvertito di quanto Isabel fosse vicina alla verità.<br />

«Per molto tempo è stato così anche per me. Più vai avanti più ti<br />

stabilizzi. All'inizio non fai che passare da una forma all'altra,<br />

continuamente. Il freddo è la causa principale, ma non l'unica.»<br />

Subito mi rivolse un'altra domanda a bruciapelo: «Sei stato tu a farlo a<br />

Jack?»<br />

Lasciai che il disgusto mi si leggesse in volto. «Non so chi è stato. Siamo<br />

pochi, e non tutti sono brave persone.» Non accennai alla carabina di<br />

Jack.<br />

«Perché è così arrabbiato?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so. Forse perché è una persona<br />

arrabbiata?»<br />

L'espressione di Isabel divenne... appuntita.<br />

«Ascolta, non è che se vieni morso diventi per forza un mostro.


Diventi un lupo e basta. Sei quello che sei. Da lupo, o nella fase di<br />

trasformazione, non hai inibizioni umane, quindi se per natura sei<br />

irascibile o violento, non fai che peggiorare.»<br />

Entrò Grace, portando tre tazze di caffè in equilibrio precario. Isabel<br />

prese quella con il castoro e io quella con il nome di una banca. Grace si<br />

sedette sul divano accanto a Isabel.<br />

Isabel chiuse gli occhi per un istante. «Okay. Quindi fatemi capire<br />

bene. Mio fratello non è stato davvero ucciso dai lupi. É stato solo<br />

aggredito e poi trasformato in un lupo mannaro? Scusate, mi sfugge tutta<br />

la parte sulla "resurrezione". E non c'entrano anche le lune e i proiettili<br />

d'argento e tutte quelle sciocchezze lì?»<br />

«É guarito da solo, ma ci è voluto un po'» le dissi. «Non era davvero<br />

morto. Non so come ha fatto a scappare dall'obitorio. La luna e le storie<br />

sull'argento sono solo un mito. Non so come spiegarlo. É... è una<br />

malattia che peggiora col freddo. Credo che il mito della luna sia nato<br />

perché di notte fa più freddo, e quindi i nuovi lupi si trasformano<br />

soprattutto di notte. E per questo motivo la gente pensa che sia colpa<br />

della luna.»<br />

Sembrava che Isabel la stesse prendendo piuttosto bene. Non stava<br />

per svenire, e non avvertivo nemmeno l'odore della paura. Sorseggiò il<br />

caffè. «Grace, è disgustoso» disse.<br />

«É caffè solubile» si scusò Grace.<br />

Isabel chiese: «Quindi mio fratello mi riconosce quando è un lupo?»<br />

Grace mi guardò in faccia; non riuscii a ricambiare il suo sguardo<br />

quando risposi: «Forse, un po'. Alcuni di noi, quando sono lupi, non si<br />

ricordano niente della loro vita. Altri ricordano qualcosa.»<br />

Grace distolse lo sguardo e sorseggiò il caffè, fingendo che<br />

l'argomento non la toccasse.<br />

«Quindi c'è un branco?»<br />

Isabel faceva domande molto precise. Annuii. «Però Jack non l'ha<br />

ancora trovato. O forse è il branco che non ha trovato Jack.»


Per un lungo momento Isabel fece scorrere un dito sul bordo della<br />

tazza. Infine spostò lo sguardo da Grace a me e viceversa. «D'accordo,<br />

allora dove sta l'inghippo?»<br />

Battei le palpebre. «Cosa vuoi dire?»<br />

«Insomma, voi siete seduti qui a chiacchierare, e Grace cerca di far<br />

finta che vada tutto bene, ma non va tutto bene, giusto?»<br />

In fondo la sua intuizione non avrebbe dovuto sorprendermi. Non<br />

arrivi in cima alla catena alimentare della scuola superiore se non sei<br />

bravo a leggere dentro le persone. Affondai lo sguardo nella mia tazza,<br />

ancora piena. Non mi piaceva il caffè: era troppo forte e amaro. Ero un<br />

lupo da molto tempo; avevo perso il gusto. «Abbiamo delle date di<br />

scadenza. Più tempo è passato da quando siamo stati morsi, meno<br />

freddo ci basta per trasformarci in lupi. E più calore ci serve per<br />

ridiventare umani. Alla fine non ci trasformiamo più, non diventiamo<br />

più umani.»<br />

«Quanto tempo ci vuole?»<br />

Non guardai Grace. «Dipende da lupo a lupo. Per molti è questione di<br />

parecchi anni.»<br />

«Ma non per te.»<br />

Zitta, Isabel. Non volevo mettere ancora alla prova l'espressione<br />

inalterata di Grace. Mi limitai a scrollare la testa, molto lentamente,<br />

sperando che Grace stesse davvero guardando fuori dalla finestra e non<br />

me.<br />

«Che succederebbe se vivessi in Florida, o in un posto dove fa molto<br />

caldo?»<br />

Ero sollevato di non essere più l'oggetto della nostra conversazione.<br />

«Alcuni di noi ci hanno provato. Non funziona. Ti rende soltanto<br />

ipersensibile al minimo sbalzo di temperatura.» Ulrik, Melissa e un lupo<br />

di nome Bauer erano andati in Texas per un anno con la speranza di<br />

superare l'inverno. Ricordavo ancora la telefonata eccitata di Ulrik dopo<br />

alcune settimane in cui era riuscito a non trasformarsi: e poi invece era<br />

tornato scoraggiato, senza Bauer, dopo che erano passati da una porta


leggermente socchiusa di un negozio con l'aria condizionata e Bauer<br />

aveva cambiato forma all'istante. A quanto pare, la Protezione Animali<br />

del Texas non credeva nelle pistole tranquillanti.<br />

«E l'equatore? Dove la temperatura non cambia mai?»<br />

«Non lo so.» Cercai di non sembrare esasperato. «Nessuno di noi si è<br />

mai deciso ad andare nella foresta pluviale, ma lo terrò a mente per<br />

quando vinco alla lotteria.»<br />

«Non c'è bisogno di fare lo stronzo» disse Isabel, posando la tazza su<br />

una pila di riviste. «Era solo una domanda. Quindi tutti quelli che<br />

vengono morsi si trasformano, giusto?»<br />

Tutti tranne l'unica che vorrei portare con me. «Più o meno.» Mi<br />

accorsi di quanto la mia voce sembrasse stanca, e non mi importava.<br />

Isabel arricciò le labbra e pensai che si sarebbe spinta oltre; invece no.<br />

«Mio fratello è un lupo mannaro, un lupo mannaro vero e proprio, e<br />

non ci sono cure.»<br />

Gli occhi di Grace si ridussero a due fessure; avrei dato non so che per<br />

sapere a cosa stava pensando. «Sì. Hai afferrato il concetto. Ma dato che<br />

già sapeva tutto, perché ce l'hai chiesto?»<br />

Isabel si strinse nelle spalle. «Forse mi aspettavo che qualcuno saltasse<br />

fuori dal tendone e dicesse: "Ci sei cascata! I lupi mannari non esistono!<br />

Credulona!"»<br />

Volevo dirle che infatti era così, i lupi mannari non esistono. Ci sono<br />

gli esseri umani, e ci sono i lupi, e poi ci sono quelli come me che si<br />

trovano nella via di mezzo tra l'una e l'altra forma. Ma ero stanco e non<br />

dissi niente.<br />

«Mi prometti che non lo dirai a nessuno?» disse Grace,<br />

intromettendosi bruscamente. «Non credo che tu l'abbia ancora detto a<br />

qualcuno, ma da adesso in poi è vietato.»<br />

«Mi credi un'idiota? Mio padre si è messo a sparare a un lupo perché<br />

era arrabbiato per quello che è successo e secondo te mi verrebbe in<br />

mente di dirgli che Jack è uno di loro? Per non parlare di mia madre, che<br />

è già imbottita di pillole. Che grande aiuto sarebbe! Affronterò la


faccenda da sola.»<br />

Io e Grace ci scambiammo uno sguardo che diceva: Ottimo intuito,<br />

Sam.<br />

«Ci siamo noi con te» aggiunse Grace. «Ti aiuteremo come possiamo.<br />

Jack non deve restare solo, ma innanzitutto dobbiamo trovarlo.»<br />

Isabel spazzò via una particella invisibile di polvere da uno dei suoi<br />

stivali, come se non sapesse che farsene della gentilezza. Alla fine disse,<br />

continuando a fissare gli stivali: «Non lo so. L'ultima volta che l'ho visto<br />

non è stato molto gentile. Non so se ho voglia di trovarlo.»<br />

«Mi spiace» dissi.<br />

«Per cosa?»<br />

Perché non posso dirti che quel brutto carattere è causato dal morso e<br />

svanirà. Alzai le spalle. Lo facevo molto spesso. «Perché non posso darti<br />

notizie più allegre.»<br />

Si sentì un ronzio basso e irritante provenire dalla cucina.<br />

«La torta salata è pronta» disse Isabel. «Almeno ho un premio di<br />

consolazione.» Guardò me e poi Grace. «Fra poco smetterà di passare da<br />

una forma all'altra, giusto? Perché l'inverno è vicino.»<br />

Annuii.<br />

«Bene» disse Isabel. Guardò fuori dalla finestra i rami spogli degli<br />

alberi. Poi guardò verso il bosco che ormai era la casa di Jack, e fra non<br />

molto sarebbe stata la mia.<br />

«Non vedo l'ora.»


Capitolo quarantatré • Grace<br />

7 °C<br />

Ero uno zombie di insonnia. Ero<br />

Saggio d'inglese<br />

La voce di Mr. Rink<br />

Luce tremolante fluorescente sopra il banco<br />

Esame di biologia propedeutico al college<br />

Faccia pietrificata di Isabel<br />

Occhi grevi<br />

«Terra chiama Grace» disse Rachel, dandomi un pizzicotto sul gomito<br />

mentre mi superava sul marciapiede. «C'è Olivia. Non l'avevo neppure<br />

vista in classe, tu?»<br />

Seguii lo sguardo di Rachel e osservai i ragazzi che aspettavano<br />

l'autobus della scuola. Olivia era tra di loro, e saltellava per tenersi al<br />

caldo. Niente macchina fotografica. Ripensai alle foto. «Devo parlare<br />

con lei.»<br />

«Sì, per forza» disse Rachel. «Perché dovete ricominciare a parlarvi<br />

prima delle vacanze di Natale, quando andremo in un posto caldo e<br />

soleggiato. Verrei con te, ma papà mi sta aspettando e ha un<br />

appuntamento a Duluth. Gli cresceranno le zanne se non lo raggiungo<br />

subito. Poi mi racconti!»<br />

Corse verso il parcheggio e io andai lentamente verso Olivia. «Olivia.»<br />

Ebbe un sussulto, e io le afferrai il gomito come se altrimenti potesse<br />

volare via. «Ho provato a chiamarti.»<br />

Olivia si tirò giù il berretto di lana e si abbracciò il corpo contro il<br />

freddo. «Sì?»<br />

Per un singolo istante pensai di aspettare che fosse lei a dire qualcosa.<br />

Per vedere se avrebbe confessato di sua spontanea volontà di sapere<br />

tutto sui lupi. Ma gli autobus si stavano avvicinando e non volevo


aspettare. Abbassai la voce e le dissi all'orecchio: «Ho visto le fotografie.<br />

Di Jack.»<br />

Si voltò di colpo a guardarmi. «Sei stata tu a prenderle?»<br />

Cercai, con discreto successo, di non usare un tono d'accusa. «Me le ha<br />

fatte vedere Isabel.»<br />

Olivia impallidì.<br />

Le chiesi: «Perché non me l'hai detto? Perché non mi hai chiamato?»<br />

Si morse il labbro e si voltò dall'altra parte. «All'inizio stavo per farlo.<br />

Volevo dirti che avevi ragione. Ma poi ho incontrato Jack e mi ha detto<br />

che non potevo raccontarlo a nessuno, e mi sono sentita in colpa, come<br />

se stessi facendo qualcosa di sbagliato.»<br />

La fissai. «Hai parlato con lui?»<br />

Olivia alzò le spalle, triste, e tremò per il freddo che si stava facendo<br />

più intenso. «Stavo facendo delle foto ai lupi, come sempre, e l'ho visto.<br />

L'ho visto» - abbassò la voce e si sporse verso di me - «trasformarsi.<br />

Ridiventare umano. Non potevo crederci. Ed era nudo, e non eravamo<br />

lontani da casa mia così l'ho fatto venire da me, e gli ho dato dei vestiti di<br />

John. Forse stavo cercando di convincere me stessa che non ero pazza.»<br />

«Grazie» dissi, sarcastica.<br />

Le ci volle un attimo. Poi disse, tutto d'un fiato: «Oh, Grace. Lo so. So<br />

che me l'avevi detto sin dall'inizio, ma cosa avrei dovuto fare, crederti?<br />

Sembra impossibile. Anche a vederlo sembra impossibile. Ma mi<br />

dispiaceva per lui. Adesso non ha più nessuna identità.»<br />

«Da quanto tempo va avanti questa storia?» Qualcosa non mi tornava.<br />

Tradimento. Avevo parlato fin dall'inizio con Olivia dei miei sospetti, e<br />

lei ammetteva che avevo ragione solo dopo che ero stata io ad<br />

affrontare l'argomento.<br />

«Non lo so. Per un po' gli ho dato del cibo e gli ho lavato i vestiti. Non<br />

ho idea di dove stia. Parlavamo un sacco, finché non abbiamo litigato<br />

per via di una possibile cura. Ho saltato le lezioni per parlare con lui e per<br />

cercare di fare altre foto dei lupi. Volevo vedere se riuscivo a cogliere


qualcun altro durante la trasformazione.» Fece una pausa. «Grace, ha<br />

detto che tu sei stata morsa e sei guarita.»<br />

«È vero. Che sono stata morsa. Lo sapevi già. Ma ovviamente non mi<br />

sono mai trasformata in lupo.»<br />

I suoi occhi mi fissarono con intensità. «Mai?»<br />

Scossi la testa. «No. L'hai detto a qualcun altro?»<br />

Olivia mi lanciò un altro sguardo raggelante. «Non sono un'idiota.»<br />

«Be', Isabel è riuscita ad avere le foto. Se c'è riuscita lei, può riuscirci<br />

chiunque.»<br />

«Non ho nessuna foto che mostri cosa succede veramente» disse<br />

Olivia. «Te l'ho detto, non sono una perfetta idiota. Ho solo le foto del<br />

prima e del dopo. E chi potrebbe crederci vedendole?»<br />

«Isabel» dissi.<br />

Olivia mi guardò accigliata. «Sono prudente. Comunque non lo vedo<br />

da quando abbiamo litigato. Devo andare.» Fece un cenno verso<br />

l'autobus. «Davvero non ti sei mai trasformata?»<br />

Toccò a me lanciarle uno sguardo pietrificante. «Non ti ho mai<br />

mentito, Olive.»<br />

Rimase a fissarmi per un bel pezzo. Poi disse: «Vuoi venire a casa mia?»<br />

Un po' avrei voluto che dicesse che le dispiaceva. Di non essersi fidata<br />

di me. Di non aver risposto alle mie chiamate. Del nostro litigio. Di non<br />

avermi detto che avevo ragione. Quindi mi limitai a dire: «Sto<br />

aspettando Sam.»<br />

«D'accordo. Facciamo in settimana?»<br />

Battei le palpebre. «Forse.»<br />

E poi andò via, salì sull'autobus, divenne una sagoma dietro i finestrini<br />

che andava verso i sedili in fondo. Avevo pensato che sentirla ammettere<br />

che sapeva dei lupi mi avrebbe dato un senso di... questione risolta;<br />

invece tutto quello che provavo era una spiacevole inquietudine.<br />

Avevamo passato un sacco di tempo a cercare Jack, e Olivia aveva<br />

sempre saputo dove trovarlo. Non sapevo bene che cosa pensare.


La Bronco avanzava lentamente verso di me. Vedere Sam dietro il<br />

volante mi diede quella pace che la conversazione con Olivia non era<br />

riuscita a darmi: strano come il semplice fatto di vedere la mia macchina<br />

potesse rendermi felice.<br />

Sam si protese per aprirmi la portiera dal lato del passeggero. Aveva<br />

ancora l'aria stanca. Mi porse del caffè fumante in un bicchiere di<br />

polistirolo. «Ti è appena squillato il telefono.»<br />

«Grazie.» Salii sulla Bronco e accettai il caffè con gratitudine. «Oggi<br />

sono uno zombie. Morivo dal bisogno di caffeina e ho appena avuto la<br />

conversazione più strana della mia vita con Olivia. Te ne parlo non<br />

appena mi sono caffeinizzata a dovere. Dov’è il mio telefono?» Sam<br />

indicò il vano portaoggetti.<br />

Lo aprii e presi il telefono. Un nuovo messaggio. Digitai il numero<br />

della segreteria, misi in vivavoce, e mentre mi voltavo verso Sam feci<br />

partire il messaggio.<br />

«Adesso sono pronta» gli dissi.<br />

Sam mi guardò, le sopracciglia a punto interrogativo. «Per cosa?»<br />

«Per avere il bacio che mi spetta.»<br />

Sam si succhiò il labbro. «Preferisco gli attacchi a sorpresa.»<br />

«Hai un nuovo messaggio» disse la voce femminile preregistrata della<br />

segreteria.<br />

Feci una smorfia e mi abbandonai sullo schienale. «Mi fai diventare<br />

pazza.»<br />

Lui sorrise.<br />

«Ciao, tesoro! Non indovinerai mai chi ho incontrato oggi!» La voce<br />

della mamma esplose dal vivavoce.<br />

«Se vuoi, puoi saltarmi addosso» suggerii. «A me andrebbe bene.»<br />

La mamma era eccitata. «Naomi Ett! Ce l'hai presente? La mia<br />

compagna di scuola.»<br />

«Non pensavo che fossi quel genere di ragazza» disse Sam. Forse era in<br />

vena di scherzi.


La mamma continuò: «Adesso è sposata e tutto, e si ferma in città<br />

pochissimo, quindi io e papà staremo un po' con lei.»<br />

Lo guardai accigliata. «Non lo sono. Ma con te non ho altra scelta.»<br />

«Quindi stanotte faremo molto tardi» concludeva il messaggio.<br />

«Ricordati che in frigo ci sono gli avanzi e ovviamente se hai bisogno<br />

puoi chiamarci al cellulare.»<br />

I miei avanzi. Dello sformato che avevo fatto io.<br />

Sam prese a fissare il telefono quando partì la voce preregistrata alla<br />

fine del messaggio. «Per riascoltare il messaggio premere uno. Per<br />

cancellare il messaggio... »<br />

Lo cancellai. Sam continuava a fissare il telefono, lo sguardo lontano.<br />

Non sapevo a che cosa stava pensando. Forse, come me, la sua testa era<br />

piena di una decina di problemi diversi, tutti troppo informi e ineffabili<br />

per essere risolti.<br />

Con uno scatto chiusi il telefono, e quel rumore parve spezzare<br />

l'incantesimo. Lo sguardo di Sam all'improvviso si fece intenso. «Vieni via<br />

con me.»<br />

Alzai un sopracciglio.<br />

«No, sul serio. Andiamo da qualche parte. Posso portarti fuori stasera?<br />

In un posto dove ci sia qualcosa di meglio degli avanzi?»<br />

Non sapevo che cosa dire. Forse quello che avrei voluto dire era:<br />

Credi che ci sia bisogno di chiederlo?<br />

Lo osservai mentre balbettava, le parole che si accavallavano l'una<br />

sull'altra per la fretta di uscire. Se in quel momento non avessi annusato<br />

l'aria, forse non mi sarei accorta che qualcosa non andava. Ma l'odore<br />

che emanava da lui a ondate era quello troppo acre dell'ansia. Ansia nei<br />

miei confronti? Ansia per qualcosa che era successo quel giorno? Ansia<br />

perché aveva sentito le previsioni del tempo?<br />

«Che c'è?» chiesi.<br />

«Stasera voglio andare via da questa città. Voglio andare via solo per<br />

un po'. Una breve vacanza. Qualche ora della vita di qualcun altro,


capisci? Non dobbiamo farlo, se non vuoi. Se pensi che non sia...»<br />

«Sam» dissi. «Zitto.»<br />

Tacque.<br />

«Comincia a guidare.»<br />

Cominciò a guidare.<br />

Sam imboccò l'autostrada e proseguimmo, proseguimmo finché il<br />

cielo al di là degli alberi non diventò rosa e gli uccelli che volavano sopra<br />

la strada non si ridussero a sagome nere. Faceva tanto freddo che le<br />

macchine che entravano in autostrada sbuffavano fumo bianco nell'aria<br />

gelida. Sam guidava con una mano perché l'altra era intrecciata nella<br />

mia. Era molto meglio che stare a casa a mangiare lo sformato.<br />

Una volta usciti dall'autostrada, dovevo essermi ormai abituata<br />

all'odore dell'ansia di Sam oppure lui si era calmato, perché l'unico odore<br />

in macchina era il suo, l'aroma muschiato del lupo che vive nella foresta.<br />

«Allora» dissi, facendo scorrere un dito sul dorso della sua mano<br />

fredda, «posso sapere dove stiamo andando?»<br />

Sam mi lanciò un'occhiata obliqua; luci intermittenti illuminarono il<br />

suo sorriso triste. «A Duluth c'è un negozio di dolci fantastico.»<br />

Era molto molto carino che avesse guidato per un'ora soltanto per<br />

arrivare a un negozio di dolci. Molto molto stupido date le previsioni del<br />

tempo, ma comunque molto molto carino. «Non ci sono mai stata.»<br />

«Hanno le migliori mele caramellate del mondo» mi assicurò Sam. «E<br />

certe cose appiccicose che non so neppure come si chiamano. Avranno<br />

un milione di calorie. E la cioccolata calda... vedrai, Grace. É un posto<br />

fantastico.»<br />

Non mi veniva niente da dire. Ero entrata in trance come un'idiota<br />

per il modo in cui aveva detto "Grace". Il tono. Il modo in cui le sue<br />

labbra formavano le vocali. Il timbro della sua voce era rimasto<br />

impigliato nella mia testa come una melodia.<br />

«Ho scritto perfino una canzone sui loro tartufi» mi confessò.


Questo catturò la mia attenzione. «Ti ho sentito suonare la chitarra<br />

per mia madre. Mi ha detto che la canzone parlava di me. Perché non<br />

me l'hai mai cantata?»<br />

Sam si strinse nelle spalle.<br />

Guardai la città illuminata dietro di lui: ogni singolo edificio e ogni<br />

ponte splendeva audace contro l'oscurità di inizio inverno; stavamo<br />

andando in centro. Non ricordavo l'ultima volta che c'ero stata. «Sarà<br />

molto romantico. E sarà un punto in più a tuo favore.»<br />

Sam non distolse lo sguardo dalla strada, ma le sue labbra si distesero.<br />

Feci un gran sorriso e poi mi misi ad osservare la strada che portava in<br />

centro. Sam non guardava neppure i segnali stradali. I lampioni<br />

gettavano strisce di luce sul parabrezza e le linee bianche scorrevano<br />

sotto di noi, marcando il tempo sopra e sotto.<br />

Alla fine parcheggiò e indicò un negozio vivacemente illuminato un<br />

po' più in là. Si voltò verso di me: «Il paradiso.»<br />

Scendemmo tutti e due dalla macchina e percorremmo la strada di<br />

corsa. Non sapevo quanto freddo faceva, ma quando aprii la porta a<br />

vetri del negozio di dolci il mio respiro formò una nuvola informe. Sam<br />

si infilò nel bagliore della calda luce gialla dopo di me, le braccia strette<br />

attorno alle spalle. La campanella dell'entrata stava ancora tintinnando<br />

quando Sam mi raggiunse alle spalle e mi attirò a sé, premendomi le<br />

braccia sul petto. «Non guardare. Chiudi gli occhi e annusa. Annusa nel<br />

vero senso della parola. So che ne sei capace.»<br />

Reclinai la testa contro la sua spalla e, sentendo il calore del suo corpo<br />

contro il mio, chiusi gli occhi. Il mio naso era a qualche centimetro dal<br />

suo collo ed era quello l'odore che annusavo: un misto di terra e<br />

selvatico.<br />

«Non me» disse.<br />

«Non riesco a sentire altro» mormorai, aprendo gli occhi per guardare<br />

in su, verso di lui.<br />

«Non essere testarda.» Sam mi fece girare appena, in modo che fossi<br />

rivolta verso il centro del negozio; c'erano scaffali di biscotti in scatola e


caramelle, e sul fondo lo scintillio di un contenitore di vetro tutto colori.<br />

«Per una volta lasciati andare. Ne vale la pena.»<br />

I suoi occhi tristi mi imploravano di esplorare qualcosa che avevo<br />

lasciato inviolato per anni. Più che inviolato, l'avevo sepolto vivo.<br />

L'avevo sepolto perché pensavo di essere sola. Adesso c'era Sam, che mi<br />

teneva stretta al petto come se mi sorreggesse. Sull'orecchio sentivo il<br />

calore del suo respiro.<br />

Chiusi gli occhi, dilatai le narici e lasciai che gli aromi mi invadessero.<br />

Il più forte, caramello e zucchero di canna, che sapeva di giallo-arancione<br />

come il sole, arrivò per primo. Era il più facile. Era l'odore che chiunque<br />

avrebbe notato entrando nel negozio. E poi cioccolato, per forza,<br />

cioccolato fondente amaro e cioccolato al latte con lo zucchero. Non<br />

credo che una ragazza normale avrebbe sentito qualche altro odore, e<br />

parte di me voleva fermarsi lì. Però c'era il cuore di Sam che mi<br />

martellava sulla schiena, e per una volta mi lasciai andare.<br />

La menta turbinò nelle mie narici, pungente come vetro, poi il<br />

lampone, quasi troppo dolce, simile a frutta matura. Mela, pura e<br />

semplice. Nocciole, burro, calore, terra, quello di cui sapeva Sam.<br />

L'odore tenue e delicato del cioccolato bianco. Oddio, una varietà di<br />

caffè al cioccolato, denso, nero e peccaminoso. Sospirai di piacere, ma<br />

c'era di più. I biscotti al burro sugli scaffali aggiungevano un odore<br />

farinoso e confortante, e i leccalecca un miscuglio di profumi fruttati,<br />

troppo concentrati per essere veri. Il morso salato dei pretzel, l'odore<br />

forte del limone, il retrogusto secco dell'anice. Odori di cui non sapevo<br />

neppure i nomi. Gemetti.<br />

Sam mi ricompensò con un lievissimo bacio sull'orecchio prima di<br />

sussurrare: «Non è spettacolare?»<br />

Aprii gli occhi; i colori mi parvero opachi rispetto a quello che avevo<br />

appena sperimentato. Non riuscivo a pensare a niente che non sembrasse<br />

futile, così mi limitai ad annuire. Mi baciò ancora, sulla guancia, e mi<br />

studiò con un'espressione vivace e deliziata per ciò che vedeva nella mia.<br />

Mi venne in mente che non aveva condiviso questo posto, questa<br />

esperienza, con nessun altro. Solo con me.


«Mi piace un sacco» dissi infine, a voce così bassa che non ero neppure<br />

sicura che potesse sentirmi. Ma certo che poteva. Sentiva tutto quello che<br />

sentivo io.<br />

Non so quanto ero pronta ad ammettere che non ero normale.<br />

Sam si allontanò da me ma continuò a tenermi per mano, e mi guidò<br />

dentro il negozio. «Forza. Adesso viene la parte più difficile. Scegli<br />

qualcosa. Cosa vuoi? Scegli qualcosa. Qualunque cosa. Offro io.»<br />

Voglio te. Sentendo la sua mano che stringeva la mia, il contatto della<br />

sua pelle contro la mia, vedendo il modo in cui si muoveva davanti a me,<br />

lupo e uomo in parti uguali, e ricordando il suo odore, morivo dalla<br />

voglia di baciarlo.<br />

Sam mi strinse forte la mano come se mi stesse leggendo nei pensieri,<br />

e mi condusse verso il bancone di vetro. Mi bloccai a fissare le file di<br />

cioccolatini perfetti, i pasticcini, le ciambelline ricoperte e i tartufi.<br />

«Fa freddo fuori, vero?» chiese la ragazza dietro il bancone.<br />

«Dovrebbe nevicare. Non vedo l'ora.» Alzò lo sguardo verso di noi e ci<br />

rivolse un sorriso sciocco e indulgente, e mi chiesi quanto dovessimo<br />

sembrare felici come due scemi io e Sam, mentre ci tenevamo per mano<br />

e contemplavamo i cioccolatini con evidente avidità.<br />

«Quali sono i migliori?» chiesi.<br />

La ragazza indicò subito alcune file di cioccolatini. Sam scosse la testa.<br />

«Potremmo avere due cioccolate calde?»<br />

«Con la panna montata?»<br />

«C'è bisogno di chiederlo?»<br />

Ci fece un gran sorriso e ci diede le spalle per prepararci le cioccolate.<br />

Quando apri il barattolo del cacao, sul bancone esplose un odore<br />

corposo. Mentre stillava l'estratto di menta nel fondo delle tazze di carta,<br />

mi volsi verso Sam e gli presi l'altra mano. Mi alzai in punta di piedi e<br />

rubai un lieve bacio dalle sue labbra. «Attacco a sorpresa» dissi.<br />

Sam si chinò e ricambiò il bacio; la sua bocca indugiò sulla mia, i suoi<br />

denti mi graffiarono il labbro di sotto, dandomi i brividi. «Contrattacco a


sorpresa.»<br />

«Vile» dissi, con voce più agitata di quanto intendessi.<br />

«Come siete carini» disse la ragazza posando due tazze ricoperte di<br />

panna montata sul bancone. Aveva una specie di sorriso sghembo,<br />

aperto, dal quale dedussi che era una che rideva molto. «Da quanto<br />

tempo state assieme?»<br />

Sam mi lasciò le mani per prendere il portafoglio e sfilare delle<br />

banconote. «Sei anni.»<br />

Storsi il naso per camuffare una risata. Aveva incluso anche il periodo<br />

in cui appartenevamo a due specie totalmente differenti.<br />

«Wow.» La ragazza annuì in segno di approvazione. «É stupefacente,<br />

per una coppia così giovane.»<br />

Sam mi diede la cioccolata calda e non rispose. I suoi occhi gialli, però,<br />

mi fissavano in maniera possessiva: chissà se si rendeva conto che il modo<br />

in cui mi guardava era molto più intimo di quanto potesse mai essere un<br />

gesto confidenziale.<br />

Mi chinai per guardare il cioccolato alle mandorle sullo scaffale più<br />

basso. Non avevo abbastanza faccia tosta da fissarli entrambi quando<br />

ammisi: «Be', è stato amore a prima vista»<br />

La ragazza sospirò. «É così romantico. Fatemi un favore, non cambiate<br />

mai. Il mondo ha bisogno che ce ne sia di più, di amore a prima vista.»<br />

Sam aveva la voce roca. «Ne vuoi un paio di quelli, Grace?»<br />

Qualcosa nella sua voce, un'esitazione, mi fece capire che le mie<br />

parole avevano avuto un effetto maggiore di quanto intendessi. Mi<br />

chiedevo quando fosse stata l'ultima volta che qualcuno gli avesse detto<br />

che l'amava.<br />

Era una cosa molto triste da pensare.<br />

Mi alzai e ripresi la mano di Sam; le sue dita mi strinsero così forte che<br />

mi fecero quasi male. Dissi: «Questi dolcetti glassati sembrano davvero<br />

fantastici. Possiamo prenderne qualcuno?»<br />

Sam fece un cenno alla ragazza dietro il bancone. Qualche minuto


dopo, io agguantavo un sacchetto di carta pieno di dolci e Sam aveva<br />

della panna montata sulla punta del naso. Gli indicai la macchia e lui fece<br />

una smorfia, imbarazzato, e si pulì con la manica.<br />

«Vado a mettere in moto la macchina» dissi, porgendogli la busta. Mi<br />

guardò senza dire niente, così aggiunsi: «Per riscaldarla.»<br />

«Oh, giusto. Ottima idea.»<br />

Forse si era scordato del freddo che faceva fuori. Però io no, e avevo<br />

ancora in mente l'immagine terribile di lui dentro l'auto in preda agli<br />

spasmi mentre io cercavo di alzare il riscaldamento. Lo lasciai nel negozio<br />

e mi inoltrai nella buia notte invernale.<br />

Fu strano come, non appena la porta si chiuse alle mie spalle, mi sentii<br />

totalmente sola. Assalita tutt'a un tratto dalla vastità della notte, perduta<br />

senza il contatto e l'odore di Sam ad ancorarmi. Niente mi era familiare.<br />

Se Sam si fosse trasformato in lupo proprio in quel momento, non<br />

sapevo quanto ci avrei messo a trovare la strada di casa o che cosa avrei<br />

dovuto fare con lui: non ce l'avrei fatta a lasciarlo lì come se nulla fosse,<br />

a chilometri e chilometri dai boschi. L'avrei perso sia come essere umano<br />

che come lupo. La strada era già spolverata di bianco, e altri fiocchi di<br />

neve mi volavano attorno, delicati e minacciosi. Mentre aprivo la<br />

portiera della macchina, il mio respiro formava nuvolette simili a spettri.<br />

Era insolita per me, quella sensazione di crescente disagio. Rimasi<br />

dentro la Bronco ad aspettare che l'auto si riscaldasse, e intanto sorseggiai<br />

la cioccolata. Sam aveva ragione: era strepitosa, e questo mi fece sentire<br />

meglio. In bocca avevo il freddo regalato da quel pizzico di menta e<br />

nello stesso tempo il calore della cioccolata. Aveva anche un potere<br />

tranquillizzante, e quando la macchina si fu riscaldata, mi sentii sciocca<br />

per aver pensato che quella notte qualcosa potesse andare storto.<br />

Saltai giù dalla Bronco e ficcai la testa dentro il negozio di dolci, dove<br />

trovai Sam in attesa accanto la porta. «Pronta.»<br />

Sam rabbrividì visibilmente quando venne colpito da una raffica d'aria<br />

fredda, e senza dire una parola corse verso la Bronco. Gridai grazie alla<br />

commessa prima di seguire Sam, ma mentre andavo verso la macchina<br />

vidi qualcosa che mi bloccò. Sotto le impronte dei piedi strascicati di Sam


ce n'erano altre, più vecchie, che prima non avevo notato, che facevano<br />

avanti e indietro sulla neve fresca fuori dal negozio.<br />

Con lo sguardo seguii il sentiero che quelle impronte avevano<br />

tracciato accanto al negozio, passi lunghi e leggeri, e poi lasciai che il mio<br />

sguardo li seguisse lungo il marciapiede. C'era un ammasso scuro a cinque<br />

metri di distanza, fuori dal cerchio di luce del lampione. Esitai, pensando:<br />

Entra nella Bronco e non ci pensare, ma poi l'istinto mi pungolò, e andai<br />

a vedere di cosa si trattava.<br />

Erano una giacca nera, un paio di jeans, un maglione a collo alto, e un<br />

po' più in là rispetto ai vestiti c'era una scia di orme sullo strato sottile di<br />

neve.


Capitolo quarantaquattro • Sam<br />

0 °C<br />

Suona stupido, ma una delle cose che amavo di Grace era che non<br />

aveva bisogno di parlare. A volte volevo che i miei silenzi restassero in<br />

silenzio, pieni di pensieri, vuoti di parole. Mentre un'altra ragazza<br />

avrebbe cercato di coinvolgermi in una conversazione, Grace si limitò a<br />

prendermi la mano - posammo le dita intrecciate sulla mia gamba - e ad<br />

abbandonarmi la testa sulla spalla finché non fummo ben lontani da<br />

Duluth. Non mi chiese come facevo a orientarmi in città, o perché i miei<br />

occhi indugiavano sulla strada dove i miei genitori svoltavano per<br />

arrivare nel nostro quartiere, o come era possibile che un ragazzino di<br />

Duluth finisse a vivere con un branco di lupi vicino al confine con il<br />

Canada.<br />

E quando alla fine parlò, togliendo la mano dalla mia per prendere un<br />

dolcetto dal sacchetto del negozio, mi raccontò di quando, da bambina,<br />

per fare dei biscotti, invece di usare le uova fresche aveva preso gli avanzi<br />

delle uova sode di Pasqua. Era proprio quello che volevo: una bella<br />

distrazione.<br />

Fino a quando non sentii la suoneria di un cellulare, una serie<br />

discendente di note digitali, provenire dalla mia tasca. Lì per lì non mi<br />

capacitai del fatto che nel mio cappotto potesse esserci un cellulare, poi<br />

mi ricordai che Beck me l'aveva messo in mano mentre io fissavo ciò che<br />

c'era dietro di lui. Chiamami quando hai bisogno, mi aveva detto.<br />

Strano che avesse detto quando e non se.<br />

«É un telefono?» Le sopracciglia di Grace calarono sugli occhi. «Tu hai<br />

un telefono?»<br />

La bella distrazione mi crollò addosso quando sfilai il telefono dalla<br />

tasca. «Non ce l'avevo» dissi debolmente. Lei continuò a guardarmi e il<br />

piccolo accenno di dolore nei suoi occhi mi uccise. Mi si arrossarono le<br />

guance dalla vergogna. «L'ho appena preso» dissi. Il telefono suonò<br />

ancora, e pigiai il tasto per rispondere. Non avevo bisogno di guardare


lo schermo per sapere chi chiamava.<br />

«Dove sei, Sam? Fa freddo.» La voce di Beck era piena di<br />

quell'apprensione sincera che avevo sempre apprezzato.<br />

Sapevo che gli occhi di Grace erano fissi su di me.<br />

Non volevo l'apprensione di Beck. «Sto bene.»<br />

Beck fece una pausa e immaginai che stesse analizzando il tono della<br />

mia voce. «Sam, non è tutto bianco o tutto nero. Cerca di capire. Non mi<br />

hai neppure dato la possibilità di spiegarti. Mi sono mai sbagliato?»<br />

«Hai iniziato adesso» dissi, e riagganciai. Ficcai di nuovo il telefono<br />

dentro la tasca, quasi aspettandomi che squillasse un'altra volta. In un<br />

certo senso lo speravo, così non avrei risposto.<br />

Grace non chiese chi era. Non mi chiese che cosa ci eravamo detti. Si<br />

aspettava che glielo dicessi di mia spontanea volontà, e sapevo che avrei<br />

dovuto farlo, ma non volevo. Semplicemente, non potevo sopportare<br />

l'idea che vedesse Beck in quella luce. O forse non potevo sopportare<br />

l'idea di vedere io stesso Beck in quella luce.<br />

Non dissi niente.<br />

Grace deglutì prima di prendere il suo telefono. «Mi è venuto in<br />

mente che anch'io dovrei controllare i messaggi. Ah. Come se i miei si<br />

prendessero la briga di chiamare.»<br />

Studiò il cellulare. Lo schermo blu le illuminava il palmo della mano e<br />

le gettava una luce spettrale sul mento.<br />

«Hanno chiamato?» chiesi.<br />

«Certo che no. Se la stanno spassando con i vecchi amici.» Digitò il<br />

loro numero e aspettò. Sentii un mormorio all'altro capo del telefono,<br />

troppo basso perché potessi capire qualcosa. «Ciao, sono io. Sì, sto bene.<br />

Oh. Okay. Allora non vi aspetto. Divertitevi. Ciao.» Chiuse il telefono,<br />

sgranò gli occhi marrone e mi rivolse un debole sorriso. «Fuga d'amore?»<br />

«Dovremmo andare a Las Vegas» dissi. «Qui attorno a quest'ora non<br />

c'è nessuno che ci possa sposare, a parte i cervi e qualche tizio ubriaco.»<br />

«Potrebbe farlo un cervo» disse Grace, decisa. «I tizi ubriachi


storpierebbero i nostri nomi e rovinerebbero l'atmosfera,»<br />

«Se ci pensi, avere un cervo che presiede al matrimonio di un lupo<br />

mannaro e una fanciulla sarebbe curiosamente appropriato.»<br />

Grace rise. «E attirerebbe l'attenzione dei miei genitori. "Mamma,<br />

papà. Mi sono sposata. Non mi guardate così. Fa la muta soltanto per<br />

metà dell'anno."»<br />

Scossi la testa. Avrei voluto dirle grazie, invece dissi: «Era Beck al<br />

telefono.»<br />

«Quel Beck?»<br />

«Sì. Era in Canada con Salem, uno dei lupi che è completamente<br />

impazzito.» Era solo una parte di verità, ma almeno era la verità.<br />

«Voglio conoscerlo» disse subito Grace. Devo aver fatto una smorfia<br />

buffa, perché disse: «Beck, intendo. In pratica è tuo padre, no?»<br />

Feci scorrere le dita sul volante, con lo sguardo che scattava dalla<br />

strada alle nocche così tese da essere bianche. Strano, come certa gente<br />

dia la pelle per scontata, e non abbia mai pensato a cosa significherebbe<br />

perderla. Cambiare pelle / sfuggire alla sua presa / spoglio della mia<br />

anima / fa male essere me. Pensai al ricordo più paterno che avevo di<br />

Beck. «Facevamo delle gran grigliate a casa sua, e mi ricordo che una<br />

notte era stanco di cucinare e disse: "Sam, stanotte ci pensi tu a sfamarci."<br />

Mi fece vedere come pungere le bistecche nel mezzo per sapere se erano<br />

cotte, e come scottarle in fretta su entrambi i lati per mantenerle<br />

succose.»<br />

«E vennero buonissime, vero?»<br />

«Le bruciai quasi tutte» dissi tranquillamente. «Le paragonerei al<br />

carbone, solo che il carbone a confronto è quasi commestibile.»<br />

Grace iniziò a ridere.<br />

«Beck mangiò la sua bistecca» dissi, con un sorriso mesto al ricordo.<br />

«Disse che era la bistecca più buona che avesse mai mangiato, perché non<br />

aveva dovuto prepararla lui.»<br />

Era tantissimo tempo fa.


Grace mi sorrise come se le vecchie storie di me e del mio capobranco<br />

fossero la cosa migliore del mondo. Come se fossero ispiratrici. Come se<br />

avessimo qualcosa in comune, Beck e io, padre e figlio.<br />

Nella mia mente, il ragazzo sul retro della Tahoe mi guardò e disse<br />

"Aiuto".<br />

Grace mi chiese: «Quanto tempo è passato? Non dalle bistecche. Da<br />

quando sei stato morso.»<br />

«Avevo sette anni. È successo undici anni fa.»<br />

Chiese: «Che cosa ci facevi nel bosco? Insomma, sei di Duluth, vero? O<br />

almeno così c'è scritto sulla tua patente.»<br />

«Non mi hanno aggredito nel bosco» dissi. «Ne hanno parlato tutti i<br />

giornali.»<br />

Gli occhi di Grace mi tenevano avvinto; distolsi lo sguardo da lei e mi<br />

concentrai sulla strada buia davanti a noi.<br />

«Due lupi mi attaccarono mentre salivo sull'autobus della scuola. Uno<br />

mi teneva giù, e l'altro mi morse.» Anzi, mi squarciò, nel vero senso della<br />

parola, come se il suo unico obbiettivo fosse farmi sanguinare. Ma<br />

doveva essere stato per forza quello l'obbiettivo. Pensandoci a<br />

posteriori, era tutto dolorosamente chiaro. Non avevo mai pensato che<br />

ci fosse altro al di là del semplice ricordo di me bambino che venivo<br />

attaccato dai lupi, e di Beck che compariva come il salvatore quando i<br />

miei genitori cercavano di uccidermi. Ero stato così vicino a Beck, e Beck<br />

era stato così ineccepibile, che non avevo voluto guardare più a fondo.<br />

In quel momento, però, mentre raccontavo di nuovo la storia a Grace, la<br />

verità mi si palesò con prepotenza: il mio attacco non era stato casuale.<br />

Ero stato scelto, cacciato e trascinato sulla strada per essere infettato,<br />

proprio come quei ragazzi sul retro della Tahoe. Poi era arrivato Beck a<br />

raccogliere i pezzi.<br />

Sei il migliore tra di loro, mi ripeté la voce di Beck nella mente. Aveva<br />

pensato che sarei sopravvissuto a lui e avrei preso il comando del branco.<br />

Avrei dovuto essere arrabbiato. Furioso che mi avessero strappato via la<br />

vita. Ma dentro di me c'era solo rumore bianco, un tetro brusio di nulla.


«In città?» chiese Grace.<br />

«In periferia. Non c'erano boschi attorno. I vicini dissero che dopo<br />

l'accaduto videro i lupi fuggire attraverso il cortile sul retro.»<br />

Grace tacque. Il fatto che fossi stato cercato mi sembrava ovvio, e<br />

continuavo ad aspettare che lo dicesse lei. Per un verso volevo che lo<br />

dicesse, per sottolineare l'ingiustizia. Ma lei non lo fece. Sentivo addosso<br />

il suo sguardo corrucciato, riflessivo.<br />

«Quali lupi?» chiese Grace alla fine.<br />

«Non mi ricordo. Uno di loro doveva essere Paul, perché mi ricordo<br />

che era nero. Questo è tutto quello che so.»<br />

Per diversi lunghi momenti ci fu silenzio, e poi arrivammo a casa. Il<br />

vialetto era ancora vuoto, e Grace si lasciò sfuggire un lungo sospiro.<br />

«Anche stavolta siamo da soli» disse. «Resta qui finché non apro la<br />

porta, okay?»<br />

Grace balzò giù dalla macchina, lasciando entrare una ventata d'aria<br />

fredda che mi morse le guance. Alzai il riscaldamento al massimo per<br />

prepararmi alla traversata fin dentro casa. Mi chinai sulle griglie di<br />

ventilazione; il calore mi pungeva la pelle, strinsi gli occhi e cercai, con la<br />

forza di volontà, di tornare alla bella distrazione di prima. A quando<br />

stringevo Grace tra le braccia nel negozio di dolci, col suo corpo caldo<br />

che ardeva contro il mio, mentre la guardavo annusare l'aria, sapendo<br />

che in realtà stava annusando me: e mi vennero i brividi. Non sapevo se<br />

avrei sopportato un'altra notte di autocontrollo con lei.<br />

«Sam!» gridò Grace. Aprii gli occhi, concentrandomi sulla sua testa che<br />

sbucava dalla porta socchiusa. Cercava di far entrare meno freddo<br />

possibile. Furba.<br />

Ora di correre. Balzai fuori, chiusi la Bronco e scattai sul vialetto<br />

scivoloso, con i piedi che slittavano leggermente sul ghiaccio e la pelle<br />

che formicolava.<br />

Grace richiuse la porta con forza, in modo da sprangare fuori il<br />

freddo, e mi gettò le braccia attorno al corpo, passandomi il suo calore.<br />

Poi mi sussurrò a voce bassissima all'orecchio: «Hai abbastanza caldo?»


I miei occhi, che iniziavano ad adattarsi al buio, catturarono il bagliore<br />

di luce riflesso nei suoi, il profilo dei suoi capelli, la curva delle sue braccia<br />

attorno a me. Lo specchio sul muro offriva un ritratto altrettanto<br />

offuscato della sagoma dei nostri corpi uniti. Lasciai che mi stringesse a sé<br />

per un lungo istante prima di dire: «Sto bene.»<br />

«Vuoi qualcosa da mangiare?» La sua voce echeggiò forte nella casa<br />

vuota e riverberò contro il pavimento di legno. L'unico altro suono era<br />

quello dell'aria che filtrava attraverso l'impianto di riscaldamento, un<br />

respiro basso e regolare. Ero fin troppo consapevole del fatto che<br />

eravamo soli.<br />

Deglutii. «Voglio andare a letto.»<br />

Lei parve sollevata. «Anch'io.»<br />

Quasi mi dispiaceva che fosse d'accordo con me, perché forse, se fossi<br />

rimasto sveglio, a mangiare un panino, a guardare la tivù, avrei potuto<br />

distrarmi da quanto disperatamente la desideravo.<br />

Ma lei era d'accordo. Lasciò le scarpe dietro la porta e mi fece strada a<br />

passo felpato lungo il corridoio. Scivolammo nella sua stanza da letto<br />

buia, niente luce, solo la luna che illuminava lo strato sottile di neve fuori<br />

dalla finestra. La porta si chiuse con un debole soffio e uno schiocco e lei<br />

vi si appoggiò contro, le mani ancora sulla maniglia. Passò un lungo<br />

istante prima che lei dicesse qualcosa: «Perché sei così prudente con me,<br />

Sam Roth?»<br />

Provai a dirle la verità. «Io... è... non sono un animale.»<br />

«Non mi fai paura» disse.<br />

Non sembrava che avesse paura di me. Era bellissima, illuminata dalla<br />

luna, tentatrice, con quel profumo di menta e sapone e pelle. Avevo<br />

passato undici anni a guardare gli altri del branco trasformarsi in animali,<br />

e avevo sempre cercato di frenare i miei istinti, controllandomi, lottando<br />

per restare umano, lottando per fare la cosa giusta.<br />

Come se mi leggesse nel pensiero, disse: «Puoi dirmi se è soltanto il<br />

lupo in te che vuole baciarmi?»<br />

Volevo baciarla con tutto me stesso, così violentemente da sentirmi


annientato. Appoggiai le mani ai lati della sua testa e quando mi lasciai<br />

andare la porta emise un cigolio, e io premetti la bocca sulla sua.<br />

Ricambiò il bacio, le labbra calde, la lingua che danzava contro i miei<br />

denti, le mani ancora dietro la schiena, il corpo ancora pigiato contro la<br />

porta. Ogni più piccola parte di me ronzava, elettrizzata, per il desiderio<br />

di annullare i pochi centimetri che ci separavano.<br />

Mi baciò con più ardore; il suo respiro mi soffiava in bocca; mi morse<br />

il labbro di sotto. Oh, diavolo, era fantastico. Ringhiai, senza riuscire a<br />

evitarlo, e prima che potessi anche solo pensare di sentirmi in imbarazzo,<br />

Grace mi avvolse le braccia attorno al collo, attirandomi a sé.<br />

«Era così sensuale» disse con voce rotta. «Non pensavo che potessi<br />

essere ancora più sensuale.»<br />

La baciai di nuovo prima che potesse dire qualcos'altro, e<br />

indietreggiammo insieme verso il letto, un intreccio di braccia nella luce<br />

della luna. Infilò le dita tra la cintura e i jeans e con i pollici mi sfiorò il<br />

bacino, avvicinandomi ancora di più a sé.<br />

«Oh, mio Dio, Grace» ansimai. «Tu... tu sopravvaluti moltissimo il mio<br />

autocontrollo.»<br />

«Non voglio il tuo autocontrollo.»<br />

Le mie mani erano sotto la sua camicia, i palmi premuti contro la sua<br />

schiena, le dita allargate sui suoi fianchi; non ricordavo neppure come<br />

c'erano arrivate. «Non... non voglio fare niente di cui tu ti possa pentire.»<br />

La schiena di Grace si inarcò contro le mie dita, come se il mio tocco la<br />

riportasse in vita. «Allora non smettere.»<br />

Mi ero immaginato che lei me lo dicesse in molti modi diversi, ma<br />

nessuna delle mie fantasie si era avvicinata a quella realtà da portare via<br />

il fiato.<br />

Goffamente, indietreggiando verso il letto, una parte di me pensava<br />

che dovevamo fare piano, nel caso i suoi genitori fossero tornati a casa.<br />

Ma lei mi aiutò a sfilarmi la camicia dalla testa e fece scorrere una mano<br />

sul mio petto, e io gemetti, dimenticando tutto ciò che non era il tocco<br />

delle sue dita sulla mia pelle. La mia mente andò in cerca di versi, parole


da legare insieme per descrivere quel momento, ma non ne trovò. Non<br />

riuscivo a pensare ad altro che al suo palmo che mi sfiorava la pelle.<br />

«Hai un odore così buono» sussurrò Grace. «Ogni volta che ti tocco, è<br />

sempre più forte.» Aveva le narici dilatate, lupa da cima a fondo, e<br />

fiutava il mio desiderio ardente. Sapeva bene chi ero, e mi desiderava lo<br />

stesso.<br />

Lasciò che la spingessi piano contro i cuscini, poi le misi le braccia ai<br />

lati dei fianchi e mi distesi su di lei.<br />

«Sei sicura?» le chiesi.<br />

I suoi occhi erano vivaci, eccitati. Annuì.<br />

Scivolai in basso per baciarle la pancia; era così giusto, così naturale,<br />

come se l'avessi fatto migliaia di volte e migliaia di volte ancora dovessi<br />

farlo.<br />

Vidi le cicatrici scintillanti, spaventose, che il branco le aveva lasciato<br />

sul collo e sulla clavicola, e baciai anche quelle.<br />

Grace tirò le coperte sopra di noi e lì sotto ci sfilammo i vestiti.<br />

Quando prememmo i nostri corpi l'uno contro l'altro, con un ringhio mi<br />

scrollai di dosso la mia pelle e mi arresi: né lupo né uomo, soltanto Sam.


Capitolo quarantacinque • Grace<br />

-1 °C<br />

Il telefono squillava. Fu la prima cosa a cui pensai. La seconda fu il<br />

braccio nudo di Sam sul mio petto. La terza fu che fuori dalle coperte il<br />

mio viso era freddo. Battei le palpebre, cercando di svegliarmi,<br />

stranamente disorientata nella mia stessa stanza. Ci misi un po' ad<br />

accorgermi che la sveglia, che di solito brillava nel buio, non brillava<br />

affatto, e le sole luci nella stanza provenivano dalla luna e dallo schermo<br />

del cellulare che squillava.<br />

Sfilai piano la mano dalle coperte, facendo attenzione a non muovere<br />

troppo il braccio di Sam; quando presi il cellulare, ormai non squillava<br />

più. Santo cielo, si gelava. La corrente doveva essere saltata per via della<br />

tempesta di ghiaccio annunciata dai meteorologi. Mi chiesi quanto<br />

tempo ci avrebbe messo a tornare, e se avrei dovuto preoccuparmi che<br />

Sam prendesse troppo freddo. Mi rituffai piano sotto le coperte e lo<br />

trovai chino su di me, la testa sepolta nel mio fianco. Con quella luce<br />

fioca riuscivo a vedere solo la curva pallida e nuda delle sue spalle.<br />

Continuavo ad aspettare che tutto ciò mi sembrasse sbagliato - il suo<br />

corpo premuto contro il mio - e invece mi sentivo così viva che il mio<br />

cuore pulsava dall'emozione. Questa, Sam e me, questa era la mia vera<br />

vita. La vita in cui andavo a scuola, aspettavo i miei genitori e ascoltavo<br />

Rachel lamentarsi dei suoi fratelli, in confronto sembrava un sogno<br />

sbiadito. Quelle erano soltanto le cose che avevo tatto mentre aspettavo<br />

Sam. Fuori, lontani e dolenti, i lupi iniziarono a ululare, e pochi secondi<br />

dopo il cellulare squillò di nuovo, le note in scala discendente, un'eco<br />

strana, digitale, dei lupi.<br />

Non mi resi conto di aver fatto un errore finché non lo portai<br />

all'orecchio.<br />

«Sam.» La voce all'altro capo era sconosciuta. Che stupida, dal<br />

comodino avevo preso il telefono di Sam, non il mio. Rimasi due secondi<br />

a pensare a come rispondere. Valutai l'ipotesi di buttare giù, ma non<br />

potevo.


«No» replicai. «Non sono Sam.»<br />

La voce era affabile, ma sentii la tensione che ci vibrava sotto. «Mi<br />

dispiace, devo aver sbagliato numero.»<br />

«No» dissi, prima che potesse riagganciare. «É il telefono di Sam.»<br />

Una pausa lunga e greve, e poi: «Oh.» Un'altra pausa. «Tu sei la<br />

ragazza, vero? La ragazza che è stata a casa mia.»<br />

Mi chiesi che cosa avrei ottenuto negandolo, e non trovai una<br />

risposta. «Sì.»<br />

«Hai un nome?»<br />

«Tu?»<br />

Fece una breve risata priva di qualsiasi ironia, ma non spiacevole. «Mi<br />

piaci. Sono Beck.»<br />

«Ah, ecco!» Mi voltai dall'altro lato rispetto a Sam, che continuava a<br />

dormire profondamente. «Che cos'hai fatto per farlo arrabbiare?»<br />

Di nuovo quella risata breve. «É ancora arrabbiato con me?» chiese.<br />

Ponderai la mia risposta. «Adesso no. Sta dormendo. Vuoi lasciare<br />

detto a me?» Fissai il numero di Beck sul telefono, cercando di<br />

memorizzarlo.<br />

Ci fu un'altra lunga pausa, così lunga che pensai che Beck avesse<br />

riattaccato, e poi espirò forte. «Uno dei suoi... amici è stato ferito. Credi<br />

di poterlo svegliare?» Uno degli altri lupi. Per forza. Mi tuffai sotto le<br />

coperte. «Oh... certo. Certo.»<br />

Appoggiai il telefono sul letto e spostai piano il braccio di Sam in<br />

modo da riuscire a vedergli l'orecchio e un lato della faccia. «Sam,<br />

svegliati. Il telefono. É importante.»<br />

Voltò la testa: i suoi occhi gialli erano già aperti. «Metti in vivavoce.»<br />

Ubbidii, posando il telefono sulla pancia. L'obbiettivo della<br />

fotocamera mi illuminò la canottiera col suo cerchio di luce blu.<br />

«Che cosa succede?» Sam si appoggiò su un gomito, facendo una<br />

smorfia quando sentì il freddo, e tirò di nuovo le coperte sopra di noi,


creando una specie di tenda attorno al telefono.<br />

«Qualcuno ha attaccato Paul. É ridotto male.»<br />

La bocca di Sam fece una piccola o. Non credo che gli importasse<br />

qualcosa dell'espressione che aveva: i suoi occhi erano lontani, insieme al<br />

branco. Alla fine disse: «Puoi... hai... sanguina ancora? Era in forma<br />

umana quando è successo?»<br />

«Sì» rispose Beck. «Ho provato a chiedergli chi è stato... per ucciderlo.<br />

Ho creduto... Sam, per un po' ho creduto che sarei stato costretto a<br />

chiamarti per dirti che era morto. Era ridotto davvero male. Adesso la<br />

ferita si sta rimarginando. Ma il fatto è che era cosparso di piccoli morsi,<br />

dappertutto, sul collo, sui polsi e sulla pancia, come se...»<br />

«... come se qualcuno sapesse come ucciderlo» finì la frase Sam per lui.<br />

«É stato un lupo» disse Beck. «Siamo riusciti a cavargli questo.»<br />

«Uno dei tuoi nuovi?» ringhiò Sam, con una forza sorprendente.<br />

«Sam.»<br />

«É possibile?»<br />

«Sam. No. Sono dentro.»<br />

Il corpo di Sam era ancora teso, e rimuginai sui possibili significati di<br />

quella frase: Uno dei tuoi nuovi. Jack non era l'unico nuovo arrivato?<br />

«Vieni?» chiese Beck dopo un attimo. «Puoi? Fa troppo freddo?»<br />

«Non lo so.» Dal modo in cui Sam torse la bocca, sapevo che stava<br />

rispondendo solo alla prima domanda. Qualunque fosse il motivo che<br />

l'aveva allontanato da Beck, doveva essere un ottimo motivo.<br />

La voce di Beck cambiò, si fece più morbida, più giovane, più<br />

vulnerabile. «Ti prego, non essere arrabbiato con me, Sam. Non posso<br />

sopportarlo.»<br />

Sam volse il capo dall'altra parte.<br />

«Sam» disse Beck a bassa voce.<br />

Sentii Sam tremare, poi chiuse gli occhi.<br />

«Sei ancora lì?»


Guardai Sam, ma lui continuava a non parlare. Non potevo farci<br />

niente, mi dispiaceva per Beck. «Io ci sono» dissi.<br />

Una lunga pausa, in cui non sentii né scariche di energia statica né<br />

crepitii, e di nuovo pensai che Beck avesse riagganciato. Ma poi mi<br />

chiese, con delicatezza: «Quanto sai di Sam, ragazza senza nome?»<br />

«Tutto.»<br />

Pausa. Poi: «Mi piacerebbe conoscerti.» Sam tese la mano e chiuse il<br />

telefono. La luce dello schermo svanì, lasciandoci al buio sotto le<br />

coperte.


Capitolo quarantasei • Grace<br />

7 °C<br />

I miei genitori non lo sapevano. Il mattino dopo che io e Sam<br />

avevamo... passato la notte insieme, il mio pensiero dominante era che i<br />

miei genitori non lo sapevano. Immaginai che fosse normale. Immaginai<br />

che il senso di colpa fosse normale. Immaginai che avere le vertigini fosse<br />

normale. Era come se fino ad allora avessi creduto di essere un quadro, e<br />

Sam mi avesse fatto scoprire di essere un puzzle, e mi avesse scomposto e<br />

poi ricomposto. Riuscivo a distinguere e sentire ogni singola emozione<br />

che provavo, e ciascuna si incastrava perfettamente nelle altre.<br />

Anche Sam era taciturno. Aveva lasciato che guidassi io e mi teneva la<br />

mano destra con le sue, mentre la sinistra era sul volante. Avrei dato un<br />

milione di dollari per sapere a che cosa stava pensando.<br />

«Cosa vuoi fare oggi pomeriggio?» chiesi alla fine.<br />

Guardò fuori dal finestrino e con le dita prese a stropicciarmi il dorso<br />

della mano. Il mondo là fuori sembrava secco, di carta. In attesa della<br />

neve. «Qualsiasi cosa, basta che sia con te.»<br />

«Qualsiasi cosa?»<br />

Mi scrutò e fece un largo sorriso. Era un sorriso buffo, incerto. Forse<br />

anche lui come me aveva le vertigini. «Sì, qualsiasi cosa, basta che ci sia<br />

tu.»<br />

«Voglio conoscere Beck» dissi.<br />

Ecco. Era saltato fuori. Era uno dei pezzi del puzzle che mi era rimasto<br />

impigliato in testa da quando avevo preso il telefono.<br />

Sam non disse niente. Aveva gli occhi puntati verso la scuola. Forse<br />

pensava che se avesse tergiversato alcuni minuti sarebbe arrivato per me<br />

il momento di scendere e ci saremmo evitati quella discussione. Invece<br />

sospirò, come se fosse incredibilmente stanco. «Santo cielo, Grace,<br />

perché?»<br />

«É come se fosse tuo padre, Sam. Voglio sapere tutto di te. Non credo


che sia una cosa così difficile da capire.»<br />

«Vuoi che tutto sia a posto.» Lo sguardo di Sam seguiva i gruppi di<br />

studenti che attraversavano il parcheggio. Evitai apposta di trovare un<br />

parcheggio libero. «Vuoi ricombinare una magica intesa tra me e lui, per<br />

avere la sensazione che ogni cosa sia tornata al suo posto.»<br />

«Se cerchi di farmi arrabbiare, è inutile. Hai ragione: è proprio quello<br />

che voglio.»<br />

Sam rimase in silenzio mentre io continuavo a girare in tondo nel<br />

parcheggio, e alla fine gemette: «Grace, detesto questa cosa. Detesto<br />

l'idea di doverlo affrontare.»<br />

«Non devi affrontarlo. Lui vuole vederti.»<br />

«Non sai quello che c'è sotto. Sono cose terribili. Dovrò affrontarlo<br />

per forza, se mi sono rimasti ancora dei principi. Anche se è difficile<br />

immaginarlo, dopo la scorsa notte.»<br />

Trovai subito un parcheggio, molto lontano, per poter discutere senza<br />

che ci scoccassero sguardi indiscreti dal marciapiede. «Ti senti in colpa?»<br />

«No. Forse. Un po'. Mi sento... a disagio.»<br />

«Abbiamo usato tutte le precauzioni» dissi.<br />

Sam non mi guardò. «Non parlo di quello. Io... io... solo... spero solo<br />

che sia stato il momento giusto.»<br />

«É stato il momento giusto.»<br />

Distolse lo sguardo. «L'unica cosa che mi chiedo è... hai fatto ses... hai<br />

fatto l'amore... con me per vendicarti dei tuoi genitori?»<br />

Mi limitai a fissarlo. Poi afferrai lo zaino dal sedile di dietro. D'un<br />

tratto ero furiosa, le orecchie e le guance bollenti, e non sapevo perché.<br />

Non riconobbi la mia voce quando risposi: «É davvero una cosa carina<br />

da dire...»<br />

Sam non ricambiò il mio sguardo. Era come se fosse affascinato dal<br />

muro della scuola. Così affascinato da non riuscire a guardarmi negli<br />

occhi mentre mi accusava di usarlo. Una nuova ondata di rabbia mi<br />

travolse.


«Hai proprio un'autostima di merda se pensi che io non ti possa<br />

desiderare semplicemente per quello che sei.» Aprii la portiera e scivolai<br />

fuori; Sam trasalì quando una folata d'aria gelata entrò dentro la<br />

macchina, anche se non c'era tanto freddo da metterlo in pericolo. «Hai<br />

rovinato tutto. Sì... hai rovinato tutto.»<br />

Feci per sbattere la portiera, ma lui si sporse sul sedile per bloccarmi.<br />

«Aspetta, Grace, aspetta.»<br />

«Cosa?»<br />

«Non voglio lasciarti andare così.» Aveva occhi imploranti, tristi di una<br />

tristezza assoluta. Osservai la pelle d'oca sulle sue braccia, e il modo in cui<br />

le sue spalle tremavano leggermente nella corrente fredda. E mi<br />

abbandonai. Per quanto fossi arrabbiata, entrambi sapevamo che cosa<br />

sarebbe potuto succedere mentre io ero a scuola. La odiavo. La paura. La<br />

odiavo.<br />

«Mi dispiace per quello che ho detto» sbottò Sam, cercando di mettere<br />

insieme quante più parole possibili prima che me andassi. «Hai ragione.<br />

Non credevo che mi potesse capitare qualcosa - qualcuno - di così bello.<br />

Non ti arrabbiare, Grace. Ti prego, non ti arrabbiare.»<br />

Chiusi gli occhi. Per un breve istante desiderai con tutto il mio cuore<br />

che Sam fosse un ragazzo normale, così avrei potuto andarmene via<br />

infuriata, tutta orgoglio e indignazione. Ma non lo era. Era fragile come<br />

una farfalla in autunno che aspetta di essere spazzata via dalla prima<br />

gelata. Non mi rimase che inghiottire la rabbia, un boccone amaro, e<br />

socchiusi la portiera. «Non devi mai più pensare una cosa del genere, Sam<br />

Roth.»<br />

Quando pronunciai il suo nome, chiuse appena gli occhi, le ciglia per<br />

un secondo gli nascosero le iridi gialle, e poi si sporse e mi accarezzò la<br />

guancia. «Mi dispiace.»<br />

Gli presi la mano e intrecciai le sue dita nelle mie, poi lo guardai diritto<br />

in viso. «Come pensi che si sentirebbe Beck se tu andassi via arrabbiato?»<br />

Sam rise, una risata priva di ironia, sprezzante, che mi ricordò quella<br />

di Beck la notte prima, e abbassò gli occhi. Sapeva che avevo il suo


numero. Sciolse le dita. «Ci andiamo. Va bene, ci andiamo.»<br />

Stavo per allontanarmi, ma mi fermai. «Perché ce l'hai con Beck, Sam?<br />

Perché sei così arrabbiato con lui mentre non ti ho mai visto arrabbiato<br />

con i tuoi genitori?»<br />

L'espressione di Sam mi disse che non si era mai posto quella domanda<br />

prima d'allora, e ci mise un bel po' a rispondermi. «Perché Beck... Beck<br />

non era costretto a fare quello che ha fatto. I miei genitori sì. Loro<br />

pensavano che fossi un mostro. Avevano paura. Non era premeditato.»<br />

Il suo volto era invaso dal dolore e dall'incertezza. Rientrai in<br />

macchina e lo baciai dolcemente. Non sapevo che cosa dirgli, così mi<br />

limitai a baciarlo un'altra volta, presi lo zaino e mi inoltrai nel giorno<br />

grigio.<br />

Quando mi guardai indietro, lui era ancora lì, lo sguardo silenzioso e<br />

lupesco. L'ultima cosa che vidi furono i suoi occhi semichiusi contro il<br />

vento e i capelli neri arruffati che mi fecero pensare per qualche motivo<br />

alla notte in cui ci eravamo conosciuti.<br />

Uno sbuffo inaspettato, gelido e penetrante, mi fece accapponare la<br />

pelle.<br />

L'inverno di colpo fu molto vicino. Mi fermai sul marciapiede, chiusi<br />

gli occhi e lottai contro il desiderio fortissimo di tornare da Sam. Alla fine<br />

vinse il senso del dovere, e andai diritto a scuola. Ma mi parve un errore.


Capitolo quarantasette • Sam<br />

7 °C<br />

Una volta rimasto solo in macchina, mi assalì la nausea. Per aver<br />

litigato con Grace, per i dubbi, per il freddo non troppo freddo di quel<br />

tanto da mantenermi umano. Ero inquieto, turbato. Troppe questioni in<br />

sospeso: Jack, Isabel, Olivia, Shelby, Beck.<br />

Non riuscivo a credere che io e Grace saremmo andati a incontrare<br />

Beck. Alzai il riscaldamento della Bronco e tenni la testa appoggiata sul<br />

volante per diversi lunghi istanti, finché non mi fece male la fronte. Con<br />

il riscaldamento al massimo, la macchina ci mise un minuto a diventare<br />

calda e soffocante, ma andava bene. Il pericolo di trasformarmi mi<br />

sembrava molto lontano. Come se fossi ben saldo nella mia pelle.<br />

Sul momento pensai che sarei potuto rimanere lì tutto il giorno,<br />

cantando una canzone sottovoce - Vicino al sole più vicino a me / sento<br />

la pelle che mi costringe - mentre aspettavo Grace, ma dopo appena<br />

mezzora sentii il bisogno di guidare. Più che altro dovevo rimediare a<br />

quello che avevo detto a Grace. Così decisi di tornare a casa di Jack. Di<br />

lui non si sapeva ancora niente - non sapevamo se era morto, ma non era<br />

nemmeno finito sui giornali - ed era l'unico posto che mi veniva in mente<br />

per ricominciare la ricerca. Grace sarebbe stata felice che cercassi di<br />

sistemare le cose per lei.<br />

Lasciai la Bronco in una strada non asfaltata vicino a casa dei Culpeper<br />

e passai dal bosco. I pini erano incolori per la promessa di neve, gli aghi<br />

ondeggiavano in un vento freddo che sotto i rami non mi raggiungeva.<br />

Sentivo un formicolio fastidioso alla nuca; il bosco desolato di pini<br />

trasudava lupo. Era come se quel ragazzo avesse fatto la pipì su ogni<br />

albero. Bastardo impertinente.<br />

Un movimento alla mia destra mi fece sobbalzare, in preda ai nervi, e<br />

mi chinai a terra. Trattenni il respiro.<br />

Era solo un cervo. Colsi di sfuggita gli occhi grandi, le zampe lunghe,<br />

la coda bianca, prima che sparisse in maniera sorprendentemente


sgraziata tra gli arbusti. Eppure la sua presenza nel bosco era confortante.<br />

La presenza del cervo significava l'assenza di Jack. Non avevo niente da<br />

usare come arma, se non le mani. Sarebbero state di ben poco aiuto<br />

contro un nuovo lupo, instabile, con l'adrenalina dalla sua.<br />

Arrivato vicino alla casa, delle voci mi bloccarono al limitare del<br />

bosco. Un ragazzo e una ragazza, voci alte e arrabbiate, da qualche parte<br />

vicino alla porta sul retro. Mi insinuai nell'ombra della villa e svoltai un<br />

angolo per avvicinarmi a loro, silenzioso come un lupo. Non riconobbi<br />

la voce maschile, feroce e profonda, ma l'istinto mi disse che era Jack.<br />

L'altra era Isabel. Pensai di uscire dal mio nascondiglio, ma poi decisi che<br />

prima avrei fatto meglio a sentire perché stavano litigando.<br />

La voce di Isabel era acuta. «Non capisco. Perché ti stai scusando?<br />

Perché sei scomparso? Perché sei stato morso? Per...»<br />

«Per Chloe» disse il ragazzo.<br />

Ci fu una pausa. «Come sarebbe, "per Chloe"? Che c'entra il cane con<br />

tutto questo? Sai dov'è?»<br />

«Isabel. Diavolo. Mi stai ascoltando? A volte sei proprio stupida. Te<br />

l'ho detto. Non so cosa faccio quando mi trasformo.»<br />

Mi coprii la bocca per non ridere. Jack aveva mangiato il cane di<br />

Isabel.<br />

«Stai dicendo che lei è... tu... Ma sei uno stronzo!»<br />

«Non ho potuto farci niente. Ti ho detto che cosa ero. Non avresti<br />

dovuto farla uscire.»<br />

«Hai idea di quanto è costato quel cane?»<br />

«Buuuh.»<br />

«E cosa dovrei dire ai nostri genitori? Mamma, papà, Jack è un lupo<br />

mannaro, e indovinate un po', sapete com'è sparita Chloe? Se l'è<br />

mangiata lui.»<br />

«Non dire niente!» disse Jack, sbrigativo. «Comunque penso di aver<br />

smesso. Penso di aver trovato un rimedio.»<br />

Aggrottai le sopracciglia.


«Un rimedio.» La voce di Isabel era piatta. «Come fai a rimediare al<br />

fatto di essere un lupo mannaro?»<br />

«Non far lavorare troppo il tuo cervellino biondo. Io... dammi solo<br />

qualche giorno per accertarmene. Poi ti dirò tutto. A te e anche a loro.»<br />

«Bene. Come vuoi. Oddio... non posso credere che tu ti sia mangiato<br />

Chloe.»<br />

«Per favore, puoi chiudere la bocca su questo argomento? Cominci a<br />

irritarmi.»<br />

«Come vuoi. E che mi dici degli altri? Non ci sono degli altri? Non puoi<br />

farti aiutare da loro?»<br />

«Isabel, zitta. Te l'ho detto. Credo di aver risolto tutto. Non ho<br />

bisogno di nessun aiuto.»<br />

«Non pensi che...»<br />

Un rumore, netto e fuori posto. Un ramo spezzato? Uno schiaffo?<br />

La voce di Isabel parve diversa quando riprese a parlare. Meno forte<br />

di prima. «Non ti far vedere da loro, okay? Mamma è in terapia - per<br />

colpa tua - e papà è fuori città. Io torno a scuola. Non posso credere che<br />

mi hai fatto venire qui per dirmi che hai mangiato il mio cane.»<br />

«Ti ho chiamato per dirti che ho sistemato tutto. Stai calma, ti prego.»<br />

«Grandioso. É fantastico. Ciao.»<br />

Appena un secondo dopo, sentii il SUV di Isabel uscire dal vialetto ed<br />

esitai ancora. Non mi allettava l'idea di farmi vedere da un nuovo lupo<br />

che non sapeva controllare la sua rabbia, non fino a quando non avessi<br />

conosciuto per filo e per segno il luogo in cui mi trovavo, però prima<br />

avevo bisogno di tornare in macchina o nel caldo della casa. E la casa era<br />

più vicina. Lentamente aggirai il retro dell'edificio, in ascolto, per sentire<br />

dov'era Jack. Nessun rumore. Doveva essere entrato.<br />

Mi avvicinai alla porta che avevo rotto all'inizio della settimana - la<br />

finestra era già stata riparata - e provai ad abbassarne la maniglia. Non<br />

era chiusa a chiave. Che premuroso.<br />

Dentro, sentii subito Jack rovistare in giro, unico rumore in quella casa


altrimenti immobile, e avanzai furtivo lungo il corridoio buio fino alla<br />

cucina lunga dai soffitti alti, tutta mattonelle bianche e nere e lunghe<br />

distese di piani di lavoro neri. La luce che pioveva dalle due finestre sulla<br />

parete di destra era bianca e pura, si rifletteva sulle pareti bianche e<br />

sprofondava nelle padelle nere appese al soffitto. Era come se l'intera<br />

stanza fosse bianca e nera.<br />

Preferivo di gran lunga la cucina di Grace, calda, in disordine, pregna<br />

dell'odore di cannella, aglio e pane a quella stanza sterile e opprimente.<br />

Jack mi dava la schiena; era chino davanti al frigo d'acciaio senza una<br />

macchia, e frugava nei cassetti. Mi bloccai, ma la sua ricerca dentro il<br />

frigo aveva coperto i miei rumori. Non c'era vento che potesse portare il<br />

mio odore verso di lui, così rimasi per un bel pezzo a valutare<br />

l'avversario e anche le mie alternative. Era alto, spalle larghe, capelli neri<br />

ondulati, come una statua greca. Il suo modo di muoversi mi suggeriva<br />

un'eccessiva sicurezza di sé, e per qualche motivo questo mi irritava.<br />

Soffocai un ringhio e scivolai appena oltre la porta, per poi issarmi in<br />

silenzio sul bancone di fronte. L'altezza mi avrebbe dato un po' di<br />

vantaggio, nel caso in cui Jack fosse diventato aggressivo.<br />

Si allontanò dal frigo e scaricò una bracciata di cibo sul tavolo dalla<br />

superficie lucida. Per alcuni minuti lo guardai prepararsi un sandwich.<br />

Mise con cura uno strato di carne e di formaggio, spalmò la salsa sul<br />

pane, e poi alzò lo sguardo.<br />

«Gesù» disse.<br />

«Ciao» replicai.<br />

«Cosa vuoi?» Non sembrava spaventato. Non ero abbastanza grosso<br />

da spaventare la gente con un semplice sguardo.<br />

Non sapevo che cosa rispondere. Dopo aver sentito la conversazione<br />

con Isabel, le mie priorità erano diventate altre. «Dimmi un po', qual è<br />

questa cura miracolosa?»<br />

Ora sì che sembrava spaventato. Solo per un istante, però, e poi tornò<br />

alla sua espressione sicura. «Di cosa stai parlando?»<br />

«Credi di aver trovato una cura. Cos'è che te lo fa credere?»


«Okay, amico. Chi sei?»<br />

Non mi piaceva per niente. Non sapevo perché; era una sensazione<br />

che partiva dallo stomaco e mi faceva capire che quel ragazzo non mi<br />

piaceva proprio per niente. Se non l'avessi ritenuto pericoloso per Grace,<br />

Olivia e Isabel l'avrei mandato al diavolo e l'avrei lasciato lì. Eppure la<br />

mia avversione rendeva anche più facile confrontarmi con lui. Rendeva<br />

più facile assumere il ruolo del ragazzo che ha tutte le risposte. «Sono uno<br />

come te. Uno che è stato morso.» Fu lì lì per protestare, e io alzai la mano<br />

per fermarlo. «Se hai intenzione di dire qualcosa tipo "Ti sbagli, non sono<br />

io", risparmiatelo. Ti ho visto da lupo. Allora, dimmi, cosa ti fa pensare di<br />

aver trovato un modo per fermare la metamorfosi?»<br />

«Perché dovrei fidarmi di te?»<br />

«Perché a differenza di tuo padre, io non faccio imbalsamare gli<br />

animali per metterli nell'atrio. E perché non voglio che tu ti mostri a<br />

scuola o davanti a casa della gente, mettendo a repentaglio il branco.<br />

Stiamo solo cercando di sopravvivere alla sorte di merda che ci è toccata.<br />

Non abbiamo bisogno che un ricco e viscido teppistello come te ci<br />

esponga al resto del mondo per farci inseguire con i forconi.»<br />

Jack ringhiò. Era un po' troppo simile a un animale per i miei gusti, e<br />

i miei timori furono confermati quando lo vidi tremare leggermente. Era<br />

ancora molto instabile; poteva trasformarsi in qualunque momento.<br />

«Non devo più pensarci. Fra poco avrò la cura, quindi va' all'inferno e<br />

lasciami in pace.» Indietreggiò verso il bancone.<br />

Io balzai giù dal piano. «Jack, non c'è nessuna cura.»<br />

«Ti sbagli» scattò lui. «Uno dei lupi è guarito.»<br />

Si stava spostando a poco a poco verso il ceppo dei coltelli. Avrei<br />

dovuto fuggire, ma le sue parole mi immobilizzarono. «Cosa?»<br />

«Sì. Ci ho messo un sacco di tempo, ma ho capito. A scuola c'è una<br />

ragazza che è stata morsa ed è guarita. Grace. So che lei conosce la cura.<br />

E me la dirà, in fretta.»<br />

Il mio mondo iniziò a vacillare. «Stai lontano da lei.»<br />

Jack mi fece un gran sorriso, o forse era una smorfia. La sua mano era


sul bancone, indietreggiava verso i coltelli, e lui aveva le narici dilatate,<br />

per inalare l'odore debole di lupo che il freddo aveva fatto affiorare dalla<br />

mia pelle. Disse: «Perché? Non vuoi saperlo anche tu? O ti ha già curato?»<br />

«Non c'è nessuna cura. Lei non sa niente.» Non mi piaceva affatto che<br />

la mia voce fosse così rivelatrice; i miei sentimenti per Grace erano<br />

pericolosamente trasparenti.<br />

«Non puoi saperlo, amico» disse Jack. Tese la mano verso il coltello,<br />

ma tremava troppo per agguantare il manico al primo tentativo. «Ora<br />

fuori di qui.»<br />

Ma io non mi mossi. Non riuscivo a pensare a niente di peggio che<br />

Jack e Grace intenti a discutere della cura. Lui tremante, instabile,<br />

violento; lei incapace di dargli le risposte che cercava.<br />

Jack riuscì ad afferrare un manico ed estrasse un coltello dall'aspetto<br />

tutt'altro che innocuo; aveva il bordo dentellato, e rifletteva il bianco e<br />

nero della cucina in decine di direzioni diverse. Jack tremava così tanto<br />

che riusciva a malapena a puntare la lama verso di me. «Ti ho chiesto di<br />

andartene.»<br />

Il mio istinto mi spronò a saltargli addosso, come avrei fatto se si fosse<br />

trattato di uno dei lupi, ringhiargli sul collo e sottometterlo. Per fargli<br />

promettere di stare lontano da lei. Ma non funzionava così da umano,<br />

almeno non quando il tuo avversario era tanto più forte. Mi avvicinai a<br />

lui, i miei occhi sui suoi occhi invece che sul coltello, e provai una tattica<br />

diversa. «Jack. Ti prego. Lei non ha la risposta, ma io posso renderti tutto<br />

più facile.»<br />

«Vattene via.» Jack fece un passo verso di me, poi un passo indietro, e<br />

cadde, reggendosi solo su un ginocchio. Il coltello finì sul pavimento;<br />

sussultai prima che atterrasse, ma a sorpresa l'impatto fu smorzato. Jack<br />

non fece quasi alcun rumore quando seguì la stessa sorte del coltello. Le<br />

sue dita erano artigli che si aprivano e si chiudevano sui quadrati bianchi<br />

e neri. Disse qualcosa, ma ormai parlava in modo incomprensibile. Nella<br />

mente mi si formarono dei versi. Avrebbero dovuto essere per lui ma in<br />

realtà riguardavano me. Mondo di parole perso tra i vivi / il mio posto è<br />

insieme ai morti-viventi / Derubato della voce io continuo a offrire /


migliaia di parole al terrore di morire.<br />

Mi chinai accanto a lui, spingendo il coltello lontano dal suo corpo in<br />

modo che non si facesse male. Non aveva senso chiedergli qualcosa,<br />

ormai. Sospirai e ascoltai i suoi lamenti, i gemiti, le urla. Eravamo pari, io<br />

e Jack. Nonostante tutti i suoi privilegi e i bei capelli e le spalle diritte di<br />

uno sicuro di sé, non era migliore di me.<br />

Jack piagnucolò.<br />

«Dovresti essere felice» dissi al lupo ansante. «Stavolta non hai<br />

vomitato.»<br />

Jack mi guardò per un lungo istante con quegli occhi nocciola, senza<br />

battere le palpebre, prima di balzare sulle zampe e avventarsi verso la<br />

porta.<br />

Volevo solo andarmene, ma non avevo scelta. Qualsiasi possibilità di<br />

lasciarlo perdere era svanita non appena aveva pronunciato il nome di<br />

Grace.<br />

Partii all'inseguimento. Ci rincorremmo per tutta la casa, i suoi<br />

unghielli che scivolavano sul pavimento di legno duro e le mie scarpe che<br />

stridevano dietro di lui. Arrivai a rotta di collo nell'atrio degli animali<br />

ghignanti; il puzzo della loro pelle morta mi riempi le narici. Jack aveva<br />

due vantaggi: conosceva la casa ed era un lupo. Avrei scommesso che si<br />

sarebbe nascosto negli angoli che conosceva alla perfezione invece di<br />

contare sulla sua forza animale sconosciuta.<br />

Avevo scommesso male.


Capitolo quarantotto • Grace<br />

9 °C<br />

Sam non era mai stato in ritardo prima. Quando uscivo da scuola lui<br />

era sempre lì con la Bronco ad aspettarmi; quindi non mi ero mai posta<br />

il problema di dove potesse essere o di che cosa facesse nel frattempo.<br />

Ma quel giorno dovetti aspettarlo.<br />

Aspettai finché gli studenti non furono saliti tutti sugli autobus.<br />

Aspettai finché i ritardatari non ebbero raggiunto le loro macchine e<br />

furono scomparsi, da soli o a coppie. Aspettai finché gli insegnanti non<br />

uscirono da scuola e salirono in macchina. Pensai di mettermi a fare i<br />

compiti. Pensai al sole che si stava abbassando sulla linea degli alberi e mi<br />

chiedevo quanto freddo facesse all'ombra.<br />

«Il tuo autista è in ritardo, Grace?» mi chiese Mr. Rink, gentile, mentre<br />

andava via. Si era cambiato la camicia e odorava vagamente di colonia.<br />

Dovevo avere l'aria smarrita, seduta sul bordo di mattoni della piccola<br />

aiuola davanti alla scuola, abbracciata allo zaino. «Un po'.»<br />

«Vuoi che chiami qualcuno?»<br />

Con la coda dell'occhio vidi la Bronco entrare nel parcheggio, e trassi<br />

un lungo sospiro di sollievo. Sorrisi a Mr. Rink. «No. Eccolo.»<br />

«Meno male» disse lui. «Perché a quanto pare più tardi farà molto<br />

freddo. La neve!»<br />

«Evviva!» dissi in tono acido, e lui rise e mi salutò con la mano mentre<br />

andava verso la sua macchina. Mi gettai lo zaino in spalla e corsi verso la<br />

Bronco. Aprii la portiera sul lato del passeggero e salii.<br />

Fu solo un attimo dopo aver chiuso la portiera che mi resi conto che<br />

l'odore era tutto sbagliato. Alzai lo sguardo verso il guidatore e incrociai<br />

le braccia sul petto, tremando.<br />

«Dov'è Sam?»<br />

«Vuoi dire il ragazzo che dovrebbe essere al volante al posto mio?»<br />

disse Jack.


Anche se avevo visto i suoi occhi nel corpo di un lupo, anche se Isabel<br />

mi aveva detto di averlo visto, anche se sapevo da settimane che era<br />

vivo, non ero preparata a vedere Jack in carne e ossa. I capelli neri<br />

ondulati, più lunghi dall'ultima volta che l'avevo incrociato nei corridoi<br />

della scuola, gli occhi nocciola guizzanti, le mani appese al volante.<br />

Reale. Vivo. Il cuore mi scalciava nel petto.<br />

Tenendo gli occhi sulla strada, Jack uscì rapido dal parcheggio. Di<br />

sicuro aveva calcolato che con la macchina in movimento non avrei<br />

provato a fuggire, ma poteva stare tranquillo. Quello che non sapevo mi<br />

teneva inchiodata al mio posto: dov'era Sam?<br />

«Sì, il ragazzo che dovrebbe essere seduto al tuo posto.» La voce mi<br />

uscì come un ringhio. «Dov'è?»<br />

Jack mi scoccò un'occhiata; era nervoso, tremava. Qual era la parola<br />

che aveva usato Sam per descrivere i nuovi, lupi? Instabili? «Non ho<br />

intenzione di fare la parte del cattivo, Grace. Ma ho bisogno di risposte,<br />

e subito, o ci metto un attimo a incattivirmi.»<br />

«Stai guidando come un idiota. Se non vuoi che ti fermi la polizia, ti<br />

conviene rallentare. Dove stiamo andando?»<br />

«Non lo so. Dimmelo tu. Voglio sapere come porre fine a tutto questo<br />

e voglio saperlo adesso, perché sta peggiorando.»<br />

Non sapevo se con "sta peggiorando" parlava in generale, per via del<br />

freddo, o se voleva dire che stava peggiorando adesso, in quel preciso<br />

momento. «Non ti dico niente finché non mi porti da Sam.» Jack non<br />

rispose. Dissi: «Non sono in vena di scherzi. Dov’è?»<br />

Jack volse la testa verso di me. «Non credo che tu possa farci niente.<br />

Sono io che guido e sono io che so dov'è Sam e sono io che posso<br />

strapparti via la testa se mi trasformo, quindi mi pare che sei tu quella che<br />

dovrebbe iniziare a pisciarsi addosso e a dirmi quello che voglio sapere.»<br />

Aveva le mani strette sul volante, le braccia rigide scosse da brividi.<br />

Oddio, era sul punto di trasformarsi. Dovevo farmi venire un'idea per<br />

convincerlo a lasciare la strada.<br />

«Cosa vuoi sapere?»


«Come fare a fermare il processo di trasformazione. So che conosci la<br />

cura. So che sei stata morsa.»<br />

«Jack, non so come fare a fermarlo. Non posso curarti.»<br />

«Certo. Ero sicuro che avresti risposto cosi. Per questo ho morso la tua<br />

stupida amica. Perché sapevo che non ti saresti presa la briga di curare<br />

me, ma lei si. Dovevo solo assicurami che si sarebbe trasformata<br />

davvero.»<br />

Il senso di vertigine mi tolse il respiro; la voce mi usci a stento. «Hai<br />

morso Olivia?»<br />

«Sei scema? L'ho appena detto. Quindi adesso ti conviene parlare<br />

perché sto per ahh.» Il collo di Jack si contrasse, torcendosi in modo<br />

insolito. I miei sensi lupeschi mi gridavano pericolo paura terrore rabbia,<br />

emozioni che rotolavano fuori da lui a ondate.<br />

Mi sporsi e alzai il riscaldamento. Non sapevo quanto sarebbe stato<br />

d'aiuto, però male non avrebbe fatto.<br />

«E il freddo. Il freddo ti fa trasformare in lupo e il calore blocca il<br />

processo.» Parlavo in fretta, per impedirgli di intervenire, per impedire<br />

che si arrabbiasse ancora di più. «I primi tempi, dopo che vieni morso, è<br />

il periodo peggiore. Non fai altro che passare da una forma all'altra, ma<br />

poi incominci a stabilizzarti. Arriverai a restare umano più a lungo... per<br />

l'estate intera...» I muscoli delle braccia di Jack si contrassero ancora, e la<br />

macchina slittò di coda nella ghiaia sul bordo della strada prima di<br />

rientrare in carreggiata. «Adesso non sei in grado di guidare! Per favore.<br />

Non me ne andrò, voglio aiutarti, sul serio. Ma devi portarmi da Sam.»<br />

«Zitta.» La voce di Jack era per metà un ringhio. «Anche quella cagna<br />

diceva che voleva aiutarmi. Sono stufo. Mi ha detto che ti hanno morso<br />

e non ti sei trasformata. Ti ho seguito. Faceva freddo. Non ti sei<br />

trasformata. Quindi cos'è? Olivia ha detto che non lo sa.»<br />

La pelle mi bruciava per il riscaldamento sparato al massimo e per la<br />

forza delle sue emozioni. Ogni volta che diceva "Olivia" era come un<br />

pugno nello stomaco. «Non sta mentendo: Olivia non lo sa. Mi hanno<br />

morso. É vero. Ma non mi sono mai trasformata. Neppure una volta.


Non ho una cura. É solo che non mi sono trasformata. Non so perché.<br />

Nessuno sa perché. Per favore...»<br />

«Smettila di dirmi bugie.» Ormai era difficile capire quello che diceva.<br />

«Voglio la verità. Subito. Oppure ti faccio del male.»<br />

Chiusi gli occhi. Era come se avessi perso l'equilibrio e il mondo<br />

vorticasse via da me. Ci doveva essere qualcosa che potevo dirgli per<br />

migliorare la situazione. Aprii gli occhi. «Bene. Okay. C'è una cura. Ma<br />

non ce n'è abbastanza per tutti, e quindi nessuno vuole parlartene.»<br />

Sussultai quando si mise a colpire il volante con le unghie nere. Con la<br />

mente cercai di isolarmi da quella realtà estranea per concentrarmi<br />

sull'immagine dell'infermiera che infilava l'ago della siringa col vaccino<br />

antirabbia nella pelle di Sam. «É un vaccino, più o meno, ti va diritto<br />

nelle vene. Ma fa male. Molto. Sei sicuro di volerlo?»<br />

«Anche questo fa male» ringhiò Jack.<br />

«Bene. Se ti porto dove si trova il vaccino mi dirai dov'è Sam?»<br />

«Come vuoi! Dimmi dove andare. In nome di Dio, se stai mentendo ti<br />

uccido.»<br />

Gli diedi indicazioni per raggiungere la casa di Beck e pregai che si<br />

sbrigasse. Presi il cellulare dallo zaino.<br />

Jack riportò l'attenzione su di me, e la Bronco sbandò. «Che cosa stai<br />

facendo?»<br />

«Chiamo Beck. É l'uomo che ha la cura. Devo dirgli di non dare a<br />

nessuno l'ultima dose prima che arriviamo. Va bene?»<br />

«Ti conviene non mentirmi, non sto scherzando...»<br />

«Ascolta. Questo è il numero che sto digitando. Non è la polizia.» Mi<br />

tornò in mente il numero di Beck; ero più brava coi numeri che con le<br />

parole. Iniziò a squillare.<br />

Rispondi. Rispondi. Rispondi. Fa' che sia la decisione giusta.<br />

«Pronto?»<br />

Riconobbi la voce. «Ciao Beck, sono Grace.»<br />

«Grace? Mi dispiace, la tua voce mi suona familiare ma io non...»


Alzai la voce per coprire la sua. «Hai ancora quella roba? La cura? Ti<br />

prego, dimmi che non hai usato l'ultima dose.»<br />

Beck rimase in silenzio.<br />

Finsi che avesse risposto. «Grazie a Dio. Ascolta. Jack Culpeper mi ha<br />

rapito, siamo in macchina. Ha portato Sam da qualche parte e non vuole<br />

dirmi dove si trova a meno che non gli dia la cura. Siamo più o meno a<br />

dieci minuti da casa tua.»<br />

Beck disse, molto a bassa voce: «Maledizione.»<br />

Per qualche ragione la frase mi fece tremare; mi ci volle un attimo a<br />

rendermi conto che era un singhiozzo represso. «Sì. Quindi ti fai trovare<br />

lì?»<br />

«Sì, certo. Grace... ci sei ancora? Lui può sentirmi?»<br />

«No.»<br />

«Mostrati sicura, ok? Cerca di non aver paura. Non guardarlo negli<br />

occhi, ma assecondalo. Vi aspettiamo in casa. Fallo entrare. Non posso<br />

uscire, altrimenti mi trasformerei e a quel punto saremo tutti fottuti.»<br />

«Cosa dice?» chiese Jack.<br />

«Mi sta dicendo da quale porta devi entrare quando arrivi. Per fare in<br />

fretta e non correre il rischio di trasformarti. Non può somministrarti la<br />

cura se sei un lupo.»<br />

«Brava» disse Beck.<br />

Per qualche motivo, la gentilezza inaspettata di Beck fu difficile da<br />

reggere: mi fece salire le lacrime agli occhi, cosa che invece le minacce di<br />

Jack non erano riuscite a fare.<br />

«Arriviamo fra pochissimo.» Chiusi la comunicazione e guardai Jack.<br />

Non proprio negli occhi ma un po' di lato. «Vai in fondo al vialetto e ti<br />

apriranno la porta principale.»<br />

«Come faccio a sapere che posso fidarmi di te?» domandò Jack.<br />

Mi strinsi nelle spalle. «É come hai detto tu. Sai dov'è Sam. Dato che<br />

dobbiamo scoprire dov'è, non potrà succederti nulla.»


Capitolo quarantanove • Sam<br />

4 °C<br />

Il freddo mi si era attaccato alla pelle. La terra scura premeva sui miei<br />

occhi, così pesante che per toglierla dovetti battere le palpebre. Quando<br />

lo feci, vidi davanti a me un fosco rettangolo bianco: la cornice di una<br />

porta. Senza altre forme di riferimento, non riuscivo a dire se era<br />

disperatamente vicina oppure terribilmente lontana. Gli odori mi si<br />

affollavano attorno, odori di polvere, organici, chimici. Sentivo il mio<br />

respiro quasi rimbombare, quindi il posto in cui mi trovavo doveva<br />

essere molto piccolo. Una stanza degli attrezzi? Un seminterrato?<br />

Merda. Che freddo faceva. Non abbastanza perché mi trasformassi,<br />

non ancora. Ma presto sarebbe successo. Ero sdraiato. Perché ero<br />

sdraiato? Mi trassi in piedi e mi morsi il labbro, con forza, per non<br />

gemere. La caviglia aveva qualcosa che non andava. Provai ancora ad<br />

appoggiarla, facendo molta attenzione, un fragile cerbiatto sulle zampe<br />

nuove, e lei cedette sotto il mio peso. Crollai di lato, roteando le braccia,<br />

in cerca di sostegno. I miei palmi rastrellarono una schiera di strumenti di<br />

tortura appuntiti appesi alle pareti. Non avevo idea di cosa fossero:<br />

freddi, metallici, sporchi.<br />

Per un attimo rimasi carponi, ad ascoltare il mio respiro, a sentire il<br />

sangue zampillare sulle mani, e pensai di rinunciare. Ero stanco di lottare.<br />

Mi sembrava di non fare altro da settimane.<br />

Alla fine mi rialzai e zoppicai verso la porta, le braccia in avanti per<br />

proteggere il mio corpo indifeso da altre sorprese. L'aria ghiacciata si<br />

intrufolava attraverso le fessure della porta. Si riversava sul mio corpo<br />

come acqua. Agguantai una maniglia, ma non era altro che legno<br />

arrugginito. Una scheggia mi si conficcò in un dito e imprecai, a<br />

bassissima voce. Poi appoggiai la spalla contro la porta e spinsi,<br />

pensando: Ti prego apriti ti prego se c'è giustizia in questo mondo.<br />

Niente.


Capitolo cinquanta • Grace<br />

4 °C<br />

Presi lo zaino. «Ci siamo.»<br />

Era strano che la casa di Beck fosse identica a quando Sam mi aveva<br />

portato lì per mostrarmi il bosco dorato, perché le circostanze erano di<br />

gran lunga diverse, ma di fatto era uguale. L'unica differenza era<br />

l'ingombrante SUV di Beck nel vialetto.<br />

Jack stava già accostando. Sfilò le chiavi dall'accensione e mi guardò,<br />

con occhi diffidenti. «Scendi dopo di me.» Ubbidii: Jack fece il giro<br />

dell'auto e mi aprì la portiera. Scivolai giù dal sedile e lui mi strinse forte<br />

il braccio. Le sue spalle erano troppo... troppo compresse l'una verso<br />

l'altra e aveva la bocca leggermente aperta: non credo che se ne fosse<br />

accorto. In teoria avrei dovuto temere che mi attaccasse, ma tutto ciò a<br />

cui riuscivo a pensare era: Lui sta per trasformarsi, e noi non riusciremo a<br />

scoprire dov'è Sam.<br />

Pregai che Sam si trovasse in un posto caldo, al riparo dall'inverno.<br />

«Sbrigati» dissi, strattonando il braccio che Jack mi stringeva, e corsi<br />

verso l'ingresso. «Non c'è tempo.»<br />

Jack provò ad aprire la porta. Come promesso, non era chiusa a<br />

chiave, e lui mi fece andare avanti per prima. Poi sbatté la porta alle<br />

nostre spalle. Il mio olfatto individuò un pizzico di rosmarino nell'aria:<br />

qualcuno aveva cucinato, e per qualche motivo mi tornò in mente<br />

l'aneddoto di Sam che cucinava le bistecche per Beck. Poi sentii un urlo e<br />

un ringhio alle mie spalle.<br />

Entrambi i suoni appartenevano a Jack. Non era la lotta silenziosa di<br />

Sam che cercava di restare umano. Questa era violenta, furiosa, urlata. Le<br />

labbra di Jack si spaccarono in un ringhio e poi la sua faccia si squarciò in<br />

un muso, mentre la pelle cambiava colore. Cercò di allungare le mani per<br />

colpirmi, ma quelle si accartocciarono in zampe, con unghie dure e nere.<br />

Un attimo prima di ogni cambiamento la pelle gli si gonfiava e riluceva,<br />

come una placenta che coprisse un terrificante neonato ferino.


Fissai la camicia che pendeva dal torso del lupo. Non riuscivo a<br />

distogliere lo sguardo. Era l'unico dettaglio che poteva convincere il mio<br />

cervello che quell'animale era davvero stato Jack.<br />

Questo Jack era arrabbiato come prima in macchina; ora però la sua<br />

rabbia non aveva direzioni, non aveva controllo umano. Scoprì le labbra<br />

in un ringhio, ma non ne uscì alcun suono.<br />

«Indietro!»<br />

Un uomo fece irruzione nell'ingresso, sorprendentemente agile,<br />

considerata l'altezza, e corse da Jack. Questi, colto alla sprovvista, si<br />

accucciò sulla difensiva, e l'uomo si gettò sul lupo con tutto il peso.<br />

«Stai giù!» ringhiò l'uomo, e io indietreggiai prima di rendermi conto<br />

che stava parlando con il lupo. «Giù. Questa è casa mia. Qui non sei<br />

niente.» Stringeva con la mano il muso di Jack e gli gridava diritto in<br />

faccia. Jack sibilava attraverso la mascella serrata, e Beck gli spinse con<br />

forza la testa contro il pavimento. Gli occhi di Beck si posarono rapidi su<br />

di me, e sebbene stesse immobilizzando un lupo enorme con una sola<br />

mano, la sua voce era perfettamente piana. «Grace? Puoi aiutarmi?»<br />

Ero rimasta lì impalata a guardare la scena. «Sì.»<br />

«Prendi il bordo del tappeto» disse. «Lo trasciniamo in bagno. É...»<br />

«So dov'è.»<br />

«Bene. Andiamo. Cercherò di aiutarti, ma devo tenerlo giù con il mio<br />

peso.»<br />

Insieme trascinammo Jack lungo il corridoio fino al bagno con la<br />

vasca in cui avevo costretto Sam a entrare. Beck, per metà sul tappetino<br />

e per metà fuori, si mise alle spalle di Jack e lo spinse nella stanza, e io<br />

calciai dentro il resto del tappetino. Beck balzò all'indietro e sbatté la<br />

porta, per poi chiuderla a chiave. La maniglia era stata montata al<br />

contrario, in modo che la serratura si trovasse all'esterno; il che mi portò<br />

a chiedermi quante volte fossero successe cose del genere.<br />

Beck trasse un respiro profondo - un po' un eufemismo, considerate le<br />

circostanze - e mi guardò. «Stai bene? Ti ha morso?»


Scossi la testa, infelice. «Non è questo l'importante. Come faremo<br />

adesso a trovare Sam?»<br />

Beck mi fece cenno di seguirlo nella cucina che odorava di rosmarino.<br />

Quando mi accorsi che c'era qualcun altro seduto al bancone, alzai lo<br />

sguardo, circospetta. Se mi avessero chiesto di descriverlo, l'unica parola<br />

che avrei trovato sarebbe stata scuro. Non era altro che scuro e immobile<br />

e silenzioso, e mandava odore di lupo. Sulle mani aveva cicatrici in<br />

apparenza recenti; doveva essere Paul. Non diceva niente, e Beck non gli<br />

disse niente mentre si sporgeva sul bancone per prendere un cellulare.<br />

Digitò un numero e mise in vivavoce. Mi guardò.<br />

«Quanto è arrabbiato con me? Si è sbarazzato del suo cellulare?»<br />

«Non credo. Però non sapeva il tuo numero.»<br />

Beck fissava il cellulare e tutti lo ascoltavamo squillare, piccolo e<br />

distante. Ti prego, rispondi. Il cuore mi batteva all'impazzata. Mi sporsi<br />

sul tavolo della cucina e guardai Beck, le sue spalle squadrate, la mascella<br />

squadrata, la linea squadrata delle sopracciglia. Tutto in lui sembrava<br />

leale, onesto, saldo. Volevo fidarmi di lui. Volevo credere che non mi<br />

potesse capitare niente di brutto perché Beck non si faceva prendere dal<br />

panico.<br />

Un crepitio all'altro capo della linea.<br />

«Sam.» Beck si avvicinò al telefono.<br />

La voce era terribilmente spezzata. «Gr...? S... tu?»<br />

«Sono Beck. Dove sei?»<br />

«... ack. Grace... Jack a... co.» L'unica cosa che riuscivo a capire era il<br />

suo dolore. Avrei voluto essere lì con lui, dovunque fosse.<br />

«Grace è qui» disse Beck. «É tutto sotto controllo. Dove sei? Sei in<br />

salvo?»<br />

«Freddo.»<br />

' Fu l'unica parola che ci arrivò in modo terribilmente chiaro. Mi<br />

spostai dal tavolo. Restare immobile era impossibile.<br />

La voce di Beck era ancora tranquilla. «Non sentiamo molto bene.


Prova di nuovo. Dimmi dove sei. Più chiaro che puoi.»<br />

«Di' a Grace... chiamare I-bel... in... capanno da qualche -te. Ho<br />

sentito... fa.»<br />

Tornai al piano della cucina e mi sporsi sul bancone. «Vuoi che chiami<br />

Isabel. Sei in una rimessa che fa parte della loro proprietà? Lei è lì?»<br />

«-ì.» La voce di Sam era enfatica. «Grace?»<br />

«Cosa?»<br />

«-i amo.»<br />

«Non dirlo» dissi. «Ti tireremo fuori.»<br />

«Sbri—»<br />

Riappese.<br />

Lo sguardo di Beck guizzò su di me, e dentro i suoi occhi riuscii a<br />

scorgere tutta la preoccupazione che la sua voce non rivelava. «Chi è<br />

Isabel?»<br />

«La sorella di Jack.» Mi ci volle un tempo che parve infinito per<br />

prendere lo zaino ed estrarre il cellulare da una delle tasche. «Sam<br />

dev'essere intrappolato da qualche parte nella loro proprietà. In una<br />

rimessa, o qualcosa del genere. Se riesco a chiamare Isabel, forse lei<br />

potrebbe trovarlo. Altrimenti ci vado io subito.»<br />

Paul guardava fuori dalla finestra il sole morente, e sapevo che stava<br />

pensando che non avremmo fatto in tempo ad arrivare dai Culpeper<br />

prima che la temperatura si abbassasse ancora. Non aveva senso<br />

rimuginarci. Trovai il numero di Isabel tra le chiamate ricevute e premetti<br />

INVIO.<br />

Squillò due volte. «Sì.»<br />

«Isabel, sono Grace.»<br />

«Non sono un'idiota. Ho visto il numero.»<br />

Avrei voluto passare attraverso il telefono e strangolarla. «Isabel, Jack<br />

ha rinchiuso Sam da qualche parte vicino a casa tua.» Lei cercò di<br />

intromettersi per chiedermi qualcosa, ma io la ignorai. «Non so perché.


Ma Sam si trasformerà se fa ancora più freddo, e dovunque si trovi, è<br />

rinchiuso. Ti prego, dimmi che sei a casa.»<br />

«Sì. Sono appena arrivata. Sono a casa. Non ho sentito nessun<br />

trambusto né niente.»<br />

«Avete una rimessa, un capanno o qualcosa del genere?»<br />

Isabel fece un versetto irritato. «Abbiamo sei fabbricati annessi.»<br />

«Dev'essere in uno di quelli. Chiamava da dentro un capanno. Se il<br />

sole cala dietro gli alberi, farà freddo in due secondi.»<br />

«Ho capito!» sbottò Isabel. Si sentirono dei fruscii. «Mi sto mettendo il<br />

cappotto. Sto uscendo, Mi senti? Ora sono fuori. Mi si sta congelando il<br />

culo per colpa tua. Sto attraversando il cortile. Sto attraversando quella<br />

parte del prato su cui pisciava il mio cane prima che il mio maledetto<br />

fratello se lo mangiasse.»<br />

Paul accennò un sorriso.<br />

«Puoi fare in fretta?» domandai.<br />

«Sto correndo al primo capanno. Adesso lo chiamo. Sam! Sam! Sei<br />

qui? Non sento niente. Se si è trasformato in un lupo in una di queste<br />

rimesse e io lo libero e lui mi strappa via la faccia, ti faccio citare in<br />

giudizio dai miei.»<br />

Sentii un lieve, confuso cigolio. «Diavolo. Questa porta è bloccata.»<br />

Un altro cigolio. «Sam? Ragazzo-lupo? Sei qui? Nel deposito delle<br />

falciatrici non c'è niente. E comunque dov'è Jack, se ha fatto questo?»<br />

«Qui. Per adesso sta bene. Senti qualcosa?»<br />

«Ho i miei dubbi che stia davvero bene. È ridotto molto male, Grace.<br />

Di testa, intendo. E no, te lo direi se sentissi qualcosa. Sto andando<br />

nell'altro.»<br />

Paul posò il dorso della mano sul vetro della finestra sopra il lavello e<br />

trasalì. Aveva ragione. Stava diventando troppo freddo.<br />

«Richiama Sam» implorai Beck. «Digli di gridare, così lei può sentirlo.»<br />

Beck prese il cellulare, pigiò un tasto e lo portò all'orecchio.


Isabel era senza fiato. «Sono nell'altro capanno. Sam? Sei qui? Sam?»<br />

chiamò. Si sentì un cigolio quasi impercettibile quando aprì la porta. Una<br />

pausa. «A meno che non si sia trasformato in una bicicletta, non è<br />

neppure qui.»<br />

«Quanti ce ne sono rimasti?» Avrei voluto essere a casa dei Culpeper al<br />

posto di Isabel. Sarei stata più veloce di lei. Avrei gridato con tutta l'aria<br />

che avevo nei polmoni per trovarlo.<br />

«Te l'ho detto. Altri quattro. Due sono più vicini. Gli altri sono nei<br />

campi dietro casa, molto più lontani. Sono fienili.»<br />

«Dev'essere in uno dei due più vicini. Ha detto che era un capanno.»<br />

Guardai Beck, che aveva ancora il cellulare all'orecchio. Mi restituì lo<br />

sguardo, scosse la testa. Nessuna risposta. Sam, perché non rispondi?<br />

«Sono nel deposito degli attrezzi. Sam! Sam! Sono Isabel, se sei un<br />

lupo, non mi staccare la faccia.» La sentivo respirare nel telefono. «La<br />

porta è bloccata come l'altra. Sto cercando di aprirla a calci con le mie<br />

scarpe costosissime e questo mi fa incazzare.»<br />

Beck sbatté il telefono sul bancone e si voltò, dando le spalle sia a me<br />

che a Paul. Intrecciò le mani dietro la testa. Il gesto era così da Sam che mi<br />

commosse.<br />

«Sono riuscita ad aprirla. C'è puzza. Schifezze dappertutto. Non c'è<br />

niente... oh.» Si interruppe, e il suo respiro attraverso il telefono parve<br />

più greve di prima.<br />

«Cosa? Cosa?»<br />

«Aspetta un secon... zitta. Mi sto togliendo il cappotto. É qui, okay?<br />

Sam, Sam, guardami. Ho detto guardami, bastardo, non ti trasformerai<br />

in lupo proprio adesso. Non t'azzardare a farle questo.»<br />

Scivolai lentamente accanto al bancone, tenendo il telefono contro la<br />

testa. Il volto di Paul non mutò: si limitava a guardarmi. Immobile, zitto,<br />

scuro, lupo.<br />

Sentii uno schiocco forte e una parolaccia sibilata a mezza voce, poi il<br />

vento che rombava attraverso l'altoparlante. «Lo porto dentro. Grazie a<br />

Dio i miei genitori stasera non sono a casa. Ti chiamo tra qualche minuto.


Adesso mi servono tutte e due le mani.»<br />

Il telefono ammutolì. Alzai lo sguardo verso Paul, che continuava a<br />

guardarmi, come se si stesse chiedendo che cosa gli avrei detto, ma<br />

sentivo che lo sapeva già.


Capitolo cinquantuno • Grace<br />

3 °C<br />

Mentre svoltavo nel viale dei Culpeper, il nevischio danzava sul<br />

parabrezza e i pini parvero inghiottire i fari. Quella casa gigantesca<br />

sarebbe stata quasi invisibile al buio, se non fosse stato per una manciata<br />

di luci nelle finestre del pianterreno. Puntai la Bronco verso di loro come<br />

se pilotassi una nave e la stessi indirizzando verso le luci della costa, e mi<br />

fermai accanto all'auto di Isabel. Non c'erano altre macchine.<br />

Presi un altro giaccone di Sam e balzai fuori. Isabel mi accolse alla<br />

porta sul retro e mi condusse attraverso una specie di anticamera che<br />

puzzava di fumo, piena di stivali, guinzagli per cani e corna ramificate di<br />

cervo. La puzza di fumo non fece che aumentare quando uscimmo<br />

dall'anticamera e passammo attraverso una cucina bellissima e severa. Sul<br />

ripiano c'era un sandwich intatto, abbandonato.<br />

Isabel disse: «É in salotto, accanto al camino. Ha smesso di vomitare<br />

appena prima che arrivassi tu. Ha vomitato sul tappeto. Ma è tutto a<br />

posto perché non sai quanto mi piace fare arrabbiare i miei genitori. Non<br />

ha senso interrompere uno schema consolidato.»<br />

«Ti ringrazio» dissi, molto più grata di quanto riuscisse a esprimere la<br />

mia frase. Seguii la puzza di fumo fino in salotto. Fortunatamente per<br />

Isabel e per la sua scarsissima dimestichezza nell'attizzare il fuoco, il<br />

soffitto era molto alto, e il fumo risaliva. Sam era un fagotto rannicchiato<br />

accanto al camino, con una coperta di pelliccia avvolta attorno alle<br />

spalle. Di fianco a lui c'era una tazza che era rimasta intatta, ancora<br />

fumante.<br />

Mi precipitai da lui, infastidita dal calore del fuoco, e mi fermai di<br />

colpo quando sentii il suo odore: pungente, di terra, selvatico. Un odore<br />

dolorosamente familiare che amavo tanto, ma che in quel momento non<br />

volevo sentire per niente al mondo. Però quando volse il viso verso di<br />

me era un viso umano, e io mi accovacciai accanto a lui e lo baciai. Mi<br />

accolse fra le braccia con molta cautela, come se io o lui potessimo<br />

romperci da un momento all'altro, e mi avvolse, posando la testa sulle


mie spalle. Lo sentivo tremare a intermittenza, a dispetto del fuoco<br />

fumoso che era piccolo ma abbastanza caldo da bruciarmi le spalle.<br />

Avrei voluto che dicesse qualcosa. Quel silenzio di tomba mi<br />

spaventava. Mi separai da lui e gli accarezzai i capelli per un lungo istante<br />

prima di dire ciò che andava detto. «Non stai bene, vero?»<br />

«É come essere sulle montagne russe» disse Sam a bassa voce. «Salgo<br />

salgo salgo verso l'inverno, e finché non arrivo in cima c'è il rischio di<br />

scivolare.»<br />

Spostai lo sguardo sul fuoco e presi a osservarne il cuore, la parte più<br />

calda, fino a quando i colori e la luce persero di significato accecandomi<br />

con una luce bianca danzante. «E adesso sei in cima.»<br />

«Credo di sì. Spero di no. Ma... mi sento malissimo.» Mi prese la mano<br />

con le dita gelide.<br />

Non riuscivo a sopportare il silenzio. «Beck voleva venire. Ma non<br />

poteva lasciare la casa.»<br />

Sam deglutì, abbastanza forte da sentirlo. Forse era di nuovo sul<br />

punto di star male. «Non lo vedrò più. É il suo ultimo anno. Credevo di<br />

avere ragione ad essere arrabbiato con lui, ma adesso mi sembra solo<br />

stupido. Io proprio non riesco... non riesco a venirne a capo.»<br />

Non capivo se non riuscisse a venire a capo del motivo per cui si era<br />

arrabbiato con Beck, qualunque esso fosse, o del suo giro sulle montagne<br />

russe. Mi limitai a fissare il fuoco. Così caldo. Una minuscola estate,<br />

autonoma e furiosa. Se solo avessi potuto portarla dentro Sam e tenerlo<br />

al caldo per sempre. Sapevo che Isabel era sulla soglia, ma sembrava<br />

distante.<br />

«Continuo a chiedermi cosa mi ha impedito di trasformarmi» dissi<br />

piano. «Magari sono immune di nascita o qualcosa del genere. Eppure<br />

sono sicura di no. Perché mi è venuta quell'influenza. E perché continuo<br />

a non essere davvero... normale. Ho l'olfatto e l'udito molto più<br />

sviluppati di quelli di una persona normale.» Feci una pausa, cercando di<br />

raccogliere i pensieri. «E credo che mio padre abbia una buona parte di<br />

responsabilità. Credo che il fatto che mi abbia dimenticato dentro la


macchina sia stato determinante. C'era caldissimo, il dottore ha detto che<br />

sarei potuta morire. Ricordi? Ma non sono morta. Sono sopravvissuta. E<br />

non mi sono trasformata in un lupo.»<br />

Sam mi guardava con occhi tristi. «Forse hai ragione» disse.<br />

«Però potrebbe essere questa la cura, no? Riscaldarsi al massimo.»<br />

Sam scosse la testa. Era molto pallido. «Non credo che basti, angelo.<br />

Quanto era calda l'acqua del bagno dove mi hai costretto a immergermi?<br />

E che mi dici di Ulrik? Quell'anno è andato in Texas - lì ci sono più o<br />

meno quaranta gradi - ed è ancora un lupo. Se è stato questo a curarti, è<br />

successo perché eri piccola e perché avevi la febbre così alta che ti ha<br />

bruciato da dentro.»<br />

«Potresti farti venire la febbre apposta» dissi di botto. Ma non appena<br />

lo dissi, scossi la testa. «Solo che non credo che esista una medicina che ti<br />

faccia alzare la temperatura.»<br />

«È possibile» disse Isabel dalla porta. La guardai. Si sporse dalla soglia,<br />

le braccia incrociate al petto, le maniche della felpa sudicie dopo essere<br />

riuscita a tirar fuori - chissà come - Sam dalla rimessa. «Mia madre lavora<br />

in un ospedale per i poveri due volte la settimana, e l'ho sentita parlare di<br />

un ragazzo che aveva la febbre a 42 °. Aveva la meningite.»<br />

«Che gli è successo?» chiesi. Sam mi lasciò andare la mano e distolse il<br />

viso.<br />

«É morto.» Isabel si strinse nelle spalle. «Ma forse un lupo mannaro<br />

non morirebbe. Forse è per questo che non sei morta quando eri piccola,<br />

perché sei stata morsa proprio prima che quell'idiota di tuo padre ti<br />

lasciasse a cuocere in macchina.»<br />

Sam si alzò in fretta e furia e iniziò a tossire.<br />

«Non in quella fottuta coperta!» disse Isabel.<br />

Balzai in piedi quando Sam posò le mani sulle ginocchia e si<br />

abbandonò ai conati, senza però vomitare. Si voltò verso di me, e nei<br />

suoi occhi vidi qualcosa che mi fece cadere il mondo addosso.<br />

La stanza puzzava di lupo. In un attimo di stordimento, con la faccia


seppellita nella sua pelliccia, ebbi la sensazione che io e Sam ci trovassimo<br />

a mille miglia di distanza.<br />

Sam strizzò gli occhi per un secondo, e quando li riaprì disse: «Scusa,<br />

Grace, so che è una cosa brutta da chiedere. Ma potremmo andare da<br />

Beck? Devo rivederlo, se questa è...» Si fermò.<br />

Ma sapevo che cosa era stato lì lì per dire. La fine.


Capitolo cinquantadue • Grace<br />

1 °C<br />

Ero sempre nervosa quando guidavo in una notte nuvolosa. Avevo la<br />

sensazione che la copertura bassa di nubi non offuscasse soltanto il chiaro<br />

di luna ma annullasse anche il potere dei fari, risucchiando la luce nel<br />

momento stesso in cui colpiva l'aria. In quel momento, insieme a Sam,<br />

era come se stessi guidando dentro un tunnel buio che si restringeva via<br />

via che andavo avanti. Il nevischio batteva sul tergicristallo; stringevo il<br />

volante con entrambe le mani mentre la macchina avanzava ostinata<br />

sulla strada scivolosa.<br />

Il riscaldamento era al massimo, e cercavo di convincermi che Sam<br />

stesse un po' meglio. Isabel gli aveva messo del caffè in una tazza da<br />

asporto, e io gli imposi di berlo durante il viaggio, nonostante la nausea.<br />

Sembrava che funzionasse, certo più delle fonti di calore esterno. Questo<br />

rafforzò la mia teoria del calore interno.<br />

«Ho pensato alla tua teoria» disse Sam, come se mi leggesse nel<br />

pensiero. «É molto sensata, ma ci vuole qualcosa che induca la febbre -<br />

forse la meningite, come ha detto Isabel - e credo che possa essere<br />

piuttosto spiacevole.»<br />

«Al di là della febbre in sé, dici?»<br />

«Sì. Al di là di questo. Spiacevole in modo pericoloso.<br />

Soprattutto considerato che non si può provare sugli animali per<br />

scoprire se funziona o no.» Sam mi lanciò un'occhiata veloce per vedere<br />

se avevo capito la battuta.<br />

«Non è affatto divertente.»<br />

«Meglio di niente.»<br />

«Senza dubbio.»<br />

Sam si sporse e mi sfiorò la guancia. «Ma lo provo volentieri. Per te.<br />

Per stare con te.»<br />

Lo disse in un modo così semplice, così sincero, che mi ci volle un


attimo per cogliere appieno la portata di quell'affermazione. Volevo dire<br />

qualcosa, ma mi sembrava di non avere fiato.<br />

«Non voglio farlo più, Grace. Non è più così bello guardarti dal bosco,<br />

non ora che sono stato con te, nel senso più completo del termine. Non<br />

posso più limitarmi a guardarti. Preferirei correre qualsiasi rischio possa<br />

comportare...»<br />

«La morte...»<br />

«Sì, anche la morte, piuttosto che vedere tutto questo scivolarmi via.<br />

Non posso, Grace. Voglio provarci. Solo che credo che si debba essere in<br />

forma umana per avere qualche possibilità. Non credo che si possa<br />

uccidere il lupo mentre tu sei il lupo.»<br />

Tremavo. Non perché facesse freddo, ma perché sembrava una cosa<br />

possibile. Orribile, mortale, spaventosa, e possibile. E volevo che lo<br />

fosse, possibile. Volevo non dover rinunciare alla sensazione delle sue<br />

dita sulla mia guancia o al suono triste della sua voce. Avrei dovuto dirgli<br />

No, non ne vale la pena, ma sarebbe stata una bugia di proporzioni così<br />

epiche che non potevo farlo.<br />

«Grace» disse Sam, d'un tratto. «Se mi vuoi.»<br />

«Cosa?» dissi, e poi capii quello che aveva detto. Mi sembrava assurdo<br />

che ci fosse bisogno di chiederlo. Non potevo essere così difficile da<br />

leggere. Poi mi resi conto - stupida, lenta che sono - che voleva<br />

sentirmelo dire. Lui diceva tutto il tempo quello che provava, e io invece<br />

ero... stoica. Non gliel'avevo mai detto. «Certo, Sam, ti amo, lo sai che ti<br />

amo. Ti amo da anni. Lo sai.»<br />

Sam si strinse nelle braccia. «Sì. Ma volevo sentirtelo dire.» Si protese<br />

verso la mia mano prima di rendersi conto che non potevo lasciare il<br />

volante; e allora arrotolò una ciocca dei miei capelli tra le dita e mi posò<br />

i polpastrelli sul collo. Credetti di sentire, attraverso quel minuscolo<br />

contatto, le mie e le sue pulsazioni battere all'unisono. Tutto questo<br />

potrebbe essere mio per sempre.<br />

Si abbandonò di nuovo sul sedile, con l'aria stanca, e reclinò la testa<br />

sulla spalla per guardarmi mentre giocava con i miei capelli. Accennò una


canzone a bocca chiusa, e poi, dopo alcune battute, cominciò a cantarla.<br />

A bassa voce. Era metà cantata e metà parlata, dolce all'inverosimile.<br />

Non riuscii ad afferrare tutte le parole, ma parlava della sua ragazza<br />

estiva. Io. Forse la ragazza della sua vita. Cantava con gli occhi gialli<br />

socchiusi, e in quel momento idilliaco, teso nel mezzo di un paesaggio<br />

ricoperto di neve come una singola bolla di nettare estivo, mi parve di<br />

vedere il futuro srotolarsi davanti a me.<br />

La Bronco sbandò con violenza, e subito dopo un cervo rotolò sopra<br />

il cofano. Sul parabrezza si formò una crepa, che poi esplose in mille<br />

incrinature simili a ragnatele. Frenai, ma non servì a nulla. L'auto non<br />

rispondeva ai comandi.<br />

Gira, disse Sam, o forse lo immaginai, ma quando girai il volante, la<br />

Bronco continuò ad andare diritto, scivolando, scivolando, scivolando.<br />

Mi ricordai, in un cantuccio<br />

sperduto della memoria, di mio padre che diceva Gira il volante<br />

quando slitti, e lo feci, ma fu troppo tardi.<br />

Ci fu un rumore come di ossa che si spezzano, e c'era un cervo morto<br />

sulla macchina e dentro la macchina e vetro ovunque e santo cielo, un<br />

albero conficcato nel cofano, e sangue sulle nocche per colpa dei<br />

frammenti di vetro e io tremavo e Sam mi guardava con<br />

quell'espressione tipo oh no e poi mi resi conto che la macchina non si<br />

stava muovendo e che dal buco frastagliato del parabrezza entrava aria<br />

gelida.<br />

Per un momento rimasi a fissare Sam. Poi provai a riaccendere il<br />

motore, ma quando girai la chiave non diede alcun segno di vita. Dissi:<br />

«Chiamiamo il 911. Verranno a prenderci.»<br />

La bocca di Sam formò una piccola linea triste, e annuì, come se quella<br />

fosse davvero la soluzione. Digitai il numero e raccontai dell'incidente,<br />

parlando veloce, cercando di indovinare dove ci trovavamo, e poi mi<br />

tolsi il cappotto, attenta a non far strisciare le maniche sulle nocche<br />

insanguinate, e lo gettai sopra Sam. Lui rimase in silenzio, immobile,<br />

mentre prendevo una coperta dal sedile di dietro e gliela gettavo<br />

addosso, e poi scivolai dall'altro lato del sedile e mi accoccolai contro di


lui, sperando che il mio corpo lo riscaldasse.<br />

«Per favore, chiama Beck» disse Sam, e lo feci. Misi in vivavoce e attesi<br />

in linea.<br />

«Grace?» Era la voce di Beck.<br />

«Beck» disse Sam. «Sono io.»<br />

Ci fu una pausa, e poi: «Sam, io...»<br />

«Non c'è tempo» disse Sam. «Abbiamo investito un cervo. Siamo<br />

spacciati.»<br />

«Santo cielo. Dove sei? La macchina funziona?»<br />

«Siamo troppo lontani. Abbiamo chiamato il 911. Il motore è andato.»<br />

Sam diede a Beck un attimo perché lui si rendesse conto della situazione.<br />

«Beck, mi dispiace di non essere venuto. Devo dirti delle cose...»<br />

«No, prima ascolta me, Sam. Quei ragazzi. Devi sapere che li ho<br />

reclutati. Loro erano d'accordo. Sono sempre stati d'accordo. Non l'ho<br />

fatto contro il loro volere. Al contrario di come è successo con te. Mi<br />

dispiace tanto, Sam. Non ho mai smesso di sentirmi in colpa.»<br />

Quelle parole per me non significavano niente, ma per Sam<br />

evidentemente era diverso. I suoi occhi erano lucidi, e batté le palpebre.<br />

«Non ho rimpianti. Ti voglio bene, Beck.»<br />

«Anch'io ti voglio bene, Sam. Tu sei il migliore tra di noi e niente potrà<br />

cambiarlo.»<br />

Sam ebbe un brivido, i primi effetti del freddo che lo aggrediva. «Devo<br />

andare» disse. «Non c'è più tempo.»<br />

«Addio, Sam.»<br />

«Ciao, Beck.» Sam annuì verso di me e io premetti un tasto per<br />

chiudere la telefonata.<br />

Per un secondo continuò a battere le palpebre. Poi si tolse con uno<br />

scossone tutte le coperte e i cappotti, in modo da avere le braccia libere,<br />

e le avvolse attorno a me, più strette che poteva. Lo sentivo tremare,<br />

tremare contro di me mentre affondava il viso nei miei capelli.


Dissi, invano: «Sam, non andare.»<br />

Sam mi prese il viso tra le mani, e mi guardò negli occhi. I suoi occhi<br />

erano gialli, tristi, lupeschi, miei. «Questi rimangono uguali. Ricordatelo<br />

quando mi guarderai. Ricordati che sono io. Ti prego.»<br />

Ti prego, non andare.<br />

Sam mi lasciò andare e tese le braccia, aggrappandosi con una mano al<br />

cruscotto e con l'altra alla parte posteriore del sedile. Piegò la testa e<br />

guardai le sue spalle incresparsi e tremare, guardai il dolore silenzioso<br />

della trasformazione fino a quell'unico debole, terribile grido, nel<br />

momento in cui smarrì se stesso.


Capitolo cinquantatré • Sam<br />

1 °C<br />

mi schianto nel vuoto tremulo<br />

cercando la tua mano<br />

perso in sterili rimpianti<br />

questo fragile amore è<br />

un modo<br />

per dirti<br />

addio.


Capitolo cinquantaquattro • Grace<br />

0 °C<br />

Quando arrivò l'ambulanza, ero rannicchiata sul sedile del<br />

passeggero, coperta da un mucchio di cappotti, le mani sul viso.<br />

«Si sente bene, signorina?»<br />

Non risposi, lasciai cadere le mani in grembo e osservai le dita<br />

insanguinate, ricoperte di lacrime.<br />

«É da sola, signorina?»<br />

Annuii.


Capitolo cinquantacinque • Sam<br />

0 °C<br />

La guardavo, come avevo sempre fatto.<br />

I pensieri erano scivolosi e sfuggenti, piste lievi nel vento ghiacciato,<br />

troppo lontani perché riuscissi ad afferrarli.<br />

Rimase seduta vicino all'altalena, appena fuori dal bosco, rannicchiata<br />

su se stessa, fino a quando il freddo non la fece tremare, e ancora non si<br />

mosse. A lungo non seppi che cosa stava facendo.<br />

La guardavo. Una parte di me voleva andare da lei, ma l'istinto mi<br />

dissuadeva. Il desiderio accese un pensiero, che a sua volta accese il<br />

ricordo del bosco dorato, giorni che mi fluttuavano attorno e che<br />

cadevano, giorni che giacevano immobili e accartocciati a terra.<br />

Ma in quel momento capii che cosa faceva lì, ripiegata su se stessa,<br />

scossa dal freddo brutale. Stava aspettando, aspettava che il freddo le<br />

facesse venire gli spasmi e la trasformasse. Forse quel profumo<br />

sconosciuto che emanava da lei era speranza.<br />

Aspettava di cambiare, io aspettavo di cambiare, ed entrambi<br />

volevamo ciò che non potevamo avere.<br />

Alla fine, la notte strisciò su tutto il cortile, allungando le ombre,<br />

trascinandole fuori dalla boscaglia, fino a che il mondo intero non ne fu<br />

ricoperto.<br />

La guardavo.<br />

La porta si aprì. Indietreggiai nel buio. Un uomo uscì e raccolse la<br />

ragazza da terra. La luce della casa scintillava sulle strisce ghiacciate che le<br />

rigavano il volto.<br />

La guardavo. I pensieri, distanti, fuggirono con la sua assenza.<br />

Quando scomparve dentro casa, rimase solo questo: desiderio e<br />

rimpianto.


Capitolo cinquantasei • Grace<br />

1 °C<br />

I loro ululati erano la cosa più dura da sopportare.<br />

Per quanto fossero terribili i giorni, le notti erano peggio; i giorni non<br />

erano che apatici preparativi per riuscire ad affrontare in qualche modo<br />

un'altra notte popolata dalle loro voci. Me ne stetti distesa a letto<br />

abbracciando il suo cuscino, respirando il suo odore, finché ve ne rimase<br />

traccia. Dormii nello studio di papà, sulla sua poltrona, finché al posto<br />

della sua forma non prese la mia. Camminavo scalza per casa, vittima di<br />

un dolore intimo che non potevo condividere con nessuno.<br />

L'unica persona con cui avrei potuto farlo era Olivia, ma non riuscivo<br />

a rintracciarla al telefono, e la mia macchina - la macchina di cui non<br />

sopportavo neppure il pensiero - era fuori uso.<br />

E così a casa c'ero solo io e davanti a me si estendevano le ore e fuori<br />

dalla finestra gli alberi spogli, immutati, di Boundary Wood.<br />

La notte in cui sentii il suo ululato fu la peggiore. Cominciarono gli<br />

altri, come avevano fatto nelle ultime tre notti. Sprofondai nella<br />

poltrona di pelle dello studio di papà, seppellii il viso nell'ultima<br />

maglietta rimasta che ancora avesse il suo odore e finsi che quegli ululati<br />

fossero registrati, che non provenissero da lupi veri. Da persone vere. Fu<br />

allora che, per la prima volta dall'incidente, sentii il suo ululato unirsi agli<br />

altri.<br />

Sentire la sua voce mi spezzò il cuore. I lupi ululavano piano dietro di<br />

lui, un'armonia dolceamara, ma io sentivo solo Sam. Il suo ululato<br />

vacillava, cresceva, ricadeva addolorato.<br />

Ascoltai a lungo. Pregai che la smettessero, che mi lasciassero in pace,<br />

ma allo stesso tempo avevo un disperato terrore che lo facessero. Molto<br />

dopo che le altre voci si furono dissolte, Sam continuò a ululare, piano,<br />

piano.<br />

Quando alla fine calò il silenzio, la notte parve morta.


Era insopportabile restare ancora seduta. Mi alzai, feci due passi,<br />

strinsi i pugni e li aprii. Alla fine presi la chitarra che Sam aveva suonato e<br />

con un urlo la fracassai sulla scrivania di papà.<br />

Quando papà scese dalla sua camera, mi trovò seduta in un mare di<br />

schegge di legno e di corde spezzate, come se una barca con un carico di<br />

musica si fosse schiantata su una riva rocciosa.


Capitolo cinquantasette • Grace<br />

2 °C<br />

La prima volta che risposi al telefono dopo l'incidente, stava<br />

nevicando. Fiocchi leggeri e delicati che vedevo scendere dal quadrato<br />

nero della mia finestra, come petali di fiori. Non avrei risposto se a<br />

chiamarmi non fosse stata l'unica persona che stavo cercando. «Olivia?»<br />

«G-gr-r-ace?» Olivia, quasi irriconoscibile. Singhiozzava.<br />

«Olivia, ssst... cos'è successo?» Era una domanda stupida. Sapevo che<br />

cos'era successo.<br />

«Ti r-ricordi quando ti ho detto che sapevo dei lupi?» Tra una parola e<br />

l'altra traeva enormi respiri. «Non ti ho detto dell'ospedale. Jack...»<br />

«Ti ha morso» dissi.<br />

«Sì.» Olivia lo disse in un singhiozzo. «Credevo che non sarebbe<br />

successo niente, perché i giorni passavano e io ero sempre la stessa!»<br />

Mi sentii debolissima. «Ti sei trasformata?»<br />

«Io... non posso... io...»<br />

Chiusi gli occhi, immaginandomi la scena. Santo cielo. «Dove sei<br />

adesso?»<br />

«Alla f-fermata dell'autobus.» Fece una pausa, tirando su col naso. «Fa<br />

freddo.»<br />

«Oh, Olivia. Olivia, vieni qui. Stai con me. Troveremo una soluzione.<br />

Verrei io, ma non ho ancora la macchina nuova.»<br />

Olivia ricominciò a singhiozzare.<br />

Mi alzai e chiusi la porta della mia stanza. Ma non perché la mamma<br />

potesse sentirmi; era al piano di sopra. «Olivia, è tutto a posto. Non mi<br />

impressiono. Ho già visto Sam trasformarsi, so di cosa si tratta. Calmati,<br />

okay? Non posso venire a prenderti. Non ho la macchina. Dovrai<br />

guidare fino a qui.»<br />

La rassicurai per qualche altro minuto e le dissi che quando fosse


arrivata le avrei fatto trovare la porta d'ingresso aperta. Per la prima<br />

volta dall'incidente, sentivo che mi stavo riavvicinando a me stessa.<br />

Quando arrivò, con gli occhi rossi e i capelli scompigliati, la spinsi<br />

verso il bagno per farle fare una doccia e le diedi dei vestiti di ricambio.<br />

Mi sedetti sul coperchio del water mentre lei ero sotto l'acqua calda.<br />

«Ti racconto la mia storia se tu mi racconti la tua» le dissi. «Voglio<br />

sapere quando ti ha morso Jack.»<br />

«Ti ho già raccontato come ci siamo incontrati, mentre scattavo foto<br />

ai lupi, e come gli ho dato da mangiare. Sono stata una stupida a non<br />

dirtelo... mi sentivo così in colpa per la nostra lite che non te l'ho detto<br />

subito, e poi ho iniziato a saltare le lezioni per aiutarlo, e mi sembrava<br />

che non avrei potuto dirtelo senza... non so cosa pensavo. Mi dispiace.»<br />

«Ormai è acqua passata» dissi. «Come si comportava? Ti ha costretto<br />

lui ad aiutarlo?»<br />

«No» disse Olivia. «In realtà quando le cose andavano come voleva lui<br />

era molto simpatico. Quando si trasformava diventava irascibile, ma<br />

sembrava che soffrisse. E continuava a chiedermi dei lupi, voleva<br />

guardare le foto, e ne parlavamo in continuazione, e quando ha<br />

scoperto che eri stata morsa...»<br />

«Scoperto?» ripetei.<br />

«D'accordo, gliel'ho detto io! Non sapevo che questa cosa l'avrebbe<br />

fatto impazzire! Dopo, non faceva altro che parlare di una cura, e<br />

cercava di farmi dire qual era il modo per guarire. E poi lui, ehm, lui...» Si<br />

asciugò gli occhi. «Mi ha morso.»<br />

«Aspetta. Ti ha morso mentre era umano?»<br />

«Sì.»<br />

Ebbi un brivido. «Oddio, è terribile. Schifoso bastardo. E così hai<br />

dovuto affrontare la situazione da sola?»<br />

«A chi potevo dirlo?» disse Olivia. «Pensavo che Sam fosse uno di loro,<br />

per via degli occhi, perché mi era sembrato di riconoscerli dalle foto dei<br />

lupi, ma quando l'ho incontrato mi ha detto che portava le lenti a


contatto. Così, o mi stavo sbagliando, o lui non aveva nessuna<br />

intenzione di aiutarmi.»<br />

«Avresti dovuto parlarne con me. Ti avevo già parlato dei lupi<br />

mannari.»<br />

«Lo so. Mi sentivo solo... in colpa. Solo...» Chiuse l'acqua. «Stupida.<br />

Non so. Cosa posso fare ormai? Come ha fatto Sam a restare umano per<br />

così tanto tempo? Lo vedevo. Ti aspettava nella Bronco e non si<br />

trasformava mai.»<br />

Le passai un asciugamano da sopra la tenda. «Vieni nella mia stanza e<br />

te lo dico.»<br />

Olivia rimase con me tutta la notte, tremando e scalciando così tanto<br />

che alla fine si fece un nido di coperte e s'infilò nel mio sacco a pelo<br />

accanto al letto, così che potessimo dormire entrambe. Dopo aver fatto<br />

colazione in tarda mattinata, andammo a comprare del dentifricio e altri<br />

articoli da bagno. La mamma si era fatta accompagnare al lavoro da<br />

papà e io usai la sua macchina. Sulla strada di ritorno dal negozio, il<br />

cellulare iniziò a squillare. Olivia prese il telefono senza rispondere e mi<br />

lesse il numero.<br />

Beck. Volevo davvero farlo? Sospirai e tesi la mano per prendere il<br />

telefono. «Pronto?»<br />

«Grace?»<br />

«Sì.»<br />

«Mi dispiace di doverti chiamare» disse Beck in tono neutro. «So che gli<br />

ultimi giorni devono essere stati difficili per te.»<br />

Dovevo replicare? Sperai di no, perché non riuscivo a pensare a nulla.<br />

Mi sentivo la testa appannata.<br />

«Grace?»<br />

«Ci sono.»<br />

«Ti chiamo per Jack. Adesso va meglio, è più stabile, e non ci vorrà<br />

molto prima che si trasformi per l'inverno. Ma per altre due settimane<br />

temo che continuerà a passare da una forma all'altra.»


Non avevo il cervello così annebbiato da non accorgermi di quanto<br />

Beck ormai si fidasse di me. Mi sentii vagamente onorata. «Quindi non è<br />

più chiuso in bagno?»<br />

Beck rise: non una risata divertita, ma comunque piacevole da sentire.<br />

«No, è stato promosso dal bagno alla cantina. Ma ho paura, ehm, che mi<br />

trasformerò presto anch'io. .. per poco non mi trasformavo stamattina. E<br />

se succede, Jack si ritroverà in una posizione molto brutta per le prossime<br />

settimane. Mi costa chiedertelo, perché rischieresti di essere morsa, ma<br />

potresti dargli un'occhiata finché non si trasforma?»<br />

Feci una pausa. «Beck, sono già stata morsa.»<br />

«Oh, mio Dio!»<br />

«No, no» aggiunsi io, svelta. «Non di recente. Molti anni fa.»<br />

La voce di Beck era strana. «Sei la ragazza che Sam ha salvato, vero?»<br />

«Sì.»<br />

«E non ti sei mai trasformata.»<br />

«No.»<br />

«Da quanto tempo conosci Sam?»<br />

«Ci siamo conosciuti di persona soltanto quest'anno. Ma da quando<br />

mi ha salvato non ho smesso di osservarlo.» Entrai nel vialetto ma non<br />

spensi il motore. Olivia si sporse in avanti, alzò il riscaldamento e si<br />

abbandonò di nuovo contro il sedile, a occhi chiusi. «Mi piacerebbe<br />

passare da te prima che ti trasformi. Solo per parlare, se ti va bene.»<br />

«Va più che bene. Ma temo che tu debba venire molto presto. Sto per<br />

arrivare al punto di non ritorno.»<br />

Merda. Sul mio cellulare c'era il bip di un'altra chiamata. «Oggi<br />

pomeriggio?» chiesi. Quando acconsentì, dissi: «Devo andare, mi<br />

dispiace... qualcuno mi sta chiamando.»<br />

Ci salutammo e passai all'altra chiamata.<br />

«Porca merda, Grace, quante volte volevi lasciarlo squillare? Diciotto?<br />

Venti? Cento?» Era Isabel; non la sentivo dal giorno dell'incidente,<br />

quando le avevo detto dove si trovava Jack.


Risposi: «Per quanto potevi saperne tu, ero a lezione e mi stavano<br />

assassinando per aver fatto squillare il telefono in classe.»<br />

«Non eri a scuola. E comunque, ho bisogno del tuo aiuto. Mia madre<br />

ha assistito a un altro caso di meningite - del tipo peggiore - nell'ospedale<br />

dove lavora. Mentre ero lì, ho aspirato il sangue del ragazzo. Tre fiale.»<br />

Strizzai gli occhi parecchie volte prima di capire di che cosa stesse<br />

parlando. «Tu hai fatto cosa? E perché?»<br />

«Grace. Pensavo che fossi la prima della classe. Ma chiaramente c'è chi<br />

scende e c'è chi sale. Prova a concentrarti. Mentre mia madre era al<br />

telefono, ho fatto finta di essere un'infermiera e ho prelevato il sangue<br />

del ragazzo. Il suo disgustoso sangue infetto.»<br />

«Sai prelevare il sangue?»<br />

«Sì, so prelevare il sangue! Lo fanno tutti, no? Hai afferrato quello che<br />

ho detto? Tre fiale. Una per Jack. Una per Sam. Una per Olivia. Voglio<br />

che mi aiuti a portare Jack in clinica. Il sangue è lì, nel frigo. Ho paura di<br />

tirarlo fuori nel caso che il batterio muoia o qualsiasi cosa possa fare un<br />

batterio. Comunque, non so dove abita questo Beck, dove si trova Jack.»<br />

«Vuoi iniettare loro la meningite?»<br />

«No, la malaria. Sì, stupida. La meningite. Il sintomo principale è -<br />

tadà - la febbre. E se devo essere onesta non mi frega niente se lo inietti<br />

a Sam o a Olivia. Probabilmente non funzionerà su Sam perché è già un<br />

lupo. Ma ho pensato che fosse il caso di prendere abbastanza sangue per<br />

tutti se volevo che mi aiutassi.»<br />

«Isabel, ti avrei aiutato in ogni caso» sospirai. «Ti do l'indirizzo.<br />

Vediamoci lì tra un'ora.»


Capitolo cinquantotto • Grace<br />

5 °C<br />

Trovarmi nello scantinato di Beck, mi fece sentire più felice e allo<br />

stesso tempo più triste di quanto mi fossi mai sentita dopo che Sam si era<br />

trasformato, perché vedere Beck lì, nel suo piccolo mondo, era come<br />

rivedere Sam. Tutto cominciò quando lasciammo Olivia che vomitava<br />

nella vasca da bagno e incontrammo Beck in cima alle scale dello<br />

scantinato - faceva troppo freddo per darci appuntamento davanti alla<br />

porta d'ingresso - e notai che Sam aveva ereditato gran parte dei suoi<br />

modi di fare e dei suoi movimenti da Beck. Perfino i gesti più semplici,<br />

come allungarsi per pigiare un interruttore della luce, inclinare la testa<br />

perché lo seguissimo, chinarsi cautamente per evitare una trave bassa in<br />

fondo alle scale. Beck era così simile a Sam da farmi male.<br />

Poi arrivammo in fondo alle scale e trattenni il respiro. Il grande<br />

salone dello scantinato era pieno di libri. Non qualche libro sparso, ma<br />

una vera e propria biblioteca. Lungo le pareti c'erano file di scaffali<br />

incassati che salivano fino al soffitto basso, ed erano tutti stipati di libri.<br />

Anche senza avvicinarmi notai che erano disposti in un ordine preciso;<br />

atlanti ed enciclopedie, alti e voluminosi, in uno scaffale; libri in brossura<br />

bassi e colorati con gli angoli spiegazzati in gran parte degli altri; enormi<br />

libri di fotografia con grosse scritte sui dorsi; romanzi rilegati con le<br />

sovraccoperte lucide. Avanzai lentamente fino al centro della stanza e<br />

rimasi lì sul tappeto arancione scuro, girando su me stessa piano piano<br />

per guardarli tutti.<br />

E l'odore: l'odore di Sam era ovunque in quella stanza, come se lui<br />

fosse con me e mi tenesse per mano, a guardare anche lui tutti quei libri<br />

e aspettando che dicessi: "Mi piace da morire."<br />

Stavo per rompere il silenzio con una frase tipo: "Capisco da chi Sam<br />

ha preso il vizio di leggere" quando Beck disse, quasi in tono di scusa:<br />

«Quando passi tanto tempo dentro casa, leggi moltissimo.»<br />

Poi mi ricordai, tutt'a un tratto, quello che mi aveva detto Sam di<br />

Beck: era il suo ultimo anno da umano. Non avrebbe più letto quei libri.


Quel pensiero mi rubò le parole. Mi limitai a fissare Beck e dopo un po'<br />

me ne uscii con una frase stupida: «Adoro i libri.»<br />

Lui sorrise, come se già lo sapesse. Poi guardò Isabel, che allungava il<br />

collo, quasi che si aspettasse di vedere Jack ficcato in uno degli scaffali.<br />

«Forse Jack è nell'altra stanza, a giocare con i videogiochi» disse Beck.<br />

Isabel seguì lo sguardo di Beck fino alla porta. «Mi squarta la gola se<br />

entro?»<br />

Beck si strinse nelle spalle. «Non è diverso dagli altri giorni. É la stanza<br />

più calda della casa, e credo che lì si senta più a suo agio. Anche se ogni<br />

tanto si trasforma ancora. Cerca di fare attenzione.»<br />

Era interessante sentire il modo in cui parlava di Jack, trattandolo più<br />

da animale che da uomo. Sembrava quasi che stesse dando dei consigli a<br />

Isabel su come avvicinarsi ai gorilla dello zoo. Quando Isabel sparì<br />

nell'altra stanza,<br />

Beck mi indicò con la mano una delle due gonfie poltroncine rosse.<br />

«Siediti.»<br />

Fui felice di sedermi lì. Odorava di Beck e di qualche altro lupo, ma<br />

soprattutto odorava di Sam. Era così facile immaginarmelo rannicchiato<br />

in quella poltroncina, a leggere e a sviluppare un vocabolario tanto vasto<br />

da diventare irritante. Appoggiai la testa su un lato della poltrona per far<br />

finta di stare tra le braccia di Sam e mi voltai a guardare Beck, che si era<br />

sistemato sulla poltrona di fronte. Non era seduto composto, ma<br />

abbandonato, le gambe allungate. Aveva l'aria stanca. «Sono un po'<br />

sorpreso che Sam ti abbia tenuta segreta per tutto questo tempo.»<br />

«Davvero?»<br />

Si strinse nelle spalle. «Forse non dovrei esserlo, dato che io non gli ho<br />

detto di mia moglie.»<br />

«Lo sapeva. Me ne ha parlato.»<br />

Beck rise, una risata breve e affettuosa. «Nemmeno questo dovrebbe<br />

sorprendermi. Tenere qualcosa segreto a Sam era impossibile. Non è per<br />

usare un cliché, ma riusciva a leggere le persone come se fossero libri.»


Entrambi ci riferivamo a lui al passato, come se fosse morto. «Pensi che<br />

lo rivedrò mai più?»<br />

La sua espressione era distante, indecifrabile. «Credo che questo fosse<br />

il suo ultimo anno. Ne sono sicuro. So che è il mio. Non so perché abbia<br />

avuto così pochi anni. Non è normale. Insomma, varia da persona a<br />

persona, ma io sono stato morso più di vent'anni fa.»<br />

«Venti?»<br />

Beck annuì. «In Canada. Avevo ventotto anni, ero una stella nascente<br />

dell'azienda per cui lavoravo, ed ero in vacanza a fare un'escursione.»<br />

«E gli altri? Da dove vengono?»<br />

«Da tutte le parti. Quando ho sentito che c'erano dei lupi nel<br />

Minnesota, ho pensato che potessero essere come me. Così sono venuto<br />

a vedere, e ho scoperto di avere ragione, e Paul mi ha preso sotto la sua<br />

ala protettiva. Paul è...»<br />

«Il lupo nero.»<br />

Annuì. «Vuoi del caffè? Potrei uccidere per il caffè, se mi perdoni<br />

l'espressione.»<br />

Gliene fui immensamente grata. «Sarebbe fantastico. Se mi mostri<br />

dov'è la caffettiera lo preparo io.» Me la indicò, nascosta in una fessura<br />

tra gli scaffali, vicino a un frigorifero minuscolo. «E tu puoi continuare a<br />

parlare.»<br />

Parve compiaciuto. «Di cosa?»<br />

«Del branco. Di com'è essere un lupo. Di Sam. Del perché hai fatto<br />

trasformare Sam.» Feci una pausa, col filtro in mano. «Sì. Quello. In<br />

particolare voglio sapere quello.»<br />

Beck si sfregò il viso nella mano. «Santo cielo, è l'argomento peggiore.<br />

Ho morso Sam perché ero un bastardo egoista senz'anima.»<br />

Dosai la miscela. La sua voce era piena di rimorso, ma non se la<br />

sarebbe cavata così. «Non è un buon motivo.»<br />

Un sospiro profondo. «Lo so. Jen - mia moglie - era appena morta.<br />

Quando ci conoscemmo lei era malata terminale di cancro, quindi


sapevo che sarebbe successo, ma ero giovane e stupido e pensai che forse<br />

sarebbe potuto accadere un miracolo e saremmo vissuti felici e contenti.<br />

Ma il miracolo non avvenne. Ero depresso. Pensai di uccidermi, ma<br />

quando hai un lupo dentro di te il suicidio, per assurdo, non è un'idea<br />

molto buona. Hai mai notato che gli animali non si tolgono la vita di<br />

proposito?»<br />

No. Me lo sarei ricordato.<br />

«Comunque, ero a Duluth quell'estate, e vidi Sam con i suoi genitori.<br />

Oddio, sembra terribile, vero? Ma non è stato così. Io e Jen parlavamo<br />

continuamente di avere dei bambini, sebbene entrambi sapessimo che<br />

non sarebbe mai successo. Diavolo, le rimanevano otto mesi di vita.<br />

Come poteva avere un bambino? Comunque, vidi Sam. Era lì, con i suoi<br />

occhi gialli, proprio come un lupo vero, e fui ossessionato dall'idea. E<br />

non c'è bisogno che tu me lo dica, Grace, so di aver sbagliato, ma lo vidi<br />

con quei suoi genitori stupidi e insulsi, ignoranti come due piccioni, e<br />

pensai che per lui poteva essere meglio. Che avrei potuto insegnargli più<br />

cose io.»<br />

Non dissi nulla, e Beck posò di nuovo la fronte sulla mano. La sua<br />

voce era vecchia di secoli. Non dissi niente, ma lui gemette. «Lo so,<br />

Grace, lo so. Ma la sai una cosa stupida? A me in realtà piace quello che<br />

sono. Ecco, all'inizio no. Era una maledizione. Ma alla fine sono<br />

diventato uno a cui piacciono l'estate e l'inverno. Ha senso quello che sto<br />

dicendo? Sapevo che avrei perso me stesso, alla fine, ma l'ho accettato<br />

molto tempo fa. Pensavo che anche Sam l'avrebbe accettato.»<br />

Trovai le tazze in una rientranza sopra la caffettiera e ne presi due. «E<br />

invece no. Latte?»<br />

«Un po'. Non troppo.» Sospirò. «Per lui è l'inferno. Gli ho creato un<br />

inferno personale. Per sentirsi vivo ha bisogno di quella sorta di<br />

autoconsapevolezza, e quando la perde e diventa un lupo... è l'inferno. É<br />

in assoluto la persona migliore che abbia conosciuto in vita mia, e io l'ho<br />

rovinato. Per anni non c'è stato giorno che non mi sia sentito in colpa.»<br />

Forse se lo sarebbe meritato, ma non potevo buttarlo ancora più giù<br />

di così. Gli portai una tazza di caffè e mi risedetti. «Ti vuole bene, Beck.


Anche se detesta essere un lupo, ti vuole bene. E devo dirtelo, per me è<br />

durissima stare seduta qui con te, perché ogni cosa di te mi fa pensare a<br />

lui. Se tu lo ammiri, è perché sei stato tu a renderlo quello che è.»<br />

Beck assunse un'aria stranamente vulnerabile, le mani strette attorno<br />

alla tazza, e mi guardò attraverso il vapore. Rimase in silenzio per un bel<br />

pezzo e poi disse: «Il rimorso sarà l'unica cosa che sarò felice di perdere.»<br />

Lo guardai stranita. Bevvi un sorso di caffè. «Dimenticherai tutto?»<br />

«Non dimentichi niente. Solo che vedi tutto in maniera diversa.<br />

Attraverso il cervello di un lupo. Alcune cose perdono di importanza<br />

quando sei un lupo. Altre sono emozioni che i lupi non provano. Noi<br />

perdiamo quelle. Ma le cose veramente importanti... possiamo ancora<br />

aggrapparci a loro. Molti di noi ci riescono.»<br />

Come l'amore. Ripensai a Sam che mi osservava, prima che ci<br />

incontrassimo da umani, e a me che lo osservavo a mia volta.<br />

Innamorarsi, per quanto potesse sembrare impossibile. Lo stomaco mi si<br />

contrasse dolorosamente, e per un attimo non riuscii a parlare.<br />

«Sei stata morsa» disse Beck. L'avevo già sentita, questa domanda<br />

senza il punto interrogativo.<br />

Annuii. «Poco più di sei anni fa.»<br />

«Ma non ti sei mai trasformata.»<br />

Gli raccontai di quando ero rimasta chiusa in macchina, e poi gli<br />

spiegai la teoria di una possibile cura che avevamo sviluppato io e Isabel.<br />

Beck rimase in silenzio per un bel pezzo, e intanto disegnava con un dito<br />

un piccolo cerchio sul lato della tazza e fissava senza espressione i libri<br />

sulla parete.<br />

Alla fine annuì. «Potrebbe funzionare. Credo che potrebbe<br />

funzionare. Ma credo anche che perché funzioni si debba essere umani<br />

quando si viene infettati.»<br />

«È quello che ha detto Sam. Ha detto che secondo lui se vuoi uccidere<br />

il lupo, non devi essere un lupo quando vieni infettato.»<br />

Gli occhi di Beck erano ancora remoti mentre rifletteva. «Ma è


ischioso. Non puoi curare la meningite finché non sei sicuro che la<br />

febbre abbia ucciso il lupo. La meningite batterica ha un tasso di<br />

mortalità altissimo, anche se la prendi da piccolo e la curi dall'inizio.»<br />

«Sam mi ha detto che avrebbe corso il rischio di morire per la cura.<br />

Credi che dicesse davvero?»<br />

«Ne sono certissimo» disse Beck, senza esitazione. «Ma lui è un lupo.<br />

Ed è probabile che rimanga così per il resto della sua vita.»<br />

Abbassai lo sguardo sulla tazza mezza vuota, osservando il modo in<br />

cui il liquido cambiava colore proprio vicino al bordo. «Pensavo che<br />

potremmo portarlo all'ospedale, solo per vedere se per caso il<br />

riscaldamento dell'edificio riesce a farlo trasformare.»<br />

Ci fu una pausa, ma non alzai lo sguardo per vedere l'espressione di<br />

Beck. Disse dolcemente: «Grace.»<br />

Deglutii, continuando a guardare il caffè. «Lo so.»<br />

«Ho osservato i lupi per più di vent'anni. É qualcosa che si riesce a<br />

prevedere. Arriviamo alla fine... ed è davvero la fine.»<br />

Mi sentivo come una bambina cocciuta. «Però quest'anno non<br />

avrebbe dovuto e invece si è trasformato, giù sto? Quando gli hanno<br />

sparato è diventato umano.»<br />

Beck bevve un lungo sorso di caffè. Sentivo le sue dita picchiettare sul<br />

lato della tazza. «Per salvarti. É diventato umano per salvarti. Non so<br />

come abbia fatto. O perché. Ma l'ha fatto. Ho sempre pensato che<br />

c'entrasse in qualche modo l'adrenalina, che fa credere al corpo di essere<br />

caldo. So che ci ha provato anche altre volte, ma non c'è riuscito.»<br />

Chiusi gli occhi e immaginai Sam che mi trasportava. Potevo quasi<br />

vederlo, annusarlo, sentirlo.<br />

«Diavolo.» Beck non disse nient'altro per un bel po'. Poi di nuovo:<br />

«Diavolo. É quello che avrebbe voluto. Avrebbe voluto provarci.» Scolò<br />

il caffè. «Lo aiuterò. Cosa avevate in mente? Di drogarlo per il viaggio?»<br />

Era proprio quella la mia intenzione, da quando Isabel mi aveva<br />

chiamato. «Credo che dobbiamo farlo per forza, altrimenti non lo


sopporterebbe.»<br />

«Benadryl» disse Beck, pratico. «Ne ho un po' al piano di sopra. Lo<br />

intontirà così tanto che in macchina non impazzirà.»<br />

«Purtroppo però non so come farlo venire qui. Non lo vedo dal<br />

giorno dell'incidente.» Ci andai piano con le parole. Non potevo<br />

abbandonarmi alla speranza. Non potevo.<br />

La voce di Beck era sicura. «Posso farlo io. Lo porto qui. Farò in modo<br />

che venga. Metteremo il Benadryl in un hamburger.» Si alzò e mi tolse la<br />

tazza dalle mani. «Mi piaci, Grace. Vorrei che Sam avesse potuto...»<br />

Si interruppe e mi mise una mano sulla spalla. Il suo tono era così<br />

gentile che credetti di scoppiare a piangere. «Potrebbe funzionare, Grace.<br />

Potrebbe funzionare.»<br />

Glielo leggevo in faccia che non ci credeva, ma vedevo anche che<br />

voleva crederci. Per il momento mi bastava.


Capitolo cinquantanove • Grace<br />

3 °C<br />

Un sottile strato di neve ricopriva il terreno quando Beck uscì nel<br />

cortile, le spalle scure e squadrate sotto la felpa. Isabel e Olivia rimasero<br />

dentro insieme a me, accanto alla porta di vetro, pronte ad aiutarmi,<br />

anche se mi sentivo sola mentre guardavo Beck incamminarsi lentamente<br />

nel suo ultimo giorno da umano. In una mano aveva un pezzo di carne<br />

cruda intrisa di Benadryl, e l'altra tremava senza controllo.<br />

Beck si fermò a una decina di metri da casa, lasciò cadere la carne per<br />

terra e poi si spostò un po' più in là, nel bosco. Per un attimo rimase lì,<br />

con la testa piegata in un modo a me familiare. In ascolto.<br />

«Che cosa sta facendo?» domandò Isabel, ma non risposi.<br />

Beck si mise le mani attorno alla bocca e, nonostante fossi dentro,<br />

riuscii a sentirlo alla perfezione.<br />

«Sam!» gridò un'altra volta. «Sam! So che sei lì fuori. Sam! Sam! Ti<br />

ricordi chi sei? Sam!»<br />

Tremando, Beck continuò a gridare il nome di Sam nel bosco vuoto e<br />

gelido, finché non inciampò e si rimise in equilibrio appena prima di<br />

cadere.<br />

Mi premetti le dita sulle labbra mentre le lacrime mi scivolavano<br />

lungo le guance.<br />

Beck gridò il nome di Sam ancora una volta, e poi le sue spalle si<br />

incurvarono, deformandosi e contorcendosi; le mani e i piedi scalfivano<br />

lo strato di neve attorno a lui. Gli abiti gli penzolavano addosso, enormi<br />

e aggrovigliati; e poi uscì dal viluppo, scuotendo la testa.<br />

Il lupo grigio era al centro del cortile, rivolto verso la porta a vetri; i<br />

suoi occhi guardavano noi che guardavamo lui. Si allontanò dai vestiti<br />

che non avrebbe più indossato e poi si fermò e rivolse il capo verso il<br />

bosco.<br />

Dai severi pini neri emerse un altro lupo, a testa bassa, circospetto,


con il pelo ricoperto di neve. I suoi occhi mi trovarono dietro il vetro.<br />

Sam.


Capitolo sessanta • Grace<br />

2 °C<br />

La serata era grigio acciaio, il cielo una distesa infinita di nuvole di<br />

ghiaccio che aspettavano la neve e la notte. Fuori, le gomme del SUV<br />

scricchiolavano lungo le strade cosparse di sale, e il nevischio batteva sul<br />

tergicristallo. Dentro, dietro il volante, Isabel continuava a lagnarsi della<br />

"puzza di cane randagio bagnato", ma per me era pino e terra, pioggia e<br />

muschio. E al di là affiorava la punta acuminata e contagiosa dell'ansia.<br />

Jack, sul sedile del passeggero, non faceva che gemere a bassa voce, a<br />

metà strada tra l'uomo e l'animale. Olivia era seduta accanto a me sul<br />

sedile di dietro con le dita intrecciate così strette alle mie da farmi male.<br />

Sam era dietro di noi. Quando l'avevamo caricato, il suo corpo era<br />

greve per via del narcotico. Adesso i suoi respiri erano profondi e<br />

irregolari, e mi sforzavo di ascoltarli sopra il rumore della fanghiglia che<br />

schizzava dalle gomme; dato che non potevo toccarlo, era l'unico modo<br />

per mantenere una specie di connessione con lui. Siccome era drogato,<br />

avrei potuto sedermi accanto a lui e accarezzargli il manto, ma lo avrei<br />

tormentato.<br />

Adesso era un animale. Di nuovo nel suo mondo, lontano da me.<br />

Isabel accostò di fronte al piccolo ospedale. A quell’ora il parcheggio<br />

era buio e non c'era illuminazione; l'ospedale era un modesto quadrato<br />

grigio. Non sembrava un posto dove avvengono miracoli. Sembrava un<br />

posto dove vai quando sei malato e non hai soldi. Scacciai quel pensiero<br />

dalla testa.<br />

«Ho rubato le chiavi a mia madre» disse Isabel. Dovevo riconoscerle<br />

che non sembrava nervosa. «Avanti, Jack, ce la fai a non assalire nessuno<br />

prima di arrivare dentro?»<br />

Jack mormorò qualcosa di irripetibile. Guardai dietro; Sam era sulle<br />

zampe e dondolava. «Isabel, sbrigati. L'effetto del Benadryl sta<br />

svanendo.»<br />

Isabel tirò con forza il freno a mano. «Se ci arrestano, dirò che siete


stati voi a rapirmi.»<br />

«Forza!» sbottai. Aprii la portiera. Sia Olivia che Jack sussultarono dal<br />

freddo. «Sbrigatevi: voi due dovete correre.»<br />

«Torno ad aiutarti» mi disse Isabel, e saltò giù dalla macchina. Mi<br />

voltai verso Sam, che fece roteare gli occhi in su, verso di me. Era<br />

disorientato, stordito.<br />

Per un attimo il suo sguardo mi gelò, perché mi fece ripensare a Sam<br />

disteso con me nel letto, il naso contro il mio naso, gli occhi nei miei.<br />

Emise un debole verso che era pura ansia.<br />

«Mi dispiace» gli dissi.<br />

Isabel tornò, e io andai verso il retro della macchina per aiutarla. Si<br />

tolse la cintura e la legò attorno al muso di Sam in modo esperto.<br />

Trasalii, ma non potevo dirle di non farlo. Lei non era stata morsa e<br />

non potevamo prevedere come avrebbe reagito Sam a tutto questo.<br />

Lo sollevammo in due e lo portammo di peso, camminando a tentoni<br />

fino alla clinica. Con un calcio Isabel aprì la porta, che era già socchiusa.<br />

«Le stanze dove fanno i prelievi sono da quella parte. Chiudilo in una di<br />

queste e occupiamoci prima di Olivia e di Jack. Forse se Sam rimane<br />

abbastanza a lungo al caldo si trasformerà di nuovo.»<br />

Dicendomi quella bugia, Isabel aveva fatto un gesto di straordinaria<br />

gentilezza; entrambe sapevamo che non si sarebbe trasformato a meno<br />

di un miracolo. Il meglio che potessi sperare era che Sam si fosse<br />

sbagliato, che quella cura non l'avrebbe ucciso se fosse stato in forma di<br />

lupo. Seguii Isabel in una piccola stanza per le forniture mediche, stipata<br />

e impregnata dell'odore di medicinali e di gomma. Olivia e Jack erano<br />

già lì ad aspettarci, le teste chine quasi a toccarsi come se stessero<br />

parlando, cosa che mi sorprese. Quando entrammo Jack alzò la testa.<br />

«Non ce la faccio ad aspettare. Non possiamo farla finita subito con<br />

questa maledetta storia?»<br />

Guardai un contenitore di tamponi imbevuti d'alcol. «Devo<br />

preparargli il braccio?»


Isabel mi scoccò un'occhiataccia. «Gli stiamo iniettando di proposito il<br />

virus della meningite. Mi sembra inutile preoccuparsi che non prenda<br />

un'infezione nel punto in cui facciamo la puntura.»<br />

Gli tamponai comunque il braccio mentre Isabel prendeva una siringa<br />

piena di sangue dal frigo.<br />

«Oh, mio Dio» sussurrò Olivia, con gli occhi fissi sulla siringa.<br />

Non avevamo tempo per consolarla. Presi la mano fredda di Jack e la<br />

girai palmo all'insù, come mi ricordavo di aver visto fare all'infermiera<br />

prima che ci iniettasse il vaccino antirabbia.<br />

Isabel guardò Jack. «Sei sicuro?»<br />

Lui scoprì i denti in un ringhio. Puzzava di paura. «Fallo e basta.»<br />

Isabel esitò; mi ci volle un po' a capire perché. «Lascia fare a me» le<br />

dissi. «Non mi può succedere niente.»<br />

Isabel mi passò la siringa e si fece da parte. Presi il suo posto. «Guarda<br />

da un'altra parte» ordinai a Jack. Voltò la testa. Gli infilai l'ago nel braccio<br />

e poi, quando cercò di azzannarmi, lo schiaffeggiai con la mano libera.<br />

«Controllati» scattai. «Non sei un animale.»<br />

Mi sussurrò: «Scusa.»<br />

Abbassai lo stantuffo della siringa fino in fondo, cercando di non<br />

pensare troppo al suo contenuto di sangue, ed estrassi l'ago. C'era una<br />

macchiolina rossa nel punto in cui avevo fatto l'iniezione; non sapevo se<br />

si trattasse del sangue di Jack o del sangue infetto della siringa. Isabel lo<br />

fissava immobile, così mi voltai per darle le spalle, presi un cerotto e lo<br />

applicai in quel punto. Olivia emise un gemito basso.<br />

«Grazie» disse Jack. Si strinse le braccia attorno al corpo. Isabel aveva<br />

la faccia di chi non sta molto bene.<br />

«Dammi l'altra» le dissi, Lei mi porse la siringa e io mi voltai verso<br />

Olivia, che era così pallida che le vedevo la vena pulsare sulla tempia;<br />

l'agitazione le faceva tremare le mani. Ci pensò Isabel, stavolta, a<br />

tamponarle il braccio. Era una sorta di tacita regola, quella per cui<br />

entrambe ci dovevamo sentire utili svolgendo il compito più detestabile.


«Ho cambiato idea!» gridò Olivia. «Non voglio farlo! Correrò i miei<br />

rischi!»<br />

Le presi la mano. «Olivia. Olive. Calmati.»<br />

«Non ci riesco.» Gli occhi di Olivia erano puntati sul rosso scuro della<br />

siringa. «Non me la sento di dirti che preferirei morire piuttosto che<br />

rimanere così.»<br />

Non sapevo che dire. Non volevo convincerla a fare qualcosa che<br />

avrebbe potuto ucciderla, ma non volevo che rinunciasse solo per paura.<br />

«Ma è in gioco tutta la tua vita... Olivia.»<br />

Olivia scosse la testa. «No. No, non ne vale la pena. Lascia provare<br />

Jack, io correrò il rischio. Se funziona su di lui, allora ci proverò anch'io.<br />

Ma io... non posso.»<br />

«Sai che siamo quasi a novembre, vero?» chiese Isabel. «Fa un freddo<br />

cane! Presto ti trasformerai per l'inverno, e dovremo aspettare fino a<br />

primavera.»<br />

«Lascia che aspetti» sbottò Jack. «Non succede niente. É meglio che i<br />

suoi genitori pensino che sia scomparsa per qualche mese piuttosto che<br />

scoprano che è un lupo mannaro.»<br />

«Ti prego.» Gli occhi di Olivia erano pieni di lacrime.<br />

Alzai le spalle, impotente, e posai la siringa. Ne sapevo quanto lei. E in<br />

cuor mio, ero sicura che al suo posto avrei fatto la stessa scelta: meglio<br />

vivere con i suoi amati lupi che morire di meningite.<br />

«Bene» disse Isabel. «Jack, accompagna Olivia in macchina. Aspetta lì e<br />

fai la guardia. Okay, Grace. Andiamo a vedere che cosa ha combinato<br />

Sam in sala prelievo mentre eravamo via.»<br />

Jack e Olivia si avviarono lungo il corridoio, stretti l'uno all'altra per<br />

tenersi caldo, cercando di non cambiare forma, e io e Isabel ci voltammo<br />

per andare dal lupo che la forma l'aveva già cambiata.<br />

Proprio fuori dalla stanza dove si trovava Sam, Isabel mi posò una<br />

mano sul braccio, fermandomi prima che potessi girare la maniglia. «Sei


sicura di volerlo fare?» mi chiese. «Potrebbe ucciderlo. Forse lo ucciderà.»<br />

Invece di rispondere, spinsi la porta.<br />

Alla brutta luce che un neon gettava nella stanza, Sam sembrava<br />

normale, simile a un cane, piccolo, accucciato accanto al tavolo dei<br />

prelievi. Mi inginocchiai davanti a lui, chiedendomi se non avessimo<br />

pensato troppo tardi alla cura e pregando di no. «Sam.» Non voglio<br />

essere per te soltanto un oggetto, penetrante, misterioso .. Sapevo che il<br />

riscaldamento non l'avrebbe fatto ritrasformare in essere umano. Se<br />

l'avevo portato in clinica era stato solo per egoismo. Egoismo e una cura<br />

fallace che forse su di lui in questa forma non avrebbe funzionato. «Sam<br />

vuoi ancora farlo?»<br />

Gli accarezzai il pelo, immaginando che fossero i suoi capelli neri.<br />

Deglutii, infelice.<br />

Sam soffiò dal naso. Non avevo idea se capisse qualcosa di quello che<br />

dicevo; l'unica cosa che vedevo era che nel suo stato seminarcotizzato<br />

non si sottraeva al mio tocco.<br />

Provai di nuovo. «Potrebbe ucciderti. Vuoi sempre provarci?»<br />

Dietro di me, Isabel tossì in modo eloquente.<br />

Sam emise un gemito quando sentì il rumore; i suoi occhi<br />

lampeggiarono da Isabel alla porta. Gli accarezzai la testa e lo guardai<br />

negli occhi. Oddio, erano gli stessi. Era una sofferenza guardarli in quel<br />

momento.<br />

Deve funzionare.<br />

Mi cadde una lacrima. Non mi preoccupai di asciugarla quando alzai<br />

lo sguardo verso Isabel. Volevo fare questa cosa come non avevo mai<br />

voluto nient'altro in vita mia. «Dobbiamo provarci.»<br />

Isabel non si mosse. «Grace, non credo che abbia qualche possibilità se<br />

non è umano. Non credo che funzionerà.»<br />

Gli passai un dito sui peli corti e lisci sul lato del muso. Se non fosse<br />

stato sedato, non l'avrebbe tollerato, ma il Benadryl aveva smorzato i<br />

suoi istinti. Chiuse gli occhi. Un gesto così poco ferino da darmi speranza.


«Grace, lo facciamo o no? Sul serio.»<br />

«Aspetta» dissi. «Provo a fare una cosa.»<br />

Mi sedetti sul pavimento e sussurrai a Sam: «Voglio che tu mi stia ad<br />

ascoltare, se puoi.» Posai il viso sul suo pelo e ripensai al bosco dorato<br />

che mi aveva mostrato tanto tempo prima. Ripensai al modo in cui le<br />

foglie gialle, dello stesso colore degli occhi di Sam, danzavano e si<br />

contorcevano, farfalle in caduta libera, prima di posarsi a terra. I bianchi<br />

tronchi sottili delle betulle, vellutate e lisce come pelle umana. Ripensai a<br />

Sam in mezzo al bosco, le braccia tese, una forma scura e solida nel sogno<br />

degli alberi. A lui che veniva da me, a me che gli davo un pugno sul<br />

petto, al bacio delicato. Ripensai a tutti i baci che ci eravamo dati, e mi<br />

ricordai di tutte le volte che mi ero lasciata stringere dalle sue braccia<br />

umane. Ripensai al leggero calore del suo respiro sulla mia nuca mentre<br />

dormivamo.<br />

Ripensai a Sam.<br />

Ripensai a lui che si sforzava di uscire dalla forma di lupo per me. Per<br />

salvarmi.<br />

Sam si allontanò da me. Aveva la testa abbassata, la coda tra le<br />

gambe, e tremava.<br />

«Che cosa succede?» La mano di Isabel era sulla maniglia.<br />

Sam indietreggiò ancora di più, sbattendo contro l'armadietto dietro<br />

di lui, appallottolandosi, poi distendendosi. Si stava liberando. Tra i<br />

tremori, si stava liberando dalla pelliccia. Era lupo ed era Sam, e poi<br />

lui<br />

fu<br />

solo<br />

Sam.<br />

«Sbrigati» sussurrò Sam. Tremando, sbatté forte contro l'armadietto.<br />

Le sue dita erano artigli sul pavimento. «Sbrigati. Fallo subito.»


Isabel era impalata accanto alla porta.<br />

«Isabel. Dai!»<br />

Si risvegliò dall'incantesimo e venne verso di noi. Si chinò accanto a<br />

Sam, vicina alla vastità della sua schiena nuda. Lui si morse il labbro così<br />

forte da farlo sanguinare. Mi inginocchiai, gli presi la mano.<br />

Aveva la voce tesa. «Grace... sbrigati, sto per andarmene.»<br />

Isabel non fece più nessuna domanda. Si limitò a prendergli il braccio,<br />

a voltarlo e a conficcarvi dentro l'ago. Vuotò la siringa per metà, ma poi<br />

Sam tremò violentemente, e la siringa volò via dal suo braccio. Sam si<br />

staccò da me, strappò la mano dalla mia e vomitò.<br />

«Sam...»<br />

Ormai se n'era andato. In metà del tempo che gli ci era voluto per<br />

diventare umano, era tornato lupo. Tremava, barcollava, graffiava il<br />

pavimento con le unghie. Infine cadde a terra.<br />

«Mi dispiace, Grace» disse Isabel. Fu tutto quello che disse. Posò la<br />

siringa sul banco. «Merda. É la voce di Jack. Torno subito.»<br />

La porta si aprì e si chiuse. Mi inginocchiai accanto al corpo di Sam e<br />

affondai il viso nella sua pelliccia. I suoi respiri erano irregolari, sfiniti. E<br />

tutto quello a cui riuscii a pensare fu: L'ho ucciso. Questa cosa lo ucciderà.


Capitolo sessantuno • Grace<br />

2 °C<br />

Fu Jack ad aprire la porta della stanza. «Grace, forza. Dobbiamo<br />

andare. Olivia non se la passa troppo bene.»<br />

Mi alzai, imbarazzata per essermi fatta trovare con le guance rigate di<br />

lacrime. Mi voltai per riporre la siringa usata dentro il contenitore sterile<br />

accanto al banco. «Per trasportarlo mi serve aiuto.»<br />

Mi lanciò un'occhiataccia. «Secondo te perché Isabel mi ha mandato<br />

qui?»<br />

Abbassai lo sguardo e il mio cuore si fermò: il pavimento era vuoto.<br />

Mi voltai dall'altra parte e mi chinai per guardare sotto il tavolo. «Sam?»<br />

Jack aveva lasciato la porta aperta. La stanza era vuota.<br />

«Aiutami a trovarlo!» gridai a Jack, spingendolo di lato per correre in<br />

corridoio. Non c'era traccia di Sam. Mentre correvo velocissima, vidi che<br />

la porta in fondo al corridoio era spalancata, aperta sulla notte nera. Era<br />

la prima cosa che avrebbe fatto un lupo una volta svanito l'effetto delle<br />

droghe. Fuga. La notte. Il freddo.<br />

Corsi nel parcheggio, cercando tracce di Sam nella striscia sottile di<br />

Boundary Wood che si estendeva dietro la clinica. Ma era buio pesto.<br />

Niente luce. Niente rumore. Niente Sam.<br />

«Sam!»<br />

Sapevo che non sarebbe venuto anche se mi avesse sentito. Sam era<br />

forte, ma l'istinto di più.<br />

Mi toglieva il fiato immaginarlo da qualche parte lì fuori con mezza<br />

fiala di sangue infetto che si mescolava lentamente col suo.<br />

«Sam!» La mia voce era un gemito, un ululato, un grido nella notte. Lui<br />

non c'era più.<br />

Fui accecata dai fari: il SUV di Isabel sbucò accanto a me e si fermò<br />

vibrando. Isabel si sporse e aprì l'altra portiera; nella luce del cruscotto<br />

sembrava un fantasma.


«Sali, Grace. Sbrigati, per Dio! Olivia si sta trasformando e siamo<br />

rimasti qui troppo a lungo.»<br />

Non potevo abbandonarlo.<br />

«Grace!»<br />

Jack salì sul sedile di dietro, tremando; i suoi occhi mi imploravano.<br />

Erano gli stessi occhi che avevo visto all'inizio, quando si era trasformato<br />

per la prima volta. Quando ancora non sapevo nulla.<br />

Entrai, chiusi la portiera con un tonfo e guardai fuori dal finestrino<br />

appena in tempo per vedere un lupo bianco al limitare del parcheggio.<br />

Shelby. Viva, proprio come aveva supposto Sam. La fissai dal lunotto; la<br />

lupa era nel parcheggio e ci guardava. Mi parve di leggere trionfo nei<br />

suoi occhi mentre si voltava e scompariva nel buio.<br />

«Chi è quel lupo?» chiese Isabel.<br />

Ma non riuscii a rispondere. Tutto quello a cui pensavo era Sam, Sam,<br />

Sam.


Capitolo sessantadue • Grace<br />

4 °C<br />

«Non credo che Jack stia bene» disse Olivia. Era seduta nella mia<br />

macchina nuova, una piccola Mazda che odorava di detersivo e<br />

solitudine. Sebbene avesse addosso due dei miei maglioni e un berretto<br />

di lana, continuava a tremare e si teneva le mani sullo stomaco. «Se stesse<br />

bene, Isabel ci avrebbe chiamato.»<br />

«Non ne sarei così sicura» dissi. «Isabel non è una che chiama.» Eppure<br />

non potevo che darle ragione. Era il terzo giorno, e l'ultima volta che<br />

avevamo sentito Isabel era stato otto ore prima.<br />

Giorno uno: Jack aveva un mal di testa atroce e il collo rigido.<br />

Giorno due: il mal di testa era peggiorato. La febbre stava salendo.<br />

Giorno tre: segreteria telefonica.<br />

Entrai nel vialetto di Beck e parcheggiai dietro il SUV gigantesco di<br />

Isabel. «Pronta?»<br />

Olivia non lo sembrava affatto, ma scese dalla macchina e andò verso<br />

l'ingresso. La seguii dentro e chiusi la porta alle nostre spalle. «Isabel?»<br />

«Sono qui.»<br />

Seguimmo la sua voce in una delle camere da letto del piano di sotto.<br />

Era una piccola stanza giallo acceso che sembrava in contrasto con<br />

l'odore putrescente di malattia che riempiva lo spazio.<br />

Isabel era seduta con le gambe incrociate su una poltrona ai piedi del<br />

letto. Sotto gli occhi aveva cerchi profondi che somigliavano a impronte<br />

di pollici color prugna.<br />

Le diedi il caffè che avevamo portato. «Perché non ti sei fatta sentire?»<br />

Isabel mi guardò. «Le sue dita stanno morendo.»<br />

Avevo evitato di guardarlo, ma alla fine ne fui costretta: era sdraiato<br />

sul letto, rannicchiato come una farfalla ancora per metà bruco. La punta<br />

delle sue dita erano di una sfumatura sconcertante di blu. Aveva il viso


madido di sudore, gli occhi chiusi. Sentii un groppo in gola.<br />

«Ho dato un'occhiata su internet» mi disse Isabel. Mi mostrò il cellulare<br />

che aveva in mano, come se quello spiegasse ogni cosa. «Il mal di testa è<br />

dovuto al fatto che ha le membrane del cervello infiammate. Le dita<br />

delle mani e dei piedi sono blu perché il cervello non ordina più al corpo<br />

di mandargli il sangue. Gli ho provato la febbre. Aveva 41 °.»<br />

Olivia disse: «Devo vomitare.»<br />

Mi lasciò nella camera con Isabel e Jack.<br />

Non sapevo che dire. Se Sam fosse stato lì, avrebbe saputo come<br />

comportarsi. «Mi dispiace.»<br />

Isabel alzò le spalle, gli occhi inespressivi. «Stava andando tutto<br />

secondo i piani. Il primo giorno, quando la temperatura notturna è<br />

scesa, stava per trasformarsi in lupo. Poi basta, neppure quando hanno<br />

tolto la corrente la scorsa notte. Credevo che stesse funzionando. Da<br />

quando la febbre ha continuato a salire non si è più trasformato.» Fece un<br />

cenno verso il letto. «Hai trovato una scusa per spiegare come mai non<br />

sono venuta a scuola?»<br />

«Sì.»<br />

«Fantastico.»<br />

Le feci cenno di seguirmi. Isabel si alzò dalla sedia come se le<br />

richiedesse uno sforzo terribile e mi guidò verso l'ingresso.<br />

Chiusi quasi del tutto la porta in modo che Jack, cosciente o no, non<br />

potesse sentirci. A bassa voce dissi: «Dobbiamo portarlo all'ospedale,<br />

Isabel.»<br />

Isabel rise: un suono strano, brutto. «E cosa diciamo? Dovrebbe essere<br />

morto. Credi che non ci abbia pensato? Anche se dessimo un nome falso,<br />

per due mesi la sua faccia è stata in tutti i telegiornali.»<br />

«Allora corriamo il rischio. Ci inventiamo una scusa. Sempre meglio<br />

provare, no?»<br />

Mi guardò per un bel pezzo con gli occhi cerchiati di rosso. Quando<br />

alla fine rispose, la sua voce era cupa. «Credi che lo voglia morto? Credi


che non voglia salvarlo? É troppo tardi, Grace! É difficile che la gente<br />

sopravviva a questo tipo di meningite perfino quando viene curata sin<br />

dall'inizio. Figuriamoci dopo tre giorni. Non ho neppure degli<br />

antidolorifici e men che meno qualcosa che possa aiutarlo a stare meglio.<br />

Pensavo che la parte lupesca potesse salvarlo, come ha salvato te. Ma<br />

non ha nessuna possibilità. Nessuna.»<br />

Le tolsi la tazza dalle mani. «Non possiamo restare qui a guardarlo<br />

morire. Lo porteremo in un ospedale dove non lo riconosceranno<br />

subito. Se è il caso, andremo fino a Duluth. Non lo riconosceranno,<br />

almeno non subito, e quando succederà, avremo già pensato a qualcosa.<br />

Va' a lavarti la faccia e prendi le sue cose. Forza, Isabel. Muoviti.»<br />

Isabel continuava a non rispondere, ma si avviò verso le scale. Dopo<br />

che se ne fu andata, scesi al bagno del piano di sotto e aprii l'armadietto,<br />

pensando che potesse esserci qualcosa di utile. In una casa piena di gente<br />

si tende ad accumulare un sacco di medicinali. C'era del paracetamolo, e<br />

degli antidolorifici con una prescrizione di anni prima. Presi tutto e tornai<br />

in camera di Jack.<br />

Mi inginocchiai vicino al suo viso e dissi: «Jack, sei sveglio?» Gli<br />

puzzava l'alito di vomito e mi chiesi in quale inferno lui e Isabel avessero<br />

vissuto negli ultimi tre giorni; mi si attorcigliò lo stomaco. Cercai di<br />

convincermi che fosse in un certo senso la giusta punizione per avermi<br />

fatto perdere Sam, ma non ci riuscivo.<br />

Mi rispose dopo un sacco di tempo. «No.»<br />

«Posso fare qualcosa per te?» chiesi. «Aiutarti in qualche modo?»<br />

Con voce sommessa disse: «La testa mi sta uccidendo.»<br />

«Ho degli antidolorifici. Ce la fai a inghiottirli?»<br />

Rispose di sì con un mugugno, così presi il bicchiere d'acqua accanto al<br />

letto e lo aiutai a ingoiare un paio di capsule. Mormorò qualcosa che<br />

forse era un "grazie". Aspettai più o meno un quarto d'ora, finché le<br />

medicine non iniziarono a fare effetto, e vidi il suo corpo rilassarsi un po'.<br />

Da qualche parte, Sam stava vivendo la stessa pena. Lo immaginavo<br />

disteso non so dove, col cervello che gli esplodeva dal dolore, la febbre


che lo devastava, in punto di morte. Avevo la sensazione che se fosse<br />

successo qualcosa a Sam in qualche modo l'avrei saputo; che nel<br />

momento in cui fosse morto avrei sentito una fitta di dolore. Sul letto,<br />

Jack emise un piccolo gemito, un suono involontario di dolore, un<br />

piagnucolio nel sonno discontinuo. C'era solo una cosa a cui riuscivo a<br />

pensare: a Sam era stato iniettato lo stesso sangue. Continuavo a<br />

rivedere Isabel che glielo spingeva nelle vene, un cocktail mortale.<br />

«Torno subito» dissi a Jack, anche se mi sembrava che dormisse. Andai<br />

in cucina e trovai Olivia china sul bancone, intenta a piegare un foglio di<br />

carta.<br />

«Come va?» mi chiese.<br />

Scossi la testa. «Dobbiamo portarlo all'ospedale. Te la senti di venire?»<br />

Olivia mi guardò in un modo che non riuscii a decifrare. «Credo di<br />

essere pronta.» Spinse il foglio piegato verso di me. «Per favore, trova un<br />

modo per darlo ai miei genitori.»<br />

Iniziai ad aprirlo e lei fece di no con la testa. Sollevai un sopracciglio.<br />

«Cos'è?»<br />

«É il biglietto in cui dico che sto scappando e che non devono provare<br />

a cercarmi. Continueranno a provarci, ovvio, ma almeno non<br />

penseranno che sono stata rapita o qualcosa del genere.»<br />

«Stai per trasformarti.» Non era una domanda.<br />

Lei annuì e fece un'altra smorfia strana. «Sta diventando difficile non<br />

farlo. E... forse perché è così doloroso cercare di non farlo... ma io lo<br />

voglio. In realtà non vedo l'ora. So che sembra un controsenso.»<br />

Non mi sembrava un controsenso: avrei dato qualsiasi cosa per<br />

trovarmi al suo posto, per essere con i miei lupi e con Sam. Ma non<br />

volevo dirglielo, così mi limitai a farle la domanda scontata. «Stai per<br />

trasformarti qui?»<br />

Olivia mi fece segno di seguirla in cucina, e insieme restammo accanto<br />

alle finestre che davano sul cortile. «Voglio che tu veda una cosa. Guarda.<br />

Devi aspettare un secondo. Ma sta' a guardare.»


Eravamo in piedi davanti la finestra, a scrutare il morente mondo<br />

invernale, nella boscaglia aggrovigliata della foresta. Per un po' non vidi<br />

nient'altro che un piccolo uccello incolore fluttuare da un ramo spoglio<br />

all'altro. Poi mi accorsi di un altro movimento leggerissimo, all'altezza<br />

del suolo, e nel bosco vidi un grosso lupo nero. I suoi occhi luminosi,<br />

quasi privi di colore, erano puntati sulla casa.<br />

«Non so come fanno a saperlo» disse Olivia, «ma sento che mi stanno<br />

aspettando.» D'un tratto mi resi conto che l'espressione che aveva dipinta<br />

in volto era di eccitazione. Mi fece sentire stranamente sola.<br />

«Adesso vuoi andare, vero?»<br />

Olivia annuì. «Non la sopporto più, questa attesa. Non vedo l'ora di<br />

liberarmi.»<br />

Sospirai e la guardai negli occhi, così verdi e brillanti. Dovevo<br />

imprimermeli nella memoria per poterli poi riconoscere. Forse avrei<br />

dovuto dirle qualcosa, ma non riuscii a pensare a niente. «Darò il<br />

messaggio ai tuoi genitori. Stai attenta. Mi mancherai, Olive.»<br />

Feci scorrere la porta a vetri; una raffica d'aria fredda si abbatté su di<br />

noi.<br />

Lei si mise a ridere quando il vento le strappò un brivido. Era una<br />

creatura strana e leggera, che non riconoscevo. «Ci vediamo in<br />

primavera, Grace.»<br />

E poi uscì in cortile, togliendosi mentre correva tutti i maglioni, e<br />

prima di arrivare agli alberi era un lupo leggero, leggero, allegro e<br />

saltellante. Non c'era traccia del dolore di Sam o di Jack provocato dalla<br />

trasformazione: era come se quella fosse la sua vera natura. Nel vederla,<br />

qualcosa mi si torse nello stomaco. Tristezza, o invidia, o felicità.<br />

Eravamo rimasti in tre, i tre che non si erano trasformati.<br />

Accesi il motore perché la macchina si scalciasse, ma alla fine non ce ne<br />

fu più bisogno. Quindici minuti dopo, Jack era morto. Eravamo rimaste<br />

in due.


Capitolo sessantatré • Grace<br />

-6 °C<br />

Vidi Olivia di nuovo, dopo che ebbi lasciato il biglietto sull'auto dei<br />

suoi genitori. Si muoveva agile nella foresta crepuscolare; gli occhi verdi<br />

la rendevano subito riconoscibile. Non era mai sola; altri lupi la<br />

guidavano, la istruivano, la proteggevano dai pericoli primitivi della<br />

desolata foresta invernale.<br />

Io volevo chiederle se l'aveva visto.<br />

Credo che lei volesse dirmi "no".<br />

Isabel mi telefonò qualche giorno prima delle vacanze di Natale e del<br />

viaggio con Rachel. Non capivo perché mi avesse chiamato, dato che<br />

poteva benissimo avvicinarsi alla mia nuova Mazda; la vedevo dall'altra<br />

parte del parcheggio, seduta da sola dentro il suo SUV.<br />

«Come stai?» mi chiese.<br />

«Sto bene» risposi.<br />

«Bugia.» Isabel non mi guardava mentre parlava. «Sai che è morto.»<br />

Era più facile ammetterlo per telefono che faccia a faccia. «Lo so.»<br />

Nel parcheggio di ghiaccio argentato, Isabel chiuse il cellulare. La sentii<br />

mettere in moto la macchina, e poi mi raggiunse. Quando sbloccò la<br />

portiera si sentì un clic, e quando abbassò il finestrino un whirr. «Sali.<br />

Facciamo un giro.»<br />

Andammo in centro e prendemmo un caffè, e poi, dato che<br />

trovammo un parcheggio libero davanti alla libreria, ci fermammo anche<br />

lì. Prima di scendere dalla macchina, Isabel rimase un bel pezzo a fissare<br />

la facciata del negozio. Sul marciapiede ghiacciato guardammo la<br />

vetrina. C'era tutta roba di Natale. Renne, panpepato e La vita è<br />

meravigliosa.<br />

«Jack adorava il Natale» disse Isabel. «Secondo me invece è una festa<br />

stupida. Non la festeggerò più.» Indicò il negozio. «Vuoi entrare? Non ci


vengo da settimane.»<br />

«Io non ci vengo da...» mi fermai. Non volevo dirlo. Volevo entrare,<br />

ma non volevo essere costretta a dirlo.<br />

Isabel mi aprì la porta. «Lo so.»<br />

La libreria era un mondo diverso in quell'inverno grigio e morto. Gli<br />

scaffali, blu e ardesia, avevano preso un altro colore. La luce era pura,<br />

bianco puro. In sottofondo musica classica, anche se la vera colonna<br />

sonora era il ronzio del riscaldamento. Guardai il ragazzo dietro il<br />

bancone - capelli neri, alto e dinoccolato, chino su un libro - e per un<br />

attimo mi si formò un groppo in gola, troppo grosso per poter deglutire.<br />

Isabel mi torse il braccio, forte abbastanza da farmi male. «Cerchiamo<br />

dei libri che facciano ingrassare, dai» disse.<br />

Andammo nella sezione dei libri di cucina e ci sedemmo per terra. La<br />

moquette era fredda. Isabel fece un casino enorme - prima tirò fuori una<br />

pila di libri e poi li ripose nell'ordine sbagliato - e io mi persi nelle lettere<br />

nitide dei titoli sui dorsi; prendevo distrattamente i libri e li risistemavo in<br />

ordine di altezza.<br />

«Voglio imparare come si fa a diventare grassi» disse Isabel. Mi passò<br />

un libro sui pasticcini. «Come ti sembra questo?»<br />

Sfogliai le pagine. «Qui usano il sistema metrico decimale, non le<br />

tazze. Ti dovresti procurare una bilancia digitale.»<br />

«Lascia perdere.» Isabel ripose il libro nel posto sbagliato. «Guarda un<br />

po' questo.»<br />

Era tutto sulle torte. Meravigliosi strati di cioccolato pieni zeppi di<br />

lamponi, pan di spagna affogato in soffice glassa, nauseanti cheesecake<br />

con una pioggia di nettare di fragole.<br />

«Non si può portare un pezzo di torta a scuola.» Le passai un libro sui<br />

biscotti. «Dacci un'occhiata.»<br />

«É perfetto» sbottò Isabel, e mise da parte il libro in un'altra pila. «Non<br />

sai come si fanno gli acquisti? Essere efficienti non è la cosa migliore.<br />

Rischi di metterci troppo poco tempo. Dovrò insegnarti l'arte della


scorsa veloce. Ne hai chiaramente bisogno.»<br />

Isabel mi insegnò a curiosare nella sezione dei libri di cucina;<br />

andammo avanti così per un po', finché non persi la pazienza, e la lasciai<br />

per conto suo e vagai per il negozio. Non volevo, ma salii le scale<br />

ricoperte dalla moquette fino alla mansarda.<br />

Fuori, la giornata ammantata di neve faceva sembrare la mansarda<br />

ancora più piccola e buia, ma il divano era ancora lì, e anche gli scaffali<br />

bassi in cui Sam aveva frugato. Vedevo ancora la forma del suo corpo<br />

curvo davanti a loro, in cerca del libro perfetto.<br />

Non avrei dovuto, ma mi sedetti sul divano e mi sdraiai. Chiusi gli<br />

occhi e finsi con tutte le mie forze che Sam fosse accanto a me, che io fossi<br />

al sicuro tra le sue braccia e che in qualsiasi momento potessi sentire il suo<br />

respiro scostarmi i capelli e solleticarmi l'orecchio.<br />

Se ce la mettevo tutta, riuscivo perfino a sentire il suo profumo. Non<br />

erano rimasti molti posti che avessero ancora il suo odore, eppure in<br />

qualche modo ero in grado di intercettarlo: o forse lo desideravo così<br />

disperatamente che me lo stavo immaginando.<br />

Ripensai a quando mi aveva incitato ad annusare tutto quello che<br />

c'era nel negozio di dolci. Per arrendermi alla mia vera natura. Ora<br />

distinguevo gli odori della libreria; l'aroma di noci del cuoio, il detersivo<br />

per la moquette appena appena profumato, l'inchiostro nero dolce e gli<br />

inchiostri a colori che sapevano un po' di benzina, lo shampoo del<br />

ragazzo alla cassa, il profumo di Isabel, l'odore del ricordo di me e Sam<br />

che ci baciavamo su quel divano.<br />

Non volevo che Isabel mi trovasse in lacrime più di quanto lei non<br />

voleva essere trovata in lacrime da me. Ormai condividevamo un<br />

mucchio di cose, ma piangere era una di quelle di cui non parlavamo<br />

mai. Mi asciugai il viso nella manica e mi ricomposi.<br />

Andai verso lo scaffale dove Sam aveva preso il suo libro, diedi una<br />

scorsa ai titoli sulle coste finché non lo trovai, poi estrassi il volume.<br />

Poesie di Rainer Maria Rilke. Lo portai al naso per assicurarmi che fosse la<br />

stessa copia. Sam.


Lo comprai. Isabel comprò il ricettario di biscotti, e poi andammo a<br />

casa di Rachel e preparammo sei dozzine di dolcetti con la marmellata,<br />

stando ben attente a non parlare di Sam o di Olivia. Dopo, Isabel mi<br />

accompagnò a casa e io mi chiusi nello studio con Rilke, a leggere e a<br />

farmi travolgere dal desiderio.<br />

E lasciarti (non ci sono parole che possano sciogliere i legami)<br />

alla tua vita, impaurita e sconfinata e rigogliosa, cosicché, a volte<br />

insoddisfatta, a volte comprensiva, un attimo la tua vita è una pietra e,<br />

un attimo dopo, una stella.<br />

Cominciavo a capire la poesia.


Capitolo sessantaquattro • Grace<br />

-9 °C<br />

Senza il mio lupo non era Natale. Era l'unico momento dell'anno in<br />

cui non era mai mancato, una presenza silenziosa che fluttuava al limitare<br />

del bosco. Tante volte ero rimasta accanto alla finestra della cucina, con<br />

le mani che sapevano di zenzero, noce moscata, pino e una moltitudine<br />

di odori natalizi, a sentirmi addosso il suo sguardo. Alzavo la testa e<br />

vedevo Sam con quegli occhi dorati, fissi, che non battevano ciglio.<br />

Non quest'anno.<br />

Me ne stavo accanto alla finestra della cucina, con le mani che non<br />

avevano odore di niente. Quest'anno non aveva senso preparare i<br />

biscotti di Natale o decorare l'albero; di lì a ventiquattr'ore sarei partita<br />

per due settimane con Rachel. Per finire su una bianca spiaggia della<br />

Florida, lontana da Mercy Falls. Lontana da Boundary Wood, e<br />

soprattutto lontana dal cortile vuoto.<br />

Lentamente sciacquai la tazza e per la millesima volta quell'inverno<br />

alzai lo sguardo per guardare verso il bosco.<br />

Non c'era nient'altro che alberi nelle varie sfumature di grigio, i rami<br />

coperti di neve si stagliavano contro il pesante cielo invernale. L'unico<br />

colore era il bagliore lampeggiante di un cardinale che volava verso la<br />

mangiatoia. Diede qualche beccata alla base di legno vuota, si voltò<br />

veloce e poi via, una macchia rossa contro il cielo bianco.<br />

Non volevo uscire in cortile con quella neve immacolata, priva di<br />

impronte, ma non volevo neppure lasciare la mangiatoia vuota mentre<br />

ero via. Presi la busta delle sementi da sotto il lavello e mi infilai il<br />

cappotto, il cappello e i guanti. Andai verso la porta sul retro e la aprii.<br />

L'odore del bosco invernale mi colpì con forza, ricordandomi con<br />

prepotenza ogni Natale che avesse mai contato qualcosa per me.<br />

Anche se sapevo di essere sola, continuavo a tremare.


Capitolo sessantacinque • Sam<br />

-9 °C<br />

La guardavo.<br />

Ero un fantasma nel bosco, silenzioso, immobile, freddo. Ero l'inverno<br />

incarnato, il vento gelido in forma fisica. Stavo al limitare del bosco,<br />

dove gli alberi si fanno più radi e profumano l'aria; soprattutto odori<br />

morti, considerata la stagione. Il morso delle conifere, il muschio del<br />

lupo, la dolcezza di lei, nient'altro da annusare.<br />

Rimase sulla soglia il tempo di alcuni respiri. Aveva il viso rivolto<br />

verso gli alberi, ma io ero invisibile, intangibile, nient'altro che occhi nel<br />

bosco. La brezza intermittente continuava a portarmi il suo profumo,<br />

ancora e ancora, cantando in un'altra lingua di ricordi appartenenti a<br />

un'altra forma.<br />

Alla fine, finalmente, avanzò nella veranda e stampò le prime<br />

impronte sulla neve del cortile.<br />

E io ero lì, e se avesse allungato la mano mi avrebbe quasi potuto<br />

toccare, eppure ero ancora a miglia e miglia di distanza.


Capitolo sessantasei • Grace<br />

-9 °C<br />

Ogni passo che facevo verso la mangiatoia mi avvicinava alla foresta.<br />

Sentivo l'odore delle foglie che crepitavano nel sottobosco, ruscelli poco<br />

profondi che scorrevano indolenti sotto una crosta di ghiaccio, l'estate<br />

che giaceva addormentata in innumerevoli alberi scheletrici. Qualcosa in<br />

quegli alberi mi ricordava i lupi che ululavano di notte, e questo mi fece<br />

ripensare al bosco dorato dei miei sogni, ora nascosto sotto una coperta<br />

di neve. Il bosco mi mancava moltissimo.<br />

Mi mancava lui.<br />

Mi voltai dando la schiena agli alberi e posai il pacco di sementi per<br />

terra, accanto a me. Tutto quello che dovevo fare era riempire la<br />

mangiatoia, tornare dentro e preparare la valigia per partire con Rachel,<br />

dove avrei potuto sforzarmi di dimenticare ogni segreto nascosto in quel<br />

bosco invernale.


Capitolo sessantasette • Sam<br />

-9 °C<br />

La guardavo.<br />

Ancora non mi aveva notato. Toglieva con metodo il ghiaccio dalla<br />

mangiatoia degli uccelli, seguendo in modo lento e automatico la<br />

sequenza: pulirla, aprirla, chiuderla, e poi fissarla come se fosse la cosa<br />

più importante al mondo.<br />

La guardavo. Attesi che si voltasse e scorgesse la mia sagoma scura nel<br />

bosco. Si tirò il cappello sulle orecchie, emise uno sbuffo e lo guardò<br />

condensarsi in una nuvola e vorticare nell'aria. Batté le mani per far<br />

cadere la neve dai guanti e si voltò per andarsene.<br />

Non potevo più nascondermi. Anch'io esalai un lungo respiro. Fece<br />

un rumore debole, ma lei volse immediatamente la testa. I suoi occhi<br />

trovarono la nuvola del mio respiro, e poi me che la attraversavo, lento,<br />

cauto, senza sapere come avrebbe reagito.<br />

Rimase ferma. Perfettamente immobile, come un cervo. Continuai ad<br />

avvicinarmi, imprimendo tracce esitanti, caute sulla neve, finché non fui<br />

fuori dal bosco e mi ritrovai di fronte a lei.<br />

Rimase in silenzio come me, e del tutto immobile. Il suo labbro<br />

inferiore tremò. Quando batté le palpebre, tre lacrime splendenti<br />

lasciarono tracce di cristallo sulle sue guance.<br />

Avrebbe potuto contemplare quei minuscoli miracoli deposti davanti<br />

a lei: i miei piedi, le mie mani, le mie dita, la forma delle mie spalle sotto<br />

la giacca, il mio corpo umano; però l'unica cosa che fissava erano i miei<br />

occhi.<br />

Il vento soffiò ancora, attraverso gli alberi, ma non aveva forza, non<br />

aveva nessun potere su di me. Il vento mi morse le dita, ma rimasero<br />

dita.<br />

«Grace» dissi, sottovoce. «Di' qualcosa.»<br />

«Sam» disse lei, e io la strinsi forte a me.


Ringraziamenti<br />

Questi ringraziamenti saranno penosi, vi avverto. Una volta che un<br />

progetto diventa importante come <strong>Shiver</strong> (sia per la lunghezza del<br />

manoscritto sia per il tempo che ho impiegato a scriverlo), la lista delle<br />

persone da ringraziare diventa infinita. So che non avete voglia di<br />

leggere un migliaio di nomi, quindi la farò breve. Se il vostro nome<br />

dovrebbe essere in questa lista e non c'è, me ne scuso: o ho avuto un<br />

attimo di amnesia oppure non riesco a ricordare come si pronuncia.<br />

Innanzitutto, vorrei ringraziare la persona che ha salvaguardato la mia<br />

sanità mentale e ha cambiato la mia vita in due settimane esatte, il mio<br />

agente, Laura Rennert, una persona che ha innumerevoli talenti.<br />

Poi, la squadra davvero stupefacente della casa editrice Scholastic, con<br />

una menzione speciale agli editor Abby Ranger e David Levithan, che ha<br />

lavorato duro per migliorare il più possibile <strong>Shiver</strong> e ha sopportato le mie<br />

varie nevrosi, e anche a Rachel Horowitz e Janelle DeLuise, che sanno<br />

compiere magie.<br />

Devo anche ringraziare gli amici che mi hanno incoraggiato<br />

nell'impresa: Tessa Gratton e Brenna Yovanoff, le sorelle della<br />

Buonasorte, che sono le migliori critiche del mondo (e no, non potete<br />

averle): l'universo non ha a disposizione abbastanza cioccolato per<br />

esprimere la mia gratitudine. Anche Nash, amico instancabile che mi ha<br />

sempre sostenuto, e Marion che mi ha aperto la sua casa un numero<br />

incalcolabile di volte. Tutti dovrebbero avere amici così.<br />

Un ringraziamento particolare ai primi lettori Cyn e Todd, per il loro<br />

intuito e i loro suggerimenti, e anche a Andrew "Yoda" Karre, per avermi<br />

mostrato come scrivere quello che volevo scrivere. Andrew, ti auguro<br />

mille Luke Skywalker nella tua carriera.<br />

E per finire, devo ringraziare la mia famiglia, senza la quale sarei una<br />

persona incoerente e inconcludente, incapace di fare qualsiasi altra cosa<br />

che non fosse guardare le repliche di Top Chef. Soprattutto mio padre,<br />

che mentre era di servizio al pronto soccorso, riceveva telefonate infinite<br />

in cui gli chiedevo delle malattie non gravi che facevano alzare la febbre,


e mia sorella Kate... Kate, mi fido dei tuoi suggerimenti più di quanto tu<br />

non sappia.<br />

E infine, Ed. Sei il mio migliore amico e la ragione per cui le storie<br />

d'amore nei miei romanzi sembrano del tutto vere.

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