«Istria Nobilissima» 2010 «esilia» Antonio Borme - Edit

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4 storia e ricerca Sabato, 3 aprile 2010 Sabato, 3 aprile 2010 MOSTRE Il prestigioso Museo D’Orsay di Parigi propone una singolare esposizione che abbraccia quasi due secoli, dal 1791 al 1981 «Delitto e castigo», ovvero il fascino perverso e inquieto del crimine Gli artisti (e non solo loro) hanno affrontato il tema della pena di morte e la rappresentazione della stessa è trasformata in piacere René Magritte, L’assassino minacciato, MOMA, New York Da Caino ai pittori surrealisti Tu non ucciderai affatto Il primo criminale della storia dell’umanità, Caino, porta con sé il suo castigo: la colpevolezza. Quest’ultima è sia il frutto del suo rimorso che quello del giudizio implacabile di Dio il cui sesto comandamento ordina: “Non uccidere”. Caino è un fratricida che dà il via a crimini e omicidi di ogni sorta: parricidio, infanticidio, regicidio, genocidio. Questo perché il male, introdotto nel paradiso terrestre da Adamo ed Eva, risiede in ogni uomo. Condannato ad un’eterna punizione e ad essere per sempre ramingo, Caino, al di là della questione della colpevolezza, pone il problema della punizione. Dio non gli toglie la vita. Gli uomini, tuttavia, al comandamento di Dio e al perdono che il Signore concede al fi glio di Adamo, rispondono con la pena capitale. Con l’Illuminismo, la pena di morte è posta aspramente in discussione. Nel 1791, le argomentazioni abolizioniste di Cesare Beccaria sono riprese in Francia dall’Assemblea Costituente. Nei mesi di maggio e giugno del 1791, Le Peletier de Saint-Fargeau si dichiara favorevole alla sua abolizione ma, benché le torture siano vietate, la pena di morte resta in vigore. Nel marzo del 1792, viene stabilito che le esecuzioni capitali avverranno tramite decapitazione e che la ghigliottina, giudicata più sicura e meno crudele per il condannato, sarà lo strumento del supplizio. Il 20 gennaio 1793, dopo lunghe esitazioni, Le Peletier vota in favore della condanna a morte del re Luigi XVI. Il sovrano è giustiziato la sera stessa e diventa “il primo martire della Rivoluzione”. Il Ter- rore regna in Francia e le sentenze capitali sono all’ordine del giorno. Il loro numero, la violenza stessa dell’ esecuzione nel corso della quale avviene la separazione della testa (resta cosciente?) dal corpo (mantiene una capacità di azione?), affascinano gli artisti. Ecco cosa racconta Alexandre Dumas in proposito: “Ho visto criminali decapitati dal boia alzarsi privi di testa dalla sedia dove erano seduti e andarsene via barcollando, per poi cadere a pochi passi di distanza”. In pieno Terrore, il 13 luglio 1793, Charlotte Corday pugnala a morte Jean Paul Marat, detto l’Amico del popolo e deputato della Convenzione nazionale francese. La morte di Marat, considerato un martire della Rivoluzione, è messa in scena da David che inventa un modello nuovo e rivoluzionario ma continua ad ispirarsi ai codici religiosi. Anche la personalità di Charlotte Corday, suscita grandi passioni: se per i Rivoluzionari costei è un’astuta criminale, per i monarchici la Corday è una nuova Giovanna d’Arco, una donna tormentata dall’infl usso dei suoi stati d’animo. Nel XX secolo, il mito della Corday perdura e Charlotte è vista come la creatura che minaccia e uccide l’uomo, che sovverte i ruoli di martire e boia. Con i disegni che Géricault realizza sull’assassinio di Fualdès (un ex deputato dell’Aveyron orrendamente sgozzato a Rodez il 19 marzo 1817), il pittore tenta di conferire dignità storica ad un banale fatto di cronaca. Per un attimo, agli occhi dell’artista, crimini, vittime e assassini, tutto sembra epico. La passione per la raffi gurazione delle oscure passioni umane non sfocia, tuttavia, in un quadro da Salon. Il pittore si rende conto di non creare nulla di meglio di quanto abbiano già fatto gli illustratori della stampa che si occupano del caso e che, in questa ignobile esecuzione, non c’è proprio nulla di nobile e grande. L’epoca romantica si sofferma sui briganti, sulle streghe, sulle donne fatali che incarnano sia una forma di società al di fuori della società, retta da codici particolari (onore, vendetta…), sia passioni irrazionali e incontrollabili. Il pittore spagnolo Goya, che vive la sanguinosa occupazione del suo paese da parte delle truppe imperiali francesi divulga, nei suoi quadri e nelle sue incisioni, le diverse dimensioni di queste fi gure. Il carattere al tempo stesso picaresco e apologistico delle avventure di Frère Pedro, tende all’orrore e al sublime con le sue scene di briganti. La serie di incisioni I Capricci e Le Prove e i loro cortei di streghe e di visioni malefi che alimentano, da Redon a Kubin passando per Schwabe e Klinger, tutta una visione oscura dell’arte Il volto del criminale Giuseppe Fieschi è stato giustiziato nel 1836 per tentato regicidio sotto il regno di Luigi-Filippo. La testa mozzata del cospiratore è stata dipinta e modellata a uso documentario secondo una pratica che imperversa in tutta Europa. Gli esperti in frenologia e in fi siognomica, discepoli di Gall e Lavater, hanno analizzato a lungo questa testa ricercando nella forma del cranio e nelle fattezze del viso, i segni della pulsione criminale dell’attentatore. Animato dall’intenzione di distinguere i criminali dai matti (quest’ultimi non responsabili delle loro Il romanziere, fi losofo e drammaturgo francese Albert Camus è uno dei tanti autori che nel corso della storia e della letteratura hanno affontato il tema della pena di morte. “Defi niamo ancora la giustizia secondo le regole di una rozza aritmetica. Possiamo almeno dire che questa aritmetica è esatta, e che la giustizia, sia pur elementare e limitata alla vendetta legale, è salvaguardata dalla pena di morte? Si è costretti a rispondere in modo negativo. Lasciamo da parte il fatto che la legge del taglione è inapplicabile, e che sembrerebbe tanto eccessivo punire l’incendiario appiccando il fuoco alla sua casa quanto insuffi ciente castigare il ladro prelevando dal suo conto in banca una somma equivalente. Ammettiamo pure che sia giusto e necessario compensare l’assassinio della vittima con la morte dell’assassino. Ma l’esecuzione capitale non è semplicemente la morte. È tanto diversa, nella propria essenza, dalla privazione della vita quanto lo è il campo di concentramento dal carcere. È un assassinio, senza dubbio, che ripaga in forma aritmetica l’assassinio commesso. Ma aggiunge alla morte un regolamento, una premeditazione pubblica e conosciuta dalla futura vittima, un’organizza- azioni), il dottor Georget ha chiesto a Géricault di ritrarre i soggetti affetti da follia monomaniacale. Di questi individui, il pittore coglie tutta l’ambiguità. La loro umanità è presente in modo straordinario ma i loro sguardi sfuggenti, rifi utano qualsiasi scambio. Giornalucoli e manigoldi La comparsa della stampa a grande tiratura, di cui Le petit Journal pubblicato nel 1866 è l’esempio più famoso, assicura una vasta platea a crimini e fatti di cronaca di ogni genere che, fi no a quel momento, erano riportati in giornali di poche pagine divulgati in tutta la Francia. Assecondando le passioni più meschine dei suoi lettori, a colpi di racconti e di illustrazioni spettacolari, questo tipo di stampa diffonde, come scrive Balzac, “romanzi scritti molto meglio rispetto a quelli di Walter Scott, che si sviluppano in modo straordinario, con vero sangue e non con semplice inchiostro”. Questa stampa è al tempo stesso accusata e giustifi cata. Joseph Kessel, che nel 1928 fonda “Détective”, primo settimanale di cronaca nera, sostiene che: “Il crimine esiste, è una realtà e, per difendersene, l’informazione è meglio del silenzio”. I codici di queste riviste che nei racconti e nelle immagini coniugano suspense, dramma, precisione, crudeltà, perversità, erotismo latente… contaminano i racconti degli scrittori, dei loro illustratori come Rops, e di artisti del calibro di Klinger. I giornali illustrati servono altresì a denunciare, con Daumier o Steinlen, il grande dramma di tanta povera gente annientata dalla spietatezza del mondo. La satira di zione infi ne, che di per se stessa è fonte di sofferenze morali più atroci della morte. Non c’è dunque equivalenza”, scrive Camus nel saggio “in “Rifl essioni sulla pena di morte” (“Réfl exions sur la peine capitale”, 1957) . E poi ancora: “Generalmente l’uomo è distrutto dall’attesa della pena capitale molto tempo prima di morire. Gli si infl iggono così due morti, e la prima è peggiore dell’altra, mentre egli ha ucciso una volta sola. Paragonata a questo supplizio, la legge del taglione appare ancora come una legge di civiltà. Non ha mai preteso che si dovessero cavare entrambi gli occhi a chi aveva reso cieco di un occhio il proprio fratello.” (...) “Ma cosa è la pena capitale, se non il più premeditato degli omicidi a cui nessun atto criminale, quantunque calcolato, può essere comparato”. Quasi 25 anni dopo, a Parigi, esattamente il 30 settembre del 1981, il ministro francese di Grazia e Giustizia, Robert Badinter, riesce ad abolire la pena di morte in tutta la nazione. Ci sono voluti circa duecento anni di dibattiti e polemiche per arrivare a questa importante decisione. Fu infatti nel lontano 1791 che Louis-Michel Le Peletier de Saint-Fargeau cercò di convincere l’Assemblea Costituente ad abolire la pena capitale. Dal 1791 al 1981, dalla Rivoluzione Francese ai giorni nostri, si è lungamente parlato di giustizia divina e giustizia terrena e sul fatto che un uomo non può sostituirsi a Dio e sottrarre la vita ad un altro uomo. Duecento anni di pena Henri Meyer, François-Louis Méaulle Il Dramma dei Ternes, Supplemento illustrato del Petit Journal 1892, Parigi, MuCEM, Museo delle Civiltà dell’Europa e del Mediterraneo Théodore Géricault (1791-1824), “Etude de pieds et de mains” (Studio di piedi e di mani), 1818-1819, Montpellier, Musée Fabre Daumier colpisce anche il mondo della giustizia. Avvocati pieni di sé, giudici refrattari ad ogni compassione (“Sotto il guanto di velluto del giudice, si intuiscono gli artigli del boia” scrive Victor Hugo), vittime e/o accusati spacciati, la visione del caricaturista è sferzante. Per mettere defi nitivamente la parola fi ne alle buie e tetre prigioni dove i condannati raffi gurati da Goya e Redon marcivano in uno stato bestiale o fetale, Jeremy Bentham progetta il panottico. L’idea che sta alla base di questa struttura era quella che, grazie alla forma radiocentrica dell’edifi cio, un unico guardiano potesse controllare tutti i prigionieri in ogni momento. Questa invenzione che appare come un progresso, prospetta la possibilità di un mondo in cui tutte le azioni sono soggette a vigilanza. A partire dal 1827, il modello progettato da Bentham è istituito in Francia senza però soppiantare le carceri, come Sainte-Pélagie, prigione riservata alle donne all’inter- no della quale Steinlen realizza una serie di disegni e dove in una cella sono stipate da 5 a 10 prigioniere. Ecce l’Impiccato I testi, i discorsi e i disegni di Victor Hugo rappresentano senza dubbio le arringhe più energiche e più appassionate che il XIX secolo abbia prodotto contro la pena di morte. Soggetta ad un rituale ben preciso che un artista come Emile Friant raffi gura in modo singolare e con dovizia di particolari e che altri, come Toulouse-Lautrec o Félix Vallotton tratteggiano con terrore, l’esecuzione capitale e la sua condanna s’impongono nel dibattito artistico fi no a Warhol il quale, mostrando soltanto la sedia elettrica, senza la presenza del boia e del condannato riassume l’orrore sordo di ogni esecuzione. Nell’epoca positivistica, la scienza, sicura che l’atto criminale può essere spiegato e il criminale individuato, mostra vivo interesse per assassini e delinquenti. Benedict-Au- capitale hanno però creato vere e proprie fi gure criminali memorabili, oscure e malevole presenze che hanno foraggiato la letteratura ispirando maestri come Sade, Baudelaire, Dostoevskij e Camus. Il crimine ed in particolare l’assassinio ha alimentato anche le arti visive, nei maggiori pittori come Francisco Goya, Théodore Géricault, Pablo Picasso e René Magritte, le raffi gurazioni del crimine o della pena capitale hanno portato alla creazione di opere straordinarie. Anche il cinema, ha subito il fascino inquieto di una violenza estrema e la rappresentazione della stessa è trasformata in piacere, addirittura in voluttà. A questo argomento e alla sua percezione/raffi gurazione uno dei più suggestivi musei d’arte di Parigi, il prestigioso Museo D’Orsay, propone – fi no al 27 giugno 2010 – una mostra intitolata “Delitto e Castigo”, prendendo appunto in esame il già citato periodo di tempo di due secoli. Proprio sul fi nire del XIX secolo un modo di trattare l’indole delinquenziale, con pretese scientifi - che, nasce e si sviluppa. Il tentativo è quello di dimostrare che gli elementi che caratterizzano la persona che commette un crimine si manifesterebbero nella fi sionomia della stessa. Teorie di questo genere incidono fortemente sulla pittura, sulla scultura e sulla fotografi a. Per farla breve, alla violenza del delitto corrisponde quella del castigo: come non ricordare l’onnipresenza di soggetti quali il patibolo, la garrotta, la ghigliottina o la sedia elettrica? Al di là dell’azione delittuosa, il problema che si pone è quello di affrontare ancora e per sempre il tema del Male e, oltre la condizione sociale, l’inquietudine metafi sica. A simili quesiti, l’arte fornisce una testimonianza spettacolare. La mostra abbraccia il periodo che va dal 1791, quando Le Peletier de Saint-Fargeau chiese la soppressione della pena di morte in Francia, al 1981, data della sua effettiva abolizione in questo paese. L’esposizione affronta un tema complesso e variegato, ma non tralascia i dettagli concreti sul tema del delitto e del castigo: patiboli, gogne e ghigliottine ricordano infatti quanto il castigo somigli al delitto. Dalla ghigliottina alla sedia elettrica La mostra si sviluppa cronologicamente affrontando il tema del delitto e del castigo. Inizia con il fratricida Caino, di Pierre-Paul Jean-Joseph Weerts (1847-1927), “Marat assassinato! 13 luglio 1793, otto di sera”, 1880, Roubaix, La piscine, Musée d’art et d’industrie gustin Morel elabora la teoria della degenerazione che rimette in discussione quella del libero arbitrio. Questa teoria ispira Physionomies de criminels [Fisionomie di criminali] e La petite danseuse de 14 ans [La ballerina di 14 anni] di Degas. Giovani, come Abadie, Knobloch e Krial, al cui processo l’artista assiste nel 1880, cresciuti negli ambienti popolari e operai di Parigi si trasformano in assassini. L’allieva dei primi corsi della scuola di ballo dell’Opera, dalle origini simili, è una prostituta. Ecco allora emergere la questione della responsabilità del male. Punire o sconfi ggere? Alphonse Bertillon pone le basi dell’identifi cazione giudiziaria. Si tratta di individuare i recidivi tramite le fotografi e di fronte e di profi lo, di rilevare i caratteri non soggetti a mutamento (colore dell’iride, tatuaggi…) e di classifi care successivamente questi dati, non più in base ad un ordine alfabetico ma secondo misure fi siche. L’identità corporea prende il sopravvento sull’identità dell’anima. Cesare Lombroso, in Genio e follia, pubblicato nel 1877, segnala “la somiglianza dell’ispirazione con l’accesso epilettico”. Per questo motivo Patricia Cornwell ha identifi - cato in Walter Sickert, pittore che in più di un’occasione ha ritratto nelle loro camere del quartiere di Camden Town a Londra alcune prostitute, il terribile omicida Jack Lo Squartatore. L’assassino e l’artista obbediscono ad aspirazioni che sfuggono ai comuni mortali. Con altri modelli e altri mezzi, il Surrealismo, come in precedenza il Romanticismo, si dimostra attratto dal crimine e dalla fi gura del criminale. Violette Nozières et le sorelle Papin sono eroine, i cadaveri sono adorabili, i corpi sono smembrati, sgozzati, decapitati… Ogni elemento riconducibile all’ordine è rifi utato da André Breton che dichiara: “L’atto surrealista più semplice consiste nello scendere in strada revolver in pugno e a tirare a caso, il più possibile, in mezzo alla folla”. Prud’hon del 1815, passa per la ghigliottina in una immagine agghiacciante di Victor Hugo del 1857, tocca l’omicidio di Marat nel meraviglioso dipinto di Delacroix. Fino ad arrivare ai dipinti di Walter Sickert, uno dei più famosi sospettati nel caso di Jack lo Squartatore, e ai più moderni pittori come Magritte o come Wharol con la sua famosa raffi gurazione della sedia elettrica. Attraverso le opere esposte si ripercorre la storia del crimine e degli studi sul crimine. Si attraversa così l’epoca romantica che si concentra su briganti, streghe, donne fatali, passioni irrazionali e incontrollabili che viene incarnata alla perfezione da Goya e il periodo degli studi del Lombroso rappresenati mirabilmente da Géricault che dei soggetti affetti da follia monomaniacale, coglie tutta l’ambiguità, l’umanità, gli sguardi sfuggenti. I protagonisti sono loro. I crimini, i fattacci di cronaca e di storia che hanno affascinato gli artisti dell’Otto e del Novecento. La mostra si articola su due aspetti fondamentali: da un lato quello incentrato su una ricchissima antologia di rappresentazioni artistiche con valenze realistiche, immaginifi che e simboliche di atti cruenti e di criminali assassini; e dall’altro lato quello scientifi co che documenta in particolare gli studi di frenologia e di criminologi positivisti come Lombroso e Bertillon, E bisogna dire che le foto poliziesche di quest’ultimo, che mostrano nel loro freddo squallore vere scene di delitti, sono le immagini più terribili, ben di più degli orrori delle incisioni di Goya o delle teste e corpi tagliati di Géricault, opere di affascinante tensione estetica. Il capitolo dedicato al periodo rivoluzionario ha come protagonista la ghigliottina e un trionfo di teste tagliate (da quelle di Géricault a quelle di Carpeaux, Brascassart e Redon), e presenta il capolavoro di David La morte di Marat e altri dipinti sul tema dove compare anche Carlotta Corday. Nella sezione successiva si entra nel mondo suggestivo e immaginifi co delle fi gure romantiche del crimine: briganti in azione di Goya, Delacroix e di pittori più illustrativi tipo Gleyre; donne fatali uscite dalla fantasia maschile di Füssli, Moreau o Muller; e «streghe» ancora di Goya, e di perturbati simbolisti come Schwabe e Kubin. L’esposizione si sviluppa poi in direzione delle Anonimo, Désiré Landru, 1919 5 istituzioni giudiziarie e della documentazione criminologica, spostandosi soprattutto nella seconda metà del XIX secolo. Con feroce spirito satirico Daumier ritrae nelle sue litografi e grottesche fi sionomie di giudici; Courbet e Van Gogh rappresentano l’oppressiva atmosfera all’interno delle mura delle prigioni; e molti artisti, da Victor Hugo (come disegnatore) a Rops ci presentano scene di esecuzioni capitali. Una sala è interamente dedicata alle riviste e giornali illustrati che come oggi sfruttavano il morboso interesse popolare per i fatti di sangue, soprattutto per quelli a sfondo sessuale. In conclusione si ritorna all’arte con quadri su crimini sessuali di Grosz, Dix e Schlichter, e soprattutto con una nutrita schiera di lavori di artisti surrealisti affascinati da de Sade e dal rapporto fra violenza e sesso. Sono in mostra dei cadavre exquis disegnati a più mani, la “Femme égorgée” di Giacometti, le perverse bambole di Bellmer e l’inquietante ma ironico “Assassin menacé” di Magritte, una scena assurda in cui l’assassino e macellatore di una donna nuda sta per essere assalito da altri delinquenti nascosti. Ma il più signifi cativo e emblematico dei pezzi esposti, che chiude idealmente la mostra, è la ricostruzione della terribile e assurda macchina di tortura immaginata da Kafka nel racconto “La colonia penale”. “Delitto e castigo”, in sette ampi “capitoli” ripercorre il tema del crimine individuale e delle sanzioni giudiziarie attraverso la messa in scena di dipinti, disegni, stampe, illustrazioni, fotografi e e strumenti di pena, primo fra tutti la ghigliottina che con la sua sinistra presenza velata di nero accoglie all’entrata i visitatori. Impossibile non concordare con quanti hanno, molto prima di noi, rilevato l’inutilità e la dannosità, per la giustizia, della pena di morte. E sarà anche vero che, in defi - nitiva – e sempre citando Camus – “La pena di morte, così come la si applica, è una disgustosa macelleria, un oltraggio infl itto alla persona e al corpo”, ma è altrettanto dubbio che la morte, in tutte le sue forme – anche nell’esecuzione capitale – ha attratto, e per certi versi continua ad attirare, quasi morbosamente, l’uomo, sia esso artista, fi losofo, politico, storico... o semplice spettatore. Ilaria Rocchi

6 storia e ricerca Sabato, 3 aprile 2010 LIBRI Nel 1848 il Vecchio Continente è in bilico sull’orlo di un abisso La primavera dei popoli: una marea che sconvolse il sistema conservatore Parigi, Milano, Venezia, Napoli, Palermo, Vienna, Praga, Budapest, Cracovia, Berlino: un continente è in bilico sull’orlo di un abisso. Il vento della rivoluzione travolge l’Europa. Il 22 febbraio 1848 Parigi si sveglia sotto un cielo grigio e carico di pioggia. Le raffi che di vento portano per le strade una triste acquerugiola. Alle nove una folla di manifestanti – operai disoccupati, donne e bambini – si riunisce in place de la Madeleine, dalla quale deve prendere avvio la marcia di protesta. Tre giorni dopo, alle prime ore del mattino, la piazza esplode in un boato di giubilo: è stata proclamata la Repubblica! Parigi è la prima città a cadere sotto i colpi della rivoluzione. Con stupefacente rapidità, in tutte le capitali del continente, operai e borghesi rovesciano i vecchi regimi e si apprestano a dar vita a un nuovo sistema liberale. La marea sconvolge il sistema conservatore che, dopo la conclusione Parigi, Milano, Venezia, Napoli, Palermo, Vienna, Praga, Budapest, Cracovia, Berlino: il vento della rivoluzione travolge l’Europa nel 1848 delle guerre napoleoniche, aveva mantenuto la pace ma represso le aspirazioni all’indipendenza nazionale e al governo costituzionale. Alta politica e diplomazia, processi di formazione statale e affermazione del costituzionalismo si affi ancano alla tragedia umana della rivoluzione, della guerra e della miseria: il 1848 è allo stesso tempo un’esperienza esaltante e drammatica per migliaia di persone, che scoprono il gusto per la politica e conquistano diritti civili e spazi di autonomia fi no ad allora esclusi. E non importa che tutto duri poco: è la generazione del 1848 a distruggere alla radice quel vecchio sistema ma sarà la gente del futuro a raccoglierne i frutti. Se ne occupa Mike Rapport in “1848. L’anno della rivoluzione” (Laterza 2009, pp. 592, euro 24). Mike Rapport ha studiato presso le università di Edimburgo e Bristol. È stato segretario della Società per gli studi della storia francese fra il 2000 e il 2005 e redattore della rivista “French History”. Ha pubblicato, tra l’altro, “Nationality and Citizenship in Revolutionary France: The Treatment of Foreigners 1789-1799” (2000) e “European History, including Nineteenth-Century Europe” (2005). Lo storico inglese racconta per fi lo e per segno ciò che successe nel ‘48, anno in cui, giorno dopo giorno, un mese dopo l’altro, la rivoluzione democratica dilagò attraverso l’Europa come un vento di tempesta. Fu l’anno in cui vennero al pettine i nodi irrisolti della politica europea: l’edifi cio della Restaurazione, eretto a Vienna nel 1815, dopo l’“avventura” napoleonica, cominciò a scricchiolare. Fu l’anno del proletariato e delle classi medie, praticamente appena nate dalla rivoluzione industriale. Fu l’anno delle rivolte popolari e dei grandi disegni di riforma. Fu l’anno in cui a Parigi si decretò il suffragio universale. Fu l’anno in cui vennero appiccati i primi minacciosi incendi del nazionalismo moderno e del suo problematico gemello, l’internazionalismo socialista. Fu l’anno in cui nacque l’anarchia, l’anno di Pierre-Joseph Proudhon, audace economista e operaio tipografo, e di Michail Alexandrovic Bakunin, aristocratico russo e rivoluzionario proletario senza eguali. Fu nel 1848 che Karl Marx e il suo socio al cinquanta per cento Friedrich Engels (su incarico del comitato centrale della Lega dei comunisti, un gruppuscolo proletario tra i più minoritari, composto per lo più di sarti tedeschi emigrati a Parigi, Londra e Bruxelles) scrissero a quattro mani il Manifesto del partito comunista, forse il più fortunato pamphlet mai apparso al mondo. E subito cominciò la leggenda dello spettro del comunismo... Secondo Isaiah Berlin, per capire il 1948, bisogna leggere Alexis de Tocqueville, Karl Marx e Aleksandr Herzen. Tranne Herzen, che fu soprattutto un memorialista, forse il più grande memorialista d’ogni tempo e luogo, gli altri due furono soprattutto dei teorici. Tocqueville vide nelle rivoluzioni del 1848 l’ineluttabilità della convergenza (come ha scritto Franco Venturi) tra democrazia liberale e libertà. Marx vi vide all’opera le forze “anonime e tremende” della lotta di classe (come sempre, aveva ragione e torto insieme). Herzen, da parte sua, pose le basi d’ogni futuro discorso sull’intellighenzia moderna, a partire dall’esperienza che andava maturando tra gli intellettuali russi d’opposizione, e intanto raccontò il 1848 e i suoi esiti attraverso arguti e intensi ritratti dei suoi protagonisti. Un tassello di storia adriatica in cui emergono palesemente i vincoli tra le terre bagnate da un mare comune Recuperate le memorie dei rapporti tra Ragusa e Padova Da pagina 2 Tra i massimi esponenti di quel secolo ricordiamo due umanisti ecclesiastici come Ambrogio e Clemente Ragnina, il letterato Giacomo Bona che studiò a Padova, a Bologna e a Firenze, il letterato Damiano Bonessa, Ludovico Cerva Tuberone, autore dei commenti sugli accadimenti avvenuti a seguito della morte del re ungherese Mattia Corvino, Mauro Orbini, il primo autore impegnato in ricerche storiche, la cui lavoro “Il Regno degli Slavi” (Pesaro 1601) fu una tra le primissime opere dedicate agli Slavi meridionali. Tra i poeti menzioniamo Michele Monaldi e Savino Bobali. L’ateneo patavino divenne un centro di primaria importanza per la formazione dei giovani provenienti da quella Repubblica e dalla Dalmazia in generale. L’autore dello studio che presentiamo sottolinea “Che i dalmati siano in questi secoli una presenza attiva nella storia universitaria, lo si nota non solo dagli Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini pubblicati nei diversi secoli, ma anche dal fatto che, per esempio, tra i rettori sia nominato qualche raguseo come Francesco Crasso, poi addirittura sindaco di Padova per due volte, oppure che il più antico dei 3042 stemmi oggi esistenti al Bo’ appartenga ad un dalmata, Giacomo Cicuta da Veglia, rettore dei Giuristi nel 1541-42” (p. 14). L’intervento di restauro ha interessato i monumenti funebri ad Antonio Bona (1537-1558), latinista, a Giorgio Sorgo (1584-1609) che molto probabilmente studiava in quell’università ma non vi era iscritto, dato che il suo nome non compare nei registri, e a Stefano Gigante (1592-1613) di cui non si hanno notizie, nemmeno relative alla sua famiglia. Come si evince i tre monumenti sono dedicati a tre giovani passati a miglior vita ancora molto giovani, il più anziano, infatti, è venuto a mancare all’età di venticinque anni. Buona parte della pubblicazione è dedicata al restauro dei monumenti funebri stessi, il cui autore ha preso direttamente parte. Una ricca documentazione fotogra- fi ca presenta lo stato in cui essi versavano prima dell’inizio dei lavori, si propongono le varie fasi dell’intervento, con le delicate operazioni di recupero nonché lo stato attuale delle opere, fi nalmente ritornate al loro antico splendore, così come dovevano apparire secoli addietro. Il restauro conservativo fu eseguito nel corso del 2008. Per individuare le metodologie più appropriate per eseguire l’intervento medesimo dei vari elementi architettonici e del materiale lapideo che forma le epigrafi , si fece anzitutto un’analisi degli elementi che raggruppano delle analogie vuoi per tipologia e stato di conservazione vuoi per patologie di degrado e ubicazione. Gli elementi individuati furono suddivisi in: elementi in pietra tenera di Vicenza (Nanto), elementi in pietra tenera di Vicenza (Costozza) e elementi marmorei. I primi, come apprendiamo dallo studio, presentavano delle patologie di degrado sulla superfi cie dei manufatti “(…) riconducibili a evidenti fenomeni superfi ciali diffusi di colore nero con formazioni di microrganismi quali licheni e muschi e alla presenza di croste nere den- titriche dovute probabilmente all’aggressione dei fenomeni atmosferici e in parte all’inquinamento atmosferico” (p. 32). La porosità della pietra, inoltre, ha permesso l’erosione e la disgregazione del litotipo, che ha determinato pure la perdita di materiale compromettendo l’integrità del manufatto. Per quanto concerne il secondo gruppo di elementi riportiamo che “Le principali patologie di degrado sono riconducibili all’aggressione dei fenomeni atmosferici e fenomeni di polverizzazione materica superfi ciale. Sono presenti anche croste nere dentritiche e fenomeni di attacco biologico” (p. 36). Per le parti in marmo “Le principali patologie di degrado della superfi cie sono riconducibili all’aggressione dei fenomeni atmosferici e in parte all’inquinamento atmosferico. Vi sono depositi superfi ciali di vario spessore e consistenza di colore nero, formatesi a causa dell’alta concentrazione di agenti inquinanti, presenti soprattutto nelle zone meno esposte agli agenti atmosferici” (p. 40). Delle schede dettagliate propongono anche la metodologia d’intervento, che dimostra la professionalità degli esecutori e al tempo stesso presentano al pubblico profano la complessità che un recupero di quel tipo comporta. Le foto inserite l’una accanto all’altra, che documentano lo stato dei monumenti e delle loro singole parti, prima e dopo il restauro, sono eloquenti; ed i risultati ottenuti suggeriscono siano il frutto di notevole esperienza, competenza e laboriosità.

4 storia e ricerca<br />

Sabato, 3 aprile <strong>2010</strong> Sabato, 3 aprile <strong>2010</strong><br />

MOSTRE Il prestigioso Museo D’Orsay di Parigi propone una singolare esposizione che abbraccia quasi due secoli, dal 1791 al 1981<br />

«Delitto e castigo», ovvero il fascino perverso e inquieto del crimine<br />

Gli artisti (e non solo loro) hanno affrontato il tema della pena di morte e la rappresentazione della stessa è trasformata in piacere<br />

René Magritte, L’assassino minacciato, MOMA, New York<br />

Da Caino ai pittori surrealisti<br />

Tu non ucciderai affatto<br />

Il primo criminale della storia<br />

dell’umanità, Caino, porta con sé il<br />

suo castigo: la colpevolezza. Quest’ultima<br />

è sia il frutto del suo rimorso<br />

che quello del giudizio implacabile<br />

di Dio il cui sesto comandamento<br />

ordina: “Non uccidere”.<br />

Caino è un fratricida che dà il via<br />

a crimini e omicidi di ogni sorta:<br />

parricidio, infanticidio, regicidio,<br />

genocidio. Questo perché il male,<br />

introdotto nel paradiso terrestre<br />

da Adamo ed Eva, risiede in ogni<br />

uomo.<br />

Condannato ad un’eterna punizione<br />

e ad essere per sempre ramingo,<br />

Caino, al di là della questione<br />

della colpevolezza, pone il problema<br />

della punizione. Dio non gli toglie<br />

la vita. Gli uomini, tuttavia, al<br />

comandamento di Dio e al perdono<br />

che il Signore concede al fi glio<br />

di Adamo, rispondono con la pena<br />

capitale.<br />

Con l’Illuminismo, la pena di<br />

morte è posta aspramente in discussione.<br />

Nel 1791, le argomentazioni<br />

abolizioniste di Cesare Beccaria<br />

sono riprese in Francia dall’Assemblea<br />

Costituente. Nei mesi di maggio<br />

e giugno del 1791, Le Peletier<br />

de Saint-Fargeau si dichiara favorevole<br />

alla sua abolizione ma, benché<br />

le torture siano vietate, la pena<br />

di morte resta in vigore. Nel marzo<br />

del 1792, viene stabilito che le esecuzioni<br />

capitali avverranno tramite<br />

decapitazione e che la ghigliottina,<br />

giudicata più sicura e meno crudele<br />

per il condannato, sarà lo strumento<br />

del supplizio.<br />

Il 20 gennaio 1793, dopo lunghe<br />

esitazioni, Le Peletier vota in favore<br />

della condanna a morte del re<br />

Luigi XVI. Il sovrano è giustiziato<br />

la sera stessa e diventa “il primo<br />

martire della Rivoluzione”. Il Ter-<br />

rore regna in Francia e le sentenze<br />

capitali sono all’ordine del giorno.<br />

Il loro numero, la violenza stessa<br />

dell’ esecuzione nel corso della<br />

quale avviene la separazione della<br />

testa (resta cosciente?) dal corpo<br />

(mantiene una capacità di azione?),<br />

affascinano gli artisti. Ecco<br />

cosa racconta Alexandre Dumas in<br />

proposito: “Ho visto criminali decapitati<br />

dal boia alzarsi privi di testa<br />

dalla sedia dove erano seduti e<br />

andarsene via barcollando, per poi<br />

cadere a pochi passi di distanza”.<br />

In pieno Terrore, il 13 luglio<br />

1793, Charlotte Corday pugnala<br />

a morte Jean Paul Marat, detto<br />

l’Amico del popolo e deputato della<br />

Convenzione nazionale francese.<br />

La morte di Marat, considerato un<br />

martire della Rivoluzione, è messa<br />

in scena da David che inventa un<br />

modello nuovo e rivoluzionario ma<br />

continua ad ispirarsi ai codici religiosi.<br />

Anche la personalità di Charlotte<br />

Corday, suscita grandi passioni:<br />

se per i Rivoluzionari costei<br />

è un’astuta criminale, per i<br />

monarchici la Corday è una nuova<br />

Giovanna d’Arco, una donna tormentata<br />

dall’infl usso dei suoi stati<br />

d’animo.<br />

Nel XX secolo, il mito della<br />

Corday perdura e Charlotte è vista<br />

come la creatura che minaccia e uccide<br />

l’uomo, che sovverte i ruoli di<br />

martire e boia.<br />

Con i disegni che Géricault realizza<br />

sull’assassinio di Fualdès (un<br />

ex deputato dell’Aveyron orrendamente<br />

sgozzato a Rodez il 19 marzo<br />

1817), il pittore tenta di conferire<br />

dignità storica ad un banale fatto<br />

di cronaca. Per un attimo, agli occhi<br />

dell’artista, crimini, vittime e<br />

assassini, tutto sembra epico. La<br />

passione per la raffi gurazione delle<br />

oscure passioni umane non sfocia,<br />

tuttavia, in un quadro da Salon. Il<br />

pittore si rende conto di non creare<br />

nulla di meglio di quanto abbiano<br />

già fatto gli illustratori della stampa<br />

che si occupano del caso e che, in<br />

questa ignobile esecuzione, non c’è<br />

proprio nulla di nobile e grande.<br />

L’epoca romantica si sofferma<br />

sui briganti, sulle streghe, sulle<br />

donne fatali che incarnano sia una<br />

forma di società al di fuori della<br />

società, retta da codici particolari<br />

(onore, vendetta…), sia passioni irrazionali<br />

e incontrollabili.<br />

Il pittore spagnolo Goya, che<br />

vive la sanguinosa occupazione<br />

del suo paese da parte delle truppe<br />

imperiali francesi divulga, nei suoi<br />

quadri e nelle sue incisioni, le diverse<br />

dimensioni di queste fi gure.<br />

Il carattere al tempo stesso picaresco<br />

e apologistico delle avventure<br />

di Frère Pedro, tende all’orrore e<br />

al sublime con le sue scene di briganti.<br />

La serie di incisioni I Capricci<br />

e Le Prove e i loro cortei di streghe<br />

e di visioni malefi che alimentano,<br />

da Redon a Kubin passando per<br />

Schwabe e Klinger, tutta una visione<br />

oscura dell’arte<br />

Il volto del criminale<br />

Giuseppe Fieschi è stato giustiziato<br />

nel 1836 per tentato regicidio<br />

sotto il regno di Luigi-Filippo. La<br />

testa mozzata del cospiratore è stata<br />

dipinta e modellata a uso documentario<br />

secondo una pratica che<br />

imperversa in tutta Europa. Gli<br />

esperti in frenologia e in fi siognomica,<br />

discepoli di Gall e Lavater,<br />

hanno analizzato a lungo questa testa<br />

ricercando nella forma del cranio<br />

e nelle fattezze del viso, i segni<br />

della pulsione criminale dell’attentatore.<br />

Animato dall’intenzione di distinguere<br />

i criminali dai matti (quest’ultimi<br />

non responsabili delle loro<br />

Il romanziere, fi losofo e drammaturgo<br />

francese Albert Camus<br />

è uno dei tanti autori che<br />

nel corso della storia e della letteratura<br />

hanno affontato il tema della<br />

pena di morte. “Defi niamo ancora<br />

la giustizia secondo le regole di una<br />

rozza aritmetica. Possiamo almeno<br />

dire che questa aritmetica è esatta,<br />

e che la giustizia, sia pur elementare<br />

e limitata alla vendetta legale, è<br />

salvaguardata dalla pena di morte?<br />

Si è costretti a rispondere in modo<br />

negativo. Lasciamo da parte il fatto<br />

che la legge del taglione è inapplicabile,<br />

e che sembrerebbe tanto eccessivo<br />

punire l’incendiario appiccando<br />

il fuoco alla sua casa quanto<br />

insuffi ciente castigare il ladro<br />

prelevando dal suo conto in banca<br />

una somma equivalente. Ammettiamo<br />

pure che sia giusto e necessario<br />

compensare l’assassinio della vittima<br />

con la morte dell’assassino. Ma<br />

l’esecuzione capitale non è semplicemente<br />

la morte. È tanto diversa,<br />

nella propria essenza, dalla privazione<br />

della vita quanto lo è il campo<br />

di concentramento dal carcere.<br />

È un assassinio, senza dubbio, che<br />

ripaga in forma aritmetica l’assassinio<br />

commesso. Ma aggiunge alla<br />

morte un regolamento, una premeditazione<br />

pubblica e conosciuta<br />

dalla futura vittima, un’organizza-<br />

azioni), il dottor Georget ha chiesto<br />

a Géricault di ritrarre i soggetti affetti<br />

da follia monomaniacale. Di<br />

questi individui, il pittore coglie<br />

tutta l’ambiguità. La loro umanità è<br />

presente in modo straordinario ma<br />

i loro sguardi sfuggenti, rifi utano<br />

qualsiasi scambio.<br />

Giornalucoli<br />

e manigoldi<br />

La comparsa della stampa a<br />

grande tiratura, di cui Le petit Journal<br />

pubblicato nel 1866 è l’esempio<br />

più famoso, assicura una vasta<br />

platea a crimini e fatti di cronaca di<br />

ogni genere che, fi no a quel momento,<br />

erano riportati in giornali<br />

di poche pagine divulgati in tutta<br />

la Francia. Assecondando le passioni<br />

più meschine dei suoi lettori,<br />

a colpi di racconti e di illustrazioni<br />

spettacolari, questo tipo di stampa<br />

diffonde, come scrive Balzac, “romanzi<br />

scritti molto meglio rispetto<br />

a quelli di Walter Scott, che si sviluppano<br />

in modo straordinario, con<br />

vero sangue e non con semplice inchiostro”.<br />

Questa stampa è al tempo<br />

stesso accusata e giustifi cata.<br />

Joseph Kessel, che nel 1928<br />

fonda “Détective”, primo settimanale<br />

di cronaca nera, sostiene che:<br />

“Il crimine esiste, è una realtà e, per<br />

difendersene, l’informazione è meglio<br />

del silenzio”. I codici di queste<br />

riviste che nei racconti e nelle immagini<br />

coniugano suspense, dramma,<br />

precisione, crudeltà, perversità,<br />

erotismo latente… contaminano<br />

i racconti degli scrittori, dei loro illustratori<br />

come Rops, e di artisti del<br />

calibro di Klinger.<br />

I giornali illustrati servono altresì<br />

a denunciare, con Daumier o<br />

Steinlen, il grande dramma di tanta<br />

povera gente annientata dalla<br />

spietatezza del mondo. La satira di<br />

zione infi ne, che di per se stessa è<br />

fonte di sofferenze morali più atroci<br />

della morte. Non c’è dunque equivalenza”,<br />

scrive Camus nel saggio<br />

“in “Rifl essioni sulla pena di morte”<br />

(“Réfl exions sur la peine capitale”,<br />

1957) . E poi ancora: “Generalmente<br />

l’uomo è distrutto dall’attesa della<br />

pena capitale molto tempo prima<br />

di morire. Gli si infl iggono così due<br />

morti, e la prima è peggiore dell’altra,<br />

mentre egli ha ucciso una volta<br />

sola. Paragonata a questo supplizio,<br />

la legge del taglione appare ancora<br />

come una legge di civiltà. Non<br />

ha mai preteso che si dovessero cavare<br />

entrambi gli occhi a chi aveva<br />

reso cieco di un occhio il proprio<br />

fratello.” (...) “Ma cosa è la pena<br />

capitale, se non il più premeditato<br />

degli omicidi a cui nessun atto criminale,<br />

quantunque calcolato, può<br />

essere comparato”.<br />

Quasi 25 anni dopo, a Parigi,<br />

esattamente il 30 settembre del<br />

1981, il ministro francese di Grazia<br />

e Giustizia, Robert Badinter, riesce<br />

ad abolire la pena di morte in tutta<br />

la nazione. Ci sono voluti circa duecento<br />

anni di dibattiti e polemiche<br />

per arrivare a questa importante decisione.<br />

Fu infatti nel lontano 1791<br />

che Louis-Michel Le Peletier de<br />

Saint-Fargeau cercò di convincere<br />

l’Assemblea Costituente ad abolire<br />

la pena capitale. Dal 1791 al 1981,<br />

dalla Rivoluzione Francese ai giorni<br />

nostri, si è lungamente parlato di<br />

giustizia divina e giustizia terrena e<br />

sul fatto che un uomo non può sostituirsi<br />

a Dio e sottrarre la vita ad un<br />

altro uomo. Duecento anni di pena<br />

Henri Meyer, François-Louis<br />

Méaulle<br />

Il Dramma dei Ternes, Supplemento<br />

illustrato del Petit Journal<br />

1892, Parigi, MuCEM, Museo<br />

delle Civiltà dell’Europa e del<br />

Mediterraneo<br />

Théodore Géricault (1791-1824), “Etude de pieds et de mains” (Studio<br />

di piedi e di mani), 1818-1819, Montpellier, Musée Fabre<br />

Daumier colpisce anche il mondo<br />

della giustizia. Avvocati pieni di sé,<br />

giudici refrattari ad ogni compassione<br />

(“Sotto il guanto di velluto<br />

del giudice, si intuiscono gli artigli<br />

del boia” scrive Victor Hugo), vittime<br />

e/o accusati spacciati, la visione<br />

del caricaturista è sferzante.<br />

Per mettere defi nitivamente la<br />

parola fi ne alle buie e tetre prigioni<br />

dove i condannati raffi gurati da<br />

Goya e Redon marcivano in uno<br />

stato bestiale o fetale, Jeremy Bentham<br />

progetta il panottico. L’idea<br />

che sta alla base di questa struttura<br />

era quella che, grazie alla forma radiocentrica<br />

dell’edifi cio, un unico<br />

guardiano potesse controllare tutti i<br />

prigionieri in ogni momento. Questa<br />

invenzione che appare come un<br />

progresso, prospetta la possibilità<br />

di un mondo in cui tutte le azioni<br />

sono soggette a vigilanza.<br />

A partire dal 1827, il modello<br />

progettato da Bentham è istituito in<br />

Francia senza però soppiantare le<br />

carceri, come Sainte-Pélagie, prigione<br />

riservata alle donne all’inter-<br />

no della quale Steinlen realizza una<br />

serie di disegni e dove in una cella<br />

sono stipate da 5 a 10 prigioniere.<br />

Ecce l’Impiccato<br />

I testi, i discorsi e i disegni di<br />

Victor Hugo rappresentano senza<br />

dubbio le arringhe più energiche e<br />

più appassionate che il XIX secolo<br />

abbia prodotto contro la pena di<br />

morte.<br />

Soggetta ad un rituale ben preciso<br />

che un artista come Emile Friant<br />

raffi gura in modo singolare e con dovizia<br />

di particolari e che altri, come<br />

Toulouse-Lautrec o Félix Vallotton<br />

tratteggiano con terrore, l’esecuzione<br />

capitale e la sua condanna s’impongono<br />

nel dibattito artistico fi no a<br />

Warhol il quale, mostrando soltanto<br />

la sedia elettrica, senza la presenza<br />

del boia e del condannato riassume<br />

l’orrore sordo di ogni esecuzione.<br />

Nell’epoca positivistica, la scienza,<br />

sicura che l’atto criminale può<br />

essere spiegato e il criminale individuato,<br />

mostra vivo interesse per assassini<br />

e delinquenti. Benedict-Au-<br />

capitale hanno però creato vere e<br />

proprie fi gure criminali memorabili,<br />

oscure e malevole presenze che<br />

hanno foraggiato la letteratura ispirando<br />

maestri come Sade, Baudelaire,<br />

Dostoevskij e Camus. Il crimine<br />

ed in particolare l’assassinio<br />

ha alimentato anche le arti visive,<br />

nei maggiori pittori come Francisco<br />

Goya, Théodore Géricault, Pablo<br />

Picasso e René Magritte, le raffi<br />

gurazioni del crimine o della pena<br />

capitale hanno portato alla creazione<br />

di opere straordinarie. Anche il<br />

cinema, ha subito il fascino inquieto<br />

di una violenza estrema e la rappresentazione<br />

della stessa è trasformata<br />

in piacere, addirittura in voluttà.<br />

A questo argomento e alla sua<br />

percezione/raffi gurazione uno dei<br />

più suggestivi musei d’arte di Parigi,<br />

il prestigioso Museo D’Orsay,<br />

propone – fi no al 27 giugno <strong>2010</strong> –<br />

una mostra intitolata “Delitto e Castigo”,<br />

prendendo appunto in esame<br />

il già citato periodo di tempo di due<br />

secoli.<br />

Proprio sul fi nire del XIX secolo<br />

un modo di trattare l’indole delinquenziale,<br />

con pretese scientifi -<br />

che, nasce e si sviluppa. Il tentativo<br />

è quello di dimostrare che gli elementi<br />

che caratterizzano la persona<br />

che commette un crimine si manifesterebbero<br />

nella fi sionomia della<br />

stessa. Teorie di questo genere incidono<br />

fortemente sulla pittura, sulla<br />

scultura e sulla fotografi a. Per farla<br />

breve, alla violenza del delitto corrisponde<br />

quella del castigo: come non<br />

ricordare l’onnipresenza di soggetti<br />

quali il patibolo, la garrotta, la ghigliottina<br />

o la sedia elettrica? Al di<br />

là dell’azione delittuosa, il problema<br />

che si pone è quello di affrontare<br />

ancora e per sempre il tema del<br />

Male e, oltre la condizione sociale,<br />

l’inquietudine metafi sica. A simili<br />

quesiti, l’arte fornisce una testimonianza<br />

spettacolare.<br />

La mostra abbraccia il periodo<br />

che va dal 1791, quando Le Peletier<br />

de Saint-Fargeau chiese la soppressione<br />

della pena di morte in Francia,<br />

al 1981, data della sua effettiva<br />

abolizione in questo paese. L’esposizione<br />

affronta un tema complesso<br />

e variegato, ma non tralascia i dettagli<br />

concreti sul tema del delitto e del<br />

castigo: patiboli, gogne e ghigliottine<br />

ricordano infatti quanto il castigo<br />

somigli al delitto.<br />

Dalla ghigliottina<br />

alla sedia elettrica<br />

La mostra si sviluppa cronologicamente<br />

affrontando il tema del<br />

delitto e del castigo. Inizia con il<br />

fratricida Caino, di Pierre-Paul<br />

Jean-Joseph Weerts (1847-1927), “Marat assassinato! 13 luglio 1793,<br />

otto di sera”, 1880, Roubaix, La piscine, Musée d’art et d’industrie<br />

gustin Morel elabora la teoria della<br />

degenerazione che rimette in discussione<br />

quella del libero arbitrio. Questa<br />

teoria ispira Physionomies de criminels<br />

[Fisionomie di criminali] e<br />

La petite danseuse de 14 ans [La ballerina<br />

di 14 anni] di Degas. Giovani,<br />

come Abadie, Knobloch e Krial,<br />

al cui processo l’artista assiste nel<br />

1880, cresciuti negli ambienti popolari<br />

e operai di Parigi si trasformano<br />

in assassini. L’allieva dei primi corsi<br />

della scuola di ballo dell’Opera, dalle<br />

origini simili, è una prostituta.<br />

Ecco allora emergere la questione<br />

della responsabilità del male. Punire<br />

o sconfi ggere? Alphonse Bertillon<br />

pone le basi dell’identifi cazione<br />

giudiziaria. Si tratta di individuare i<br />

recidivi tramite le fotografi e di fronte<br />

e di profi lo, di rilevare i caratteri<br />

non soggetti a mutamento (colore<br />

dell’iride, tatuaggi…) e di classifi care<br />

successivamente questi dati, non<br />

più in base ad un ordine alfabetico<br />

ma secondo misure fi siche. L’identità<br />

corporea prende il sopravvento<br />

sull’identità dell’anima.<br />

Cesare Lombroso, in Genio e<br />

follia, pubblicato nel 1877, segnala<br />

“la somiglianza dell’ispirazione<br />

con l’accesso epilettico”. Per questo<br />

motivo Patricia Cornwell ha identifi -<br />

cato in Walter Sickert, pittore che in<br />

più di un’occasione ha ritratto nelle<br />

loro camere del quartiere di Camden<br />

Town a Londra alcune prostitute, il<br />

terribile omicida Jack Lo Squartatore.<br />

L’assassino e l’artista obbediscono<br />

ad aspirazioni che sfuggono ai<br />

comuni mortali.<br />

Con altri modelli e altri mezzi, il<br />

Surrealismo, come in precedenza il<br />

Romanticismo, si dimostra attratto<br />

dal crimine e dalla fi gura del criminale.<br />

Violette Nozières et le sorelle<br />

Papin sono eroine, i cadaveri sono<br />

adorabili, i corpi sono smembrati,<br />

sgozzati, decapitati… Ogni elemento<br />

riconducibile all’ordine è rifi utato<br />

da André Breton che dichiara: “L’atto<br />

surrealista più semplice consiste<br />

nello scendere in strada revolver in<br />

pugno e a tirare a caso, il più possibile,<br />

in mezzo alla folla”.<br />

Prud’hon del 1815, passa per la<br />

ghigliottina in una immagine agghiacciante<br />

di Victor Hugo del<br />

1857, tocca l’omicidio di Marat<br />

nel meraviglioso dipinto di Delacroix.<br />

Fino ad arrivare ai dipinti<br />

di Walter Sickert, uno dei più famosi<br />

sospettati nel caso di Jack lo<br />

Squartatore, e ai più moderni pittori<br />

come Magritte o come Wharol<br />

con la sua famosa raffi gurazione<br />

della sedia elettrica. Attraverso le<br />

opere esposte si ripercorre la storia<br />

del crimine e degli studi sul<br />

crimine. Si attraversa così l’epoca<br />

romantica che si concentra su briganti,<br />

streghe, donne fatali, passioni<br />

irrazionali e incontrollabili che<br />

viene incarnata alla perfezione da<br />

Goya e il periodo degli studi del<br />

Lombroso rappresenati mirabilmente<br />

da Géricault che dei soggetti<br />

affetti da follia monomaniacale,<br />

coglie tutta l’ambiguità, l’umanità,<br />

gli sguardi sfuggenti. I protagonisti<br />

sono loro. I crimini, i fattacci di<br />

cronaca e di storia che hanno affascinato<br />

gli artisti dell’Otto e del<br />

Novecento.<br />

La mostra si articola su due<br />

aspetti fondamentali: da un lato<br />

quello incentrato su una ricchissima<br />

antologia di rappresentazioni<br />

artistiche con valenze realistiche,<br />

immaginifi che e simboliche di atti<br />

cruenti e di criminali assassini; e<br />

dall’altro lato quello scientifi co<br />

che documenta in particolare gli<br />

studi di frenologia e di criminologi<br />

positivisti come Lombroso e Bertillon,<br />

E bisogna dire che le foto<br />

poliziesche di quest’ultimo, che<br />

mostrano nel loro freddo squallore<br />

vere scene di delitti, sono le immagini<br />

più terribili, ben di più degli<br />

orrori delle incisioni di Goya o<br />

delle teste e corpi tagliati di Géricault,<br />

opere di affascinante tensione<br />

estetica.<br />

Il capitolo dedicato al periodo<br />

rivoluzionario ha come protagonista<br />

la ghigliottina e un trionfo di teste<br />

tagliate (da quelle di Géricault<br />

a quelle di Carpeaux, Brascassart<br />

e Redon), e presenta il capolavoro<br />

di David La morte di Marat e altri<br />

dipinti sul tema dove compare anche<br />

Carlotta Corday. Nella sezione<br />

successiva si entra nel mondo suggestivo<br />

e immaginifi co delle fi gure<br />

romantiche del crimine: briganti<br />

in azione di Goya, Delacroix e di<br />

pittori più illustrativi tipo Gleyre;<br />

donne fatali uscite dalla fantasia<br />

maschile di Füssli, Moreau o Muller;<br />

e «streghe» ancora di Goya,<br />

e di perturbati simbolisti come<br />

Schwabe e Kubin. L’esposizione<br />

si sviluppa poi in direzione delle<br />

Anonimo, Désiré Landru, 1919<br />

5<br />

istituzioni giudiziarie e della documentazione<br />

criminologica, spostandosi<br />

soprattutto nella seconda<br />

metà del XIX secolo.<br />

Con feroce spirito satirico Daumier<br />

ritrae nelle sue litografi e grottesche<br />

fi sionomie di giudici; Courbet<br />

e Van Gogh rappresentano<br />

l’oppressiva atmosfera all’interno<br />

delle mura delle prigioni; e molti<br />

artisti, da Victor Hugo (come disegnatore)<br />

a Rops ci presentano scene<br />

di esecuzioni capitali. Una sala<br />

è interamente dedicata alle riviste<br />

e giornali illustrati che come oggi<br />

sfruttavano il morboso interesse<br />

popolare per i fatti di sangue, soprattutto<br />

per quelli a sfondo sessuale.<br />

In conclusione si ritorna all’arte<br />

con quadri su crimini sessuali<br />

di Grosz, Dix e Schlichter, e soprattutto<br />

con una nutrita schiera di<br />

lavori di artisti surrealisti affascinati<br />

da de Sade e dal rapporto fra<br />

violenza e sesso.<br />

Sono in mostra dei cadavre<br />

exquis disegnati a più mani, la<br />

“Femme égorgée” di Giacometti,<br />

le perverse bambole di Bellmer e<br />

l’inquietante ma ironico “Assassin<br />

menacé” di Magritte, una scena<br />

assurda in cui l’assassino e macellatore<br />

di una donna nuda sta per<br />

essere assalito da altri delinquenti<br />

nascosti. Ma il più signifi cativo e<br />

emblematico dei pezzi esposti, che<br />

chiude idealmente la mostra, è la<br />

ricostruzione della terribile e assurda<br />

macchina di tortura immaginata<br />

da Kafka nel racconto “La<br />

colonia penale”.<br />

“Delitto e castigo”, in sette<br />

ampi “capitoli” ripercorre il tema<br />

del crimine individuale e delle<br />

sanzioni giudiziarie attraverso la<br />

messa in scena di dipinti, disegni,<br />

stampe, illustrazioni, fotografi e e<br />

strumenti di pena, primo fra tutti la<br />

ghigliottina che con la sua sinistra<br />

presenza velata di nero accoglie all’entrata<br />

i visitatori.<br />

Impossibile non concordare con<br />

quanti hanno, molto prima di noi,<br />

rilevato l’inutilità e la dannosità,<br />

per la giustizia, della pena di morte.<br />

E sarà anche vero che, in defi -<br />

nitiva – e sempre citando Camus<br />

– “La pena di morte, così come la<br />

si applica, è una disgustosa macelleria,<br />

un oltraggio infl itto alla persona<br />

e al corpo”, ma è altrettanto<br />

dubbio che la morte, in tutte le sue<br />

forme – anche nell’esecuzione capitale<br />

– ha attratto, e per certi versi<br />

continua ad attirare, quasi morbosamente,<br />

l’uomo, sia esso artista,<br />

fi losofo, politico, storico... o semplice<br />

spettatore.<br />

Ilaria Rocchi

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