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«Istria Nobilissima» 2010 «esilia» Antonio Borme - Edit

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Scompare il Premio saggi di argomento umanistico<br />

<strong>«Istria</strong> <strong>Nobilissima»</strong> <strong>2010</strong><br />

<strong>«esilia»</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Borme</strong><br />

Gli antichi greci avevano Calliope (Poesia epica),<br />

Erato (Poesia amorosa), Euterpe (Poesia lirica),<br />

Melpomene (Tragedia), Polimnia (il Mimo), Talia<br />

(Commedia), Tersicore (Danza), Urania (Astronomia) e<br />

Clio, colei che rende celebri, la Storia, seduta e con una pergamena<br />

in mano. Noi – pronome che sta qui a indicare noi<br />

come Comunità Nazionale Italiana di Croazia e Slovenia<br />

–, nel “nostro piccolo”, abbiamo come “muse” Osvaldo<br />

Ramous (Letteratura), Raniero Brumini (Teatro), Romolo<br />

Venucci (Arti visive), Luigi Dallapiccola (Musica), Adelia<br />

Biasiol (Giovani), Paolo Lettis (Giornalismo): personaggi,<br />

artisti, scrittori, poeti, compositori, intellettuali, attori,<br />

ecc. che hanno segnato, indelebilmente, la Cultura (quella<br />

con la “C” maiuscola) degli italiani dell’Istria, di Fiume e<br />

del Quarnero, della Dalmazia. Di quelli che, nonostante le<br />

tempeste della storia, sono rimasti saldamente attaccati alle<br />

proprie radici. Sono i nomi di persone che, con la propria<br />

opera e con la propria esperienza di vita hanno formato,<br />

mantenuto e fatto crescere – in tutti i sensi – quel bagaglio<br />

di conoscenze ritenute fondamentali, trasmesse di generazione<br />

in generazione, quel variegato insieme dei costumi,<br />

delle credenze, degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali<br />

di una parte della popolazione di queste terre, presente<br />

da secoli e senza la quale la fi sionomia stessa di questi lidi<br />

non sarebbe concepibile. Il contributo di questi personaggi<br />

è stato tale che sono diventati dei punti di riferimento, dei<br />

modelli da seguire, delle fonti d’ispirazione. Delle muse,<br />

per l’appunto.<br />

Non è un caso, quindi, che l’evento più “alto” che questa<br />

comunità istriano-fi umano-dalmata è riuscita a esprimere<br />

– e organizzare – contenga e omaggi tutti questi prestigiosi<br />

nomi. E lo fa, già da un po’ d’anni, attraverso il Concorso<br />

d’Arte e di Cultura “Istria Nobilissima”, promosso<br />

dall’Unione Italiana – Fiume e dall’Università Popolare<br />

di Trieste. In pratica fi n dall’inizio dell’ormai quarantacinquennale<br />

collaborazione tra i due enti. Lo scorso mese<br />

è uscito il bando dell’edizione <strong>2010</strong> – scade fra una decina<br />

di giorni (il 15 aprile, per la precisione) –, la 43.esima<br />

nell’ordine. I nomi di cui sopra ci sono tutti: Ramous per<br />

la categoria Letteratura (poesia in lingua italiana; poesia in<br />

uno dei dialetti della CNI; prosa in lingua italiana; saggi<br />

di argomento letterario), Brumini per il Teatro (testi teatrali;<br />

recitazione, saggi di argomento teatrale), Venucci per le<br />

Arti visive (pittura, scultura e grafi ca; design, arti applicate,<br />

illustrazione; fotografi a; saggi di critica e storia dell’arte),<br />

Dallapiccola per la Musica (composizione; esecuzione<br />

strumentale, vocale o corale; saggi di musicologia), Biasiol<br />

per i Giovani (poesia o prosa in lingua italiana; ricerca di<br />

carattere umanistico; teatro - testi e recitazione; musica -<br />

composizione ed esecuzione; arti visive - pittura, scultura,<br />

grafi ca e fotografi a; cinema e video - sceneggiatura e realizzazione<br />

di un fi lmato), Lettis per il Giornalismo. In più,<br />

c’è la categoria dell’arte cinematografi ca, video e televisione,<br />

nonché quelle riservate da una parte agli istro-quarnerino-dalmati<br />

residenti in Italia e ai croati e sloveni “italofoni”<br />

dell’Istro-Quarnerino e/o della Dalmazia. Ciò che invece<br />

abbiamo cercato senza purtroppo trovare è stato il nome di<br />

<strong>Antonio</strong> <strong>Borme</strong>, la cui memoria veniva onorata attraverso<br />

la categoria “saggi di argomento umanistico”. Nome e categoria<br />

che invece c’erano fi no a quest’anno, ossia fi gurava<br />

nel bando 2009. Mancano in quello del <strong>2010</strong>, anche se<br />

si potrebbe affermare che la sola categoria è stata inserita,<br />

trasversalmente, attraverso le altre sezioni. E quindi i nuovi<br />

– o potenziali – Ramous, Brumini, Venucci, Dallapiccola,<br />

Lettis, Biasiol... potranno cimentarsi con lo scrivere “scientifi<br />

co” (e critico) nei vari campi dell’arte e della cultura intese<br />

nel senso più lato.<br />

Irrimediabilmente assente invece è <strong>Borme</strong> e la storia<br />

come disciplina di “Istria Nobilissima”, fatto che a noi –<br />

pronome qui inteso come Inserto InPiù e autrice di queste<br />

righe – è quello che maggiormente sta a cuore. E rincresce.<br />

Doppiamente. Sì, perché è stata cancellata sia la nostra materia<br />

sia la “nostra Clio”. E dispiace davvero che all’elenco<br />

citato prima manchi il nome di <strong>Antonio</strong> <strong>Borme</strong>; nome che<br />

aveva consentito, in precedenza, a ricercatori e studiosi di<br />

vari profi li, di farsi riconoscere attraverso il proprio lavoro<br />

in diversi segmenti dello scibile umanistico-scientifi co<br />

(storico, fi losofi co, sociologico-antropologico, demografi -<br />

co, medico...). Non staremo qui a ricordare quanti, negli<br />

anni passati, sono emersi proprio grazie allo studio della<br />

storia e delle tradizioni, quanti hanno preso parte alla categoria<br />

in qualità di commissari di giuria. Alcuni sono fortunatamente<br />

ancora tra di noi, altri purtroppo no.<br />

Sarà anche vero che, ultimamente, la produzione<br />

non era stata all’altezza del Premio intestato a<br />

<strong>Borme</strong> – forse il professore sarebbe stato pedagogicamente<br />

più “clemente” –, oppure che la<br />

storia non sia completamente in sintonia con<br />

la natura del Concorso, di quell’Arte e Cultura<br />

intese in senso stretto. Sia come sia, è<br />

un dato di fatto, storico, che dall’elenco<br />

delle “muse” dei rimasti è stato esiliato<br />

uno dei “padri fondatori” dell’Unione<br />

Italiana, il suo primo presidente, uno<br />

dei principali artefi ci della rinascita<br />

della CNI. Beninteso, <strong>Borme</strong> non è<br />

stato uno storico; piuttosto si potrebbe<br />

dire che ha fatto la nostra Storia, e<br />

quella dell’Istria. Ospitandolo tra le sue<br />

mura, il Centro di Ricerche Storiche di<br />

Rovigno ha voluto dedicargli una lapide.<br />

Alla cerimonia della scopertura della<br />

targa, Furio Radin, presidente in carica<br />

dell’Unione Italiana, aveva dichiarato:<br />

“<strong>Antonio</strong> <strong>Borme</strong> è stato un esempio di vita<br />

per tutti i connazionali... Per me rimarrà per<br />

sempre una fonte inesauribile di ispirazione”.<br />

E signifi cative anche le frasi inserite sulle<br />

ghirlande deposte, in quell’occasione, sulla sua<br />

tomba dai rappresentanti delle istituzioni: “All’indimenticabile<br />

amico e presidente – Università Popolare<br />

di Trieste” e “Al nostro presidente, sempre nei<br />

nostri cuori – Unione Italiana”. Peccato che non se ne<br />

siano ricordate (ri)pensando al Bando di “Istria Nobilissima”<br />

<strong>2010</strong>.<br />

Ilaria Rocchi<br />

IN QUESTO NUMERO<br />

Recupero di memorie e monumenti, tradizione, pillole e curiosità varie,<br />

mostre, contributi storiografi ci, iniziative e laboratori didattici, percorsi di conoscenza<br />

e studio, notizie varie dal passato più o meno recente: sono le tappe<br />

del percorso di aprile di “Storia e Ricerca”. Inizia Kristjan Knez che, partendo<br />

da “L’eredità di Ragusa. Il restauro conservativo delle lapidi di tre studenti<br />

ragusei nel chiostro del capitolo della basilica di S. <strong>Antonio</strong> di Padova”,<br />

edizione curata da Nicolò Gallinaro, rifl ette sui rapporti che intercorsero<br />

tra Ragusa (Dubrovnik) e Padova, legami particolarmente intensi durante la<br />

lunga età della Serenissima, ma che in realtà affondavano le radici nella notte<br />

dei tempi. Nel volume “L’eredità di Ragusa” si ricostruisce un tassello di<br />

storia adriatica in cui emergono palesemente i vincoli tra le terre bagnate da<br />

un mare comune.<br />

Daniela Jugo Superina (pp. 2 e 3) invece continua a sfogliare per noi le<br />

pagine della ricca tradizione giornalistica fi umana, soffermandosi sulle notizie<br />

e le pubblicazioni più curiose e interessanti. Tra cronaca nera e arte si<br />

colloca la mostra allestita al prestigioso Museo d’Orsay di Parigi (pp. 4 e 5),<br />

che ha come tema il crimine e la punizione – la pena capitale – infl itta agli<br />

assassini, riprendendo, nel titolo, il celebre romanzo di Dostojevskij “Delitto<br />

e castigo”. Un romanzo che usciva nel 1848, come ricorda il saggio dedicato<br />

all’anno delle rivoluzioni dallo storico inglese Mike Rapport (pagina 6). Dalla<br />

Toscana all’Istria: Marco Grilli (pagina 7) riassume un “viaggio nella memoria”<br />

organizzato dall’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età<br />

Contemporanea, con il sostegno della Regione Toscana e la collaborazione<br />

dell’Uffi cio scolastico regionale e dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana<br />

(Isrt). In chiusura, alcune schegge. Buona lettura e Buona Pasqua.<br />

DEL POPOLO<br />

storia<br />

e ricerca<br />

www.edit.hr/lavoce Anno VI • n. 49 • Sabato, 3 aprile <strong>2010</strong>


2 storia e ricerca<br />

PILLOLE Riemerge un tassello di storia adriatica<br />

Tra Ragusa e Padova<br />

una rete di intensi scambi<br />

di Kristjan Knez di Daniela Jugo Superina<br />

Tra l’Istria, la Dalmazia, la<br />

città di Venezia e i suoi<br />

domini di Terraferma – lo<br />

ricordiamo qualora fosse ancora<br />

necessario evidenziarlo –, intercorsero<br />

rapporti di varia natura,<br />

intrecci che lasciarono una traccia<br />

indelebile, non solo nella documentazione,<br />

ma pure – potremmo<br />

dire soprattutto – nelle testimonianze<br />

artistiche e monumentali<br />

in generale. Tali legami, che furono<br />

particolarmente intensi durante<br />

la lunga età della Serenissima, in<br />

realtà affondavano le radici nella<br />

notte dei tempi, infatti, risalivano<br />

alla protostoria, s’intensifi carono<br />

sotto Roma, e, dopo una parentesi<br />

nel corso del Medioevo, ripresero<br />

dopo le sconfi tte subite dai pirati<br />

per opera dei Veneziani. Con il venir<br />

meno di quell’endemico problema<br />

il mare Adriatico divenne<br />

un vettore di straordinaria importanza<br />

attraverso il quale transitavano<br />

le merci, le persone, la cultura,<br />

l’arte e le idee, mentre nella sua<br />

parte settentrionale si formò a tutti<br />

gli effetti un’area che potremmo<br />

defi nire “intima”. Tra le sponde<br />

dirimpettaie la navigazione quotidiana<br />

metteva in contatto le comunità<br />

dando luogo ad un’osmosi,<br />

che rammentiamo anche in questa<br />

sede perché essa è fondamentale<br />

per cogliere il passato e comprendere<br />

la specifi cità delle nostre regioni<br />

e al tempo stesso quella civiltà<br />

adriatica, forgiata dalla Dominante<br />

(ma vi erano molti elementi<br />

in comune ben prima del<br />

suo arrivo. Lo evidenziamo per<br />

accantonare ogni sospetto circa la<br />

presunta “colonizzazione” di terre,<br />

che per una certa storiografi a – ancora<br />

oggi – sarebbero state snaturate),<br />

e che si manifestava dalle<br />

lagune sino alle Bocche di Cattaro,<br />

naturalmente con peculiarità e<br />

aspetti intrinsecamente legati al<br />

contesto locale. In quella trama di<br />

rapporti un ruolo non indifferente<br />

fu quello dell’istruzione, riservata,<br />

naturalmente, alle famiglie abbienti,<br />

le sole in grado di indirizzare<br />

i propri fi gli verso un percorso<br />

di studio. Per centinaia d’anni<br />

i giovani delle contrade istriane e<br />

dalmate si formavano in Italia. Padova<br />

con la celeberrima università<br />

attirò un numero non indifferente<br />

di studenti originari dalle province<br />

adriatiche della Repubblica di San<br />

Marco e non solo. Citiamo la città<br />

del Santo perché recentemente<br />

è uscito un volume in cui si ricordano<br />

proprio queste presenze, nella<br />

fattispecie quelle dei Ragusei.<br />

L’ateneo succitato ospitò innumerevoli<br />

giovani provenienti dalla<br />

Repubblica di San Biagio. L’opera<br />

in questione è “L’eredità di Ragusa.<br />

Il restauro conservativo delle<br />

lapidi di tre studenti ragusei nel<br />

chiostro del capitolo della basilica<br />

di S. <strong>Antonio</strong> di Padova”, edizione<br />

curata da Nicolò Gallinaro, studio<br />

che costituisce il XXXV volume<br />

degli “Atti e Memorie della Società<br />

Dalmata di Storia Patria” (Venezia<br />

2009, pp. 78), in cui, attraverso<br />

la presentazione e la documentazione<br />

di un intervento di recupero<br />

delle opere – voluto e sostenuto<br />

dallo stesso sodalizio – si propone<br />

un tassello di storia adriatica in cui<br />

emerge palesemente i vincoli tra le<br />

terre bagnate da un mare comune<br />

che univa.<br />

Nella basilica e nei chiostri<br />

del complesso Antoniano di Padova<br />

si conservano mausolei<br />

ed epitaffi funebri. Si tratta di<br />

un sito in cui le testimonianze<br />

del passato sono concentrate in<br />

gran numero e, cosa particolarmente<br />

interessante, non poche<br />

rimandano alle terre dell’Adriatico<br />

orientale, evidenziando eloquentemente<br />

le secolari relazioni<br />

tra le due coste. Come scrive<br />

Leopoldo Saracini, presidente<br />

referato della Veneranda Arca di<br />

Sant’<strong>Antonio</strong> “Collocare la perpetuazione<br />

della propria memoria,<br />

quella di persone care o di illustri<br />

personaggi legati alla storia<br />

civile ed ecclesiastica, in un<br />

contesto speciale qual è il Santo,<br />

destinato a superare il tempo,<br />

essendo proiettato in una dimensione<br />

di immortalità, questo era<br />

– e rimase per molti secoli – il<br />

motivo che ha prodotto nel tempo<br />

una concentrazione di memorie<br />

e ricordi eccellenti – spesso<br />

di alto livello artistico – che ha<br />

pochi altri riscontri al mondo”<br />

(p. 8).<br />

Per tale ragione le varie “nazioni”<br />

(termine che all’epoca non<br />

aveva il signifi cato odierno) presenti<br />

a Padova facevano una sorta<br />

di gara per ottenere degli spazi<br />

nonché dei privilegi da conservare<br />

e trasmettere a benefi cio dei propri<br />

esponenti. Si tratta di una ricchezza<br />

di notevole valenza, sono<br />

tessere utili alla comprensione<br />

del passato delle nostre latitudini<br />

e perciò è quanto mai utile e necessario<br />

provvedere alla conservazione<br />

di siffatte testimonianze.<br />

Come avverte il già citato Saracini<br />

il compito non è affatto semplice;<br />

“La vastità di questo patrimonio di<br />

memorie storiche e di opere plastiche<br />

trasmessoci dai secoli passati<br />

richiede oggi un continuo e sistematico<br />

intervento conservativo<br />

che presuppone mezzi economici<br />

non indifferenti. Scomparse le<br />

discendenze delle antiche casate<br />

gentilizie alle quali appartennero i<br />

defunti, dissoltesi nel tempo le forme<br />

istituzionali che avevano provveduto<br />

in passato a conservarne e<br />

a restaurarne i monumenti commemorativi,<br />

oggi resta solo la sensibilità<br />

e l’impegno civile e culturale<br />

di quanti pensano a ragione<br />

che tali memorie sono un patrimonio<br />

straordinario da non perdere e<br />

da tramandare” (pp. 8-9).<br />

Nicolò Gallinaro propone in<br />

apertura un excursus storico sulla<br />

Repubblica dalmata poi parla<br />

della situazione del XVI secolo,<br />

con un sintetico testo sulla temperie<br />

culturale, per inquadrare<br />

l’ambiente dal quale provenivano<br />

i tre personaggi, di cui nel prosieguo<br />

si sofferma, e che giova a<br />

comprendere il contesto in cui si<br />

muovevano. Il Cinquecento rappresentò<br />

un periodo importante<br />

per Ragusa: intensi furono gli<br />

scambi commerciali, vivaci i rapporti<br />

via mare, fervidi i rapporti<br />

culturali, dinamici quelli diplomatici,<br />

tant’è che le sue rappresentanze<br />

erano presenti in buona<br />

parte d’Europa, soprattutto nell’area<br />

mediterranea e nelle province<br />

ottomane dei Balcani. La<br />

città dalmata espresse una civiltà<br />

che tutt’oggi desta interesse ed il<br />

suo ruolo svolto era di gran lunga<br />

superiore alle sue limitate dimensioni.<br />

La cultura, lo ribadiamo,<br />

trovava un posto di rilievo e proprio<br />

colà – si ricorda anche nello<br />

studio che recensiamo – fi orì<br />

e poté svilupparsi una letteratura<br />

che utilizzava tre idiomi: il latino,<br />

l’italiano (il toscano) e l’illirico<br />

(cioè il serbo-croato). Ragusa<br />

rappresenta a tutti gli effetti una<br />

singolarità e, benché le sue istituzioni,<br />

magistrature e organi di<br />

governo utilizzassero il latino e<br />

dalla seconda metà del XV secolo<br />

la lingua toscana, in quel contesto<br />

riscontriamo l’essere e la<br />

presenza delle varie anime, che<br />

operavano in un clima di stretta<br />

collaborazione in cui la diversità<br />

linguistica non rappresentava una<br />

discriminante, anzi, dato che il bilinguismo<br />

era molto diffuso quest’ultimo<br />

rappresentava una sorta<br />

di punto di forza. Tale realtà, per<br />

ovvie ragioni, si tende a celare in<br />

quanto è poco confacente a quella<br />

presentazione della storia in chiave<br />

nazionale per cui quel passato<br />

è “croato” o “italiano”, quasi il<br />

concetto di appartenenza nazionale<br />

si potesse estendere anche a<br />

una realtà di antico regime come<br />

la Repubblica di Ragusa per l’appunto.<br />

Segue a pagina 6<br />

Nonostante l’odierna ricchezza<br />

dei mezzi d’informazione<br />

– per qualcuno,<br />

magari, si tratta soltanto di un<br />

grande circo –, i giornali hanno<br />

una posizione privilegiata nell’informare<br />

il popolo. Questo ruolo<br />

viene dato loro dal fatto, innegabile,<br />

che sono in pratica il primo<br />

mezzo d’informazione, ma anche<br />

quello che non svanirà nel nulla se<br />

dovesse mancare la corrente elettrica<br />

oppure se dimenticaste di pagare<br />

il conto del telefono. Informare<br />

e divertire: c’è qualche altra<br />

fi nalità da attribuire ai giornali?<br />

Proprio come oggi, la situazione<br />

era tale e quale anche agli albori<br />

del giornalismo.<br />

Nel XIX secolo, il giornalismo<br />

e l’editoria stavano fi orendo<br />

a Fiume. Quotidiani e bisettimanali<br />

venivano pubblicati addirittura<br />

in quattro lingue: italiano,<br />

ungherese, tedesco e, a Sušak, in<br />

croato. Alcune pubblicazioni hanno<br />

avuto vita lunga, altre sono state<br />

più effi mere, alcune avevano<br />

un carattere prevalentemente economico,<br />

altre trattavano il mondo<br />

della cultura. Tutte, però, in modo<br />

più o meno discreto, parteggiavano<br />

per una delle opzioni politiche<br />

presenti in città. Facciamo ritorno,<br />

però, agli inizi del giornalismo<br />

fi umano.<br />

Il primo giornale fi umano si<br />

chiamava “Notizie del giorno”.<br />

A lungo la sua esistenza era avvolta<br />

da un velo di mistero, fi no<br />

a che, per un caso fortuito, durante<br />

l’allestimento di una mostra su<br />

Fiume nel 1956 a Padova, la Società<br />

di studi fi umani è entrata in<br />

possesso del primo numero, uscito<br />

l’8 settembre 1813, e che oggi<br />

viene custodito nel loro archivio a<br />

Roma. Successivamente, la Società<br />

è riuscita a recuperare un altro<br />

numero, il sesto. Non è dato a<br />

sapere, però, quanti numeri siano<br />

stati complessivamente pubblicati.<br />

Dalle informazioni di testata,<br />

si evince che la sua periodicità<br />

era trisettimanale. Si suppone<br />

che le “Notizie del giorno” abbiano<br />

smesso di uscire dopo circa<br />

un anno. La copia del primo<br />

numero è stata pubblicata da Ines<br />

Srdoč Konestra sulla rivista fi losofi<br />

ca “Fluminensia” nel 1992. Vi<br />

chiederete quali notizie venivano<br />

pubblicate? Ebbene, i lettori potevano<br />

trovarvi notizie sul corso<br />

delle guerre napoleoniche in<br />

Prussia, ma anche in regioni più<br />

vicine, come in Istria e nell’area<br />

di Trieste. L’esercito francese veniva<br />

dichiarato nemico, il che è<br />

comprensibile alla luce di quanto<br />

avvenuto il 27 agosto del 1813,<br />

pochi giorni prima dell’uscita del<br />

Sabato, 3 aprile <strong>2010</strong><br />

CONTRIBUTI Sfogliando le pubb<br />

Notiziole dall’«E<br />

«Che Fiume si ch<br />

primo numero, quando il generale<br />

Laval Nugent fece il suo ingresso<br />

a Fiume ponendo fi ne al dominio<br />

francese.<br />

Fino alla scoperta delle “Notizie<br />

del giorno”, quale primo giornale<br />

fi umano veniva considerato<br />

l’“Eco del Litorale ungarico”.<br />

Con due uscite settimanali, mercoledì<br />

e sabato, visse dal 5 aprile<br />

1843 al 4 aprile 1846. Veniva<br />

stampato nella tipografi a dei<br />

fratelli <strong>Antonio</strong> e Giuseppe Karletzky.<br />

La Tipografi a Karletzky,<br />

comunque, operava a Fiume fi n<br />

dal 1779. L’“Eco del Litorale ungarico”<br />

era edito dall’omonima<br />

società editrice. Irvin Lukežić ha<br />

pubblicato nel 2002, sulla summenzionata<br />

rivista “Fluminensia”,<br />

un ampio e circostanziato<br />

articolo su questo giornale, di cui<br />

tutte le copie esistenti sono custodite<br />

dalla Biblioteca universitaria.<br />

Sono disponibili in formato digitale<br />

nella collezione “Giornali<br />

fi umani 1843-1918” sulla pagina<br />

Internet www.svkri.hr, dalla quale<br />

sono stati prelevati tutti i materiali<br />

testuali e illustrati del presente<br />

servizio.<br />

Il primo caporedattore è stato<br />

il dott. Giovanni Spagnolo, e poi<br />

lo spalatino Vincenzo Solitro. All’inizio,<br />

il giornale pubblicava notizie<br />

e servizi di carattere econo-<br />

Il primo annuncio sulla dagherrotipia – n. 76 del 21/12/1844. Soltanto<br />

cinque anni dopo l’invenzione di Louis Daguerre, i fi umani<br />

potevano immortalarsi su una lastra di rame, su cui veniva applicato<br />

elettroliticamente uno strato d’argento, quest’ultimo sensibilizzato<br />

alla luce con vapori di iodio (foto tratta da www.svkri.hr)<br />

mico, quelle relative al commercio<br />

via terra e via mare, lo sviluppo<br />

del traffi co ferroviario e stradale,<br />

e regolarmente veniva pubblicato<br />

il movimento delle navi. Se consideriamo<br />

che il XIX secolo è stato<br />

in primo luogo il secolo del progresso<br />

tecnologico, la redazione<br />

del giornale seguiva con la massima<br />

attenzione le nuove scoperte<br />

in tutto il mondo. Molti articoli e<br />

servizi riguardavano la medicina<br />

e la salute. Ovviamente, venivano<br />

seguiti anche gli avvenimenti politici,<br />

pur senza approfondimenti.<br />

La scena culturale fi umana è presente<br />

soprattutto grazie alle notizie<br />

sul Teatro civico. Più avanti<br />

nel tempo, sono state pubblicate<br />

anche alcune poesie. La redazione<br />

ha dimostrato particolare interesse<br />

per la storia. Ampi articoli trattavano<br />

eventi storici riguardanti<br />

Fiume, l’Ungheria e la Croazia,<br />

ma anche la storia e le tradizioni<br />

di popoli lontani come i cinesi, i<br />

persiani, i messicani e i brasiliani.<br />

Durante la permanenza del dott.<br />

Spagnolo alla guida della testata,<br />

in prima pagina venivano pubblicate<br />

regolarmente le “Osservazioni<br />

meteorologiche fatte nel locale<br />

Regio Istituto di nautica”. Su<br />

ogni singolo numero, inoltre, venivano<br />

pubblicati con molta cura<br />

e attenzione gli avvisi riguardanti


Sabato, 3 aprile <strong>2010</strong><br />

le persone morte a Fiume, nonché<br />

di quelle che vi sono giunte o che<br />

da essa sono andate via.<br />

Il periodo di pubblicazione dell’“Eco<br />

del Litorale ungarico” può<br />

essere considerato prerivoluzionario,<br />

relativamente calmo e tranquillo,<br />

nonostante le tribolazioni<br />

che lasciavano presagire l’arrivo<br />

di tempi ben più movimentati. Fiume<br />

è il centro del Litorale ungarico,<br />

rinnovato nel 1822 dopo le turbolenze<br />

di inizio secolo. Alla guida<br />

della città c’era un governatore ungherese,<br />

che durante il periodo di<br />

uscita dell’“Eco” era Pàl Kiss de<br />

Nemeskér. Gli abitanti erano ancora<br />

pochini, circa 8.000, ma era<br />

già percepibile il rilancio dell’economia.<br />

Grande importanza veniva<br />

data al progresso dell’artigianato,<br />

dell’industria e del commercio. Venivano<br />

proposti numerosi progetti,<br />

e in modo particolare veniva sostenuta<br />

la cosiddetta “strada di ferro”,<br />

che stava coprendo, come una rete,<br />

tutta l’Europa. I fi umani hanno dovuto<br />

attendere altri tre decenni per<br />

poterla vedere nella propria città.<br />

Sfogliando il giornale, è possibile<br />

notare una certa fedeltà al potere<br />

magiaro e spesso viene usata<br />

la locuzione “fedelissima Fiume”.<br />

I giornalisti seguono ogni minimo<br />

dettaglio riguardante gli Asburgo.<br />

Fiume festeggia i compleanni del<br />

regnante, vengono celebrati gli anniversari<br />

di morte degli ex reggenti,<br />

ma alla fi ne si può notare un certo<br />

indirizzamento verso gli avvenimenti<br />

nelle terre italiane.<br />

Noi ci soffermeremo su notizie<br />

casuali e banali, su curiosità e<br />

stranezze e sulle notizie di cronaca<br />

nera dell’epoca, ossia una sorta<br />

di passatempo, di facile lettura, che<br />

veniva offerto ai lettori dopo le tabelle<br />

statistiche e i nuovi paragrafi<br />

di legge. Lasciamo a voi, quindi,<br />

giudicare quanto quei tempi ci siano<br />

vicini, oppure lontani.<br />

1. Tabacco e fumo<br />

“Quantunque molti siano i chimici<br />

che fumano tabacco, pochissimi<br />

e forse nessuno prima d’ora<br />

pensò ad analizzarne il fumo... Ora<br />

il prof. Zeise di Copenhagen... trovò<br />

che contiene dell’olio empireumatico<br />

d’ingrato odore, dell’acido<br />

burrico in gran dose... d’acido carbonico,<br />

d’ammoniaca, di paraffi na,<br />

pece, acqua, acido acetico, ossido<br />

di carbonio, gas idrogeno carbonato”.<br />

(N. 68, 25/11/1843)<br />

“... a ragione adunque il<br />

sig.dott. Pistorini declama contro<br />

l’abuso del fumare, massimo in un<br />

dato modo nel quale, oltre il fumo,<br />

il calore ancora ad un grado altissimo<br />

s’introduce nella bocca, e nelle<br />

fauci con grave pericolo della sa-<br />

lute... e da molti esperimenti eseguiti<br />

in compagnia dell’abilissimo<br />

preparatore di chimica della regia<br />

Università di Torino il dottor Paolo<br />

Muratori, riguardanti gli effetti<br />

chimici della saliva alterata dal<br />

fumo della nicoziana”. (N. 68, 6/<br />

12/1845)<br />

“In tutti i paesi dell’America...<br />

si fuma moltissimo, però con alcune<br />

eccezioni... Nelle colonie francesi<br />

i coltivatori inventarono una<br />

forma di sigari lunghi... che essi<br />

chiamano bout. Tutti i colonisti<br />

sia vecchi che giovani fanno uso<br />

del tabacco da fumo... Solamente<br />

le donne bianche delle colonie non<br />

fumano. I negri e le negre consumano<br />

all’incontro una straordinaria<br />

quantità di tabacco, ed è per<br />

verità una cosa che eccita la nausea<br />

il mirare una negra vecchia e<br />

laida, che sta fumando da una pippa<br />

di argilla cotta... negli Stati Uniti<br />

la decenza inglese ha dichiarato<br />

guerra al fumare in pubblico, ed a<br />

Boston è persino proibito sotto una<br />

pena di fumare per le vie”. (N. 28,<br />

6/06/1844)<br />

Chi dice, allora, che la guerra al<br />

fumo è prerogativa esclusiva dell’attuale<br />

sistema sanitario e statale<br />

istruito?<br />

2. Per gli amanti della birra<br />

“Fra le bevande più atte a calmar<br />

la sete nell’estiva stagione,<br />

certamente fra le prime è la birra.<br />

Di essa vi sono varie specie: fra<br />

queste la birra forte, od il porter degli<br />

Inglesi... Da essa sta non lungi<br />

la birra del Belgio o delle Fiandre,<br />

quantunque ivi pure si fabbrichi la<br />

birra debole di comune uso. Quella<br />

che vendesi presso di noi, tiene<br />

il mezzo fra l’una e l’altra, e per la<br />

grande quantita d’acido carbonico<br />

che contiene è molto amica dello<br />

stomaco... La birra di buona qualità...<br />

promuove la digestione, nutre<br />

blandamente, calma la sete, e favorisce<br />

il corso dell’orina. Perciò nell’ardore<br />

estivo tempera l’eccessiva<br />

traspirazione della pelle. Essa può<br />

anche darsi agli ammalati...<br />

La birra di buona qualitù<br />

debb’essere limpida, appena versata<br />

spumeggiare come il vino di<br />

Asti, ma la spuma non durar a lungo<br />

sopra di essa; che in caso diverso<br />

è segno che s’impiegarono sostanze<br />

estranee per farla spumeggiare.<br />

Pessima è l’usanza di agitare<br />

il fi asco per favorire lo scoppio;<br />

che questo non è necessario se la<br />

birra è buona, e con tal pratica la<br />

bevanda s’intorbida, e riesce nociva”.<br />

(N. 29, 10/06/1944)<br />

Bevitori di birra, continuate<br />

pure a godervi le vostre... bionde!<br />

3. Viaggi: innovativi e regolari<br />

“Monck Mason, areonauta celebre,<br />

fi n dal 1837 concepi l’idea<br />

di applicare alla direzione dei globi<br />

areostatici il principio della vite<br />

di Archimede... Fece alcuni esperimenti,<br />

e gli riuscirono felicemente...<br />

formò un globo (di seta verniciata<br />

di gomma elastica liquida)<br />

contenente più di 400 piedi cubici<br />

di gas, e capace di sostenere un<br />

peso di 1200 libbre.<br />

Fu questo costrutto... nella parte<br />

settentrionale del paese di Galles, e<br />

si stabilì di attraversare il canale di<br />

Bristol, e dirigersi verso Parigi...<br />

Nella mattina del 6 di aprile... nella<br />

sottoposta macchina ascesero Mason,<br />

Bringhurst, Osborne, Ainsvorth<br />

e Holland, altri celebri areonauti...<br />

Presto però furono sorpresi da<br />

una forte corrente di levante, che<br />

li portò in alto mare... Allora Ainsvorth<br />

fece la portentosa proposta<br />

di tentare un tragitto all’America<br />

settentrionale... Il dì 9 gli areonauti<br />

conoberro di essere sulla costa della<br />

Carolina: e tripudiarono di avere<br />

attraversato l’Atlantico in 65 ore”.<br />

(N. 41, 21/08/1844)<br />

“... verranno attivate settimanalmente<br />

sulla linea da Zagabria<br />

a Fiume due diligenze (Briefeinfahrten)...<br />

Esse partiranno da Zagabria<br />

per Fiume ogni Domenica e<br />

Giovedì alle ore 8 di sera, e da Fiume<br />

per Zagabria ne’ giorni stessi<br />

alle ore 7 di sera, ed impiegheranno<br />

tanto nell’andata che nel ritorno<br />

ore 27”. (N. 53, 2/10/1844)<br />

Ogni commento è superfl uo.<br />

Siete d’accordo?<br />

5. Statistiche: più o meno attendibili<br />

“Il celebre statistico signor barone<br />

Carlo Dupin ha calcolato che,<br />

dal principio del mondo, morirono<br />

26,628,843,285,073,840 individui<br />

della specie umana...” (N. 103, 26/<br />

03/1845)<br />

“Leggesi nel Moniteur Parisien:<br />

Nel 1790, gli Stati Uniti contavano<br />

3,929,827 abitanti: la cifra<br />

delle spese pubbliche ascendeva<br />

soltanto ad 1,919,599 dollari. Nel<br />

1840, la popolazione dell’unione<br />

americana era di 17,069,453, e le<br />

spese erano salite a 28,226,553<br />

dollari... nel 1790, ogni abitante<br />

degli Stati Uniti pagava un mezzo<br />

dollaro per sopperire alle spese<br />

del governo federale. Nel 1840,<br />

esso ne pagava presso a due. Ecco,<br />

storia e ricerca 3<br />

licazioni che venivano stampate in italiano, ungherese, tedesco e, a Sušak, in croato<br />

co del litorale ungarico»:<br />

iami... Revsebes»<br />

La testata dell’Eco del 1844<br />

Il primo giornale fi umano fi no a ora noto, le NOTIZIE DEL GIOR-<br />

NO, è uscito per la volta a Fiume l’8 settembre 1813<br />

per fermo, un governo repubblicano<br />

che non è a buon mercato!”.<br />

(N.78, 28/12/1844)<br />

Ogni governo impara qualcosa<br />

col tempo. Oppure no? E gli scienziati?<br />

Ce ne sono di seri e... di quegli<br />

altri.<br />

6. Donne di calibro<br />

“Le belle abitatrici di Marosvasarhely,<br />

in Ungheria, si sono riunite<br />

per abbattere il più grande nemico<br />

del nostro secolo: il lusso. Lo<br />

scopo di questa società è quando<br />

nobile altrettanto patriottico, giacché<br />

la provvista dei necessarii vestiti<br />

si fa solo dalle fabbriche domestiche,<br />

e vi si ha pure di mira il<br />

minor possibile dispendio. La società<br />

tenne due sedute pubbliche,<br />

in cui fu distribuito un regalo a 10<br />

dame, che hanno fatte le minori<br />

spese. (N. 59, 23/10/1844)<br />

Un’ottima idea, no? E cosa<br />

aspettate?<br />

7. Fiume magiarizzata<br />

“... sig. Giuseppe Thewrewk<br />

di Ponor... così viene a parlare di<br />

sé: Questa sera io mi trovavo in<br />

una nobile conversazione, in cui<br />

l’oggetto dell’istruttivo discorso<br />

era, l’occhio del commercio ungarico,<br />

Fiume... io mi sono offerto<br />

ad ungarizzare il nome della predetta<br />

Città. Dal detto al fatto; ho<br />

nominato Fiume in idioma ungarese<br />

Revsebes (acqua corrente al<br />

porto)”.<br />

Sarebbe il settantesimo nome<br />

della nostra città. Per fortuna non<br />

ha fatto presa...<br />

Cerchiamo di essere sinceri:<br />

gli articoli meno profondi sono i<br />

più letti. Notiziole del genere venivano<br />

lette con interesse dai fi umani<br />

tanto ma tanto tempo fa. I<br />

giornali consentivano loro di essere<br />

in contatto con tutto il mondo.<br />

Le quattro pagine dell’“Eco”<br />

aprivano gli orizzonti ai fi umani.<br />

Cessato d’uscite l’“Eco”, hanno<br />

dovuto attendere ben quattordici<br />

anni prima di avere un altro giornale.<br />

Le cause di questo “silenzio<br />

stampa” sono molteplici, a partire<br />

dai moti rivoluzionari del 1848 e<br />

dal nuovo assolutismo di Francesco<br />

Giuseppe I, conosciuto per la<br />

sua censura. Soltanto il ripristino<br />

dell’ordine costituzionale permise<br />

ai fi umani di leggere ancora sulla<br />

schiuma della birra oppure sul morale<br />

delle donne...


4 storia e ricerca<br />

Sabato, 3 aprile <strong>2010</strong> Sabato, 3 aprile <strong>2010</strong><br />

MOSTRE Il prestigioso Museo D’Orsay di Parigi propone una singolare esposizione che abbraccia quasi due secoli, dal 1791 al 1981<br />

«Delitto e castigo», ovvero il fascino perverso e inquieto del crimine<br />

Gli artisti (e non solo loro) hanno affrontato il tema della pena di morte e la rappresentazione della stessa è trasformata in piacere<br />

René Magritte, L’assassino minacciato, MOMA, New York<br />

Da Caino ai pittori surrealisti<br />

Tu non ucciderai affatto<br />

Il primo criminale della storia<br />

dell’umanità, Caino, porta con sé il<br />

suo castigo: la colpevolezza. Quest’ultima<br />

è sia il frutto del suo rimorso<br />

che quello del giudizio implacabile<br />

di Dio il cui sesto comandamento<br />

ordina: “Non uccidere”.<br />

Caino è un fratricida che dà il via<br />

a crimini e omicidi di ogni sorta:<br />

parricidio, infanticidio, regicidio,<br />

genocidio. Questo perché il male,<br />

introdotto nel paradiso terrestre<br />

da Adamo ed Eva, risiede in ogni<br />

uomo.<br />

Condannato ad un’eterna punizione<br />

e ad essere per sempre ramingo,<br />

Caino, al di là della questione<br />

della colpevolezza, pone il problema<br />

della punizione. Dio non gli toglie<br />

la vita. Gli uomini, tuttavia, al<br />

comandamento di Dio e al perdono<br />

che il Signore concede al fi glio<br />

di Adamo, rispondono con la pena<br />

capitale.<br />

Con l’Illuminismo, la pena di<br />

morte è posta aspramente in discussione.<br />

Nel 1791, le argomentazioni<br />

abolizioniste di Cesare Beccaria<br />

sono riprese in Francia dall’Assemblea<br />

Costituente. Nei mesi di maggio<br />

e giugno del 1791, Le Peletier<br />

de Saint-Fargeau si dichiara favorevole<br />

alla sua abolizione ma, benché<br />

le torture siano vietate, la pena<br />

di morte resta in vigore. Nel marzo<br />

del 1792, viene stabilito che le esecuzioni<br />

capitali avverranno tramite<br />

decapitazione e che la ghigliottina,<br />

giudicata più sicura e meno crudele<br />

per il condannato, sarà lo strumento<br />

del supplizio.<br />

Il 20 gennaio 1793, dopo lunghe<br />

esitazioni, Le Peletier vota in favore<br />

della condanna a morte del re<br />

Luigi XVI. Il sovrano è giustiziato<br />

la sera stessa e diventa “il primo<br />

martire della Rivoluzione”. Il Ter-<br />

rore regna in Francia e le sentenze<br />

capitali sono all’ordine del giorno.<br />

Il loro numero, la violenza stessa<br />

dell’ esecuzione nel corso della<br />

quale avviene la separazione della<br />

testa (resta cosciente?) dal corpo<br />

(mantiene una capacità di azione?),<br />

affascinano gli artisti. Ecco<br />

cosa racconta Alexandre Dumas in<br />

proposito: “Ho visto criminali decapitati<br />

dal boia alzarsi privi di testa<br />

dalla sedia dove erano seduti e<br />

andarsene via barcollando, per poi<br />

cadere a pochi passi di distanza”.<br />

In pieno Terrore, il 13 luglio<br />

1793, Charlotte Corday pugnala<br />

a morte Jean Paul Marat, detto<br />

l’Amico del popolo e deputato della<br />

Convenzione nazionale francese.<br />

La morte di Marat, considerato un<br />

martire della Rivoluzione, è messa<br />

in scena da David che inventa un<br />

modello nuovo e rivoluzionario ma<br />

continua ad ispirarsi ai codici religiosi.<br />

Anche la personalità di Charlotte<br />

Corday, suscita grandi passioni:<br />

se per i Rivoluzionari costei<br />

è un’astuta criminale, per i<br />

monarchici la Corday è una nuova<br />

Giovanna d’Arco, una donna tormentata<br />

dall’infl usso dei suoi stati<br />

d’animo.<br />

Nel XX secolo, il mito della<br />

Corday perdura e Charlotte è vista<br />

come la creatura che minaccia e uccide<br />

l’uomo, che sovverte i ruoli di<br />

martire e boia.<br />

Con i disegni che Géricault realizza<br />

sull’assassinio di Fualdès (un<br />

ex deputato dell’Aveyron orrendamente<br />

sgozzato a Rodez il 19 marzo<br />

1817), il pittore tenta di conferire<br />

dignità storica ad un banale fatto<br />

di cronaca. Per un attimo, agli occhi<br />

dell’artista, crimini, vittime e<br />

assassini, tutto sembra epico. La<br />

passione per la raffi gurazione delle<br />

oscure passioni umane non sfocia,<br />

tuttavia, in un quadro da Salon. Il<br />

pittore si rende conto di non creare<br />

nulla di meglio di quanto abbiano<br />

già fatto gli illustratori della stampa<br />

che si occupano del caso e che, in<br />

questa ignobile esecuzione, non c’è<br />

proprio nulla di nobile e grande.<br />

L’epoca romantica si sofferma<br />

sui briganti, sulle streghe, sulle<br />

donne fatali che incarnano sia una<br />

forma di società al di fuori della<br />

società, retta da codici particolari<br />

(onore, vendetta…), sia passioni irrazionali<br />

e incontrollabili.<br />

Il pittore spagnolo Goya, che<br />

vive la sanguinosa occupazione<br />

del suo paese da parte delle truppe<br />

imperiali francesi divulga, nei suoi<br />

quadri e nelle sue incisioni, le diverse<br />

dimensioni di queste fi gure.<br />

Il carattere al tempo stesso picaresco<br />

e apologistico delle avventure<br />

di Frère Pedro, tende all’orrore e<br />

al sublime con le sue scene di briganti.<br />

La serie di incisioni I Capricci<br />

e Le Prove e i loro cortei di streghe<br />

e di visioni malefi che alimentano,<br />

da Redon a Kubin passando per<br />

Schwabe e Klinger, tutta una visione<br />

oscura dell’arte<br />

Il volto del criminale<br />

Giuseppe Fieschi è stato giustiziato<br />

nel 1836 per tentato regicidio<br />

sotto il regno di Luigi-Filippo. La<br />

testa mozzata del cospiratore è stata<br />

dipinta e modellata a uso documentario<br />

secondo una pratica che<br />

imperversa in tutta Europa. Gli<br />

esperti in frenologia e in fi siognomica,<br />

discepoli di Gall e Lavater,<br />

hanno analizzato a lungo questa testa<br />

ricercando nella forma del cranio<br />

e nelle fattezze del viso, i segni<br />

della pulsione criminale dell’attentatore.<br />

Animato dall’intenzione di distinguere<br />

i criminali dai matti (quest’ultimi<br />

non responsabili delle loro<br />

Il romanziere, fi losofo e drammaturgo<br />

francese Albert Camus<br />

è uno dei tanti autori che<br />

nel corso della storia e della letteratura<br />

hanno affontato il tema della<br />

pena di morte. “Defi niamo ancora<br />

la giustizia secondo le regole di una<br />

rozza aritmetica. Possiamo almeno<br />

dire che questa aritmetica è esatta,<br />

e che la giustizia, sia pur elementare<br />

e limitata alla vendetta legale, è<br />

salvaguardata dalla pena di morte?<br />

Si è costretti a rispondere in modo<br />

negativo. Lasciamo da parte il fatto<br />

che la legge del taglione è inapplicabile,<br />

e che sembrerebbe tanto eccessivo<br />

punire l’incendiario appiccando<br />

il fuoco alla sua casa quanto<br />

insuffi ciente castigare il ladro<br />

prelevando dal suo conto in banca<br />

una somma equivalente. Ammettiamo<br />

pure che sia giusto e necessario<br />

compensare l’assassinio della vittima<br />

con la morte dell’assassino. Ma<br />

l’esecuzione capitale non è semplicemente<br />

la morte. È tanto diversa,<br />

nella propria essenza, dalla privazione<br />

della vita quanto lo è il campo<br />

di concentramento dal carcere.<br />

È un assassinio, senza dubbio, che<br />

ripaga in forma aritmetica l’assassinio<br />

commesso. Ma aggiunge alla<br />

morte un regolamento, una premeditazione<br />

pubblica e conosciuta<br />

dalla futura vittima, un’organizza-<br />

azioni), il dottor Georget ha chiesto<br />

a Géricault di ritrarre i soggetti affetti<br />

da follia monomaniacale. Di<br />

questi individui, il pittore coglie<br />

tutta l’ambiguità. La loro umanità è<br />

presente in modo straordinario ma<br />

i loro sguardi sfuggenti, rifi utano<br />

qualsiasi scambio.<br />

Giornalucoli<br />

e manigoldi<br />

La comparsa della stampa a<br />

grande tiratura, di cui Le petit Journal<br />

pubblicato nel 1866 è l’esempio<br />

più famoso, assicura una vasta<br />

platea a crimini e fatti di cronaca di<br />

ogni genere che, fi no a quel momento,<br />

erano riportati in giornali<br />

di poche pagine divulgati in tutta<br />

la Francia. Assecondando le passioni<br />

più meschine dei suoi lettori,<br />

a colpi di racconti e di illustrazioni<br />

spettacolari, questo tipo di stampa<br />

diffonde, come scrive Balzac, “romanzi<br />

scritti molto meglio rispetto<br />

a quelli di Walter Scott, che si sviluppano<br />

in modo straordinario, con<br />

vero sangue e non con semplice inchiostro”.<br />

Questa stampa è al tempo<br />

stesso accusata e giustifi cata.<br />

Joseph Kessel, che nel 1928<br />

fonda “Détective”, primo settimanale<br />

di cronaca nera, sostiene che:<br />

“Il crimine esiste, è una realtà e, per<br />

difendersene, l’informazione è meglio<br />

del silenzio”. I codici di queste<br />

riviste che nei racconti e nelle immagini<br />

coniugano suspense, dramma,<br />

precisione, crudeltà, perversità,<br />

erotismo latente… contaminano<br />

i racconti degli scrittori, dei loro illustratori<br />

come Rops, e di artisti del<br />

calibro di Klinger.<br />

I giornali illustrati servono altresì<br />

a denunciare, con Daumier o<br />

Steinlen, il grande dramma di tanta<br />

povera gente annientata dalla<br />

spietatezza del mondo. La satira di<br />

zione infi ne, che di per se stessa è<br />

fonte di sofferenze morali più atroci<br />

della morte. Non c’è dunque equivalenza”,<br />

scrive Camus nel saggio<br />

“in “Rifl essioni sulla pena di morte”<br />

(“Réfl exions sur la peine capitale”,<br />

1957) . E poi ancora: “Generalmente<br />

l’uomo è distrutto dall’attesa della<br />

pena capitale molto tempo prima<br />

di morire. Gli si infl iggono così due<br />

morti, e la prima è peggiore dell’altra,<br />

mentre egli ha ucciso una volta<br />

sola. Paragonata a questo supplizio,<br />

la legge del taglione appare ancora<br />

come una legge di civiltà. Non<br />

ha mai preteso che si dovessero cavare<br />

entrambi gli occhi a chi aveva<br />

reso cieco di un occhio il proprio<br />

fratello.” (...) “Ma cosa è la pena<br />

capitale, se non il più premeditato<br />

degli omicidi a cui nessun atto criminale,<br />

quantunque calcolato, può<br />

essere comparato”.<br />

Quasi 25 anni dopo, a Parigi,<br />

esattamente il 30 settembre del<br />

1981, il ministro francese di Grazia<br />

e Giustizia, Robert Badinter, riesce<br />

ad abolire la pena di morte in tutta<br />

la nazione. Ci sono voluti circa duecento<br />

anni di dibattiti e polemiche<br />

per arrivare a questa importante decisione.<br />

Fu infatti nel lontano 1791<br />

che Louis-Michel Le Peletier de<br />

Saint-Fargeau cercò di convincere<br />

l’Assemblea Costituente ad abolire<br />

la pena capitale. Dal 1791 al 1981,<br />

dalla Rivoluzione Francese ai giorni<br />

nostri, si è lungamente parlato di<br />

giustizia divina e giustizia terrena e<br />

sul fatto che un uomo non può sostituirsi<br />

a Dio e sottrarre la vita ad un<br />

altro uomo. Duecento anni di pena<br />

Henri Meyer, François-Louis<br />

Méaulle<br />

Il Dramma dei Ternes, Supplemento<br />

illustrato del Petit Journal<br />

1892, Parigi, MuCEM, Museo<br />

delle Civiltà dell’Europa e del<br />

Mediterraneo<br />

Théodore Géricault (1791-1824), “Etude de pieds et de mains” (Studio<br />

di piedi e di mani), 1818-1819, Montpellier, Musée Fabre<br />

Daumier colpisce anche il mondo<br />

della giustizia. Avvocati pieni di sé,<br />

giudici refrattari ad ogni compassione<br />

(“Sotto il guanto di velluto<br />

del giudice, si intuiscono gli artigli<br />

del boia” scrive Victor Hugo), vittime<br />

e/o accusati spacciati, la visione<br />

del caricaturista è sferzante.<br />

Per mettere defi nitivamente la<br />

parola fi ne alle buie e tetre prigioni<br />

dove i condannati raffi gurati da<br />

Goya e Redon marcivano in uno<br />

stato bestiale o fetale, Jeremy Bentham<br />

progetta il panottico. L’idea<br />

che sta alla base di questa struttura<br />

era quella che, grazie alla forma radiocentrica<br />

dell’edifi cio, un unico<br />

guardiano potesse controllare tutti i<br />

prigionieri in ogni momento. Questa<br />

invenzione che appare come un<br />

progresso, prospetta la possibilità<br />

di un mondo in cui tutte le azioni<br />

sono soggette a vigilanza.<br />

A partire dal 1827, il modello<br />

progettato da Bentham è istituito in<br />

Francia senza però soppiantare le<br />

carceri, come Sainte-Pélagie, prigione<br />

riservata alle donne all’inter-<br />

no della quale Steinlen realizza una<br />

serie di disegni e dove in una cella<br />

sono stipate da 5 a 10 prigioniere.<br />

Ecce l’Impiccato<br />

I testi, i discorsi e i disegni di<br />

Victor Hugo rappresentano senza<br />

dubbio le arringhe più energiche e<br />

più appassionate che il XIX secolo<br />

abbia prodotto contro la pena di<br />

morte.<br />

Soggetta ad un rituale ben preciso<br />

che un artista come Emile Friant<br />

raffi gura in modo singolare e con dovizia<br />

di particolari e che altri, come<br />

Toulouse-Lautrec o Félix Vallotton<br />

tratteggiano con terrore, l’esecuzione<br />

capitale e la sua condanna s’impongono<br />

nel dibattito artistico fi no a<br />

Warhol il quale, mostrando soltanto<br />

la sedia elettrica, senza la presenza<br />

del boia e del condannato riassume<br />

l’orrore sordo di ogni esecuzione.<br />

Nell’epoca positivistica, la scienza,<br />

sicura che l’atto criminale può<br />

essere spiegato e il criminale individuato,<br />

mostra vivo interesse per assassini<br />

e delinquenti. Benedict-Au-<br />

capitale hanno però creato vere e<br />

proprie fi gure criminali memorabili,<br />

oscure e malevole presenze che<br />

hanno foraggiato la letteratura ispirando<br />

maestri come Sade, Baudelaire,<br />

Dostoevskij e Camus. Il crimine<br />

ed in particolare l’assassinio<br />

ha alimentato anche le arti visive,<br />

nei maggiori pittori come Francisco<br />

Goya, Théodore Géricault, Pablo<br />

Picasso e René Magritte, le raffi<br />

gurazioni del crimine o della pena<br />

capitale hanno portato alla creazione<br />

di opere straordinarie. Anche il<br />

cinema, ha subito il fascino inquieto<br />

di una violenza estrema e la rappresentazione<br />

della stessa è trasformata<br />

in piacere, addirittura in voluttà.<br />

A questo argomento e alla sua<br />

percezione/raffi gurazione uno dei<br />

più suggestivi musei d’arte di Parigi,<br />

il prestigioso Museo D’Orsay,<br />

propone – fi no al 27 giugno <strong>2010</strong> –<br />

una mostra intitolata “Delitto e Castigo”,<br />

prendendo appunto in esame<br />

il già citato periodo di tempo di due<br />

secoli.<br />

Proprio sul fi nire del XIX secolo<br />

un modo di trattare l’indole delinquenziale,<br />

con pretese scientifi -<br />

che, nasce e si sviluppa. Il tentativo<br />

è quello di dimostrare che gli elementi<br />

che caratterizzano la persona<br />

che commette un crimine si manifesterebbero<br />

nella fi sionomia della<br />

stessa. Teorie di questo genere incidono<br />

fortemente sulla pittura, sulla<br />

scultura e sulla fotografi a. Per farla<br />

breve, alla violenza del delitto corrisponde<br />

quella del castigo: come non<br />

ricordare l’onnipresenza di soggetti<br />

quali il patibolo, la garrotta, la ghigliottina<br />

o la sedia elettrica? Al di<br />

là dell’azione delittuosa, il problema<br />

che si pone è quello di affrontare<br />

ancora e per sempre il tema del<br />

Male e, oltre la condizione sociale,<br />

l’inquietudine metafi sica. A simili<br />

quesiti, l’arte fornisce una testimonianza<br />

spettacolare.<br />

La mostra abbraccia il periodo<br />

che va dal 1791, quando Le Peletier<br />

de Saint-Fargeau chiese la soppressione<br />

della pena di morte in Francia,<br />

al 1981, data della sua effettiva<br />

abolizione in questo paese. L’esposizione<br />

affronta un tema complesso<br />

e variegato, ma non tralascia i dettagli<br />

concreti sul tema del delitto e del<br />

castigo: patiboli, gogne e ghigliottine<br />

ricordano infatti quanto il castigo<br />

somigli al delitto.<br />

Dalla ghigliottina<br />

alla sedia elettrica<br />

La mostra si sviluppa cronologicamente<br />

affrontando il tema del<br />

delitto e del castigo. Inizia con il<br />

fratricida Caino, di Pierre-Paul<br />

Jean-Joseph Weerts (1847-1927), “Marat assassinato! 13 luglio 1793,<br />

otto di sera”, 1880, Roubaix, La piscine, Musée d’art et d’industrie<br />

gustin Morel elabora la teoria della<br />

degenerazione che rimette in discussione<br />

quella del libero arbitrio. Questa<br />

teoria ispira Physionomies de criminels<br />

[Fisionomie di criminali] e<br />

La petite danseuse de 14 ans [La ballerina<br />

di 14 anni] di Degas. Giovani,<br />

come Abadie, Knobloch e Krial,<br />

al cui processo l’artista assiste nel<br />

1880, cresciuti negli ambienti popolari<br />

e operai di Parigi si trasformano<br />

in assassini. L’allieva dei primi corsi<br />

della scuola di ballo dell’Opera, dalle<br />

origini simili, è una prostituta.<br />

Ecco allora emergere la questione<br />

della responsabilità del male. Punire<br />

o sconfi ggere? Alphonse Bertillon<br />

pone le basi dell’identifi cazione<br />

giudiziaria. Si tratta di individuare i<br />

recidivi tramite le fotografi e di fronte<br />

e di profi lo, di rilevare i caratteri<br />

non soggetti a mutamento (colore<br />

dell’iride, tatuaggi…) e di classifi care<br />

successivamente questi dati, non<br />

più in base ad un ordine alfabetico<br />

ma secondo misure fi siche. L’identità<br />

corporea prende il sopravvento<br />

sull’identità dell’anima.<br />

Cesare Lombroso, in Genio e<br />

follia, pubblicato nel 1877, segnala<br />

“la somiglianza dell’ispirazione<br />

con l’accesso epilettico”. Per questo<br />

motivo Patricia Cornwell ha identifi -<br />

cato in Walter Sickert, pittore che in<br />

più di un’occasione ha ritratto nelle<br />

loro camere del quartiere di Camden<br />

Town a Londra alcune prostitute, il<br />

terribile omicida Jack Lo Squartatore.<br />

L’assassino e l’artista obbediscono<br />

ad aspirazioni che sfuggono ai<br />

comuni mortali.<br />

Con altri modelli e altri mezzi, il<br />

Surrealismo, come in precedenza il<br />

Romanticismo, si dimostra attratto<br />

dal crimine e dalla fi gura del criminale.<br />

Violette Nozières et le sorelle<br />

Papin sono eroine, i cadaveri sono<br />

adorabili, i corpi sono smembrati,<br />

sgozzati, decapitati… Ogni elemento<br />

riconducibile all’ordine è rifi utato<br />

da André Breton che dichiara: “L’atto<br />

surrealista più semplice consiste<br />

nello scendere in strada revolver in<br />

pugno e a tirare a caso, il più possibile,<br />

in mezzo alla folla”.<br />

Prud’hon del 1815, passa per la<br />

ghigliottina in una immagine agghiacciante<br />

di Victor Hugo del<br />

1857, tocca l’omicidio di Marat<br />

nel meraviglioso dipinto di Delacroix.<br />

Fino ad arrivare ai dipinti<br />

di Walter Sickert, uno dei più famosi<br />

sospettati nel caso di Jack lo<br />

Squartatore, e ai più moderni pittori<br />

come Magritte o come Wharol<br />

con la sua famosa raffi gurazione<br />

della sedia elettrica. Attraverso le<br />

opere esposte si ripercorre la storia<br />

del crimine e degli studi sul<br />

crimine. Si attraversa così l’epoca<br />

romantica che si concentra su briganti,<br />

streghe, donne fatali, passioni<br />

irrazionali e incontrollabili che<br />

viene incarnata alla perfezione da<br />

Goya e il periodo degli studi del<br />

Lombroso rappresenati mirabilmente<br />

da Géricault che dei soggetti<br />

affetti da follia monomaniacale,<br />

coglie tutta l’ambiguità, l’umanità,<br />

gli sguardi sfuggenti. I protagonisti<br />

sono loro. I crimini, i fattacci di<br />

cronaca e di storia che hanno affascinato<br />

gli artisti dell’Otto e del<br />

Novecento.<br />

La mostra si articola su due<br />

aspetti fondamentali: da un lato<br />

quello incentrato su una ricchissima<br />

antologia di rappresentazioni<br />

artistiche con valenze realistiche,<br />

immaginifi che e simboliche di atti<br />

cruenti e di criminali assassini; e<br />

dall’altro lato quello scientifi co<br />

che documenta in particolare gli<br />

studi di frenologia e di criminologi<br />

positivisti come Lombroso e Bertillon,<br />

E bisogna dire che le foto<br />

poliziesche di quest’ultimo, che<br />

mostrano nel loro freddo squallore<br />

vere scene di delitti, sono le immagini<br />

più terribili, ben di più degli<br />

orrori delle incisioni di Goya o<br />

delle teste e corpi tagliati di Géricault,<br />

opere di affascinante tensione<br />

estetica.<br />

Il capitolo dedicato al periodo<br />

rivoluzionario ha come protagonista<br />

la ghigliottina e un trionfo di teste<br />

tagliate (da quelle di Géricault<br />

a quelle di Carpeaux, Brascassart<br />

e Redon), e presenta il capolavoro<br />

di David La morte di Marat e altri<br />

dipinti sul tema dove compare anche<br />

Carlotta Corday. Nella sezione<br />

successiva si entra nel mondo suggestivo<br />

e immaginifi co delle fi gure<br />

romantiche del crimine: briganti<br />

in azione di Goya, Delacroix e di<br />

pittori più illustrativi tipo Gleyre;<br />

donne fatali uscite dalla fantasia<br />

maschile di Füssli, Moreau o Muller;<br />

e «streghe» ancora di Goya,<br />

e di perturbati simbolisti come<br />

Schwabe e Kubin. L’esposizione<br />

si sviluppa poi in direzione delle<br />

Anonimo, Désiré Landru, 1919<br />

5<br />

istituzioni giudiziarie e della documentazione<br />

criminologica, spostandosi<br />

soprattutto nella seconda<br />

metà del XIX secolo.<br />

Con feroce spirito satirico Daumier<br />

ritrae nelle sue litografi e grottesche<br />

fi sionomie di giudici; Courbet<br />

e Van Gogh rappresentano<br />

l’oppressiva atmosfera all’interno<br />

delle mura delle prigioni; e molti<br />

artisti, da Victor Hugo (come disegnatore)<br />

a Rops ci presentano scene<br />

di esecuzioni capitali. Una sala<br />

è interamente dedicata alle riviste<br />

e giornali illustrati che come oggi<br />

sfruttavano il morboso interesse<br />

popolare per i fatti di sangue, soprattutto<br />

per quelli a sfondo sessuale.<br />

In conclusione si ritorna all’arte<br />

con quadri su crimini sessuali<br />

di Grosz, Dix e Schlichter, e soprattutto<br />

con una nutrita schiera di<br />

lavori di artisti surrealisti affascinati<br />

da de Sade e dal rapporto fra<br />

violenza e sesso.<br />

Sono in mostra dei cadavre<br />

exquis disegnati a più mani, la<br />

“Femme égorgée” di Giacometti,<br />

le perverse bambole di Bellmer e<br />

l’inquietante ma ironico “Assassin<br />

menacé” di Magritte, una scena<br />

assurda in cui l’assassino e macellatore<br />

di una donna nuda sta per<br />

essere assalito da altri delinquenti<br />

nascosti. Ma il più signifi cativo e<br />

emblematico dei pezzi esposti, che<br />

chiude idealmente la mostra, è la<br />

ricostruzione della terribile e assurda<br />

macchina di tortura immaginata<br />

da Kafka nel racconto “La<br />

colonia penale”.<br />

“Delitto e castigo”, in sette<br />

ampi “capitoli” ripercorre il tema<br />

del crimine individuale e delle<br />

sanzioni giudiziarie attraverso la<br />

messa in scena di dipinti, disegni,<br />

stampe, illustrazioni, fotografi e e<br />

strumenti di pena, primo fra tutti la<br />

ghigliottina che con la sua sinistra<br />

presenza velata di nero accoglie all’entrata<br />

i visitatori.<br />

Impossibile non concordare con<br />

quanti hanno, molto prima di noi,<br />

rilevato l’inutilità e la dannosità,<br />

per la giustizia, della pena di morte.<br />

E sarà anche vero che, in defi -<br />

nitiva – e sempre citando Camus<br />

– “La pena di morte, così come la<br />

si applica, è una disgustosa macelleria,<br />

un oltraggio infl itto alla persona<br />

e al corpo”, ma è altrettanto<br />

dubbio che la morte, in tutte le sue<br />

forme – anche nell’esecuzione capitale<br />

– ha attratto, e per certi versi<br />

continua ad attirare, quasi morbosamente,<br />

l’uomo, sia esso artista,<br />

fi losofo, politico, storico... o semplice<br />

spettatore.<br />

Ilaria Rocchi


6 storia e ricerca<br />

Sabato, 3 aprile <strong>2010</strong><br />

LIBRI Nel 1848 il Vecchio Continente è in bilico sull’orlo di un abisso<br />

La primavera dei popoli: una marea<br />

che sconvolse il sistema conservatore<br />

Parigi, Milano, Venezia, Napoli, Palermo, Vienna, Praga,<br />

Budapest, Cracovia, Berlino: un continente è in bilico<br />

sull’orlo di un abisso. Il vento della rivoluzione travolge<br />

l’Europa. Il 22 febbraio 1848 Parigi si sveglia sotto un cielo<br />

grigio e carico di pioggia. Le raffi che di vento portano per<br />

le strade una triste acquerugiola. Alle nove una folla di manifestanti<br />

– operai disoccupati, donne e bambini – si riunisce<br />

in place de la Madeleine, dalla quale deve prendere avvio la<br />

marcia di protesta. Tre giorni dopo, alle prime ore del mattino,<br />

la piazza esplode in un boato di giubilo: è stata proclamata<br />

la Repubblica! Parigi è la prima città a cadere sotto i colpi<br />

della rivoluzione. Con stupefacente rapidità, in tutte le capitali<br />

del continente, operai e borghesi rovesciano i vecchi regimi<br />

e si apprestano a dar vita a un nuovo sistema liberale. La marea<br />

sconvolge il sistema conservatore che, dopo la conclusione<br />

Parigi, Milano, Venezia, Napoli,<br />

Palermo, Vienna, Praga,<br />

Budapest, Cracovia, Berlino:<br />

il vento della rivoluzione<br />

travolge l’Europa nel 1848<br />

delle guerre napoleoniche, aveva mantenuto la pace ma represso<br />

le aspirazioni all’indipendenza nazionale e al governo costituzionale.<br />

Alta politica e diplomazia, processi di formazione<br />

statale e affermazione del costituzionalismo si affi ancano alla<br />

tragedia umana della rivoluzione, della guerra e della miseria:<br />

il 1848 è allo stesso tempo un’esperienza esaltante e drammatica<br />

per migliaia di persone, che scoprono il gusto per la politica<br />

e conquistano diritti civili e spazi di autonomia fi no ad allora<br />

esclusi. E non importa che tutto duri poco: è la generazione del<br />

1848 a distruggere alla radice quel vecchio sistema ma sarà la<br />

gente del futuro a raccoglierne i frutti.<br />

Se ne occupa Mike Rapport in “1848. L’anno della rivoluzione”<br />

(Laterza 2009, pp. 592, euro 24).<br />

Mike Rapport ha studiato presso le università di Edimburgo<br />

e Bristol. È stato segretario della Società per gli studi della<br />

storia francese fra il 2000 e il 2005 e redattore della rivista<br />

“French History”. Ha pubblicato, tra l’altro, “Nationality and<br />

Citizenship in Revolutionary France: The Treatment of Foreigners<br />

1789-1799” (2000) e “European History, including Nineteenth-Century<br />

Europe” (2005).<br />

Lo storico inglese racconta per fi lo e per segno ciò che successe<br />

nel ‘48, anno in cui, giorno dopo giorno, un mese dopo<br />

l’altro, la rivoluzione democratica dilagò attraverso l’Europa<br />

come un vento di tempesta. Fu l’anno in cui vennero al pettine<br />

i nodi irrisolti della politica europea: l’edifi cio della Restaurazione,<br />

eretto a Vienna nel 1815, dopo l’“avventura” napoleonica,<br />

cominciò a scricchiolare. Fu l’anno del proletariato e<br />

delle classi medie, praticamente appena nate dalla rivoluzione<br />

industriale. Fu l’anno delle rivolte popolari e dei grandi disegni<br />

di riforma. Fu l’anno in cui a Parigi si decretò il suffragio<br />

universale. Fu l’anno in cui vennero appiccati i primi minacciosi<br />

incendi del nazionalismo moderno e del suo problematico<br />

gemello, l’internazionalismo socialista. Fu l’anno in cui<br />

nacque l’anarchia, l’anno di Pierre-Joseph Proudhon, audace<br />

economista e operaio tipografo, e di Michail Alexandrovic<br />

Bakunin, aristocratico russo e rivoluzionario proletario senza<br />

eguali. Fu nel 1848 che Karl Marx e il suo socio al cinquanta<br />

per cento Friedrich Engels (su incarico del comitato centrale<br />

della Lega dei comunisti, un gruppuscolo proletario tra i più<br />

minoritari, composto per lo più di sarti tedeschi emigrati a Parigi,<br />

Londra e Bruxelles) scrissero a quattro mani il Manifesto<br />

del partito comunista, forse il più fortunato pamphlet mai apparso<br />

al mondo. E subito cominciò la leggenda dello spettro<br />

del comunismo...<br />

Secondo Isaiah Berlin, per capire il 1948, bisogna leggere<br />

Alexis de Tocqueville, Karl Marx e Aleksandr Herzen. Tranne<br />

Herzen, che fu soprattutto un memorialista, forse il più grande<br />

memorialista d’ogni tempo e luogo, gli altri due furono soprattutto<br />

dei teorici. Tocqueville vide nelle rivoluzioni del 1848<br />

l’ineluttabilità della convergenza (come ha scritto Franco Venturi)<br />

tra democrazia liberale e libertà. Marx vi vide all’opera le<br />

forze “anonime e tremende” della lotta di classe (come sempre,<br />

aveva ragione e torto insieme). Herzen, da parte sua, pose le<br />

basi d’ogni futuro discorso sull’intellighenzia moderna, a partire<br />

dall’esperienza che andava maturando tra gli intellettuali<br />

russi d’opposizione, e intanto raccontò il 1848 e i suoi esiti attraverso<br />

arguti e intensi ritratti dei suoi protagonisti.<br />

Un tassello di storia adriatica in cui emergono palesemente i vincoli tra le terre bagnate da un mare comune<br />

Recuperate le memorie dei rapporti tra Ragusa e Padova<br />

Da pagina 2<br />

Tra i massimi esponenti di quel<br />

secolo ricordiamo due umanisti ecclesiastici<br />

come Ambrogio e Clemente<br />

Ragnina, il letterato Giacomo<br />

Bona che studiò a Padova,<br />

a Bologna e a Firenze, il letterato<br />

Damiano Bonessa, Ludovico Cerva<br />

Tuberone, autore dei commenti<br />

sugli accadimenti avvenuti a seguito<br />

della morte del re ungherese<br />

Mattia Corvino, Mauro Orbini, il<br />

primo autore impegnato in ricerche<br />

storiche, la cui lavoro “Il Regno degli<br />

Slavi” (Pesaro 1601) fu una tra<br />

le primissime opere dedicate agli<br />

Slavi meridionali. Tra i poeti menzioniamo<br />

Michele Monaldi e Savino<br />

Bobali.<br />

L’ateneo patavino divenne un<br />

centro di primaria importanza per<br />

la formazione dei giovani provenienti<br />

da quella Repubblica e dalla<br />

Dalmazia in generale. L’autore<br />

dello studio che presentiamo sottolinea<br />

“Che i dalmati siano in questi<br />

secoli una presenza attiva nella storia<br />

universitaria, lo si nota non solo<br />

dagli Acta graduum academicorum<br />

Gymnasii Patavini pubblicati nei<br />

diversi secoli, ma anche dal fatto<br />

che, per esempio, tra i rettori sia<br />

nominato qualche raguseo come<br />

Francesco Crasso, poi addirittura<br />

sindaco di Padova per due volte,<br />

oppure che il più antico dei 3042<br />

stemmi oggi esistenti al Bo’ appartenga<br />

ad un dalmata, Giacomo Cicuta<br />

da Veglia, rettore dei Giuristi<br />

nel 1541-42” (p. 14).<br />

L’intervento di restauro ha interessato<br />

i monumenti funebri ad<br />

<strong>Antonio</strong> Bona (1537-1558), latinista,<br />

a Giorgio Sorgo (1584-1609)<br />

che molto probabilmente studiava<br />

in quell’università ma non vi era<br />

iscritto, dato che il suo nome non<br />

compare nei registri, e a Stefano<br />

Gigante (1592-1613) di cui non si<br />

hanno notizie, nemmeno relative<br />

alla sua famiglia. Come si evince<br />

i tre monumenti sono dedicati a tre<br />

giovani passati a miglior vita ancora<br />

molto giovani, il più anziano, infatti,<br />

è venuto a mancare all’età di<br />

venticinque anni. Buona parte della<br />

pubblicazione è dedicata al restauro<br />

dei monumenti funebri stessi, il cui<br />

autore ha preso direttamente parte.<br />

Una ricca documentazione fotogra-<br />

fi ca presenta lo stato in cui essi versavano<br />

prima dell’inizio dei lavori,<br />

si propongono le varie fasi dell’intervento,<br />

con le delicate operazioni<br />

di recupero nonché lo stato attuale<br />

delle opere, fi nalmente ritornate al<br />

loro antico splendore, così come<br />

dovevano apparire secoli addietro.<br />

Il restauro conservativo fu eseguito<br />

nel corso del 2008. Per individuare<br />

le metodologie più appropriate<br />

per eseguire l’intervento medesimo<br />

dei vari elementi architettonici<br />

e del materiale lapideo che forma le<br />

epigrafi , si fece anzitutto un’analisi<br />

degli elementi che raggruppano<br />

delle analogie vuoi per tipologia e<br />

stato di conservazione vuoi per patologie<br />

di degrado e ubicazione. Gli<br />

elementi individuati furono suddivisi<br />

in: elementi in pietra tenera di<br />

Vicenza (Nanto), elementi in pietra<br />

tenera di Vicenza (Costozza) e<br />

elementi marmorei. I primi, come<br />

apprendiamo dallo studio, presentavano<br />

delle patologie di degrado<br />

sulla superfi cie dei manufatti<br />

“(…) riconducibili a evidenti fenomeni<br />

superfi ciali diffusi di colore<br />

nero con formazioni di microrganismi<br />

quali licheni e muschi<br />

e alla presenza di croste nere den-<br />

titriche dovute probabilmente all’aggressione<br />

dei fenomeni atmosferici<br />

e in parte all’inquinamento<br />

atmosferico” (p. 32). La porosità<br />

della pietra, inoltre, ha permesso<br />

l’erosione e la disgregazione del<br />

litotipo, che ha determinato pure<br />

la perdita di materiale compromettendo<br />

l’integrità del manufatto.<br />

Per quanto concerne il secondo<br />

gruppo di elementi riportiamo che<br />

“Le principali patologie di degrado<br />

sono riconducibili all’aggressione<br />

dei fenomeni atmosferici e fenomeni<br />

di polverizzazione materica<br />

superfi ciale. Sono presenti anche<br />

croste nere dentritiche e fenomeni<br />

di attacco biologico” (p. 36). Per le<br />

parti in marmo “Le principali patologie<br />

di degrado della superfi cie<br />

sono riconducibili all’aggressione<br />

dei fenomeni atmosferici e in parte<br />

all’inquinamento atmosferico.<br />

Vi sono depositi superfi ciali di vario<br />

spessore e consistenza di colore<br />

nero, formatesi a causa dell’alta<br />

concentrazione di agenti inquinanti,<br />

presenti soprattutto nelle zone<br />

meno esposte agli agenti atmosferici”<br />

(p. 40). Delle schede dettagliate<br />

propongono anche la metodologia<br />

d’intervento, che dimostra<br />

la professionalità degli esecutori e<br />

al tempo stesso presentano al pubblico<br />

profano la complessità che<br />

un recupero di quel tipo comporta.<br />

Le foto inserite l’una accanto<br />

all’altra, che documentano lo stato<br />

dei monumenti e delle loro singole<br />

parti, prima e dopo il restauro,<br />

sono eloquenti; ed i risultati ottenuti<br />

suggeriscono siano il frutto di<br />

notevole esperienza, competenza e<br />

laboriosità.


Sabato, 3 aprile <strong>2010</strong><br />

Con l’istituzione della Giornata<br />

del Ricordo nel 2004,<br />

lo Stato italiano ha cercato<br />

di colmare le lacune della memoria<br />

nazionale sulle violenze subite<br />

da italiani in Friuli Venezia Giulia,<br />

Istria e Dalmazia, ridando voce anche<br />

a un gran numero di esuli, che<br />

hanno dovuto o voluto, per una<br />

scelta libera ma dolorosissima, abbandonare<br />

la loro terra. Dal tentativo<br />

di trovare strumenti effi caci per<br />

dare attuazione in forma non rituale<br />

ad una legge dello Stato, è partito il<br />

lavoro di formazione e produzione<br />

di strumenti didattici compiuto dall’Istituto<br />

storico grossetano della<br />

Resistenza e dell’Età Contemporanea<br />

(Isgrec), con il sostegno della<br />

Regione Toscana e la collaborazione<br />

dell’Uffi cio scolastico regionale<br />

e dell’Istituto storico della Resistenza<br />

in Toscana (Isrt).<br />

Un lavoro per il<br />

mondo della scuola<br />

Un lavoro iniziato con l’aggiornamento<br />

di centinaia di insegnanti<br />

toscani in cicli di lezioni-laboratorio<br />

e seminari, primo essenziale<br />

passo per l’insegnamento di una<br />

parte di storia italiana ed europea<br />

poco frequentata fuori dalle regioni<br />

direttamente interessate, e coronato<br />

da due produzioni rivolte alla<br />

scuola, un documentario e una mostra<br />

nati da un viaggio di studi nei<br />

luoghi della memoria del Confi ne<br />

orientale nel 2009, presentati a Firenze<br />

e a Grosseto. “La nostra storia<br />

e la storia degli altri. Viaggio intorno<br />

al confi ne orientale” è il titolo<br />

di questi due lavori, dove l’esperienza<br />

del viaggio compiuta da un<br />

gruppo di insegnanti toscani, è stata<br />

fonte di approfondimento delle<br />

conoscenze, ma anche occasione<br />

per rifl ettere sui signifi cati dei<br />

luoghi della memoria. L’esperienza<br />

dei luoghi – si legge nel primo<br />

pannello della mostra – di quanta e<br />

quale memoria vi è stata fi ssata nel<br />

tempo, è un segmento della rifl essione<br />

sulla complessità del rapporto<br />

fra storia e memoria, in questo<br />

caso storie e memorie. Le immagini<br />

passano attraverso la mediazione<br />

del nostro sguardo, inseparabili<br />

dalle fonti di conoscenza che l’hanno<br />

preceduto e seguito. In quanto<br />

tali, sono testimonianza di un percorso<br />

di conoscenza, il cui oggetto<br />

è l’attraversamento di frontiere,<br />

che hanno visto lacerazioni e dolore”.<br />

Guide qualifi cate<br />

Un punto prezioso di riferimento<br />

per la realizzazione del progetto<br />

del viaggio, da cui è nata la mostra,<br />

è stato l’Istituto regionale per la<br />

storia del movimento di Liberazione<br />

in Friuli Venezia Giulia, mentre<br />

hanno accompagnato con contributi<br />

scientifi ci, testimonianze e guide<br />

ai luoghi: Marco Coslovich e Angelo<br />

Visentin a Trieste, Nevenkha<br />

Troha e Marta Verginella a Lubiana,<br />

Tullio Vorano ad Albona e Livio<br />

Dorigo a Padriciano. La mostra<br />

si apre con le parole di uno dei fi -<br />

gli migliori del confi ne orientale,<br />

Claudio Magris, una testimonianza<br />

preziosa da imparare e insegnare:<br />

“Alle genti di una riva quelle della<br />

riva opposta sembrano spesso barbare,<br />

pericolose e piene di pregiudizi<br />

nei confronti di chi vive sull’altra<br />

sponda. Ma se ci si mette a<br />

girare su e giù per un ponte, mescolandosi<br />

alle persone che vi transitano<br />

e andando da una riva all’altra<br />

fi no a non sapere più bene da quale<br />

parte o in quale paese si sia, si ritrova<br />

la benevolenza per se stessi e<br />

il piacere del mondo”. Nell’appendice<br />

dell’esposizione si analizzano<br />

i rapporti tra il confi ne orientale e<br />

Firenze – la Toscana fu, come altre<br />

regioni italiane, un’importante<br />

tappa conclusiva dell’“odissea”<br />

di speranza e disperazione di tanti<br />

profughi – con riferimento alla ne-<br />

cessità di portare avanti il lavoro di<br />

ricostruzione di tanti percorsi soggettivi<br />

di vita, a partire dallo studio<br />

già realizzato su Sergio Rusich, che<br />

trasformò il suo esilio in un impegno<br />

civile e culturale.<br />

Sei sezioni<br />

Merito delle mostra, articolata<br />

dopo l’introduzione in sei sezioni<br />

(Trieste, un’identità di frontiera;<br />

Basovizza, il simbolo delle stragi<br />

jugoslave; Risiera, l’altro simbolo;<br />

Gonars, memorie ritrovate; Istria,<br />

in bilico tra due mondi e Padriciano,<br />

come paglia al vento) è quello<br />

di affi ancare alle rifl essioni di viaggio<br />

le “Storie”, ossia i più importanti<br />

e recenti contributi storiografi<br />

ci sugli argomenti trattati, nonché<br />

le “Letterature e memorie”, con<br />

suggestive, vivide e spesso dolorose<br />

pagine di importanti testimoni,<br />

in grado di catapultarci nell’atmosfera<br />

degli avvenimenti. Un continuo<br />

rimando dal pubblico al privato,<br />

dalla storia generale a quella<br />

particolare, che s’impone come<br />

importante scelta di metodo.<br />

Trieste, Basovizza, la<br />

Risiera di San Sabba<br />

A Trieste, microcosmo che ha<br />

assorbito diverse culture nel corso<br />

del tempo, i viaggiatori avvertono<br />

il contrasto tra quello che sono<br />

venuti a cercare – i luoghi simbolo<br />

delle violenze del ‘900 – e l’immagine<br />

della città che è sotto i loro<br />

occhi. Trieste ci precipita prima a<br />

Basovizza, dove il pozzo della miniera<br />

è diventato per elezione il<br />

luogo di memoria delle foibe, e poi<br />

alla Risiera di San Sabba, il monumento<br />

triestino di più alto valore<br />

simbolico, unico campo di concentramento<br />

con forno crematorio<br />

dell’Europa occidentale occupata,<br />

all’interno della Zona d’operazioni<br />

del Litorale Adriatico sotto diretto<br />

controllo tedesco. A Basovizza<br />

i viaggiatori percepiscono quanto<br />

la memoria delle foibe abbia oggi<br />

un codice di lettura, in chiave nazionale<br />

e ideologica, e rifl ettono su<br />

una memoria rimasta troppo a lungo<br />

patrimonio delle vittime, locale,<br />

ripiegata su se stessa: “Il tributo di<br />

un monumento importante, di dimensioni<br />

grandiose e simbolicamente<br />

forte, all’interno di un’area<br />

musealizzata non alla sua altezza<br />

– scrive la Direttrice dell’Isgrec<br />

Luciana Rocchi, redattrice dei testi<br />

– fa pensare a un tentativo di riparazione<br />

da parte dello Stato italiano,<br />

ma anche ad un’elaborazione<br />

ancora incompiuta della memoria<br />

delle atrocità e non cancella la percezione<br />

di un risentimento locale<br />

ancora molto vivo”. Alla Risiera,<br />

voluta dall’occupante tedesco nella<br />

fase fi nale della II Guerra mondiale<br />

e monumento nazionale dal 1965,<br />

dopo un lungo silenzio che sembrava<br />

assecondare la rimozione suggerita<br />

dai carnefi ci, rispondono altri<br />

luoghi della città, quali il Narodni<br />

Dom, teatro di uno dei primi episodi<br />

di violenza fascista nel 1920, e la<br />

Sinagoga, devastata nel 1942, che<br />

hanno un signifi cato analogo ma<br />

di più lungo periodo, richiamando<br />

le violenze del fascismo di confi ne<br />

culminate nelle politiche di snazionalizzazione<br />

e razziste.<br />

Le cripte di Gonars<br />

A Gonars le 471 cripte e i tre<br />

differenti sacrari (jugoslavo, sloveno<br />

e croato) ricordano le vittime<br />

del campo di concentramento italiano<br />

dove furono internati gli slavi,<br />

partigiani e civili, tra cui molte<br />

donne e bambini, rastrellati dopo<br />

l’occupazione di Lubiana. Colpisce<br />

l’assenza di una memoria italiana,<br />

un segno della rimozione<br />

delle responsabilità fasciste e un<br />

oblio simmetrico a quello del campo<br />

di Goli Otok, l’Isola calva dove<br />

molti italiani subirono le violenze<br />

della Jugoslavia di Tito. Oggi il<br />

Comune di Gonars che è impegnato<br />

a recuperare la storia del campo<br />

– sottolineano gli autori – potrebbe<br />

diventare un luogo simbolo dei diffi<br />

cili percorsi che accompagnano il<br />

recupero di memorie scomode.<br />

L’italianità<br />

cancellata<br />

Nel viaggio in Istria, dove già<br />

il paesaggio conferma la stratifi -<br />

cazione di civiltà, tempi e strutture<br />

sociali, si passa rapidamente<br />

dalla visione del Castello di Pisino,<br />

oggi sede del Museo di civiltà<br />

istriana e privo di ogni ricordo<br />

delle violenze subite nell’autunno<br />

1943 da italiani e tedeschi, sommariamente<br />

processati e infoibati<br />

storia e ricerca 7<br />

INIZIATIVE Itinerario didattico tracciato dall’Isgrec da cui è nata una mostra<br />

La nostra storia e la storia degli altri.<br />

Viaggio intorno al confi ne orientale<br />

di Marco Grilli<br />

dalle formazioni militari jugoslave,<br />

al senso di sconforto e tristezza<br />

trasmesso dalle facciate cadenti<br />

e le fi nestre chiuse della cittadina<br />

costiera di Albona, simbolo del doloroso<br />

esodo e di una cultura italiana<br />

cancellata con la chiusura della<br />

scuole, che resiste solo nei segni<br />

architettonici veneziani e nella volontà<br />

di sopravvivenza di una minoranza<br />

privata dei propri caratteri<br />

identitari.<br />

Padriciano,<br />

il dolore e l’esilio<br />

Un profondo senso di vuoto<br />

che si accompagna a “il dolore e<br />

l’esilio” – per citare il titolo di un<br />

importante libro di Guido Crainz<br />

– ben rappresentato da Padriciano,<br />

ex-centro profughi, sede del<br />

Centro di documentazione sull’esodo<br />

istriano-dalmata e ultima<br />

tappa del percorso: “Padriciano<br />

è un vuoto nel nostro viaggio.<br />

Vietato fotografare, vietata la videocamera,<br />

stretta sorveglianza<br />

dell’incaricata dell’apertura del<br />

Centro. (…) La memoria è plurale,<br />

lo sappiamo, ma qui abbiamo<br />

trovato una memoria divisa, una<br />

ricostruzione del passato confl ittuale,<br />

un confl itto sulle aspettative,<br />

sul futuro, tra chi desidera irrigidire<br />

la propria identità, nutrita<br />

dai rancori, e chi cerca un superamento<br />

del passato e il dialogo.<br />

Sono punti di vista eticamente diversi.<br />

Quest’episodio ha dato una<br />

forma imprevista alla nostra partecipazione<br />

al dramma rappresentata<br />

dalle immagini, dagli oggetti<br />

abbandonati dai profughi e ammassati<br />

com’erano al momento<br />

dell’esodo. Era l’ultima tappa del<br />

nostro viaggio, e ci ha lasciato un<br />

sentimento di tristezza come nessun<br />

altro momento”.<br />

Crediamo che il documentario<br />

e questa mostra, rigorosi e privi di<br />

pregiudiziali ideologiche, costituiscano<br />

un altro prezioso tassello per<br />

il lavoro di ricerca, conoscenza e<br />

approfondimento sui temi del confi<br />

ne orientale, portato avanti molto<br />

profi cuamente in questi anni dalla<br />

Regione Toscana, che insieme al<br />

Piemonte (tralasciando ovviamente<br />

il Friuli Venezia Giulia) è l’ente<br />

locale che più sta interessandosi a<br />

questo fi lone di studi.


8 storia e ricerca<br />

Anno VI / n. 49 del 3 aprile <strong>2010</strong><br />

“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina<br />

IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina<br />

Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat<br />

edizione: STORIA E RICERCA<br />

Redattore esecutivo: Ilaria Rocchi / Impaginazione: Denis Host-Silvani<br />

Collaboratori: Daniela Jugo Superina, Kristjan Knez, Marco Grilli<br />

Foto: Marco Grilli, Kristjan Knez, archivio e internet<br />

La pubblicazione del presente supplemento, sostenuta dall’Unione Italiana di Fiume / Capodistria e dall’Università Popolare di Trieste,<br />

viene supportata dal Governo italiano all’interno del progetto EDITPIÙ in esecuzione della Convenzione MAE-UPT N° 1868<br />

del 22 dicembre 2008, Contratto 248a del 18/10/2006 con Novazione oggettiva del 7 luglio 2009<br />

Sabato, 3 aprile <strong>2010</strong><br />

SCHEGGE Il premier voleva scrivere una biografi a dell’Eroe dei Due Mondi<br />

Garibaldi maestro di Winston Churchill<br />

Inventò la guerra moderna e ispirò i britannici nei confl itti del ’900<br />

Winston Churchill aveva<br />

progettato di scrivere<br />

una biografi a di Giuseppe<br />

Garibaldi, il che non sorprende,<br />

dato che (nel 1953) aveva vinto un<br />

Nobel per la Letteratura grazie ai<br />

suoi scritti storici che tanto dovevano<br />

all’ispirazione e all’inventiva<br />

militare dell’Eroe dei Due Mondi.<br />

Nel 1940, nei giorni bui dopo la<br />

sconfi tta britannica a Dunkerque,<br />

Churchill gli rese omaggio nel suo<br />

più ispirato discorso al parlamento<br />

e alla nazione, “rubando” le parole<br />

che Garibaldi aveva pronunciato<br />

nel 1849 davanti al Parlamento<br />

della Repubblica romana, quando<br />

ai suoi “pochi” 4.700 uomini –<br />

che avrebbero dovuto fronteggiare<br />

gli 86 mila delle forze combinate<br />

francesi, spagnole, napoletane,<br />

toscane e austriache – disse: “Non<br />

ho null’altro da offrirvi se non<br />

sangue, fatica, lacrime e sudore”.<br />

Da giovane sottotenente del<br />

4° Ussari di stanza a Bangalore,<br />

in India, Churchill ebbe modo di<br />

trovare, nonostante la pax britannica,<br />

quattro guerre da combattere<br />

tra il 1897 e il 1901. Questo gli<br />

diede un’esperienza militare che<br />

non aveva nessun altro uffi ciale<br />

in Europa. Combatté nella Cuba<br />

spagnola “dove 50 cavallerizzi<br />

vanno ovunque e due da nessuna<br />

parte”, con la Malakind Field Force<br />

del generale Blood sul fronte<br />

afghano, con il generale Kitchener<br />

in Sudan nell’ultima grande<br />

carica della cavalleria a Omdurman<br />

con il Mahdi e infi ne nella<br />

guerra boera, dove imparò come<br />

si combatte una guerriglia europea.<br />

Queste precoci esperienze fecero<br />

di Churchill un grande condottiero,<br />

come quelle di Garibaldi<br />

ne avevano fatto il comandante<br />

in capo sia della Marina sia dell’esercito,<br />

in guerra contro Brasile<br />

e Argentina per creare uno Stato<br />

indipendente uruguaiano. Così<br />

Garibaldi nel 1848 arrivò in Italia<br />

come esperto militare molto innovativo<br />

e i suoi metodi moderni<br />

avrebbero confuso il meglio che<br />

il Vecchio Continente gli avrebbe<br />

gettato addosso. In modo analogo<br />

Churchill, in qualità di First<br />

Lord dell’Ammiragliato dal 1911<br />

al 1915, rivoluzionò la Marina<br />

reale dotandola di una fl otta di<br />

400 bombardieri. Poi, come ministro<br />

delle Munizioni, sviluppò<br />

i carri armati, i cui attacchi concentrati,<br />

nel 1918, annientarono<br />

l’esercito tedesco in un modo che<br />

la Germania non avrebbe mai più<br />

dimenticato.<br />

Nel 1940 Churchill si ispirò di<br />

nuovo a Garibaldi creando il servizio<br />

segreto Soe (Special Operations<br />

Executive) per “incendiare<br />

l’Europa” con i movimenti di resistenza,<br />

le forze speciali e quelle<br />

terra-mare-cielo. Non ispirò solo<br />

i partigiani, dunque, Garibaldi.<br />

Dai tempi delle guerre napoleoniche,<br />

le operazioni militari si era-<br />

no sviluppate in tre fasi, seguendo<br />

la trinità descritta dallo stratega<br />

prussiano Karl von Clausewitz nel<br />

trattato “Della guerra”: esercito,<br />

governo, popolo.<br />

La straordinaria epopea garibaldina<br />

di poche migliaia di artigiani<br />

e studenti che, tra il maggio<br />

e l’ottobre 1860, sconfi ggono<br />

un esercito professionale di 140<br />

mila uomini e una Marina di 50<br />

navi, porta l’impronta della guerra<br />

moderna. Solo a titolo di esem-<br />

Frau Felizitas Beetz, amante segreta del genero di Mussolini<br />

È morta la spia che amò e aiutò Galeazzo Ciano<br />

Hildegard Burkhardt, l’ex spia<br />

tedesca incaricata dal regime nazista<br />

di impossessarsi dei diari del conte<br />

Galeazzo Ciano mentre si trovava<br />

in prigione, è morta lunedì scorso a<br />

Bonn all’età di 90 anni. Secondo la<br />

leggenda, da spia si trasformò nell’amante<br />

del genero di Mussolini,<br />

aiutando infi ne la fuga di Edda Ciano<br />

in Svizzera, dove riuscì a mettere<br />

in salvo i diari del marito.<br />

Passata alla storia come Frau Felizitas<br />

Beetz, fu segretaria del tenente<br />

colonnello Wilhelm Hottl, capo<br />

del servizio segreto tedesco in Italia.<br />

Controverso e misterioso personaggio,<br />

dotata di ottima cultura e<br />

di notevole padronanza della lingua<br />

italiana (si era laureata in letteratura<br />

italiana all’Università Lipsia), ricevette,<br />

all’età di 22 anni, l’incarico<br />

di tentare di farsi consegnare da Galeazzo<br />

Ciano i suoi diari, considerati<br />

compromettenti per gli alti gerarchi<br />

nazisti (in particolare da Joachim<br />

von Ribbentrop) oltre che da Adolf<br />

Hitler.<br />

Per raggiungere il suo scopo,<br />

Frau Beetz frequentò assiduamente<br />

la cella numero 27 del carcere in cui<br />

fu rinchiuso Ciano, arrestato perché<br />

tra i componenti del Gran Consiglio<br />

Giuseppe Garibaldi<br />

del Fascismo che il 25 luglio 1943<br />

determinarono la caduta del regime<br />

fascista. Invece di impegnarsi a trovare<br />

i diari di Ciano, alla fi ne Beetz<br />

cercò di salvare il conte Galeazzo,<br />

marito di Edda, fi glia di Benito Mussolini.<br />

Felicitas Beetz partecipò a tutte<br />

le udienze del processo di Vero-<br />

Galeazzo Ciano<br />

na, ritornando ogni sera al carcere<br />

degli Scalzi per rincuorare Galeazzo.<br />

Assistette Ciano fi no all’ultimo<br />

momento, fi n quando questi venne<br />

trasferito al poligono di Porta Catena<br />

per l’esecuzione. Dopo la fucilazione<br />

di Ciano (11 gennaio 1944), fu<br />

Frau Beetz a consegnare gli ultimi<br />

oggetti di Ciano alla madre, Carolina,<br />

ricoverata, perché ammalata di<br />

cuore, nella casa di salute La Quiete<br />

di Varese. In occasione di quell’incontro,<br />

Frau Beetz confi dò a Carolina<br />

Ciano: “Io ho amato Galeazzo,<br />

contessa. E lo amo ancora. È stato il<br />

grande amore della mia vita”.<br />

Sembra che Edda Mussolini<br />

avesse visto nella spia tedesca, più<br />

che una rivale, un’alleata. Questa<br />

circostanza appare confermata an-<br />

che nelle sue memorie, in quanto Felicitas,<br />

insieme al conte Emilio Pucci,<br />

aiutò Edda a fuggire con i bambini<br />

in Svizzera. La fuga in Svizzera di<br />

Edda e la sua famiglia consentirono<br />

che gli esplosivi diari di Galeazzo<br />

Ciano potessero essere salvati e consegnati<br />

alla storia.<br />

Dopo la seconda guerra monduale,<br />

Hildegard Burkhardt lasciò<br />

l’Utalia e ritornò in Germania. Dopo<br />

aver divorziato dal primo marito,<br />

Gerhard Beetz, si risposò con Carl-<br />

Heinz Purwin, dal quale ebbe un<br />

fi glio, Ulrich. In seguito intraprese<br />

una brillante carriera di giornalista<br />

con il nome di Hilde Purwin. Fu, tra<br />

l’altro, corrispondente del quotidiano<br />

“Neue Ruhr Zeitung” dal 1951<br />

fi no al 1984.<br />

Winston Churchill<br />

pio, Garibaldi utilizzò il telegrafo<br />

appena inventato non solo per inviare<br />

segnali segreti, ma anche per<br />

fare disinformazione. E utilizzò la<br />

velocità telegrafi ca dei media internazionali<br />

per criminalizzare i<br />

nemici e inventare per sé un culto<br />

della personalità e la leggenda dell’eroe<br />

invincibile. E questo è solo<br />

un assaggio della sua ingegnosità<br />

innovativa. Dopo Garibaldi, vincere<br />

le guerre non sarebbe mai più<br />

stata la stessa cosa.<br />

Frau Felizitas Beetz, al secolo<br />

Hildegard Burkhardt

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