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04.07.2013 Views

capitale specificata tramite un singolo numero, perché questo dovrà allora indicare il valore del capitale, che non può essere considerato dato indipendentemente dai prezzi relativi e dunque dal salario reale; e non possiamo assumere come date le dotazioni dei singoli beni capitali, giacché queste quantità non hanno persistenza, tendendo rapidamente a cambiare se non sono quelle più adatte alle scelte tecnologiche e alla composizione della domanda, che, di nuovo, dipendono dal salario( 11 ). Dunque non vi è modo di specificare in maniera accettabile, per quanto riguarda il capitale, le dotazioni di fattori diversi dal lavoro, da mantenere costanti al variare del salario per ricavare la quantità di lavoro che è ottimale combinare con quelle quantità degli altri fattori( 12 ). 11 . Anche variazioni non grandi delle dotazioni dei singoli beni capitali avrebbero conseguenze significative. Data la scarsissima sostituibilità tra fattori quando i beni capitali siano trattati ciascuno come un fattore distinto (i beni capitali sono in gran parte specifici a uno specifico prodotto e a uno specifico metodo produttivo, e da combinare il più delle volte in proporzioni fisse: si pensi alle parti che vanno a comporre un prodotto finito), anche piccole variazioni delle proporzioni tra beni capitali, o tra essi e il lavoro, in un equilibrio neo-Walrasiano possono facilmente comportare enormi variazioni dei prezzi relativi dei fattori, incluse grandi variazioni del salario di piena occupazione. Questa critica di insufficiente sostituibilità (Garegnani, 1990, p. 57; Petri, 1991) indica un ulteriore motivo di debolezza delle versioni neo-Walrasiane. 12 . Si potrebbe ritenere che per giustificare una curva di domanda di lavoro decrescente basti considerare dati gli impianti fissi delle imprese, come si fa normalmente nelle analisi keynesiane. Si ammetterebbe in altre parole che sarebbe assurdo considerare date - come si fa negli equilibri neo-Walrasiani - le quantità esistenti anche dei beni intermedi quando si varia l'impiego di lavoro, giacchè allora, data la scarsissima sostituibilità tra beni intermedi e lavoro - con 10 parabrezza non si possono costruire 11 automobili per quanto lavoro si impieghi - il prodotto marginale del lavoro andrebbe a zero non appena il lavoro diventasse eccessivo rispetto ai beni intermedi disponibili; ma per gli impianti fissi, si sosterrebbe, è abbastanza legittimo considerare date le quantità disponibili, almeno in analisi di breve periodo, e basta questo a rendere decrescente la curva di domanda di lavoro. Ma gli impianti fissi sono in genere costruiti in modo che, fino a un livello molto elevato di utilizzo, non si osservano rendimenti decrescenti per ulteriori dosi di fattori variabili. Per produrre di più con un dato impianto fisso basta in genere utilizzarlo per più ore al giorno o alla settimana, o utilizzarlo più intensamente. Non per nulla sulla base dell'evidenza empirica sono state elaborate le teorie del costo pieno; e vari studi empirici hanno confermato che i salari reali non sono in generale decrescenti all'aumentare dell'occupazione nel breve periodo. Pertanto la decrescenza del prodotto marginale del 6

Da cui una conclusione che può apparire sorprendente ma che è in realtà irrefutabile: la curva tradizionale di domanda di lavoro è una costruzione teorica illegittima. Ma se non la si può costruire, non è neppure possibile determinare il suo incrocio con la curva di offerta di lavoro. Il salario di equilibrio è indeterminabile. Il livello del salario andrà spiegato in qualche altro modo. E se non si può costruire la curva di domanda di lavoro, non si può neppure sostenere che essa è decrescente; cade dunque la base marginalista per la tesi che per aumentare l'occupazione è indispensabile che i salari reali diminuiscano. Fin qui ho supposto lavoro omogeneo: ma la stessa critica vale anche quando vi siano diversi tipi di lavoro. La curva di domanda di un qualsiasi tipo di lavoro richiederà pur sempre, per essere determinata, la specificazione della dotazione di capitale dell'economia, e dunque non si può tracciare. Pertanto anche i differenziali salariali andranno spiegati con una diversa teoria. 1.3. A cosa ci si può rivolgere allora per spiegare, sia il livello medio dei salari, sia i differenziali salariali? La naturale alternativa è la visione, delle forze determinanti il livello medio dei salari così come i differenziali salariali, elaborata dai primi osservatori del nascente lavoro non può essere difesa se si assumono dati gli impianti fissi e si fa variare il loro grado di utilizzo. Inoltre una giustificazione di breve periodo, basata su impianti fissi dati, della decrescenza della curva di domanda di lavoro non dice nulla sulle scelte di lungo periodo delle imprese (cioè quele associate a modifiche o rinnovi anche degli impianti fissi), che sono presenti in qualsiasi periodo per quanto breve e, se tali da causare un aumento della domanda di lavoro all'aumentare del salario, potrebbero facilmente più che compensare le scelte di breve periodo (nel senso di non associate a modifiche anche degli impianti fissi) data la minore elasticità generalmente ammessa di queste ultime rispetto alle scelte di lungo periodo. E' soltanto la credenza nel 'capitale' il fattore singolo 'incorporato' nei diversi beni capitali, di data dotazione e di 'forma' variabile, e la cui proporzione di lungo periodo K/L è negativamente elastica rispetto al tasso d'interesse e dunque positivamente elastica rispetto al salario reale, che può giustificare la tesi che anche nel breve periodo la domanda di lavoro è decrescente al crescere del salario reale: decrescente, cioè, non perché l'analisi è di breve periodo ma nonostante sia di breve periodo, e cioè decrescente nella misura in cui le scelte tecniche di lungo periodo: 1) sono sufficientemente presenti in qualsiasi breve periodo da dominare le rigidità, irregolarità e accidentalità caratteristiche appunto del breve periodo, e 2) sono tali da far impiegare più lavoro per unità di 'capitale' quando il salario reale diminuisce. Cf. Petri (1997). 7

capitale specificata tramite un singolo numero, perché questo dovrà allora in<strong>di</strong>care il<br />

valore del capitale, che non può essere considerato dato in<strong>di</strong>pendentemente dai prezzi<br />

relativi e dunque dal salario reale; e non possiamo assumere come date le dotazioni<br />

dei singoli beni capitali, giacché queste quantità non hanno persistenza, tendendo<br />

rapidamente a cambiare se non sono quelle più adatte alle scelte tecnologiche e alla<br />

composizione della domanda, che, <strong>di</strong> nuovo, <strong>di</strong>pendono dal salario( 11 ). Dunque non<br />

vi è modo <strong>di</strong> specificare in maniera accettabile, per quanto riguarda il capitale, le<br />

dotazioni <strong>di</strong> fattori <strong>di</strong>versi dal lavoro, da mantenere costanti al variare del salario per<br />

ricavare la quantità <strong>di</strong> lavoro che è ottimale combinare con quelle quantità degli altri<br />

fattori( 12 ).<br />

11 . Anche variazioni non gran<strong>di</strong> delle dotazioni dei singoli beni capitali avrebbero<br />

conseguenze significative. Data la scarsissima sostituibilità tra fattori quando i beni capitali<br />

siano trattati ciascuno come un fattore <strong>di</strong>stinto (i beni capitali sono in gran parte specifici a<br />

uno specifico prodotto e a uno specifico metodo produttivo, e da combinare il più delle<br />

volte in proporzioni fisse: si pensi alle parti che vanno a comporre un prodotto finito), anche<br />

piccole variazioni delle proporzioni tra beni capitali, o tra essi e il lavoro, in un equilibrio<br />

neo-Walrasiano possono facilmente comportare enormi variazioni dei prezzi relativi dei<br />

fattori, incluse gran<strong>di</strong> variazioni del salario <strong>di</strong> piena occupazione. Questa critica <strong>di</strong><br />

insufficiente sostituibilità (Garegnani, 1990, p. 57; <strong>Petri</strong>, 1991) in<strong>di</strong>ca un ulteriore motivo <strong>di</strong><br />

debolezza delle versioni neo-Walrasiane.<br />

12 . Si potrebbe ritenere che per giustificare una curva <strong>di</strong> domanda <strong>di</strong> lavoro<br />

decrescente basti considerare dati gli impianti fissi delle imprese, come si fa normalmente<br />

nelle analisi keynesiane. Si ammetterebbe in altre parole che sarebbe assurdo considerare<br />

date - come si fa negli equilibri neo-Walrasiani - le quantità esistenti anche dei beni<br />

interme<strong>di</strong> quando si varia l'impiego <strong>di</strong> lavoro, giacchè allora, data la scarsissima<br />

sostituibilità tra beni interme<strong>di</strong> e lavoro - con 10 parabrezza non si possono costruire 11<br />

automobili per quanto lavoro si impieghi - il prodotto marginale del lavoro andrebbe a zero<br />

non appena il lavoro <strong>di</strong>ventasse eccessivo rispetto ai beni interme<strong>di</strong> <strong>di</strong>sponibili; ma per gli<br />

impianti fissi, si sosterrebbe, è abbastanza legittimo considerare date le quantità <strong>di</strong>sponibili,<br />

almeno in analisi <strong>di</strong> breve periodo, e basta questo a rendere decrescente la curva <strong>di</strong> domanda<br />

<strong>di</strong> lavoro. Ma gli impianti fissi sono in genere costruiti in modo che, fino a un livello molto<br />

elevato <strong>di</strong> utilizzo, non si osservano ren<strong>di</strong>menti decrescenti per ulteriori dosi <strong>di</strong> fattori<br />

variabili. Per produrre <strong>di</strong> più con un dato impianto fisso basta in genere utilizzarlo per più<br />

ore al giorno o alla settimana, o utilizzarlo più intensamente. Non per nulla sulla base<br />

dell'evidenza empirica sono state elaborate le teorie del costo pieno; e vari stu<strong>di</strong> empirici<br />

hanno confermato che i salari reali non sono in generale decrescenti all'aumentare<br />

dell'occupazione nel breve periodo. Pertanto la decrescenza del prodotto marginale del<br />

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