Petri Implicazioni - Dipartimento di Economia Politica - Università ...
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4.2. Anche il giu<strong>di</strong>zio sul debito pubblico <strong>di</strong>pende grandemente dalla teoria<br />
economica che si considera più giusta.<br />
Nell'impostazione marginalista, se lo stato aumenta le sue spese, esso sta<br />
sottraendo parte della produzione ai privati - infatti la produzione complessiva è data,<br />
è quella corrispondente alla piena occupazione, e dunque se lo stato prende <strong>di</strong> più per<br />
sé, ne resta meno per gli altri. Poiché - si argomenta - se lo stato spende <strong>di</strong> più con<br />
sol<strong>di</strong> prestatigli dai privati lo fa per aumentare fondamentalmente i consumi piuttosto<br />
che gli investimenti, il risultato è che la spesa statale finanziata con debito pubblico<br />
sottrae risparmi privati dal loro impiego naturale, che è <strong>di</strong> essere prestati alle imprese<br />
e così tramutarsi in investimenti. Pertanto più deficit oggi significa meno investimenti<br />
oggi, e dunque meno crescita economica. In pratica significa che collettivamente<br />
stiamo decidendo <strong>di</strong> risparmiare <strong>di</strong> meno, ma ci ritroveremo allora più poveri <strong>di</strong><br />
capitale domani - e lo pagheremo, o lo pagheranno i nostri figli, in termini <strong>di</strong> livelli <strong>di</strong><br />
vita e <strong>di</strong> capacità <strong>di</strong> reggere la concorrenza con le altre nazioni. Meno investimenti<br />
significa anche, infatti, minor modernizzazione della struttura industriale della<br />
nazione. Solo in questo senso è corretto nell'impostazione marginalista che il debito<br />
pubblico impone un onere a carico delle generazioni future: ovviamente questo onere<br />
non è costituito dal debito pubblico in sé, giacché il debito pubblico è un debito che<br />
(tutti) gli italiani devono ad (alcuni) italiani, dunque se lo stato tassasse<br />
proporzionalmente al possesso <strong>di</strong> titoli pubblici emergerebbe chiaramente che<br />
nessuno deve niente a nessuno. L'onere complessivo, trascurando le re<strong>di</strong>stribuzioni, in<br />
tale prospettiva è dunque costituito dalla <strong>di</strong>minuzione del possibile consumo futuro<br />
rispetto a quello realizzabile con una maggiore accumulazione <strong>di</strong> capitale oggi. Ma la<br />
gente - si argomenta in questa impostazione - non lo coglie, perché le sembra <strong>di</strong><br />
rammodernamento tecnologico. Se, ogni volta che la nazione incontra problemi a far fronte<br />
alla concorrenza internazionale perché è rimasta in<strong>di</strong>etro nel rammodernamento<br />
tecnologico, la concorrenzialità viene recuperata me<strong>di</strong>ante <strong>di</strong>minuzioni salariali (me<strong>di</strong>ante<br />
svalutazione o in altro modo), gli industriali hanno pochissimo incentivo a darsi da fare per<br />
reggere alla concorrenza straniera sul piano tecnologico. Ora, anche gli industriali, come i<br />
lavoratori salariati, possono de<strong>di</strong>care più o meno impegno al loro lavoro – i managers<br />
possono lavorare 10 ore al giorno a cercare <strong>di</strong> capire come far funzionare meglio le cose, o<br />
possono prendersi lunghe vacanze pagate dall'impresa alle Mal<strong>di</strong>ve o passare il tempo a<br />
giocare a golf – e i proprietari possono essere più o meno esigenti rispetto ai managers<br />
<strong>di</strong>pendendo dalla facilità o meno a scaricare eventuali problemi <strong>di</strong> competitività sui salari.<br />
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