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Influsso dello stile italiano sulla musica europea ... - ridolfifrancesco.it

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Nel 1602 Giulio Caccini pubblica la raccolta di brani vocali”Nuove musiche” nella<br />

struttura monodica del suo rec<strong>it</strong>ativo operistico con l’accompagnamento del<br />

basso continuo, vero e proprio manifesto del movimento antipolifonico che<br />

contribuì allo sviluppo della cantata e dell’oratorio (vedi avanti).La pratica vocale<br />

gli deve molto; in lui troviamo segnata la via che dal “rec<strong>it</strong>ar cantando” <strong>dello</strong> <strong>stile</strong><br />

rappresentativo condurrà, attraverso l’arioso del madrigale monodico e poi del<br />

melodramma monteverdiano, il r<strong>it</strong>orno alla libertà melodica e ad una rinnovata<br />

valutazione della tecnica vocale; nelle sue musiche si leva un canto assai libero di<br />

passaggi e di trilli e di gruppi e insomma di virtuosismi che annunciano quelli del<br />

secolo seguente. Il Caccini può essere considerato il rinnovatore della scuola di<br />

canto, sia come teorico che come maestro di cantanti. Ecco allora la <strong>musica</strong> vocale<br />

compiacersi di gare virtuosistiche con le cadenze e i passaggi brillanti degli<br />

strumenti.<br />

Il Caccini con le figlie Francesca e Settimia fu chiamato a Parigi da Enrico IV per<br />

formare un complesso vocale da camera.<br />

Con “Rappresentazione di anima e corpo” (1600) di Emilio de’Cavalieri,<br />

melodramma sacro in forma allegorica, si attuava con aspetti diversi lo <strong>stile</strong><br />

rappresentativo, dall’espressione intensa e severa; l’orchestra doveva essere<br />

proporzionata al luogo <strong>dello</strong> spettacolo e “invisibile”; con gli strumenti<br />

dell’orchestra e con la “sinfonia”si doveva preparare e facil<strong>it</strong>are l’ascoltatore nel<br />

comunicargli lo spir<strong>it</strong>o del personaggio; con i rec<strong>it</strong>ativi brevi, i cori concisi e<br />

sempre presenti nello svolgimento dell’azione, la rappresentazione non doveva<br />

oltrepassare due ore e doveva chiudersi con un ballo, meglio se con l’aiuto del<br />

coro.<br />

Leggendosi tali requis<strong>it</strong>i, messi in pratica nella ”Rappresentazione di anima e<br />

corpo”, precetti per un vero e proprio spettacolo scenico, poetico e <strong>musica</strong>le, non<br />

possiamo fare altro che associarci a quel che disse R. Rolland: ” Gluck e Wagner, i<br />

grandi rinnovatori del melodramma, non hanno aggiunto nulla a queste regole, le<br />

quali forniscono la prova della vast<strong>it</strong>à <strong>dello</strong> spir<strong>it</strong>o (di chi le aveva concep<strong>it</strong>e) che<br />

lo rendeva superiore alle esigenze sceniche.<br />

Spetta a Claudio Monteverdi il mer<strong>it</strong>o di avere perfezionato il dramma in <strong>musica</strong><br />

con l’”Orfeo” su libretto del Rinuccini, rappresentato a Mantova nel 1607,<br />

svincolandolo dallo <strong>stile</strong> puramente rec<strong>it</strong>ativo, quasi semplice im<strong>it</strong>azione della<br />

tragedia greca, e assegnando alla <strong>musica</strong> una funzione veramente artistica, con il<br />

meraviglioso equilibrio tra le zone drammatiche e quelle di lirica espansione. Con<br />

l’opera monteverdiana comincia ad affermarsi un tipo di piccola orchestra, una<br />

formazione da camera in cui agli archi si aggiungono alcuni strumenti a fiato<br />

(oboi, fagotti, corni); essa non solo accompagna il canto ma comincia anche ad<br />

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