La programmazione in agricoltura nell'esperienza della Regione ...

amministrativa di impianto centralistico e ministeriale a fronte della quale
le istanze innovatrici portate dalle energie provenienti ad esempio
dall’ISSEM hanno finito sostanzialmente per soccombere.
Anche l’illusione dei piani zonali di sviluppo agricolo svanisce nel tempo
nonostante i numerosi studi e dibattiti degli anni sessanta e settanta.
L’esperienza marchigiana si presenta più di redazione che di attuazione (e
ancor meno di valutazione e controllo) dei piani e programmi. In parte ciò
dipende dalla scarsità di risorse, in parte dal fatto che prende campo una
critica che, improntata a sano realismo, pone in questione la stessa utilità
pratica dello sforzo di redazione dei piani e programmi fino a quel punto
prodotti. Se la programmazione, ancorché desiderabile, è di fatto
impossibile, perché non limitarsi ad una azione meno velleitaria e più
concreta, più rapportata a risultati misurabili, anche a rischio di una
evidente perdita di coerenza complessiva, di visione globale, di
orientamento al medio lungo periodo?
Le occasioni mancate dalla Regione hanno giocato in questa direzione
favorendo la penetrazione di un diffuso scetticismo, che non manca di
manifestarsi ancora oggi, come testimoniato nella generalità degli incontri
svolti con dirigenti e funzionari regionali nel corso di questa ricerca. Si
pensi alle direttive socio-strutturali CEE del 1972 e del 1975, alle quali
viene data una tarda (in parte per colpa dello Stato centrale) e parziale
attuazione, e al relativo fallimento dei piani di sviluppo aziendale e ai piani
zonali ivi previsti, per la rigidità insita nelle norme, ma anche più
semplicemente per l’ostilità verso il cambiamento opposta dalla stessa
burocrazia regionale in questo assecondata dagli stessi imprenditori
agricoli, oltre che dalle loro organizzazioni. La farraginosità delle
procedure, i moduli di domanda troppo complessi, la sostanziale presenza
di altre politiche di più agevole accesso ha condotto di fatto al rigetto di
quel primo tentativo comunitario di porre mano in modo innovativo alla
questione del sostegno al cambiamento strutturale con un’ottica non di
breve periodo, accompagnata da una visione globale dell’impresa,
anch’essa chiamata a programmare il proprio futuro.
Continuando, anche le più recenti misure di accompagnamento della
Riforma “Mac Sharry” (1992) e quelle delle Iniziative comunitarie Leader
(1991, 1994) si presentano come opportunità potenzialmente poco
sfruttate.
A tutto ciò si aggiunge l’effetto dell’assenza per tanto tempo di un reale
coordinamento regionale delle politiche agricole, che comporta
l’accavallarsi e il ripetersi di misure d’intervento, con forte dispendio di
risorse, di tempi e di energie umane. E’ stata per tanti anni una politica
agricola, quella delle Marche, della quale non si coglie la coerenza
complessiva, il disegno d’assieme. Più una politica per capitoli che per
programmi, scollegata da quella nazionale e, soprattutto, da quella
149