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Testimonianze linguistiche della Daunia preromana - Biblioteca ...

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o il significato preciso di quella parola, ma siamo ancora ben lontani dal<br />

poter affermare che l'etrusco o il messapico non dico non abbiano piú<br />

segreti per noi, ma che, almeno, ci siano sufficientemente chiari.<br />

Strano destino è, dunque, quello che è toccato agli studiosi italiani e<br />

stranieri che si sono dedicati alla decifrazione di queste due lingue almeno<br />

dall'epoca rinascimentale. Negli ultimi centocinquant'anni la scienza linguistica<br />

ha fatto passi da gigante: è riuscita a leggere l'egiziano, il persiano antico, il<br />

tocario e l'ittito. Da qualche anno siamo in grado di leggere e tradurre le<br />

tavolette micenee; l'interpretazione delle lingue minori <strong>della</strong> penisola anatolica<br />

precede a ritmo soddisfacente: solo l'etrusco e il messapico segnano il passo. Le<br />

iscrizioni sono là, conservate nei nostri musei; può leggerle anche chi riesce<br />

appena a leggere l'alfabeto greco, ma nessuno può dire onestamente d'aver<br />

capito ciò che ha letto.<br />

Perché questo ritardo?<br />

Certo, è vero: siamo riusciti a leggere i geroglifici, ma l'aiuto<br />

maggiore ci è stato dato dalla pietra di Rosetta e cioè da una lunga<br />

iscrizione redatta in tre lingue di cui una a noi ben nota, il greco, ci ha<br />

offerto la chiave per capire le altre due;<br />

oggi leggiamo le iscrizioni cuneiformi e capiamo l'ittito, ma ciò si<br />

deve al fatto che anche lí abbiamo avuto il compito facilitato da lunghi<br />

testi bilingui, in cui la lingua nota ci aiuta a leggere quella ignota;<br />

e cosí l'interpretazione dei testi tocari ci è stata facilitata dal fatto<br />

che essi contenevano testi buddistici che noi conoscevamo già nelle<br />

redazioni indiane;<br />

la lettura delle tavolette micenee, prima assolutamente disperata, si<br />

è rivelata relativamente facile, quando il Ventris ha avuto la brillante<br />

intuizione che quei segni contenevano scritture greche, in un greco<br />

sicuramente antichissimo, ma pur sempre affine a quello usato da Omero<br />

nei suoi poemi, da Aristotele e da Polibio, a quel greco ancor oggi parlato<br />

dai Greci.<br />

Niente, invece, di tutto ciò per l'etrusco: anche se recentemente<br />

sono state trovate a Pyrgi delle lamine auree bilingui, la loro<br />

interpretazione non ci ha detto molte cose nuove anche perché esse sono<br />

troppo brevi e, soprattutto, perché la redazione punica di quei testi non è<br />

perfettamente parallela e perchè, infine, le nostre conoscenze del punito<br />

non sono neppure tanto ampie...<br />

E anche il messapico è ancora muto: non abbiamo trovato neppure<br />

una misera iscrizioncella bilingue che ci offra utili spunti ermeneutici, né<br />

abbiamo riconosciuto utili punti di contatto, sufficientemente vasti, con<br />

altre lingue meglio conosciute.<br />

Possiamo, ad ogni modo, credere che il messapico, insieme con il<br />

dauno e il peucezio, rappresenti la fase piú antica (priva delle successive<br />

stratificazioni greche, latine, slave e turche) dell'albanese. Alcune<br />

particolarità <strong>linguistiche</strong> e, soprattutto, una notevole massa di nomi di<br />

persona e di nomi di luogo, testimoniati in maniera pressoché identica<br />

nella penisola balcanica e nella regione pugliese, ha suggerito agli studiosi<br />

l'esistenza di un'antica comune origine tra le genti delle opposte sponde<br />

dell'Adriatico.<br />

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