Testimonianze linguistiche della Daunia preromana - Biblioteca ...
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<strong>Testimonianze</strong> <strong>linguistiche</strong><br />
<strong>della</strong> <strong>Daunia</strong> <strong>preromana</strong><br />
Innanzi tutto, devo avvertire che il mio discorso potrà apparire<br />
poco interessante non soltanto per la mia scarsa scienza, ma anche per gli<br />
esigui materiali sui quali mi riprometto di fondare questa prima<br />
ricostruzione del più antico panorama linguistico <strong>della</strong> regione dauna.<br />
Ma io preferisco non imbarcarmi in una fantasiosa o fantascientifica<br />
trattazione che, pur se avesse il dubbio merito di apparire vasta e<br />
divertente, avrebbe certo il grave difetto d'essere insincera o, peggio,<br />
falsa.<br />
Non che manchino del tutto le iscrizioni o che siano di difficile<br />
lettura, ma, purtroppo, i documenti epigrafici dell'antica <strong>Daunia</strong>, oltre ad<br />
essere veramente pochi, o sono scarsamente eloquenti o sono molto<br />
oscuri.<br />
Potremmo, certo, interrogare gli antichi storiografi e studiare i nomi<br />
dei popoli e delle città: e, in parte, lo faremo.<br />
Potremmo chiedere soccorso agli archeologi o ai paletnologi: ma<br />
questi nostri preziosi collaboratori si occupano di monumenti, noi di<br />
parole: essi cercano di studiare la vita dei popoli antichi attraverso gli<br />
oggetti d'uso comune o gli edifici; noi linguisti siamo piú... sofisticati o<br />
piú esigenti e vorremmo sapere come parlavano quei popoli: anzi, forse,<br />
vorremmo addirittura sapere quali fossero i loro pensieri.<br />
E vorrei precisare che, nelle loro ricerche rivolte ad illustrare le<br />
vicende di genti che non sono ancora entrate nella solare vicenda <strong>della</strong><br />
storia, i linguisti operano diversamente dai paletnologi. Costoro ricercano<br />
gli elementi culturali che riguardano civiltà affini o diverse o assimilate tra<br />
loro; i linguisti studiano i rapporti tra le parlate che si continuano nel<br />
tempo o si diffondono nello spazio: i primi possono spingere le loro<br />
indagini anche a genti lontanissime che non hanno lasciato altro che<br />
strumenti muti e relitti fossili; i secondi devono limitarsi a studiare parole<br />
testimoniate direttamente da chi le pronuncia ancora o<br />
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indirettamente da testi scritti, però sempre parole che non restino mute,<br />
ma consentano un preciso contatto con le genti che le scrissero o, ancor<br />
oggi, le dicono.<br />
E dovrà, il linguista, sottrarsi alla tentazione di attribuire modi e<br />
tempi paralleli alla diffusione dei fatti di cultura e dei fatti di lingua.<br />
Dovrà, inoltre, tener ben presente che la nostra ignoranza dei piú<br />
antichi elementi di una lingua non nasconde né l'urlo ferino di popoli<br />
selvaggi, né l'attività inventrice di un demiurgo, che, per cosí dire,<br />
costituisca dal nulla, per sé e per i suoi simili, una determinata lingua.<br />
E' ben vero che nelle età antichissime, per scarsità di mezzi di<br />
comunicazione e di trasporto e per primordiali necessità di difesa, i singoli<br />
gruppi etnici restavano chiusi in un rigido isolamento conservatore, ma<br />
ben spesso l'atomismo tribale poteva essere interrotto da drastici<br />
sovvertimenti politici quando un popolo vincitore imponeva a un popolo<br />
vinto la sua egemonia militare e, di conseguenza, culturale e linguistica. E<br />
ancora: pur nella preistoria potevano esistere organismi sovranazionali<br />
capaci di propagandare e di diffondere, insieme con le proprie abitudini<br />
culturali e sacrali o con piú perfezionati corredi tecnici e strumentali,<br />
anche le parole connesse con le nuove idee e con le nuove merci.<br />
Ma i mutamenti culturali e le supremazie militari non sono<br />
condizioni indispensabili per spiegare la diffusione di novità <strong>linguistiche</strong>;<br />
né, d'altra parte, i cambiamenti linguistici postulano sempre massicce «<br />
invasioni » etniche: non sono rari i casi in cui esigue minoranze, dotate di<br />
largo prestigio culturale, siano state apportatrici e promotrici di profonde<br />
assimilazioni <strong>linguistiche</strong> negate, invece, a orde barbariche che, se<br />
riescono a imporre ai popoli vinti la loro signoria, non li possono<br />
obbligare a rinunziare alla loro piú raffinata civiltà e, soprattutto, alla loro<br />
lingua, piú illustre per lunga tradizione letteraria.<br />
E mi sia concesso di fare anche un'altra osservazione che potrà<br />
sembrare persino ovvia.<br />
Nelle nostre descrizioni degli antichi movimenti etnici, culturali e<br />
linguistici, noi usiamo metodi e documenti che, ben spesso, richiedono<br />
l'impiego di complesse tecniche scientifiche e comportano attente analisi<br />
critiche. Tra l'altro, noi siamo abituati a compiere rigorosi accertamenti<br />
delle nostre fonti d'informazione e, soprattutto, abbiamo il triste... vizio di<br />
rifiutare le notizie poco sicure anche se molto belle e di preferire, invece,<br />
le notizie piú certe anche se meno poetiche. Ed è per questo che le notizie<br />
trasmesseci dagli antichi storiografi greci, principalmente, e latini, noi<br />
abbiamo il dovere di raccoglierle, di studiarle e di rispettarle, ma abbiamo<br />
anche il compito di vagliarle e di attribuir loro quei limiti che spesso<br />
vengono denunziati dagli stessi autori. Ci piacerebbe, dunque, dar credito<br />
a tutto ciò che gli antichi narravano sulle avventure occorse nella nostra<br />
Capitanata a Diomede e ai suoi amici e nemici, ma, purtroppo, non<br />
avendo a nostra disposizione nessun documento e nessun monumento<br />
che ci aiuti ad effettuare il controllo <strong>della</strong> veridicità di quelle vicende,<br />
dovremo accontentarci di registrarle senza accettarle, ma senza neppure<br />
rifiutarle definitivamente o totalmente, con la mutria<br />
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di chi crede d'essere, lui soltanto, il depositario <strong>della</strong> verità, e di tutta la<br />
verità.<br />
* * *<br />
Cominciamo, intanto a precisare l'area in cui si svolge la nostra<br />
ricerca: ricerchiamo quale fosse il territorio abitato dai Dauni e quali<br />
fossero le loro città. Poi cercheremo di vedere chi fossero i Dauni e con<br />
quali altri popoli avessero in comune l'origine <strong>della</strong> stirpe e,<br />
probabilmente, <strong>della</strong> lingua.<br />
La <strong>Daunia</strong>, nella divisione amministrativa augustea, sembra aver già<br />
perduto ogni individualità etnica, economica e amministrativa: era, infatti,<br />
compresa nella regio II di cui facevano parte l'Apulia (e cioè la Terra di<br />
Bari, sino a Venosa a ovest, Ginosa a sud e Diria-Monopoli a est) e la<br />
Calabria (e cioè l'odierno Salento).<br />
Ma l'area compresa tra il Fortore a nord e l'Ofanto a sud, tra<br />
l'Appennino a ovest e il mare a est, costituiva, secondo antichissime<br />
testimonianze, la terra dei Dauni, affini (come vedremo) agli Apuli e ai<br />
Messapi,, ma distinti per certe loro caratteristiche etniche, storiche e<br />
<strong>linguistiche</strong> che in parte conosciamo, in parte intravediamo e in parte<br />
immaginiamo.<br />
Ma già nel fissare i limiti del territorio dauno ci imbattiamo in un<br />
problema: Venosa e, specialmente, Canosa facevano parte <strong>della</strong> <strong>Daunia</strong> o<br />
dell'Apulia propriamente detta? Probabilmente è un problema insolubile,<br />
non soltanto pel silenzio o l'ambiguità delle fonti d'informazione, ma<br />
anche e soprattutto per lo scarso rilievo che poteva avere, in quei tempi e<br />
in quella zona, una rigida divisione che non interrompeva, né<br />
politicamente né amministrativamente, un territorio fondamentalmente<br />
unitario.<br />
Certo, ci resterebbe il criterio linguistico, ma, purtroppo, quelle<br />
poche notizie che riusciamo a mettere insieme non bastano a dirci se i<br />
Canusini parlassero una lingua uguale in tutto o solo in parte affine a<br />
quella degli Argiripini.<br />
Fermiamoci, dunque, nella <strong>Daunia</strong>: nel paese dei Dauni.<br />
Chi erano costoro?<br />
Antonino Liberale, seguendo una tradizione raccolta da Nicandro<br />
(ma, bene o male, nota anche a Festo, a Varrone e ad altri autori antichi),<br />
ci racconta che i tre figli di Licaone, Iapige, Dauno e Peucezio, partirono<br />
dall'Illiria con le loro genti; giunsero in Italia, cacciarono gli Ausoni dalle<br />
Puglie e vi si installarono. I nuovi arrivati avevano in comune la lingua; ce<br />
lo disse già Strabone (6.3,11) che però prima (6.3,1) si era espresso in<br />
maniera un po' confusa: « La Iapigia i Greci la chiamano anche Messapia,<br />
ma gli abitanti dividono se stessi in parte in Salentini e, verso il Capo<br />
Iapigio, in Calabri. A nord ci sono i Peuceti e i Dauni: tale è il loro nome<br />
in greco, ma gli abitanti chiamano la loro terra Apulia; altri si chiamano<br />
Pedicli e soprattutto Peuceti ».<br />
C'è poco da dire: il povero Strabone, imbrogliato da tanti nomi,<br />
tutti piú o meno superati già ai suoi tempi, sa distinguere soltanto i<br />
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piú antica) si ha (specialmente nell'adattamento greco e latino) il genere<br />
neutro: cosí abbiamo<br />
Càrbina accanto a *Carbínium, presupposto dall'odierno Carovigno;<br />
Barra e Barium;<br />
Lypia e Lipium;<br />
Celia e Caelium;<br />
Orra e Urium (v. oltre);<br />
Brenda e Brundusium;<br />
*Valetha e Vale(n) tium;<br />
e, infine, le odierne Canosa e Venosa accanto a Canusium e Venusium.<br />
Pertanto, un'alternanza tra il femminile Argu(ri)pia e il neutro (oltre<br />
tutto imposto dal genere <strong>della</strong> voce greca) Argos Hippion non ci turba.<br />
Ciò che, invece, ci piacerebbe sapere è se il suffisso -ippa (< *-ipia)<br />
sia stato aggiunto a una base *argur- o una base *arg-.<br />
A questo punto preferisco non lasciarmi sedurre da ricerche<br />
etimologiche che sarebbero tanto facili quanto inutili. Per pura curiosità,<br />
potremmo dire che il tema *argur- è quello che indica l'argento, ma, a sua<br />
volta, non è altro che un ampliamento del tema *arg- che anche esso<br />
significa, piú o meno, bianco, splendente e sim.<br />
Piú interessanti possono essere gli accostamenti con altri nomi di<br />
città che abbiano la stessa origine.<br />
Se preferiamo il tema *argur- potremo pensare agli Argurini<br />
dell'Epiro (che, si noti, sono ricordati da Licofrone e da Timeo, e cioè da<br />
due dei sistematori <strong>della</strong> saga dauna di Diomede!); ma ricorderemo anche<br />
in Dalmazia, tra i Liburni, la città di Argirunto.<br />
A favore del semplice *Arg- possiamo addurre la città degli Argesti,<br />
in Dacia Argedavo e in Tracia Argilo. Se proprio fossimo costretti a fare<br />
una scelta, oseremmo dare una certa preferenza al tema piú semplice, ad<br />
*Arg-, anche perché, com'è ben noto, le forme piú facili sono spesso una<br />
deformazione o una banalizzazione delle forme piú difficili: possiamo,<br />
insomma, pensare che il nome <strong>della</strong> nostra città sia stato reso dagli<br />
scrittori greci etimologicamente piú facile con l'aggiunta di un po'<br />
d'argento...<br />
Pertanto la nostra preferenza non va ad Argyrippa, ma, attraverso<br />
Arpi (o Arpa), che è la forma meglio documentata, a un *Argipia (o<br />
*Argipion) che ci sembra la forma piú antica e, forse, piú genuina.<br />
* * *<br />
Ho già detto due parole a proposito di Salapia. Il già ricordato<br />
nome di Vibinum non andò a finire, come Vibo, con i cavalli, ma con i<br />
buoi e divenne Bovino...<br />
C'è chi vede nel nome del lago di Varano la radice indeuropea *var-<br />
«acqua » (Krahe, Die Sprache._ 1, 93), ma altri autori (Alessio) giurano che<br />
esso deriva invece dal nome proprio latino Varius.<br />
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E ben poco avrei da dire di Siponto (che ci ricorda la seconda parte<br />
del nome di Metaponto, ma l'accostamento potrebbe essere quanto mai<br />
fallace). Ricorderò Herdonia il cui nome, testimoniato anche come Ordaneae<br />
ed Ardaneae, sembra simile a quello di una non meglio identificata (e forse<br />
mai esistita...) città messapica Ardanna.<br />
Con maggior precisione, un migliore accostamento dei Dauni con le<br />
genti dell'altra estremità <strong>della</strong> regione pugliese, con i Salentini, e con gli<br />
abitanti dell'opposta penisola balcanica, ci verrà offerto e confermato dal<br />
nome di Uria garganica (quella povera città che, senza nessuna sua colpa,<br />
dopo due millenni di silenzio, ha subíto l'oltraggio di quello scrittorúcolo<br />
francese inventore <strong>della</strong> legge o, come diceva lui, de La loi...) .<br />
Di Uria gli antichi conoscevano anche un'altra forma del nome,<br />
Hyrion - Hirium: essa è, dunque, perfettamente omonima <strong>della</strong> città<br />
salentina che ancor oggi si chiama Oria.<br />
Secondo me, il nome dell'Uria garganica e dell'Uria salentina<br />
corrisponde perfettamente a quello <strong>della</strong> città frigia Bria e <strong>della</strong> città tracia<br />
Brea (e lo stesso elemento onomastico ritorna anche in altri nomi di città):<br />
la base comune è un tema indeuropeo che significa proprio «città».<br />
Ecco, dunque, stabilito, meglio: confermato l'intimo nesso tra gli<br />
antichi popoli <strong>della</strong> nostra regione, tra i Dauni e i Messapi. Ma tale nesso<br />
non riguarda soltanto una generica origine storica, ma si concretava in<br />
un'intima e antichissima comunanza linguistica.<br />
Solo che dei Messapi noi abbiamo un numero veramente imponente<br />
di iscrizioni che ci danno discrete, anche se non complete notizie sulla<br />
lingua degli antichi abitanti del Salento, mentre, invece, le testimonianze<br />
epigrafiche <strong>della</strong> lingua dei Dauni sono estremamente scarse e<br />
assolutamente insufficienti a darci un quadro diretto <strong>della</strong> lingua che si<br />
parlava in Capitanata prima <strong>della</strong> colonizzazione latina.<br />
Ma non è questo l'unico episodio <strong>della</strong>... loquacità delle genti<br />
salentine: recentemente il Susini, raccogliendo le iscrizioni latine del<br />
Salento, ha ricordato che in quella zona si ha un numero altissimo (tra i<br />
piú alti di tutto il mondo romano) di epigrafi. Egli giustifica questa<br />
abbondanza con la presenza del Salento di una pietra tanto tenera da<br />
consentire il lusso di un'epigrafe ben economica anche a quegli strati<br />
sociali che, altrove, per ristrettezze finanziare, non potevano concedersi il<br />
piacere di apporre sulla tomba dei defunti un'iscrizione con il nome ed<br />
altre occasionali notizie riguardanti la persona sepolta.<br />
Il problema dei Messapi costituisce un capitolo, anzi: per noi il<br />
capitolo piú interessante di quel libro indecifrato che è la storia dei popoli<br />
di cui ignoriamo tuttora la lingua. E' un capitolo che presenta notevoli<br />
affinità con un altro brano di quel libro: il capitolo degli Etruschi.<br />
Tutto quello che noi sappiamo dei Messapi e degli Etruschi ci è<br />
stato raccontato in greco o in latino: mai in messapico o in etrusco.<br />
Eppure possediamo un gran numero di iscrizioni sicuramente autentiche,<br />
sicuramente scritte nella lingua di questi due popoli; siamo riusciti persino<br />
a precisare che questa epigrafe è piú antica di quella di cento, duecento,<br />
trecento anni; siamo anche giunti a capire il senso generico di quel testo<br />
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o il significato preciso di quella parola, ma siamo ancora ben lontani dal<br />
poter affermare che l'etrusco o il messapico non dico non abbiano piú<br />
segreti per noi, ma che, almeno, ci siano sufficientemente chiari.<br />
Strano destino è, dunque, quello che è toccato agli studiosi italiani e<br />
stranieri che si sono dedicati alla decifrazione di queste due lingue almeno<br />
dall'epoca rinascimentale. Negli ultimi centocinquant'anni la scienza linguistica<br />
ha fatto passi da gigante: è riuscita a leggere l'egiziano, il persiano antico, il<br />
tocario e l'ittito. Da qualche anno siamo in grado di leggere e tradurre le<br />
tavolette micenee; l'interpretazione delle lingue minori <strong>della</strong> penisola anatolica<br />
precede a ritmo soddisfacente: solo l'etrusco e il messapico segnano il passo. Le<br />
iscrizioni sono là, conservate nei nostri musei; può leggerle anche chi riesce<br />
appena a leggere l'alfabeto greco, ma nessuno può dire onestamente d'aver<br />
capito ciò che ha letto.<br />
Perché questo ritardo?<br />
Certo, è vero: siamo riusciti a leggere i geroglifici, ma l'aiuto<br />
maggiore ci è stato dato dalla pietra di Rosetta e cioè da una lunga<br />
iscrizione redatta in tre lingue di cui una a noi ben nota, il greco, ci ha<br />
offerto la chiave per capire le altre due;<br />
oggi leggiamo le iscrizioni cuneiformi e capiamo l'ittito, ma ciò si<br />
deve al fatto che anche lí abbiamo avuto il compito facilitato da lunghi<br />
testi bilingui, in cui la lingua nota ci aiuta a leggere quella ignota;<br />
e cosí l'interpretazione dei testi tocari ci è stata facilitata dal fatto<br />
che essi contenevano testi buddistici che noi conoscevamo già nelle<br />
redazioni indiane;<br />
la lettura delle tavolette micenee, prima assolutamente disperata, si<br />
è rivelata relativamente facile, quando il Ventris ha avuto la brillante<br />
intuizione che quei segni contenevano scritture greche, in un greco<br />
sicuramente antichissimo, ma pur sempre affine a quello usato da Omero<br />
nei suoi poemi, da Aristotele e da Polibio, a quel greco ancor oggi parlato<br />
dai Greci.<br />
Niente, invece, di tutto ciò per l'etrusco: anche se recentemente<br />
sono state trovate a Pyrgi delle lamine auree bilingui, la loro<br />
interpretazione non ci ha detto molte cose nuove anche perché esse sono<br />
troppo brevi e, soprattutto, perché la redazione punica di quei testi non è<br />
perfettamente parallela e perchè, infine, le nostre conoscenze del punito<br />
non sono neppure tanto ampie...<br />
E anche il messapico è ancora muto: non abbiamo trovato neppure<br />
una misera iscrizioncella bilingue che ci offra utili spunti ermeneutici, né<br />
abbiamo riconosciuto utili punti di contatto, sufficientemente vasti, con<br />
altre lingue meglio conosciute.<br />
Possiamo, ad ogni modo, credere che il messapico, insieme con il<br />
dauno e il peucezio, rappresenti la fase piú antica (priva delle successive<br />
stratificazioni greche, latine, slave e turche) dell'albanese. Alcune<br />
particolarità <strong>linguistiche</strong> e, soprattutto, una notevole massa di nomi di<br />
persona e di nomi di luogo, testimoniati in maniera pressoché identica<br />
nella penisola balcanica e nella regione pugliese, ha suggerito agli studiosi<br />
l'esistenza di un'antica comune origine tra le genti delle opposte sponde<br />
dell'Adriatico.<br />
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Ma, purtroppo, la lingua albanese ha subíto gravi modifiche nel<br />
corso dei millenni; <strong>della</strong> forma che essa, insieme con altre lingue piú o<br />
meno affini, quali il trace, il daco e il mesio, aveva prima delle<br />
colonizzazioni greca e latina sappiamo tanto poco che possiamo dire di<br />
non sapere nulla.<br />
Restiamo, dunque, senza alcun valido sussidio per la decifrazione<br />
del dauno, del peucezio e del messapico; l'interpretazione linguistica è<br />
condannata a progredire molto lentamente e, se non vado errato, non sarà<br />
mai compiuta e perfetta...<br />
E, peggio ancora, se le iscrizioni messapiche sono abbondanti,<br />
quelle <strong>della</strong> Peucezia e <strong>della</strong> <strong>Daunia</strong> sono piuttosto scarse. Né io posso,<br />
per impinguare il numero delle epigrafi daune, prendere in prestito quelle<br />
trovate oltre l'Ofanto, a Canosa o a Ruvo di Puglia, anche se appare lecito<br />
credere che tra la zona peuceta e la zona dauna ci fossero larghe affinità<br />
<strong>linguistiche</strong>.<br />
* * *<br />
Le iscrizioni daune che sono giunte sino a noi sono di due tipi: o<br />
sono su pietra o su monete; quelle provengono tutte da Vieste (tranne una<br />
trovata a Lucera), queste sono di Arpi e di Salpi.<br />
Dall'elenco che do, ometto le iscrizioni viestine che siano troppo<br />
frammentarie. Abbiamo, dunque:<br />
Salpi<br />
1. agol / zon ve/nana<br />
2. diva / dama/tira<br />
3. deiva / dama/tira pre / ve zi ve/na<br />
4. diva / damati/ra / zo-pa kale (de Simone legge opakalgo)<br />
5. dama(tira?) / klator<br />
6. blasit agol zei<br />
L'iscrizione lucerina dice<br />
?imeireiv / deinam<br />
Sulle monete di Arpi (III sec.?) si legge<br />
1. poulai; 3. poula - 2. poullou, pullu; - 4. eienam - 5. dazou e su quelle di<br />
1. daze... edamaire<br />
2. damaire / dazeni<br />
3. dazu/s dam<br />
4. domular...<br />
5. zente<br />
Mi sia concesso di omettere ogni considerazione sull'iscrizione<br />
lucerina e sulle leggende delle monete, non perché esse non siano<br />
interessanti, ma soltanto perché il mio commento sarebbe molto semplice:<br />
non riusciamo a trarne nessuna utile indicazione linguistica (nelle monete<br />
potremmo individuare alcuni nomi propri, certo di magistrati monetari,<br />
Pullos e Dazos, ambedue ben noti anche nell'onomastica messapica;<br />
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potremmo anche dire che edamaire è una forma d'aoristo da cui dipende<br />
dazeni, sia esso un dativo o, piuttosto un accusativo, con lo stesso<br />
elemento -en- che vedremo, tra poco, in un altro accusativo).<br />
Limitiamoci, dunque, a esaminare piú attentamente le iscrizioni<br />
viestine.<br />
Esse possono essere divise in due gruppi: uno, composto dalle<br />
prime tre, era inciso su piccole stele di pietra locale; l'altro si legge su<br />
iscrizioni redatte su materiale vario per forma e per stile epigrafico.<br />
Quest'ultimo gruppo di iscrizioni, insieme con altri pezzi epigrafici, fu<br />
murato sulla facciata di una sua casetta rustica, costruita a poca distanza<br />
dall'abitato di Vieste, da Biagio Abatantuono. Di tutte, però, si ignora il<br />
luogo, la data e le circostanze di ritrovamento.<br />
Le prime tre epigrafi rischiavano invece di restare sconosciute o,<br />
peggio, di essere in perpetuo condannate al grave sospetto di non essere<br />
autentiche, emesso contro di loro dal Whatmough. Ma, in fondo, lo<br />
studioso americano non aveva tutti i torti: né egli né il Ribezzo erano mai<br />
riusciti a vederle, ma ciò sol perché non si erano mai recati a Vieste per<br />
cercarle.<br />
Io, invece, riuscii a ripescarne una (la prima) rovistando sotto il<br />
letto <strong>della</strong> casa di campagna del fu Abatantonio: e lí la trovai rotta in due<br />
pezzi, ma non la lasciai dove l'avevo trovata: la portai via, senza neppure<br />
chiedere il permesso all'attuale proprietario <strong>della</strong> casa. Depositai l'epigrafe<br />
nel Municipio di Vieste e lí è ancora e mi auguro che sia onorata a dovere<br />
ché essa è, praticamente, il piú illustre documento linguistico dell'antica<br />
<strong>Daunia</strong>. Ma, in quell'occasione, fui accolto con grande cortesia dalle<br />
autorità viestine che mi permisero di consultare finche tra certe carte<br />
depositate in Municipio ed ebbi cosí la possibilità di ritrovare le lastre<br />
fotografiche delle prime due iscrizioni che sembrano essere state distrutte.<br />
Cerchiamo ora di affrontare i testi dauni per cavarne quelle poche<br />
notizie che riusciremo a capire.<br />
Lascio da parte ogni interpretazione piú o meno poetica, qual'è<br />
quella, ad esempio, per cui le prime quattro iscrizioni costituirebbero un<br />
unico testo, scritto in una specie di greco dorico. È, invece, assolutamente<br />
certo che la III e la IV iscrizione sono dei testi indipendenti tra loro,<br />
come del resto, dalle stesse III e IV iscrizioni sono indipendenti le prime<br />
due.<br />
Si tratta, per quel che ci è dato di capire, di dediche o di invocazioni<br />
sacre a tre divinità: a Zeus, a Demetra e a Venere.<br />
Il culto di Zeus e quello di Demetra sono largamente documentati<br />
presso le nostre genti iapigie. E’ col nome di Zeus che cominciano i testi<br />
piú importanti che si conservino nella Messapia: essi si aprono con<br />
l'invocazione klaohi zis che può tradursi quasi sicuramente « Ascolta, o<br />
Zeus! » o, forse meglio, « Zeus ascolti! ».<br />
Del culto a Demetra abbiamo sicure testimonianze in tutta l'area<br />
pugliese, dalla <strong>Daunia</strong> alla Peucezia, alla Messapia. Qui, soprattutto,<br />
abbiamo trovato numerose iscrizioni in cui si parla di sacerdotesse (e di<br />
sacerdoti) di Demetra: spesso le tombe in cui furono deposte le persone<br />
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Insomma, i legami delle genti daune con i vicini Peuceti e Messapi e<br />
con i dirimpettai d'oltre Adriatico si vanno facendo sempre piú chiari, piú<br />
abbondanti e piú precisi.<br />
E certo piú intimi ci si mostrerebbero tali legami se, in genere, le<br />
notizie sin qui scarse e frammentarie sugli antichi Dauni e i documenti<br />
epigrafici a nostra disposizione fossero piú ampi.<br />
NOTA BIBLIOGRAFICA<br />
O. PARLANGÈLI<br />
I testi dauni sono stati pubblicati negli Studi messapici di O. PARLANGÈLI,<br />
Milano 1960 (con tutte le indicazioni <strong>della</strong> bibliografia precedente) e da C. DE<br />
SIMONE (nel secondo volume di Die Sprache der Illyrier di H. KRAHE, nn. 144, 155,<br />
102, 141, 220, 252, 77, 106 e 286).<br />
Il saggio d'interpretazione piú importante resta pur sempre quello di V.<br />
PISANI (vedi ora nelle Lingue dell'Italia antica oltre il latino, II ed., Torino 1964, p. 235,<br />
n. 70).<br />
Di altre interpretazioni, piú o meno parziali o fantastiche, non mette conto di<br />
parlare.<br />
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