Cum mystica obscuritate - FedOA - Università degli Studi di Napoli ...

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che rende possibile la salvezza del genere umano, generosità dapprima manifestata solo attraverso segni e prefigurazioni, e ora infine palesatasi. E tale palesarsi rende inoltre possibile una conoscenza rinnovata del divino, grazie al dono conferito all‟uomo di uno spiraculum dello Spirito attraverso il sacramento battesimale. Dunque Giovanni è qui rappresentato come colui che, divinamente ispirato, compie la scelta della virginitas e del distacco dal mondo terreno, rivolgendosi totalmente a Dio; ma è inoltre un profeta, che rivolge lo sguardo nel purissimus fons, cioè all‟interno di sé, nell‟anima che è rivolo del fons sapientiae in lui immesso con lo Spirito. Difatti, l‟apostolo non solo realizza in sé il principio di castità fondato dal Figlio incarnato, il quale opera la Redenzione voluta della munificenza divina ed è dunque in tal senso “fonte” di salvezza; Hildegard sembra inoltre qui adombrare che Giovanni, giungendo in tal modo ad un pieno contatto con il divino, riceve il dono profetico attraverso lo Spirito, grazie al quale può leggere nello “specchio” della propria anima, che di quello Spirito è emanazione, i segni del volere divino. Dunque qui il fons purissimus evoca la Redenzione, in senso allegorico, ma sul piano microcosmico e tropologico si riferisce alla piena realizzazione, nel cuore dell‟apostolo, del dono dello Spirito, che gli permette di scrutare i mystica divini; i quali tipologicamente, a loro volta, si riferiscono al futuro compimento ultimo della salvezza con la seconda venuta del Cristo. E poiché la creazione tutta è prevista e compiuta attraverso la caritas affinché si compia l‟Incarnazione del Cristo e sia fondata dapprima la Chiesa sulla terra, e poi la Gerusalemme celeste nei cieli – secondo il concetto, di matrice dottrinale orientale, dell‟assoluta predestinazione dell‟Incarnazione, che Hildegard condivideva, tra gli altri, con Giovanni Scoto Eriugena e Ruperto di Deutz 97 – potrebbe rimanere ferma anche in questo contesto l‟allusione, attraverso l‟immagine della castissima forma columbae, alla sponsa Agni, cioè alla Chiesa e alla Gerusalemme celeste 98 , la cui 97 Cfr. NEWMAN 1987, 55-64. Il medesimo concetto è espresso, secondo LIEBESCHÜTZ 1964, 110, da HUGO DE S. VICTORE, Eruditio didascalica, VII, 1, PLD 176, 811c: «Verbum bonum et vita sapiens, quae mundum fecit, contemplato mundo conspicitur. Et verbum ipsum videri non potuit; et fecit quod videri potuit, et visum est per id quod fecit». 98 Cfr. comm.: columbe. 201

fondazione è in effetti il fine ultimo della creazione vista in speculo da Giovanni quale profeta dell‟Apocalypsis. vv. 5-7: o mira floriditas-te L‟immagine di cui si sostanzia la seconda pericope del carme descrive Giovanni come il fiorire del germen divino nell‟uomo, cioè come la piena realizzazione del principio divino di vita e virtù che, già instillato nell‟anima umana con la creazione, viene ricreato e rinfrancato nell‟uomo con la Redenzione operata dal Cristo; ciò perché la castità e la continenza dell‟apostolo è conforme al fulgido esempio in tal senso offerto dal Redentore, che ricrea tale principio divino nell‟uomo incarnandosi, cioè assumendone la natura e purificandola dal peccato; Incarnazione che è d‟altronde inoltre rappresentata come “fiorire”. Dunque Giovanni è, di nuovo, “immagine, modello”, speculum dell‟uomo perfettamente purificato grazie al fiorire del flos/Christus dalla virga/virgo, e “fiorire” delle virtù dal principio divino innestato nella natura umana e ricreato attraverso l‟opera redentiva. floriditas – Il termine floriditas è assai raramente attestato prima di Hildegard: laddove in epoca classica non sembra affatto riscontrarsene l‟utilizzo, nei secoli successivi appare sporadicamente in alcuni scritti in prosa inteso come “fiorire”, “fioritura”, in senso sia proprio che traslato 99 ; in poesia pure ricorre rarissimamente 100 . 99 Cfr. ad es. BRUNO CARTHUSIANORUM, Expositio in Psalmos, In Ps. 102, PLD 152, 1173b: «Et ita est sicut fenum quod dies ejus, sic efflorebit, id est deflorebit, scilicet ex floriditate ad marciditatem cito perveniet, sicut flos agri, qui cito marcescit […]»; cfr. inoltre BERENGOSUS TREVIRENSIS, Sermones, 5, PLD 160, 1033c, abate di Trier nella prima metà del XII sec. (per un profilo biografico e alcuni cenni bibliografici preliminari, cfr. LexMA I, 1940), autore dunque assai vicino, geograficamente e cronologicamente, a Hildegard; qui la Chiesa viene infatti descritta come ornata dalla “fioritura della forza verdeggiante degli apostoli” (floriditate apostolicae viriditatis … ornata), sia impiegando il termine floriditas, sia evocando un concetto molto caro ad Hildegard, cioè quello della viriditas, della “forza verdeggiante”, del principio vitale che determina la fioritura: «Primo quidem, quia ecclesia nostra floriditate apostolicae viriditatis seu smaragdinis redimita, lucescit gemmis». Allo stato, non è possibile stabilire quali siano gli effettivi rapporti tra i sermones di Berengoz von Trier e l‟opera di Hildegard: essendo tuttavia il primo contemporaneo ma leggermente anteriore della seconda (Berengoz muore tra il 1125 e il 1126), è ipotizzabile che la mistica possa aver conosciuto la sua opera, ed esserne stata addirittura influenzata anche dal punto di vista lessicale. Mancando tuttavia finora un‟edizione critica e un conseguente studio 202

che rende possibile la salvezza del genere umano, generosità dapprima<br />

manifestata solo attraverso segni e prefigurazioni, e ora infine palesatasi. E tale<br />

palesarsi rende inoltre possibile una conoscenza rinnovata del <strong>di</strong>vino, grazie al<br />

dono conferito all‟uomo <strong>di</strong> uno spiraculum dello Spirito attraverso il sacramento<br />

battesimale.<br />

Dunque Giovanni è qui rappresentato come colui che, <strong>di</strong>vinamente<br />

ispirato, compie la scelta della virginitas e del <strong>di</strong>stacco dal mondo terreno,<br />

rivolgendosi totalmente a Dio; ma è inoltre un profeta, che rivolge lo sguardo nel<br />

purissimus fons, cioè all‟interno <strong>di</strong> sé, nell‟anima che è rivolo del fons sapientiae<br />

in lui immesso con lo Spirito. Difatti, l‟apostolo non solo realizza in sé il principio<br />

<strong>di</strong> castità fondato dal Figlio incarnato, il quale opera la Redenzione voluta della<br />

munificenza <strong>di</strong>vina ed è dunque in tal senso “fonte” <strong>di</strong> salvezza; Hildegard sembra<br />

inoltre qui adombrare che Giovanni, giungendo in tal modo ad un pieno contatto<br />

con il <strong>di</strong>vino, riceve il dono profetico attraverso lo Spirito, grazie al quale può<br />

leggere nello “specchio” della propria anima, che <strong>di</strong> quello Spirito è emanazione, i<br />

segni del volere <strong>di</strong>vino.<br />

Dunque qui il fons purissimus evoca la Redenzione, in senso allegorico,<br />

ma sul piano microcosmico e tropologico si riferisce alla piena realizzazione, nel<br />

cuore dell‟apostolo, del dono dello Spirito, che gli permette <strong>di</strong> scrutare i <strong>mystica</strong><br />

<strong>di</strong>vini; i quali tipologicamente, a loro volta, si riferiscono al futuro compimento<br />

ultimo della salvezza con la seconda venuta del Cristo. E poiché la creazione tutta<br />

è prevista e compiuta attraverso la caritas affinché si compia l‟Incarnazione del<br />

Cristo e sia fondata dapprima la Chiesa sulla terra, e poi la Gerusalemme celeste<br />

nei cieli – secondo il concetto, <strong>di</strong> matrice dottrinale orientale, dell‟assoluta<br />

predestinazione dell‟Incarnazione, che Hildegard con<strong>di</strong>videva, tra gli altri, con<br />

Giovanni Scoto Eriugena e Ruperto <strong>di</strong> Deutz 97 – potrebbe rimanere ferma anche<br />

in questo contesto l‟allusione, attraverso l‟immagine della castissima forma<br />

columbae, alla sponsa Agni, cioè alla Chiesa e alla Gerusalemme celeste 98 , la cui<br />

97 Cfr. NEWMAN 1987, 55-64. Il medesimo concetto è espresso, secondo LIEBESCHÜTZ 1964, 110,<br />

da HUGO DE S. VICTORE, Eru<strong>di</strong>tio <strong>di</strong>dascalica, VII, 1, PLD 176, 811c: «Verbum bonum et vita<br />

sapiens, quae mundum fecit, contemplato mundo conspicitur. Et verbum ipsum videri non potuit;<br />

et fecit quod videri potuit, et visum est per id quod fecit».<br />

98 Cfr. comm.: columbe.<br />

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