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adriana moroni et al., l’alto e medio bacino del tevere<br />
territorio di gubbio. 43 la materia prima utilizzata è costituita in netta prevalenza da ciottoli e<br />
piccoli blocchi di selce con tracce di rotolamento raccolti nel letto dei corsi d'acqua; il formato<br />
spesso ridotto dei supporti di partenza si riflette nelle piccole dimensioni dei prodotti della scheggiatura<br />
e la tendenza al risparmio di materia prima è confermata anche dall'elevata presenza di<br />
strumenti a ritocco scalariforme, i cui margini sembrano essere stati più volte ravvivati. Come<br />
nella valtiberina toscana e a gubbio le amigdale sono di norma presenti con percentuali mediamente<br />
molto basse (fig.15).<br />
i caratteri comuni alle industrie dell’alto e medio bacino del tevere sono riassumibili<br />
nei seguenti punti:<br />
- attuazione dell’intera catena operativa per la fabbricazione degli strumenti in loco, ma affiancata<br />
dalla presenza di alcuni elementi per i quali la manifattura in loco non è provata;<br />
- sviluppo del metodo Levallois sia ricorrente che lineale; presenza costante anche se meno frequente<br />
del metodo discoide e uso sporadico del metodo Levallois da punte;<br />
- presenza di esemplari di tipo Quina; 44<br />
- condivisione, fra i ritoccati, di una serie di tipi morfologicamente standardizzati;<br />
- bassissima incidenza di bifacciali in genere poco rifiniti e di bassa qualità tecnica, tra cui<br />
alcuni di piccole dimensioni; questi strumenti spesso non figurano nei complessi poco numerosi,<br />
mentre sono di regola presenti almeno con un esemplare in quegli insiemi che superano il centinaio<br />
di pezzi.<br />
differenze sono invece ravvisabili, oltre che nella maggiore (Umbria) o minore (valtiberina<br />
toscana) incidenza di manufatti Quina, nel fattore dimensionale (le industrie alto tiberine<br />
sono in media più grandi) e nel grado di sfruttamento dei nuclei e di trasformazione dei supporti<br />
(maggiore nel territorio umbro, specialmente nel perugino).<br />
il ricorrere un po’ in tutti i complessi umbri delle due componenti, Levallois e Quina,<br />
talora in percentuali pressoché paritetiche, pone il problema del significato da attribuire a questa<br />
compresenza: siamo di fronte a gruppi differenti, eventualmente anche in senso cronologico,<br />
che hanno frequentato puntualmente gli stessi siti lasciando ciascuno sul terreno la testimonianza<br />
tangibile della propria specifica identità; oppure il dato archeologico rispecchia la presenza di<br />
un unico ampio e diversificato patrimonio tecnologico dal quale si attingeva a seconda delle esigenze,<br />
della funzione e, perché no, delle capacità individuali?<br />
15. areale di PerUgia. indUstria litiCa<br />
43) moroni lanFredini 1995-96; moroni lanFredini 1999; moroni lanFredini 2009.<br />
44) non è ancora chiaro se alla presenza di queste tipologie corrisponda effettivamente l’uso di sistemi tecnici Quina; si tratta<br />
di uno degli aspetti che andranno chiariti con il prosieguo dello studio delle industrie, ad oggi ancora in fase molto preliminare.<br />
www.archeologia.beniculturali.it<br />
Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n.30 ISSN 2039 - 0076<br />
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