PAOLO PROCACCIOLI - Sapienza
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<strong>PAOLO</strong> <strong>PROCACCIOLI</strong><br />
… fecerunt Barberini. Attenuanti generiche e<br />
specifiche per Ortensio Lando plagiario di<br />
Jean Tixier de Ravisy<br />
1. Il punto di partenza per una lettura dei Sette libri de cathaloghi di Ortensio<br />
Lando come plagio dell’Officina Textoris, cioè di una delle summae tematiche<br />
più note del Cinquecento, è praticamente obbligato; si tratta della lettera<br />
«Alla eccellente et virtuosa mia Signora la S. D. Lucretia da Gazuolo marchesana<br />
di Gonzaga» che chiude l’opera. L’autore vi dichiara la genesi del suo lavoro<br />
e ne indica le fonti:<br />
la mia intentione, quando tal cosa intrapresi, fu di registrare solo i moderni, ma che per<br />
non parere satirico, et mordace, ui puosi gli antichi, et si come tolto haueua gli essempi uecchi<br />
dal Sabellico, del Volterrano, dal Fregoso, dal Calphurnio, da Domitio, dal Bergamasco<br />
Cronichista, ultimamente dal Testore, essendo auisato ch’egli più di ogni altro copioso ne<br />
fusse, che cosi hauea etiandio tolto dalla bocca de fedeli, et ueraci huomini, la relatione de i<br />
moderni essempi. 1<br />
Sull’impianto originario tornerò più avanti. Per ora mi limito a richiamare la<br />
lista dei catalogisti moderni, e a sottolineare il rilievo che in essa è dato al<br />
Testore, cioè a Jean Tixier signore di Ravisy, professore e poi rettore del Collège<br />
de Navarre. Sembrerebbe un escamotage, per dire tutto e invece lasciare tutto<br />
1 SETTE LIBRI DE | CATHALOGHI A VARIE COSE | APPARTENENTI, NON SOLO<br />
| ANTICHE, MA ANCHE | MODERNE: OPERA | VTILE MOLTO | ALLA | HISTORIA,<br />
ET DA CVI PREN= | DER SI PO MATERTA DI FA= | VELLARE D’OGNI PRO= | POSI-<br />
TO CHE CI OCCORRA. | [fregio] | CON PRIVILEGIO. | [marca tipografica] | IN VINEGIA<br />
APPRESSO GABRIEL | GIOLITO DE’ FERRARI, | E FRATELLI. | MDLII.<br />
Il colophon a p. 567: «IN VINEGIA, APPRESSO GABRIEL | GIOLITO DE FERRARI |<br />
ET FRATELLI. | MDLIII.» La lettera cui si è rinviato, datata «Di Vinetia alli XX. di Decembre.»,<br />
si legge alle pp. 564-567; il passo citato alle pp. 566-567.<br />
283
Paolo Procaccioli<br />
nel vago. Ma probabilmente non era così. Intanto perché vi si parlava di opere<br />
vive e presenti a ogni lettore mediamente scolarizzato, e non di reperti confinati<br />
nelle biblioteche. Poi perché quel modo di trattare le fonti era già un grosso<br />
passo in avanti rispetto alla consuetudine notoria di un cultore dichiarato dell’anonimato<br />
(e anonimi sono del resto gli stessi Cathaloghi). E perché, ipotizzo,<br />
forse Lando gerarchizzando la sequenza degli auctores intendeva alludere insieme<br />
alla sua fonte e alle fonti di quella. Quasi a riferirsi alla serie delle opere<br />
come a scatole cinesi, l’ultima delle quali chiamata a contenere tutte le altre<br />
(«egli più di ogni altro curioso»). Ancora, perché è evidente l’esigenza di spostare<br />
il discorso dall’opera concretamente realizzata al progetto iniziale, nel<br />
quale un’altra parte, quella relativa ai moderni, avrebbe bilanciato i conti del<br />
dare e dell’avere; e, va aggiunto, con il sovrappiù di interesse dovuto all’attualità.<br />
Il che avrebbe spiegato, se non proprio ridimensionato, le occorrenze antiche<br />
nei termini di una premessa resasi necessaria per amor di completezza.<br />
Le indicazioni della pagina finale, quand’anche — ma ne dubito — se lo<br />
fossero proposto, non riuscirono a confondere il lettore e a nascondere i termini<br />
propri della dipendenza dai modelli. O almeno non ci riuscirono con tutti i lettori.<br />
La messa a fuoco della natura plagiaria dei Cathaloghi comporta una minima<br />
puntualizzazione in termini di cronologia relativa e anche, più specificamente,<br />
di relazione fra opere e autori. Alludo ai riferimenti reciproci che si incontrano<br />
nei testi di Lando e Doni nei primi anni Cinquanta. Non è ovviamente il<br />
caso, perché in sé noto e perché comunque definibile solo fino a un certo punto,<br />
di mirare alla ricostruzione del rapporto tra i due scrittori; ma non si può ignorare<br />
il botta e risposta che i due si scambiarono nella Sferza e nei Marmi proprio<br />
in tema di dipendenza da altre opere.<br />
Cominciò Lando, che nel ’50, a Libraria da poco stampata, commentò l’operazione<br />
in questi termini:<br />
non so, per Dio, che frenetico humore venuto sia a Conrado Gesnero di far quel libro<br />
detto Biblioteca per che l’huomo a fatto a fatto impazzisca. La cui industria è stata a gli dì<br />
passati nella volgar lingua imitata dal sagace et industrioso Doni, et ha insegnato come raunar<br />
si possino tutti gli libri in fiorentino volgare scritti, a chiunque disiasse fare una bella libraria.<br />
Iddio perdoni ad amendue et faciagli ravedere di sì gran fallo. 2<br />
Era, è evidente, pur nella cifra paradossale propria dell’autore e dell’opera,<br />
una menzione tutt’altro che negativa. Per il momento Doni non se ne risentì o<br />
almeno non ne mostrò i segni, e nello stesso ’50, ristampando la Libraria, arric-<br />
2 La sferza de’ scrittori antichi et moderni, a c. di Paolo Procaccioli, Roma, Vignola<br />
1995, p. 63.<br />
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… fecerunt Barberini.<br />
chì la voce «Hortensio Lando» — un vero e proprio elogio — del nuovo titolo. 3<br />
Due anni dopo altre due opere, i Cathaloghi e i Marmi, si trovano a lasciare i<br />
torchi pressoché in contemporanea, tanto che ambedue sono datate 1552 nel<br />
frontespizio e 1553 nel colophon. Doni però, e evidentemente da qualche<br />
tempo, si era trovato nella possibilità di leggere l’opera dell’amico, o almeno di<br />
averne notizia dettagliata. E in un ragionamento della prima parte dei Marmi,<br />
quello intercorso tra «Il Bizzarro academico peregrino e l’Ardito», tuona scandalizzato:<br />
parv’egli, pedanti ignoranti, che si traduchino i libri a questa foggia? avete voi a rubar sempre<br />
da questo e quell’altro autore sì spensieratamente? non sapete voi che Oficina Testoris non è<br />
da essere spogliata sì malamente né la Poliantea da voi? chi v’ha insegnato a rifare i libri vecchi<br />
e tramutare il nome? Ah, pedanti, pedanti, pedanti furfanti! Voi non volete attendere ad altro? 4<br />
Lando aveva avuto il torto — se torto era — di additare il testo di riferimento<br />
della Libraria; Doni, cui era ignota ogni leggerezza di tratto, andò sul pesante.<br />
La dissonanza di tono rispetto alla Sferza è evidente. Il Bizzarro è aspro e la<br />
sua accusa circostanziata. Il silenzio sul nome era d’obbligo, dato l’anonimato<br />
dei Cathaloghi, 5 ma se il riferimento taciuto era allora facilmente intuibile da un<br />
pubblico che aveva grande familiarità con quelle opere, poi col tempo divenne<br />
oscuro, e il passo dei Marmi, perso il mordente del riferimento ad personam,<br />
restò come attacco a una pratica generale. Con esso cadde anche lo svelamento<br />
della natura plagiaria dei Cathaloghi, che è stata recuperata solo di recente da<br />
Paolo Cherchi, 6 impegnato nella perlustrazione di quel settore infido e — anche<br />
per questo? — scarsamente frequentato della produzione cinquecentesca.<br />
Ma oltre al controcanto dei riferimenti, le opere fin qui richiamate pongono<br />
con tutta evidenza un altro problema che è preliminare a ogni discorso sul plagio,<br />
almeno limitatamente all’area e alla stagione cosiddetta dei poligrafi. Par-<br />
3 La voce, e la successione degli aggiornamenti, nella Libraria, a c. di Vanni Bramanti,<br />
Milano, Longanesi 1972, pp. 127-128.<br />
4 Opere di Pietro Aretino e di Anton Francesco Doni, a c. di Carlo Cordié, Milano-Napoli,<br />
Ricciardi 1976, pp. 792-93.<br />
5 Ma poco più avanti, nello stesso ragionamento, l’attacco prosegue proprio contro l’anonimato,<br />
che in Lando è notoriamente programmatico: «quei libri che son senza nome dell’autore,<br />
o un nome finto, mi danno il mio resto»; e la conclusione è tutta in termini di feroce<br />
denuncia della natura plagiaria di quelle opere: «lo Stucco, academico nostro, come e’ trova<br />
un libro che non sa di chi egli sia, l’ha per letto» (p. 794).<br />
6 <strong>PAOLO</strong> CHERCHI, La fonte dei ‘Cathaloghi’ di Ortensio Lando, «Studi e problemi di critica<br />
testuale», 18, 1979, pp. 135-148 (poi, ma in una redazione più ampia che prende in<br />
esame la messa a partito dell’Officina anche in altre opere landiane, e col titolo L’‘Officina’ di<br />
Ravisio Testore e le riscritture di Ortensio Lando, in appendice a ID., Enciclopedismo e politica<br />
della riscrittura: Tommaso Garzoni, Pisa, Pacini 1980, pp. 143-163).<br />
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Paolo Procaccioli<br />
tiamo da una prospettiva più generale. La prima Libraria e i Cathaloghi sono<br />
degli unica nella carriera dei rispettivi autori. Tanto Doni che Lando erano notoriamente<br />
lontani da quel genere di opere e dalla sistematicità e dai tempi lunghi<br />
che presupponevano. La seconda Libraria e la Sferza finiscono col presentarsi,<br />
di fatto, come la negazione delle operazioni Libraria prima e Cathaloghi. Se<br />
però in Doni la successione è evidente e inoppugnabile, in Lando la cronologia<br />
non la conforta: la Sferza è del ’50, i Cathaloghi, si è visto, del ’52. Potrebbe<br />
essere che la gestazione dei Cathaloghi e della Sferza sia stata unitaria, e la<br />
seconda rappresentare una lunga chiosa, da leggere in senso liberatorio — come<br />
un vero e proprio anticatalogo — rispetto a quel lavoro troppo serio e sistematico.<br />
Ma quand’anche questa ricostruzione fosse inattendibile, e tra Cathaloghi e<br />
Sferza non fosse ipotizzabile un rapporto analogo a quello che lega le due Librarie,<br />
resta che tutta la produzione di Lando percorre strade antitetiche rispetto a<br />
quella che sembrerebbe segnata dai Cathaloghi.<br />
E allora concludo il ragionamento. Se Doni e Lando, noti ambedue per l’originalità<br />
e la bizzarria delle carriere, hanno ceduto, e contemporaneamente, alla<br />
tentazione di un’opera sistematica e in qualche modo pedantesca come sono<br />
Libraria prima e Cathaloghi, forse lo hanno fatto su sollecitazione esterna. E<br />
azzardo un nome, Gabriele Giolito. Se l’ipotesi fosse valida ci troveremmo di<br />
fronte, qui sì, a un vero e proprio episodio di poligrafismo.<br />
In questa prospettiva se di plagio vogliamo parlare, lo dobbiamo fare stabilendo<br />
una relazione non più a due (modello/testo derivato, o autore I/replicante), ma<br />
a tre (autore I/editore/autore II). La responsabilità dell’operazione, anche se non,<br />
ovviamente, della sua realizzazione, ricadrebbe — in una misura che non saprei<br />
quantificare con precisione, ma che credo comunque significatica — anche sull’editore.<br />
7 Stando così le cose, Lando non sarebbe un plagiario né in proprio né<br />
in senso proprio, ma un esecutore — e, si vedrà, un esecutore comunque insofferente,<br />
al limite del tradimento 8 — di un progetto più ampio disegnato in casa<br />
Giolito.<br />
7 Cui del resto viene legittimamente riconosciuto «un rapporto attivo e promozionale nei<br />
confronti del pubblico, che ha una sua linea culturale, una strategia produttiva, una organizzazione<br />
complessa e efficiente» (AMEDEO QUONDAM, “Mercanzia d’onore”/“mercanzia d’utile”.<br />
Produzione libraria e lavoro intellettuale a Venezia nel Cinquecento, in Libri, editori e<br />
pubb1ico nell’Europa moderna. Guida storica e critica, a c. di Armando Petrucci, Roma--<br />
Bari, Laterza 1977, pp. 51-104, a p. 94). Gli anni 1550-1555 sono tra l’altro quelli di massima<br />
espansione della produzione giolitina, e della produzione letteraria in particolare (come<br />
risulta dai dati presentati e discussi nel punto 5 del saggio cit., pp. 89-92).<br />
8 Non sarà un caso che lo strumento Cathaloghi si sia rivelato praticamente inservibile<br />
nell’economia della strategia editoriale giolitina, e, di fronte alla vitalità perdurante del modello<br />
latino, mai più riproposto.<br />
286
… fecerunt Barberini.<br />
2. Entriamo però in medias res. Quando Lando si accinge a tradurla in italiano,<br />
fosse reale o no il proposito di una sua integrazione sistematica coi riferimenti<br />
ai moderni, l’Officina era un classico riconosciuto della manualistica scolastica.<br />
Richiesta e ristampata in Francia, in Svizzera, in Italia, in Inghilterra. Di<br />
lì a poco sottoposta a un lavoro impegnativo di riordinamento. Ben nota insomma<br />
a un pubblico non solo parigino e non solo d’oltr’alpe. 9 Ora è quell’opera<br />
che Lando decide (gli viene chiesto?) di rifare in Italia. Così come Doni aveva<br />
rifatto Gesner. Ma mentre nel caso dell’amico fiorentino la sovrapponibilità di<br />
Bibliotheca e Libraria non andava oltre l’idea e il titolo, nel caso dell’Officina e<br />
dei Cathaloghi c’era il problema di una reale coincidenza di argomenti. Per di<br />
più, di un tipo di argomento, tale era il repertorio di nomi e luoghi antichi, riccamente<br />
e ripetutamente esperito. Tanto che sulla stessa Officina si erano abbattute<br />
le pressoché inevitabili accuse di plagio. 10 I1 fatto — e andiamo per forza<br />
di cose sull’ovvio — è che la cultura classica proprio per il suo guardare maniacalmente<br />
ai modelli del passato comportava quasi naturalmente migrazioni continue<br />
di dati, luoghi, passi. Faccio solo i nomi di uno dei tanti percorsi individuabili,<br />
e mi limito di proposito a un segmento ormai immediatamente perspicuo,<br />
relativo all’area italiana e del pieno Cinquecento: Camillo - Citolini - Garzoni.<br />
Ma torno subito ai Cathaloghi, e per ribadire — non vorrei che tanto girare<br />
intorno al testo possa essere inteso come un dubitare di questo fatto — che il<br />
plagio vi è innegabile e generale, e da non potersi mettere in discussione. Riguarda<br />
la quasi totalità dei nomi proposti, e, nella stessa proporzione, delle notizie<br />
che li illustrano. Il plagiario Lando non è comunque passivo. Interviene sui<br />
testi a vari livelli: seleziona i materiali, li riorganizza e suddivide in libri, manipola<br />
le singole voci con tagli e integrazioni, modifica sistematicamente in senso<br />
narrativo la stringatezza dell’organizzazione originaria.<br />
Esemplifico sul primo libro per un’analisi più ravvicinata dei punti appena<br />
indicati. Nei 16 capitoli che lo compongono, Lando presenta 452 nomi di antichi<br />
e 140 di moderni. I primi corrispondono praticamente ai due terzi dei 681<br />
9 Un profilo dell’autore e una storia della sua opera maggiore in MAURICE MIGNON, Jean<br />
Tixier de Ravisy (1480?-1524), in ID., Etudes sue le théatre français et italien de la<br />
Renaissance, préface de Francesco Flamini, Paris, Librairie Ancienne Honoré Champion<br />
1923, pp. 32-61. L’ha interpretata come momento centrale della «tradizione dei luoghi comuni»<br />
WALTER J. ONG in Interfacce della parola [1977], Bologna, Il Mulino 1989, p. III, cap.<br />
VI, «Rapsodia tipografica: Ravisius Textor, Zwinger e Shakespeare», pp. 161-203.<br />
10 Fa riferimento ad esse MIGNON, Jean Tixier, cit., p. 55. Ma era destino, in base all’assunto<br />
doniano che i libri sono «ruote di parole» — e perciò condannati a «girare» (Libraria,<br />
ed. cit., p. 247) — che a Lando stesso, passato qualche decennio, si guardasse con occhio furtivo<br />
(poco importa se polemicamente) come risulta da <strong>PAOLO</strong> CHERCHI, Enciclopedismo e<br />
politica della riscrittura: Tommaso Garzoni, cit., passim.<br />
287
Paolo Procaccioli<br />
nomi presenti nei capitoli di argomento analogo dell’Officina. 11 I rapporti cambiano<br />
decisamente nei 18 capitoli dell’ultimo libro: 762 nomi antichi nei<br />
Cathaloghi contro gli 896 dell’Officina, coll’aggiunta però di 282 moderni, alla<br />
fine 1064 nomi contro 896 (nel primo libro il rapporto era di 592 a 681).<br />
La selezione operata da Lando non è solo numerica. Riguarda anche la tipologia<br />
dei paragrafi dell’Officina. Per illustrarla parto da un’edizione più tarda<br />
dell’opera di Tixier, quella veneziana del 1606, che presenta i 412 paragrafi originari<br />
divisi in sette libri. 12 Di quei 412 paragrafi, Lando ne seleziona 115, 13 e la<br />
quasi totalità di essi risulta concentrata nei libri IV, V e VII. Non tutta l’opera<br />
dunque, ma solo quella che secondo il lessico di un altro grande catalogista,<br />
Raffaele Maffei, si può chiamare «anthropologica». Per di più Lando sembra<br />
minare radicalmente la sistematicità già relativa della congerie allestita da<br />
Tixier. Se nell’Officina 1606 le voci di ogni paragrafo si susseguono nell’ordine<br />
personaggio (o episodio o fenomeno) biblico - greco - romano - romanzo, con<br />
minime incursioni della modernità, in quella originaria la logica della successione<br />
era meno coerente. Nei Cathaloghi, in questo del tutto landianamente, è<br />
quanto mai aleatoria.<br />
11 «Cathalogo di quei c’hebbero fama d’esser belli»-«Formosi et formosae ex historicis<br />
oratoribus et poetis»; «Cathalogo dei brutti»-«Deformes»; «Cathalogo delle più notabili<br />
meretrici»-«Meretrices quaedam»; «Cathalogo delle donne caste et pudiche»-«Castissimi»;<br />
«Cathalogo de quei che hebbero eccellente memoria»-«Memoria clari»; «Cathalogo di quei<br />
che hebbero diffetto di memoria»-«Obliviosi, et qui memoria exciderunt»; «Cathalogo degli<br />
adulteri» e «Cathalogo delle adultere»-«Adulteri, et adulterae»; «Cathalogo delle donne<br />
dotte»-«Muliebres doctae»; «Cathalogo delle donne bellicose, et che furono di uiril animo»-<br />
«Mulieres bellicosae et masculae virtutis»; «Cathalogo delle guerre, et altri maleficij dalle<br />
donne cagionate»-«Bella et alia quaedam mala a mulieribus orta»; «Cathalogo delle donne,<br />
che furono cagione di alcun bene»-«Foeminae maximi quandoque boni authores»;<br />
«Chathalogo [sic] degli huomini bellicosi et per molte uettorie illustri»-«Bellicosi viri, cum<br />
illustribus victoriis»; «Cathalogo di quei, che fortissimi furono et al presente sono di corporal<br />
fortezza»-«Fortissimi vel robustissimi fortitudine corporea»; «Cathalogo di quei, che morirono<br />
per souerchia letitia et smoderate risa»-«Gaudio et riso mortui»; «Cathalogo degli iracondi,<br />
sdegnosi, et colerici»-«De ira et odio».<br />
12 Officina Ioannis Rauisii Textoris Niuernensis. Nunc demum post tot editiones diligenter<br />
emendata, aucta, et in longe commodiorem ordinem redacta. Cui hac editione accesserunt<br />
eiusdem Rauisij Cornucopiae libellus, quo continentur loca diuersis rebus per orbem<br />
abundantia. Item eiusdem Authoris, non vulgaris eruditionis Epistolae nunc recens accuratius<br />
castigatae, et prope innumeris mendis abstersae. Ac geminus Index rerum verborumque<br />
omnium copiosissimus, Venezia, Sebastiano de Combi 1606. La materia vi è così distribuita:<br />
libro I, «De deis eorumque cultu»; II, «De mundo»; III, «De tempore et eius partibus»; IV,<br />
«De homine»; V, «De magistratibus»; VI, «Artes et artifices»; VII, «De variis virtutibus ac<br />
vitiis».<br />
13 Così distribuiti: 16 nel 1ibro I, 9 nel II, 13 nel III, 20 nel IV, 28 nel V, 11 nel VI, 18<br />
nel VII.<br />
288
… fecerunt Barberini.<br />
Per quanto riguarda le prese di distanza dal testo latino, bisogna distinguere<br />
vari fenomeni. C’è, rispetto al modello, una più evidente disaffezione per le<br />
citazioni. A differenza dell’Officina, i Cathaloghi ipotizzano un lettore poco<br />
sensibile al fascino (alla memoria) dei luoghi virgiliani o ovidiani, se non proprio<br />
del tutto digiuno di latino. Quelle che sopravvivono, pur cospicue, sono<br />
solo una parte delle tranches classiche proposte dal dotto francese. Spesso<br />
Lando preferisce indicare la fonte e rinvia direttamente a essa un lettore che gli<br />
fa gioco supporre interessato e volonteroso. 14 Altre volte seleziona uno solo di<br />
due o più passi. 15 O anche affianca altre fonti e altri luoghi a complemento di<br />
quelli del modello. 16 Né mancano casi di correzione di luoghi errati; 17 o, al contrario,<br />
di corruzione di luoghi esatti, senza considerare tra questi i refusi. 18 Ma il<br />
lavorio sul testo base, notevole nei primi libri, si riduce poi sensibilmente; nell’ultimo<br />
consiste quasi solo di tagli. Nei cataloghi letterari del VI libro («De gli<br />
Historici», «De i Grammatici», «De gli Oratori», «De i Poeti» ...) la dipendenza<br />
dalle voci modello è totale, ma non va passata sotto silenzio l’aggiunta presso-<br />
14 Ricordo qui solo i quattro loci del primo catalogo, ma l’espediente è ricorrente.<br />
Riguardano le voci Athlanta: «Ouidio nell’ottauo libro la dipinse con leggiadro modo: Allui<br />
ricorrete (se ui piace)» (p. 6); Ariadna: «Catullo di lei et di Theseo leggiadri uersi compuose:<br />
leggeteli quando ocio hauete di potergli leggere» (p. 6); Hila: «fa di ciò fede Valerio Flacco<br />
nel terzo dell’Argonautica, allui fatte ricordo (se non ui è molesto)» (p. 8); Omphale;<br />
«Propertio nel terzo molto honoratamente ne scriue: leggetelo se a uoi piace» (p. 10).<br />
15 Esemplifico ancora sulla base del primo catalogo. Queste le voci interessate e le citazioni<br />
o i rinvii caduti: Briseida (Orazio e Properzio), Augusto (Orazio), Lavinia (Virgilio), Nireo<br />
(Pontano), Niso (Tibullo), Narciso (Virgilio, Ovidio), Phaone (Celio, Ovidio), Panthea (Celio).<br />
16 Nella voce Athis del primo catalogo (p. 7) il rinvio a Ovidio è integrato con quelli a<br />
Catullo e Palladio Sorano; nella ricomposizione della voce Endimione, dello stesso catalogo<br />
(sempre p. 7), il rinvio e il luogo di Valerio Flacco sono sostituiti con i rinvii a Ovidio e<br />
Properzio. Nel tredicesimo catalogo del primo libro, nella voce «Carlo Magno» Lando recupera<br />
la fonte (si tratta del Volterrano) celata o almeno taciuta dall’Officina. L’integrazione<br />
della voce «Senarco Rhodiotto» (1. III. p. 199) esplicita un riferimento che per un lettore non<br />
classicista sarebbe rimasto inintelleggibile, cosicché il laconico «Xenarchus Rhodius ex bibacitate<br />
Metretes cognominatus» diventa «Dal molto bere fu chiamato publicamente Metreta,<br />
che tanto è come dire presso di noi una mezzetta: benché io stimi che in que tempi ella fusse<br />
misura di maggior capacità, che hora non è».<br />
17 Allego, a titolo di esempio, le voci Cleopatra (p. 55: con correzione Properzio II > III<br />
libro), Berenice (p. 61: Giustino XXVII > XXVI), Annibale (p. 70: 9 > 90 senatori; 49 mila ><br />
40 mila), Arato (p. 70: 14 anni > 24 anni), Cleophanto (p. 74: Celio VIII 12 > Celio XVIII),<br />
Conone (p. 75: Giustino 5 > Giustino 5 e 6), Paolo Emilio (p. 80: 530 > 3300), Parti contro<br />
Antonio (p. 538: «400. millia» > «solo quaranta milia»), Cesare contro M. Antonio<br />
(pp. 538-9: «22 [millia]» > «nouantado mila»).<br />
18 Scelgo fior da fiore e con parsimonia (i Cathaloghi non si segnalano di certo per la<br />
correttezza del dettato). A p. 92, Philistione: «notritia» < «Nutritia»; p. 514, Tifi: nel taglio<br />
della voce Lando finisce per attribuire a Ovidio un luogo senechiano; p. 540, Terentio<br />
289
Paolo Procaccioli<br />
ché sistematica di valutazioni stilistiche secche e definitive che riconducono<br />
queste pagine, per lessico e analisi, a quelle della Sferza. Il senso, al di là della<br />
pertinenza e della tenuta dei singoli giudizi, è quello di trasformare in voce<br />
autonoma, e quindi leggibile come tale e non solo in una prospettiva ancillare, la<br />
semplice menzione dell’Officina.<br />
Nella voce Ariovisto del catalogo «De i piu numerosi esserciti che mai si<br />
uedessero» (1. VII, p. 539), e questo è l’unico caso del genere che mi è capitato<br />
di notare, Cathaloghi e Officina hanno contenuti diversi e rinviano a fonti diverse.<br />
Non mi sembra, né l’uno né l’altro luogo, uno sfoggio di erudizione, né l’ostentazione<br />
di una qualche riveditura di bucce (sua o d’altri?). Piuttosto è un tratto<br />
landiano (o almeno così mi pare di dover intendere, data l’episodicità del fenomeno),<br />
di un Lando amico di Doni e sottoscrittore della lettera d’apertura della<br />
seconda Libraria. È un lusus, l’ennesima occasione di gioco di uno scrittore che<br />
non sembra riuscire mai a sostenere fino in fondo la convenzione del genere,<br />
neppure di fronte all’imperativo di un modello-fonte quanto mai stringente, e per<br />
di più proprio confrontandosi con una scrittura, come è di per sé quella catalografica,<br />
per definizione rigida e aliena da personalismi e scarti non canonizzati.<br />
Al di là di questi e di altri casi isolati, resta che tra la voce dell’Officina e<br />
quella dei Cathaloghi c’è un evidente divario che è soprattutto di natura stilistica.<br />
La voce di Tixier è secca e finalizzata esclusivamente alla nominatio del personaggio/animale/cosa/fenomeno/istituto<br />
catalogato, alla sua descrizione essenziale<br />
o alla motivazione sommaria della sua presenza, all’indicazione della fonte<br />
(e spesso al recupero del luogo stesso). Nei Cathaloghi il richiamo è più discorsivo,<br />
talora, e più sistematicamente nei primi libri, fino al punto di replicare —<br />
circostanziandole — le dediche premesse a ogni libro con cappelli d’apertura<br />
dei singoli cataloghi. Gli inserti narrativi, quantunque talora minimali, 19 interessano<br />
più della metà delle voci, e ne fanno delle micronarrazioni.<br />
Il lavorio intrapreso da Lando in questo senso è inequivoco, e perseguito con<br />
impegno nonostante che in più di un caso non abbia mancato di sottolineare l’habi-<br />
Varrone: «ottanta uolte ottant’otto mila» < «octo & octoginta millia»; p. 545, «Fuor della<br />
porta di Termegina ...»: la voce è particolarmente disgraziata, manca l’indicazione del persanaggio<br />
in questione (Lucio Minucio Augarino), la porta è Trigemina, si tratta di «farro» e non<br />
di «ferro»; p. 546, «Tanaquil», < «Caia seu Tranquil.». A p. 101, in chiusa della «Tauola di<br />
quanto si contiene nel secondo libro», sono indicati quattro cataloghi («De i smoderati mangiatori»,<br />
«Dei sobrij, et temperati», «De i grandi beuitori», «Di quei che si astennero di ber<br />
uino») poi diventati i primi del terzo libro. A p. 310, nella tavola del quinto libro, non è fatta<br />
menzione del terzultimo catalogo, «Di quei che morti furono dai pidocchi».<br />
19 Nel primo catalogo del 1. VII («Cathalogo di quei che tramutati furono in uarie forme<br />
tratto da più poeti», pp. 505-509), per una buona metà delle ricorrenze la filatessa dell’Officina<br />
viene integrata da un verbo. L’effetto è di rendere la singola menzione indipendente e<br />
svincolata dalla rigidità dello schema catalografico.<br />
290
… fecerunt Barberini.<br />
tus professionale abbracciato: «di costei [= di Cleopatra] favella Propertio nel<br />
terzo. la ue ne andate, percioche io sono scrittore de Cathalogi, et non di storie», (p.<br />
55); o anche: «Petrarca [...] ne ha si honoratamente et prolissamente fauellato [= di<br />
Maria da Pozzuolo] che souerchio mi pare il parlarne piu oltre, non essendo io se<br />
non enumeratore di chi fu bellicosa» (p. 58; o anche p. 378, «Di Metio Suffetio»).<br />
3. Nel loro disegno, così come era enunciato dal titolo, i Cathaloghi avrebbero<br />
dovuto comprendere «varie cose», in particolare «non solo antiche, ma<br />
anche moderne». Ora è immediatamente evidente che quanto promesso per la<br />
prima sezione è stato effettivamente mantenuto, mentre per la seconda le cose<br />
sono andate un po’ diversamente. Ma la differenza di trattamento non comporta<br />
necessariamente l’accusa di inadempienza.<br />
Intanto prima di imputare alcunché all’autore è il caso di prenderne in considerazione<br />
la difesa affidata alla lettera di dedica di tutta l’opera a Lucrezia da<br />
Gazuolo (pp. 564-67). Vi si riconosce 1) che 1’opera è effettivamente imperfetta:<br />
«non gli ho io potuti condurre a quella perfettione, che io uoleua»; 2) che era<br />
«intentione» dell’autore «che senza niuno rispetto, et senza uerun timore, a qualunque<br />
Cathalogo antico si sottoscriuesse il Cathalogo moderno»; 3) che le leggi<br />
veneziane impedirono la stampa «nella forma, che ueramente si doueua»; 4) che<br />
in conseguenza di ciò l’autore avrebbe preferito «che per niuno modo, li lasciasse<br />
uenir in publico»; 5) che però non ha potuto ottenere né la «perfettione» dell’opera<br />
né l’annullamento della stampa; 6) che è «pur stato isforzato di tacere i<br />
moderni traditori, gli ingiusti, i perfidi ...»; 7) anzi, che «i Signori Vinitiani cio<br />
non hanno uoluto, et hannogli fati scancellare»; addirittura, che 8) «quando tal<br />
cosa intrapresi, fu di registrare solo i moderni, ma per non parere satirico, et<br />
mordace, ui puosi gli antichi»; 9) per poi concludere colla menzione, di seguito<br />
alle fonti antiche, di quelle dei moderni: «hauea [...] tolto dalla bocca de fedeli,<br />
et ueraci huomini, la relatione de i moderni essempi».<br />
Chiusa l’ultima pagina, il lettore è informato che l’opera letta non solo non<br />
risponde al progetto iniziale dell’autore — che si era proposto un catalogo di<br />
soli moderni (punto 8) —, ma neanche al primo adattamento di esso — per le<br />
«scancellature» intervenute (punto 7) —. Che un impedimento legislativo ne ha<br />
compromesso la realizzazione (punto 3). Che c’è stato un intervento ultimativo,<br />
con tutta probabilità dell’editore (punti 5 e 6).<br />
Ora non saprei dire dei «Signori Vinitiani», ma di certo l’editore dovette<br />
essere ben disposto a giocare il ruolo qui adombrato. Tenne il sacco secondo<br />
una divisione dei ruoli che era probabilmente già chiara all’avvio dell’operazione.<br />
Forse, a voler essere un minimo causidici — ma con Lando si rischia di non<br />
esserlo mai a sufficienza —, tutta l’operazione era condotta proprio giocando su<br />
un divieto che doveva essere ben noto per lo meno all’editore.<br />
Allora, se così stessero effettivamente le cose, avremmo che l’excusatio finale<br />
è la prova manifesta del progetto plagiario.<br />
291
Paolo Procaccioli<br />
Ma c’è un’altra possibile lettura della dedica. La si potrebbe collegare all’ipotesi<br />
iniziale di un progetto giolitino che si proponeva di arricchire il suo catalogo<br />
di un Gesner e di un Tixier fatti moderni e italiani. Un disegno che per la<br />
parte relativa alla Bibliotheca-Libraria era giunto in porto, ma che per<br />
l’Officina era stato bloccato dal diktat censorio. Nel caso di un’opera impegnativa<br />
per mole, e a rischio per contenuti, come dovevano apparire subito i<br />
Cathaloghi, Giolito non avrà aspettato di avere tutta l’opera compiuta per sottoporla<br />
all’esame dei revisori e ottenere la licenza. E di fronte al diniego dei<br />
Signori — l’ingiunzione delle «scancellature» —, avrà indotto Lando a ripiegare<br />
sulla modernizzazione parziale e attenuata. Secondo quanto risulta dalla lettera<br />
in esame. 20 E senza che venisse meno il proposito di una versione completa<br />
a venire:<br />
perdonami lettore, si anche in questa parte come in molte altre, ti defraudo della desiderata<br />
lettione, non passerà molto che pagherò quanto ti debbo, et ti farò uedere espressamente,<br />
senza ziffera, o circoito di parole, come no sono mancato a nostri tempi donne, che hanno<br />
suscitate intricatissime liti, fatto mal capitare et i mariti, et i proprij figliuoli et hanno causato<br />
molti homicidij. 21<br />
Forse però non è il caso di proporre alternative troppo rigide. Senza fare di<br />
Lando e Giolito due complici o, al contrario, due vittime, si potrebbe concludere<br />
ipotizzando un progetto — l’Officina italiana e aggiornata — ostacolato nella<br />
sua realizzazione dagli impedimenti normativi veneziani, e comunque condotto<br />
avanti con ritocchi che non dovettero essere poi tanto massicci. Una censura<br />
dell’Officina solo moderna, è ovvio, non avrebbe comportato di per sé il ripiego<br />
sull’antica se questa non fosse stata già la parte centrale dell’opera; checché<br />
proclamasse in proposito l’autore («la mia intentione [...] fu di registrare solo i<br />
moderni»). La discordanza tra il 1552 del frontespizio e il 1553 del colophon si<br />
potrebbe spiegare, oltreché con la mole del lavoro (che a ogni buon conto sarà<br />
stata opportunamente considerata dall’editore), con le lungaggini censorie. Dal-<br />
20 E secondo quanto risulta dalla storia editoriale di un’altra opera di Lando, i Dubbi,<br />
editi dallo stesso Giolito nello stesso 1552, che si chiudono con questo avviso: «Gabriel<br />
Giolito à Lettori. Io promisi di darui quattro libri de Dubbi, hor non hauendo sin hora potuto<br />
impetrare la licentia dei Dubbi amorosi, sono sforzato à daruene solamente tre. quanto più<br />
tosto ella si potrà ottenere, ue li darò con altri piaceuoli componimenti del medesimo auttore.<br />
fra tanto state sani, et godete quanto ui porgo» (p. 318). A un’ingiunzione precedente la stesura<br />
allude esplicitamente l’excusatio di p. 260: «mi riserbo ad un’altra fiata a dire le maluagie<br />
operationi che ho ueduto riuscire dalla moderna inuidia, all’hora forse non hauerò commandamento<br />
alcuno da miei superiori che me lo uieti, et me lo prohibisca».<br />
21 Cui si può aggiungere, tra altri luoghi non meno perentori, la chiusa dell’ottavo catalogo<br />
del quarto libro: «lascio da canto gli altri temerari. Li scuopriremo poi, quando altri meno<br />
ci penserà. contentati lettore per hora di quello che ti porgo» (p. 306).<br />
292
… fecerunt Barberini.<br />
le quali discesero gli interventi sibillini dell’autore e il ritardo della concessione<br />
del privilegio. 22<br />
In effetti, anche se la distanza dalla parte antica è netta e evidente, resta che<br />
le sezioni sui moderni sono molto più che addentellati predisposti per uno sviluppo<br />
a venire. Né, al di fuori di qualche luogo volutamente evidenziato, si possono<br />
intendere come reperta, cioè numeri di un repertorio propriamente inteso.<br />
Le difformità rispetto al modello non sono tanto di nomi (numero di nomi) o di<br />
cose, ma riguardano piuttosto il taglio della voce e l’impostazione stessa della<br />
sezione. Vi incide una fondamentale novità di ritmo: un divagare spesso reticente,<br />
e dichiarato per tale; 23 un largheggiare di premesse; un alternare nudi elenchi<br />
con vere e proprie serie di ‘voci’ talora piuttosto corpose che spiccano — con<br />
evidente effetto di variatio — sul dettato maggiormente metodico e uniforme<br />
della parte antica e, naturalmente, del suo modello.<br />
Soprattutto, e a tutto discapito dell’anonimato, vi è evidentissima la prospettiva<br />
autobiografica: con menzioni, oltreché di se stesso in terza persona (pp. 18,<br />
99, 115, 343), dei genitori (p. 300), del luogo di nascita (p. 198), dei maestri<br />
(pp. 450, 459), delle amicizie (pp. 287, 377), dei viaggi (p. 208), delle opere<br />
(p. 479). Non meno parlante doveva essere, per ogni lettore minimamente addentrato<br />
alle pratiche cortigiane, la celebrazione ripetuta delle virtù di Lucrezia<br />
e Isabella Gonzaga e di Maria Cardona, marchesa di Padula. Il mondo moderno<br />
22 «Privilegio del Senato Veneto per anni quindici, 26 febbraio 1552 (1553). Reg. 38,<br />
c. 193»: in SALVATORE BONGI, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, I, Roma, Ministero della<br />
Pubblica Istruzione 1890, p. 371.<br />
23 «A me non da il cuore di registrare le moderne putanne parte perche ella mi parrerebbe<br />
una fatica intollerabile et sarebbe come uolere annouerare le stelle del cielo, parte etiandio<br />
perche uogliono le nostre donne esser putanne, et non uogliono che si dica o che si scriua et<br />
però io taccerò» (p. 23); «Se io non temessi che mi fusse danneggiata la pelle, tratterei de i<br />
Moderni adulteri percioche mi sento hauere ampijssimo campo di poterlo fare, pure io il faro,<br />
ma terrollo celato, fin che ito sia in luogo doue poca auttorità habbiano gli archibugi, le<br />
spade, et i pugnali, ne si perdonerà a Re, a Duchi, a Principi, a Conti, a Marchesi, a Papi, a<br />
Cardinali, a Vescoui a preti et ad Arcipreti, et qui termino il Cathalogo degli adulteri, et a<br />
quello delle adultere, me ne trapasso» (p. 41: per le moderne cfr. p. 43); «Perdonami lettore,<br />
si anche in questa parte come in molte altre, ti defraudo della desiderata lettione, non passerà<br />
molto che pagherò quanto ti debbo, et ti farò uedere espressamente, senza ziffera, o circoito<br />
di parole, come non sono mancato a nostri tempi donne, che hanno suscitate intricatissime<br />
liti, fatto mal capitare et i mariti, et i proprij figliuoli et hanno causato molti homicidij» (p.<br />
65); «Per ubbidire chi debbo, et chi meno di ogni altra persona me lo doueua commandare,<br />
registro questo solo [la sezione moderna si intitola «Di un modernissimo, il cui nome è Hortensio<br />
Lando»] fra i collerici, et i sdegnosi. costui …» (p. 99). I moderni del primo catalogo<br />
dell’ultimo libro sono indicati solo con le iniziali (pp. 508-509). Nel catalogo «De gli arroganti,<br />
superbi, ambitiosi, et gloriosi» (1. III, pp. 228-236) la sezione moderna è abolita senza<br />
giustificazioni.<br />
293
Paolo Procaccioli<br />
al quale Lando ha attinto è quello gravitante attorno alla sua persona. Verrebbe<br />
fatto di pensare che questo buttare giù alla buona e come riducendo tutto al proprio<br />
mondo — in studiata opposizione alla dilatazione estrema della prospettiva<br />
cronologica e geografica dell’antico — fosse una reazione polemica alle ingiunzioni<br />
censorie. Ma a soffermarsi solo un po’ più attentamente su questi tratti ci<br />
si rende conto che non era stato diverso il procedimento dei Paradossi né di altre<br />
note opere landiane, Commentario, Oracoli e Dubbi in particolare. I Cathaloghi<br />
moderni, a prescindere dalle censure, sarebbero comunque stati la celebrazione<br />
di un preciso milieu sociale, politico, letterario, al quale soprattutto attingere<br />
per nomi e avvenimenti. Un milieu determinato dalle vicende biografiche<br />
— viaggi, amicizie, interessi — di Lando, più che da una volontà oggettivamente<br />
catalografica che riprendesse l’impegno dell’«omnia perlustrans» 24 cui<br />
era improntata l’Officina. Comprensibile allora il silenzio nel caso di elencazioni<br />
negative o ingiuriose, e l’abbondanza — in gara con gli antichi — a proposito<br />
di nominationes positive o addirittura elogiative. Nel dodicesimo catalogo del<br />
settimo libro, dedicato ai «moderni inospitali», Lando distribuisce geograficamente<br />
le casate degne di questo attributo, e se si andasse a vedere nel dettaglio<br />
si potrebbe verificare la coincidenza stretta di quei luoghi con le tappe delle proprie<br />
peregrinazioni. All’incirca quello che si legge nella sezione moderna del<br />
«Cathalogo de i piu grandi beuitori, che hauesse mai alchuna età»:<br />
Grandi beuitori ho conosciuto nella Magna, nel paese di Suizzari, et presso de Grisoni,<br />
molti beuitori ho conosciuto in Francia, et alcuni Pollacchi conobbi andando a Roma, che mi<br />
pareuano nati solo per bere il uino (p. 204).<br />
Ma la leggerezza del tono e della struttura se sono i caratteri dominanti non<br />
sono però gli unici. Zone marginali del testo introducono temi e lessico più problematici,<br />
fino alla denuncia sociale e morale vera e propria:<br />
Riserbo questa parte ad altro tempo, che non ui saranno tanti interdetti ne si chiuderà la<br />
bocca, ne si uieterà che l’huomo non scriua la uerità. Lascisi stare di peccare, et non ui saranno<br />
riprensori (p. 333). 25<br />
24 «Omnia perlustrans ut meliora ferat», secondo si legge al v. 12 della breve serie di<br />
distici celebrativi premessi alla Cornucopia dello stesso Tixier e edita in appendice all’Officina<br />
nell’edizione lionese di Sebastiano Grifio, del 1541. Ma era precetto che nell’Officina<br />
era stato temperato saggiamente — e ne va dato atto al professore nivernese — con la consapevolezza<br />
che «nihil indiscussum relinquere velle, illud est retexere telam Penelopes» (c. 46v<br />
dell’ed. 1606).<br />
25 Che è poi, in buona sostanza, la difesa d’obbligo di ogni satira. La stessa, per esempio,<br />
cui qualche decennio prima aveva fatto ricorso un anonimo patrocinatore di Pasquino: «lassa-<br />
294
… fecerunt Barberini.<br />
4. Sull’Officina, che il maestro parigino aveva tanto amorosamente attrezzato<br />
per la crescita umana e professionale dei suoi scolari del Collège de Navarre,<br />
Lando interviene con tagli che intaccano alla radice il requisito della completezza.<br />
Evidentemente per lo scrittore e per i suoi lettori l’abbondanza dei riferimenti<br />
non è più un valore. A un Tixier affetto da mania catalogatoria che affastella<br />
tutto l’elencabile, succede un Linneo ludico che dice di perseguire né più né meno<br />
che un gioco di società: «opera molto utile alla historia, et da cui prender si<br />
po materia di fauellare d’ogni proposito che ci occorra». Il patrimonio classico<br />
che a Parigi era censito come una riserva preziosissima di loci e di exempla da<br />
recuperare a fini retorici o parenetici o prosopografici, a Venezia viene manipolato<br />
senza nessun timore reverenziale. Da utilia a peregrina et curiosa. I Cathaloghi<br />
non cercano — né additano — né sapienza, né dottrina, né bellezza, ma<br />
si propongono appena poco più di uno spunto per la conversazione. 26 Se la Sferza<br />
aveva attaccato i libri e i loro autori (e i loro collezionisti, almeno i più acritici),<br />
i Cathaloghi ne minano il sistema dei contenuti. La partita del classicismo,<br />
almeno per Lando, è definitivamente chiusa. Siamo non solo al parricidio, ma<br />
alla contabilizzazione delle membra — ovviamente “disiecta” — paterne.<br />
Del resto a proporsi di ricostruire in tutti i passaggi — semplici o complessi<br />
che siano, noti o ignoti, certi o probabili o solo ipotetici — le serie davvero<br />
innumerabili delle tabelle alle quali si riduce la partita doppia che è — da sempre,<br />
e inevitabilmente — ogni opera di carattere enciclopedico, e catalografico<br />
in particolare, si corre il rischio di trasformarsi un po’ in notai. Comunque più in<br />
esattori che in critici. Forse è meglio rinunciare, sia pure pro tempore, a questa<br />
ricerca per li rami, e recuperare soprattutto l’habitus mentale dell’autore e del<br />
suo lettore, lasciandosi allettare per intanto dal collettore di interesse che è il<br />
titolo. Il “per chi”, insomma, alla cui indagine, accanto al “perché”, invitava<br />
Dionisotti proprio in materia di volgarizzamenti. 27<br />
Notando, in limine, che l’autore e il lettore dell’Officina hanno occhi diversi<br />
rispetto a quelli dell’autore e del lettore dei Cathaloghi. Abitano luoghi diversi;<br />
te star Pasquillo col malanno, / ché l’appiccar de’ versi nulla vale: / appiccate colui che ha<br />
fatto el male, / se volete purgar l’iniuria e ’l danno» (è la n° 224, vv. 1-4, delle Pasquinate<br />
romane del Cinquecento, a c. di Valerio Marucci, Antonio Marzo e Angelo Romano, pres. di<br />
Giovanni Aquilecchia, Roma, Salerno 1983).<br />
26 Un tratto non nuovo al prodotto giolitino degli anni Cinquanta; risultanze non difformi<br />
emergono per esempio dall’analisi degli apparati esegetici decameroniani (cfr. ROSANNA<br />
ALHAIQUE PETTINELLI, Vicende editoriali attorno a «Le cento novelle da Messor Vincenzo<br />
Brugiantino dette in ottava rima», in Scritture, di scritture. Testi; generi, modelli nel Rinascimento,<br />
a c. di Giancarlo Mazzacurati e Michel Plaisance, Roma, Bulzoni 1987, pp. 307-324,<br />
spec. pp. 310-311).<br />
27 Tradizione classica e volgarizzamenti, in ID., Geografia e storia della letteratura italiana,<br />
Torino, Einaudi 1967, pp. 125-178, a p. 134.<br />
295
Paolo Procaccioli<br />
usano il libro diversamente e da esso si aspettano cose diverse. Hanno naturalmente<br />
formazione, e quindi tenuta e interessi, lontanissimi se non proprio antitetici.<br />
Coltivano chi la solidità e chi la leggerezza dell’impianto; chi la completezza<br />
e l’austerità di enunciati da consultare atomisticamente, chi la valenza discorsiva,<br />
se non proprio narrativa, di una pagina da leggere più distesamente; chi ha<br />
il culto e chi invece (almeno così sembrerebbe) il fastidio per i luoghi poetici<br />
latini. Chi guarda alla scuola con occhio «servizievole», 28 e in essa trova le sue<br />
giustificazioni, 29 e chi alla leggerezza e mutevolezza d’interessi del pubblico<br />
cortigiano. Chi accumula un ampio corredo di dediche, introduzioni e premesse,<br />
e chi invece va sveltamente al dunque, salvo pagare di libro in libro lo scotto<br />
delle (ma quanto rapide, addirittura sbrigative) dediche.<br />
Non si tratta però solo di consuetudini. C’è di mezzo la giustificazione stessa<br />
dell’opera. Mentre l’Officina può contare su una tradizione che le dà senso pieno<br />
e che finalizza la massa delle informazioni che raccoglie, i Cathaloghi rinunciano<br />
a quella prospettiva (che è insieme d’uso e di interpretazione) e lasciano il<br />
lettore alle prese con un bagaglio sfuggente e frammentario. Il destino di questi<br />
ultimi è consapevolmente la chiacchiera, 30 cioè il consumo immediato; e il consumo<br />
non finalizzato, anzi antifinalistico. Lo sperpero consapevole contro la tesaurizzazione.<br />
Come richiedeva un pubblico superficiale e mutevole: «ho lasciato<br />
molti antichi, che per la memoria mi caminauano, et questo solo ho fatto per<br />
fuggire quella satietà che suole tanto dispiacere ai delicati lettori» (p. 228).<br />
La singolarità della prospettiva landiana è evidente sin dal titolo, che si<br />
distacca seccamente dalla galassia di titoli prodotti da questo ricco settore della<br />
cultura rinascimentale. 31 Una galassia quanto mai fantasiosa e differenziata, brillante<br />
di una luce propria che in più di un caso continua a arrivare fino a noi<br />
(Teatro, Piazza universale, Tipocosmia, Officina). Lando ha scelto invece un<br />
titolo neutro, quasi un non titolo; l’indicazione di un genere che altri — tutti gli<br />
altri — mascheravano invece con facciate di fortissimo impatto metaforico. 32<br />
28 Desumo l’aggettivo ancora da Dionisotti, che nel saggio cit. così caratterizza l’opera di<br />
Valerio Massimo (p. 139).<br />
29 Tixier infatti «fut avant tout professeur. Et c’est pour ses élèves qu’il écrivit tous ses<br />
ouvrages» (MIGNON, Jean Tixier, cit., p. 45).<br />
30 In qualche modo ricomponendo, con il recupero della dimensione orale, la frattura che,<br />
almeno secondo Ong, nella «tradizione dei luoghi comuni» era stata operata, in favore della<br />
visività, dalla scrittura e in particolare dalla stampa. Ma coll’avvertenza che, nonostante la<br />
suggestione dell’accostamento, si tratta di una coincidenza involontaria, dal momento che il<br />
bersaglio polemico di Lando è sempre, prima di tutto, ogni definizione statica e rassicurante.<br />
31 A proposito della quale, e non senza una qualche ragione, Bongi stigmatizzava la<br />
«smania di erudizione che nel cinquecento aveva invasa l’Italia» (Annali di Gabriel Giolito<br />
de’ Ferrari, cit., p. 253).<br />
32 Il titolo, in quanto garanzia della tenuta dell’impianto, era anche il luogo privilegiato<br />
296
… fecerunt Barberini.<br />
Ma la rinuncia era pericolosa. Lasciava a se stessa, alla sua nulla coesione tematica<br />
e scarsa tenuta discorsiva, una massa enorme di materiali ordinati senza<br />
nessun criterio evidente e tendenzialmente centrifughi. Né di certo poteva bastare<br />
allo scopo una dichiarazione tanto scontata, e proposta quasi en passant,<br />
come quella che si legge all’interno della voce Epitteto:<br />
fu gran Philosopho, et per esser zoppo fu annouerato fra i brutti da chi prese cura auanti a<br />
me; di raccogliere simili essempi; i quali recano molta luce alla intelligenza della storia (p. 15).<br />
Solo qualche decennio più tardi, e si sarebbe ricondotta l’operazione Cathaloghi<br />
più allo straniamento surreale di un panoptikon arcimboldesco che alla<br />
diligenza di un maestro ciceroniano.<br />
5. L’Officina propriamente intesa, cioè proposta e utilizzata come strumento<br />
di erudizione scolastica, continuò a vivere a lungo, e ne sono prova, oltre il<br />
numero delle edizioni, gli interventi che nel tempo la corressero 33 e la aggiornarono<br />
alle nuove esigenze. I Cathaloghi invece, mai più ristampati, sono frutto di<br />
una stagione ormai sufficientemente caratterizzata della cultura volgare, coincidente,<br />
con buona approssimazione, coi decenni centrali del Cinquecento, e<br />
segnata dai miti poetici della piacevolezza capricciosa, della rapidità, della novità<br />
dell’impianto, e, per quanto riguarda i temi, dal gusto del paradossale, quando<br />
non addirittura del futile, e del peregrino. 34 I campioni riconosciuti di questo<br />
della novità della prospettiva, e quindi responsabile dell’uso dell’opera stessa, al di là della<br />
messe dei debiti effettivamente contratti con i modelli precedenti. All’incirca quanto sostiene<br />
Castelvetro in un luogo della Poetica evidenziato da Raimondi e ormai d’obbligo negli studi<br />
sulle riscritture: «ora egli è vero, che non si dice cosa che non sia prima stata detta, se consideriamo<br />
di ciascuna cosa le prime parti e i primi elementi, de’ quali si compone e consiste<br />
ciascuna cosa. Ma se la consideriamo come un tutto, non è vero che ciascuna cosa sia prima<br />
stata detta. Altramente ci converrebbe dire che tutti i poemi fossero uno, li quali successivamente<br />
di tempo in tempo sono stati fatti» (cito da EZIO RAIMONDI, Gli scrupoli di un filologo:<br />
Ludovico Castelvetro e il Petrarca [1952], in ID., Rinascimento inquieto, Torino, Einaudi<br />
1994 [«nuova edizione»], p. 76).<br />
33 In particolare per quanto riguardava l’«ordinem confusum atque perturbatum», rimproveratole<br />
da Conrad Lycosthène, il suo revisore cinquecentesco, che si impegnò in un ordinamento<br />
dei capitoli in libri di argomento relativamente omogeneo, e, all’interno dei capitoli,<br />
delle voci in un ordine grosso modo cronologico. E questo, l’accusa di disordine, a confermare<br />
che un impianto ben ordinato e una successione rispondente a un principio insieme evidente<br />
e inequivoco, nei primi decenni del Cinquecento non erano la norma neanche nel territorio<br />
dei classicisti. Lando, da parte sua, non solo non era rimasto scandalizzato da quella libertà,<br />
ma l’aveva di certo apprezzata e contribuì a renderla più radicale.<br />
34 GEORG WEISE, ‘Maniera’ e ‘pellegrino’: due vocaboli prediletti dalla letteratura italiana<br />
dell’epoca del Manierismo, in Id., Il Rinascimento e la sua eredità, a c. di Pompeo<br />
297
Paolo Procaccioli<br />
particolare sbocco della sperimentazione letteraria sono Doni e Lando, sostenitori,<br />
su una linea che non nasconde le ascendenze erasmiano-lucianee, 35 di una<br />
visione, di una percezione e di un’utilizzazione frammentata e frammentaria del<br />
patrimonio classico, da censire senza alcuna ansia definitoria e da attraversare in<br />
tutte le direzioni e i livelli senza reverenze e preclusioni.<br />
Ora, parlare di plagio con riferimento a questi autori e alle loro opere, è conclusione<br />
legittima ma non risolutiva. Perché, almeno in questo caso, quella categoria<br />
risulta troppo limitativa. Sembra rispondere definitivamente al problema;<br />
in realtà non ne spiega le finalità né, spesso, le stesse modalità. Il plagio, va da<br />
sé, non è esclusiva di nessuna stagione letteraria e di nessuna cultura. La sua<br />
frequenza però è non dirò sospetta, ma forse per qualche aspetto significativa —<br />
cioè dotata di un suo proprio e particolare significato — per l’epoca e, più specificamente,<br />
anche per la relazione con gli autori dei quali soprattutto ci stiamo<br />
qui occupando. Autori che avevano un senso spiccatissimo dell’impianto, del<br />
ritmo discorsivo (e cioè, espressamente, di ‘chiacchiera’) dell’opera. E sembrano<br />
dedicarsi se non esclusivamente di certo prevalentemente a quell’aspetto, cui<br />
riconoscevano una priorità assoluta sulle tematiche e sullo stesso lessico. Lì, a<br />
quel livello, vanno cercate, credo, le ragioni di opere quali i Paradossi, i Mondi,<br />
la Zucca. A quella zona della scrittura finiscono per ricondurre inevitabilmente<br />
gli esiti cui sono pervenute opere come le due Librarie e i Cathaloghi.<br />
Il plagio insomma si rivela alla fine una categoria ermeneutica che può risultare<br />
inadeguata, per lo meno parziale e fuorviante, se non è usata con i distinguo<br />
e le precisazioni del caso. Non è il punto d’avvio della lettura, semmai una premessa<br />
a sua volta tutta da interpretare. Il complesso rapporto di Lando con le<br />
sue opere non è riducibile a un sia pur neutro tentativo di discriminazione tra<br />
proprio e altrui, come richiede la definizione di un’operazione plagiaria. Lando<br />
lavora soprattutto a livello di assetto complessivo, di prospettiva generalissima:<br />
più che il censimento dei nomi classici (che desume da Tixier) gli interessa il<br />
discorso sul loro uso (che non può essere più lontano da quello del nivernese).<br />
Quasi, e l’analogia di comportamento con Doni anche qui è fortissima, a livello<br />
del solo titolo.<br />
Esemplifico. Diciamo Paradossi, e abbiamo attinto al luogo primario della<br />
creatività e dell’invenzione di Lando. Il materiale che poi è accumulato può<br />
essere meccanicamente di risulta. Non è lì che si gioca (o si compromette) né la<br />
tenuta né il senso dell’opera. Diciamo ancora Cathaloghi, e definiamo il territorio<br />
d’azione del virtuoso pronto a sfidare tutta la cultura antica e moderna sub<br />
Giannantonio e Francesco Pugliese-Carratelli, Napoli, Liguori 1969, pp. 397-487, in partic.<br />
pp. 457-487.<br />
35 Di un Erasmo tra l’altro esso stesso appassionato collettore di «sparsa fragmenta» classici,<br />
come sottolinea utilmente ONG (Rapsodie tipografiche, cit., p. 197, n. 8).<br />
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… fecerunt Barberini.<br />
specie elenchorum. Potremmo ancora dire Cicero relegatus, Commentario, Sferza:<br />
la novità è nel titolo, cioè nella prospettiva, e anzi tanto essa risalta e si afferma<br />
quanto più i materiali accumulati sono riconoscibili, e quanto più appare<br />
evidente la loro de-viazione. Cosa di meglio, date queste premesse, che confrontarsi<br />
— materialmente, rifacendola — con un’opera di prestigio e autorità indubbi?<br />
È la scorciatoia di un solitario, per di più restio alla sola ipotesi di una<br />
battaglia frontale, che s’insinua furtivamente — come da copione: siamo o no in<br />
persona di plagiario? —, e con gli scopi ben noti (quelli del cuculo), nel territorio<br />
altrui. Il rifacimento dell’Officina è — sembra — l’ennesima occasione di un<br />
rapporto mai diretto e esplicito col libro e il suo lettore. Di una partita — mi<br />
rendo conto di insistere troppo sulla terminologia ludica, ma il fatto è che non<br />
riesco a immaginare altri parametri che diano conto della sfuggevolezza di<br />
fondo della figura e della scrittura di Lando — giocata costantemente al rialzo,<br />
che comporta, come regola fondamentale, la mascherazione sempre rinnovata<br />
dell’autore e l’allusività costante del testo.<br />
I Cathaloghi sono, in buona sostanza (e quasi sicuramente al di là delle intenzioni<br />
del committente), una lettura critica del classicismo accademico rappresentato<br />
dall’Officina. La pietra antica, o lo stesso edificio (ché in tali termini<br />
bisogna oggettivamente parlare a proposito dei Cathaloghi), vengono sì riproposti,<br />
ma con una ricollocazione (una traduzione da una cultura a un’altra) che<br />
comporta un cambio di destinazione. Da simboli del passato diventano presenze<br />
del moderno. Il nuovo approdo è inequivoco, e rispetto all’uso originario non<br />
poteva essere più riduttivo; e anzi, per aspetti non secondari, addirittura dissacratorio.<br />
Secondo quanto imponeva il nuovo verbo dello scrittore, almeno quello<br />
dominante dopo il soggiorno lionese. Cioè dopo che il transfuga milanese aveva<br />
bagnato nel Rodano i panni del ciceroniano e vestiti quelli dell’erasmiano.<br />
Senza negarsi alla suggestione dell’idolo locale del momento, Rabelais (tra l’altro<br />
esso stesso noto cultore di cataloghi). 36<br />
36 L’accostamento Lando-Rabelais, proprio in materia di cataloghi (ma senza l’indispensabile<br />
riferimento all’Officina), è stato proposto da Marcel Tetel in Rabelais et l’Italie,<br />
Firenze, Olschki, 1969, pp. 26-31.<br />
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