Attori non statali, uso della forza e legittima difesa nella ...

1. approFondimenTi
Attori non statali, uso della forza e legittima difesa
nella giurisprudenza più recente della Corte Internazionale di Giustizia
Sommario: 1. La questione dell’uso della forza innanzi alla Corte Internazionale di Giustizia. –
2. Definizione del campo di indagine: aspetti riguardanti l’uso della forza e attori non statali
nella giurisprudenza della Corte. – 3. L’assistenza a gruppi ribelli o sovversivi come violazione
indiretta del divieto dell’uso della forza. – 4. Assistenza ai ribelli e attacco armato indiretto –
5. La questione della liceità di reazioni armate short of Article 51. – 6. La legittima difesa contro
attori non statali. – 7. Considerazioni conclusive.
1. Nel corso degli ultimi anni, si è assistito ad un incremento del numero
dei casi deferiti alla Corte Internazionale di Giustizia, o di reclami presentati
nel loro ambito, aventi ad oggetto la liceità del ricorso alla forza armata. Dopo
la sentenza del 27 giugno 1986 relativa all’affare delle Attività militari e paramilitari
in Nicaragua e contro di esso (Nicaragua c. Stati Uniti), che rappresenta il
primo caso sottoposto alla Corte complessivamente vertente sull’uso della forza,
il massimo organo giurisdizionale delle Nazioni Unite ha quindi avuto modo
di pronunciarsi su importanti aspetti attinenti la disciplina dell’uso della forza,
peraltro non solo in sede contenziosa 1 , ma anche nell'esercizio della propria
1 Sentenza del 9 aprile 1949 relativa all’affare concernente lo Stretto di Corfù (Regno Unito c. Albania);
sentenza del 24 maggio 1980 nell’affare del Personale diplomatico e consolare ostaggio a Tehran
(Stati Uniti c. Iran); ordinanze sulle misure provvisorie del 13 settembre 1993 e del 16 aprile 1993
relative all’affare concernente l’Applicazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del
crimine di genocidio (Bosnia-Erzegovina c. RFJ), su cui la Corte ha accertato la propria giurisdizione
con sentenza dell’11 luglio 1996; ordinanze sulle misure provvisorie del 2 giugno 1999 negli affari
concernenti la Legalità dell’uso della forza (RFJ c. Belgio), (RFJ c. Canada), (RFJ c. Francia), (RFJ c.
Germania), (RFJ c. Italia), (RFJ c. Paesi Bassi), (RFJ c. Portogallo), (RFJ c. Spagna), (RFJ c. Regno
Unito), (RFJ c. Stati Uniti) su cui la Corte ha accertato di non avere giurisdizione con le stesse ordinanze
o con sentenze del 15 dicembre 2004; ordinanze sulle misure cautelari del 1° luglio 2000
relativa all’affare delle Attività armate nel territorio del Congo (Congo c. Uganda) e del 10 luglio 2002
relativa all’affare delle Attività armate nel territorio del Congo (nuova domanda 2002)(Congo c. Ruanda),
su cui la Corte ha rilevato l’insussistenza della propria giurisdizione con sentenza del 3 febbraio

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competenza consultiva 2 . Accanto al dato indubbiamente positivo rappresentato
dall’accresciuta propensione degli Stati a sottoporre ad accertamento giurisdizionale
anche controversie attinenti all’uso della forza – e quindi ad un superamento
dell’eccezione basata sulla politicità delle controversie sorte in relazione
ad eventi militari o bellici 3 e sulla inidoneità del regolamento giudiziale quale
mezzo per la loro composizione 4 – in una prospettiva meno ottimistica il nu-
2006; sentenza del 6 novembre 2003 relativa all’affare delle Piattaforme petrolifere (Iran c. Stati Uniti
d’America); sentenza del 19 dicembre 2005 relativa all’affare delle Attività armate nel territorio del
Congo (Congo c. Uganda).
Toccano, o hanno implicato, questioni inerenti la forza armata internazionale i seguenti ulteriori
casi deferiti alla Corte: affari concernenti le Attività armate sul territorio del Congo (Congo c. Burundi)
e (Congo c. Ruanda), cancellati dal ruolo con ordinanze del 31 gennaio 2002; affare dell’Incidente
aereo del 10 agosto 1999 (Pakistan c. India), su cui la Corte ha concluso di non avere giurisdizione con
sentenza del 21 giugno 2000; sentenza del 4 dicembre 1998 nell’affare concernente la Competenza
in materia di pescherie (Spagna c. Canada); affare concernente l’Applicazione della Convenzione sulla
prevenzione e repressione del crimine di genocidio (Bosnia Erzegovina c. Croazia); affari relativi alle
Attività armate frontaliere e transfrontaliere (Nicaragua c. Honduras) e alle Attività armate frontaliere
e transfrontaliere (Nicaragua c. Costa Rica), i cui relativi processi, istituiti il 28 luglio 1986 sono stati
cancellati su richiesta del Nicaragua con ordinanze rispettivamente del 19 agosto 1987 e del 27
maggio 1992.
2 Parere dell’8 luglio 1996 sulla Liceità dell’uso delle armi nucleari in un conflitto armato e parere
del 9 luglio 2004 sulle Conseguenze giuridiche derivanti dalla costruzione del muro nei territori palestinesi
occupati.
3 Si pensi all’argomento avanzato dagli Stati Uniti nella contromemoria sulla giurisdizione e
la ricevibilità in margine all’affare delle Attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro di esso,
secondo cui “a claim on unlawful use of armed force is a matter committed by the United Nations
Charter and by practice to the exclusive competence of other organs, in particular the Security
Council”; e “an ongoing armed conflict involving the use of armed force contrary to the Charter is
one with which a court cannot deal effectively without overstepping proper judicial bound” (in I.C.J,
Reports, 1986, par. 32, p. 26). Nello stesso senso, gli Stati Uniti avevano sostenuto, nel corso del procedimento,
che una determinazione sulla legittima difesa collettiva invocata dallo Stato ricorrente
“involves a pronouncement on political and military matters, not a question of a kind that a court
can usefully attempt to answer” (ibidem, par. 34, p. 27).
4 Tale convinzione trova riflesso nelle riserve concernenti controversie sorte in relazione ad
eventi bellici o conflitti armati, un tempo molto frequenti nei titoli di giurisdizione e attualmente
incluse in 10 delle 66 dichiarazioni di accettazione della giurisdizione obbligatoria della Corte in
vigore, di cui la più recente, inserita nella dichiarazione di Gibuti del 2 settembre 2005, si riferisce
alle controversie “relating to or connected with facts or situations of hostilities, armed conflicts,
individual or collective actions taken in self-defence, resistance to aggression, fulfilment of obligations
imposed by international bodies and other similar or related acts, measures or situations
in which the Republic of Djibouti is, has been or may in future be involved”, in http://www.icj-cij.
org/icjwww/ibasicdocuments/ibasictext/ibasicdeclarations.htm.

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mero delle controversie sottoposte alla Corte sembra rispecchiare altresì la crisi
in cui la disciplina internazionale dell’uso della forza si è trovata negli ultimi
anni, sia a seguito dell’esplodere di conflitti locali e regionali congelati, all’epoca
della Guerra fredda 5 , dalla logica dei blocchi contrapposti, sia dalla tendenza da
parte di taluni Stati, in primis gli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre
2001, a ricorrere unilateralmente alla forza armata al di fuori del sistema di sicurezza
collettiva delle Nazioni Unite e dei parametri tradizionali che connotano
l’istituto della legittima difesa, nel contesto della guerra contro il terrorismo e in
nome della sicurezza nazionale.
Vale la pena rilevare che, complessivamente, tale stato di cose sembra aver
suscitato l’esigenza, talvolta esplicitamente sottolineata dalla Corte e/o da singoli
giudici, talvolta palesata dall’approccio metodologico utilizzato nell’esame delle
cause e nelle scelte argomentative operate – e manifestata dapprima in sede di
esame di richieste di misure provvisorie, poi anche di pronuncia sul merito – di
non esimersi dall’apportare un contributo giurisprudenziale ogni qual volta siano
in causa questioni implicanti l’uso della forza, specie rispetto a situazioni di
conflitto armato caratterizzate da gravi violazioni dei diritti umani e del diritto
internazionale umanitario, se non addirittura di cogliere quante più occasioni possibili
per pronunciarsi in materia di disciplina del ricorso alla forza, per ribadire o
precisare la perdurante validità ed i confini della normativa pertinente.
A tale proposito, rileva in primo luogo l’ormai noto, per quanto breve, passo
contenuto nelle ordinanze del 2 giugno 1999 relative agli affari concernenti la
Legalità dell’uso della forza, sollevati dalla Repubblica Federale Jugoslava (RFJ)
contro dieci Stati membri della NATO, in cui la Corte, pur rilevando di non
avere giurisdizione prima facie ai fini dell’indicazione di misure cautelari in otto
dei dieci casi ad essa deferiti, e accertando l’assenza manifesta di giurisdizione
nelle controversie con la Spagna e gli Stati Uniti, si è dichiarata “profoundly concerned
with the use of force in Yugoslavia”, osservando che “under the present
circumstances such use raises very serious issues of international law” 6 . Anche
nell’ordinanza del 10 luglio 2002 relativa all’affare delle Attività armate sul territorio
del Congo (Congo c. Ruanda) 7 , la Corte ha respinto la richiesta di misure
5 Si pensi ai casi giunti innanzi alla Corte concernenti le varie fasi del conflitto nella ex Jugoslavia
o ai vari conflitti armati nel continente africano.
6 Si veda, per tutte, l’ordinanza del 2 giugno 1999 relativa all’affare della Liceità dell’uso della forza
(RFJ c. Belgio), par. 16, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iybe/iybeframe.htm.
7 In http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/icrw/icrworder/icrw_iorders_20020710.PDF, specie
parr. 54-56 e 93.

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cautelari, ma non ha mancato di esprimere la sua preoccupazione rispetto alla
gravità della situazione, dichiarando anzi di ritenere necessario “to emphasize that
all parties to proceedings before it must act in conformity with their obligations
pursuant to the United Nations Charter and other rules of international law…” 8 .
Mentre nella precedente ordinanza del 1° luglio 2000 relativa all’affare parallelo
delle Attività armate sul territorio del Congo (Congo c. Uganda) 9 , la Corte aveva
ritenuto opportuno non esimersi dall’esercitare il proprio potere di indicazione
di misure provvisorie, a prescindere dalla sussistenza della giurisdizione nel merito,
per richiamare le parti al rispetto di princìpi e regole fondamentali, impedire
l’aggravarsi di una situazione caratterizzata da grave sofferenza della popolazione
nelle zone di conflitto, e contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale.
Nei casi citati, il contegno della Corte è stato variamente commentato da alcuni
giudici, in senso critico o favorevole, talché si palesa un dibattito in seno allo stesso
organo circa la politica giudiziaria opportuna di fronte a situazioni implicanti serie
questioni di uso della forza 10 . Negli affari concernenti la Legalità dell’uso della forza,
vale la pena ricordare la posizione del giudice Vereshchetin, secondo il quale la
Corte, in qualità di “guardiana del diritto internazionale” – come tale responsabile
“for the safeguarding of international law” – ed in base a “major considerations
of public order”, avrebbe dovuto esercitare il suo “inherent power … to call upon
the Parties neither to aggravate nor to extend the conflict and to act in accordance
with their obligations under the Charter of the United Nations” 11 . Anche la
8 Cfr. par. 56 dell’ordinanza.
9 In http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/ico/ico_orders/iCO_iOrder_20000701.htm, soprattutto
par. 42 dell’ordinanza.
10 Di un dibattito in tal senso in seno alla Corte parla anche GaTTini a., La legittima difesa nel
nuovo secolo: la sentenza della Corte internazionale di giustizia nell’affare delle piattaforme petrolifere, in
Rivista di diritto internazionale, 2004, pp. 147-170.
11 Dichiarazione annessa alle ordinanze sulle misure cautelari del 2 giugno 1999 relative agli affari
concernenti la Legalità dell’uso della forza (RFJ c. Stati Uniti), (RFJ c. Spagna), (RFJ c. Germania),
(RFJ c. Italia), (RFJ c. Francia), (RFJ c. Regno Unito), in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iyfr/
iyfrorders/iyfr_iorder_opinions_19990602/iyfr_iorder_19990602_Vereschetin.htm e opinione dissidente
annessa alle ordinanze relative a Canada, Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, in http://www.icj-cij.
org/icjwww/idocket/iyca/iycaorders/iyca_iorder_19990602_opinions/iyca_iorder_19990602_Vereshchetin.htm;
simili le posizioni del giudice Shi nella dichiarazione annessa alle ordinanze sulle misure
cautelari del 2 giugno 1999 relative agli affari concernenti la Legalità dell’uso della forza (RFJ c. Stati
Uniti), (RFJ c. Spagna), (RFJ c. Germania), (RFJ c. Italia), (RFJ c. Francia), (RFJ c. Regno Unito) e
nell’opinione dissidente annessa alle ordinanze nei casi analoghi contro Belgio, Canada, Paesi Bassi,

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pronuncia della Corte nell’ordinanza del 2002 relativa all’affare delle Attività armate
sul territorio del Congo (Congo c. Ruanda) è stata giudicata carente da quanti,
data la gravità e l’urgenza della situazione, ritenevano opportuno un più deciso
intervento attraverso l’indicazione di misure cautelari 12 , senza sfuggire d’altro
canto alle critiche di quanti per converso, hanno giudicato quella stessa pronuncia
inappropriata in quanto non supportata dall’esistenza della necessaria competenza
giurisdizionale nel caso di specie 13 .
Tra le decisioni di merito, emblematica della convinzione dell’organo di dover
fornire il proprio contributo in materia di uso della forza ove possibile è la sentenza
del 6 novembre 2003 relativa all’affare delle Piattaforme petrolifere (Iran c. Stati
Uniti), nella quale la Corte, come è noto, constatando che “the self-defence issues
presented in this case raise matters of the highest importance to all members of
the international community” 14 , ha optato per un approccio analitico che ha dato
priorità ad un aspetto del reclamo, concernente la liceità delle azioni attuate dagli
Stati Uniti contro talune istallazioni petrolifere iraniane alla luce delle norme sulla
legittima difesa, che poteva essere considerato accessorio rispetto all’oggetto della
controversia come configurato nella requête presentata dall’Iran, ovvero la presunta
violazione, mediante quelle stesse azioni, della libertà di commercio sancita dall’art.
X del Trattato bilaterale di amicizia, commercio e navigazione del 1955.
Portogallo, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iyfr/iyfrorders/iyfr_iorder_opinions_19990602/
iyfr_iorder_19990602_Shi.htm; e del giudice Koroma, tuttavia meno critico nella sua dichiarazione
annessa alle dieci ordinanze, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iyfr/iyfrorders/iyfr_iorder_opi
nions_19990602/iyfr_iorder_19990602_Koroma.htm.
12 In tal senso si sono espressi il giudice Elaraby nella dichiarazione annessa all’ordinanza, in
http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/icrw/icrworder/icrw_iorders_20020710_elaraby.PDF, e nella
sua opinione individuale il giudice Mavungu, il quale ha constatato che “L’indication de mesures
conservatoires s’impose, en tout cas devrait s’imposer, lorsqu’il y a une situation de belligérance
ou lorsqu’il y a des violations graves des droits de l’homme et du droit international humanitaire”,
par. 79, p. 19 dell’opinione, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/icrw/icrworder/icrw_iorders_
20020710_mavungu_french.PDF; il giudice Koroma nella sua dichiarazione annessa all’ordinanza
ha invece elogiato la Corte per non aver mancato di pronunciarsi, attraverso obiter dicta, nonostante
l’impossibilità di indicare misure provvisorie, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/icrw/icrwor
der/icrw_iorders_20020710_koroma.PDF.
13 Molto critico in tal senso il giudice Buerghental nella sua dichiarazione annessa all’ordinanza,
in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/icrw/icrworder/icrw_iorders_20020710_buergenthal.PDF.
14 Sentenza del 6 novembre 2003 relativa all’affare delle Piattaforme petrolifere (Iran c. Stati
Uniti), par. 38, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iop/iopjudgment/iop_ijudgment_20031106.
PDF.

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Anche in questo caso il contegno della Corte, poi ampiamente dibattuto in
dottrina, è stato oggetto di valutazioni divergenti dei membri del collegio giudicante.
Mentre cinque giudici 15 , nelle loro opinioni individuali, hanno contestato
l’iter logico-analitico seguito nella sentenza, altri 16 hanno giustificato o apprezzato
la scelta metodologica operata dalla Corte, taluni addirittura lamentando un’eccessiva
prudenza e inappropriato self-restraint che l’organo avrebbe dimostrato
nello statuire sui capisaldi del regime giuridico dell’uso della forza 17 .
2. Il presente lavoro si propone di ricostruire la giurisprudenza della Corte in
materia di uso della forza, limitatamente a talune questioni che risultano particolarmente
attuali in relazione a dinamiche internazionali contemporanee caratterizzate
da conflitti che, accanto agli Stati, vedono sempre più come protagonisti
attori non statali (gruppi irregolari, movimenti ribelli, organizzazioni terroristiche),
e sulle quali il massimo organo giurisdizionale delle Nazioni Unite ha fornito
contributi recenti, sviluppando e aggiornando la sua giurisprudenza.
L’esame ripercorrerà quindi le pronunce sulle forme di violazione indiretta del
divieto di ricorso alla forza, per poi ricostruire l’orientamento della Corte e di singoli
giudici sulla nozione di attacco armato indiretto e sull’esistenza e le condizioni
del diritto alla legittima difesa in tali casi, ed affrontare infine la problematica
ulteriore della violazione del divieto di uso della forza non imputabile ad alcuno
Stato, e delle reazioni ad essa consentite.
3. La questione della responsabilità di uno Stato per violazione del divieto
di ricorso alla forza mediante l’assistenza fornita a movimenti ribelli o gruppi
terroristici, è, dopo l’affare Nicaragua, al cuore della controversia tra Repubblica
Democratica del Congo (RDC) e Uganda relativa alle Attività armate sul territorio
del Congo (Congo c. Uganda), decisa dalla Corte con sentenza del 19 dicembre
2005 18 . Il Congo, Stato attore, aveva chiesto alla Corte di accertare e dichiarare
la responsabilità dell’Uganda, tra l’altro, per aver violato il principio del non uso
della forza nelle relazioni internazionali, incluso il divieto di aggressione, sia
15 Cfr. le opinioni individuali dei giudici Higgins, Parra-Aranguren, Kooijmans, Buergenthal,
Owada, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iop/iopframe.htm.
16 Dichiarazione del giudice Koroma; opinione dissidente del giudice Al-Khasawneh; opinione
dissidente del giudice Elaraby; opinione individuale del giudice Simma; opinione individuale del
giudice Rigaux. I cinque giudici hanno tutti sottolineato il carattere imperativo o di jus cogens della
norma che vieta l’uso della forza, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iop/iopframe.htm.
17 In tal senso soprattutto il giudice Simma, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iop/iopjud
gment/iop_ijudgment_20031106_simma.PDF, parr. 6-8, pp. 1, 3 e 4 dell’opinione individuale.
18 In http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/ico/icoframe.htm.

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occupando il proprio territorio 19 , sia “actively extending military, logistic, economic
and financial support to irregular forces having operated there”, in particolare
al Movimento di Liberazione del Congo (MLC) e al suo braccio armato,
l’Armata di liberazione del Congo (ALC), nonché al Rassemblement Congolais
pour la Démocratie (RCD). L’Uganda ammetteva di aver fornito addestramento
e supporto militare ai ribelli congolesi, ma nel rispetto dei requisiti per l’esercizio
della legittima difesa, in base alla quale giustificava complessivamente il proprio
intervento 20 .
Dopo aver rilevato che non vi fossero i presupposti per l’esercizio della legittima
difesa da parte dell’Uganda, la Corte ha accertato che il sostegno militare prestato
da tale Stato non configurasse tuttavia il MLC come un organo dell’Uganda,
né come un’entità che esercitasse per suo conto elementi di autorità governativa,
né agente “su istruzioni o sotto la direzione o il controllo” dell’Uganda, ai sensi
degli articoli 4, 5 e 8 del Progetto di articoli della Commissione di diritto internazionale
del 2001 sulla responsabilità degli Stati per fatto illecito, e che quindi
non si ponesse nel caso di specie il problema di verificare l’esistenza di un sufficiente
grado di controllo da parte dello Stato sui gruppi paramilitari 21 . Citando la
sentenza Nicaragua, la Corte ha tuttavia concluso che, fornendo addestramento e
supporto militare all’ALC, anche se “for reason of its perceived security needs” 22 ,
l’Uganda avesse comunque violato gli obblighi derivanti dai princìpi che vietano
l’uso della forza e il non-intervento negli affari interni, come sanciti dalla Dichiarazione
sui princìpi di diritto internazionale relativi alle relazioni amichevoli e alla
cooperazione fra Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite annessa alla
risoluzione dell’Assemblea Generale n. 2625 (XX) del 24 ottobre 1970, le cui disposizioni
sono di nuovo qualificate come “declaratory of customary international
law” 23 .
19 Rispetto a tale reclamo, la Corte ha accertato che l’intervento militare condotto dall’esercito
ugandese nella zona nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo a partire dall’agosto
1998, e a seguito del quale lo Stato convenuto ha conquistato numerose località, tanto da divenire,
secondo la Corte, “Potenza Occupante” della provincia dell’Ituri, costituisse una “grave violazione
del divieto di uso della forza espresso nell’articolo 2, par. 4, della Carta” (par. 153, p. 54, e par. 165, p.
57). Pur non qualificando espressamente come “aggressione” gli attacchi dell’esercito ugandese, e per
questo criticata nella sua opinione individuale del giudice Elaraby, la Corte ha tuttavia ritenuto che
fossero tali da giustificare una reazione in legittima difesa da parte della RDC (par. 304, p. 92).
20 Cfr. par. 41, p. 30.
21 Cfr. par. 160, p. 56.
22 Cfr. par. 163, p. 56.
23 Cfr. par. 162, p. 56. Come è noto, nella sentenza Nicaragua del 1986 la Corte aveva affermato

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Inoltre, nella trattazione del primo contro-reclamo presentato dall’Uganda, in
cui tale Stato aveva chiesto alla Corte di accertare la responsabilità della RDC
per aver violato quanto meno il suo obbligo di vigilanza, tollerando la presenza di
ribelli anti-ugandesi sul suo territorio, la Corte ha notato che “this is a different
issue from the question of active support for the rebels”, sottolineando come la
Dichiarazione sulle relazioni amichevoli del 1970 vieti agli Stati l’acquiescenza o
la tolleranza di attività organizzate nel proprio territorio dirette alla commissione
di atti di terrorismo o di lotta civile 24 , e quindi qualcosa di diverso dalla mera
incapacità di un governo di porvi termine.
Rispetto alle attività condotte dai ribelli anti-ugandesi nel periodo tra il 1994
e il 1997, la Corte ha quindi rilevato di non essere in grado di concludere che l’assenza
di azione contro quei gruppi da parte del governo dello Zaire (oggi RDC)
nell’area di confine con l’Uganda fosse “tantamount to ‘tolerating’ or ‘acquiescing’
in their activities”, risultando piuttosto che quella regione sfuggisse completamente
al controllo del governo centrale 25 .
Secondo la Corte, dunque, uno Stato non può essere ritenuto responsabile di
una violazione del divieto di uso della forza, neppure indiretta e minoris generis,
per azioni condotte da gruppi ribelli stanziati sul suo territorio, ma che sfuggono
al suo potere d’imperio.
In seno al collegio giudicante, tale posizione è stata contestata dai giudici
Tomka e Kateka, rispettivamente nella dichiarazione e nell’opinione dissidente
annesse alla sentenza. Tomka ha criticato la Corte, con un’argomentazione che
appare condivisibile, per non aver valutato se l’incapacità di controllo del governo
centrale nei confronti dei gruppi ribelli fosse o meno il risultato della mancan-
la corrispondenza al diritto consuetudinario della Dichiarazione del 1970 considerandone le modalità
di adozione come prova di un’opinio juris degli Stati circa il valore vincolante delle statuizioni in
essa contenute, suscitando tuttavia la critica del giudice Ago, espressa nella sua opinione individuale
annessa alla sentenza (in I.C.J. Reports, 1986, par. 7, p. 184).
24 Per quanto noto, ci sembra utile ricordare come nella sentenza Nicaragua la Corte, facendo
appunto riferimento alla Dichiarazione n. 2625 del 1970, abbia per la prima volta sottolineato la
distinzione tra le forme più gravi di uso della forza, costitutive di un attacco armato, e altre forme
meno gravi, tra cui “l’organizzazione o l’incoraggiamento dell’organizzazione di forze irregolari o
bande armate, inclusi mercenari, per incursioni nei territori di un altro Stato”, e “l’organizzazione,
istigazione, assistenza o partecipazione in atti di lotta civile o atti terroristici in un altro Stato, o l’acquiescenza
o tolleranza nei confronti di attività organizzate all’interno del proprio territorio dirette
alla commissione di tali atti, quando questi ultimi implicano l’uso della forza” (in I.C.J. Reports, 1986,
par. 191, p. 101, corsivo nostro anche nel testo).
25 Cfr. parr. 300-301 della sentenza Congo c. Uganda del 19 dicembre 2005, p. 91.

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za del dovuto grado di diligenza, ritenendo che in caso positivo il contegno del
Congo sarebbe equivalso ad acquiescenza o tolleranza dei gruppi stessi. Secondo
il giudice, l’assenza o incapacità di controllo da parte del governo centrale su
talune porzioni di territorio statale non solleva dal dovere di vigilanza lo Stato
territoriale, che, al contrario, è comunque tenuto ad adottare le misure necessarie
per impedire che il suo territorio venga utilizzato da gruppi irregolari per attività
sovversive o terroriste contro altri Stati. Nel caso di specie, secondo il giudice la
RDC risultava responsabile per aver di fatto tollerato, a causa della sua inerzia e
carenza di autorità, le attività dei ribelli anti-ugandesi al confine con l’Uganda 26 .
Anche il giudice ad hoc Kateka ha sostenuto che l’incapacità del governo del
Congo di controllare i ribelli anti-ugandesi lo rendesse quantomeno responsabile
di un intervento illecito, in violazione del dovere di ogni Stato di astenersi dall’organizzare
o incoraggiare l’organizzazione di forze irregolari e bande armate per
compiere incursioni sul territorio di un altro Stato 27 , e quindi di una violazione
indiretta, minoris generis, del divieto di ricorso alla forza.
Nel complesso, la giurisprudenza della Corte relativa alla distinzione tra forme
più e meno gravi di uso della forza, riconducibile essenzialmente alle citate
sentenze Nicaragua e Congo c. Uganda, suggerisce che l’uso indiretto della forza
comporta necessariamente la qualificazione come “minoris generis” della violazione
con esso perpetrata, nel senso che dalla non imputabilità ad uno Stato di azioni
violente di gruppi ribelli o terroristi consegue che lo Stato implicato in quelle
azioni, attraverso un’assistenza più o meno determinante, possa essere ritenuto
responsabile solo di una forma meno grave di violazione del divieto di ricorso alla
forza, ma non anche di un “attacco armato” ai fini del ricorso alla legittima difesa,
a prescindere dall’entità e gravità delle azioni medesime. Il dato rilevante della
sentenza del 19 dicembre 2005 è che tale posizione, oggetto di critiche da parte
della dottrina sin dal caso Nicaragua, è stata tuttavia confermata e ribadita dalla
Corte 28 .
4. Ed è appunto sulla nozione di attacco armato, specie in forma “indiretta”,
che è opportuno soffermarsi ora.
26 Dichiarazione del giudice Tomka, parr. 4-5, p. 2, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/ico/
icoframe.htm.
27 Opinione dissidente del giudice Kateka, par. 37, p. 9, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idoc
ket/ico/icoframe.htm.
28 Cfr. le osservazioni critiche di SciSo e., Legittima difesa ed aggressione indiretta secondo la
Corte Internazionale di Giustizia, in Rivista di diritto internazionale, 1987, pp. 627-640, specie pp.
631-634.

In.Law | 4 (2006) | 165
Partendo ancora dalla sentenza Nicaragua, ricordiamo che la Corte, dopo aver
constatato in generale, con un’osservazione che sembra oggi poco attuale, l’esistenza
di un consenso tra gli Stati circa la natura degli atti che possono essere
considerati costitutivi di un attacco armato, ha dichiarato nello specifico di ritenere
generalmente riconosciuto e accettato che un attacco possa essere attuato
non solo mediante forze armate regolari che oltrepassino un confine internazionale,
ma anche con l’invio, da o per conto di uno Stato, di bande armate, gruppi,
irregolari o mercenari, che compiano atti di forza armata contro un altro Stato
di tale gravità da equivalere ad un attacco armato condotto da forze regolari, o
il suo sostanziale coinvolgimento in tali azioni, ai sensi dell’articolo 3, lett. g),
della Definizione di aggressione del 1974 annessa alla risoluzione 3314 (XXIX)
dell’Assemblea Generale, ritenuta anche questa corrispondente al diritto internazionale
consuetudinario. Secondo la Corte non vi sarebbe alcun motivo per negare
che, nel diritto internazionale consuetudinario, il divieto di attacchi armati possa
applicarsi all’invio da parte di uno Stato di bande armate nel territorio di un altro
Stato, se tale operazione, a causa della sua portata e dei suoi effetti, sarebbe stata
qualificata come un attacco armato piuttosto che come un semplice incidente di
frontiera qualora fosse stato condotto da forze armate regolari 29 .
La Corte ha quindi individuato due condizioni che devono verificarsi perché
uno Stato possa essere ritenuto responsabile di un attacco armato “indiretto” 30 : un
“coinvolgimento sostanziale” dello Stato nelle azioni armate condotte da ribelli o
irregolari, qualora questi non possano dirsi direttamente “inviati” dallo Stato medesimo;
e una certa soglia di gravità di quelle azioni.
La prima condizione richiede che siano precisati i criteri in base ai quali qualificare
come “sostanziale” il coinvolgimento di uno Stato nelle azioni di gruppi irregolari
o ribelli. Nella sentenza Nicaragua la Corte, come si ricorda, ha ritenuto che
non raggiungesse la soglia di un coinvolgimento sostanziale, e non configurasse
pertanto l’ipotesi dell’aggressione armata indiretta – potendosi considerare al più
quale minaccia o uso della forza – un intervento realizzato attraverso la “fornitura
di armi, o supporto logistico o di altro genere” 31 . Perché si dia un attacco armato
29 Cfr. par. 195, p. 103.
30 Pur essendo il punto controverso in dottrina (cfr. randelzhoFer a., Article 2 (4), in Simma
B. (Ed.), The Charter of the United Nations. A Commentary, Oxford, 2002, p. 119), il termine
viene inteso in tale sede nel senso di indicare un attacco armato di cui uno Stato può essere ritenuto
responsabile ai fini di una reazione in legittima difesa, seppure non condotto mediante forze armate
regolari.
31 Cfr. par. 195, p. 104.

166 | In.Law | 4 (2006)
indiretto parrebbe quindi necessario un coinvolgimento qualitativamente diverso,
implicante la pianificazione e la direzione delle operazioni dei gruppi irregolari,
ovvero una condizione in cui le bande risultano in pratica agenti su istruzioni o
sotto il controllo dello Stato. In tal senso, il coinvolgimento sostanziale coincide
con quella forma di “controllo diretto ed effettivo”, rilevato dalla Corte da parte
degli Stati Uniti nei confronti degli UCLAs ma non dei Contras, e ritenuto necessario
per imputare allo Stato le operazioni di gruppi irregolari 32 .
Tale posizione è stata ribadita nella sentenza del 19 dicembre 2005 relativa
all’affare delle Attività armate sul territorio del Congo, nella quale la Corte ha respinto
l’argomento dell’Uganda volto a giustificare a titolo di legittima difesa le
attività armate condotte a partire dall’agosto 1998 nel nord-est della Repubblica
Democratica del Congo, rilevando, tra l’altro, che non vi fossero i presupposti
per una reazione militare contro il Congo, in mancanza di prove sufficienti di un
coinvolgimento diretto o indiretto del governo di quest’ultimo Stato negli attacchi
transfrontalieri dei movimenti ribelli congolesi, in particolare dell’ADF. La Corte
ha infatti osservato come “the attacks did not emanate from armed bands or irregulars
sent by the DRC or on behalf of the DRC, within the sense of Article 3 (g)
of General Assembly Resolution 3314 (XXIX) on the definition of aggression” 33 ,
e che pertanto non fossero attribuibili al Congo.
Come è noto, l’impostazione adottata dalla Corte non ha mancato di suscitare
perplessità e critiche, sia da parte di taluni giudici, sia in dottrina 34 . Essa conduce
infatti a far coincidere del tutto la condizione del coinvolgimento sostanziale con
quella dell’“invio” di bande e irregolari da parte di uno Stato, privando così di
significato la congiunzione “o” utilizzata nell’art. 3, lett. g), della Dichiarazione
sulla definizione di aggressione, come rilevato dal giudice Schwebel nella sua
opinione dissidente annessa alla sentenza Nicaragua. Il giudice, pronunciandosi
su quella che egli stesso ha definito la “critical question of whether aid to irregulars
may be tantamount to an armed attack” 35 , ha infatti sottolineato come
l’ultima parte dell’art. 3, lett. g), della Dichiarazione dell’Assemblea Generale
sulla definizione di aggressione, contenuta nella risoluzione 3314 (XXIX) del
32 Cfr. par. 102, p. 60; e par. 115, p. 65.
33 Cfr. par. 146, p. 53.
34
SciSo e., Legittima difesa ed aggressione indiretta secondo la Corte Internazionale di Giustizia,
cit., pp. 627-640.
35 Opinione dissidente del giudice Schwebel annessa alla sentenza del 27 giugno 1986 relativa
all’affare Nicaragua, in I.C.J. Reports, 1986, pp. 259-527, par. 155 p. 332.

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1974, equipara all’aggressione non solo l’invio, da parte di uno Stato nel territorio
di un altro, di bande armate, gruppi di irregolari o mercenari che compiano ivi
atti di gravità e intensità tali da equivalere ad un attacco armato sferrato da forze
regolari, ma anche “its substantial involvement therein”, ovvero il coinvolgimento
sostanziale dello Stato in atti simili compiuti da bande irregolari, sebbene non
da quello “inviate” 36 , suggerendo quindi una distinzione tra le due ipotesi: quella
dell’invio, che presupporrebbe un coinvolgimento diretto dello Stato, sotto forma
di pianificazione e direzione delle azioni armate, e quella del coinvolgimento
sostanziale, che parrebbe riferirsi ad una forma comunque decisiva, ma indiretta,
di intervento, ovvero non implicante l’imputabilità 37 .
Nella stessa ottica, ma, con un’argomentazione non sempre lineare, il giudice
ad hoc Kateka, nella sua opinione dissidente annessa alla sentenza del 19 dicembre
2005 Congo c. Uganda, ha contestato la conclusione secondo cui l’Uganda non
potesse ritenersi vittima di un attacco armato indiretto da parte del Congo, derivante
dell’essersi la Corte attenuta alla limitata interpretazione dell’art. 3, lett. g),
della Dichiarazione del 1974 sulla definizione di aggressione già adottata nella
sentenza relativa all’affare Nicaragua, e in base alla quale uno Stato è responsabile
di un attacco armato indiretto solo se è provato il suo coinvolgimento sostanziale
nelle attività armate di bande o gruppi di irregolari 38 .
Non è poi privo di rilievo il fatto che, ancora nell’affare Congo c. Uganda, sia
stato sottoposto alla Corte il problema della responsabilità di uno Stato per le
azioni militari condotte da gruppi irregolari operanti sul proprio territorio anche
in relazione alla sola incapacità dello Stato stesso di contrastare o impedire l’attività
di quei gruppi. Implicitamente, la Corte ha risposto in senso negativo nel passo
della sentenza in cui, respingendo l’argomento dell’Uganda volto a giustificare a
titolo di legittima difesa le operazioni militari armate condotte nel nord-est della
RDC, ha osservato che gli attacchi transfrontalieri di movimenti ribelli presenti
sul territorio del Congo, in particolare dell’ADF, non costituissero “a matter of
Congolese policy, but rather a reflection of its inability to control events along
its borders” 39 . Peraltro, si è già detto come la Corte, nella stessa pronuncia, abbia
36 Ibidem, parr. 165-170, pp. 343-346.
37 Meno drastica è la critica espressa nella sua opinione dissidente dal giudice Jennings, secondo
il quale mentre la sola fornitura di armi non può considerarsi costitutiva di un attacco armato, potrebbe
esserlo se associata a supporto logistico o di altro genere (in I.C.J. Reports, 1986, p. 349).
38 Opinione dissidente del giudice Kateka annessa alla sentenza Congo c. Uganda del 19 dicem-
bre 2005, par. 37, p. 9.
39 Cfr. par. 135, p. 51.

168 | In.Law | 4 (2006)
ritenuto che, a differenza della tolleranza o acquiescenza nei confronti di organizzazioni
sovversive, l’incapacità di un Stato di contrastarle per mancanza di controllo
su una parte del proprio territorio non realizzerebbe neppure una violazione
minoris generis del divieto di uso della forza.
Complessivamente, dunque, l’orientamento della Corte risulta consolidato nel
senso di negare che uno Stato possa essere ritenuto responsabile, e come tale reso
destinatario di un’azione in legittima difesa, di un attacco armato condotto da
gruppi ribelli o movimenti terroristi da quello Stato addestrati, organizzati, finanziati
ed equipaggiati, e a maggior ragione solo tollerati. In seno al collegio giudicante,
come si è visto, tale posizione è stata contestata da poche voci dissidenti,
peraltro provenienti per lo più da giudici della nazionalità degli Stati convenuti o
da questi nominati.
5. Meno scontato appare invece il dibattito intorno all’ipotesi dell’ammissibilità
di una reazione armata short of self-defence, ovvero di un uso della forza con
finalità difensiva in risposta ad un atto illecito implicante l’uso della forza, ma
non tale da raggiungere la soglia di gravità necessaria per dare luogo ad un “attacco
armato”, e quindi rispetto a tutte le forme di violazione del divieto, incluso
eventualmente il coinvolgimento “non sostanziale” di uno Stato, sotto forma di
sostegno e mera tolleranza, nelle operazioni paramilitari o terroriste di gruppi
ribelli o irregolari nel territorio di un altro Stato. Ci limitiamo in tale sede a ricordare
che tale questione è stata sfiorata, ma non risolta, dalla Corte, sia nell’ambito
dell’affare Nicaragua, sia nel contesto dell’affare relativo alle Piattaforme petrolifere
(Iran c. Stati Uniti).
Nella sentenza Nicaragua, la Corte ha sollevato il problema, costatando di dover
appurare se, una volta respinta la giustificazione dell’intervento statunitense
fondata sull’argomento della legittima difesa collettiva, fosse possibile legittimare
il medesimo in base ad un eventuale diritto di uno Stato, appunto da accertare,
“to respond to intervention with intervention going so far as to justify a use of
force in reaction to measures which do not constitute an armed attack but may
nevertheless involve a use of force” 40 . La Corte, tuttavia, ha di fatto evitato la questione,
limitandosi a rilevare l’inesistenza di un presunto diritto degli Stati Uniti
di adottare contromisure “collettive” in aiuto di Salvador, Honduras e Costa Rica,
in risposta alla condotta del Nicaragua nei tre Stati confinanti, affermando che il
40 I.C.J. Reports, 1986, par. 210, p. 110.

In.Law | 4 (2006) | 169
diritto di usare la forza da parte di uno Stato che non è vittima di un illecito “is not
admitted when this wrongful act is not an armed attack” 41 .
L’ammissibilità di una risposta armata short of Article 51 è stata invece esplicitamente
affermata dal giudice Simma nella sua opinione individuale annessa alla
citata sentenza del 6 novembre 2003 sull’affare delle Piattaforme petrolifere, in cui
ha suggerito una distinzione “between full-scale self-defence within the meaning
of Article 51 against an ‘armed attack’… on the one hand and, on the other, the
case of hostile action, for instance against individual ships, below the level of Article
51, justifying proportionate defensive measures on the part of the victim” 42 . Ed
ha ritenuto che la Corte avrebbe dovuto valutare in base a tale parametro la liceità
delle azioni armate condotte dallo Stato convenuto contro le istallazioni petrolifere
iraniane.
6. Un’altra questione di grande rilevanza attuale, che si pone qualora risulti
impossibile individuare un soggetto statale responsabile di un “attacco armato”,
è quella di capire se il diritto di legittima difesa includa una reazione dello Stato
vittima contro attori non statali, quali, appunto, gli individui e gruppi privati autori
dell’aggressione.
Su tale aspetto, la Corte si è pronunciata una prima volta in modo piuttosto
eclatante per quanto estremamente sintetico, nel parere del 9 luglio 2004 sulle
Conseguenze giuridiche derivanti dalla costruzione del muro nei territori palestinesi
occupati 43 , respingendo l’argomentazione israeliana secondo la quale l’edificazione
del muro, al confine con la Green Line, rappresenterebbe una misura di legittima
difesa compatibile con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, e conforme
alle risoluzioni 1368 e 1373 del 2001, con le quali il Consiglio di Sicurezza, riconoscendo
il diritto naturale alla legittima difesa in relazione agli attacchi dell’11
settembre 2001, avrebbe “clearly recognized the right of States to use force in selfdefence
against terrorist attacks”, per cui, a maggior ragione, sarebbe riconosciuto
il diritto di ricorrere a misure non coercitive allo stesso fine 44 .
In replica a tale argomento, la Corte ha affermato che l’articolo 51 riconosce
l’esistenza di un “inherent right of self-defence” in caso di attacco armato da parte
41 Ibidem, par. 211, p. 110.
42 Cfr. par. 12, p. 6 dell’opinione individuale, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iop/iopjudg
ment/iop_ijudgment_20031106_simma.PDF.
43 In http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/imwp/imwp_advisory_opinion/imwp_advisory_opi
nion_20040709.htm..
44 Cfr. par. 138 del parere.

170 | In.Law | 4 (2006)
di uno Stato contro un altro Stato, mentre Israele non aveva ritenuto che gli attacchi
nei suoi confronti fossero imputabili “to a foreign State” 45 .
Tale affermazione ha suscitato scalpore, e in taluni casi opposizione, sia tra i
membri del collegio giudicante che in dottrina. Se è unanime il riconoscimento
che il testo dell’art. 51 non specifica da quale soggetto debba provenire un attacco
armato perché si attivi il diritto di legittima difesa in esso sancito – e se è pure
generalmente constatato che per decenni la disposizione in questione è stata interpretata
nel senso di riconoscere un diritto di legittima difesa contro un attacco
“convenzionale” sferrato da uno Stato – le posizioni divergono sia sulla possibilità
stessa di concepire un diritto alla legittima difesa contro un attacco non statale, sia
sullo stato del diritto internazionale al riguardo.
Contrari alla posizione della Corte si sono detti i giudici Higgins e Kooijmans,
nelle loro opinioni individuali, e Buergenthal nella sua dichiarazione dissidente.
La Higgins ha espresso le sue riserve pur ammettendo che l’affermazione della
Corte sia da considerare “as a statement of the law as it stands” 46 : una lex lata che
sarebbe il risultato del dictum nella sentenza Nicaragua del 1986 sulle condizioni
alle quali un’azione condotta da irregolari può essere considerata un attacco armato,
in particolare il raggiungimento di una soglia di intensità e gravità equiparabile
a quella di un attacco convenzionale sferrato da forze armate regolari. Kooijmans
ha contestato alla Corte di aver disconosciuto (“by-passed”) l’elemento di assoluta
novità contenuto nelle risoluzioni 1368 e 1373, che avrebbero stabilito il diritto
inerente alla legittima difesa rispetto ad atti di terrorismo internazionale senza far
riferimento ad un attacco armato da parte di uno Stato, segnando in tal modo “a
new approach to the concept of self-defence” 47 . Simile su tale aspetto è la posizione
del giudice Buergenthal, il quale ha rilevato come la Carta delle Nazioni Unite
non condizioni l’esercizio del diritto di legittima difesa ad un attacco armato “by
another State”, né alcuna condizione in tal senso è desumibile dal testo delle risoluzioni
1368 e 1373, che anzi condannano il terrorismo e invocano la legittima
difesa in risposta agli attacchi dell’11 settembre senza fare alcun riferimento ad
uno Stato responsabile 48 .
45 Cfr. par. 139 del parere.
46 Opinione individuale del giudice Higgins annessa al parere del 9 luglio 2004, par. 33, in http://
www.icj-cij.org/icjwww/idocket/imwp/imwpframe.htm.
47 Opinione individuale del giudice Kooijmans annessa al parere del 9 luglio 2004, par. 35, in
http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/imwp/imwpframe.htm.
48 Dichiarazione del giudice Buergenthal annessa al parere del 9 luglio 2004, par. 6, in http://
www.icj-cij.org/icjwww/idocket/imwp/imwpframe.htm.

In.Law | 4 (2006) | 171
In dottrina, la conclusione della Corte, nella misura in cui sembra configurare
la riconducibilità dell’attacco armato ad uno Stato quale requisito per l’esercizio
della legittima difesa, è stata criticata, anche alla luce del caso Nicaragua, in quanto
genera il paradosso per cui uno Stato, la cui reazione a titolo di legittima difesa
sarebbe considerata lecita in caso di attacchi terroristici imputabili ad un altro
Stato, sarebbe invece da ritenersi inammissibile contro attacchi del medesimo tipo
sferrati da gruppi terroristi o bande ribelli, cioè contro i campi di addestramento
e le basi logistiche di questi ultimi, qualora le loro attività siano svolte con il solo
finanziamento e supporto di uno Stato, o semplicemente a causa dell’incapacità
dello Stato territoriale dal quale agiscono di contrastare e porre termine alle loro
attività 49 .
Forse anche sulla scia di tali considerazioni, e degli sviluppi della prassi statale,
la Corte sembra aver adottato una posizione più sfumata nella sentenza del 19
dicembre 2005 relativa all’affare delle Attività armate sul territorio del Congo (Congo
c. Uganda), nella quale, dopo aver rilevato che non sussistessero le condizioni
per l’esercizio di un diritto di legittima difesa da parte dell’Uganda contro la RDC,
ha rilevato che non fosse necessario affrontare la questione, pur sollevata dalle
Parti, dell’esistenza e delle condizioni, nel diritto internazionale contemporaneo,
per l’esercizio del diritto di legittima difesa contro attacchi su larga scala da parte
di forze irregolari 50 .
Anche in questo caso, alcuni giudici, in particolare Kooijmans e Simma, hanno
espresso il loro disappunto nei confronti della Corte, per aver quest’ultima evitato,
e perso l’occasione, di pronunciarsi su un aspetto essenziale dell’istituto della legittima
difesa nel diritto internazionale attuale, appunto il diritto di uno Stato di
difendersi contro attacchi armati provenienti anche da entità non statali 51 . I due
giudici hanno rilevato come la Corte si trovasse di fronte al fenomeno, purtroppo
familiare nelle relazioni attuali internazionali, della quasi completa assenza di
autorità governativa in tutto o in una parte del territorio di uno Stato. Secondo
Kooijmans, se da tale territorio provengono attacchi armati sferrati da bande ir-
49 In tal senso murphy S., Self-Defence and the Israeli Wall Advisory Opinion: An Ipse Dixit from
the ICJ?, in American Journal of International Law, 2005, pp. 62-76, p. 66.
50 Cfr. par. 147, p. 53. V. cannizzaro e., La legittima difesa nei confronti di entità non statali
nella sentenza della Corte internazionale di giustizia nel caso Congo c. Uganda, in Rivista di diritto
internazionale, 2006, pp. 120-122.
51 Opinione individuale del giudice Kooijmans annessa alla sentenza del 19 dicembre 2005, parr.
26-31, pp. 6-7; opinione individuale del giudice Simma, parr. 4-15, pp. 2-4, in http://www.icj-cij.
org/icjwww/idocket/ico/icoframe.htm.

172 | In.Law | 4 (2006)
regolari che non possono essere imputati allo Stato territoriale, lo Stato che ne
è vittima ha nondimeno diritto di difendersi. Nel caso di specie, Koojimans ha
ritenuto, con Simma, che l’Uganda fosse vittima di un attacco armato, per quanto
non imputabile alla RDC, e che in quanto tale avesse diritto alla legittima difesa.
Anche il giudice ad hoc Kateka ha condiviso l’opinione per cui l’incapacità di
uno Stato di impedire la commissione di atti di terrorismo o guerriglia a partire
dal suo territorio, per quanto non ad esso attribuibili, non impedisce allo Stato
che ne è vittima di reagire militarmente, notando che in caso contrario lo Stato
territoriale diverrebbe “a safe haven for terrorists” 52 .
7. La critica risulta in sé logicamente fondata, talché parrebbe difficilmente
sostenibile, almeno in una prospettiva de lege ferenda, negare ad uno Stato il diritto
di difendersi da attacchi continui di tipo terroristico o atti di guerriglia di cui sia
vittima, nel senso di reagire adottando misure volte a porvi fine. In tal senso, è
indubbio che l’istituto della legittima difesa richieda una riflessione ed un aggiornamento
che, facendone salve per quanto possibile la natura e la finalità originarie,
ne consentano una più precisa applicazione a talune ipotesi di attacchi armati
non convenzionali. Se infatti, nella concezione che appare più corretta, la legittima
difesa autorizza l’azione circoscritta e temporanea di uno Stato che si trovi
nella necessità di respingere un attacco armato in corso, uno dei problemi che
notoriamente si pongono rispetto all’applicazione dell’istituto così configurato ad
un attacco terroristico o di guerriglia, che per sua natura si esaurisce in un atto
“istantaneo”, è quello della misura in cui una reazione ad esso sia effettivamente
finalizzata a scopi difensivi, o non piuttosto punitivi e preventivi 53 .
In tale ottica, e considerando dapprima la questione della soglia di gravità
degli atti ai fini dell’attivazione del diritto di legittima difesa, potrebbe essere
utile, in relazione alla nozione di attacco armato, la teoria della cumulazione degli
eventi, nei confronti della quale la Corte sembra aver dimostrato una certa
apertura, in brevissimi passi, nella sentenza del 6 novembre 2003 relativa all’affare
delle Piattaforme petrolifere, e nella sentenza del 19 dicembre 2005 concernente le
52 Opinione dissidente del giudice Kateka, par. 37, p. 9, in cui cita Simma B. (Ed.), The Charter
of the United Nations. A Commentary, Oxford, 2002, p. 802.
53 Cfr. in dottrina caSSeSe a., Terrorism is Also Disrupting Some Crucial Legal Categories of
International Law, in European Journal of International Law, 2001, pp. 993-1001, a pp. 997-998;
corTen o., duBuiSSon F., Opération «Liberté immuable»: une extension abusive du concept de légitime
défense, in Revue générale de droit international, 2002, pp. 51-77, a pp. 72-73; marchiSio S.,
Le Nazioni Unite e la lotta al terrorismo, in I diritti dell’uomo. Cronache e battaglie, 2002, pp. 48-54, a
p. 50.

In.Law | 4 (2006) | 173
Attività armate sul territorio del Congo 54 – per operare in base ai relativi parametri
l’accertamento del diritto alla legittima difesa dello Stato che subisce una serie di
singoli attacchi non convenzionali.
In secondo luogo, l’elemento o aspetto su cui sembrerebbe maggiormente possibile
concentrarsi per una specificazione e graduazione delle diverse ipotesi di
ricorso alla forza a fini difensivi è quello della proporzionalità della risposta.
A tal proposito, occorrerebbe chiarire, sulla scia soprattutto dell’affare delle
Piattaforme petrolifere (Iran c. Stati Uniti) 55 , se una reazione armata necessaria e
proporzionata rispetto all’obiettivo di far cessare la violenza subìta 56 sia consentita
in risposta ad una violazione dell’uso della forza la cui gravità non sia tale da
raggiungere la soglia dell’attacco armato.
Qualora si propendesse per una risposta affermativa, tuttavia, il relativo principio
non parrebbe applicabile senza distinzioni rispetto alle ipotesi di violazione,
da parte di uno Stato, del divieto di ricorso alla forza mediante talune forme più
blande di assistenza a ribelli o gruppi privati, quali la mera tolleranza o acquiescenza
nei loro confronti, che non sembrerebbero giustificare una risposta armata
contro lo Stato. Nell’ottica della Corte, a nostro avviso condivisibile, la reazione resterebbe
in tal caso configurabile come contromisura all’illecito, soggetta al divieto
di uso della forza. Per converso, dall’esame dei casi sottoposti al massimo organo
giurisdizionale, dai commenti della dottrina e dagli sviluppi della prassi sembrerebbe
emergere l’opportunità di una riflessione sulla questione dell’ammissibilità,
sinora negata dalla Corte, di una reazione in legittima difesa, o comunque armata
a carattere difensivo, rispetto a forme “meno indirette” di assistenza ad attività armate
di gruppi privati, quali la fornitura di armi, munizioni e supporto logistico.
La liceità di una reazione implicante l’uso della forza potrebbe comunque ammettersi
nei confronti degli attori non statali responsabili diretti degli attacchi, se
chiaramente individuati e a patto che le misure attuate rivestano carattere strettamente
difensivo, da valutare appunto sul piano della necessità e proporzionalità
rispetto all’obiettivo di far cessare gli attacchi stessi, come potrebbero risultare
54 Sentenza del 6 novembre 2003 nell’affare concernete le Piattaforme petrolifere (Iran c. Stati
Uniti), par. 64, p. 31; sentenza del 19 dicembre 2005 nell’affare delle Attività armate sul territorio del
Congo (Congo c. Uganda), par. 146, p. 53.
55 Supra, par. 5, testo sub note 40-42.
56 Sul dibattito e le opinioni circa i parametri in base ai quali andrebbe commisurata la proporzionalità
dell’uso della forza in legittima difesa (rispetto alla minaccia esistente, o al danno subìto,
o al raggiungimento dello scopo perseguito), v. Gardam J., Necessity, Proportionality and the Use of
Force by States, Oxford, 2004, p. 12.

174 | In.Law | 4 (2006)
azioni circoscritte volte a rendere inoffensive le basi logistiche da cui provengono.
In tale contesto, risulta pertinente ricordare che una valutazione della proporzionalità
e necessità della reazione armata, rispetto al fine di respingere gli attacchi
dei gruppi ribelli anti-ugandesi, è stata accennata dalla Corte nella sentenza Congo
c. Uganda, laddove si osserva che la presa di aeroporti e città da parte dell’esercito
ugandese nel territorio della RDC a molti chilometri dal confine con l’Uganda
“would not seem proportionate to the series of transborder attacks it claimed had
given rise to the right of self-defence, nor to be necessary to that end” 57 .
57 Cfr. par. 147 della sentenza, p. 53.
amina maneGGia
Ricercatore Università di Perugia